Territori 30

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Quadrimestrale dell'Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Frosinone. Direttore responsabile: Giovanni Fontana. Testi e progetti di: Massimo Dicecca, Giovanni Fontana, Stefano Manlio Mancini, Mauro Mangili, Marco Odargi, Nello Teodori, Giorgios Papaevangeliu. Graphic designer: Giovanni D’Amico (D’Amico Graphic Studio).

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S O M M A R I O

EDITORIALE

Un Carattere in piazzaMaestri del design collaudano il “Frusino” Giovanni Fontana pag. 2

SPAZIO E PROGETTO

La chiesa dei SS. Filippo e Giacomo Apostoli ad AnagniAsimmetrie e piani inclinati per una spazialità libera Marco Odargi pag. 4

L’ARCHITETTURA E LA STORIA

La manifattura della carta nel Mezzogiorno d’Italia Stefano Manlio Mancini pag. 10

Saverio Muratori: il concorso per il palazzo della sede della Democrazia Cristiana Affinità e divergenze tra la storia operante e la storia dei fatti Massimo Dicecca pag. 19

TESI DI LAUREA

Progettazione del nuovo campus universitario ‘La Folcara’ dell’Università degli Studi di Cassino Mauro Mangili pag. 30

BENI CULTURALI

Le Logge dei Tiratori della Lana a GubbioTutela e riuso compatibile Nello Teodori pag. 38

TEMI

Cinque tesi Giorgios Papaevangeliu pag. 46

ALTRI LINGUAGGI

Gian Carlo RiccardiLuoghi e memorie Giovanni Fontana pag. 47

Quadrimestrale dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Frosinone Reg. Tribunale di Viterbo n. 408 del 31/05/1994 dicembre 2015 - anno XXI - n. 30

In copertina: Marco Odargi, Chiesa dei SS. Filippo e Giacomo Apostoli ad AnagniDirettore responsabileGiovanni FontanaComitato Scientifico RedazionaleDaniele BaldassarreLuigi BevacquaFrancesco Maria De AngelisAlessandra DigoniGiovanni FontanaWilma LaurellaStefano Manlio ManciniGiorgios PapaevangeliuMaurizio PofiAlessandro M. TarquiniMassimo TerziniResponsabile DipartimentoInformazione e ComunicazioneLaura CoppiSegreteria di redazioneAntonietta DrogheiSandro LombardiImpaginazione e graficaGiovanni D’AmicoCoordinamento pubblicitàD’Amico Graphic Studio03100 Frosinone - via Marittima, 187tel. e fax 0775.202221e-mail: [email protected] StampaTipografia Editrice Frusinate03100 Frosinone - via Tiburtina, 123

ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI FROSINONE

Presidente: Bruno Marzilli Vice Presidente: Alessandro Tarquini Segretario: Laura CoppiTesoriere: Felice D'AmicoConsiglieri: Lucilla Casinelli

Francesco Maria De Angelis Maurizio Gattabuia Valentina Gentile Debora PatriziPio Porretta

Consigliere Junior: Valeria Ciotoli

Segreteria dell’Ordine03100 Frosinone - piazzale De Matthaeis, 41Grattacielo L’Edera 14o pianotel. 0775.270995 - 0775.873517fax 0775.873517sito Internet: www.architettifrosinone.ite-mail: [email protected]: [email protected]

ISSN 2284-0540

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di Giovanni Fontana

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ettere “un carattere in piazza” signifi-ca prima di tutto pubblicizzarlo, poirenderlo familiare affinché possa

essere adottato, e infine lanciarlo nell’universodella comunicazione.Un’operazione di questo tipo, che può essereresa possibile attraverso la sensibilizzazioneistituzionale, ma non senza il contributo deter-minante di chiunque abbia modo di avere a chefare con l’universo della scrittura, sia essa con-venzionale o mediatica, potrà garantire neltempo un forte sostegno alla definizione del-l’identità territoriale. Comunicare per farsi rico-noscere e per riconoscersi. Del resto sappiamobene quanto sia importante la forma nei pro-cessi comunicativi: sia la forma del discorsoorale, con tutti gli annessi e connessi legati alladimensione sonora e gestuale, sia la for madella scrittura. Disegno, tessitura, composizio-ne e organizzazione della pagina, dati propor-zionali, cromatici o materici contribuiscono diper sé a costituire la sostanza del messaggio,che, come ci fece ben capire Mar shall Mc Lu -han, tende a lasciarsi modellare nei suoi carat-teri strutturali anche dal medium, indipendente-mente dal suo contenuto. Spes so, infatti, unabuona percentuale del messaggio è espressadalla sua forma: scrivere una parola in punta dipenna d’oca con caratteri gotici e mano tre-mante o fare una scritta in bubble style gigantecon bombolette spray su un cavalcavia in ce -mento armato non è la stessa cosa.Sono principi, questi, che valgono sempre, val-gono ogni volta che si intenda avviare un pro-cesso di informazione, anche quando non si ha

a che fare con un testo inteso nella sua acce-zione specifica. Anche per i luoghi, con le lorostratificazioni di memorie e di gesti, vale unsimile discorso. Il luogo ha un suo senso e simostra come un testo, ci ricorda Salvatore Zin -gale citando la transtestualità di Gérard Ge -nette.1 Ma a me piace citare anche Paul Zum -thor, che in una sua famosa analisi della rap-presentazione dello spazio, scrive: “Non si puòdividere un luogo in parti, perché esso totaliz-za gli elementi e le relazioni che lo costituisco-no. Un insieme di segni vi si cumula e vi siorganizza in un segno unico e complesso. Daciò la sua coerenza, analoga a quella di untesto. È un testo, in effetti, in cui si inscrive unastoria”.2 E mi piace citare anche Paul Va leryquando, per bocca di Eu pa linos, dice: “non haios servato, andando per la città, che tra gli edi-fici c he la po polano alcuni sono muti, altri par-lano e altri ancora, i più rari, cantano? ”3

Sì, gli edifici, i luoghi, le città, il ter ritorio, in -somma, tutti insieme parlano, dialogano. Ciòsignifica che l’adozione e diffusione di unafont pensata per il territorio va a costituire ne -cessariamente una ulteriore stratificazione,che arricchisce di per sé i livelli d’informazio-ne e che nell’uso quotidiano si pone come ve -ro e proprio veicolo di comunicazione. Per questo motivo l’idea del concorso appareparticolarmente importante per il territoriociociaro, che, come ricorda Luca Calselli, haavuto tanto peso nella storia della stampa, sesi considera che nel 1465, a Su biaco, è stataimpiantata la pri ma stamperia d’Italia e chenelle valli del Liri e del Fibreno intorno alla

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Dall’intesa tra la Camera di Commercio di Frosinone e l’ADD, Associazione Distretto del De -

sign, è felicemente scaturito il bando del concorso nazionale “Un carattere in piazza”, per

l’ideazione di un carattere tipografico che potesse contribuire all’identificazione del territorio

provinciale nei processi di comunicazione, un carattere per l’immagine coordinata dei comu-

ni in tutte le loro relazioni esterne, dalle comunicazioni istituzionali alla pubblicistica, dal mar-

keting alla toponomastica, dal web alla TV. Il risultato è stata la realizzazione di una nuova

font, Frusino, disegnata da Andrea Amato, illustrata e commentata in un bel catalogo che rac-

coglie illuminanti testi sull’argomento a firma dei componenti della giuria: Giovanni An -

ceschi, Giovanni Lussu, Jonathan Pierini, Salvatore Zingale, Luca Calselli (in rappresentanza

dell’ADD), con la collaborazione dei segretari verbalizzanti Federico Sisti (per la Camera di

Commercio di Frosinone) e Luciano Rea (per l’ADD). A conclusione della manifestazione è

stato organizzato un Convegno a Frosinone il 23 settembre scorso.

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produzione della carta si svilupparono impor-tantissime realtà economiche, in particolaresotto il governo dei Borboni. Il libro-catalogo,4

che raccoglie i contributi dei convegnisti, illu-stra le potenzialità di questa iniziativa e spaziautilmente sui differenti aspetti del carattere: lasua storia, la sua forma, la sua leggibilità, ilvalore connotativo, insomma il suo significa-to sul piano simbolico e funzionale. GiovanniAn ceschi parla con intrigante bisticcio di“carattere del carattere”, per Salvatore Zingaleil disegno del carattere è “un potente veicolodi comunicazione oltre la comunicazione stes-sa”, Gio van ni Lussu evidenzia gli aspetti lega-ti all’utilità pubblica, confrontando le formesul piano della leggibilità, Jonathan Pierini af -fronta le problematiche identitarie che emer-gono nell’esame della gamma di relazioni conil territorio. E se l’identità è un valore, comeosserva Luciano Rea “esso va ben am mi ni -strato”, perché oltre ad essere uno strumentodi dialogo “è valore spendibile per la distinzio-ne, la riconoscibilità”.Queste sequenze di considerazioni e di rifles-sioni hanno offerto utili parametri di valutazio-ne del Frusino di Andrea Amato, vincitore delconcorso. Nell’analisi del carattere è stato indi-viduato un riferimento allo stile classico lapi-

dario romano, che perde le sue grazie in favo-re della linearità che fu tipica degli stili delmovimento moderno. Pur tut tavia questi colle-gamenti tendono a sfumare di fronte alla scel-ta di una morbidezza che viene ottenuta attra-verso la modulazione del tratto, attraverso la

variazione degli spessori, attraverso l’allusionead una manualità che richiama tratti discreta-mente popolari, come è giusto che sia per unterritorio da sempre aperto alla creatività ge -nuina, liberamente legata alla terra più che allerigidità delle istituzioni. Anceschi e Pierini han -no parlato di carattere vernacolare. Un riferi-mento, dunque, alla libertà calligrafica che siesprime più che con il pennino, con il pennel-lo, tanto che la font si presenta in mo deratobold. E questa dimensione gestuale, pur sem-pre accorta e mai esageratamente spinta, simanifesta con l’assenza di chiusure nelle lette-re B D Q P R, nella mancanza di saldatura del-l’asta nella K, nella morbidezza delle code (chesembrano ottenute in punta di pennello) parti-colarmente evidenti nelle lettere maiuscole J KQ R Z, ma anche in diverse minuscole (a d e fj k l r t u y z) o anche nei numeri. E direi di più,perché il disegno di alcuni caratteri (non socon quale grado di intenzionalità) sembra ri -chiamare (in veste ideogrammatica) i tratti dialcuni manufatti artigianali (la punta arricciatadella ciocia di cuoio, la roncola, il falcetto, l’an-fora) e nello stesso tempo alcune modalità diprocedimento tecnico tradizionale: quello dimodellare l’argilla, per esempio, espresso dal -la corposità del carattere (che proprio per lasua consistenza e la sua variabilità nello spes-sore appare più come oggetto plastico chegrafico) ed esaltato in certi flessi analogici(come nella lettere minuscole f k r o nel nume-ro 4), o quello di intrecciare (lavorare ceste olegare con fibre vegetali – i cosiddetti “vin-chi”), come appare specialmente nel 6 e nel 9o nel numero 8, che sembra alludere alla tecni-ca dell’intreccio, con taglio spiccatamente ge - stuale. Non solo ricorrenze calligrafiche, dun - que, in questo Fru si no, ma anche figurali. L’au -spicio è quello di un buon successo di marke-ting territoriale.

N O T E1. Gérard Genette, Palinsesti. La letteratura alsecondo grado (1982), tr. it. Torino, Einaudi,1997.2. La misura del mondo, Il Mulino, Bolo gna, 1995.3. “Eupalinos o dell’architettura”, in Tre dialo-ghi, Einaudi, Torino, 1990.4. Un carattere in piazza, a cura dell’Asso -cia zione Distretto del Design di Sora, con ilcontributo di ASPIIN, Camera di CommercioFro sinone (Ed. Artstudiopaparo Srl, Napoli,2015). Progetto grafico e impaginazione diGiovanni D’Amico (D’Amico Graphic Studio,Frosinone).

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Dati dimensionali, di stri butivi e destinazioni d’usoIl nuovo complesso par-rocchiale si compone didiversi elementi aventi,anche, autonoma identitàfunzionale pur se archi-tettonicamente progettaticome opera unitaria. L’in -tera superficie progetta-ta, nel rispetto dei para-metri dimensionali indi-cati dalle tabelle CEI in

riferimento al numero diabitanti della parrocchia,è pari a 900,00 mq distri-buiti in tre piani di diver-sa superficie.La parte che ricopre mag-gior rilievo sotto ogni pro -filo è sicuramente l’au laliturgica; direttamentecol legata alla cappellaferiale per un totale di350,00 mq, ai quali sisommano gli 80,00 mqdella sacrestia, dell’uffi-

cio del parroco, ivi com-presi gli spazi connettivie di ser vizio. La lunghez-za massima dell’aula è26,00 metri, per larghez-ze che variano da 12,00 a5,00 metri e un’altezza,an ch’essa variabile, daun minimo di circa 7,00metri dell’ingresso sino a8,50 del presbiterio. Iposti a sedere per i fedelinell’aula sono 150, men-tre nella cappella ne sono

I di Marco Odargi

S P A Z I O E P R O G E T T O

LA CHIESA DEI SS. FILIPPO E GIACOMO APOSTOLI ADANAGNIASIMMETRIE E

PIANI INCLINATI PER UNA

SPAZIALITÀLIBERA

Il progetto è statocondotto attraverso la decomposizione dellefacce di unparallelepipedo. La geometriadell'involucro è statadefinita tramiteun susseguirsi disottrazionie deformazioni.

nquadramento territoriale

La parrocchia dei SS Filippo e Giacomo Apostoli si trova nel collinoso territorio a

nord-ovest della città di Anagni, sede della Diocesi di Anagni-Alatri. Quest’area ha

goduto di un grande sviluppo antropico a partire dagli anni settanta, mediante una

crescita urbana e demografica sviluppatasi in ordine diffuso in un territorio confinato

tra il perimetro urbano di Anagni e la via Anticolana, importante arteria di comunica-

zione, che diramandosi dalla via Casilina raggiunge Fiuggi Terme.

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previsti 24. Nel lato sini-stro dell’aula in prossi-mità del presbiterio, eco munque direttamentecon nesso con l’assem-blea, è ricavato lo spaziodel coro. Un percorsoconnettivo parallelo allali nea di accesso all’aularende comunicabile la sa -crestia con la penitenzie-ria e la cappella feriale,accessibile anche diretta-mente dall’esterno attra-verso un portone lateralenel lato nord.Dal blocco scale e servi-zi si accede alle aule, di -vise in due ali rispettoalla centralità del salone,at traverso un sistema divani e corridoi connetti-vi. Il salone può ospitare75 persone sedute nei100,00 mq di superfici dicui si compone; le ottoaule sono di vari tagli disuperficie. L’accessibilitàal livello inferiore è garan-tita da tre diverse vie dipercorrenza: dal piazzale

riamente spinto la proget-tazione verso un sistemadi fondazioni “profondodiretto” costituito da palie plinti gettati in opera ecollegati da una magliastrutturale superficiale,anch’essa in opera, capa-ce di garantire un gradodi sicurezza tale da soste-nere le azioni imposte dalnuovo stabile. La collocazione dell’areaedificabile sul crinale del -la collina di San Fi lip po, inposizione do mi nante sul -la vallata, la gran de lumi-nosità e ariosità sono ele-menti che ga rantisconoun sicuro e irrinunciabilevalore ag giunto alla futu-ra realizzazione. A dettepositive condizioni si con -trappongono la mo de staestensione del lotto utiliz-zabile e la sua notevolependenza verso val le,che hanno, necessaria-mente, portato ad unoschema distributivo apiù livelli in modo tale da

esterno alla chiesa, sul la -to sinistro a sud, doveuna scalinata a tre ramperettilinee immette diretta-mente nel sistema di con-nettivo; dal piazzale ester-no ai locali, raggiungibileanche con automobili,con due porte che immet-tono direttamente nelledue ramificazioni tangen-ziali al salone che connet-tono le ali esterne dell’im-pianto distributivo; dal-l’interno mediante il bloc-co scala e ascensore.Il campanile è pensato indi-pendente, rispetto al com-plesso architettonico, sottol’aspetto strutturale ed ècostituito da una parete inconglomerato cementizioche svetta, rispetto al pianodel sagrato per 16,50 metried è collocato nel lato nord.

ProgettoLa scarsa capacità por-tante nella prima stratifi-cazione di terreno di circacinque metri ha necessa-

colmare il “vuo to” archi-tettonico creato dallastruttura di sostegno avalle dell’aula liturgica. La ricerca di una proie-zione dell’edificio verso il“vuoto”, fornito dalla val-lata sottostante, è intesacome percorso nell’invo-lucro dell’aula tra il “sa -grato” e la spazialità of -ferta dalla vista in posi-zione panoramica dellazona del “coro”. L’im -pianto pla nimetrico sca-turisce dalla semplicitàdel vano principale, chesegna con for za la mono-direzionalità della lineadello sguardo, che istinti-vamente si ten de adintrattenere percorrendol’area scevra da manufat-ti. Il tema prescelto èquello della chiesa adaula unica che, pur nellasua purezza geometrica,ha ricoperto un ruo lo diprimissimo piano nell’ar-chitettura ecclesiastica,of frendoci esempi eccel-

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lenti, arricchiti, nella sto-ria, dagli elementi stilisticiche le scuole hanno tra-mandato.Il progetto è stato condot-to attraverso la de com -posizione delle facce di unparallelepipedo, col locatonell’area in mo do da esal-tare la linea del punto divista più lontano rispettoall’orizzonte. Il geometri-co involucro è stato di -mensionato in modo taleche vi fossero racchiusitutti i rapporti di men -sionali pertinenti al pro-getto inteso come sche -ma funzionale, che da ri -gida geometria “esplo deordinatamente”, dall’in-terno verso l’esterno, inun susseguirsi di sottra-zioni e deformazioni diparti, sino a solidificarsiin una composizione dipiani aventi diversa giaci-tura. La continuità dellesue fratture è data dallevetrate che hanno plasti-camente assecondato ladisgregazione delle parti;la luce che traspare dalleinterruzioni opache pale-sa sia dall’esterno, sianel la fruizione interna, laforza impalpabile che hagenerato la forma dell’au-la liturgica.Un’unica parete, in pietra,è “stabile” rispetto al flut-tuare dell’intorno. L’unica

verticale. L’unica geome-tricamente definita dauna forma regolare. In -tesa, nella sua espressio-ne materica imponente,co me sostegno e riferi-mento dell’intero com-plesso. Visibile in ognipar te in terna ed esternadel com plesso. Nella suagiacitura è riconducibilela direzione ideale che dalsagrato si deve percorre-re per visitare la chiesa,sino a raggiungere unideale “infinito” segnatodalla fine della paretestessa verso il vuoto del -lo spazio della vallata sot-tostante. Lungo il per-corso che lambisce laparete di pietra, il fedeletrova im portanti riferi-menti li tur gici, come ilfonte battesimale, lospa zio per la pe nitenza eil luogo della parola, conl’ambone del l’aula e del -la cappella feriale, chespecularmente si con-trappongono ri spetto al -la linea di de mar cazio nese gnata dal muro. La facciata principale de -nuncia, in tutta la sua es -senzialità, la geometriadella sezione trasversaledell’aula, dalla quale èdistaccata da un’asola divetro che vuole, da unaparte esaltarne l’indipen-denza formale e dall’altra

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L’impianto planimetrico è caratterizzato dallaforma del vanoprincipale, che segnacon forza lamonodirezionalità dellalinea dello sguardo e accentua l'effettoprospettico verso l'altare.

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Committente:Diocesi di Anagni e AlatriProgetto: 2011Realizzazione: Ottobre2011 - Luglio 2014Importo:Euro 1.700.000,00

Progettista: Architetto Marco OdargiGruppo di lavoroArchitettura:Arch. Matteo Clemente,Arch. Giorgio Pelloni, Arch. Davide Peluso, Arch. Katia Guglielmi,Arch. Francesca Noce,Arch. Claudio Ceccarelli

Strutture:Ing. Luciano Fiorillo, Ing. Morgan Reali;Impianti:Ing. Nardoni Claudia, P.I. Imerio Magnanelli;Efficientamento Energetico:Ing. Emiliano GabrieleTopografia:Geom. Massimo Minotti

Opere d’arte: Maestro Egidio Ambrosetti, Arch. Marco Odargi,Artemarmi Arch. Massimiliano Testani

La realizzazione del nuovocomplesso parrocchiale, in Anagni (FR), comprendela chiesa, la cappellaferiale, la sacrestia,l’ufficio, il salone e le auleper il ministero pastorale e le relative opere d’arte.L’intervento è statorealizzato con il sostanzialecontributo della ConferenzaEpiscopale Italiana,Servizio Nazionale Ediliziadi Culto attraverso fondidesunti dall’otto per mille.

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assoluta della parete dipie tra, a sinistra l’inclina-zione della parete biancarigata longitudinalmente,superiormente la linea digiacitura del “foglio” dicopertura, che innalzan-dosi con due diverse pen -

denze viene proiettata inuna repentina salita ver soil cielo. L’asimmetrica collocazio-ne della netta bucatura delportone di accesso com-pleta il disegno del “pan-nello” del fronte prin ci -

ribadirne lo “svincolo”strutturale che caratteriz-za tutta l’opera. La formatrapezoidale è stabilitadalla giacitura delle pare-ti che determinano “l’in-stabile” involucro dell’au-la: a destra la verticalità

Il campanile, collocatonel lato nord, è indipendente rispettoal complessoarchitettonico.Strutturalmente ècostituito da una paretein conglomeratocementizio che svetta,rispetto al piano delsagrato, per m 16,50.

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pale, ornato solo da unacroce aggettante, an ch’es -sa asimmetricamente col -locata, definita nei contor-ni solo dal colore dellaluce naturale in cui si pro-ietta. Anche in questo ca -so è percepibile la nonverticalità della parete,che è protesa in un’incli-nazione verso il sagrato,come a coprire e ac co -gliere il fedele che si ac -cinge ad entrare.Il campanile è una lamasottile ed essenziale. Es -so richiama alla vertica-lità, che per definizionestessa del suo esserede ve caratterizzarlo, sen - za evidenziare gerarchietra attacco a terra, corpoe coronamento. Le trecam pane sono alloggiateverticalmente in una fes-sura “occasionale” libe-ra da riferimenti specifi-ci. An che nella progetta-zione di questo elemen-to es senziale, nell’identi-ficazione comune dichie sa, come in tutta l’ar-chitettura di cui si com-pone il nuovo complessoparrocchiale, è statofondamentale il concettodi spazialità libera dadelimitazioni che potes-sero determinare riferi-menti riconducibili allenozioni di “inizio” e “fi ne”degli elementi.

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a fabbricazio-ne della carta nel Mez-zogiorno d’Italia ri salead epoche antichis si -me1. Con molta probabi-lità furono navigatori emercanti amalfitani, instretti rapporti commer-ciali con il mondo ara-bo, ad introdurre l’artedella carta nel sud Italiae ad impiantarne la fab-bricazione ad Amalfi e inaltri centri del la costieraomonima, prima ancoradel 10002.

L tano Margarito Marca-gella affermava: “habeoin Amalfia de coctoneun cias duodecim auri,item habeo resimi tresde charta” 4. Il documen-to, co me sottolineato dalGar gano

5, ricopre una ri -

levante importanza per ilterritorio amalfitano, inquanto costituisce unprezioso atto per la data-zione della fabbricazionee del commercio di rismedi carta, rimarcando l’im-piego del cotone nella

Nel XIII secolo, FedericoII, con il 79o Decretale del1231, vietò esplicitamen-te alle curie di Napoli,Sorrento ed Amalfi diservirsi della carta bam-bagina per atti pubblici,prescrivendo che questifossero trascritti su per-gamena. Ciò dimostrache in quell’epoca l’usodella carta era abbastan-za diffuso nelle città dellaCampania3. Nel propriote stamento redatto nel1268, il mercante amalfi-

LA MANIFATTURA DELLA CARTANEL MEZZOGIORNO D’ITALIAdi Stefano Manlio Mancini

L ’ A R C H I T E T T U R A E L A S T O R I A

1

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lavorazione della stessa.Inoltre, un atto notariledel 1289, con cui il nobi-le Giovanni d’Aversa, al -lora capitano del ducatodi Amalfi, stabiliva il pa -gamento al mercanteNicola Favario di Ravellodel prezzo della cartaper gamena e di quellabam bagina da questipro curatagli, rappresentauna testimonianza at -tendibile della presenzadi un’attività cartaria sul-la costiera6.

“Quello che è certo è chela piena fioritura dellamanifattura della cartanell’Amalfitano ‘non èanteriore al XIV secolo’,epoca in cui si registraun grande impulso all’at-tivazione di nuovi muliniidraulici destinati appun-to alla preparazione dellapasta per carta, ma an -che alla macinazione delgrano in rapporto all’in-troduzione della fabbri-cazione della pasta ali-mentare”7. Del resto la

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re gione amalfitana siadat tava particolarmentealla fabbricazione dellacarta per la presenza dinumerosi corsi d’acquapurissimi lungo la co -stiera, la qual cosa, oltrea favorire la disponibilitàdi energia idraulica, con-sentiva la produzione diun articolo qualitativa-mente pregiato che inbreve tempo venne adessere utilizzato in moltecittà italiane sia per lescritture private sia pergli atti pubblici, per attigiudiziari e valori bollati8.Nel XV secolo la lavora-zione della carta si svi-luppò anche all’internodella provincia di Saler-no, sul fiume Sarno, do -ve i cartai amalfitani im -piantarono alcune car -tiere con l’aiuto di mae-stri fabrianesi9. Semprein quell’epoca sorseroquattro cartiere in pro-vincia de L’Aquila: unanella zona di Vetoio, unanei pressi di Tempera,una a Celano e una a Sul-mona10.Nel periodo della domi-nazione spagnola, conCarlo V (1500-58), Na -poli conobbe un notevo-le sviluppo sia dal puntodi vista demografico cheeconomico. Nella città,divenuta anche un im -

portante centroculturale, si in -ten sificò il con -sumo di carta alpunto che il so -vrano, per favo-rirne l’uso, esen -tò da ogni tribu-to tale prodottoe tutto quantofosse necessa-rio per la stam-pa dei libri11.Contemporanea-mente la fab bri -cazione della car -ta si diffuse an che in al -tre zone del Mezzogiornoe in particolare nella val-le del Liri dove, intornoal 1515, per opera di al -cuni cartai marchigiani,fu impiantata a S. Elia laprima cartiera di proprie-tà dell’Abbazia di Monte -ca ssino12. Nel 1519, in -vece, un “impressor de li -bri di canto ficurato”, Ot -taviano (negli atti spes soindicato come Ottavio)Pe trucci (o Pe truzzi) daFossombrone – cittadinadelle Marche non lonta-na da Fabriano – ottennedal duca di Sora, Gu -glielmo di Croy, la con-cessione delle vene diacqua esistenti nella lo -calità Carnello, al confinetra Sora ed Isola del Liri,per installarvi una cartie-ra. Tale fabbrica, che dal

Papetterie, vue desBatimens de laManufacture de l’Anglée,prés Montargis. Vue duRouage d’un des Moulinsde cette Manufacture.(Da Recueil de planches,sur les sciences, les artslibéraux, et les artsméchaniques, avec leurexplication, in DiderotD. - Le Rond (dettoD’Alembert) J.B.,Encyclopédie, ouDictionnaire raisonnédes sciences, des arts etdes métiers, par unesociété de gens delettres, T. IV, Livourne1774, Tavv. 234-235).Nella parte superioredella tavola èrappresentata la vedutadi un tipico edificio diuna cartiera, lamanifattura reale dil’Anglée presso Montargis(Francia); nella parteinferiore è riprodotto ilparticolare di una ruotadi uno dei mulini di talefabbrica.

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1583 risulterà in posses-so della famiglia Bon-compagni – duchi diSora dal 1580 al 1796 –cessò l’attività alla finedel ‘70013.Anche la valle del Liri,quindi, come la costieraamalfitana, si prestavaparticolarmente allo svi-luppo della manifatturacartaria per la presenzadi fiumi quali il Liri, il Fi -breno, il Rapido, le cuiacque pu rissime si adat -tavano alla fabbricazionedella carta. Inoltre le col-line, coperte di alberi diolivi e di viti, e le campa-

gne, ri den ti e verdeggianti,avrebbero consentito unfa cile approvvigionamentodelle ma terie prime ad unapopolazione operosa edesiderosa di ap pren dere ise greti dei processi dilavorazione, custoditi ge -losamente dai cartai amal-fitani ed in seguito perfe-zionati dai marchigiani14.A quel tempo la materiaprima utilizzata – glistracci di lino – era rite-nuta la più idonea perottenere una carta di otti-ma qualità e la cernita deicenci – la prima opera-zione nel procedimentodi fabbricazione della car-ta – era eseguita con par-ticolare cura. La fase suc-cessiva – la macerazionedegli stracci – avveniva invasche di rame o di mar-mo, o in tine di legno.L’impasto che ne venivafuori era trasferito nellepile a mart elli (maglietti,mazzapicchi o pestelli) –que sti ultimi azionati dauna ruota idraulica – epoi versato in tine. A que-sto punto un operaio (illavorente) immergeva laforma nelle tine, estraen-done la quantità di pastanecessaria per ot tenere ilfoglio, e la passava ad unaltro operaio (il ponitore)che la rovesciava su unfeltro di lana. L’insieme difogli e feltri era soggettoal l’azio ne del torchio e,infine, i fogli, separati daifeltri, venivano appesi adasciugare allo span di toio.Per conferire poi allacarta una maggiore resi-stenza ed impermeabilitàla si sottoponeva suc-cessivamente all’incolla-

tura. Le operazioni finaliconsistevano nella li -scia tura e nell’allesti-mento del prodotto defi-nitivo15. La cernita deglistracci e l’allestimentodei fogli prevedevanol’utilizzo di mano d’operafemminile, mentre pergli altri lavori si richiede-va la forza maschile,soprattutto per mano-vrare i magli e i grossimartelli delle pile16.Nel XVII e XVIII secolo,mentre nel regno di Na -poli non furono ap por tatimutamenti di rilievo aimetodi di fabbricazionedella carta, ancorati alletecniche medioevali, nelresto d’Europa ci si ci -mentava costantementeper mi gliorarli, cosicchéla qualità del manufattomeridionale, ottenuto conun procedimento di lavo-razione antiquato, erastata nettamente su -perata dai notevoli pregiofferti dai prodotti este-ri17. Inoltre nel Sud nonera ancora conosciuto ilmolino a cilindro che,inventato dagli olandesiintorno al 1670, si eradiffuso in Europa e nelresto della nostra peni-sola nel corso del ‘700,andando a sostituire ilvecchio molino a pestel-li. Il molino a cilindro erain grado di eseguire dueoperazioni fondamentali:la sfilacciatura deglistrac ci e il raffinamentodella mezza pasta iviprodotta, consentendodi ricavare un impastopiù omogeneo e nellostesso tempo una ridu-zione dei tempi di produ-

zione. In fatti si era calco-lato che, a parità di forzad’acqua, per il funziona-mento del molino, ilcilindro realizzava in 10ore il lavoro che i martel-li svolgevano in 30, inol-tre la carta prodottarisultava più resistente epiù uniforme18. Un esem-pio di cartiera all’avan-guardia che utilizzava taliprocessi di fabbricazio-ne, si vede nella stampapubblicata nell’Encyclo-pédie di Diderot e d’Alem -bert, in cui è rappresen-tata la manifattura realedi l’Anglée presso Mon-targis, in Francia (fig. 1),dove il molino a cilindroera stato introdotto findal 174119.Un quadro relativo allalocalizzazione e alla con-dizione delle varie cartie-re esistenti nel regno diNapoli alla fine del ‘700ci è offerto dal Galantinel la sua opera ‘Delladescrizione geografica epolitica delle Sicilie’.Que sta la situazione al -l’epoca secondo l’auto-re: in Terra di Lavoroc’era una cartiera a Torredella Nunziata, che forni-va carta da scrivere al -l’uso di Genova e diFrancia, carta da stampasenza colla e cartoni dibuona qualità; una a Pie-dimonte che producevacarta straccia e cartareale ed imperiale diqualità me diocre; una aS. Elia, nel territorio di S.Germano (l’odierna Cas-sino), ed una a Traietto(og gi Minturno), chefabbricavano carta dascrivere, reale ed impe-

2. Giacinto Pistilli,Pianta e profilo dellafabbrica di una cartieradi 26 pile nell’Isola diSora.(Archivio di Stato diNapoli, Ministerodell’interno I inventario,fascio 2251).Il progetto del Pistilli –mai realizzato –prevedeva il rinnovamentoe l’ampliamentodell’antica cartiera, sitain contrada Carnello;l’introduzione di 16 pile(oltre alle 10 giàesistenti) attivate da 4 cilindri, un magliettomesso in moto da uncilindro e la gestionediretta dell’opificio daparte dello Stato, con un impegno finanziario di 1.000 ducati. (A. Dell’Orefice,L’industria della carta nel Mezzogiorno d’Italia(1800-1870). Economiae tecnologia, Genève1979, pp. 68-71 confonti archivistiche).

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giorno in quell’epoca.Tale fabbrica, che nel1797 era stata affittata aBenedetto Lanni per 700ducati al l’anno, appar-tenne all’Ab bazia di Mon -tecassino fino all’arrivodei francesi, quando futrasferita dalle mani dei

religiosi al patrimoniodel fisco. Rimasta inatti-va nel 1805, a causa diuna terribile alluvioneche aveva danneggiato ilmacchinario costruito inlegno, la cartiera, cinqueanni dopo, fu acquistatada Pietro Lanni che neaveva presentato unprogetto di restauro, dicui però non si conoscel’esito immediato24.Il tentativo più ambizio-so del Decennio resta,quindi, quello legato al -l’iniziativa del franceseCarlo Antonio Beranger,che può considerarsi

mettevano l’espansionedel settore23. Tra i piùimportanti progetti sonoda menzionare quello delcanonico Giacinto Pistil-li, che proponeva, nel1806, l’introduzione nel-la cartiera regia dell’Isoladi Sora (l’antica fabbrica

di Carnello) di 4 cilindriall’olandese (fig. 2), e iltentativo del franceseLafontant del 1809, ri -guardante la costituzio-ne di una società per lagestione di una cartieraall’olandese da installarea Ponte della Valle, neipressi di Maddaloni, neilocali di una vecchia fer-riera inattiva.Ma tali iniziative nonfurono realizzate, cosìcome incerta fu la sortedella più antica cartieradella Valle del Liri, quel-la di S. Elia, la piùimportante del Mezzo-

riale di comune qualità;una a Sora di carta dastraccio. In provinciadell’Aquila ve n’erano 5:due nei pressi di Aquila,due a Sulmona e una aCelano, che produceva-no carta mediocre. NelMolise vi erano le cartie-re di Isernia eSepino, di cartastraccia e di catti-va qualità. In pro-vincia di Avellino,le cartiere di Atri-palda, Nu sco eTerra del Sor bo,che fabbricavanoan ch’esse cartacattiva da scrive-re e da straccio.Le principali car-tiere del regnoerano situate inprovincia di Sa -lerno, sulla co -stiera amalfitana:13 ad Amalfi, 13a Minori, 3 a Ra -vello, che produ-cevano carta dascrivere, da stam -pa e straccia; 15a Maiori di carta dastraccio. Le migliori del-la costiera erano ritenu-te le 4 di Vietri, che for-nivano carta azzurra al -l’uso di Olanda, di Fran-cia e di Genova. Infine,all’interno della provin-cia Salernitana, vi eranole 2 fabbriche di Sarno edi Oliveto, che produce-vano carta da scriverecattiva20.“Alla vigilia dell’800,dunque, il settore carta-rio [meridionale era] ca -ratterizzato dal più com-pleto immobilismo”21,in oltre per soddisfare la

sempre più crescentedomanda in terna di unprodotto insufficiente edi cattiva qualità, si eracostretti ad importarecarta dall’estero: dalloStato Pontificio, dallaToscana, dalla Francia,dall’Inghilterra e dal-

l’Olanda, per un valore an -nuo superiore ai 40.000ducati22.È con il Decennio france-se (1806-1815) che sicompiono i primi passiverso la ri presa dell’atti-vità cartaria nel Mezzo-giorno attraverso nume-rose agevolazioni gover-native, tra le quali la pro-tezione del mercato in -terno favorita dal bloccocontinentale voluto daNa poleone, e la conces-sione di lo cali demaniali –già di proprietà di mo -nasteri soppressi – a pri-vati e società che si ripro-

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(Estratto da: C. K., Macchina per far la carta senzafine, in “Il Lucifero”, II, n. 5, 13 marzo 1839, pp. 33-34 e Tav. I).

[…] Dopo che il cencio si è tritato intera-mente e lavato ne’ raffinatoi, mettesi in un

gran tino AB (Fig. 1.); elevato a qualche distanza daterra sopra un telaio HH, e vien continuamente tenu-to sospeso nell’acqua purissima per mezzo d’un agi-tatore CD, formato di due braccia di ferro fuso, cia-scuno de’ quali porta una cornice di legno. Questoagitatore riceve un movimento di rotazione da unalbero f che trapassa il tino in un cono troncato diferro fuso g destinato […] ad impedire che il liquidonon iscoli per l’apertura richiesta al passaggio dell’al-bero; serve pure a sostener quest’ultimo nella suaparte superiore.In questo tino si dà alla carta la colla che non fa esser-la sugante. La pasta glutinosa e liquida si mena pelcanale G in uno scompartimento h d’una gran cassaFE che ha la larghezza di tutta la macchina. Da questoscompartimento h il liquido pastoso dimenato da unagitatore trabocca sopra una grata metallica i largaquanto la cassa, ed i cui fori sono sì stretti da ritenerla sabbia ed altri corpi duri che offenderebbero la bel-lezza della carta. La pasta, la cui filtrazione è facilitatada un movimento ondolatorio impresso allo staccio,caduta nel grande scompartimento l è forzata da unaparete a discendere verso un secondo agitatore; quin-di risale verso una lamiera metallica m bucherata intutta la sua lunghezza, la traversa, e mantenuta sem-pre allo stesso livello, scola sopra uno sporto n, chela piega sopra una tela. Questa tela metallica assaifitta, formata di fili finissimi di ottone, ed indicata conun sol tratto nel disegno, riceve il movimento del cilin-dro r e del cilindro inferiore del primo strettoio I (fig.2 a.); essa muovesi da sinistra a destra traendo seco lapasta, si appoggia successivamente sopra cilindri dirame indicati da un cerchio nero, quindi sopra i cilin-dri o, dopo esser passata al di sotto d’un lungo bos-solo strettissimo x. Nella figura II passa dentro i due

cilindri dello strettoio I e lascia allor la carta, il cuicammino è indicato chiaramente da un tratto. La teladunque ritorna sola da dritta a sinistra, passando al disotto della macchina (vedi zzz ) appoggiandosi su icilindri s, arriva di nuovo sopra r, ricomincia inces-santemente lo stesso cammino, portando sempremateriali novelli. La pasta si separa durante il suo tra-gitto fino allo strettojo I (fig. 2 a.), d’una gran parte del-l’acqua che contiene e che la finezza della tela lasciadiscorrere. Siffatto sgocciolamento è facilitato da untremore continuo impresso al quadro che porta i pic-coli cilindri sui quali appoggiansi la tela e la carta; pertal ragione i piedi tt di esso quadro son costrutti nellaparte inferiore in guisa che possano inclinarsi sul loroasse […]. La cassa piatta uu sostenuta dai piedi vvraccoglie l’acqua della pasta sgocciolata. Nella cassax larga quanto tutta la tela un apparecchio estraneoalla macchina mantiene sempre il vòto; la specie disucchiamento che ne risulta applica fortemente lacarta contro la tela e fa precipitare una gran parte del-l’acqua che ancor conteneva. Due coregge, (di cui unasola p, muovendosi sopra i cilindri g, è apparente[…]), trovandosi dai due lati della macchina sonoapplicate contro la tela metallica di cui seguono ilmovimento determinando la larghezza della cartanello spazio fra loro compreso; un truogolo q pieno diacqua serve a nettarle. Come la larghezza della cartanon è sempre la stessa, così bisogna poter variare ladistanza delle due coregge. A tale scopo, tutt’i cilindriy che sostengono la coreggia sono fissati sopra unsolo pezzo di ottone o; due stanche di ferro indicatenella figura da piccoli quadrati, uniscono questo pezzoo ad un altro del tutto simile ch’è dall’altro canto dellamacchina; facendo scorrere sopra le stanghe fisse idue pezzi o si può ravvicinarle più o meno secondo lalarghezza della carta.Fig. II. Continuazione della macchina. La carta dopoaver ricevuto una poco forte pressione fra i due cilin-dri di rame I abbandona […] la tela metallica ed è giàassai forte per far sola il rimanente tragitto, (la cartaè sempre indicata da una linea). È ricevuta sopra un

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feltro più largo di essa, la cui spessezza è additata dadue tratti paralleli; tal feltro poggiando sopra i cilindridi legno 1, conduce successivamente la carta fra idue strettoi K ed L formati ciascuno da due cilindri diferro fuso; si può ad arbitrio rendere più o menoenergica la pressione per mezzo delle viti compressi-ve 6 e 5; nel secondo strettoio più vigoroso delprimo, la carta non tocca il cilindro superiore, un al -tro feltro x avvolgesi su questo cilindro egualmenteche sovra un altro collocato all’altezza di 8 o 9 piedisopra un leggiero telajo di ferro la cui altezza non si èpotuta indicar nella figura; ma facile è concepirne ladisposizione. Il primo feltro dopo il secondo strettojoritorna sopra se stesso mercé numerosi rivolgimentidestinati a disseccarlo, si appoggia di seguito sopratutt’i cilindri 2 e rifà sempre lo stesso cammino.Questo feltro essendo assai largo, benché ben tesopotrebbe piegarsi e perder di larghezza, per ovviare atale inconveniente è circoscritto da un orlo di cuoio,entra poscia tra due piccole girelle che lo ritengonofortemente e che noi non abbiamo indicate per tema disparger troppa confusione nel disegno. La cartauscendo dello stettoio (sic) L si appoggia sopra i pic-coli cilindri 3, avvolgesi quindi sopra i tre grandi cilin-

dri M destinati ad asciugarla, poi sul piccolo 4, e inna-spa finalmente sull’arcolaio N. I tre grandi cilindri sonfusi, vacui, e girano per rimbalzo della forza motrice;ed un tubo pieno sempre di vapore riscaldali in guisache la carta è rapidamente asciugata. Questo asciuga-tojo ha degl’inconvenienti, lasciando piegar la carta; sen’è perciò adesso sostituito un altro.La figura III mostra l’asciugatojo novello. – La cartaarriva in A ed appoggiata sopra tutt’i piccoli cilindri dirame g, avvolge sopra un primo gran cilindro 8,riscaldato come si è detto; sul secondo cilindro 8 èfortemente compressa da un cilindro fuso c, passa diseguito al terzo 8, poi al quarto dove riceve una pres-sione novella, ed esce infine in p. Ma non fa essa solatal tragitto essendo mantenuta da diversi feltri bentesi che non fan piegarla […]. L’arcolajo su cui siavvolge la carta è doppio, ed allorché uno è troppocarico di carta, per via d’un giuoco d’altalena sì fa sìche l’arcolajo voto al pieno sottentri. Levasi la cartadall’arcolajo dividendosi, si porta sopra una tavoladove il primo mucchio è suddiviso secondo la gran-dezza ch’essa deve ricevere; sottomettesi allora allacompressione idraulica e passa tra le mani di chideve sceglierla e piegarla […]”.

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giustamente il pioniere el’animatore della moder-na industria cartaria me -ridionale. Egli, con de -creto 6 luglio 1812, ebbein concessione dal Go -verno Napoletano il sop-presso convento dei Car-melitani di S. Maria delleForme ad Isola del Liri,per installarvi una cartie-ra all’olandese – la primanel Mezzogiorno – chesfruttava l’acqua di uncanale derivato dal Fibre-no, affluente di sinistradel Liri.Nel 1818 il Beranger for-mò una società per azio-ni con altri oriundi fran-cesi, e precisamente Pie-tro Coste di Lione, CarloLefebvre di Pontarlier eAugusto Viollier, deter-minando l’investimentodi un notevole capitale:25.000 ducati.Morto il Beranger nel 1822,i soci, incapaci di conti-nuare la gestione dell’in-dustria, cedettero suc-cessivamente le loroazioni al Lefebvre, che inbreve fece prosperarel’attività cartaria, venen-do così ad occupare unposto di primaria impor-tanza nella storia dellacarta del Mezzogiorno25.Il momento era partico-larmente favorevole, inquanto dopo la grave cri-si del primo decenniodella Restaurazione, ilGoverno Borbonico perfavorire gli imprenditorie promuovere la nascitae lo sviluppo dell’indu-stria meridionale, appro-vò una serie di leggi, tracui quella che elevava ildazio sulla importazione

N O T E1. A. DELL’OREFICE, L’industria della carta nel Mezzogiorno d’Italia (1800-1870). Economiae tecnologia, Genève 1979, p. 60. Sulle origini della fabbricazione della carta e sulla sua dif-fusione in Europa e in Italia, cfr. Ivi, pp. 3-25 e l’appendice bibliografica.2. M. VOCINO, Primati del Regno di Napoli. Attività meridionali prima dell’unità d’Italia, Na -poli 1959, p. 108.3. N. MILANO, Della fabbricazione della carta in Amalfi, Amalfi 1965, prefazione.4. Le Pergamene degli Archivi Vescovili di Amalfi e Ravello, vol. IV, a cura di L. PESCATO-RE, Napoli 1979, pp. 24 sgg., n. VI.5. G. GARGANO, La protoindustria nella Costa di Amalfi, in “Rassegna del Centro di Culturae Storia Amalfitana”, n.s., nn. 15-16 (dicembre 1998), p. 263.6. M. CAMERA, Memorie storico-diplomatiche dell’antica città e ducato di Amalfi, vol. II,Salerno 1881, p. 707.7. A. DAL PIAZ, Note sulle antiche cartiere della Costiera Amalfitana, in Manifatture inCampania. Dalla produzione artigiana alla grande industria, Napoli 1983, p. 56 (conbibliografia).8. F. ASSANTE, La ricchezza di Amalfi nel Settecento, Napoli 1967, p. 27; A. APUZZO, Saggiosulle origini e la tradizione del fabbricar carta in Amalfi, Amalfi 1960, p. 2. Sulla storia e sulletecniche di fabbricazione della carta a mano di Amalfi e della costiera omonima, cfr., inoltre,F. ASSANTE, Le cartiere amalfitane: una riconversione industriale mancata, in Fatti e idee distoria economica nei secoli XII-XX. Studi dedicati a Franco Borlandi, Bologna 1977, pp. 743-762; A. DELL’OREFICE, Per la storia dell’industria cartaria nella Costiera amalfitana, in Guidaalla storia di Salerno e della sua provincia, a cura di A. LEONE e G. VITOLO, Salerno 1982,pp. 587-593; G. IMPERATO, Amalfi, il primato della carta, Salerno 1984; G. GARGANO, Latopografia di Amalfi nel secolo XVIII, in La Costa di Amalfi nel secolo XVIII, a cura di F.ASSANTE, Incontro promosso dal Centro di Cultura e Storia Amalfitana (Amalfi, 6-8 dicem-bre 1985), Amalfi 1988, pp. 1065-1090, in particolare pp. 1076-1079; R. SABBATINI, Car -tiere della costiera amalfitana tra Sei e Settecento: alcune osservazioni, in La Costa di Amalfi,cit., pp. 551-572; A. TAJANI, Sulle orme della carta, Salerno 1996; G. GARGANO, La proto -in dustria nella Costa di Amalfi, cit., pp. 253-270, in particolare pp. 262-266; R. GAMBAR-DELLA, G. TORRE, La carta e la Costa d’Amalfi. Origine, diffusione, tecniche e strutture: unprofilo storico, in Le arti dell’acqua e del fuoco. Le attività produttive protoindustriali dellaCosta di Amalfi, Amalfi 2004, pp. 103-143; G.E. RUBINO, Le Cartiere di Amalfi. Profili. Pae -saggi protoindustriali del Mediterraneo, Napoli 2006.9. M. VOCINO, Primati del Regno, cit., p. 109.10. U. SPERANZA, Notizie storiche sulle cartiere di Vetoio e di Tempera, in “Bullettino dellaDeputazione Abruzzese di Storia Patria”, LXIV, 1974, pp. 429-490; ID., Notizie storiche sullecartiere di Sulmona e di Celano, in “Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria”,LXV, 1975, pp. 311-349.11. L. BIANCHINI, Della storia delle finanze del regno di Napoli, Napoli 1859, pp. 379-380.12. A.F. GASPARINETTI, La Cartiera di Montecassino a S. Elia Fiumerapido, Milano 1956, inparticolare pp. 15-20. Su tale cartiera si veda inoltre E. CURRÀ, La Cartiera di Sant’EliaFiumerapido dai maestri fabrianesi alla industrializzazione del XIX secolo, in Vie d’acqua elavoro dell’uomo nella provincia di Frosinone. L’industria della carta, a cura di E. CURRÀ,Roma 2010, pp. 31-49.13. Sulla cartiera di Carnello cfr. Isola del Liri, monografia redatta e ordinata dall’ing. O.EMERY, Isola del Liri anno XIII E.F. [1935], p. 39; A. DELL’OREFICE, L’industria della cartanel Mezzogiorno d’Italia, cit., p. 62 (con bibliografia); G. EMERY, L’isola della carta, in “Il car-taio”, n. 6 (1979), p. 19. Questi tre autori però non danno per certa la fondazione da partedel Petrucci di tale opificio, attribuendone invece la costruzione ai Boncompagni. Si vedano,inoltre, M. RIZZELLO, Per una storia politico-istituzionale di Isola del Liri, in M. RIZZELLO,D. CAMPAGNA, L’Archivio Comunale Storico di Isola del Liri, Sora 1988, pp. 26-29 e 32; A.VISCOGLIOSI, I Boncompagni e l’Industria (1580-1796), in Trasformazioni industriali nellaMedia Valle del Liri in età moderna e contemporanea, Atti del ciclo di conferenze tenute inSora, I.T.C. “C. Baronio” (novembre 1984-aprile 1985), a cura del Rotaract Club di Fro si -none, Isola del Liri 1988, pp. 15-19 e 32-33; M. RIZZELLO, Carnello e la via del Fibreno.Storia di una comunità, Casamari 1990, pp. 131-138; F. MARIANI, Le vicende della cartieradi Carnello a Sora nel XVI secolo, Isola del Liri 1996; G. BAFFIONI, P. BONCOMPAGNI LUDO-VISI, Jacopo Boncompagni (1548-1612), Isola del Liri 1997, p. 50; I. SALVAGNI, CartieraDe Caria a Carnello (già Cartiera Boncompagni e Lanificio Zino), in L’archeologia industria-le nel Lazio. Storia e recupero, a cura di M. NATOLI, Roma 1999, pp. 216-219, in particola-re p. 216.14. A. DELL’OREFICE, L’industria della carta nel Mezzogiorno d’Italia, cit., pp. 62-63; M. DEAUGUSTINIS, Della valle del Liri e delle sue industrie, in Agli scienziati d’Italia del VIICongresso. Dono dell’Accademia Pontaniana, Napoli 1845, pp. 73-79, in particolare p. 74.15. Sulle tecniche di fabbricazione sopra descritte si veda, in particolar modo, A. DELL’ORE-FICE, L’industria della carta nel Mezzogiorno d’Italia, cit., pp. 63 e 25-42. Cfr., inoltre, J.

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lata, e al minor costodella manodopera più abuon mercato rispetto aquella della Valle del Liri,dove si rese necessario ilricorso a maestranzespecializzate, anche stra-niere. Ma la crisi non sifece attendere per ilcomparto cartario dellacostiera. La di minu -zione, nel 1844, dellecommesse statali e lariforma doganale del ’46,che sancì la riduzione deldazio all’importazionedella carta, portarono alfallimento molte cartierea mano. Diverse furonole richieste indirizzate algoverno per sollecitareun intervento tempesti-vo a favore del nucleoamalfitano. A seguito diun’ispezione compiutaper conto del Ministerodi Agricoltura, Industriae Commercio, l’architet-to Nicola Laurenzanapresentò un progettoche prevedeva una razio-nalizzazione globale del-la produzione, attraversouna fusione dei vari sta-bilimenti in un’unicasocietà. In questo modoognuno di essi si sareb-be potuto specializzarein una sola fase del nuo-vo processo produttivo,determinando un più

della carta e sulla espor-tazione degli stracci, aquel tempo unica mate-ria prima nel settore del-la produzione cartaria26.Intanto il Lefebvre, nel1826, acquistò dallo Sta-to gli edifici e i diritti d’ac-qua dell’antica cartiera diCarnello, che in brevedivenne l’importante suc-cursale dell’opificio diIsola. Originariamente inqueste due cartiere lacarta veniva fabbricata “amano”, e quando la mac - china continua da carta27

(v. appendice) ven ne arivoluzionare l’industriacartaria, il Le febvre mec-canizzò le sue fabbriche,valendosi an che della for-za motrice del Fibreno.Intravedendo la possibili-tà di aumentare i propriguadagni, egli introdus-se, nel 1827, nella suacartiera in Carnello la pri-ma “continua”, che glicostò una ragguardevo-le somma, nonostantel’esen zione dal dazio cheil governo gli accordò28.L’impresa del Lefebvreed i lauti guadagni cheegli ne ebbe a trarre,determinarono l’emula-zione di altri imprendito-ri, alcuni dei quali riunitiin società, sicché le car-tiere iniziarono a sorgere

numerose nel territoriodella Valle del Liri, spes-so con infelici trasfor-mazioni di edifici già esi-stenti29.Ma se nella Valle del Liril’introduzione della mac-china continua e il suc-cessivo impiego di nuo-ve materie prime – suc-cedanee degli stracci30 –sconvolsero i tradiziona-li processi di fabbrica-zione, determinando ilpassaggio da una strut-tura di tipo artigianale aquella di fabbrica – inconcomitanza con la piùgenerale rivoluzione in -dustriale europea – lecartiere amalfitane –intorno agli anni Trentadell’800 – si manteneva-no ancora legate all’anti-ca lavorazione a mano (aforma), sicché il loroprodotto non era piùcompetitivo nei confron-ti di quello lirino ottenu-to col sistema meccani-co. E se queste cartierenon erano ancora fallite,ciò era dovuto al presti-gio che gli amalfitaniconservavano nel com-mercio della carta e deglistracci con la Calabria ela Sicilia, ai numerosicontratti di appalto sti-pulati con il governo perla fornitura di carta bol-

razionale sfruttamentodelle risorse disponibili epermettendo ai cartaiamalfitani di fronteggia-re la concorrenza dellemi gliori cartiere. Ma ilprogetto del Laurenzanari mase sulla carta, sic-ché le cartiere dellacostiera furono costrettead ab ban do na re la pro-duzione di carta da scri-vere e da stampa per ri -piegare su prodotti piùordinari – il cartone e lacarta da imballaggio –facilmente collocabili sulmercato siciliano, con ilquale la regione amalfi-tana manteneva da sem-pre frequenti rapporticom merciali31.Dopo l’Unità, mentrel’industria cartaria dellaValle del Liri continuò aprosperare, raggiungen-do così un primato dav-vero prestigioso a talpunto da competere conle maggiori industrie na -zionali ed europee, “ladecadenza delle mani-fatture di car ta della Co -stiera Amal fitana as -sunse ritmi ac celerati,che portarono rapida-mente alla pratica scom-parsa di un compartoproduttivo tanto arretra-to, anche se di così anti-co prestigio”32.

3. Amalfi – Valle dei Mulini, Museo dellaCarta.(Prop. orig. All PhotoVuolo, Ravello).A sinistra, in primopiano, il “tino” e, in fondo, i magli perpestare gli stracci; a destra, la pressasettecentesca.

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OVERTON, Nota sui progressi tecnici nella fabbricazione della carta prima del diciannovesi-mo secolo, in Storia della tecnologia, a cura di C. SINGER, E.J. HOLMYARD, A.R. HALL, T.I.WILLIAMS, vol. 3, Torino 1968, pp. 419-424.16. A. MARTINI, Biografia di una classe operaia. I cartai della Valle del Liri (1824-1954),Roma 1984, p. 43.17. A. DELL’OREFICE, L’industria della carta nel Mezzogiorno d’Italia, cit., pp. 63 e 66.18. Ivi, pp. 66 e 30-34.19. Ivi, p. 32, nota 75 (con bibliografia).20. G.M. GALANTI, Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, a cura di F. ASSANTEe D. DEMARCO, Napoli 1969, vol. II, pp. 173-174.21. A. DELL’OREFICE, L’industria della carta nel Mezzogiorno d’Italia, cit., p. 64.22. G. UNGARO, Prospetto economico-politico-legale del Regno di Napoli, Napoli 1807, pp.213-214.23. Sull’importanza assunta dal Decennio francese nell’opera di sviluppo dell’industrializza-zione nel Mezzogiorno, si veda S. DE MAJO, Manifatture, industria e protezionismo statalenel Decennio, in Studi sul regno di Napoli nel Decennio francese (1806-1815), a cura di A.LEPRE, Napoli 1985, pp. 13-58, saggio in seguito riproposto anche in ID., L’industria pro-tetta. Lanifici e cotonifici in Campania nell’Ottocento, Napoli 1989, pp. 9-56.24. A. DELL’OREFICE, L’industria della carta nel Mezzogiorno d’Italia, cit., pp. 68-77.25. Sulla cartiera del Fibreno e sull’opera del Beranger e del Lefebvre, si veda S.M. MANCI-NI, Il caso della “Fibreno” ad Isola del Liri: da convento a fabbrica a complesso da salva-guardare, in “Bollettino” dell’Associazione per l’Archeologia Industriale – CentroDocumentazione e Ricerca per il Mezzogiorno, nn. 10-12 (ott. 1984-giu. 1985), pp. 7-18, inparticolare pp. 8-9 e 11; I. SALVAGNI, Cartiera del Fibreno (Palazzo di Balsorano, Cortile del-l’orologio e stabili industriali - Cartotecnica CISA - Cartiera Lefebvre), in L’archeologia indu-striale, cit., pp. 180-191; E. LEGGIERI, La Cartiera del Fibreno e l’industrializzazione nellaproduzione della carta, in Vie d’acqua e lavoro dell’uomo, cit., pp. 51-63.26. V. PINELLI, I Lefebvre, Isola del Liri 1980 (Quaderni di ricerche su Isola del Liri, 1), p. 4.27. Macchina inventata nel 1779 dal francese Nicolas-Louis Robert e perfezionata in segui-to dal costruttore inglese Bryan Donkin, capace di trasformare direttamente la pasta in carta,con una successione di operazioni meccaniche connesse ed ininterrotte (cfr. Isola del Liri,cit., p. 39; A. MARTINI, Biografia di una classe operaia, cit., p. 41). Una dettagliata descri-zione di un esempio di macchina continua in uso nel 1839, si trova nello studio di C. K.,Macchina per far la carta senza fine, in “Il Lucifero”, II, n. 5, 13 marzo 1839, pp. 33-34 e Tav.I, che viene riprodotto in appendice. Sulle origini della “continua” e sul suo funzionamento,si veda anche A. DELL’OREFICE, L’industria della carta nel Mezzogiorno d’Italia, cit., pp. 47-54 e la relativa bibliografia citata dall’Autrice.28. S.M. MANCINI, Il caso della “Fibreno” ad Isola del Liri, cit., p. 12; E. CATALANO, Dellafabbricazione della carta ne’ reali domini di qua del faro, in “Annali civili del Regno delle DueSicilie”, 1833, vol. II, fasc. III, p. 88.29. Isola del Liri, cit., p. 40. Sulla nascita e l’espansione dell’industria cartaria della Valle delLiri nel XIX secolo si veda, in generale, A. DELL’OREFICE, L’industria della carta nella Valledel Liri durante il XIX secolo: dallo sviluppo alla crisi, in Trasformazioni industriali nella Me -dia Valle del Liri in età moderna e contemporanea, cit., pp. 117-130. Si veda inoltre C. PAO-LINI, La ‘Valle delle industrie’: le cartiere della Media Valle del Liri nel XIX secolo, in Vie d’ac-qua e lavoro dell’uomo, cit., pp. 13-29.30. Sull’impiego di materie prime in sostituzione degli stracci nella fabbricazione della cartasi veda, in particolare, A. DELL’OREFICE, L’industria della carta nel Mezzogiorno d’Italia, cit.,pp. 56-59 e 117-120.31. Sulla crisi delle cartiere amalfitane nel XIX secolo cfr. Ivi, pp. 95 e 108-114; ID., Per lastoria dell’industria cartaria nella Costiera amalfitana, cit., pp. 590-591. Si veda inoltre il giàci tato saggio di A. DAL PIAZ, Note sulle antiche cartiere della Costiera Amalfitana, cit., pp.51-67, in particolare pp. 60 e 62-63, che fa riferimento al più ampio studio della Assante (cfr.F. ASSANTE, Le cartiere amalfitane, cit.).32. A. DAL PIAZ, Note sulle antiche cartiere, cit., p. 63. Sulla situazione delle cartiere lirinedopo l’Unità si veda, in particolar modo, A. DELL’OREFICE, L’industria della carta nel Mez -zogiorno d’Italia, cit., pp. 148-150 e 156-158. 33. E. GUIDA, Tipologia e morfologia edilizia della fabbrica tra paleoindustria e rivoluzioneindustriale, in Manifatture in Campania, cit., p. 47.34. Allo stato attuale nella Valle del Liri il procedimento di fabbricazione a mano della cartaè ormai scomparso, mentre ad Amalfi sopravvive ancora una cartiera appartenente al nucleopiù antico, con una produzione molto limitata e, naturalmente, con processi di lavorazionemeccanizzati. Un’altra poi è adibita a Museo della Carta (fig. 3), dove sono state riprodottele più note e tradizionali attrezzature produttive (cfr. Amalfi. Una Fondazione per un Museodella Carta, in “il coltello di Delfo”, n. 1, pp. 52-53. Sulle tecniche moderne di fabbricazionea mano della carta si veda U. TISI, E. CARMENATI, E. TODISCO, Conoscere la carta, Roma1978, pp. 13-22; L’arte della carta a Fabriano, Fabriano 1985, pp. 79-84).

Al declino dell’attività ma - nifatturiera amalfitanacontribuì l’incapacità disostenere la sempre piùcrescente richiesta dimercato, a cui una strut-tura di tipo artigianalenon era in condizione difronteggiare per la suabassa produttività e perl’alto costo del prodotto.Concorse, inoltre, la to -tale assenza di un siste-ma economico program-mato e l’inerzia ma ni -festata dalla maggiorparte dei fabbricanti adaprirsi alle innovazionitecnologiche, oltre allenumerose difficoltà og -gettive derivanti dallaubicazione stessa dellecartiere. La loro disloca-zione, infatti, lungo lependici inaccessibili del-la costa, rendeva proble-matico lo sfruttamentodelle risorse idriche ecausava enormi proble-mi per il trasporto dellamateria prima e del pro-dotto finito33.Ormai in quasi tutto ilMezzogiorno, come nelresto d’Italia, la lavora-zione della carta a manoattraversava una crisiprofonda ed era statacompletamente soppian-tata dal più complesso eredditizio procedimentodi fabbricazione a mac-china34.

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1. inserimentodell’edificio nel quartiereEUR.

L ’ A R C H I T E T T U R A E L A S T O R I A

ambiguità. Questo per-corso ha nei suoi intentiquello di sottrarre allafigura dell’architetto mo -de nese almeno una partedi quella bizantina ierati-cità che un’altalenante

fortuna critica, ormaigiunta in età matura, hacontribuito a conferirgliper evidenziare quei ca -ratteri che invece lo ren-dono “architetto del suotempo”.

Quattro architetti per laprogettazione della nuo-va sede della Democra-zia Cristiana«All’epoca lui costituivala pietra dello scandalo.

estrarre un parziale spac - cato della scena ar chi -tettonica romana de glianni Cinquanta del seco-lo pas sato, consideratain stretto rapporto conquanto Muratori andava

ma turando nella suaespe rienza teorico-com-positiva. Si ritiene inoltredi poter rinvenire nellarealizzazione di que stoedificio un mo mento uni-co (L. Pavan parla a pro-posito di un hapax1) dilucida e drammatica sin-tesi della visione architet-tonica muratoriana, ma -ni festata in tutta la suacomplessità e caricata diuna notevole dose di

l concorso per lasede della DC all’EURMuratori, Libera, De Ren -zi e Passarelli sono gliarchitetti protagonisti delconcorso di cui questoscritto vuole trattare,

quattro proget tisti che siconfrontarono sulla pro-gettazione della sede del-la Democrazia Cristianaall’EUR. Lo si farà privile-giando nell’accuratezzadella trattazione il testa atesta Libera-Muratori, cer - cando an che di annullareo co mun que di ac cor -ciare una certa “di stanzacritica” che sarebbe nor-male rispettare nell’anali-si di eventi come questi,ac ca duti quasi sessan-t’anni fa. Si prenderàdunque il concorso per ilPalazzo “Sturzo” comein teressa(n)tissimo pre-testo per allargare lemaglie del discorso ed

Idi Massimo Dicecca

SAVERIO MURATORI:IL CONCORSO PER IL PALAZZO DELLASEDE DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA

AFFINITÀ E DIVERGENZETRA LA STORIA OPERANTE

E LA STORIA DEI FATTI

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a rappresentare. Fan faniera un volto oltremodonoto alla scena architet-tonica italiana, non soloper la sua carriera politi-ca, ma anche per averincarnato il principalepro motore della stagioneINA Casa, non a casopassata alla storia anchecol nome “Piano Fanfa-ni”. Allora, il segreta riodel la DC aveva delegatoFoschini alla gestione te -cnica del Piano: lo chia-mò nuovamente, nei pri-mi mesi del 1956, a for-mare la giuria insieme aMarcello Piacentini, inrap presentanza dell’EnteEUR (e non solo). Quat-

rico in cui operava, an -nullando l’ossessivo is o -lamento che gli si è attri-buito, provando a con-frontare il suo modusope randi con quello dialtri colleghi coevi: qualemiglior strumento perorientarsi in questa ricer-ca che un concorso diarchitettura?Veniamo dunque alle vi -cende: l’allora segretariodel partito più influentedella scena politica italia-na, Amintore Fanfani,decise di do tare il partitodi una sede adeguata cherispecchiasse lo strapo-tere politico e culturaledell’istituzione chiamata

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fronti della figura di Mu -ratori, possiamo provarea immagina re quali fos-sero gli interessi, le pas-sioni e le dispute che ilconcorso per la nuovasede della Democrazia Cri -stiana accese e sviluppò.Muratori vinse con unprogetto che ha cono-sciuto una fortuna criticaspietata: bersagliato conle armi dell’ideologia, del-la politica, del linguaggioarchitettonico, l’edificiogiunge con le ossa (ce -mentizie) rotte al nuovosecolo, durante il qualenuovi studi hanno cerca-to di mettere da parteposizioni pregiudiziali afavore di una lettura piùoggettiva del palazzo.3 Undato limitante resta co -munque costante: l’operadi Muratori è sempre sta-ta analizzata avendo co -me confronto se stessa oalcuni dichiarati riferi-menti architettonici e cul-turali. Spesso il palazzodella DC viene accostatoalla sede ENPAS a Bolo-gna o ad altri edifici chel’architetto progettò inquel periodo, gene randoun autoreferenziale circo-lo vizioso che precludepiù interessanti appro-fondimenti; questi posso-no scaturire calando l’ar -chitet to nel contesto sto-

Ri cordo di aver parteci-pato ad una riunione allaXV ripartizione del Co -mune, nell’edificio pro-gettato da Vagnetti al -l’EUR, in una sala che siaffacciava sulla piazzaDon Sturzo, di fronte alpalaz zo della DC. Eranopresenti Cesare Ligini eUgo Luccichenti, i qualichiesero di chiudere letende per evitare la vistadi quell’edi ficio, che rap-presentava ai loro occhiuno scandalo mostruo-so».2 Da queste paroletratte da un’intervista adAlessandro Giannini cheben descrivono una certaintransigenza nei con-

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tro i concorrenti invitati apartecipare al concorso:Mario De Renzi, SaverioMuratori, Adalberto Libe-ra e lo studio Passarelli.Le loro vite professionalifino a quel momento sierano, come è noto, ripe-tutamente intrecciate; inoccasione del concorsoqueste diverse personali-tà si trovarono tutte insie-me, in giuria e come con-correnti, a confrontarsisu temi ricorrenti e com-plessi come quelli del“palazzo” e del “monu-mentale”, e in partico laredel palazzo romano, in uncontesto fortemente ca -ratterizzato come l’EUR(su cui alcuni di loro ave-vano già lasciato il se -gno), in un clima cultura-le in fase di assestamen-to dopo le significativeesperienze dell’immedia-to dopoguerra. L’areadestinata è un rettango lodi 70x35 metri con i laticorti su viale dell’Urbani-stica e viale dell’Astrono-mia, un lato lungo checonclude una serie dipalazzine e l’altro su unapiazza direttamente inasse con piazza Marconi,già piazza Imperiale del-l’E42, progettata circavent’anni prima pro prioda Muratori con Fariello eQuaroni (fig.1). Una lette-

2. progetto dello studioPassarelli, prospettiva.3. progetto dello studioPassarelli, vista dell’“atrio carrozzabile”.4. progetto dello studioPassarelli, pianta pianoprimo.5. progetto di de Renzi,prospettiva.6. progetto di de Renzi,vista dell’ atrio e degliingressi.7. progetto di de Renzi,pianta piano terzo con la sala centrale.8. progetto di Muratori,prima soluzione.9. progetto di Libera,prima soluzione.10. progetto di Muratori,la serie di varianti allaprima soluzione11. progetto di Libera,schizzo preliminare emodello.12. progetti di Muratorie Libera, sezionilongitudinali aconfronto.13. progetti di Muratorie Libera, piante dei pianiterra a confronto.14. progetti di Muratorie Libera, piante del“piano nobile” e del“piano ammezzato” aconfronto.15. progetti di Muratorie Libera, piante delpiano tipo a confronto.

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dal sapore modernista,corretto e ben risolto, pri-vo purtroppo di qualsivo-glia spunto degno di nota(figg. 2-4).De Renzi consegna allagiuria un progetto senzadubbio interessante, lecui potenzialità sono age-volmente riscontrabili nel -la complessa sezione tra -sversale. Questa è carat-terizzata infatti da unasala centrale per le riu-nioni, che si estende nelcuore dell’edificio conuna dop pia altezza com-prendente il primo e ilsecondo piano; la grandesala è circondata da unparticolare anello distri-butivo che la contiene eche rappresenta in pro-spetto l’unico elementoag gettante di rottura ri -spetto alla pacata scan-sione del passo struttura-le; lungo tutta la fasciapiù interna di questoanello di forma presso-ché ottagonale ci sonoaffacci che danno diretta-mente nella sala, contri-buendo a definire una me -tafora politico-co strut tivasostanzialmente incen-trata su una dimensione“partecipata” tutta inter-na al partito, i cui effettisono in parte restituitiall’esterno dal volumesporgente. La fascia cen-

ra di Fanfani del 4 Feb-braio 1957 comunicò aiprogettisti invitati i vinci -tori a pari merito del con-corso, Libera e Muratori.Analizziamo i progettipar tendo dai due esclusi,lo studio Passarelli e DeRenzi.

I progetti dello studio Pas sarelli e De RenziLo studio Passarelli e DeRenzi non producono inoccasione di questo con-corso un progetto parti-colarmente memorabile,per loro stessa ammis-sione.Lo Studio Passarelli pro-pone una stereometricastecca a corpo di fabbricatriplo riservata agli ufficie alle funzioni annesse,che si erge con timidoslancio su un volume cheoccupa l’intera area diprogetto. Il piano terracontiene gli ingressi di -versamente dislocati e lefunzioni speciali che sisnodano attorno ad un“atrio carrozzabile” im -perniato su una sculturache trapassa il piano pri-mo e costituisce l’unicoepisodio “sceno grafico”che il progetto si conce-de. Per il resto, struttura,distribuzione interna efacciata libera e seriale cirestituiscono un edificio

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della giuria incontrando igusti e gli orientamentiarchitettonici di chi nefaceva parte, ma al con-tempo non risulta difficilefigurarsi che i due abbia-no avuto più di qualcheesitazione a subordinareun progetto come quellodi Libera al suo direttoconcorrente. Una que-stione di coscienza pulita,insomma. Fu così che persuperare lo stallo causatoda questa scomo da epo-chè, ai vincitori ex aequovenne proposto di colla-borare per la redazione diun unico progetto: unintento tanto nobilequan to vel leitario. Se c’e -ra un tratto che accomu-nava le personalità deidue, questo comprende-va sicuramente la tena-cia, l’ostinazione e la ri -solutezza nel perseguire ipropri scopi. Troppi era-no i trascorsi tra Libera eMuratori che ne avrebbe-ro precluso qualsivogliaavvicinamento, troppe ledifferenze sul modo diintendere l’architettura ela maniera con cui inse-gnarla. Caratteri difficil-mente scalfibili, ce loconfermano le loro bio-grafie. Entrambi inviaro-no la stessa scontata ri -sposta negativa alla solle-citazione della giuria, e si

trale del corpo di fabbricaè riservata ai locali acces-sori e ai collegamenti ver-ticali, di cui uno, quelloche porta al grande am -biente centrale, animal’atrio di ingresso desti-nato alle autorità e ai diri-genti; lungo tutto il pe -rimetro, gli uffici. Il bloc-co tripartito degli uf ficiaggetta leggermente ri -spetto al piano terra ed ècoronato dal tipico cap-pello “volante” di coper-tura che De Renzi solevaspesso utilizzare. Tale co -pertura è bucata al cen-tro, ad illuminare unasorta di chiostrina che ilterzo e il quarto pianocon dividono, e il cui pia-no di calpestio coincidecol solaio della sala cen-trale (figg. 5-7).

I progetti di Libera e Mu ra toriAdalberto Libera e Save-rio Muratori si equivalse-ro nella prima fase diconcorso. C’è da immagi-narsi Foschini, Piacentinie il loro imbaraz zo nel-l’astenersi dal voler de -cretare quale dei due pro-getti fosse il più merite-vole di essere realizzato.Possiamo ragionevol-mente pensare che il pro-getto di Muratori soddi-sfacesse le aspettative

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passò così al secondogrado di concorso.I progetti che fino a quelpunto erano pervenutirap presentavano due mo - di di rielaborare il temadel palazzo del po teremolto interessanti. Mura-tori aveva presentato unasoluzione (fig. 8) cheavrebbe costituito la basesu cui lavorare per lenumerose varianti cheseguirono, sfortunata-mente privata dell’intui-zione forse più incisivache la caratterizzava: ilblocco degli uffici si libra-va dallo stilobate basa-mentale con notevoleslancio grazie ad un siste-ma strutturale di ottocoppie di mensole in ce -mento armato, che sirastremavano su un nu -cleo centrale rettangolare.Questa soluzione era sta-ta dettata dall’intento diconferire all’edificio unamonumentalità che do -vesse scaturire principal-mente dall’uso plastico epoderoso del materialecostituente la strutturaportante, il cemento ar -mato. Quel lo della proget-tazione del palazzo per laDC era un concorso per ilquale Muratori sintetizzòtutte le ricerche teorico-architettoniche che finoad allora aveva condotto:

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i temi dell’ambientamen-to, della storia operante edel monumentale guida-rono la pro get ta zione,dettarono le scelte piùqualificanti. Nella relazio-ne di progetto, Muratoriscriveva chia ramente:«… chi in tende a Romacostruire un edificio rap-presentativo im portante,deve fare i conti, se nonvuole passare per stupi-do, con l’ambiente classi-co di Ro ma». E così fu:convergono nel progetto inumerosi studi sull’orga-nismo architettonico, sul-le sue intrinseche leggiche ne originano la formae la mu tano col tempo, letrasformazioni del tipobase che aggregandosi inun processo di namicovanno a costituire realtàpiù complesse e unitarie.Alcune impostazioni ge -nerali e prioritarie nonven nero mai cambiate daMu ratori: l’u nità e la riso-lutezza dell’impianto acor te centrale de sun to daltipo del palazzo ro ma no,con due assi di simmetriae un corretto proporzio-namento di parti tra loromodulari. Riscontrabilesin da questa fase laripartizione dell’edificio inun sistema quadripartito:lo stilobate, con la funzio-ne di ag ganciare salda -

mente al suolo il palazzo econferirgli urbanità e soli-dità nella par te inferiore, ilparziale svuotamento delpiano terra, il blocco uni-tario e marcatamente ge -rarchizzato coronato dauna copertura a falde.Il progetto di Libera risa-lente alla prima fase (fig.9) (che sostanzialmentesi mantenne sempreuguale) si inserisce nelfilone di ri cerca tipologi-co, strutturale e tecnolo-gico che l’architetto an -dava maturando nellaseconda metà degli anniCinquanta; sono infattichiare le analogie traalcune soluzioni, pensateper il palazzo della DC, e iprogetti per il palazzo del-la Regione a Trento ol’edificio in via Torino aRoma. Con il primo con-divide il particolare siste-ma strutturale, con i pila-stri ad albero che affon-dano in uno stereome -trico parallelepipedo, e la“sala dei Trecento” dallaconformazione concava,con il secondo, la solu-zione rigidamente modu-lare della facciata. Quat-tro livelli di altezza inter-piano identica costitui-scono quindi il consi-stente blocco degli uffici,che rigira sempre ugualea se stesso su tutti e

quattro i lati; si contrap-pone ad esso un pianoterra estremamente ete-rogeneo, permeabile edinamico, “abita to” da di -versi episodi architettoni-ci: i dodici pilastri adalbero che misurano unasorta di ordine gigantecorrispondente a 6.70 m,il volume vetrato e sospe-so della “sala dei Trecen-to”, la “galleria dei passiperduti” di collegamentotra la sala e la distribuzio-ne ver ticale, una scala eli-coidale che si inerpica suun pilastro per raggiun-gere il livello intermedio edue volumi vetrati chetoccano terra.Una delle principali spe-rimentazioni che possia-mo rintracciare in que-sto pro getto riguardal’uso del cemento ar -mato e la struttura por-tante che va a comporreun sistema tettonico“sin cero”, prima ancorache originale. La struttu-ra si mostra per quellache è, nella maniera piùschietta possibile: nonvie ne occultata in uncomplementare sistemamurario, attraversa l’edi-ficio dai piani interrati al -la co pertura talvolta oc -cupando gli ambientisen za dover necessaria-mente coincidere con il

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16. Ex-palazzo della DC, foto dell’esterno.17. Ex-palazzo della DC,foto dell’esterno.18. Ex-palazzo della DC, soluzione d’angoloall’esterno.19. Ex-palazzo della DC, soluzione d’angolonella corte.20. Ex-palazzo della DC, foto della corte.Le immagini del progettodello studio Passarellisono state gentilmenteconcesse da LucioPassarelli.Le foto del Palazzo sonodell’autore.

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dava sul rapporto ope -rativo con la storia del-l’architettura del contestoin cui sorgeva, possaaver prodotto un edificioche di quel contesto ab -bia così pochi riguardi.La critica si è armata del-le migliori intenzioni e haaperto un fuoco incrocia-to sull’edificio come po -chi se ne sono visti. Ilpalazzo della DC è chiusoin un dignitoso anacroni-smo. Il palazzo della DC èun’opera caricaturale, ir -risolta, testimonianza diuna vocazione architetto-nica tutta mentale. Fruttosfortunato di una soffertameditazione sulla crisidella civiltà. L’ambienta-zione è sbagliata. È affet-to da un surdimensiona-mento valutativo della te -matica linguistica e mu -raria propria dell’ediliziaromana. È incongruentecon se stesso e con lateoria muratoriana. Il pa -lazzo della DC è la proie-zione stilizzata di alcunielementi rigenerati dellatradizione manualistica.Sbaglia nell’accomunarevocazioni strutturali traloro opposte. È brutto.Muratori non aveva ledimensioni del lotto ne -cessarie per organizzareuna corte centrale comeda manuale. Quella corte

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namento del linguaggio edell’organismo finale; Li -bera dal canto suo nonelaborò nessuna modifi-ca al progetto, ritenendo-lo già rispondente al pro-gramma e architettonica-mente “concluso”. La ri -chiesta che la giuria glifece pervenire era del re -sto completamente fuo riluogo: chiudere in granparte il piano terra con unmuro alto all’incirca tremetri, che equivale a dire,rinunciare all’idea princi-pale attorno alla quale siera strutturato il proget-to, ovvero quella di unpiano terra che si facessemetafora di una manieradiversa di intendere lapolitica, più trasparente epartecipata, meno lonta-na dal pubblico, le cuiazioni e decisioni princi-pali (sala sospesa) fosse-ro immediatamente intel-ligibili da tutti. Il 28 Feb-braio 1957 Fo schini, Pia-centini, Fanfani e la dire-zione del partito preserola decisione definitiva: ilvincitore del concorsoera Saverio Mu ratori. Siscatenarono le polemi-che, desti nate a non ab -bandonare più il singola-re e travagliato edificio.Ancora una volta Liberasi vedeva sorpassato dalsuo collega (figg. 11-15).

Il progetto vincitoreEsistono architetture sec-che e architetture grasse,sosteneva Muratori.Le architetture secche so -no caratterizzate dal telaioin cemento armato, dallapianta libera, dalla conse-guente smaterializzazionedelle pareti perimetrali,dal loro poggiarsi al ter-reno con esili sostegni,dalla mancanza di plasti-cità e di forza co struttivadovuta alla snellezza de -gli elementi. Le architet-ture gras se sono quellemurarie, più espres sive;vi si può ri scontare la po -tenza dell’atto costruttivo,la robusta articolazione dielementi e forze collabo-ranti a definire un organi-smo unitario, stilistica-mente e linguisticamenteperenne, universale.Il palazzo della DC è evi-dentemente affetto daobesità, quasi diabetico.Si staglia in piazza Sturzocome un oggetto miste-rioso e imper scrutabile,ar rivato lì da chissà qualeepoca architettonica, po -co e niente rappresentati-vo di un linguaggio uni-versale e unanimementecondivisibile. In effetti,palazzo Sturzo è difficileda capire. Arduo com-prendere come la bontàdi una teoria, che si fon-

sistema distributivo. Quicome nel palazzo dellaregione di Trento, Liberasi avvalse del preziosocontributo di Musmeci.Forse, più che un’occa-sione persa per il Razio-nalismo italiano,4 il pro-getto di Libera rappre-senta un’occasione sfu-mata per avvicinare duemondi apparentementelontani come quello del-l’ingegneria strutturale diquegli anni (protagonistadi grandi sperimentazionisul cemento armato e inprima linea rispetto alleesperienze europee) equello dell’architettura edei cantieri di architettu-ra, in cui la consuetudineera ancora legata ad unadimensione tradizionale eartigianale della costru-zione. Tra le ultime setti-mane del 1956 e le primedel 1957 ci furono variscambi epistolari tra lagiuria e i due concorrenti:a ciascuno fu suggeritodi apportare migliorie aiprogetti secondo alcunespecifiche richieste. No -tia mo qui ancora una vol-ta la differenza tra i duearchitetti: Muratori co -mincerà ad elaborare unaserie incredibilmente am -pia di soluzioni con relati-ve varianti, in un affanno-so e certosino per fe zio -

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non è altro che un mode-sto cavedio. Chiudete letende per favore. Il pa -lazzo della DC soffre lasolitudine, è enigmatico,ma gli dobbiamo l’am-mirazione che all’arte sideve. Gli è riuscito mol-to me glio il palazzo dellasede Enpas, là sì che c’èl’ambientamento. Il pa -laz zo della DC è chiuso, ri -

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gido, monastico. È un’ope -ra fortemente in tellettua -listica. Ci si reca sul posto. Ilpalazzo se ne sta lì, affac-ciato alla piazza a cui haprestato il nome, silen-zioso e un po’ goffo:sembra a prima vistaun’enorme ed estempo-ranea operazione di ana-stilosi di qualche eccen-

trico archeologo. Nell’ef-fettiva impressione di unorganismo solido ed uni-tario, la teoria di timpanimichelangioleschi catturasubito l’attenzione. Uncortocircuito, una sortadi ready-made. Con ilgesto artistico ducham-piano quei timpani hannoin comune il fatto di gio-care col tempo, col suorallentamento e con lasua relatività, di servirsidi una dilazione per crea-re prospettive sghembe.Duchamp sapeva che unaruota di bicicletta incolla-ta ad uno sgabello avreb-be godu to, per così dire,di alcuni imprevisti nellaricezione dell’opera, enon risulta difficile pen-sare la stessa cosa del-l’operazione di Muratori.Come in una sineddoche,i timpani parlano per l’in-tero edificio: entrambisono figli della storia,operante o meno, en -trambi hanno a che farecol tempo. Del resto,come Robert Lebel ebbemodo di affermare nel1959 a proposito di Du -champ: «il suo interesseper la quarta dimensioneiniziò con una semplicis-sima osservazione: unoggetto tridimensionalegetta un’ombra solo indue dimensioni. Da ciò

egli concluse che un og -getto tridimensionale deb -ba essere a sua voltal’ombra di un altro ogget-to quadridimensionale».5

Il palazzo Sturzo nelleintenzioni di Muratori eral’ombra della storia ope-rante. Superato il dislivel-lo di quota generato dallostilobate, si accede alportico, che però nonannovera tra le sue carat-teristiche quella di invo-gliare chi vi si trovi a per-correrlo; escluso quelloprincipale, non ci sonoingressi lungo i suoi lati,e nonostante circondi tut-to l’edificio, verso uno deilati lunghi è precluso ilpassaggio. Si ammira ilcomplesso gioco modu-lare che la pavimentazio-ne intrattiene con la seriedi archi incatenati e attra-verso un’ampia vetrata siaccede alla corte. Se que -sto è un cavedio, alloradovremmo ascrivere tuttigli ambienti funzionali diquesta famiglia al noverodelle opere d’arte. Il corti-le interno del palazzo del-la DC è un luogo sugge-stivo, sospeso nel tempo.È vero, come sostienePurini, che la compres-sione degli spazi spingead alzare la testa, a sco-prire il cielo: si potrebbeaggiungere che Muratori

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ricerchi effettivamentequesto effetto, e lo otten-ga paradossal mente congli strumenti propri del-l’architettura gotica, lucee verticalità, in un edificioche viene senza indugipresentato come classi-co. Improbabile pensareche l’architetto non abbiacalibrato larghezza e al -tezza della corte senzapensare a queste conse-guenze: il rettangolosom mitale che inquadrail cielo è un elemento pu -ro (grazie al preciso di -segno del cornicione a -gettante) ed emozionale;Muratori affida il primocriterio di valutazione del-l’opera architettonica, co -sì come formulata in Sto-ria e critica, l’emozioneestetica, al cuore del suoedificio, alla parte centra-le su cui tutti gli spazi siimperniano. Le pareti diquesta sorta di cavernasono scandite dallo stes-so impaginato che si leg-ge sui prospetti esterni,ma essendo lo spaziomolto più contenuto,l’ossessiva orizzontalitàdelle bucature, dei mar-capiani e dell’apparatodecorativo compongonouna stratificazione an cheessa allusiva, che cirimanda al sedimentarsidegli strati rocciosi, o

anche ad una foliazione diepoche architettoniche.Nella cor te, si ha l’impres-sione che i cinque livellifuo ri terra siano la parteche emerge di una serie dilivelli si mili ma ipogei, dicui ci si può fare un’ideaquan do l’acqua piovanabagna la pavimentazione,creando un ulteriore assedi simmetria. Lo “scalonenobile” è degno annun-ciatore dello scialbo ap -piat timento degli ambien-ti interni che fa da con-traltare alla bellezza diquesto spazio esterno.Corrette ma castigate, leinfilate di uffici sonoparagonabili effettiva-mente a celle di un con -ven to; la rigidità dell’im-pianto non concede sus-sulti alle stanze gerar-chizzate di questa archi-tettura (figg. 16-20).L’an golo è svuotato, a di -scapito di ogni coerenzamuraria. Ci si accorgesubito di questo partico-lare caratterizzante, tantopiù che tutto il partitomo dulare e decorativo inprospetto rigira all’ango-lo, come tradizione roma-na impone. Il mes saggioè chiaro, la contraddizio-ne manifesta, Muratori neè il compiaciuto artefice.Vale lo stesso discorsoper le finestre a nastro,

solo in parte camuffate inbifore o trifore dall’alter-narsi dei pilastrini in tra-vertino. Il portico a pianoterra è sormontato da unaggetto che permette al -l’ar chitetto di orchestrareal meglio la facciatamuraria col mattone fac-ciavista del corpo degliuffici. Sempre nel porticosi riesce a leggere il pas-so strutturale del telaio,7,20 m-3,60 m, al qualefa eco al piano nobile unascansione più “rapida”segnata dai timpani e dal-le cornici, 3,60 m-1,80m. L’edi ficio ha un’ambi -va lente anima tettonica,scissa tra la consistenzamuraria rafforzata dallaplastica degli elementi,che richiamano alla men-te i disegni di Gismondidell’edilizia antica diOstia, e alcuni dettagliche tradiscono un siste-ma strutturale intelaiatoin cemento armato.Un’ani ma cementizia ar -mata avrebbe dovutocoesistere con la partemuraria, che avvolgen-dola e nascondendolasa rebbe diventata unacassaforma collaborante.Tra dotto nei termini delcantiere, getto della strut-tura puntiforme e conse-guente tamponamento.Cosa stava proponendo

di nuovo, Muratori, ri -spetto alle soluzioni co -struttive presenti in Italiain quel momento? Nien-te. La poetica tettonicadell’ossatura por tante re -sistente a flessione in Ita-lia aveva trovato sbarra-menti, rallentamenti ecompromessi sin dall’ini-zio del secolo passato.L’architetto modenese siinserisce nel filone chepredilige un’intelaiaturacementizia in una costru-zione mista, soluzioneche potremmo far risalirepersino alla seconda me -tà dell’Ottocento con lesperimentazioni condotteda Antonelli. Anche ilMovimento Moderno eradovuto scen dere a patticon la tradizione costrut-tiva autoctona, potrem-mo citare molti esempirimanendo in area roma-na o, ancor più precisa-mente, tra le personalitàche direttamente attra-versarono la vita di Mura-tori; a cominciare dalleprime opere “di transizio-ne”, come la pa lestra nel-l’Accademia di educazio-ne fisica di Del Debbio(docente di Muratori),nella quale la struttura incemento prevede dei sot-tili pilastri su cui si inne-sta una piastra rigidacomposta da otto travi

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29TERRITORITERRITORI

Vierendeel collegate dauna trave di bordo; Mura-tori aveva molti altriesem pi, la maggior partedei quali si stava realiz-zando proprio in quellaRo ma che ne avrebbe con -dizionato le teorie este -tiche e costruttive.Nel 1933 i suoi colleghiDe Renzi e Libera proget-tarono il Palazzo delle Po -ste in via Marmorata: inquesto edificio la parteportante è affidata ad unsistema di pilastri e traviin cemento armato, maad esso è accostata unamuratura in tufo condoppi ricorsi di mattoni(alla romana) dello spes-sore di circa 50 cm.Anche qui, l’intelaiaturacementizia è nascosta al -l’esterno da una compo-sizione di pareti massicceed eminen temente mura-rie, nell’ambito delle qua-li però alle bucature èaffidato il compito di tra-dire, almeno in parte, talemascheramento: basticome esempio l’eccezio-nale prospetto posterio-re, nella cui parte centra-le aperture di 44 cm dilato perforano la paretecon un risultato inim -magi nabile qualora quel-l’elemento fosse statoportante. E ancora, anchedurante anni difficili per

le sperimentazioni sulcemento armato comequelli dell’autarchia fasci-sta, possiamo comunquerintracciare casi di strut-ture collaboranti persinoin architetti che per teoriae pratica erano più vicinialle idee muratoriane: laCasa madre dei mutilatidi guerra, progetto di Pia-centini ultimato nel 1936,presenta come suo inne-gabile punto di forza lasala delle adunate. Que-sto ambiente è imprezio-sito da una volta a velainteramente cementizia,le cui nervature formanouna trama di elementiromboidali irregolari la -sciata a vista e completa-ta con prismi trasparentiattraverso cui far filtrarela luce: nel cuore del suoedificio, uno dei maggioriprotagonisti del l’autar -chia fascista affida al ce -mento armato un ruolo dimonumentale rappresen-tanza. E a se guire crono-logicamente, tutta l’espe-rienza dell’Ina casa chevede Muratori protagoni-sta e attivo su vari cantie-ri. Questioni di necessa-rio largo im piego di ma -no d’opera frenarono icantieri al l’uso di tecni-che tradizionali, le cuispe cifiche provenivanodirettamente dagli uffici

di gestione dell’ente; gliedifici si do vevano realiz-zare usan do una combi-nazione composta in ope -ra di strutture cementiziee elementi murari.

Muratori architetto del suo tempoLe parole e le scelte co -struttive attuate da Mura-tori per il palazzo Sturzoavevano dunque illustriprecedenti. Ricerche earchitet ti le cui vicende sierano variamente intrec-ciate con le sue, lascian-do segni evidenti. Al di làdelle questioni linguisti-che, mettendo da parteanche quelle professio-nali o politiche, possiamorinvenire la contempora-neità (rispetto agli anni dicostruzione del palazzo)di Muratori e della sededella DC nella sua piùintima e oggettiva animacostruttiva, nella suanatura tettonica. Gli sfor-zi di Mura tori erano tutticoncentrati a tener viva latradizione e a coniugarlacol progresso tecnico, adare un significato anchestrutturale al concetto distoria operante. Esatta-mente come si era sem-pre fatto in Italia, anchese magari per diversimotivi. Egli conoscevadel resto molto bene le

teorie sull’architettura deidue membri della giuria ebadò bene di non disco-starsi troppo da esse.Conosceva Fanfani e cer-ti meccanismi di un parti-to come la DC, ed ebbecura che il suo progetto lirispecchiasse. In que-st’ottica, Muratori vin se ilconcorso meritatamente.Era architetto del suotempo. Libera forse losarebbe stato nei nostrigiorni, quasi sessant’annidopo.

N O T E1. Cfr. Pavan L., Roma se -condo Muratori. PalazzoStur zo come metafora del -l’Urbs, http://www.festivalar-chitettura.it/festival/it/ArticoliMagazine Detail.asp?ID=28&pmagazine=4, 15-11-2010.2. Cfr. intervista a A. Gian niniin Menghini A., Palmieri V.,Saverio Mura to ri: didatticadella composizione architet-tonica nella Facoltà diArchitettura di Roma, 1954-1973, Bari, Poliba Press,2009.3. Pavan L., L’architettura or -ganica secondo Saverio Mu -ratori, in Mantese E. (a curadi), Carattere Narra zione Va -riazione, studi sul valore ur -ba no dell’architettura, Vene -zia, Marsilio, 2008.4. “L’architettura. Cronaca estoria”, n. 5, Settembre 1966,pp. 338-344.5. Lebel R., Marchel Du champ,New York, Grove Press, 1959.

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IT E S I D I L A U R E A

frammentaria degli spa zicostruiti all’interno del-l’intera area di interven-to; tale scelta si ri flettenell’assenza di con -nettività tra le diverse

l progetto “CampusUniversitario La Folcara”nasce dall’esigenza didotare la città di Cassinodi un complesso univer-sitario in grado di con-centrare in un unico nu -cleo strutture e servizidel le differenti facoltà, at -traverso la costruzione diun polo caratterizzatodall’aggregazione di edi-fici funzionali, aree verdi,spazi destinati ai servizie zone di svago. L’analisi svolta sul pro-getto originale ha eviden-ziato alcune criticità pre-senti nell’organizzazionee nella disposizione degli

Criticità L’analisi svolta nella faseiniziale della tesi sul pro-getto presentato origina-riamente per il campus ein corso di realizzazione

di Mauro Mangili

PROGETTAZIONE DEL NUOVO CAMPUS spazi funzionali, criticitàche il lavoro di tesi hacercato di risolvere attra-verso un’opera di ripro-gettazione complessivadell’intera struttura, orien -tata alla creazione di undisegno organico e alladistribuzione razionaledelle aree funzionali.

ha evidenziato in parti-colare la presenza di unaforte dispersione checoi nvolge la distribuzio-ne degli edifici, dei servi-zi e delle aree verdi all’in-terno del perimetro delcampus.Il progetto, infatti, privi-legia una disposizione

aree funzionali, che ri -sultano così nuclei iso -lati e indipendenti piut-tosto che elementi dellostesso organismo archi-tettonico. La frammentarietà deglispazi determina ancheuna ripartizione disorga-nica delle aree verdi e dei

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L'organizzazione dellefasce funzionali è basatasull’alternanza tra edifici dedicatiesclusivamente alla vitauniversitaria ed edifici avocazione pubblica comela mensa, la bibliotecacentrale o l’auditorium.

parcheggi, che vengonoprogettati come elementia servizio esclusivo deisingoli edifici, completa-mente svincolati gli unidagli altri.Gli assi viari realizzatiall’interno dell’area, inol-tre, vengono progettatiesclu sivamente come ele-

menti funzionali di con-nessione tra le diversezone, non riuscendo adinterpretare il ruolo diassi generatori dell’interocampus.

Il progettoIl nuovo progetto del cam -pus tenta di fornire una

UNIVERSITARIO ‘LA FOLCARA’DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CASSINO

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visione organica dell’in-tero polo universitario,realizzando all’internodell’area di intervento untessuto connettivo tipicodi una città, attraverso ladefinizione di piazze estrade, in grado di colle-gare in maniera struttu-rata le diverse aree fun-zionali e di realizzare unavera e propria fusione traspazi costruiti ed areeverdi. Così come in una vera epropria città medievale,viene definito un nucleourbano all’interno delquale concentrare i diffe-renti edifici facenti partedel campus, individuatorispettando il vincolorap presentato dalla pre-senza di edifici già realiz-zati o in corso di realiz-zazione all’interno del-l’area.In particolare, gli assiviari già definiti mutanola loro funzione primariadi semplici strumenticonnettivi, diventando ve - ri e propri assi generato-ri del Masterplan.L’asse primario, ipote-nusa di un triangoloideale che delimita ilnucleo urbano, viene uti-lizzato come riferimentoprincipale per la costru-zione di un elementoconnettivo in grado di

L’asse primario,ipotenusa di un triangoloideale che delimita il nucleo urbano,costituisce il riferimentoprincipale per lacostruzione di unconnettivo che possarendere omogenee ledifferenti aree funzionali.

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33TERRITORI

fornire omogeneità tra ledifferenti aree funzionali;l’asse secondario, diver-samente, diventa l’entitàgeneratrice della grigliamodulare edilizia che,utilizzando un passoregolare, definisce lefasce costitutive del pro-getto.La regolarità del dise-gno viene variata attra-verso l’introduzione diun rit mo, che permettedi com porre un sistemacomplesso costituito dal -

l’alternanza di spazi pie -ni e spazi vuoti.Il leitmotiv della cittàmedievale ritorna nellaparte progettuale dellestrutture edilizie, crean-do un collegamento ideo -logico tra città reale ecittà universitaria.

Viene progettato, così,un ingresso monumen-tale costituito da un por-tico che si estende pertutto l’asse principale delnucleo; tale portico fun -ge da elemento di stintivodel nuovo tessuto urba-no, riuscendo nel con-tempo ad agire da filtrotra lo spazio costruito elo spazio verde, tra la sfe -ra universitaria e la sfe racittadina.L’utilizzo di una strutturapermeabile come un

Università degli Studidi Roma “La Sapienza”Facoltà di Architettura“Valle Giulia”Corso di ProgettazioneArchitettonicaRelatore: Prof. Alfonso GiancottiTesi discussa il 13 novembre 2013

por tico, tuttavia, permet-te di superare il limiteim posto da una di stin -zione netta degli spa zi,permettendo la compe-netrazione della cittàesterna nel campus e nelcontempo la realizzazio-ne dell’idea progettualedi connettività.L’organicità del disegno,inoltre, risulta evidentedalla presenza di ampiepiazze verdi che vengonorealizzate non più comeelementi isolati posti a

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35TERRITORI

decorazione del singoloedificio, ma come veri epropri cunei naturali che,partendo dai limiti ester-ni del nucleo, riescono apenetrare nelle aree fun-zionali, richiamando par -te degli elementi paesag-gistici esterni.Il continuo richiamo allacompenetrazione tra dif-ferenti elementi si ritrovanella disposizione dellefasce funzionali, proget-tate mediante l’alternan-za tra edifici dedicatiesclusivamente alla vitauniversitaria, come le fa -coltà, ed edifici a voca-zione pubblica come lamensa, la biblioteca cen-trale o l’auditorium; que-sto gioco di alternanzaideologico viene ripresoanche nelle fasi proget-tuali dei singoli edifici,dove vengono affiancatiagli spazi pieni della strut-tura elementi vuoti comele corti centrali.L’isolamento che gene-ralmente caratterizza uncampus universitario,per ciò, viene superatoattraverso il posiziona-mento strategico all’in-terno del nucleo di zonededicate ad attività disvago e di socializzazio-ne non necessariamentelegate alla vita universita-ria, come il teatro al -

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L'ingresso monumentaledel complesso ècostituito da un porticoche si estende per tuttol’asse principale delnucleo; tale porticofunge da elementodistintivo del nuovotessuto urbano,riuscendo nel contempoad agire da filtro.tra lo spazio costruito e lo spazio verde, tra la sfera universitaria e la sfera cittadina.

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Una parte ugualmenteimportante nel processoprogettuale del campusrisiede nelle fase di defi-nizione degli spazi verdipresenti all’interno delnucleo principale ed at -torno ad esso.In un processo creativoquasi simmetrico vengo-no introdotti elementina turali speculari aglielementi costruiti: attra-verso una fase di traspo-sizione il portico monu-mentale diventa un vialealberato all’interno delparco fluviale, gli assi didelimitazione del nucleourbano diventano le zoneverdi limitrofe che ope-rano una netta distinzio-ne tra l’area del progettoe la zona cittadina circo-stante, le piazze pavi-mentate diventano areeverdi inserite nel tessutourbano.Il risultato finale di que-sto processo costrutti-vo, perciò, risiede nellacreazione di un equili-brio tra elementi in con-trasto tra loro, equilibrioche non permette più didistinguere se sia il co -struito ad estendersiver so le aree verdi circo-stanti o se siano tali areea permeare nel costrui-to, avvolgendolo e defi-nendolo.

lità del disegno architet-tonico, legata all’utilizzodi portici ed edifici astessa altezza, vienespezzata dalla presenzadi un elemento verticalecostituito dalla torre del

l’aperto, che costituisceparte della piazza princi-pale del campus, o i di -versi micro-giardini chescandiscono i vari per -cor si pedonali.La prevalente orizzonta-

Rettorato che, come latorre civica nelle cittàme dievali, funge dapunto di riferimento e dacentro aggregativo deimassimi organi ammini-strativi del campus.

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38 TERRITORI

i troviamo a Gub - bio, città medio e -

vale annoverata tra le piùbelle e meglio conserva-te al mondo. La posizio-ne geografica fuori daiprincipali assi viari dicomunicazione, se dauna parte ha rallentato losviluppo della sua eco-nomia, dall’altro ha con-

tribuito, fortunatamente,a preservare il suo stra-ordinario patrimonio ar -chi tettonico e urbanisti-co, che oggi più che mairappresenta la sua veraricchezza e un punto diripartenza fondamentaleper l’economia cittadinae per il suo fu turo. Da piùdi un anno un gruppo dicittadini, di estrazioneculturale e politica anchemolto diversa, ha dato vi -ta al Comitato per la Tu -tela dei Beni Culturali edel Paesaggio. Il Comitato, di cui faccioparte, si è costituito spon - taneamente per op porsi aun progetto della Fonda-zione Cassa di Ri sparmiodi Perugia definito di “riu -so e riqualificazione”, che

vorrebbe chiudere condelle pesantissime edenor mi vetrate le Loggedei Tiratori della Lana,raro esempio di archeo-logia preindustriale. Ilpro getto, se realizzato,andrebbe a stravolgere isuoi peculiari caratteriarchitettonici di spazioaperto e coperto. Inoltre,

considerata la sua parti-colare ubicazione nelcentro storico, e il suova lore simbolico di mo -numento, un interventodi questo tipo andrebbe astravolgere la suggestivascenografia urbana dellacittà di pietra.In maniera strumentalechi ha interesse a realiz-zare questo progetto ri -pete fino alla noia che ilComitato per la Tuteladei Beni Culturali e delPaesaggio sarebbe con-trario addirittura all’ideastessa del riuso e dellariqualificazione delle Log -ge dei Tiratori dell’Artedella Lana. Sgombriamo il campodagli equivoci veri o falsi.Tutti siamo d’accordo che

c’è la necessità urgente diun progetto di riuso delcomplesso ar chitettonico,ma non riteniamo oppor-tuno in stallare ampie ve -trate in questo straordi-nario esem pio di archeo-logia preindustriale. Una struttura che evocaun’architettura classicaper il suo rapporto di -

men sionale stretto e lun-go, per l’alternarsi musi-cale del pieno delle co -lonne e del vuoto dellefinestre, per il suo essereloggia posta su un livellosuperiore rispetto al pia-no stradale. Già nel manifesto “Lastampa non è uguale pertutti” denunciavo le di -scri minazioni dei medianei nostri confronti, ri cor -dando come un mio testodal titolo “Le Logge dellaBellezza”, nonostante leripetute assicurazioni deldirettore di un noto quoti-diano umbro, non fossemai stato pubblicato. In quell’articolo scrivevo:“Non sono contrario allarestituzione alla vita e albattito del cuore delle

B E N I C U L T U R A L I

TUTELA E RIUSO COMPATIBILE

LE LOGGE DEI TIRATORI DELLA LANA

A GUBBIO

C di Nello Teodori

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Logge, non ci sono “cro-ciate” strumentali e pre-giudiziali, perché è chiaroche l’architettura nonpuò ridursi a essere ar -cheologia inattiva, corpoinerte e senza vita. Mipermetto semplicementedi dire che, fatta la dia-gnosi, bisognerebbe evi-tare di sbagliare la medi-

cina. L’inserimento di ve -trate toglierebbe all’edi -ficio quella sensazione divuoto spaziale, alterandogravemente la funzionevisuale ed estetica dellacittà storica”.

1. F. Mingucci, Vedutapanoramica di Gubbio,acquerello, 1626. Al centro della“suggestiva scenografiaurbana della città dipietra” sono ben visibilile Logge dei Tiratori.

39TERRITORI

Noi auspichiamo un usopubblico delle Logge,perché la loro posizionestrategica nel tessutourbano, la loro naturasimbolica, il ruolo visivoche svolgono, rappre-sentano un elementofon damentale di questodisegno o dipinto (a se -conda della luce del sole)

che è il paesaggio urba-no della città . La composizione scenicadi questo paesaggio èimperniata su alcuni ele-menti monumentali chesi distinguono e spicca-

no al di sopra della diste-sa edilizia abitativa urba-na. Il primo livello, quellopiù basso, è proprio co -stituito dal nastro oriz-zontale a due piani rap-presentato dalle Loggedei Tiratori. Appare allavista dello spettatorecome il corpo basamen-tale di tutto quello che,

nei vari terrazzamenti ur -bani che salgono di livel-lo, c’è dietro. Oltre quel basamento siintravedono la facciata eil campanile di S. Giovan-ni, le strutture del com-

plesso monumentale del-la piazza pensile di Gub-bio con a sinistra il palaz-zo dei Consoli, sulla de -stra il Palazzo Pretorio,sempre a sinistra, oltre ilPalazzo dei Consoli, unagrande torre esile e svet-tante e poi, più in alto an -cora, quasi come chiusu-ra superiore di questo

articolato sistema monu-mentale, il Palazzo Ducaleche presta il fianco, sul laparete d’ingresso, al com-plesso del Duomo. Questisono gli elementi forte-mente identificativi che

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compongono “l’affrescourbano di Gubbio” ammi-rato in tutto il mondo. “Uno scenografico insie-me di quella massa arti-colata di architetture diuna ‘monocromia subli-me’, come ebbe a direGui do Piovene riferendo-si al grigio calcare con ilquale venne costruital’an tica Gubbio”.1

Rispetto al problema delriuso e dell’individuazio-ne di rinnovate funzionicompatibili con le carat-teristiche dell’edificio, laposizione del Comitatopuò essere così riassun-ta: le nuove funzioni an -drebbero pescate/indivi-duate tra quelle che ri -spettano il carattere e lapersonalità dell’edificio.Le Logge sono un volu-me edilizio con due ca -ratteristiche fondamen-tali: essere uno spaziosopraelevato coperto econtemporaneamentespazio e volume aperto.Questi sono i caratteridistintivi delle Logge deiTiratori. Avere piena con-sapevolezza di questoco stituisce una chiave diriferimento fondamenta-le per andare a pensarenuove funzioni compati-bili con la fabbrica da ri -vitalizzare e restituire anuova vita. Questo è l’assunto fonda-mentale, il principio filo-sofico che guida il percor-so e il progetto di riuso.Le funzioni vanno quindiindividuate tra tutte quellepossibili da attivare in unedificio che è coperto econtemporaneamenteaperto.

BREV

I NOT

IZIE

STO

RICH

E La prima citazione dell’esistenza aGubbio dell’Arte della Lana risale al 27dicembre 1326. Nello Statuto delComune di Gubbio del 1624 di essa sidice “nutrix et precipua est in civita-te”. Nel 1377 esistono una quarantinadi stenditoi, en plein air, fuori le portedi S. Pietro, Sant’Agostino, PonteMar mo reo, campo boario e piazza delmercato. Nel 1603 vengono costruiti i tiratoisopra l’Ospedale di S. Maria della Mise -ri cordia, che conosciamo come Loggiadei tiratoi. Il 6 marzo 1748 l’Arte dellalana si fonde con l’Arte dei Mercanti.Nel 1783 il Gonfaloniere dà la seguentenotizia: “Per comune disgrazia è cessa-to affatto, come Ognuno sa, l’Universitàdei Mercanti di lana in questa nostracittà”. Per quanto riguarda il comples-so della Loggia dei tiratoi, riporto leparole di Giuseppe Maria Nardelli tratteda un suo libro che fanno riferimentoad un disegno risalente alla fine del sec.XVI: “Interessante la costruzione so -pra stante (l’edificio dello Spedal Gran -de) chiusa da una parete con una seriedi 18 finestre che si allunga sopra tuttala struttura con la didascalia ‘quivivogliono fare li tiratoi’”.Si tratta dunque di un’opera in fase diprogetto, che il Consiglio (dell’Ospe -dale) ha deciso di fabbricare “nella suacasa vecchia detta di sopra” (ASG Fon.Armanni IF6 e 109) che è di forte inte-resse per i Mercanti della lana che han -no bisogno di un ambiente coperto earieggiato per mettere i panni ad asciu-gare dopo il lavaggio e la tintura e cherichiedono per creare i ‘tiratoi’”. Questoci induce a credere che si trattava diuna vera e propria loggia come la Cartadel Mortier testimonia. Nel porticatocoperto dello stesso disegno, a pianoterra, si legge “quivi vogliono fare lebotteghe”. Le chiusure posticce della Loggia chesi possono vedere in alcune fotografied’epoca risalgono all’800-primi del900, quando non erano più i mercantidella lana ad usufruirne per i motivisopra citati.

[tratto da: Maria Vittoria Ambrogi, Unagrave topica sulla storia della Loggiadei Tiratori, Live Gubbio, marzo 2015]

È chiaro che la vetrifica-zione delle Logge vuoleimporre all’edificio losvolgimento di funzioniincompatibili, in quantotrasformerebbero un edi-ficio a vocazione aperta inun edificio completamen-te chiuso, con tutte lecontroindicazioni visuali eformali che danneggereb-bero gravemente il monu-mento e l’armonia conso-lidata del disegno urbano.Tutte le funzioni che nonrispondono a tali caratte-ristiche sono da riteneregeneticamente incompa-tibili e inammissibili. Per-ché non è l’edificio che sideve adattare alle nuovefunzioni, ma sono piutto-sto le funzioni che nonpossono pretendere chesia esso a snaturarsi persoddisfare le loro neces-sità e le ambizioni dellaproprietà.Il progetto presentatodal la Fondazione Cassa diRisparmio nega grave-mente questo assuntoteorico-pratico della com-patibilità proprio perchévorrebbe trasformare unedificio naturalmente aper -to e coperto in un edificioartificiosamente chiuso. Per farla breve, si verreb-bero a determinare gran-dissimi problemi di rever-sibilità (la solita scappa-toia autorizzativa) qualo-ra, una volta realizzatol’intervento proposto, siipotizzasse la sua dismis-sione. Non sembri para-dossale, ma la sua rever-sibilità sarebbe moltocomplessa, sia in terminitecnici che economici,con grave danno sia nel-

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l’installazione delle strut-ture che con la sua even-tuale rimozione.Cosa ben diversa dalcaso di piazza San Gio-vanni, disegnata da GaeAulenti, del quale in tem-pi non sospetti ho ampia-mente argomentato lamia contrarietà, dove ilnocciolo della questione,la soluzione che non con-vince, è la presenza diquella miriade di putrelleilluminanti per le quali,un’eventuale rimozione,sarebbe semplice, pocoonerosa, quindi facilmen-te reversibile.La prima cosa che comeComitato proponiamo peril riutilizzo delle Logge èche raccontino la lorostoria, come sono nate,quali sono state le lorotrasformazioni e aggiuntenel tempo, quali attivitàvenivano praticate in que-sto luogo. Insomma do -vrebbero funzionare in -nanzitutto come “mu seodi se stesse”. Un raccon-to reso possibile attraver-so l’utilizzo delle piùavan zate tecnologie mul-timediali che non sottrag-gono spazio, si inserisco-no facilmente e con di -screzione, lasciando cam -po aperto a tante altrepos sibilità di utilizzo. Unacomunicazione rivolta aivisitatori per accoglierli,rendendo chiaro a tutticosa sono il senso e lanatura del luogo in cui sitrovano.Abbiamo più volte sottoli-neato che le Logge, perloro natura, dovrebberoessere uno spazio di pro-prietà pubblica e d’uso

2. Prospetto frontale e pianta del piano terradell’Ospedale di S. Mariadella Misericordia, su cui alla fine secolo XVIverranno realizzate leLogge dei Tiratori(Rivisitazione di NelloTeodori).3. Nel 1603, sopral’Ospedale di S. Mariadella Misericordia, i “tiratoi” risultanocompletamenterealizzati. Nello schemagrafico di Nello Teodoriè indicata in rosso lavolumetriacorrispondente a quellaattuale.4. L’interno del loggiatoprima dell’interventostrutturale earchitettonico eseguito a metà degli anni del'900 dall’architettoTeodolo Manganelli.5. L’interno del loggiatoprima dell’interventostrutturale earchitettonico eseguito ametà degli anni ’80dall’architetto TeodoloManganelli (punto diosservazione opposto a quello della figura 4).6. Le Logge dei Tiratoridella Lana riprese da undrone. Dietro all’anticoopificio industriale ilcomplesso urbano delcentro storico di Gubbio.

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pubblico. Inoltre, quelloche ci viene incontro èl’idea semplice ma chiarache potrebbero essereuna magnifica piazzacoperta sopraelevata. Unostraordinario avampostovisuale, cerniera ed ele-mento di connessione tra

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piazza Quaranta Martiri epiazza San Giovanni, dadove ammirare il paesag-gio circostante versomonte e verso valle, dovepoter sostare, chiacchie-rare con gli amici e le per-sone che incontri casual-mente, aven do la possibi-

lità di fermarsi, prendersiun caffè e leggere il gior-nale seduti da qualcheparte. Uno spazio magni-fico, aperto-coperto conla vocazione per ospitaretutta una serie di attivitàculturali e di eventi, qualiimportanti mostre. Unluogo ideale, ad esempio,

per mostre di scultura.Opere d’arte, le sculture,che in generale trovanofacile collocazione al -l’aperto, in quanto spessorealizzate con materialiresistenti e che non sof-frono le avverse condizio-ni climatiche e le escur-

sioni termiche. Gubbio inrealtà dispone già di mol-ti spazi dove allestiremo stre, anche grandimostre di arte classica econtemporanea. Le Log-ge potrebbero accogliereanche queste per periodicadenzati e temporanei. Oggi le tecnologie espo-

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Salvatore Settis“una ‘rifunzionalizzazione’ che di fatto è stravolgimento e tradimento del-l’architettura storica. Mi chiedo come mai la Soprintendenza non abbiaposto il veto”.(da una email inviata a un componente del Comitato il 19 gennaio 2014)

Tomaso Montanari“Le grandi vetrate snaturano l’identità e la forma delle Logge fino a can-cellarle come monumento”.(Lo scempio dell’opificio, in “Il fatto quotidiano”, 16 ottobre 2013)

Tomaso Montanari “Cosa vuol dire ‘far vivere’ un monumento? Vuol dire conoscerlo,rispettarlo, accettare che renda più complesso il nostro presente con lasua diversità, e i suoi limiti? O invece vuol dire risucchiarlo nei nostripiani, nei nostri interessi, nelle nostre miopie: magari a costo di violen-tarlo, sfigurarlo, annullarlo?”(Il Colosseo a Gubbio, in “Repubblica.it”, articolo 9, 23 Novembre 2014)

Goffredo Fofi“Se ne sono viste tante, in questi anni, di aggressioni all’ambiente e allanostra storia. Anche a Gubbio, città che, dal “miracolo economico” inavanti è stata miracolata dai cementieri e da don Matteo, e che, nella pro-gressiva dissoluzione di un’idea stessa di sinistra e di comunità, ha cedu-to a tutte le tentazioni più distruttive – al mercato – e avendo poco davendere ha cominciato da tempo a vendere la sua storia, la sua bellezza.Non bastava Gae Aulenti, ora i cementieri e i loro amici o servi promuo-vono la ristrutturazione delle Logge. (…) Sotto vetro, vetrina.Altre città hanno rinunciato alla loro storia e bellezza, non è la prima voltache succede nell’ ex “Bel Paese”, ed è avvenuto con la complicità degliamministratori o addirittura su loro proposta e sollecitazione – di destrao di sinistra conta assai poco –, trovando facilmente la complicità dellapopolazione perché di fronte ai soldi ogni scrupolo tace, tanto più intempi di crisi quando, come dicono i nuovi vandali, abbiamo ancora davendere le nostre spiagge i nostri monumenti il nostro paesaggio lanostra diversità la nostra anima. (…) Lo scempio che si prepara mi spin-gerà, personalmente, a diradare ancora di più i miei ritorni in una città cuidevo tantissimo e che ho tantissimo amato”.(in una mail inviata a un componente del Comitato il 22 gennaio 2014)

Leonardo Piccinini“Questo raro esempio di opificio del Seicento è anche una splendidaquinta che conferisce ulteriore valore prospettico al già citato quadro cit-tadino.Peccato che sulle logge, ora della Fondazione Cassa di risparmio diPerugia, incomba un progetto di “restauro, rifunzionalizzazione e riuso”(sic). Un progetto dal sapore bancario, un’irreparabile manomissioneper creare un centro per mostre e congressi (...) Sarebbe una catastrofe,purtroppo con il via libera, a quanto pare, della locale Soprintendenza;siamo ancora in tempo per fermare questo insulto a uno dei più impor-tanti centri storici d’Italia”.(Giù le mani dalla storia, in “Save Italy”, nella rivista “Art e dossier”, di -ret tore Philippe Daverio, Giunti editore, Marzo 2015, pag. 7)

Gli Eugubini del 1927“Un intervento DETURPANTE E DISSENNATO”.(Basta con le deturpazioni, in “Il Risveglio Eugubino”, 1 maggio 1927)

Vezio De Lucia“Gubbio non può tollerare altri scempi, gli attuali amministratori sannoche Gubbio ha dato il nome alla famosa “Carta per la salvaguardia deicentri storici” del 1960 (scritta da Antonio Cederna e Mario ManieriElia)”.(In una mail al Comitato)

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7. Stato attuale. Sezionetrasversale dell’architettoTeodolo Manganelli.8. Stato attuale dellaterrazza coperta delleLogge dei Tiratori.9. Le Logge dei Tiratoridella Lana viste daPiazza 40 Martiri. A sinistra, in alto, ilPalazzo dei Consoli, alcentro il Palazzo Ducale,sulla destra il PalazzoPretorio e, dietro, ilcampanile del Duomo.Risulta evidente laparticolare trasparenzadel loggiat o. Attraverso i vuoti del fabbricato,che rappresenta unanotevole testimonianza di archeologiapreindustriale, siintravede la città.10. Vista delle Logge, di notte, da Piazza 40 Martiri.

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sitive permettono di alle-stire in breve tempo spa-zi idonei facilmente rimo-vibili, dotati di tutti i cri-smi relativi alla sicurez-za, sia contro manomis-sioni che contro i furti,nonché sistemi per laconservazione (controllo

del microclima tempera-tura-umidità). Tali strut-ture consentono il mas-simo della visibilità delleopere d’arte, favorisco-no, sollecitandola, una

più intima comunicazio-ne tra l’opera d’arte e ilsuo fruitore. Punti diosservazione, per esem-pio, che non ci collochi-no troppo distanti dal-l’opera esposta.Non è affatto vero che cisia bisogno di grandispazi per esporre le ope-re d’arte. Soprattutto se,come in alcuni casi, oggisi costruisce un eventoesponendo anche un’uni-ca, prestigiosissima ope-ra d’arte. Nel novero diesempi illuminanti eautorevoli, riferendoci inquesto caso a un’operamusealizzata, basti pen-sare a come è stato ricol-locato l’affresco dellaMa donna del Parto aMonterchi. Staccato dal-la piccola chiesina delcimitero, è stato colloca-to nella semplice aula diuna ex scuola nel centrodella cittadina toscana.Perché? Per le ragionistesse a cui accennavopo canzi. Le Logge potrebberoospi tare convegni, eventimusicali, concerti soprat -tutto serali, quando laluce notturna scolpiscescenari di grande sugge-stione, o anche sfilate dimoda, o un “mercato co -perto”, di giorno e di not-te, un’autentica e interes-sante prospettiva com - merciale in grado di resti-tuire vita vera a tutto ilcomplesso.Insomma, sotto le Loggesi può realizzare tuttoquanto può avvenire inuna piazza coperta, inquesta sorta di strada-piazza longitudinale, spa-

zio catalizzatore di molte-plici interessi e funzioniche ridiano fiato e vigorea tutto il centro storico.Abbiamo a che fare con-tinuamente, dalla mattinaalla sera, con la parolaviolenza. La violenza nonriguarda solamente lepersone e gli animali, maanche le forme apparen-temente inanimate. A nessuno è consentitodi stravolgere e tradirel’architettura storica, co -me afferma SalvatoreSettis,2 archeologo e sto-rico dell’arte italiana, giàdirettore della ScuolaNormale Superiore di Pi -sa, a proposito della mi -nacciata vetrificazione,così come la bellezza nonsi può violentare né ba -rattare, per non tradireinnanzitutto noi stessi.Gli Eugubini debbonoaver chiaro che la storiaha assegnato loro unagrande responsabilità:Gubbio è un patrimoniodel mondo a loro affidatoche devono tutelare edifendere. Compito del-l’uomo, credente o noncredente, è infatti quellodi rispettare e mantenerela bellezza e l’ordine delluogo che hanno in affi-damento. Difendiamo labellezza e la ricchezzavera e autentica, quellache la natura ci ha dato equella che la generositàdella storia ci ha traman-dato. Attenzione a nonricadere nei miraggi diquelle politiche economi-che e speculative chehanno devastato e impo-verito l’Italia e im bar -barito le coscienze.

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N O T E1. Leonardo Piccinini, “Giùle mani dalla storia”, in “Sa -ve Italy”, “Art e dossier”,direttore Philippe Da verio,numero 319, marzo 215,pag. 7, Edizioni Giunti, Fi -renze.2. Il 27 maggio, a Roma,nella sala “Pietro da Corto-na” dei Musei Capitolini, èstato presentato il libro diSalvatore Settis “Se Vene-zia muore” (Einaudi, Tori-no, 2014).Cogliendo l’occasione del-la presenza di un gruppodi Eugubini del “Comitatoper la salvaguardia deibeni architettonici e pae-saggistici” della loro città,venuto con pettorine cheesprimevano in modo gar-bato la loro protesta con-tro lo scempio che si staconsumando con la vetrifi-cazione delle seicentescheLogge dei Tiratori, Settis siè rivolto a loro affiancandol’esem pio di Venezia aquello di Gubbio, sottoli-neando che il suo libronon riguarda la sola Vene-zia, poiché il fenomeno deldegrado dei centri storicicoinvolge purtroppo tuttoil mondo.“Ci sono qui i cittadini diGubbio” – ha detto – “È unapiccola città, Gubbio, unapiccola città straordinaria-mente preziosa; chiun que cisia stato anche per soli cin-que minuti lo sa; è una cit-tà preziosa in Italia, in Euro-pa, nel mondo. Un centrostorico che, da 5457 abi-tanti negli anni Cinquanta, èsceso agli attuali 2500 cir-ca; che sta vedendo chiu-dere tutti i piccoli esercizicommerciali, dove è rima-sta una sola farmacia, glistudi medici se ne vanno enon c’è più l’ospedale. Ilcentro storico si svuota, ementre il centro storico sisvuota, simultaneamente leautorità, il Comune, offronocome risposta un trenino

assurdo per i turisti, sultipo di quelli di Las Vegas,che si vedono negli Univer-sal Studios, in modo dapoter girare per la cittàcome se fosse uno scena-rio! Allora la città storicadiventa una sorta di scena-rio finto, non si distinguepiù tra il finto e il vero, ed èin questo contesto che unopificio storico, preziosocome le Logge dei Tiratori,sarà ‘vetrificato’, come de -nunciano con i loro cartelli icittadini di Gubbio qui pre-senti. Non è difficile perloro persuadere noi; speria-mo che persuadano chi hail potere! Le città stannoperdendo il monopolio dise stesse; non si può im -maginare una città dove gliabitanti diventano servitoridei turisti. Si perde il sensocivico, il senso del politico.Sapete che politico derivada politikè, che è un agget-tivo che indica l’arte dei cit-tadini di ragionare fra lorodella città dove vivono: se

LE LOGGE DELLA BELLEZZADUE ANNI DI LOTTA CONTRO LA VETRIFICAZIONEGubbio, 10 - 25 ottobre 2015Convento di S. Francesco

Dal 10 al 25 ottobre, presso gli spazi del Convento di S.Francesco a Gubbio, si è tenuta la mostra “le Logge dellaBellezza, due anni di lotta contro la “vetrificazione” delleLogge dei Tiratori della Lana.La mostra a cura del Comitato per la tutela dei beni archi-tettonici e paesaggistici di Gubbio, nato spontaneamenteda quasi due anni in difesa delle Logge dei Tiratori, si èavvalsa della direzione artistica di Nello Teodori. Oltreall’esposizione delle opere d’arte e del materiale prodottonei due anni di attività del comitato, sono stati propostieventi, performance, giornate di studio con interventi dipersonalità del mondo della cultura. Sono intervenuti, tragli altri, Tomaso Montanari, Vezio De Lucia, Bruno Za -nardi. All’appello del Comitato di Gubbio, di ritrarre o in -terpretare le Logge dei Tiratori prima della “vetrificazione”che le minaccia, hanno risposto in tanti: sono arrivate ade-sioni e contributi di vario tipo dai cinque continenti. Moltigli apporti di noti artisti italiani e stranieri, ma anche diarchitetti, storici dell’arte, turisti in visita in città o sempli-ci cittadini.La mostra è stata inserita nel programma della Giornatadel Contemporaneo, il grande evento che AMACI dedicaall’arte contemporanea e al suo pubblico.

mancherà questo, manche-rà l’anima stessa, della cittàe dei cittadini. La città èlegata fortemente al l’uma -no lavoro, e se si perdequesto rapporto, si perdetutto”.Anche Stefano Rodotà,presente alla manifestazio-ne, ha indirizzato il suo sa -luto agli Eugubini, di chia -rando, tra l’altro: “Sal - vatore Settis ci restituiscenon solo l’anima della cit-tà, ma ci restituisce il pro-getto della città, che non èun progetto re gressivo,come lui ci ri corda moltobene quando respinge unadelle ac cuse fatte a chiguarda le città con gliocchi dei cittadini di Gub-bio, che sono qui perchéle loro Logge non vengano‘vetrificate’. Settis sottoli-nea nel suo libro il fattoredegrado, la perdita diidentità, la mortificazionedella città, ché, come dice,ci sono tanti modi di di -struggere…”.

11. Logo del Comitatoper la Tutela dei beniCulturali e del Paesaggioutilizzato per unmanifesto (Disegno diNello Teodori). 12. Manifestazione aPiazza Grande, davantial Comune di Gubbio.13. Uno striscione diNello Teodori, realizzatoper una performance del1993, davanti alle Loggedei Tiratori(Fotomontaggio).

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1. Fessura conprospetto, (40x60 cm),matita e pastello sucartoncino, 2014 2. Concetto spaziale;(50x35 cm), matita epastello su cartoncino,2014. 3. Concetto spaziale;(50x35 cm), matita epastello su cartoncino,2014. 4. Prospetto con porta e fessura, (35x50 cm),matita e pastello sucartoncino, 2015. 5. Muro e città (Roma),(35x50 cm), china sucartoncino, 2015.I disegni e testi diGiorgios Papaevangeliusono stati esposti il 20giugno 2015 nellamostra "Oltre ilTecnigrafo - SinesteticaExpo 1", a cura diBianca Hermanin, Giulia Martinis, PietroZampetti - via Gatteschi32, Roma.

Come l’architettura può essere arte e come l’architetto possa espri-mere la propria creatività rappresenta una questione emergente nel

mondo dominato dall’immagine, dove si compie una incessante lotta nel-l’apparire, nonostante le ferree leggi fisiche, economiche, funzionali con-trastino ogni volontà estetica. Considerando che l’architettura come arteha come fine di offrire, nella limitata concretizzazione materiale dell’ope-ra, la possibilità di far ritrovare una illimitata gamma di significati, allorapiù che esporre, ancor oggi, proprio per non sottoporla al rapido consu-mo, bisogna che l’operazione necessaria sia quella di sottrarre allavista…

Come può l’arte essere una “finestra sull’infinito” e come è possibileche l’arte non si esaurisca nella sola percezione della sua realizzazio-

ne materiale? Come è possibile che da una limitata rappresentazionemateriale si possano originare infinite questioni e risposte? Questo temapare avere attraversato ogni artista e ognuno a sua volta ha dato unarisposta sulla questione. Le “doppie verità”, come sono le opere di GiulioPaolini, sembrano trascendere sia l’unità che il frammento, offrendo lapossibilità di cogliere la presenza di qualcosa non percepibile se non dal-l’immaginazione.

Cosa deve rappresentare l’arte? Una unità assoluta? Un frammento?Oppure l’arte è una unità eterogenea dove ogni frammento costituen-

te l’apparente unità appartiene a qualche cosa che non è presente? LaDama con l’ermellino di Leonardo da Vinci, al di là della sua chiarissimarappresentazione che ci fa identificare immediatamente i soggetti, vuolenascondere infinite altre figure femminili o maschili che potrebbero riven-dicare di appartenere a quella mano con le dita lunghe e assottigliate.

Parte e tutto si pongono come poli di riferimento per la conoscenza.Alla volontà di comprendere l’assoluto si contrappone la consapevo-

lezza della sua incommensurabilità. In qualsiasi caso l’attività conoscitivaavanza con l’intenzione di fare chiarezza secondo una liberazione gradua-le dalla percezione per giungere alla conoscenza astratta. In questo per-corso, su cui anche gli artisti avanzano, brevissimi e circoscritti istanti diluce si alternano a periodi ben più lunghi di ombra, se non di totale buio.La forza di un’artista è nel concentrarsi intorno ad un nucleo di verità,intorno ad un tema, per non disperdere l’energia nella complessità del-l’universo.

“Quello che importa non è il che cosa, ma unicamente e solo il co -me”. [Ludwig Mies van der Rohe, Il tempo nuovo, 1930]

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o scorso mese difebbraio Gian Carlo Ric-cardi, artista versatile esperimentatore infaticabi-le, ci ha lasciato. Era natoa Frosinone, dove avevafondato il “Gruppo TeatroLaboratorio Arti Visive”.In memoria della vecchiaamicizia, segnata neglianni da svariate collabo-razioni, voglio ricordarloriproponendo alcune mievecchie ri fles sioni sullasua attività creativa.Nel pieghevole pubblicatoin occasione della suainstallazione all’Abazia diCasamari Il luogo e la me -moria (settembre/ot tobre

1987) indagavo il metododel suo lavoro, sempreinterdisciplinare e caratte-rizzato da un particolaregusto sinestetico, e michiedevo: «Cosa fa GianCarlo Riccardi? E cosa hafatto fino ad ora? Teatro?Pittura? Grafica? O che?Riccardi ha trattato peranni immagini, suoni, ge -sti nell’intento costante diandare oltre confine. […]La sua grafica di vent’anni

or sono impaginava pic-cole storie in cui ogni per-sonaggio svolgeva unruolo, che lasciava intrav-vedere possibilità di futureespan sioni in si tuazionidiverse. Una grafica pa ra -lette raria. Un pic colo tea-tro cristallizzato. Così icollage degli anni ’60 edegli anni ’80. Tutti pro-getti di spettacolarizzazio-ni, di rei. D’altro canto, inquelli definiti tout courtcome spettacoli, Gian Car-lo utilizzava persone e og -getti, ritmi e strutture,suoni e luci in senso figu-rativo. Sovente era la stes-sa fabula ad annegare nel-

l’immagine, così come laparola man mano semprepiù rara (poi annullata deltutto nella sua consistenzaso nora), riemergeva ne glioggetti padroni dello spa-zio, che la sostituivanodegnamente. Insom ma,tutto era giocato entromargini di un collage bi-tri-tetradimensionale incui gli elementi si scam-biavano ruoli.Le commistioni s’inseri-vano perfettamente inquel filone di ricercainterdisciplinare, che, af -fondando le radici nelle

avanguardie primo-no ve -centesche, è andato svi -luppando le trame del - l’arte contemporanea.Nes suno può più credereoggi, non dico all’impor-tanza, ma addirittura al -l’esistenza di confini nettitra le arti. D’altra partenon si può perseguire inarte un purismo tecnicoquando le tecnologiestrumentali segnano svi-luppi vorticosi e sorpren-denti, e quando espres-sione e comunicazionesono ormai ampiamenteintertestualizzate. E poi,se fare arte significa per-seguire quello scarto dal-la norma di sklovskijanamemoria, che poi subitosi fa norma co stringendoa successive pratichedevianti, non ve do perché(come alcuni vorrebbero)questo culto dell’eccessodebba essere osservatosolo all’interno di rigidispecifici di marca aristo-telica.Per l’artista che abbia lapiena coscienza del “li -men”, l’eccesso è un do -vere. Ex cedere: oltre-passare, andare al di là,superare sistemi norma-tivi, griglie di regole nonsolo poetiche ed esteti-che, ma an che etiche etecniche. […] Gian CarloRiccardi alterna la sua

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luoghi e memorieGIAN CARLO RICCARDI

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di Giovanni Fontana

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esistenza di artista in duefasi contigue e comple-mentari: una di pressio-ne sul confine (che èfase di tensione di ricer-ca) e una di sfondamen-to del perimetro stesso(in cui la tensione accu-mulata esplode nel gestocreativo).Tempo addietro, a propo-sito della ennesima inde-finibile creazione riccar-diana (“Dell’impossibilevolo”: installazione? mo -stra? spettacolo?) misof fermai sull’inclassifi-cabilità della sua produ-zione e sulla realtà sine-stetica del suo lavoro.Ancora più in là, in occa-sione della presentazionedel libro “In fondo al poz-zo dell’immaginazione”,sottolineai il gioco dellaricerca e dell’accumulodegli oggetti con i qualicostruisce la sua opera(pressione sul confine)ed il rituale del montag-gio (sfondamento delperimetro), con tutto ciòche poi comporta l’im-magine finale (la sommadegli effetti) della costru-zione compiuta.Riccardi (che ha uno spi-rito sapientemente ba -rocco) ha sempre amatoesagerare, pur essendopienamente convinto chenel procedimento creativo

la devianza sembra asso-ciarsi al rigore della for-ma, che mai, però, tende-rà ad occultare l’unicoreferente che per lui con-ta: la sua sfera privata chesi stupisce di fronte almondo.Unica regola di questofare: la regola che giàpre vede la sua trasgres-sione, una trasgressioneche si placa nella regola,una regola quindi chesfugge a se stessa e cherincorre se stessa in unprofondo abissale ri -specchiamento. Per usa-re un concetto ben espo-sto da Douglas Hofstad-ter, direi che si tratta diuna regola “ricorsiva”,che è garanzia di movi-mento infinito. Per rile-garci invece agli oggetti,che popolano semprecon apodittica corporeitàle opere riccardiane, ri -cor derei la scatola di ca -cao olandese di MichelLeiris, che così bene in -carnava questo concettodi inafferrabilità, di verti-ginoso slittamento li nea -re: “Uno dei lati di questascatola era ornato diun’im magine che rappre-sentava una contadinacon una cuffia di merlet-to, rosea e fresca, la qua-le teneva nella mano sini-stra una scatola identica,ornata della stessa imma-gine, e la mostrava sorri-dendo”. Così all’infinito.Ma torniamo al metodo. Ilmodello sembra esserequello della retorica anti-ca. […] Inventio, Dispo-sitio, Elocutio, Actio, Me -moria.Invenire significa ricerca-

re e trovare. Riccardi fiu-ta il quotidiano con il fil-tro della sua sensibilitànervosa, scova, spolvera,conserva, ritaglia, ac -cumula, sceglie, ripone,scarta. Nelle sue mani èun continuo passaggio dicose materiali. Immaginicartacee, vecchi appunti,foto sbiadite, cianfrusa-glie, fascinosi rifiuti.La Dispositio è la fasestrategica. Come dispor-re gli oggetti nello spa-zio. Secondo quale ordi-ne. (Qui la pressione sulconfine comincia adessere forte).L’Elocutio rappresenta ilgusto dell’articolazione.Del mettere e del levare.Dell’intrecciare. Del so -vrap porre. Il gusto deltravestimento. Il piaceredell’affabulazione. Il din a -mismo di suoni reali ocristallizzati. (Il perimetrocomincia a cedere).Nell’Actio si esalta il ge -sto. Ora contenuto e len-to, ora deciso. È il ritmo.È la dinamica della luce edelle ombre. È il contattodei corpi. Le pulsazioni.L’offrirsi al pubblico co -me vittima sacrificale diun rito senza necessità.(È il momento del grandepasso).Infine la Memoria. Di ciòche è stato. Di ciò che staaccadendo. L’infinita re -gistrazione del mondo.Costruzione. Amplifica-zione di sé. Cuna segretadell’esistenza. Archivio diinfinite figure. Guida alfuturo.E qui, ad anello, il giocosi ripiega su se stesso.La memoria guida l’in-

ventio. E l’inventio è unrepechâge nella memo-ria. Ma è un richiudersiin un’altra dimensione.Più in là nel tempo. Piùin là nello spazio, che sifa tempo e scorre an -ch’esso da una scatola dicacao all’immagine del lascatola, all’immaginedel l’immagine della sca-tola, all’immagine del-l’immagine dell’immagi-ne della scatola di cacaoe così via. Insomma, ilprocedimento è quellodella “messa in scena” diuno spettacolo infinitoche va rigenerandosi,che va traendo nuovaenergia de bordando dalproprio pe rimetro. Maqui la locuzione “messain scena” va in tesa nonin senso strettamentetea trale. Sarebbe ridutti-vo. Non par lerei, comun-que, nem meno di “mes-sa in opera”, ché apparestatico. Al termine scena,infatti, si associa natura-le il verbo invenire (sce-gliere il te sto, ricercaregli elementi di scena,trovar le robe, rimediarcostumi, stabilire i gesti,vagliare le parole, ripe-scare nel re pertorio delleespressioni), ma anchel’idea di restituzione: larestituzione di un pro-dotto allotrio, di un og -getto trasfigurato o di unmetamorfico rituale chetende a debordare».Su queste azioni è pur-troppo tristemente calatoil sipario, ma la scenaresta. Gian Carlo Riccardici lascia un prezioso pa -trimonio di immagini, diidee, di memorie.

Immagine da "Teatro" di Gian Carlo Riccardi,Teatro Nestor,Frosinone, 1980.Elaborazione fotograficadi G. Fontana.

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“Territori” numero trenta. La rivista ringrazia gli autori dei testi e dei progetti finora pubblicati.

Antonio Abbate - Antonio Alfani - Mariano Apa - Daniele Baldassarre - Carlo Bal das si ni - Andrea Ba -

sto ni - Paolo Emilio Bellisario - Mirella Bentivoglio - Luigi Bevacqua - Sergio Bonamico - Marco

Bussagli - Giuseppina Pieri Buti - Luca Calselli - Marina Campagna - Claudio

Canestrari - Roberto Capal do - Renato Caparrelli - Angelo Capasso - Matteo

Capuani - Marcello Carlino - Tulliano Carpino - Sergio Car retta - Gianfranco

Cautilli - Massimiliano Celani - Benedetta Chiarelli - Francesco Cian fa rani -

Ivan Coc carelli - Laura Coppi - Giacomo Cozzolino - Paolo Culla - Vincenzo

D’Alba - Angela D’Alessandris - Olindo D’Alvito - Felice D’Amico - Francesco Maria

De Angelis - Attilio De Fazi - Ni co letta Degani - To nino De Luca - Cinzia De Pau lis - Gaetano De

Persiis - Giu seppina D’Errico - Massimo Dicecca - Fran ce sca Di Fazio - Roberta Di Fazio - Tiziana Di

Folco - Alessandra Digoni - Ma rio Di Sora - Bruna Dominici - Gillo Dorfles - Laura Fabriani - Ezia

Fabrizi - Gio Ferri - Pier lui gi Fio rentini - Giovan ni Fontana - Fulvio Forlino - Marco Garofalo - Mau ri zio

Gat ta buia - Luigi Gemmi ti - Dario Giovini - Alessandro Marco Gisonda - Clau dio Giu di ci - Anna Guil -

lot - Francesco Gurrieri - Ugo Iannazzi - Giuseppe Imbesi - Gio van ni Ja co bucci - Wilma Laurella -

Danilo Lisi - Mario Lunetta - Alfonso Maio li no - Stefano Manlio Mancini - Mauro Mangili - Raffaele

Manica - Angelo Marcoccia - Marco Ma ria ni - Bruno Marzilli - Paola Mas sa - Cinzia Mastroianni -

Margherita Maz zen ga - Francesco Me laragni - Guido Moretti - Mario Morganti - Massimo Mori - Daniela

Morone - Ma ria Claudia Nardo ni - Manfredi Nicoletti - Marco Odargi - Alberto Pa glia - Mau ro W.

Pagnanelli - Francesca Pagliuca - Giorgios Papaevangeliu - Fa bri zio Pa petti - Caterina Parrello - Maurizio

Pascucci - Maurizio Petrangeli - Lamberto Pignotti - Er ne sto Pir ri - Ma rio Pisani - Debora Plo mitallo -

Maurizio Pofi - Luca Porqueddu - Ugo Pulcini - Loredana Rea - Angelo Ric ciar di - An to nel la Santori -

Marta Scuncio - Giancarlo Simoni - Alessio Sirizzotti - Alfredo Spalvieri - Fe li ce Maria Spi ri to - Maria

Cristina Tarantino - Alessandro M. Tarquini - Livia Tarquini - Nello Teodori - Massimo Ter zi ni - Luigi Tra so li -

ni - Pietro Angelo Travaglini - Emanuele Vendetti - Paolo Venditti - Franco Zagari - Franca Zoccoli