Territori 22

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Periodico dell'Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Frosinone. Magazine of the Architects in Province of Frosinone (Italy) directed by Giovanni Fontana. In this issue, contributions by Giovanni Fontana, Giuseppina D'Errico, Cinzia De Paulis, Gaetano De Persiis, Cinzia Mastroianni Vincenzo D'Alba, Alberto Paglia, Luigi Bevacqua and others. Cover: Casamari, Abbey. Graphic design: D'Amico Graphic Studio

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S O M M A R I O

EDITORIALE

Una divagazione sull’arte africana Giovanni Fontana pag. 3

L’ARCHITETTURA E LA STORIA

Isola di Sora: il piano industriale per la rinascita della cittàattraverso i disegni di Giuseppe Giordano Giuseppina D’Errico pag. 4

TESI DI LAUREA

I prospetti architettonici su corso Umberto I a Boville ErnicaRestauro e indicazioni di orientamento cromatico Cinzia De Paulis pag. 13

IL TERRITORIO E LA STORIA

Il lago di Paola, dimora di Circe Gaetano De Persiis pag. 20

Musei e didattica per “comunicare il territorio”:l’esempio di Casamari Cinzia Mastroianni pag. 28

SPAZIO E PROGETTO

Discontinuità urbana, continuità architettonica Vincenzo D’Alba pag. 33

La chiesa di Santa Elisabetta a Boville Ernica Alberto Paglia pag. 39

ALTRI LINGUAGGI

Africa? Una nuova storia Luigi Bevacqua pag. 44

Quadrimestrale dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Frosinone Reg. Tribunale di Viterbo n. 408 del 31/05/1994 gennaio-aprile 2010 - anno XVII - n. 22

In copertina: Abbazia di Casamari,foto di Giovanni D’Amico (particolare)Direttore responsabileGiovanni FontanaComitato Scientifico RedazionaleDaniele BaldassarreLuigi BevacquaFrancesco Maria De AngelisAlessandra DigoniGiovanni FontanaWilma LaurellaStefano Manlio ManciniGiorgios PapaevangeliuMaurizio PofiAlessandro M. TarquiniMassimo TerziniResponsabile DipartimentoInformazione e ComunicazioneFrancesco Maria De AngelisSegreteria di redazioneAntonietta DrogheiSandro LombardiImpaginazione e graficaGiovanni D’AmicoCoordinamento pubblicitàD’Amico Graphic Studio03100 Frosinone - via Marittima, 225tel. e fax 0775.202221e-mail: [email protected] StampaTipografia Editrice Frusinate03100 Frosinone - via Tiburtina, 123

ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTIE CONSERVATORI DELLA PROVINCIADI FROSINONE

Presidente: Bruno Marzilli Vice Presidente: Alessandro Tarquini Vice Presidente: Giulio Mastronardi Segretario: Francesco Maria De Angelis Tesoriere: Dario Giovini Consiglieri: Lucilla Casinelli

Laura CoppiMaurizio Ciotoli Felice D'Amico Roberto De Donatis

Consigliere Junior: Adamo Farletti

Segreteria dell’Ordine03100 Frosinone - piazzale De Matthaeis, 41Grattacielo L’Edera 14o pianotel. 0775.270995 - 0775.873517fax 0775.873517sito Internet: www.fr.archiworld.ite-mail: [email protected]

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n questo numero lo spazio destinato agli “altri linguaggi”è impegnato da un articolo che Luigi Bevacqua ha dedica-to alla mostra “Africa? Una nuova storia”, allestita a

Roma, al Vittoriano, con opere della collezione Pigozzi ed unaselezione di lavori scelti dalle ambasciate dei Paesi africani. Mi si perdonerà, allora, se, trascinato dalla circostanza, ho con-vertito il consueto spazio dell’editoriale in una nota informati-va che riprende l’argomento, illustrando recenti eventi che, inparte, mi vedono coinvolto. Mi riferisco alla III Biennale Inter-nazionale d’Arte di Malindi, curata da Achille Bonito Oliva eorganizzata da Sarenco, in collaborazione con Giulio Bargelli-ni (impegnato nell’arte, presso il suo museo Magi ’900 diPieve di Cento, affidato alla direzione di Vittoria Coen, e dedi-to in Kenya a numerose attività filantropiche) e alle iniziativeitaliane riguardanti l’attività di Esther Mahlangu, l’artista suda-fricana scelta dalla FIFA quale testimonial ufficiale per i Cam-pionati del Mondo. Della Biennale, in programma nella città keniana dal 29 di-cembre 2010 al 28 febbraio 2011, è stata presentata, il 2ottobre, un’anteprima al Magi ’900. Achille Bonito Oliva ne haillustrato i caratteri, soffermandosi sugli aspetti multiculturali,transnazionali e multimediali. Per l’occasione sono state pro-poste performance di Julien Blaine, Sarenco e del sottoscritto. Circa le iniziative che riguardano la Mahlangu, invece, ricordoche l’artista è arrivata in Italia per realizzare, a Firenze, ungrande murale in onore di Nelson Mandela, per inaugurarneun altro, già realizzato in collaborazione con gli studentidell’Accademia di Belle Arti, a Calenzano, e per aprire dueretrospettive, al Magi ’900 e alla Galleria “Franco Riccardo”di Napoli. Anche qui un importante ruolo nell’organizzazioneè svolto da Sarenco, artista tra i massimi esperti di arte africa-na, scopritore di talenti, promotore e curatore di importantieventi nel settore. Attualmente sta realizzando per le edizionidi Adriano Parise i cataloghi generali delle opere di KivuthiMbuno, Maurus Malikita, Joseph Lyombo, Mohamed Cha-rinda, Mikidadi Bush e George Lilanga. Di quest’ultimo, scom-parso nel 2005, è già uscito il quarto volume delle opere.Di Esther Mahlangu, nata nel 1935, ricordiamo l’appartenen-za alla tribù Ndebele, che raccoglie vari gruppi etnici diffusinello Zimbabwe occidentale e nella regione del Transvaal anord-est del Sud Africa. La sua consacrazione come artista dilivello internazionale è avvenuta nel 1989 con la mostra Ma-giciens de la terre tenutasi al Centre Pompidou di Parigi. Daquel momento non si contano le sue mostre nei più importan-ti musei del mondo. Tra i lavori più significativi ricordiamo lafacciata del palazzo della BMW a Washington, le decorazioni

sulle code degli aerei della British Airways e l’affresco allaBiennale di Lione in collaborazione con Sol Lewitt. La Mahlangu inizia a dipingere a dieci anni, seguendo lo stilepittorico della tradizione locale, la cui tecnica è trasmessa inlinea femminile. Secondo il rituale, le donne ridipingono lecase in occasione della cerimonia di passaggio dei figli maschidalla pubertà all’età adulta. Sulle pareti è creato un fondoliscio utilizzando sterco di vacca e gesso, sul quale sono poitracciate caratteristiche forme geometriche colorate, contorna-te da un rigo nero per far risaltare i colori sul fondo bianco.Particolare poco noto, ma fondamentale nella tecnica pittori-ca di Esther Mahlangu, è che l’artista, nel rispetto della tra-dizione Ndebele, non utilizza normali pennelli, ma usa solopenne di gallina, tenute assieme da uno spago come a for-mare una piccola fascina. Le sue figure geometriche, pur rife-rite alla tradizione, sono di una straordinaria contemporanei-tà. Divenuta un’artista di fama mondiale, la Mahlangu viveancora nel suo villaggio a stretto contatto con la propria cul-tura; lì ha costruito una scuola per tramandare la propria artealle nuove generazioni.

Gli artisti invitati alla Biennale di MalindiTra gli artisti africani sono presenti i kenyani Hellen Anyango, Lonaa,Kivuthi Mbuno, Cheff Mwai, David Ochieng, Richard Onyango, N.V. Pa-rekh, Abdallah Salim, Peter M. Wanjau, i tanzaniani Mikidadi Bush,George Lilanga, M. Maurus Ma-likita, i sudafricani Rodney Bar-nett, Esther Mahlangu, GuyTillim e Graeme Williams, l’an-golano Antonio Ole, dallo Zam-bia Stephen Kappata e dal Mo-zambico Ricardo Rangel. Tra inon africani, i francesi BernardAubertin, Julien Blaine, Jean-François Bory, Pierre Garnier, ilcanadese Monty Cantsin, l’olan-dese Hans Clavin, il belga LucFierens, il giapponese ShozoShimamoto, il cinese Zhao Ban-die e gli italiani Francesco Ba-ronti, Eros Bonamini, Luigi Cola-janni, Giuseppe Desiato, Gio-vanni Fontana, Fabrizio Gar-ghetti, Riccardo Guarneri, Patri-zia Guerresi, Innocente, ArrigoLora-Totino, Ignazio Moncada,Umberto Polazzo, Sarenco, Gio-vanni Sesia, Luigi Tola.

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1. Giovanni Fontana conGeorge Lilanga a Dar esSalaam, Tanzania, 2000.2. Case decorate daEsther Mahlangu.

di Giovanni Fontana

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e vicissitudini legate all’in-stallazione di una trafila di fili diferro nell’Isola di Sora, odiernaIsola Liri, alla fine del XVIII seco-lo, sono state ampiamente trat-tate in più riprese da autorevolistudiosi1, ma nuovi dati acquisitinel corso delle mie ricerchehanno permesso di fare chiarez-za sull’intero progetto di indu-strializzazione. La prima informazione interes-

Isola Liri era già stato appuratoin passato, il ritrovamento di uncospicuo incartamento ineditoconservato presso l’Archivio diStato di Napoli, dal titolo Attiformati di Sovrano Real Co-mando su dei progetti del Can.D. Giacinto Pistilli dell’Isola diSora circa le macchine Idrauli-che da potersi formare col bene-ficio delle acque che sgorgano indetta Terra3, ha consentito di

chiarire definitivamente, oltrel’esatta cronologia, l’apporto ela posizione dei diversi protago-nisti, nonché di pervenire a unadettagliata descrizione dei pro-

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di Giuseppina D’Errico*

L ’ A R C H I T E T T U R A E L A S T O R I A

L

sante è quella desunta dall’origi-nale curriculum vitae stilato dal-l’architetto napoletano Giusep-pe Giordano nel 1821, in cui ri-ferisce dell’affidamento del suoprimo incarico importante nel1792, quando «volendo SuaMaestà stabilire nell’isola diSora una fabbrica di fili di ferroestero da supplire ai bisogni delRegno» fu incaricato del proget-to e nominato Direttore2.Se il coinvolgimento di Giordanonella vicenda dell’impianto dialcune fabbriche nei territori di

*Architetto, nel 2009 consegueil titolo di Dottore di ricerca inStoria e critica dell’architettura,presso la Seconda Universitàdegli studi di Napoli, con una tesidal Titolo “Dall’architettura al-l’ingegneria: l’opera di GiuseppeGiordano nel Regno di Napoli(1764-1852)”.

ISOLA DI SORA:il piano industriale

per la rinascita della cittàattraverso i disegni

di Giuseppe Giordano

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getti rappresentati nei grafici fir-mati da Giuseppe Giordano. Il vasto programma restò, difatto, incompiuto a causa dellevicende politiche della Repub-blica Partenopea e dell’invasio-ne francese nel Regno; ma lasua analisi è comunque moltointeressante perché offre unaistantanea a quella data dei ter-ritori in esame e dei più impor-tanti edifici produttivi esistentiche avrebbero dovuto servire damodello per le nuove fabbricheborboniche.Gli insigni studiosi che si sonooccupati del caso sono concor-di nell’attribuire l’iniziativa delprocesso di industrializzazionedell’Isola a un imprenditoredello Stato Pontificio, GiovanniAntonio Sampieri, già titolaredi una fabbrica di ferro filato aRoma, che nel febbraio del1795 strinse accordi con loStato Borbonico per avviare uncomplesso per la trafilatura delferro, che sfruttasse la forzamotrice delle acque del fiumeLiri4. L’analisi dell’originale docu-mento da me ritrovato ha per-messo di retrodatare l’interavicenda al 1790, quando ilCanonico della collegiata diCastelluccio Giacinto Pistilli, ori-ginario dell’Isola di Sora, pre-sentò al Re Ferdinando il pro-getto di «costruirsi per contodell’Erario col beneficio delleacque che sgorgano in dettaTerra non poche macchineidrauliche da fonder cannoni,

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due tecnici fu una dettagliatissi-ma relazione suddivisa in trearticoli, ciascuno dei quali strut-turato in tre sezioni.Il viaggio consistette in un’at-tenta campagna di rilievo, voltaa conoscere prima di tutto il ter-ritorio, al fine di dare con cogni-zione di causa un parere circal’effettiva possibilità e utilità diimpiantare le macchine propo-ste da Pistilli; ma soprattuttogran parte dei sopralluoghi fu

da filar ferro, rame ed ottone,da far carta su gusto di quelladi Olanda, da valcar panni, dasecar tavole, e da trarre la se-ta»5. Lo scopo era quello distrutturare in maniera diversa epiù funzionale il territorio che,pur essendo dotato di fabbricheper la lavorazione dei panni dilana, di proprietà ducale, versa-va in condizioni estremamentearretrate, tanto da costringerenumerosi lavoratori ad emigra-re nel vicino Stato Pontificio. Il cosiddetto «piano Pistilli» perdisposizione del Supremo Consi-glio di Finanze fu comunicatoall’avvocato Giovanni Minieri, inqualità di ministro generale delduca di Sora possessore delfeudo. La proposta non fu accolta dibuon occhio da Antonio II Bon-compagni, duca di Sora, chetemeva soprattutto per la sortedelle fabbriche di panni, la risor-sa economica più rilevante delsuo ducato.La questione con la Real Cartadel 29 dicembre 1792 passa alvaglio del Tribunale di Campa-gna6, «col comando di dover que-sto Tribunale esaminare quantol’una e l’altra parte si espone eponderando quel che sopra prati-carsi in veduta delle circostanzelocali ne riferisse le risulte conquel che l’occorre»7.Il Regio Tribunale, nella personadel Commissario di CampagnaTommaso Oliva, nomina comeperiti Giuseppe Giordano e Vin-cenzo Ferraresi «ad finem reco-

gnoscendi et referendi occurren-tia». Tale conferimento d’incari-co rappresenta una nota deltutto originale, che per la primavolta chiarisce la posizione diGiordano e Ferraresi chiamati aintervenire, quali delegati delTribunale di Campagna, col com-pito di valutare la proposta diPistilli, tenendo costantementeconto delle asserzioni di Minieri,con la conseguente formulazio-ne di un progetto definitivo e diuna stima delle eventuali opereda realizzarsi. Con una lettera del 29 aprile1793 il procuratore di Pistillirichiese «per maggiori delucida-zioni di esso sig. Commissario edella M. S. intorno all’esecuzio-ne dei progetti dal suo Principalepresentati», la pianta del fiumedell’Isola «per quell’estenzionesoltanto che i periti eletti riten-gono necessaria» e di tutti i sitie i territori e di «fare tutte lelivellazioni necessarie», e ciò«per la facilitazione dei progettimedesimi». Giuseppe Giordano e VincenzoFerraresi, in qualità di Archi-tetti Idraulici, iniziarono il 17aprile 1793 un itinerario lungoe faticoso, durato 56 giorni,che li vide spingersi, con este-nuanti viaggi, oltre che nei ter-ritori contermini all’Isola, finoai confini dello Stato Pontificio,con trasferte che richiesero unparticolare permesso accordatodal Re8. Il risultato dell’analisi approfon-dita dei luoghi effettuata dai

spesa nel rilevamento delle fab-briche da prendere a modelloper la realizzazione dei progetti.Tutti gli spostamenti e le ricogni-zioni dei due architetti prima, epoi del solo Giordano in una fasesuccessiva, sono ampiamentedocumentati in un circostanziatodiario di viaggio, tenuto dallostesso architetto, posto a corredodella inedita relazione.La prima parte delle ispezioni fututta finalizzata alla stesura di

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Arch. GiuseppeGiordano, disegni dellacartiera realizzata da Pio VI nella città di Subiaco e dellafabbrica di fil di ferroper "100 tenaglie".A pag. 4-5: Arch.Giuseppe Giordano,Pianta topograficadell'Isola di Sora, 1793.

una grande pianta di Sora e deiterritori circostanti che avrebbeaccompagnato la relazione9.I sopralluoghi non si esaurironocon la visita dei luoghi, ma con-tinuarono con controlli alle vici-ne miniere di ferro di Morino edi Canneto, al fine di valutarel’effettiva possibilità di riforni-mento del minerale da lavorarenelle manifatture da costruirsinell’Isola, dunque per la primavolta, grazie all’originale rela-

zione, si può documentare iltentativo di voler sfruttare lerisorse locali e valorizzare lepotenzialità del Regno, senzadover ricorrere alle importazionidall’estero10. Le perlustrazioni si spinserofino alla miniera di Campo diGrano11, ritenuta da tutti lamigliore; tanto da essere prefe-rita dall’amministratore stessodella miniera di Morino, il qua-le sosteneva che «nella istessa

ferriera di Morino» si fondesse«il minerale che si trasporta daCampo di Grano, quantunquele strade si ritrovino in pessimostato»12. Non ancora soddisfatti, i tecnicisi diressero, con i campioni diminerale estratti dai tre giaci-menti esaminati, ad effettuaredei saggi alle ferriere di Subiacoe di Tivoli13. Dalle analisi effettuate sui cam-pioni forniti dai due architetti, il

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migliore materiale trafilato risul-tò essere quello estratto dallaminiera di Campo di Grano; mada un’ulteriore verifica effettua-ta presso la ferriera di SanPietro in Montorio14 a Roma,neanche questo minerale si rive-lò essere di buona qualità. Dunque i tecnici arrivarono allaconclusione che si sarebbe potu-to utilizzare il materiale prove-niente da Piombino, così comeavevano visto fare durante isopralluoghi nelle ferriere diTivoli15, Conca e Fermentino16;senza però escludere una futurapossibilità di sfruttamento dialtri giacimenti, magari su sug-

gerimento di esperti di mineralo-gia spediti in quel periodo inGermania ad approfondire leloro conoscenze. Dopo la perlustrazione delleminiere, il viaggio dei due archi-tetti entrò nel vivo del progettodi industrializzazione, con lavisita alle fabbriche da prenderea modello per la successiva pro-gettazione.Gli architetti però non produsse-ro grafici di tutte le fabbricheche visitarono, con motivazionidiverse da caso a caso. Per alcu-ne, come a esempio per il RealConvitto del Carminiello a Na-poli, che scelsero come prototi-

po per la progettazione di unfilatoio da seta «all’uso del Pie-monte», la spiegazione addottafu della non necessaria iterazio-ne di un modello ben conosciutodal re17.Oltre che per il setificio del Car-miniello i due architetti non pro-dussero disegni di dettaglionemmeno per la fabbrica di pan-nine, dal momento che la lavo-razione della lana aveva neldistretto di Sora una tradizionesecolare, e quindi sarebbe ba-stato realizzare un opificio simi-le a quelli esistenti visitati, e chesfruttasse al meglio le potenzia-lità del luogo.

Arch. GiuseppeGiordano, disegni delforno di fusione diBracciano.

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N O T E1. Cfr. G. E. Rubino, Archeologia industriale e Mezzogiorno, Roma, 1978, pp. 126-144; P. Balbo, S. Castellet y Ballara, T. Paris, La Valle del Liri: gli insediamenti storicidella media Valle del Liri e del Sacco, Roma, 1983, passim; G. E. Rubino, L’industriasiderurgica nel distretto di Sora in età Borbonica, in AA. VV., Trasformazioni industrialinella media Valle del Liri in età moderna e contemporanea: atti del ciclo di conferenzetenute in Sora, novembre 1984-aprile 1985, pp. 140-141; S. de Majo, Manifatture,industria e protezionismo statale nel Decennio, in AA. VV. (a cura di A. Lepre), Studi sulRegno di Napoli nel Decennio Francese (1806-1815), Napoli, 1985, pp. 17-18; S. M.Mancini, Un’occasione perduta: il progetto della trafila dell’Isola di Sora nei disegni del-l’architetto Giuseppe Giordano (fine sec. XVIII), in «La provincia di Frosinone», supple-mento al n. 1, aprile 1990, a. VII, n.s. Terra dei Volsci. Contributi 1989, pp. 83-94;G. E. Rubino, Le fabbriche del sud, Napoli, 2004, pp. 192-194.2. ASN, Scrutini di Polizia, f. 10.3. ASN, Ministero delle Finanze, 2885 bis.4. G. E. Rubino, Archeologia industriale e Mezzogiorno, op. cit., p. 129.5. ASN, Ministero delle Finanze, cit., p. 1.6. Il Tribunale di Campagna era un’istituzione esistente in Terra di Lavoro dal 1630, incui il Commissario riprendeva i compiti che in passato spettavano a un Giudice di Vicariache periodicamente era inviato in Terra di Lavoro quale commissario «contra delinquen-tes». Menzionati per la prima volta nella prammatica del 21 gennaio 1586, i commis-sari di campagna in tempi successivi sarebbero diventati giudici delegati permanenti,competenti per i delitti gravi contro le persone o il patrimonio di Terra di Lavoro. Perulteriori informazioni sul Tribunale di Campagna cfr. Corpi armati e ordine pubblico inItalia (16.-19. sec.), a cura di L. Antonielli e C. Donati, Rubbettino, 2003, pp. 58-59.7. ASN, Ministero delle Finanze, cit., p. 13.8. «Si deve di necessità entrare in alcuni luoghi del finit.imo Stato Pontificio distantipoche miglia dalla suddetta Isola di Sora per osservare ed essere informato di varie cir-costanze confacenti al cennato progetto quindi è che lo rassegno a la sovrana intelligen-za di S. M. e pel suo real permesso circa il passaggio nella Pontificia Giurisdizione».ASN, Ministero delle Finanze, cit., p. 13.9. Il disegno a colori, pubblicato per la prima volta in G. E. Rubino, Le fabbriche del Sud,op. cit., p. 190, porta l’intestazione «Pianta Topografica dell’Isola di Sora - Fatta nel-l’anno 1793». Sul margine sinistro cartiglio con le due didascalie: «Spiegazione dellaPianta: Tutta la tinta color rosa dinota la pianta delle Fabb.e antiche - La tinta color gial-lo dinota la risoluzione de nuovi progetti. A - Palazzo del Duca di Sora, B - Cascata ver-ticale del Fiume Liri alta pal: 94, larga pal: 45, C - Cascata a pian inclinato di lung.apalmi 700, larga pal: 60, D - Mulino, Trappeto, e Lanificio, E - Ramiera dismessa, F -Cappella nello spiazzo del Palazzo, G - Gran Scuderia, H - Chiesa Parrocchiale di S.Lorenzo, I - Chiesa, e Convento di S. Francesco, K - Ponte di Regno, L - Ponte diCampagna di Roma, M - Granajo del Duca, N - Cappella di S. Giuseppe, O - Giardini delDuca, P - Casino del Duca sopra la Collina di S. Sebastiano, Q - Avanzi di un’antico ponteConsolare volgarm.e d.to Marmone, R - Altro avanzo di un ponte antico d.to di S. Paolo,S - Cascatelle del Fiume Liri, T - Cappella di S. Restituta, ove fu decollata, V - Anticatorre quasi diruta, X - Valchiera dell’I.ttre Duca, Z - Cartiera, Y - Mulino, & - Osteria, W- Casa del Can. Pistilli»; «Spiegazione del Progetto: I numeri 1,2,3,4, …fino al n. 16- Dinotano l’andam. del p.mo Canale d’irrigazione da derivarsi dal Fiume Fivreno, nelluogo detto Carnello, i num: 17, 18, 19 …fino al n.o 26 - Dinotano l’andam. del 2.doCanale, Il n. I - E’ il Sito della Fonderia de Cann.i, Il n. Il - Sarebbe la posizione dellaFabrica del Fil di Ferro con li Canali, che calano ad animare le rota, III - Sarebbe la situa-zione detta nuova Fabrica della Cartiera, IV - E’ la situazione della Fabrica del Filatoio,e Fornelli per trarre la Seta, V E’ la situazione della Sega ad acqua, VI - Situazione dei Forni di Fusione, e Ferriera. Tutto il rimanente nella Relazione si dimostra». In bassola dedica a Ferdinando IV P.F.A. Regnorum Suorum Emendatori e la firma dell’autoreIoseph Giordano Arch.» fecit.10. Secondo quanto appuntato nel diario di viaggio tenuto da Giordano, il 2 maggio1793 avvenne l’incontro col direttore della ferriera di Morino, Vitantonio Battiloro, e ilgiorno successivo con Luigi Sebastiano, amministratore della ferriera di Canneto. InItinerario Giornale degli accessi fatti dagli ing. Ferraresi e Giordano col Sig. Commissariodi Campagna D. Tommaso Oliva, all’isola di Sora, in ASN, Ministero delle Finanze,2885 bis, cit., pp. 98 sgg.11. Mentre l’esistenza del giacimento e del relativo stabilimento di Canneto, oggidistrutto, e di Morino, attualmente allo stato di rudere, è stata registrata dalla lettera-tura specifica, non si ritrovano informazioni circa la miniera di Campo di Grano sufficien-ti per tentarne una precisa localizzazione.

Non esistono rilievi neanche perlo stabilimento per fondere icannoni, poiché i tecnici si con-fessarono poco esperti, ricondu-cendo la loro scarsa preparazio-ne alla esigua presenza di mac-chine di tal genere nel Regno. Rivolsero invece la loro attenzio-ne, con notevole impegno e de-dizione, allo studio di impianti diferriere e di cartiere, riproducen-doli in dettagliati disegni.Si diressero nella cartiera giàesistente a Sora, in località Car-nello, distante un miglio dal-l’Isola, che produceva carta discarsa qualità e che con la suaproduzione non soddisfava più i

bisogni della popolazione. Infat-ti la maggior parte degli abitan-ti si riforniva di carta «fore-stiera» e specialmente di quellaproveniente da Subiaco nelloStato Pontificio. Per questomotivo il 14 maggio 1793 Gior-dano e Ferraresi si recaronopresso l’opificio per visionarnela tecnologia utilizzata. La scel-ta ricadde sul modello subiacen-se dal momento che questo rap-presentava l’emblema dell’inno-vazione; infatti durante i restau-ri avvenuti nella seconda metàdel XVIII secolo ad opera di PioVI, venne dotata di una nuovatecnologia definita all’”olande-

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della zona di essiccamento dellacarta19. La pianta della cartiera era inol-tre caratterizzata da una serie diserbatoi che avevano la funzio-ne di purificare l’acqua prove-niente dall’Aniene, altrimentitorbida. Gli architetti sottolinea-rono nel loro rapporto, chevolendo costruire una fabbricasimile a Isola, si sarebbe rispar-miata la realizzazione di taliespedienti, considerando la lim-pidezza delle acque del Liri e laforza della loro caduta.

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se” che permise di aumentarein maniera esponenziale la pro-duzione, riuscendo ad impegna-re in alcuni periodi circa duecen-tocinquanta operai. I due tecnici, dopo aver visitatoanche la cartiera di Roma sopraS. Pietro in Montorio18, furonosempre più convinti di progetta-re la cartiera di Isola sulla falsa-riga di quella di Subiaco e nefornirono un dettagliato rilievosotto la supervisione di Giu-seppe Catani, Direttore dello sta-bilimento.

L’opificio si presenta come unanaturale evoluzione delle cartie-re tradizionali, rispetto alle qualipresenta una pianta rettangola-re allungata, che consentissel’installazione delle complesseapparecchiature, capaci di com-piere le differenti operazionisecondo un ciclo di lavorazionea catena. La cortina murariaviene a acquisire numeroseaperture per una maggiore illu-minazione dell’ambiente dilavoro, oltre che per l’ingloba-mento nel medesimo edificio,

Arch. Giuseppe Giordano,progetto per la fabbricadi fil di ferro concentocinquanta trafile.

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12. Ivi, p. 88.13. Notizie sulla ferriera di Subiaco sono contenute in S. Appodia (a cura di), L’areaindustriale degli opifici di Subiaco, Roma, 1996, passim; per un approfondimentosulla ferriera di Tivoli si veda R. De Felice, L’industria del ferro nei Dipartimenti roma-ni dell’Impero francese, in «Studi Romani», Anno IX, n. 1, Roma, Gennaio-Febbraio1961, p. 34.14. Alcune informazioni sulla ferriera di S. Pietro in Montorio sono contenute in A.Cassio, Corso dell’ acque antiche portate da lontane contrade fuori e dentro Romasopra Roma, Roma, 1756, p. 415.15. Sopralluogo del 16 maggio 1793. Dall’Itinerario Giornale, cit.16. Sopralluogo del 23 maggio 1793. Dall’Itinerario Giornale, cit.17. «Non abbiamo stimato per ora farne i disegni, per essere troppo cognita alla M.del Sovrano», ASN, Ministero delle Finanze, 2885 bis, cit, p. 96. 18. Notizie su questa fabbrica, e sull’attigua ferriera sono contenute in A. Cassio,Corso dell’acque antiche portate da lontane contrade fuori e dentro Roma sopraRoma, MDCCLVI, p. 415: «Sopra alle III Mole Innocenziane sono stati accresciuti gliedifizi della Cartiera e della Ferriera in distanza di pochi passi. Quella fin ad ora supe-ra tutte le qualità delle carte forestiere, sembrando al tatto morbido lustrino: questae per la grandiosità di vari dispendiosi stromenti per filare, e tondeggiare a forzad’acqua in più figure il ferro, produce ammirazione, ed utile alla città tutta, e alloStato, che per l’addietro ne facea provisione da lontani Paesi. Dell’introduzione di que-sti Artifici ne ha la Gloria il provido Pontificato di N. S. Benedetto XIV, che vi ha datala mano, leggendosene la perenne memoria scolpita in questa lapida per la cartiera;lasciandoci il Sig. Co. Sampieri Erettore in desiderio dell’altra. Sub Auspiciis BenedictiXIV P. O. M. Aedificium Cum Officina Cartaria Aere Proprio A Fundamentis ExtruxitJoannes Baptista De Sancto Petro Ann. Jub. MDCCL».19. Manifatture in Campania, op. cit., p. 45.20. «Ritornati dall’accesso il solo Giuseppe Giordano dai corti fatti in sopralluogo feceun altro disegno consistente anche nella pianta profilo ed elevazione di un forno difusione delineato simile a quello di Bracciano per fondere 2.000 cantaia di minera-le». Cfr. Itinerario Giornale, cit., p. 110. Il grafico, oggi conservato presso BNN, Sez.Manoscritti e rari, Ba 28/15, era corredato da una minuziosa didascalia esplicativa:«Spiegazione della Pianta: 1 – Officina inferiore a piedi del forno, 2 – Pianta delforno, 3 – Pianta dell’Arcella o Mantice, 4 – Piastra di ferro acre per poggiarvi laloppa, 5 – Argano per tirare il ferro nel Piscinale, 6 – Piscinale per raffreddare il ferro,7 – Porta d’ingresso, 8 – Intercapedine per evitare l’umido, 9 – Officina superioredel getto, 10 – Asse per buttare nel forno, 11 – Magazzini del ferro, 12 – Cortilescoperto, 13 – Fornaci per brustolire il minerale, 14 – Piastre di ferro acre per pista-re il minerale, 15 – Magazzini del carbone, 16 – Canale dell’acqua di cinque venti,17 – Camerino per contare le some; Spiegazione del Profilo: 1 – Officina inferiore aipiedi del forno, 2 – Profilo del forno, 3 – Elevazione del Mantice, 4 – Regolatore delvento, 5 – Arco di fabbrica che rafforza il forno, 6 – Argano per tirare il ferro del pisci-nale, 7 – Bocca del getto, ed esito della fiamma, 8 – Intercapedine per scostare ilterrapieno, 9 – Officina del getto, 10 – Profilo de’ magazzini del carbone, 11 –Profilo del Canale, 12 – Camerino del conta some, 13 – Elevazione del canale delvento». 21. «Tre forni fusorii di ferro si trovano nello Stato Pontificio, benché non v’abbiaminiera alcuna di questo metallo in attività. Uno è a Conca, l’altro a Bracciano ed ilterzo in Canino, località comodissime e pel combustibile e pel trasporto». L. Serristori,Notizie d’interessi materiali negli Stati Pontifici, in «Annali universali di statistica, eco-nomia pubblica, storia, viaggi e commercio», Milano, presso gli editori degli Annaliuniversali di medicina e di statistica, giugno 1841, p. 344; altre informazioni sulforno di Bracciano sono contenute in G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-eccle-siastica, op. cit., p. 236; Zuccagni, Orlandini, Attilio, Corografia fisica, storica e stati-stica dell’Italia e delle sue isole, Firenze, 1843, p. 581.22. Proprio per questo motivo il Commissario di Campagna Oliva ordinò ai tecnici direcarsi a Roma per rilevare la macchina di fil di ferro e per «pigliare tutte le notizieche l’accompagnano». In ASN, Ministero delle Finanze, 2885 bis, cit., p. 91.23. Sono scarse le notizie sulla fabbrica di Roma, oggi non più esistente, mentre inve-ce studi approfonditi sono stati condotti sulla antica ferriera di Ronciglione. Cfr.R.Castori-S.Ragonesi, Le ferriere di Ronciglione, Viterbo, 1991; E.Guidoni, La Ferriera,op. cit., passim.24. ASN, Ministero delle Finanze, 2885 bis, cit., p. 92.25. BNN, Sez. Manoscritti e Rari, Ba 28/11.26. ASN, Ministero delle Finanze, 2885 bis, cit., p. 92.

Oltre alla cartiera, i tecnici riten-nero necessaria la valutazionedella costruzione di un forno difusione per ridurre il «ferraccio»a ferro e di un maglio mosso dal-l’acqua con la sua incudine perbatterlo. Quindi proseguironoalla volta di Bracciano, dove sisoffermarono sullo studio delforno di fusione posto a comple-tamento del complesso della fer-riera, che rilevarono minuziosa-mente, e che avrebbe dovutoservire da modello per la fonde-ria dell’Isola20. Per l’industria

siderurgica pontificia il fornofusorio di Bracciano aveva unagrande importanza strategica,infatti insieme all’impianto diCanino e di Conca21, era l’unicoa produrre la ghisa che alimenta-va le diverse ferriere dello Stato.Un’altra fase fondamentaledella campagna di rilievo fuquella riservata alle ferriere rea-lizzate per volere dei Ponteficiromani, sul modello tedesco, aRonciglione, Bracciano e aRoma stessa, sopra San Pietroin Montorio22.

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12 TERRITORI

La trafila di Roma era compostada 10 tenaglioni, congegno chepermetteva di trafilare unaquantità di fil di ferro del tuttoesigua in confronto ai reali biso-gni della città; infatti si supplivaa questa carenza utilizzando ilferro proveniente dall’altra fab-brica di Ronciglione23. Se si fosse progettata una trafi-la che avesse sfruttato la stessatecnica usata in quelle delloStato Pontificio, per arrivare auna produzione tale da soddisfa-re il fabbisogno del Regno diNapoli, di cui i due architetti sierano preventivamente informa-ti presso la Regia Dogana, cisarebbe stato bisogno di almeno100 tenaglioni, che, se dispostialla maniera romana, avrebberorichiesto un’area troppo estesae una spesa troppo alta perazionarli.I tecnici ovviarono a tale incon-veniente abbracciando l’ideainnovativa e vantaggiosa didisporre i tenaglioni su più livel-li; così che mentre «i cilindri con

le loro palmette fanno giocare itenaglioni situati sul palco, conaltrettante palmette applicatenei medesimi cilindri tra glispazi delle prime, far giocarealtrettanti tenaglioni da situarsia pian terreno»24.Sulla base delle ricognizionieffettuate nelle varie ferrieredello Stato Pontificio, gli archi-tetti provvidero a stilare il dise-gno di una fabbrica di 50 tena-glioni situati su due livelli25; dun-que uno studio che faceva teso-ro dei modelli visionati e in piùsi arricchiva dell’ingegnosa ideaprogettuale. Analizzando l’edificio attraversoil grafico si evince un impiantorettangolare, disposto parallela-mente al canale da cui si sareb-be attinta l’acqua per l’alimen-tazione, articolato in nove cam-pate regolari, di cui le cinquecentrali erano occupate dai te-naglioni e le quattro laterali,disposte due per lato in manie-ra simmetrica, adibite moltoprobabilmente a magazzini, eseparate dalle restanti campatemediante due avancorpi conte-nenti i servizi. La facciata, scandita da bucatu-re rettangolari disposte su trelivelli, prevedeva un unico in-gresso centrale con vano arca-to, concluso con una coperturalignea a doppio spiovente. Una volta ultimato il disegnodella trafila, che sarebbe dovu-to servire per il calcolo precisodella spesa occorrente per la co-struzione di un simile manufat-to, i tecnici ne stabilirono la col-locazione in prossimità di quel-lo che avevano chiamato se-condo canale, che si trovava aun’altezza pari a circa 30 palmidal piano di calpestio dellacostruenda fabbrica. La vicenda del complesso per lalavorazione del ferro non si

esaurì con la stesura dei citatigrafici di rilievo. Infatti nel dia-rio di viaggio di Giordano è con-tenuta l’annotazione che alritorno a Napoli l’architetto «fe-ce un disegno consistente nellapianta, elevazione e profilo del-l’edificio della Trafila per 140tenaglioni dettagliato in tutte lesue parti»26. Lo stabilimento si presentavacome una riproposizione dellostudio effettuato in precedenzasulla fabbrica di Sampieri, conl’aggiunta delle innovazioni pro-gettate, il tutto però accresciutonelle dimensioni. Il disegno oltre a riportare inbasso a sinistra la firma di Gio-rdano, reca sul lato inferiore de-stro le firme e le approvazioni diSampieri e del suo IngegnereTommaso Zappati.Dunque il grafico è collegato aquella fase progettuale succes-siva alle prime ipotesi del1793, e che vede l’introduzio-ne della figura dell’imprenditoreSampieri. La presenza di un imprenditoreprivato, pronto a sponsorizzarel’opera, è leggibile anche attra-verso l’analisi della fabbrica, cheassume forme più imponenti e dimaggior prestigio, prendendolein prestito dalla tradizione del-l’architettura aulica e in partico-lar modo dallo stile vigente aquell’epoca in quell’ambiente,con la finalità di propagandarel’attività dell’impresa. Le varie tappe del viaggio deidue architetti denotano una pro-fonda conoscenza a priori dellastoria delle diverse produzioni,della loro evoluzione, delle inno-vazioni, e soprattutto dei luoghidove sono avvenute, che ha per-messo loro di andare a attinge-re alla fonte, e di documentarsisul campo attraverso minuzioseoperazioni di rilevamento.

Arch. GiuseppeGiordano, piantadell'Isola di Sora.

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, improvvisamente, apparela collina di Boville; avvicinan-dosi sempre più, si scorge impo-nente la cerchia delle mura anti-che, con le sue diciotto torri,dietro cui spunta il profilo deitetti e dei campanili; …quasisi riesce a sentire il suono dellecampane. [...]Questa è la visione che ho sem-pre ammirato e che colpisce chisi avvicina a Boville Ernica, cittàdella Ciociaria a circa 500 metri

suto S. Pietro Ispano. Intornoalla grotta che raccoglieva lespoglie fu eretta una chiesa insuo onore e, successivamente,il monumentale Palazzo Filo-nardi. Le notizie più remote ecerte sull’esistenza della chiesarisalgono all’VIII e IX secolo,come il Liberati conferma nelsuo “San Pietro Ispano e il co-mune di Bauco” (Siena 1888). Boville Ernica, già durante le in-cursioni saracene e ungare del IX

T E S I D I L A U R E A

I PROSPETTI ARCHITETTONICI SU CORSO UMBERTO I A BOVILLE ERNICA

Università degli Studi di Roma“La Sapienza”Facoltà di Architettura “Valle Giulia”Tesi di laureaCorso di Restauro architettonicoRelatore: prof. A. CuruniLaureanda: Cinzia De Paulis

slm. La vita in questo piccoloinsediamento urbano ha avutoinizio intorno all’anno 1000,quando, per scelte politico-stra-tegiche, in conseguenza di con-tinue invasioni di popoli ostili,l’iniziale insediamento pre-ro-mano, ubicato nel territoriocompreso tra la collina di Montedi Fico e l’attuale contrada Sas-so, fu abbandonato. La posizione del sito, la quotaelevata e quasi inaccessibile delmonte erano fonte di tranquilli-

tà e di sicurezza; ma la ragioneche indusse alla scelta di taleluogo fu anche un’altra: la pre-senza dell’eremo dove era vis-

Edi Cinzia De Paulis

restauro e indicazioni di orientamento

cromatico

e, improvvisa-

mente, appare la collina di

Boville; avvicinandosi sempre

più, si scorge imponente la

cerchia delle mura antiche,

con le sue diciotto torri, die-

tro cui spunta il profilo dei

tetti e dei campanili; …quasi

si riesce a sentire il suono

delle campane

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Palazzo Simoncelli (oggi Residenza Municipale)Il palazzo, costruito nel XVII sec. per volontàdel prelato G.B. Simoncelli, fu da costui dona-to, tramite testamento testato da Urbano VIII.Dalle disposizioni ivi apposte si conobbe che ilSimoncelli aveva vincolato i suoi eredi e gliesecutori testamentari affinché si trasformasseil palazzo in un monastero e vi si costruisseuna Chiesa fornita del decoro ed onore del ser-vizio divino. In ossequio poi del suo precurso-re, di cui portava il nome, volle che fosse dedi-cata a S. Giovanni Battista. Il palazzo fu affi-dato all’Ordine delle Suore Benedettine, che vidimorarono fino al 1895, quando a causa diun incendio che ne determinò l’inagibilità,furono costrette ad abbandonarlo. In seguito(1908-1912) fu venduto al Comune ed adibi-to a sede municipale. Il palazzo, uno degli epi-sodi più significativi dal punto di vista formale,tipologico ed urbanistico, s’inserisce organica-mente nel tessuto urbano storico. È situato inuno dei punti più alti della città (l’ingresso prin-cipale è a quota 488 metri slm). Il fabbricatosi estende su un’area molto vasta e ingloba alsuo interno un cortile porticato su due lati. Lafacciata principale, che insiste su CorsoUmberto I, si eleva su tre livelli evidenziati conmarcapiani in pietra ed è scandita da tre ordinidi finestre con cornici in pietra; quelle al pianoterra presentano delle mensole “inginocchia-te”, quelle del secondo piano poggiano diretta-mente sul marcapiano, le ultime hanno unasemplice cornice in pietra. A causa della pen-denza della strada, il piano terra risulta in partea livello stradale e in parte rialzato rispetto a questo. Nel 1923, per adibire uno dei vani del piano terra adautorimessa dei mezzi di proprietà del Comune, l’Amministrazione dell’epoca decise di demolire l’ultima fine-stra a destra del portone principale e di sostituirla con un apertura più ampia. Affinché non venisse turbata l’“armonia” del palazzo si pensò di ripetere la modifica, simmetricamente, dall’altra parte; ma il progetto nonfu portato a termine. Al centro della facciata si erge un ampio portale con arco, racchiuso tra semipilastri, realizzato completamen-te in pietra, che costituisce l’entrata principale del palazzo. Il portale è sovrastato da una finestra e questa, asua volta, da una composizione baroccheggiante con, al centro, lo stemma di Paolo V Borghese(pontefice dal 1605 al 1621), sul quale sono raffigurati un’aquila e un drago sim-boli della famiglia Borghese. Lateralmente altri due stemmi: quello a

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e X secolo, era identificabile co-me comunità, aveva una suastruttura e una sua conformazio-ne urbanistico-architettonica. Neè prova l’esistenza di documentie di carte topografiche riferiteall’anno 1058, su cui è riportatala presenza del “Castello di Ba-buci”, nel territorio della “Veru-lana Civitas”. L’espansione terri-toriale della cittadina ernica èstata la conseguenza di successipolitico-economici, che nel tem-po hanno favorito misure di dife-sa, come testimoniano il conti-nuo ampliamento delle mura difortificazione e l’aumento delletorri di avvistamento.L’agglomerato cittadino, racchiu-so dalla cinta muraria, è la sinte-si di interventi succedutisi neivari periodi storici, senza un pro-getto prestabilito, ma seguendometodologie d’impianto “aleato-

rie” e adottando quei caratteriarchitettonici che sono stati uti-lizzati nei secoli in corrisponden-za di politiche di espansione ter-ritoriale, ad oggi ancora riscon-trabili in molte città delle provin-cie italiane. Tale situazione ha portato inevi-tabilmente ad una disordinatasovrapposizione di stili e, soprat-tutto, a manomissioni e superfe-

tazioni, non sempre peggiorativedello “status quo ante”, ma chehanno, comunque, occultato i ca-ratteri originari dell’edificato.

Corso Umberto ILa scelta di Corso Umberto I, perquesto intervento di restauro, èstata determinata dal fatto cheesso costituisce l’asse principaledel Centro Storico. La strada ha origine nella parte

più alta della città, in corrispon-denza dell’ampio fornice d’in-gresso del Palazzo Filonardi(nucleo primitivo dell’insedia-mento), che ne assume il ruolodi testata prospettica, e attraver-sa, l’intero centro, seguendo lalinea di crinale della collina, indirezione nord-sud. Quasi a metàdel suo percorso sbocca su unodegli spigoli della piazza principa-le, Sant’Angelo, proseguendosullo spigolo opposto verso sud,

Frutaz, “Il Lazio” 1693.In basso: Corso Umberto I, rilievo dellostato di fatto e propostadi restauro.A sinistra, assonometriedi Palazzo Simoncelli edel Palazzo Filonardi.

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destra dedicato alla famiglia Borghese ripropone le armi della famiglia sovrastate dal cappello cardinalizio inonore del cardinal nipote; l’altro, a sinistra, rappresenta lo stesso Simoncelli ed è diviso in quattro quarti inognuno dei quali e raffigurato un simbolo. Nella parte inferiore della composizione è inserita una targa marmo-rea con l’iscrizione SVB VMBRA ALARVM TVARVM (sotto l’ombra delle tue ali), che il Simoncelli volle in rico-noscenza al Pontefice Paolo V.I marcapiani si estendono sulla facciata ad Est, che si affaccia su via del Buco (strada stretta e in notevole pen-denza). Sul lato opposto, ad Ovest, il palazzo affianca per circa 64 mt. via del Monastero. Il lato Sud e inparte quello ad est, si ergono su muri di sostegno a scarpa che servono anche a contenere il terrapieno del cor-tile interno. Dallo studio della struttura portante del palazzo si deduce che esso non può essere stato realizza-to ex novo nel XVII sec., probabilmente su preesistenze medievali; tale ipotesi è avvalorata dalla presenza, nelcortile interno, di un muro convergente rispetto al lato opposto e di fattura più antica (come testimonia la man-canza di materiali laterizi nella costruzione dei pila-stri, realizzati, invece, con conci di pietra giustappo-sti); tali muri, in corrispondenza del campanile e negliscantinati, sono di notevole spessore. Anche la partea Sud della costruzione può essere datata ad unperiodo precedente, si può osservare, che da quellaparte la muratura non presenta tracce d’intonaco eche la conformazione a scarpa dei muri avvaloral’idea di una preesistenza realizzata forse a scopodifensivo.

Chiesa di San Giovanni BattistaAnnessa al Palazzo Simoncelli, la chiesa ne costitui-sce il prolungamento della facciata a Nord sul CorsoUmberto I. Costruita anch’essa per volontà del Si-moncelli nel 1633 e consacrata sotto il Vescovo diVeroli, Mariano Venturi nel 1853. Dopo il 1870 di-venne proprietà del Comune insieme al Palazzo. L’impianto planimetrico è a navata unica coperta davolta a botte lunettata con nicchie laterali dove siergono simmetrici due altari; l’uno (a destra ), dedicato a San Benedetto e l’altro all’Addolorata o allaDeposizione di Gesù. Lateralmente ai due altari si elevano due colonne su basi, coronate da capitelli con fogliee volute, che sostengono un timpano dentro cui è lo Spirito Santo sotto forma dicolomba; il tutto è sormontato da una cornice dorata e abbellita con putti facentiala ad una Gloria. L’altare maggiore (oggi scomparso) era posto in fondo allanavata centrale, rivestito di marmi policromi. La faccia-ta, in pietra della Serola, (cava tufaceaEM

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Antica pianta del centrostorico di Boville.In basso: rilievo eproposta di restauro diCorso Unberto I.A sinistra, la chiesa diSan Giovanni Battista.

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fino ad intersecare, quasi ad an-golo retto, via Capo Croce.Il progetto di restauro ha interes-sato solo il primo tratto dellastrada, da Palazzo Filonardi apiazza Sant’Angelo. Le due quin-te stradali, variamente articola-te, sono interrotte dalle vie se-condarie che si dispongono apettine lungo l’asse viario.Il Corso si pone come asse por-tante intorno al quale ruota lavita della città; lungo questa dor-sale si organizzano, infatti, lefunzioni della struttura sociale (ilPalazzo, la Chiesa, la Piazza delCommercio) e si affacciano alcu-ni degli edifici più significativi dalpunto di vista storico e architet-tonico, alternati da manufatti didimensioni più piccole, con carat-teristiche di edilizia popolaremedioevale.

La necessità di un PianoL’intenzione di dotare il CentroStorico di uno o più strumenti dipiano nasce dalla necessità diporre rimedio alle manomissioni

del passato, e, soprattutto, dal-l’esigenza di regolamentare, dioffrire un riferimento unitarioall’interno del quale stimolare,con un attento controllo e un cor-retto indirizzo, gli interventi futu-ri, in relazione alla storia, allostile e all’uso dei materiali in epo-che passate, in stretta relazionecon le modalità e le tecniche delrestauro, per porre fine, così, alperpetuarsi di processi spontaneisul patrimonio edilizio. La mancanza di strumenti nor-mativi ed operativi adeguati hacomportato, nel tempo, il prolife-

rare di interventi pubblici e priva-ti, incongrui e disomogenei.Questo lavoro vuole porsi comeesempio virtuoso, a carattereembrionale, con funzione disollecitazione per un’auspicabi-le imminente proposta di pianodi recupero dell’intero CentroStorico.

Rilievo e restauro dei prospetti architettoniciLa metodologia d’intervento per

il restauro delle facciate di CorsoUmberto I è stata articolata infasi successive e distinte: 1. Reperimento dei dati, attra-verso la ricerca di qualsiasi tipodi documentazione storica e ico-nografica, negli archivi pubblici eprivati, per il recupero di infor-mazioni necessarie al riconosci-mento e all’identificazione diogni singolo edificio. In qualchecaso ci si è affidati anche adindagini tra la popolazione piùanziana, con raccolta di testimo-nianze verbali.2. Rilievo dei profili stradali, difondamentale importanza, attra-verso il rilevamento dell’esisten-

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esistita in prossimità di Bauco) è leggermenteprotesa in avanti rispetto al filo del PalazzoSimoncelli. È suddivisa orizzontalmente da unadoppia cornice (quella superiore più aggettan-te) in due ordini sovrapposti. La ripartizioneverticale, nella parte inferiore, è costituita daquattro lesene tuscaniche: le centrali con inte-rasse maggiore e contemporaneamente piùavanzate di quelle laterali. Il portale d’ingressosi apre nello scomparto centrale ed è coronatoda un frontone curvo. Negli scomparti lateralisono scavate due nicchie con frontoni triango-lari. Sopra la trabeazione del primo ordine, ilprolungamento della parte centrale inferiore èottenuto mediante due paraste, tra cui è inseri-ta un’ampia finestra quadrata con cornice. Ailati, due volute di raccordo si chiudono versol’interno e all’esterno poggiano su pilastriappena accennati. Un frontone triangolare, dinotevole aggetto, chiude la composizione, alcentro di questo è inserito lo stemma delVescovo; al di sopra di quest’ultimo si nota laprosecuzione della facciata dell’edificio adia-cente su cui si aprono, simmetricamente, dueaperture ovali.La Chiesa restaurata di recente nella facciata eall’interno, per conto della Sovrintendenza peri Beni Ambientali e Architettonici del Lazio, èstata destinata dopo la sconsacrazione, prima,a biblioteca comunale e, poi, a sala consiliare.

Palazzo De Angelis (oggi Galluzzi)Il palazzo in origine di proprietà della famigliaDe Angelis, passò successivamente alla fami-glia Galluzzi a cui appartiene tuttora. La faccia-ta principale che dà su Corso Umberto I presen-ta un’architettura semplice, ma caratteristicadella prima metà del secolo XVIII, anche se la costruzione dell’edificio risale al 500. Fu il poeta Desiderio DeAngelis che lo ristrutturò dandole l’aspetto attuale. L’imponente facciata è situata in parte di fronte a quella diPalazzo Simoncelli. I due edifici costituiscono, forse, gli esempi più ricchi del Corso Umberto I. Ai lati sono pre-senti costruzioni molto più basse la cui origine, testimoniata anche dalla presenza di finestre con bifore, risaleal medioevo. Costruito in pietra di tufo locale, il prospetto principale è suddiviso, orizzontalmente da semplicicornici sulle quali poggiano le finestre dei tre livelli. Al centro si apre un ampio portale con arco a tutto sestocoronato da bugne leggermente sporgenti rispetto alla superficie ad intonaco, che si estende ai lati e fin sottoil balcone del primo piano, corrispondente alla finestra centrale, l’unica lunga. Questa composizione centrale,leggermente sporgente rompe l’uniformità della vasta facciata. A sinistra, si nota un’apertura ad arco con can-cello in ferro che dà l’accesso ad un piccolo cortile. In passato questa apertura era stata accecata e solo piùtardi fu ripristinata per volere del Galluzzi. In alto la cornice orizzontale culmina sugli spigoli con un motivo a“conchiglia”.

La ForesteriaAdibito a foresteria del monastero delle suore Benedettine, l’edificio passò alla proprietà comunale insieme aPalazzo Simoncelli. Probabilmente fu una delle prime costruzioni sorte intorno al nucleo del Palazzo Filonardi;esso, infatti, anche se ha subito delle sovrapposizioni di stili, conserva le caratteristiche finestre a bifora diepoca medioevale. L’edificio, planimetricamente, non ha una forma regolare, ma segue il filo delle strade chelo delimitano. Il prospetto su Corso Umberto I subisce, infatti, una leggera deviazione. Il piano terra non si trovatutto allo stesso livello, ma segue la pendenza della strada che in questo punto ha una quota maggiore.

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19TERRITORI

te, preciso e fedele, quasi osses-sivo, per giungere al riconosci-mento e all’identificazione delCentro Storico, di ogni suo singo-lo edificio, fino al più piccolo par-ticolare costruttivo e decorativo.Rilievo, quindi, grafico, maanche fotografico, di utile sup-porto durante la fase di elabora-zione del disegno architettonico,ma, soprattutto, durante l’esecu-zione delle tavole per lo studiodel colore.3. Analisi delle tipologie ediliziedesunta dalle ricerche storiche edal rilievo per giungere il più pos-sibile alla comprensione dellastoria di ogni singolo edificio.4. Rilievo del degrado dei mate-riali, diagnosi sullo stato di con-servazione degli stessi, analiz-zando il tipo, la causa e lo statodi avanzamento del degrado. 5. Analisi delle manomissioni edelle modificazioni, lavorazionied opere manutentive che hannoportato all’inserimento di mate-riali e di elementi d’uso contem-poranei, che, in alcuni casi, sisono spinte fino a vere e propriedemolizioni e ricostruzioni impro-prie che hanno occultato persempre l’originalità dell’opera.6. Progetto di restauro finalizza-to ad una proposta di intervento,quasi sempre di tipo conservati-vo, teso a riqualificare le valenzearchitettoniche degli edifici, cer-cando di tener fede ai valori tipo-logici e alle mutazioni architetto-niche subite dagli stessi, pur con-siderando l’impossibilità di resti-tuzioni riferite ad un epoca ben

precisa. Nel progetto èstata sottolineata la con-tinuità degli interventi,evidenziando nel restau-ro degli elementi degra-dati la rispettiva succes-sione temporale. Laddo-ve si è dovuto necessa-riamente intervenire, siè tentato di rispettare iprincipi fondamentali,tra cui quello del mini-mo intervento e la com-patibilità dei materiali edegli elementi strutturalicon quelli antichi.

Il colore Per la restituzione del rilievo cro-matico, come strumento di me-moria e di conoscenza, è statautilizzata in progetto la tecnicadell’acquarello, l’unica in gradodi garantire la piena comprensio-ne di questi profili, di questi“volti” segnati dal tempo. I colo-ri di Corso Umberto I sono quellidella sua vita: colori che caratte-

rizzano l’ambiente e riflettono lastoria del luogo. Il Centro Storicodi Boville Ernica è la sintesi di piùepoche, dal Medioevo ad oggi. Isuoi colori sono quelli della pietranaturale di cava, quello artificialedel laterizio, quello sovrappostopiù volte sugli intonaci, quello dellegno invecchiato dal tempo equello delle tinteggiature appe-na fatte. Attraverso il rilievo e leindagini stratigrafiche del coloresi svelano preesistenze di altre

cromie e di materiali celati nasco-sti per anni. Il Piano del colore èlo strumento che fornisce unalinea guida tendente a organiz-zare e a controllare nel tempo ildecoro e il colore della città.Per quanto riguarda il colore sugliintonaci, la scelta delle cromie èstata basata, soprattutto, sullostudio delle tracce di colore anco-ra presenti sulle facciate, cercan-do di conservare in progetto leparti originali e uniformando ilnuovo colore al vecchio. Anche lecromie delle superfici intonacateex novo sono state scelte ade-guando le tonalità a quelle deimateriali e tinte presenti.

Il centro storico diBoville e due immaginidella cinta muraria dellacittà.A sinistra, corso Umberto I e piazzaSant'Angelo in una fotoaerea.

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ghissimo, di cui non vedevo lafine ed il cui nome aveva unastoria altrettanto lunga: sinus

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avanti alla paginabianca sulla quale voglio iniziarea raccontarvi il lago di Paola (lochiamo così perché con questonome me lo ha presentato miopadre), la mia memoria sta fa-cendo un prepotente salto all’in-dietro di una sessantina d’anni.Era la prima volta che vedevoTorre Paola e quella sua spiag-gia così piena di conchiglie! Ciarrivai, tenendo per mano i mieigenitori, per una stretta stradabianca fiancheggiata a destra daun limpido canale. Camminandoverso la torre massiccia, cheponeva termine al profilo delpromontorio del Circeo, dinanzia me si apriva man mano l’az-zurra superficie del mare prece-duta da una grande spiaggialucente con tante, tante conchi-glie: in maggior numero eranograndi e rosate, altre ocra e gial-lastre, alcune striate, in granparte lisce, lunghe alcune, mol-tissime tondeggianti; una mera-viglia autentica per me ancorapiccino, ma già affascinato dallecose della natura.E poi, salendo sulla grande du-

na, intrisa dei profumi dei pan-crazi, dei ginepri e dei mirti, siapriva la vista di un lago lun-

testo e foto di Gaetano De Persiis

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Circejus nell’antica Roma, lagodella Sorresca dal medioevo al‘700, per la presenza sulla sua

IL LAGO DI PAOLADIMORA DI CIRCE

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lago, sul versante opposto del-l’incombente promontorio delCirceo, si apre quella GrottaGuattari dove, nel 1939, furo-no riconosciuti dall’illustre pale-ontologo Alberto Carlo Blanc iresti di un individuo umanoneanderthaliano risalenti acirca cinquantamila anni addie-tro; altri reperti riconducibili aquesto tipo umano, insieme

riva orientale del suggestivosantuario di Santa Maria dellaSorresca (XII sec.), lago diPaola poi, e ora lago di Sabau-dia, dopo la fondazione dellanuova città. Sono, questi, luoghi ricchissimidi storia umana e naturale; nonsolo di storia, ma anche di prei-storia, visto che a poche miglia-ia di metri dalle rive del nostro

con resti di fauna antica costi-tuita da stambecchi e cervi,vecchi di 27/37 mila anni,furono trovati più tardi (nel1986) nella Grotta Breuil chesi apre in corrispondenza del“Precipizio”.Di pochi luoghi al mondo si puòdavvero dire che siano pervasida un’aura di magìa: ma leacque di questo lago, e le rocce

del Circeo che le sovrastano,possono ben dire di essernepermeati in ogni dove. DellaMaga Circe e dei suoi incantesi-mi abbiamo sentito, attraversole strofe di Omero, fin dall’ado-lescenza sui banchi di scuola.Rileggere quei versi, magari alcospetto di quel monte, di quel-le selve, di quel lago e di quelmare, fa venire i brividi in una

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magion di Circe”, da cui eglivide salire del fumo.Dopo la preistoria e la leggen-da, le certezze della storia e deisuoi segni ci parlano attraversoil Canale Romano realizzato, oforse ripristinato, in epoca nero-niana dal “Magistratus Circeii”Lucius Faberius Murena ricorda-

to in una lapide lì ritrovata ametà dell’800 ed ora conserva-ta nel Museo Civico di Terra-cina. Ancora oggi, a distanza didue millenni, se ne vedono isolidi muri di contenimentodelle sponde realizzati in opusreticulatum! Nei pressi del “braccio” della

1. Lago di Paola ecormorani sul "braccio"degli Arciglioni.2. Santuario di S. Mariadella Sorresca, sullapunta del "braccio"dell'Annunziata.3. Torre Paola e l'imboccatura delCanale Romano, ingresso al lago di Paola.

sorta di vertigine che ci porta,oggi, a rivivere l’antico mitoomerico: si ritrova il “cavoporto” in cui entrò la nave diUlisse, la “scoscesa cima” sucui salì l’eroe di Itaca per esplo-rare i luoghi, la “selva di quer-ce annose ... che ... sorgeanoin un vasto piano, intorno alla

Molella si può ammirare quellache fu un tempo creduta l’anti-ca Circei e che è stata poi rico-nosciuta come la villa dell’Im-peratore Domiziano (secondametà del I sec. d.C.), caratteriz-zata dall’imponenza delle ci-sterne di raccolta delle acque edalle relative opere idrauliche al

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Il lago di Paola ( 41°16’44” N- 13°01’41,5” E ) si estende indirezione NNO-SSE per una lun-ghezza massima di circa 6800metri e una massima larghezzadi 2360 metri circa in corrispon-denza del “braccio” di Molella,dove raggiunge anche la suamassima profondità di 10 metri;la profondità media è, invece di4-4,5 metri. La sua superficie èpoco meno di 400 ettari ed ha unperimetro di circa 20 km.È un lago salmastro costiero ori-ginatosi, nel periodo Quater-nario, con la formazione delladuna sabbiosa (alta mediamente27 metri) conseguente all’abbas-samento del livello del mare edall’azione dei venti.La sua attuale salinità oscilla tra25 e 35 gr/litro. Lo scambio idrico con il mare av-viene: - a meridione, attraverso il cosid-detto Canale Romano, realizza-to in epoca neroniana (sembre-rebbe dovuto a Lucio FaberioMurena, magistratus Circeii, co-me attestato nell’iscrizione6428 (libro X) del “Corpus In-scriptionum Latinarum” di Theo-dor Mommsen) e ripristinato nel1721; - a nord, attraverso il Canale Ca-terattino scavato durante la boni-fica delle paludi pontine.La sponda occidentale, a mare, èpressoché rettilinea, al contrariodi quella orientale, che dà sul-l’entroterra, frastagliata da sei“bracci” denominati (da nord)dell’Annunziata, della Caprara,degli Arciglioni, della Carnarola,della Molella e della Bagnara(nel bosco, in corrispondenza diquest’ultimo braccio, è presenteuna fonte di acqua oligomineralechiamata Fonte di Lucullo, giànota nella Roma antica). Il lago è tutelato dalla Convenzione di Ramsar, sottoscritta appunto aRamsar - IRAN - il 02.02.1971 e attivata con il DPR n. 448 del13.03.1976; è stato designato nel 1988, con il Parco Nazionale del

Circeo che lo comprende, qualeZPS (Zona di Protezione Spe-ciale) con il codice IT 6040015;dal 2006 è stato incluso, con ilcodice IT 6040013, nell’elencodei SIC (Siti d’Importanza Co-munitaria).Il lago di Paola, fino al 1870,apparteneva allo Stato Ponti-ficio, che lo utilizzò come “valleda pesca”; dopodiché pervenneallo Stato Italiano, che lo ven-dette nel 1881 al Cav. Ottavio

Giachetti e questi, a sua volta, nel 1883, lo cedette al Sig.Clementino Battista, antenato della famiglia Scalfati, attuale pro-prietaria. G.D.P.

Il lago di Paola

Odissea - libro X (177-196)(nella traduzione di Ippolito Pindemonte)...E su l’isola Eèa sorgemmo, dove Circe, diva terribile, dal crespo crine e dal dolce canto, avea soggiorno.Suora germana del prudente Eeta,dal Sole aggiornator nacque, e da Persa,dell’antico Oceàn figliuola illustre.?Taciti a terra ci accostammo, entrammo,non senza un dio che ci guidasse, il cavoporto, e sul lido uscimmo; e qui due giornigiacevamo, e due notti, il cor del parila stanchezza rodendoci e la doglia.Come recato ebbe il dì terzo l’alba,io, presa l’asta ed il pungente brando,rapidamente andai sovra un’altezza,?se d’uomo io vedessi opra, o voce udissi.Fermato il piè su la scoscesa cima,scôrsi un fumo salir d’infra una selva?di querce annose, che in un vasto pianodi Circe alla magion sorgeano intorno.

4. Particolare - Quartatavola della carta delLazio dell'Ameti.5. Progetto di raccolta ditutte le acque dell'AgroPontino eseguito sotto il pontificato di Pio VI.Particolare.6. Particolare - Piantacorografica dell'AgroPontino con l'indicazionedelle proprietà delle"Bonifiche pontine" edelle zone in affitto alle"Bonifiche pontine".

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servizio di tutti i monumentaliedifici del complesso residenzia-le, che si estende su una super-ficie di circa 46 ettari e di cui siammirano con particolare stu-pore le vestigia delle terme edelle esedre, dei corridoi e deiquadriportici oltreché dei poli-cromi pavimenti marmorei: al-tra parte degli edifici, maggiorerispetto alla zona termale e bal-neare oggi visitabile, è ancoraoggetto di scavo e quindi pre-clusa al godimento dei più.Il medioevo, poi, ci ha lasciatola già ricordata, sobria ma sug-gestiva chiesa di S. Maria dellaSorresca, che sorge su una pic-cola punta del “braccio” del-l’Annunziata, sulla sponda nor-dorientale del nostro lago cui untempo ha dato il nome.Che dire, infine, degli aspettinaturalistici di questo specchiod’acqua?Albe e tramonti, preludio ed epi-logo di giornate memorabili

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7. Cigni reali nel lago di Paola.8. Vecchio edificio sulla riva orientale delLago di Paola (puntameridionale del"braccio" dellaBagnara). Si tratta di un piccolo convento di epoca medioevale, che insiste sullefondamenta di una villaromana del II sec. d.C.

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Complesso della Villa di Domiziano.9. Particolaredell'interno di una dellecisterne di raccolta delle acque.10. Grande sala adesedra con nicchie cheospitavano statue.11. Sala ad esedradell'edificio balneare.12. Ricostruzione dellazona termale13. Particolaredell'interno di una dellecisterne di raccolta delle acque.

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14. Spatole all'alba.15. Piccolo gruppo difenicotteri. Quelloinanellato è nato nelleValli di Comacchio.16. Lago di Paola: albasul "braccio" degliArciglioni.17. Pancratiummaritimum sul litorale di Sabaudia.18. Carpobrotusacinaciformis (fico degliOttentotti).19. Alba sul Lago diPaola.20. Iris pseudacorus.

punteggiate dal volo di uccelliche partono e arrivano nel loromigrare fra Africa ed Europa, dalbalenìo di farfalle candide, sulfu-ree o marezzate, dal guizzaredelle forme opalescenti dei pe-sci, dai toni cangianti delle piùvarie fioriture che adornano lesabbie roventi.Albe e tramonti la cui visionelascia per sempre un segno nelcuore di chi abbia la ventura divederli anche una volta soltan-to. Pleniluni che trasformano lasuperficie dell’acqua in un lettodi perle mirabili, che invita a so-gnare ad occhi aperti.Avrete capito che il lago di Paolaè uno dei miei luoghi d’elezio-ne. In questi dodici lustri e più,ogni anno, ho sempre trovatoalmeno qualche giorno per veni-re qui in cerca di conchiglie, difarfalle, di fiori, di uccelli o sem-plicemente di sensazioni chepotessero vivificare quel ricordodell’infanzia ancora così presen-te nella mia memoria. In ses-sant’anni non ho mai mancato

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purissime sensazioni che mihanno fin qui arricchito.E poi ho sempre la speranza cheCirce, sopravvissuta al mito,possa ancora vigilare sulla suadimora e possa decidere un gior-no, in modo incruento ma effica-ce, di tramutare in porci i suoiprofanatori e di ripristinarne ilfascino, la bellezza, l’armo-nia… magari a beneficio diqualche bambino che passi diqui fra qualche millennio.Dicembre 2009.

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questo appuntamento, ma viconfesso che questo entusia-smo, anno dopo anno, è andatogradualmente scemando. Annodopo anno, ho visto qui sparire,più d’ogni altra cosa, bellezza earmonia: entità impalpabili edifficilmente definibili, il cuivalore si percepisce, per para-dosso, quando iniziano a man-care o si perdono del tutto.Mi sono accorto che molte altrepersone hanno amato questoluogo. Ma sono state troppe e,

soprattutto, troppe sono statecapaci soltanto di “possedere”più che di “amare”: il loroamore perverso ha reso i luoghiirriconoscibili. Una casa, diecicase, cento case; una strada,due strade, dieci strade; unabarca, cento barche; un’auto,mille auto ...poche persone,decine di migliaia di persone! Il luogo incantato che avevacolpito i miei occhi ed il miocuore di bambino e che hotanto amato per una vita inte-

ra ...non esiste più.Non so se sono più caparbio oilluso, ma so che non riesco pro-prio a tradire questo grandeamore: in silenzio, magari dasolo o, al massimo, in elettacompagnia, continuo a visitarequesto lago, le sue sponde, lasua duna, il suo mare, la suamontagna con la determinazio-ne di trovare ogni volta un picco-lo angolo, uno scorcio che mifacciano ancora sentire il privile-gio di essere lì e di godere delle

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ritornare alle radici della spiritualità monastica, nacque così l’abbazia di Casamari, uno dei più famosimonumenti cistercensi d’Italia. A dispetto del “contenitore” è invece ancora poco noto il museo, attualmente a carattere prevalentemen-te archeologico, ospitato all’interno del complesso abbaziale: inaugurato nel 2003 in alcuni locali adiacen-ti al chiostro con un allestimento – opera del direttore scientifico Maria Romana Picuti e dell’architettoMarco Mastroianni – tanto accattivante quanto chiaro e comunicativo, esso sarà in futuro implementatocon la creazione di una pinacoteca, in cui confluiranno numerosi manufatti pittorici che vanno dal Medioevoall’età moderna. A novembre 2008 l’Associazione Latium Adiectum (www.latiumadiectum.it), composta da figure profes-sionali eterogenee (archeologi, storici dell’arte, epigrafisti ecc.) variamente impegnate nel settore dei beniculturali e da me presieduta, ha avviato un progetto finalizzato a promuovere e valorizzare la conoscenzadel Monumento Nazionale dell’Abbazia di Casamari, estendendo il raggio d’interesse a tutto il sito di rife-rimento e a tutte le sue fasi di vita, dalla preistoria all’età moderna e contemporanea, documentate nonsolo dal monumento abbaziale, ad oggi perfettamente conservato grazie ad una quasi ininterrotta conti-nuità di vita, ma anche dai numerosi reperti archeologici e dalle opere artistiche custoditi nei vari ambien-ti del complesso e soprattutto nel pregevole museo.Proprio quest’ultimo è stato l’input ispiratore e la cabina di regia di un programma di iniziative che mi piacedefinire “piano di comunicazione” del territorio. Nella forte convinzione dell’intima vocazione didattica dell’istituzione “museo”, nonché della necessità diuna comunicazione culturale diffusa e indirizzata a pubblici diversi, Latium Adiectum ha avviato un pro-gramma di attività, intitolato “Da Cereatae a Casamari”, che muovendo da un presupposto fondamenta-le, cioè la ricerca scientifica (storica, archeologica, storico-artistica ecc.) che ha fornito i contenuti, si è fin

r e m e s s aL’abbazia cistercense di Casamari, nel comune di Veroli, è sicuramente uno di quei monumenti che, sca-valcando di gran lunga il circoscritto interesse locale, riveste una tale importanza storica e monumentaleda non richiedere prolisse presentazioni, quanto meno per gli addetti ai lavori o gli appassionati del setto-re. Mi limiterò pertanto a ricordare che all’inizio dell’XI secolo, sulla scia di un fermento europeo votatoalla riforma spirituale della Chiesa, sulle rovine dell’insediamento romano di Cereatae Marianae sorse ilmonastero benedettino dei Santi Giovanni e Paolo. Cresciuto in breve tempo, tanto nel prestigio quantonei mezzi, alla metà del XII secolo il cenobio aveva già esaurito la propria spinta riformatrice, cadendo nel-l’involuzione mondana che indusse papa Eugenio III, intorno al 1143, a sostituire i “monaci neri” bene-dettini con i “monaci bianchi” cistercensi: nel segno dell’Ordine fondato a Cîteaux nel 1098, allo scopo di

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MUSEI E DIDATTICA PER“COMUNICARE IL TERRITORIO”:L’ESEMPIO DI CASAMARI

Pdi Cinzia Mastroianni

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dall’inizio prefissato comemacro-obiettivo finale quello di“comunicare” tali contenuti,adottando formule e metodidiversificati, a seconda dei pub-blici verso cui di volta in volta cisi è indirizzati e degli obiettivispecifici che si è inteso perse-guire nella peculiarità delle sin-gole iniziative. Ecco quindi che,fermo restando la scientificitàdei contenuti, la comunicazioneè stata declinata in varie acce-zioni (tecnico-specialistica, di-dattica, divulgativa ecc.), con-templando iniziative eteroge-nee che hanno spaziato dallamini-conferenza al laboratoriodidattico a tema, fino alla “per-formance culturale”, un modo

piacevole e leggero per avvici-nare al museo, fisicamenteprima ancora che intellettual-mente, il pubblico più refratta-rio. L’attuazione di un simileprogramma è stata possibilegrazie all’accoglienza dellacomunità dei monaci cistercensidi Casamari – in particolare P.Alberto Coratti, direttore dellasplendida biblioteca annessa almonumento, al quale va unsentito ringraziamento per la

disponibilità e la collaborazione– sempre pronti a sposare pro-getti culturali interessanti, e alsupporto dell’Assessorato allaCultura della Provincia di Frosi-none. Prima di scendere nel dettagliodel programma culturale, deisuoi metodi e obiettivi, ritengosia fondamentale, per compren-dere realmente lo spirito delprogetto, fare qualche riflessio-ne sull’etimologia e sul signifi-cato di due termini-chiave:museo e didattica.

Il termine “museo”Secoli di storia hanno prodottol’attuale concetto – e le relati-ve funzioni – del museo: luogo

di conservazione, valorizzazio-ne e fruizione pubblica di beniculturali.Ma l’etimologia svela il sensovero e profondo di questa istitu-zione che è, prima di ogni altracosa, uno spazio intellettuale:luogo sacro alle Muse, figlie diZeus e Mnemosine, protettricidelle arti e delle scienze, patro-cinate da Apollo. Dunque luogodella mente e della memoria,della sapienza e della bellezza.

Come si congiungono storica-mente i due estremi di un simi-le percorso evolutivo?Con il termine “museo”, l’anti-ca Grecia identificava il tempiodedicato alle Muse, in cui idonativi – soprattutto in etàellenistica – assunsero le fat-tezze di libri ed opere d’arte. Nel 387 a.C., ad Atene, Platonefondò la celebre Accademia,una scuola filosofica che, sulpiano giuridico, risultava essereun’associazione religiosa, dedi-ta al culto di Apollo e delleMuse. Il complesso, infatti, eradotato di un tempio a loro dedi-cato, detto appunto mouseion.Analogamente, il musaeum diAlessandria, creato sotto Tolo-

meo I Filadelfo nel 280 a.C.all’interno della famosa biblio-teca della città, formalmenteera un luogo di culto ma, difatto, ospitava una comunitàscientifica e letteraria mantenu-ta dal sovrano. Il terminemusaeum, derivato da mouse-ion, venne utilizzato da Stra-bone nel III secolo d.C. proprioper indicare gli ambienti dellaBiblioteca di Alessandria in cuistudiosi e filosofi si riunivano

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per esercitare un’attività di tipointellettuale: studiare, dibattere,etc. Nel XVII libro della Geo-grafia egli riferisce che il Mu-saeum era dotato di “portici, lasala per i simposi e un vastocenacolo dove vengono serviti ipasti che i dotti membri delMuseo consumano insieme.[…] Questo collegio di dottidispone di risorse comuni,amministrate da un sacerdoteun tempo designato dai re e orada Cesare”. Originariamente, dunque, il ter-mine “museo” indicava unluogo sacro, votato al culto del-le Muse e successivamente –associato all’accademia e allabiblioteca – anche per deriva-zione semantica eontologica, un luo-go per lo studio el’esercizio dell’atti-vità intellettuale.L’uso dell’appellati-vo “museo” nell’ac-cezione di luogo di collezione econservazione di oggetti si pre-parò nel Quattrocento, quandola cultura laica riscoprì le divini-tà pagane preposte alle attivitàcreative e dell’intelletto.Fu forse Petrarca, nel De vitasolitaria (1346-1356), il primoa parlare del luogo in cui lo stu-dioso poteva utilmente ritirarsiper esercitare un’attività intel-lettuale radicata nella solitudi-ne, con la frequentazione dipochi compagni: un luogo sepa-rato e appartato, scelto per lavita dello spirito, sovrintesodalle Muse poiché lì si esercita-vano le attività della mente.Nel 1448-52, la decorazionedello Studiolo di Belfiore aFerrara, voluta da Leonello eproseguita da Borso d’Este,saldò il nesso tra luogo di stu-dio e programma iconografico(un ciclo di tavole raffiguranti

Un'immagine del museodi Casamari, realizzatodall'Arch. MarcoMastroianni e dallaDott.a Maria RomanaPicuti.

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le Muse), benché la stanza nonfosse ancora chiamata “mu-seo” ma Musarum studium. Lostesso vale per il di poco suc-cessivo Studiolo di Federico daMontefeltro nel Palazzo ducaledi Urbino, definito sacellum,decorato da ritratti di uominiillustri e tarsie lignee raffiguran-ti in trompe l’oeil una collezio-ne di oggetti eterogenei – stru-menti musicali e matematico-astronomici, libri, etc. – rappre-sentativi di varie attività intel-lettuali, magistero delle Muse.Lo studiolo, ambiente molto ri-

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servato in cui si custodivano li-bri ma anche piccole collezionidi oggetti e opere d’arte, atti astimolare la vita contemplativa

(ritratti di uomini illustri, repertiarcheologici evocanti l’Antichitàcome modello di perfezione cul-turale, etc.), può dunque esse-

re considerato l’antenato difatto – benché diversamenteappellato – del museo moder-no, nell’accezione di luogo dicollezione. Di certo esso era“museo” nel senso umanisticodel termine, cioè luogo in cui siesercita un magistero intellet-tuale che non è solo di studio,meditazione e solitudine, poi-ché ci si avvale fin dall’iniziodell’attività contemplativa ispi-rata e sollecitata dalle immagi-ni e dagli oggetti di una piccolacollezione. All’inizio del Cinquecento, ben-ché ancora in convivenza con“studio”, “studiolo”, “antiqua-rio” e poi “galleria”, iniziò aricorrere il termine “museo”,usato ad esempio da MarioEquicola, letterato di corteGonzaga, per definire la sala incui propose di sistemare unritratto richiesto a Paolo Giovionel 1523, o da AlessandroMaggi da Bassano che, parlan-do dello studiolo di PietroBembo – prima a Roma, poi aPadova dal 1532 e sette annidopo di nuovo a Roma – dota-to di una collezione di antichi-tà, in un commento lo chiamòmusaeum.Ma la codificazione del terminesi deve a Paolo Giovio, che nel1543 portò a compimento lacostruzione della propria villasul lago di Como, con ambientideputati alla conservazionedelle sue collezioni d’arte, inparticolare la nota raccolta diritratti di uomini illustri. Per laprima volta il termine “museo”venne specificatamente usatonell’accezione di luogo fisicodeputato ad ospitare ed esporreopere d’arte, conservando il col-legamento iconografico con laradice etimologia attraverso ladecorazione di una delle sale,dedicata ad Apollo e alle Muse,

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ivi effigiati adaffresco.Credo che talepercorso etimo-logico-semanti-co, benché sin-tetico ed estre-mamente som-

mario, abbia sufficientementeevidenziato le ragioni per cui ilmuseo debba prioritariamenteessere inteso e vissuto comeuno spazio in cui si sviluppa unprocesso di conoscenza, voca-zione in rapporto alla quale laconservazione, esposizione efruizione delle collezioni costi-tuiscono funzioni consequenzia-li e necessarie.

La didatticaEssenziale quanto quella sulmuseo è una breve riflessionesul termine “didattica”, oggidìoltremodo abusato e frequente-mente utilizzato – aggettivato– in modo improprio come sino-nimo di “scolastico”. Il significa-to è chiarito dalla Scienzadell’Educazione che definisce

tecnicamente la didattica comeun insegnamento formale strut-turato sotto forma di un campodi conoscenze esplicitamente fi-

nalizzato, da cui scaturisconointerventi atti a produrre, negliutenti finali, non la sempliceacquisizione di nozioni ma unamodifica stabile del comporta-mento. La didattica, dunque,identifica un sistema di tecnichee metodi in funzione di determi-nati obiettivi e non presuppone,come unico destinatario, il pub-blico scolare. Anzi. La situazio-ne sociale e culturale attual-mente in essere nei paesi euro-pei, infatti, impone una sempremaggiore attenzione verso illifelong learning (educazionepermanente, apprendimento du-rante tutto il corso della vita del-l’individuo), che dunque presup-pone sostanzialmente un pub-blico adulto. Un’azione che si caratterizzi le-gittimamente come “didattica”deve perciò necessariamenteprevedere tre fasi fondamentali:una chiara individuazione degliobiettivi, generali e specifici; lostudio del pubblico destinatarioe dei metodi operativi conse-guentemente più adatti; la veri-fica dei risultati, nelle fasi inter-medie e alla fine del percorsoformativo.

L’esperimento di CasamariAlla luce di quanto sopra,Latium Adiectum ha ideato erealizzato il progetto culturale“Da Cereatae a Casamari”, chenell’anno 2008-2009 si è foca-lizzato su due rami di attività,differenziati per tipologia dipubblico destinatario: il labora-torio didattico, per studenti discuola secondaria di secondogrado, e gli incontri a tema, peradulti, simpaticamente chiamati“Un tè al museo”.Il laboratorio didattico, esempli-ficativo del tema e del titolo diquesto contributo, fa parte di unprogetto strutturato su base

In queste pagine, pianta del museo, schizzidi progetto e immaginidegli interni.Il museo è statorealizzato dall'arch.Marco Mastroianni e dal direttore scientificodott.a Maria RomanaPicuti.

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terze, impegnate in un percor-so di area storico-artistica, cheha analizzato l’insediamentomonastico cistercense nel Me-dioevo. Il tema monografico,sviluppato sotto la mia di-rezione e intitolato “De clau-stro animae”, ha impegnatogli allievi in uno studio teorico

(ricerca storico-artistica conesame di alcune fonti lettera-rie) e pratico (rilievo grafico efotografico) sul chiostro abba-ziale di Casamari, in virtù delparticolare significato – archi-tettonico, plastico e simbolico– che tale spazio assume inun complesso monastico cister-cense medievale. Questo se-condo percorso si è conclusocon l’elaborazione di pannelligrafico-fotografici sul temaassegnato. Ma qual è stato l’obiettivocomune ai due laboratori?Studiare storia attraverso ilpatrimonio archeologico e sto-rico-artistico presente sul terri-torio in cui gli studenti vivonoe si muovono quotidianamen-te, ignorandone spesso entitàe valore. In accordo con i pro-grammi curricolari scolastici,guidati da archeologi e storicidell’arte, i ragazzi hanno cosìpotuto calare nello specifico eparticolare territoriale, le no-zioni generali di storia e storiadell’arte apprese in classe. Aldi là dell’acquisizione di nozio-ni più o meno specialistiche sulsito e sul monumento casama-riense, la speranza di LatiumAdiectum, nonché dell’istitu-zione scolastica che ne ha con-diviso lo spirito e gli obiettivi, èche questo modo di “fare scuo-la fuori da scuola”, abbia con-tribuito a sollecitare nei ragaz-zi maggiore attenzione, curio-sità e rispetto verso il patrimo-nio culturale del territorio in cuivivono, offrendo nello stessotempo un supporto, un comple-tamento e un approfondimentoalla didattica scolastica, met-tendo a disposizione dei do-centi il patrimonio archeologicoe storico-artistico locale, non-ché gli studiosi che di esso sioccupano.

biennale, accolto con grandeentusiasmo dal Liceo “G. Sul-picio” di Veroli, che vanta undirigente scolastico – il prof.Armando Frusone – particolar-mente dinamico e intraprenden-te riguardo all’ampliamento del-l’offerta formativa scolastica,coadiuvato da un corpo docentemolto attivo e partecipe. Per esigenze di contiguità con iprogrammi curricolari di storiae storia dell’arte, l’attività èstata organizzata in due labo-ratori, autonomi e separati. Ilprimo, attinente l’area archeo-logica, ha coinvolto studentidelle classi seconde che, sottola guida della dott.ssa MariaGiudici, epigrafista, hanno svi-luppato un percorso teso al-l’analisi del sito romano di Ce-reatae Marianae (topografia,evidenze archeologiche, aspettistorici ecc.), con particolare at-tenzione ai materiali custoditinel museo abbaziale. Tali mate-riali, nella seconda parte del

programma, sono stati oggettodi uno studio monografico sultema “Religione e culti a Cerea-tae Marianae”, conclusosi conl’elaborazione di schede mobilidi approfondimento su alcunidei reperti esposti.Il secondo laboratorio, invece,ha visto protagoniste le classi

Bibliografia essenziale

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Idem 2001 (a cura di), Leggereil museo. Proposte didattiche,Roma.

Idem 2004 (a cura di), Musei epubblico. Un rapporto educativo,Milano.

Picuti M.R. 2008, Museo del-l’abbazia di Casamari. La raccol-ta archeologica, Casamari.

Veroli. Thesaurus Ecclesie est hic,Casamari 2000.

La chiesa dell’Abbazia di Casamari.

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33TERRITORI

S P A Z I O E P R O G E T T O

Ldi Vincenzo D’Alba o stretto e delicato

rapporto esistente tra architettu-ra e urbanistica nella provinciasalentina è uno dei caratteriprincipali del territorio. Ne con-seguono dualismo e ambivalen-za in cui riconoscere una para-dossale forma urbis carica di unpotenziale figurativo. La dimen-sione insediativa costituitasi neltempo e nello spazio attraversouna stratificazione a tratti bre-

ve, a tratti preistorica, obbligaad una lettura in grado di indi-viduare il valore complessivo

della configurazione urbana ascala territoriale. Proprio l’attodel disporsi di questa miriadedi città contiene in sé una quali-tà talmente assoluta e per certiversi formale, da essere costan-temente in una condizione dipericolo e di degrado.Si instaura in questa configura-zione geografica una dialettica,al tempo stesso classica e con-temporanea, tra città e campa-

1. Vista a volo d’uccello. Lo spazio pubblico sipone come elementofondamentale della vitasociale, direttamentefruibile dalla residenza.

Concorso di progettazione di n. 20 alloggi di ediliziaresidenziale per cooperative diabitanti e servizi (Lecce) - 2009Progettisti: Arch. GiorgioPapaevangeliu (capogruppo)Arch. Laura FabrianiArch. Anita Mancini

DISCONTINUITÀ URBANA,CONTINUITÀ ARCHITETTONICA

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gna. Proprio nel limite tra i dueelementi, artificio e natura, èconservato il destino dell’urba-nistica di questo territorio. In-fatti, è nella inesorabile espan-sione urbana che si fa più acutoil senso di sgretolamento del-l’intero corpus edilizio a scalaprovinciale. Mai come in questocaso una ricercata qualità archi-tettonica rappresenta la stradaper una salvaguardia dellaforma urbis da ritrovare in unaprogrammatica simbiosi conl’urbanistica. Il tentativo di ac-corciare le distanze tra i centriabitati attraverso un’espansio-ne spesso arbitraria è il motivoprincipale della perdita di ordinee d’identità che l’intero com-plesso del “costruito” per anniha acquisito.La dimensione paratattica delterritorio è oggi il pretesto pernascondere un disordine provo-cato da una frettolosa pianifica-zione. Un reale cambiamentopuò essere incarnato soltantoda una controtendenza: proce-dere verso una riconfigurazionedelle città attraverso una strate-gia di completamento del tessu-to urbano; quindi riproporrel’antica chiarezza e semplicitàdel paesaggio conservandone ilprezioso limite naturale e antro-pometrico. Il progetto di concorso del grup-po composto da Giorgio Papae-vangeliu, Laura Fabriani e AnitaMancini redatto per il P.I.R.P.(Piano integrato di riqualifica-

2. Planimetria ubicativadell’intervento. 3. Planovolumetricodell’intervento. Il progetto tende arecuperare alcuni assi e allineamenti esistenti e stabilire una chiararegola insiediativa.

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4. Attacco a terra. Laserialità delle residenze aschiera è intervallata dalportico lungo la strada,che separa le due piazze,ed è contenuta dai servizidi quartiere nelle testate.5-6. Prospettiva discorcio delle schieredalla piazza e dallastrada. Sullo sfondo ilportico.7. Schemi di progetto.

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8. Aggregazione delleschiere. Piano terra e primo piano.9. Vista complessivadell’aggregazioneresidenziale. Corti, logge, scaleesterne, coperture piane e contrastantichiaroscuri fanno sì chel’intervento abbia unaforte identità legata al carattere pugliese.

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zione delle periferie) di Tricaseè sintomatico di una tensioneverso le tematiche soprattuttomorfologiche che interessanole zone periferiche. In esso siriconoscono i caratteri essen-ziali del mediterraneo, filtratida una cultura architettonica ingrado di evitare la retorica diuna mediterraneità formalisti-ca. Il progetto ricompone gliobiettivi funzionali e strategicidi un tessuto edilizio esaltando-ne razionalità e rigore. La for-mulazione di una piazza appa-re il momento più rappresenta-tivo e critico dell’intero proget-to, teso tra valenze luminose,ossessioni ritmiche e calcolate

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Il concorso per la progettazione, diventi alloggi a Tricase (LE) di ediliziaresidenziale per cooperative di abitanticon tipologia a schiera, ha avuto comeobiettivo centrale quello di coniugare itemi della sostenibilità ambientale edel risparmio energetico con quellidella qualità architettonica e urbana.L’area oggetto del concorso è ubicatanella periferia meridionale di Tricase,all’interno del P.I.R.P. (Piano integratodi riqualificazione delle periferie) e diun più vasto comparto, che prevedevaanche la realizzazione di ediliziadirezionale, servizi e verde pubblico,con l’obiettivo di riconnetterefunzionalmente e urbanisticamentequesta parte di città. Oggetto delprogetto di concorso è stata, oltre chela progettazione delle residenze, lariorganizzazione complessiva delcomparto, prevedendo, una diversacollocazione dei nuovi fabbricati, ilripristino della connessione con laviabilità tangenziale, la sistemazione efruizione del verde pubblico e deiservizi.I promotori Ancab Legacoop eLegambiente, hanno richiesto per ilconcorso la progettazionearchitettonica di massima degli edifici edegli impianti. Il progetto degli edifici dovevaraggiungere attraverso le soluzioniproposte, caratteristiche sufficienti pergarantire il raffrescamento passivonella stagione estiva, la certificazioneenergetica di classe “A“, utilizzarefonti rinnovabili per la produzione diacqua calda e per la produzione dienergia elettrica.Il bando di concorso richiedeva inoltredi porre particolare attenzione allaqualità urbanistica ed architettonica; diraggiungere l’integrazione urbana epaesaggistica dell’intervento nelcontesto preesistente, la definizione disoluzioni innovative nellacomposizione spaziale degli edifici edegli spazi aperti; la caratterizzazionetipologica degli alloggi; lavalorizzazione degli spazi verdi e diuso comune; l’utilizzo di materialiecosostenibili.

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prospettive. Se da un lato ap-pare evidente la frammentazio-ne dei tre corpi residenziali,dall’altro risulta rassicurantel’apodittica presenza del porti-co che in un dialogo spaziale evolumetrico risolve la distanzacompositiva degli elementi. Lacoerenza di tessitura tra plani-metria e prospetti non può cheriportare nella periferia quel-

l’ordine semplice, ma indispen-sabile, spesso trascurato innome di una semplicistica va-riazione. Un tale grado diespressività racchiuso in un“silenzio comunicativo” dichia-ra la dimensione insediativanella sua forma più pura evitan-do le edulcorate volute deglistili orecchiabili, onnipresentisul territorio.

10. Sezione prospetticadell’alloggio. In evidenzala corte, la doppiaaltezza sul soggiorno, la loggia e il portico.11. Sezione prospettica.In evidenza la scalaesterna, la loggia ilsoggiorno con l’ingressoe il camino, la doppiaaltezza, la corte e ilvolume sulla coperturacontenente comignolo,lucernaio e alloggiamentocollettori solari.12. Possibilità difruibilità dell’alloggio daparte dei diversamenteabili. Pianta del primopiano con l’ampliamentoa 95 mq.13. Prospettiva delportico sulla corte confunzione di autorimessa.14. La doppia identitàdella soglia d’ingresso:cavità luminosa nellospazio residenziale escura fessura nellospazio pubblico. Differenze spazialidovute alla doppiaaltezza e differenzeluminose per la soglia di luce proveniente dal lucernaio generanouna forte complessitàspaziale in uno spaziocontenuto.

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dato nel dicembre del 2001.La nuova costruzione è stata col-locata su un appezzamento diterreno diverso e poco distanteda quello d’origine. Il luogo scel-to è sulla linea ideale di conver-genza della collina che ospita lacontrada Cologni con la collinadel centro storico di BovilleErnica.

La scelta dell’ubicazione e del-l’orientamento rivestono un’im-portanza fondamentale, un’im-portanza che definiremmo senso-riale ed emozionale per un’ispira-ta progettazione architettonica.

La scelta del luogoL’innalzamento di un edificiosacro che manifesti anche unchiaro significato urbanistico fa sìche il luogo scelto rappresenti,

per la contrada Cologni, un puntodi confluenza di valenze espressi-ve e funzionali. Con questa rea-lizzazione, infatti, tutto il tessutoconnettivo dell’area prospiciente,riceverebbe un notevole impulso

enni storiciLe prime notizie sulla

chiesa di S. Elisabetta, denomi-nata anticamente S. Maria dellaValle, risalgono al 1080, in unadonazione che Oderisio fece almonastero di Montecassino, dicui, nel 1087, divenne abate.Nel 1663 Mons. Angelucci, ve-scovo di Veroli, ottenne dal Pon-

tefice Alessandro VII “che il bene-ficio della chiesa fosse aggregatoal territorio verolano”, con l’ob-bligo di far cantare i “Vesperi” ela Messa il giorno 2 luglio.La chiesa fu restaurata nel 1737

dal vescovo di Veroli Mons.Lorenzo Tartagli, il cui nome fuinciso nell’architrave della portad’ingresso. Nel 1861 fu luogo di

riparo delle truppe piemontesi,che assediarono per diversi gior-ni il paese, allora denominatoBauco.La chiesa in muratura calcarea,ad aula semplice e copertura contetto di legno a capanna, avevala facciata principale orientata adovest lungo l’asse di collegamen-to stradale con il centro storico.

Fu demolita, perché ridotta inrovina, agli inizi degli anni ’60del secolo scorso.

IntroduzioneIl proposito di ricostruire la chiesaè maturato grazie alla formazio-ne di un Comitato e alla magna-

nimità di un parrocchiano che hadonato il terreno per l’edificazio-ne della nuova “fabbrica”.L’incarico per la redazione delprogetto preliminare è stato affi-

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S P A Z I O E P R O G E T T O

Chiesa di SantaElisabetta, schizzo diprogetto.

LA CHIESA DI SANTA ELISABETTA A BOVILLE ERNICA

Cdi Alberto Paglia

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tore umano può esaurire […]”.Ciò che dà significato e “respirocosmico” ad un progetto è peròsoprattutto l’Idea. Tanto piùl’idea è forte, ricca di simboli,dotta, con matrici, connotati eriferimenti culturali precisi, tantopiù essa assume spessore.“Io sono una forza del Passato./ Solo nella tradizione è il mioamore. / Vengo dai ruderi, dalleChiese, / dalle pale d’altare, daiborghi / dimenticati sugli Ap-pennini […] / O guardo i cre-puscoli, le mattine / su Roma,sulla Ciociaria, sul mondo[…]”. Così scriveva Pier PaoloPasolini in “Io sono una forza delpassato”.1 Una forza del passatocon riferimenti storici ed artisticirilevanti che rappresentano laragione, tradotta poi nella funzio-ne e contemporaneamente nellaforma in architettura. La dicoto-mia di funzione e forma è, quin-di, appendice della tradizione edella storia, non ci sono funzionee forma senza il legame con latradizione e con le radici culturalie l’identità filosofica di un luogo.La chiesa proposta è fondata sim-bolicamente sulla trasformazionedi figure geometriche perfettecome il triangolo, il cerchio e ilquadrato. Il triangolo mette inrelazione gli elementi principalidella composizione, il cerchio èrappresentato dallo spazio ester-no della piazza e il quadratodalla torre campanaria, che, inquanto corpo esterno alla chiesa,

anche di natura socio-economica,che riqualificherebbe, dal puntodi vista urbanistico, l’intero abita-to, procurando nuovo sviluppo adun’area marginale e povera diemergenze architettoniche rap-presentative e qualificanti.Dare, in pratica, identità e digni-tà ai luoghi dell’abitare, rianno-dare il filo lungo della storia,della tradizione cattolica e del-l’etica filosofica di una Comunità,attraverso la creazione di spazisociali collettivi organizzati edefiniti, che fungano da volano,che siano aggregativi per unnuovo messaggio di pace,d’amore e fratellanza delle genti:questi sono i valori fondanti, icardini, gli intenti su cui si basa lamissione della Chiesa del futuro.Il “non luogo” asettico e imper-sonale deve lasciare spazio al“Luogo” per eccellenza; unluogo della “Memoria”, chepossa fungere da collante tra lacittà costruita e la storia, la con-trada, che rappresenta il veropresente, l’anima pulsante e l’al-

dilà, rappresentato, per la circo-stanza, dal camposanto, adovest rispetto al sito della chiesa,incorniciato, com’è, fra i montiLepini e Simbruini, dove il sole altramonto si nasconde.

La scelta progettualeLa matrice tipologica d’origine è

servita per l’elaborazione del-l’idea progettuale adottata. Ideache nasce dallo studio sistemati-co degli archetipi, degli idiomi,degli stilemi e del linguaggio sto-ricizzato e sedimentato dell’ar-chitettura, ma che attraverso unasuccessiva fase di decantazione,si trasforma articolando la com-posizione spaziale dell’organi-smo architettonico. Da uno schema primordiale, viavia l’idea si è arricchita, perfezio-nata ed ha preso forma compiu-ta con riferimenti, citazioni eannotazioni, perseguendo inogni caso la ricerca del “bello”che secondo Goethe “è manife-

stazione di arcane leggi dellanatura che senza l’apparizione diesso ci sarebbero rimaste eterna-mente celate”.Inoltre è stato fondamentale edilluminante leggere ciò che ilCardinal Martini ha scritto sull’ar-chitettura ed in particolare quellasacra, quando, chiamato in cau-sa, scrive un articolo sulla rivista“Casabella” (1996) dal titolo:Mistero indicibile, in cui tra l’altrosi legge: “l’architettura è il rifles-so della cultura ed in particolarequella religiosa che traduce la teo-logia e l’ecclesiologia di un’epo-ca”. Né risulta meno incisivo eprofondo quando dice: “tanto piùgli architetti e gli ideatori sonopermeati di una fede profonda eda una forte spiritualità, tanto piùpotranno esprimere nelle loroopere le caratteristiche non postu-late o fittizie, ma autentiche edurature di un’epoca”.È sottolineata, quindi, l’importan-za di una forte tensione spirituale.Ma l’articolo termina esprimen-do un altro concetto basilarequando evidenzia l’importanzadella ventilazione, in quanto loSpirito Santo è “Soffio” e lechiese dovrebbero dare l’idea diquesto respiro Cosmico, perchéparla ai sensi del corpo. Le chie-se del futuro, conclude il Car-dinale Martini dovrebbero “la-sciarsi penetrare dal mistero indi-cibile per tradurre poi, nelleforme, nei colori e nelle immagi-ni quel soffio che nessun conteni-

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Localizzazione dellavecchia chiesa di SantaElisabetta nel territoriodi Boville Ernica. In basso, studi diprogetto.

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permette una fruizione comple-ta. La torre campanaria di borro-miniana memoria esprime tuttala carica della tensione emotivaattraverso i segni della storia,della tradizione e della moderni-tà, espressi in modo immaginifi-co facendo ricorso all’uso dell’ac-ciaio, quasi una struttura ossea inun corpo umano, che megliod’altri materiali si adatta alledeformazioni plastiche nello spa-zio. Deformazioni di torsione ed’inviluppo che portano lo spetta-tore e il fruitore, in una prospetti-va da sotto in su, a portare losguardo verso il cielo, verso l’infi-nito e quindi verso Dio. C’è nella composizione anche unaltro elemento che interviene inmodo rilevante: il camposanto.La sua presenza articola e com-pleta la visione con l’introduzio-ne della quarta dimensione dellospazio: la scansione del tempoche passa. Un vero“campo deimiracoli”.La quinta dimensione, quellapoetica, risulta invece dalla fusio-ne di ciò che è finito con ciò cheè infinito: la libertà dell’uomo.Giacomo Leopardi nello Zibaldo-ne del 30/11/1828 scrive:“all’uomo sensibile immaginosoche viva, come io sono vissutogran tempo, sentendo di conti-nuo e immaginando, il mondo egli oggetti sono in certo mododoppi. Egli vedrà cogli occhi unatorre, una campagna; udrà cogliorecchi un suono di campana; enel tempo stesso con l’immagi-nazione vedrà un’altra torre,un’altra campagna, udrà un altrosuono. In questo secondo generedi obiettivi sta tutto il bello e ilpiacevole delle cose”.La chiesa inoltre si pone conmolta circospezione nei confrontidel suo inserimento ambientale,assecondando ed integrandosicon la morfologia del profilo della

Progetto della chiesa di Santa Elisabetta aBoville Ernica.

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collina, anche attraverso l’utiliz-zazione di piantumazioni tipichedel luogo.Gli elementi che compongonol’architettura sono anch’essi le-gati al luogo e alla vicina presen-za dell’architettura medioevalecome la torre absidale e al suorivestimento in pietra calcareaautoctona, il tetto a capanna construttura lignea, il campanile se-parato ecc.Il ricorso all’uso di materialicomunemente utilizzati accentuaancora di più il carattere familia-re dell’edificio. Materiali come il

legno, per le capriate del tetto,delle pietre, dei laterizi, per icoppi antichi del manto di coper-tura o delle pavimentazioni, con-tribuiscono sistematicamente adare una chiara connotazione lin-guistica basata sui riferimenti ico-nografici del passato, senza peròcorrere il rischio di cadere nel ver-

nacolare, essendo uniti a segnaliimportanti di modernità, con l’in-troduzione di maglie reticolari inacciaio, lucernari e vetrate da cuispaziare con la vista, con l’imma-ginazione e fantasia.L’architettura, inoltre, risente del-l’influenza e della tensione emo-tiva “del dentro e del fuori”, concontinui giochi di curve concave econvesse, annullando sia all’in-terno che all’esterno gli angoliarrotondati utilizzati come con-densatori di raggi solari, cheaccentuano l’articolazione spa-ziale dosando e riverberando la

luce propria e quella portata ecreando un’atmosfera illusoria,giocosa, ma soprattutto evocatri-ce del “divino”.Anche l’interno risente dell’emo-tività dinamica con l’ambientepulsante dell’aula liturgica, pla-smato, com’è, dalla luce dosatada feritoie inusuali che offronoalla vista infinite illusioni spaziali.E non è da meno l’effetto inclina-to delle pareti laterali che accen-tuano il senso di intimità, di com-pressione a cui si è costretti, ma,al tempo stesso, di riconciliazio-ne tra fedeli e tra loro e il mondo:invitano ad indirizzare lo sguardoalla riflessione ed al pensiero su-premo del cielo.Ciò che Monsignor Paglia auspicanelle realizzazioni di culto è cheil dialogo fra artisti e committen-ti sia vero ed importante e chel’espressione artistica sia elemen-to fondamentale per il messag-gio evangelico, che ha bisogno dilinguaggi evocativi, suggestivi esimbolici.Monsignor Paglia sostiene chel’arte si rivolge alla sensibilità,alla ragione e al cuore ed è per-

tanto fondamentale per scuoterele coscienze. Contribuiscono fortemente atale scopo: lo studio della lucecon le finestre a nastro sottili,filiformi, ad altezza minima daterra, orientate ad est, in mododa captare la luce diafana del-l’aurora, luce magica che produ-

ce un effetto vibrante sul pavi-mento in laterizio fatto a mano;la fonte battesimale, elementoscultoreo e sepolcrale, in pietramarmorea, che sembra usciredalle viscere della terra, messain risalto ed inondata di lucezenitale che si staglia sull’acquae fa riflettere il cielo e l’infinito,che cattura lo sguardo e lo indi-rizza fuori verso la contempla-zione del paesaggio e del vicinocamposanto.Il camposanto e il paesaggio cir-costante entrano prepotentemen-te nella liturgia, integrandosi per-fettamente con la realizzazionearchitettonica della chiesa.

L’architetturaLa chiesa ha dimensioni propor-zionate alle reali necessità dellacomunità con una superficieadatta a circa centoventi fedeli dicui almeno ottanta seduti neibanchi; l’area del sagrato è leg-germente sollevata di quota ri-spetto alla piazza ed è copertada un porticato con un andamen-to sghembo rispetto alla facciataprincipale d’ingresso.I pilastri del portico, a sezione cir-colare, saranno realizzati inacciaio e successivamente verni-ciati, mentre la struttura orizzon-tale sarà composta da elementiin legno lamellare che verrannocollegati alla parete verticaledella facciata.La pianta è ad aula semplice conabside e transetto circolare, lafonte battesimale invece è collo-cata in prossimità di un rigonfia-mento laterale ed inondata diluce zenitale.Nell’abside è nascosta una scalad’acceso che conduce sia alpiano inferiore, adibito a sala par-rocchiale e servizi, accessibilianche dall’esterno, sia al pianosuperiore soppalcato per il coro. La chiesa internamente rifugge

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Chiesa di S. Elisabettaschizzo prospettico dellospazio interno.

N O T E1. Testo recitato da Orson Wellesnel film “La ricotta” (1963),incluso poi in “Poesia in forma dirosa” (Garzanti, Milano, 1964).

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dalla visione prospettica unica:con le vibrate e dinamiche super-fici, disorienta lo sguardo dellospettatore e lo conduce simulta-neamente quasi a cercare ed aevocare Dio. La luce, ricercatanegli squarci, nei lucernari e neinastri a filo pavimento, e il tratta-mento delle superfici interne concolori tenui conferiscono candorea tutto l’ambiente, che crea uncontrappunto musicale e pittoricoillusionistico con la copertura inlegno, con capriate ed il pavi-mento in cotto fatto a mano.In sezione longitudinale la chiesasi presenta con un andamentoinclinato di altezza variabile, asalire in corrispondenza dell’alta-re e del coro.All’esterno l’uso di materialicome la pietra, il travertino, ilcotto, i coppi di copertura inlaterizio, il legno della capriatae del portico, unito all’uso dimateriali come l’acciaio, il vetroe, soprattutto, un linguaggiodell’architettura meno accade-mico e più votato al decostrutti-vismo plastico accentuano il ca-rattere di modernità che l’edifi-cio mostra, evidenziato anchedalla forma e dalla spiccata tridi-mensionalità del campanile edella chiesa stessa.Insomma, l’architettura sentel’influenza del luogo, della tradi-zione costruttiva locale conrichiami e segni visibili, ma sentesoprattutto la contaminazione se-miotica di riferimenti dell’archi-tettura internazionale.È chiara la volontà progettuale dirappresentare l’architettura delnostro tempo, cogliendo però gliaspetti che la legano all’ambien-te storico-urbanistico del sito sucui insiste, con l’intenzione di dif-fondere al meglio le peculiarità ei tratti della modernità, varcandocosì i confini del proprio ambitoterritoriale.

Progetto della chiesa di Santa Elisabetta aBoville Ernica. Prospetto lato est,prospetto lato ovest e fronte nord.

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alla base della concezione arti-stica cosiddetta “tradizionale”.“Elementi chiave sarebberoquelli della simmetria, della mo-derazione (ad esempio nel tro-vare un punto di equilibrio frarealismo ed astrazione), dellachiarezza delle linee e dei volu-mi, della luminosità delle super-fici, della compostezza ed inte-grità delle forme”.2 Non trascu-rabili anche le componenti lega-te alle credenze religiose, all’ac-centuata spiritualità e all’aspet-to trascendentale dei riti. “Quiinfatti non sono in gioco solo gliuomini, ma anche e soprattuttofigure extra-umane: spiriti, divi-

nità, antenati. È a loro,per lo più, che questeopere sono rivolte; e

sono loro a doverneessere soddisfatti.Questi oggetti guar-

dano verso un altro mondo osono fatti per essere visti da unaltro mondo”.3

Per molto tempo gli Europeihanno diffidato, e a torto, dellepotenzialità artistiche degli afri-cani ed hanno stentato molto adattribuire “valore artistico” allaproduzione locale, dei villaggi,

A Milano, in particolare, è previ-sta la realizzazione di un Centrodelle culture extraeuropee, pro-gettato dal noto architetto ingle-se David Chipperfield, vincitoredi un concorso internazionale.Questa diffusione capillare èavvenuta ed avviene grazieall’interessamento di alcuni pio-nieri collezionisti e promotoriculturali; è a loro che si deve lacoraggiosa iniziativa e la moti-vata curiosità di esplorare unmondo quasi sconosciuto, miste-rioso sotto molto aspetti, cheaffascina nonostante i precon-cetti e le diffidenze della societàoccidentale. Certo, di acqua sotto i ponti neè passata prima di giungere aquesti inaspettati e sorpren-denti risultati, vale a direprima che l’arte contempo-ranea si sviluppasse in

quasi tutta l’Africa e si affiancas-se all’arte tradizionale; quest’ul-tima, da non sottovalutare, èancora fortemente radicata nelterritorio.Si è molto indagato sui canoniestetici dell’intero continente esono state individuate alcunecaratteristiche peculiari che sono

frica? Una nuo-va storia – è l’appropriato titolocon cui si è voluto registrare unostraordinario evento, forse nonsufficientemente pubblicizzato:la mostra di ben ottanta operetra dipinti, sculture, installazio-ni, video, di trenta artisti del-l’Africa Sub-Sahariana, allestitanei locali del Complesso delVittoriano ‘Ala Brasini’ a Romadal 19 Novembre 2009 al 17Gennaio 2010.1

La mostra è stata l’occasioneper venire a contatto con unmondo artistico portatore diistanze e di una pluralità di lin-guaggi in continua evoluzione,non più ristretti all’ambito delletradizioni locali, ed espressione,nella forma e nei contenuti,della grande complessità dellepersonalità artistiche.L’arte africana contemporanea,

ormai, per i salti di qualità uni-versalmente riconosciuti, si stagiustamente diffondendo a ritmivertiginosi in tutta Europa esoprattutto in Francia, in Inghil-terra, molto in Germania, in Spa-gna e in Italia (Bergamo, Torino,Milano, Trento, Bolzano, Bolo-gna, Brescia, Napoli e Messina).

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A L T R I L I N G U A G G I

AFRICA? UNA NUOVA STORIA

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di Luigi BevacquaA

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basata essenzialmente sullascultura in bronzo, in pietra edin terracotta (soprattutto ma-schere), ma anche su opere rea-lizzate con materiali spessofacilmente deperibili, ma soprat-tutto facili da reperire, come illegno, il fango, le fibre vegetali,ecc., senza considerare i gioielliin oro e i tamburi scolpiti.“L’arte africana non è mai statafine a se stessa. Gli artisti eranoinnanzi tutto artigiani il cuiscopo era di fabbricare oggettiutili, ma essi sapevano e sannotrasfondere nelle loro opere[…] il loro sentimento del“bello”.4 Il concetto di “bello”,secondo la visione europea cor-risponde a canoni molto diffe-renti da quelli africani; in Africaè molto diffuso l’apprezzamen-to della “bellezza del brutto”.E le stesse nozioni di “arte” e di

“artista” sono da ritenere dissi-mili dal nostro modo di intende-re e di concepire i termini che,tra l’altro, la lingua africana nonè in grado di tradurre. “‘La mancanza’ che ci sembra

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1. Seni Awa Camara,Senza titolo; 2. ChikonzeroChazunguza, Virtualità;3. Abdul Naguib,Karingana wa Karingana(part.); 4. AbdoulayeKonaté, Generazionebiometrica n. 1.

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di constatare deriva forse inrealtà solo dal fatto che vengo-no disattese quelle che sono lenostre aspettative, modellatesu una particolare concezionedell’arte: quella delle ‘BelleArti’ o dell’art pour l’art, checontrappone la sfera del bello aquella dell’utile, l’arte pura

all’arte applicata, le artinobili a quelle meccani-che e così via […] Main realtà anche in occi-

dente con il termine‘arte’, a seconda dei

periodi, si sono pen-sate cose moltediverse fra loro eche cosa si debba

intendere oggiper arte non èaffatto chiaro”.5

Ma noi crediamo che il

46 TERRITORI

disorientamento derivi dallanostra scarsa coscienza criticacirca alcuni concetti fondamen-tali espressi in particolare dal-l’estetica crociana che “[…]inquadra l’attività artistica nelsuo sistema della filosofia dellospirito che contempla duemomenti, due forme di attività:

una teoretica che si rivolge alconoscere, una pratica che sirivolge al fare. L’attività teoreti-ca ha due stadi: uno, intuitivo,mediante il quale si ha cono-scenza del particolare ma anco-ra indistinto e al di qua di ognigiudizio; l’altro concettuale, checomporta quindi il giudizio, ladistinzione (vero e falso). L’ar-te è tipica del primo momento,è intuizione, conoscenza dell’in-dividuale che non può avere lecaratteristiche di giudizio, didistinzione di vero o di falso chesono proprie del momento con-cettuale. E appunto per questoè intuizione pura, cioè aliena daqualsiasi valore intellettuale ovocazione moraleggiante. Daciò deriva l’autonomia dell’arteche non è quindi né conoscenzateorica, né atto morale, né mira

5. Pathy Tshindele,Senza titolo, 6. CalixteDakpogan, La morte inpiedi, Resuscitata; 7. Idrissa Diarra, Ilcavallo bianco; 8. BodysIsek Kingelez, Aeromoda;9. Demba Camara,Senza titolo; 10. PathyTshindele, Senza titolo;11. Shine Tani, Concertoannullato.

al conseguimento di obiettivipratici come la predicazionemorale e politica”.6 L’arte èquindi frutto di un momentomagico, è intuizione ed espres-sione di una realtà poeticaattraverso il linguaggio propriodell’artista; da tale momentoscaturisce l’opera universale

che, in quanto tale, è destinataa vivere in eterno.Da tempo sappiamo che ormaile idee, le culture non hannopiù confini; in un mondo globa-lizzato infatti le distanze sisono annullate, per cui oggi laconoscenza dei fenomeni, an-

che artistici, è immediata.L’osmosi che si è verificata e siverifica nei due sensi tra le varieculture ha determinato in partel’occidentalizzazione del fareartistico nel mondo africano.E ci chiediamo se può avere“[…] senso, a proposito del-

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l’Africa, parlare di ‘bello’ e di‘arte’; se cioè questi terminicorrispondano alle intenzioni eall’esperienza vissuta dagliAfricani o non siano solo dellenostre proiezioni, un modo divedere le cose che parla più dinoi che di loro, in sostanza unpericoloso malinteso”.7

Non da meno l’impenetrabilemondo africano ha contribuitoin modo notevole nella forma-zione di molti artisti europei; traquesti ricordiamo Matisse, Bra-que, Derain, Vlamink e Picasso.In particolare, quest’ultimo èstato attratto dalla scultura afri-cana (maschere), rimanendoprofondamente turbato nel visi-tare una sala espositiva di scul-ture nel Museo parigino delTrocadèro, nell’estate dell’an-no1907; ed è pur vero che

“Già in uno dei suoi taccuini delMarzo 1907 si trova lo studiodi una testa conforme a questotipo di stilizzazione: Picasso loutilizzerà per i volti in apparen-za di maschere di ‘Les demoi-selles’”.8

La mostra “Africa? Una nuova

storia” del Vittoriano, curata daAndré Magnin, è costituita dadue sezioni: “La collezione Pi-gozzi di Arte ContemporaneaAfricana” dell’Africa sub-saha-riana e una selezione di operedi “Artisti Africani” scelti dalleAmbasciate di diversi Paesi.

Jean Pigozzi è il coraggioso col-lezionista che con iniziativediverse ha voluto finanziare esostenere l’arte africana, favo-rendone la conoscenza e sotto-lineandone i risvolti etici e cul-turali.Tra gli artisti presenti, provenien-

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ti da oltre venti Paesi, ricordia-mo Esther Mahlangu della tribùNdebele, con le sue pitture mu-rali decorative disegnate amano libera, trasferite in segui-to su tele di grandi dimensioni;George Lilanga con le sue scul-ture caricaturali policrome; ilpensatore e poeta FrédéricBruly Bouabré, grande talento,pacifista, autore di migliaia didisegni assemblati con un titoloemblematico: “Conoscenza delmondo”; Demba Camara, scul-tore itinerante che adoperamateriali di recupero nella pro-duzione di robot, ormai popola-ri in tutto il mondo; Chéri Chérincon i suoi ‘dipinti messaggi’ chedenunciano la decadenza dei

valori; Calixte Dakpogan chediscende da generazioni di fab-bri, autore di sculture antropo-morfiche realizzate attraversol’assemblaggio di materiali usu-rati, di recupero; Romuald Ha-zonmé, l’artista “bidone” cherealizza sculture (maschere)con materiale di recupero (bido-ni di plastica); Chéri Samba, ini-zialmente cartellonista e dise-gnatore di fumetti, poi artistafigurativo a tutto tondo, impe-gnato nella denuncia delle pro-blematiche dell’esistenza quoti-diana ed infine Bodys IsekKingelez, l’autore di monumen-tali plastici architettonici, poli-funzionali, nel senso che accen-trano gran parte delle funzioni

di una città ideale, dai colorimolto vivaci e dalle forme geo-metriche astratteggianti, splen-didamente ricercate. Gli artisti,in generale, tendono a relazio-narsi con il resto del mondo,attraverso tematiche che purscaturendo dall’esperienza quo-tidiana (espressione della pro-pria cultura, del proprio sapere)finiscono per coinvolgere, inuna visione completa e proble-matica, l’intera umanità.La mostra “allarga gli orizzontigeografici dell’arte e rappresen-ta, al tempo stesso, un terrenonel quale Europa e Africa sonochiamate a riscoprire le lororadici comuni, per andare insie-me incontro al futuro”.9

N O T E1. Ala Brasini, dal 19Novembre 2009 al 17 Gennaio20102. L’arte africana. La grande sto-ria dell’arte, vol.IX, Ed. Il Sole24 ORE, pubblicata su licenzaEducation.it, Firenze, 20063. L’arte africana, cit.4. Cecilia Lascialfari, “L’arte afri-cana tradizionale”, www.cecilia-lascialfari.it5. L’arte africana, cit.6. Salvatore Guglielmino, Guidaal Novecento, Ed. Principato,Milano, 19757. L’arte africana, cit.8. Carsten-Peter Warncke, PabloPicasso, 1881-1973, vol. I,opere 1890-1936, Taschen,Köln, 20079. Andrè Magnin, “Africa? Unanuova storia”, Gangemi, Roma,2009

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12. Rashid Diab, Donne;13. George Lilanga, Sonostupiti, da dove è venutaal testa?; 14. AmaniBodo, La riconciliazioneè il bacio della morale;15. Esther Mahlangu,Senza titolo; 16. RichardOnyango, Tsunami.

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