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1 L’interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi: nuove vedute sull’argomento Massimo Scalia Una premessa E’ dai primi esperimenti di Jacques Arséne d’Arsonval e di Nikola Tesla (1891), cioè dagli albori di quello che oggi chiamiamo Bioelettromagnetismo (BEM), che si è posta la questione che è poi risuonata invariata per cent’anni fino ai giorni nostri: esistono effetti biologici dei campi elettromagnetici che non siano solo quelli termici? Attualmente, infatti, è convenzione definire termico un effetto quando è associato ad un aumento maggiore, o uguale, di 1°C della temperatura di un distretto, o dell’intero corpo, dell’organismo. L’effetto specifico è indicato in letteratura come effetto non termico ed include tutti i mutamenti dell’attività biologica non dovuti ad innalzamento di temperatura. Si parla di effetto acuto o a breve termine quando la radiazione elettromagnetica provoca il riscaldamento di un tessuto biologico e/o la stimolazione di cellule dei tessuti nervosi e muscolari; cessata l’esposizione alla radiazione il tessuto ritorna allo stato preesistente. Per i primi quarant’anni un ricchissimo dibattito, fatto di esperimenti e interpretazioni, aveva coinvolto ricercatori, scienziati e medici su entrambe le sponde dell’Atlantico. Qui, in casa dei medici, è doveroso ricordare che il primo esperimento con un apparato a valvola elettronica fu effettuato a Parigi nel 1924 all’Ospedale della Salpetrière per valutare l’effetto sui sistemi biologici di campi oscillanti: era la prima volta che si usava in una ricerca una frequenza di 150 MHz! Furono irradiate delle onde ultracorte su piante di geranio nelle quali era stato inoculato il Bacterium tumefaciens per produrre un tumore. I tumori nelle piante esposte necrosarono e poterono essere facilmente staccati, con una vera e propria guarigione dei gerani, i quali produssero fiori maggiormente sviluppati di quelli dei controlli, in cui i tumori aumentavano di dimensioni. I risultati furono subito comunicati alla Société de Biologie di Francia dal chirurgo Antonin Gosset che aveva diretto l’equipe dei ricercatori; George Lakhovsky, un ingegnere di ampi interessi che dalla Russia era arrivato a Parigi, aveva realizzato l’elettronica dell’esperimento. Cinque anni dopo, nel 1929, fu Lakhovsky a comunicare che le piante guarite erano ancora vive; al contrario, i controlli avevano vissuto pochi mesi. Gli esperimenti descritti non erano frutto del caso; essi avevano lo scopo di provare l’ipotesi sviluppata nel 1923 da Lakhovsky, secondo cui la cellula

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L’interazione tra campi elettromagnetici e sistemi

viventi: nuove vedute sull’argomento

Massimo Scalia

Una premessa

E’ dai primi esperimenti di Jacques Arséne d’Arsonval e di Nikola Tesla (1891), cioè

dagli albori di quello che oggi chiamiamo Bioelettromagnetismo (BEM), che si è

posta la questione che è poi risuonata invariata per cent’anni fino ai giorni nostri:

esistono effetti biologici dei campi elettromagnetici che non siano solo quelli termici?

Attualmente, infatti, è convenzione definire termico un effetto quando è associato ad

un aumento maggiore, o uguale, di 1°C della temperatura di un distretto, o dell’intero

corpo, dell’organismo. L’effetto specifico è indicato in letteratura come effetto non

termico ed include tutti i mutamenti dell’attività biologica non dovuti ad

innalzamento di temperatura. Si parla di effetto acuto o a breve termine quando la

radiazione elettromagnetica provoca il riscaldamento di un tessuto biologico e/o la

stimolazione di cellule dei tessuti nervosi e muscolari; cessata l’esposizione alla

radiazione il tessuto ritorna allo stato preesistente.

Per i primi quarant’anni un ricchissimo dibattito, fatto di esperimenti e

interpretazioni, aveva coinvolto ricercatori, scienziati e medici su entrambe le sponde

dell’Atlantico. Qui, in casa dei medici, è doveroso ricordare che il primo esperimento

con un apparato a valvola elettronica fu effettuato a Parigi nel 1924 all’Ospedale

della Salpetrière per valutare l’effetto sui sistemi biologici di campi oscillanti: era la

prima volta che si usava in una ricerca una frequenza di 150 MHz! Furono irradiate

delle onde ultracorte su piante di geranio nelle quali era stato inoculato il Bacterium

tumefaciens per produrre un tumore. I tumori nelle piante esposte necrosarono e

poterono essere facilmente staccati, con una vera e propria guarigione dei gerani, i

quali produssero fiori maggiormente sviluppati di quelli dei controlli, in cui i tumori

aumentavano di dimensioni.

I risultati furono subito comunicati alla Société de Biologie di Francia dal chirurgo

Antonin Gosset che aveva diretto l’equipe dei ricercatori; George Lakhovsky, un

ingegnere di ampi interessi che dalla Russia era arrivato a Parigi, aveva realizzato

l’elettronica dell’esperimento. Cinque anni dopo, nel 1929, fu Lakhovsky a

comunicare che le piante guarite erano ancora vive; al contrario, i controlli avevano

vissuto pochi mesi. Gli esperimenti descritti non erano frutto del caso; essi avevano

lo scopo di provare l’ipotesi sviluppata nel 1923 da Lakhovsky, secondo cui la cellula

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è un risonatore elettromagnetico, in grado di emettere ed assorbire radiazioni di

altissima frequenza.

Questa citazione apre a uno dei temi che affronterò in seguito, quello della

biorisonanza, ma lascia aperta la questione del che cosa sia avvenuto in seguito

perché a un dibattito e a una ricerca così vivace si sia sovrapposto un atteggiamento

che non esito a definire, Aristotele mi scusi, “neo aristotelico”; quello col quale i

maggiori organismi tecnici internazionali – WHO (o OMS) e ICNIRP, la sezione

radiazioni non ionizzanti della Commissione Internazionale per la Radioprotezione

(ICRP) – negano, caparbiamente e a tutt’oggi, ogni effetto specifico della radiazione

elettromagnetica e fissano i limiti delle loro linee guida a proteggere solo dagli effetti

termici.

Nel proseguire della sperimentazione si può sinteticamente affermre che, arrivati agli

anni ’30, la ricerca biologica indicava come il campo elettromagnetico esplicasse i

propri effetti, ad esempio inibendo o stimolando l’accrescimento degli organismi

viventi, in relazione alla sua frequenza e alla durata dell’esposizione. Accanto alla

ricerca prettamente biologica si era anche sviluppata in medicina la diatermia, la

tecnica terapeutica del riscaldamento del corpo come mezzo per la cura di numerose

patologie.

All’interno della comunità scientifica internazionale si erano andate delineando due

diverse posizioni, riguardanti l’interazione tra campi elettromagnetici di alta

frequenza e sistemi viventi.

La prima posizione, con sfumature diverse, negava qualsiasi selettività di azione di

determinate frequenze e spiegava gli effetti biologici osservati con il calore generato

dalle correnti indotte negli organismi. La seconda posizione riteneva che l’azione

biologica fosse dovuta ad un duplice meccanismo: gli effetti erano in parte causati,

in relazione all’intensità del campo incidente, dal semplice riscaldamento, anche se

era presente un’azione specifica (non termica) della radiofrequenza.

Negli Stati Uniti, il crescente numero di medici che accanto alla diatermia

professavano la specificità delle azioni biologiche finì per preoccupare la

corporazione medica. Sostenere delle ipotesi delle quali non era chiara

l’interpretazione suscitava, ovviamente, dubbi, legittimi ma sicuramente amplificati

dallo spirito di autoconservazione che caratterizza ogni corporazione. A far

traboccare il vaso, causa o occasione?, fu forse la pubblicazione della traduzione in

inglese del testo di un medico tedesco, Erwin Schliephake, sostenitore degli effetti

specifici, che venne attaccato da varie associazioni dei medici americani in quanto

ritenevano le sue affermazioni “stravaganti” e prive di un adeguato conforto sia nel

suo Continente, che, soprattutto, negli Stati Uniti.

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Per evitare che la situazione sfuggisse di mano e per continuare invece a esercitare un

controllo sugli orientamenti e sulle scelte delle comunità dei medici, l’American

Medical Association (AMA), il più potente ordine dei medici statunitense, richiese al

suo Council of Physical Therapy di predisporre un’indagine ufficiale sull’ipotesi non

termica. Il rapporto finale, presentato nell’aprile 1935 dai due medici, Bernard

Mortimer e Stafford Osborne cui era stata affidata l’indagine, concludeva che:

“...

1. There is no conclusive evidence from the literature nor were we able to

substantiate the claim of specific biologic action of high frequency currents

(short-wave diathermy). In our opinion the burden of proof still lies on those who

claim any biologic action of these currents other than heat production.

2. The experimental work that claims specific bactericidal action for these high

frequency currents may be more rationally explained, we believe, on the basis of

“point heating”, which raises the temperature of micro-organism above their

thermal death point without a corresponding elevation in the temperature of the

medium…

3. Our own work on the machines submitted shows that there is a thermal gradient

from the hot skin to the less hot tissues within.

4. There is no evidence from reliable experimental work on living subjects that

short-wave diathermy possesses a more uniform penetration of heat into the body

than the conventional diathermy.

5. The possibility of special selective thermal action is a very remote one…”

Si è preferito riportarla in lingua originale perché questa posizione, la posizione

ufficiale dell’AMA, ha fatto scuola; e nei 70 anni successivi gli assessment delle varie

corporazioni – molto nota quella dell’American Physical Society del 1995 sugli effetti

degli elettrodotti, ribadita dieci anni dopo nel 2005 – hanno seguito quella falsa riga

abbastanza pedissequamente.

E’ l’attuale posizione ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e

dell’ICNIRP, ma su questo torneremo dopo.

Questo ukase, assieme alla richiesta dell’onere della prova verso chi dichiarava una

qualsiasi azione biologica dei campi oltre a quella dovuta alla generazione del calore,

concluse momentaneamente il dibattito tra i medici ed i ricercatori americani.

L’onere della prova per l’ipotesi esclusivamente termica veniva dato per scontato,

fondandosi basilarmente sul succedersi nel tempo dei fatti; ma, senza una verifica

sperimentale, richiama il celeberrimo lapsus irriso dai giuristi: “Post hoc, ergo

propter hoc”.

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L’intervento dell’AMA aggiunse una nuova dimensione all’argomento degli effetti

specifici. La dichiarazione coinvolgeva infatti tutta la categoria medica e, anche se

per il resto degli anni ’30 e quasi tutti gli anni ’40 furono pubblicati numerosi articoli

in cui si descrivevano effetti specifici, il punto di vista ufficiale, ovvero quello a cui si

adeguarono i medici orientati alla ricerca, era quello termico.

In Europa, al contrario, le due scuole di pensiero avevano duellato signorilmente a

“colpi di esperimento”. Per la maggior parte degli studiosi del continente, infatti, le

particolari proprietà biologiche delle onde elettromagnetiche erano legate alla

frequenza del campo: la questione era come scindere negli esperimenti l’azione

calorifica da quella oscillatoria. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale pose fine

al dibattito; e di esso si è purtroppo persa la memoria.

Dall’analisi dei documenti a disposizione, dei quali si può fornire una succinta ma

ragguardevole rassegna 1, emerge una grande quantità di ricerche sperimentali

condotte in Europa, assai di più, almeno fino agli anni ’20, di quanto avveniva negli

Stati Uniti. Complessivamente, guardando alla due sponde dell’Atlantico,

1 Scalia M., Pulcini F. e Sperini M., Campi elettromagnetici e sistemi viventi, Ed.

Andromeda (2014) (vedi cap. 5 “Una lunga storia”)

gli esperimenti condotti, anche se non sempre risultano corredati da tutti i dati che li

caratterizzerebbero in modo completo, tuttavia si impongono all’attenzione e non

solo per i rilevanti risultati prodotti.

Vi è infatti di più. La cura messa, in tanti casi, nel tentativo di separare proprio in

sede sperimentale gli effetti termici, peraltro modesti, da quelli invece di tipo

specifico, a carattere permanente, fa rabbrividire all’idea che quei risultati siano (80

anni dopo!) tranquillamente ignorati dai cosiddetti “esperti”, che hanno censurato

negli Stati Uniti come in Europa tutti i protagonisti, tutta la ricchezza sperimentale e

del dibattito, tutto ciò che si è succeduto per decenni dopo le “correnti” di

d’Arsonval.

Julius Robert Oppenheimer, il direttore del progetto Manhattan e della prima

esplosione atomica sperimentale ad Alamogordo il 16 luglio del 1945, due anni

dopo, in una lezione al MIT, consegnò a tutti i Fisici una pesante eredità: “..the

Physicists have known the sin; and this is a knowledge which they cannot lose”. Nel

mio piccolo, e su qualcosa di certo assai meno epocale dell’ingresso nell’era atomica,

vorrei consegnare ai Medici la consapevolezza che la “madre” di tutti i perduranti

negazionismi contro gli effetti biologici è l’assessment dell’AMA del 1935.

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1. La sorgente del campo e le onde elettromagnetiche

Le equazioni di Maxwell2 – equazioni differenziali alle derivate parziali

3 compendiano tutta la conoscenza dell’elettromagnetismo, cioè di tutte le leggi –

2 James Clerk Maxwell fu un Fisico-Matematico scozzese che, dopo anni di studio, scrisse la forma

moderna delle “sue” equazioni in un trattato del 1873; e, oltre alla teoria dell’unificazione del campo elettromagnetico, portò fondamentali contributi anche in altri comparti, dalla Teoria

cinetica dei gas alla Teoria dei colori alla dimostrazione della natura, fluida, degli anelli di Saturno. Aveva già messo in evidenza in precedenti lavori, negli anni 1860, l’esistenza di campi

elettrici e magnetici oscillanti che viaggiano nello spazio; e dal confronto tra il valore teorico della loro velocità e i risultati sperimentali noti mostrò che la luce non era altro che la propagazione di onde elettromagnetiche. 3 Le proprietà di evoluzione nel tempo di un sistema sono descritte nella Fisica classica tramite equazioni differenziali ordinarie o a derivate parziali. Ordinarie, se la soluzione del problema, la

“legge del moto”, è una funzione che dipende da una sola variabile, il tempo t ; è il caso della

seconda legge della Dinamica newtoniana F = m·a = m·d2s/dt2 , dove d2/dt2 è l’operatore

differenziale che applicato alla posizione s del corpo di massa m dà l’accelerazione a al tempo t. La legge del moto s = s(t) è la soluzione dell’equazione di Newton. A derivate parziali se, come

nel caso del campo elettromagnetico, le funzioni che rappresentano i campi, soluzioni delle

equazioni di Maxwell, dipendono da più variabili x, y, z, t e non dalla sola variabile t. Il fatto di

esprimere le leggi che governano i fenomeni fisici nei termini matematici di operatori differenziali,

cioè quelli che nelle equazioni si applicano alle funzioni che rappresentano le grandezze fisiche, comporta un’analisi e una comprensione “locale” – nel tempo o nello spazio o in entrambi – dei

fenomeni che si stanno descrivendo. Nel caso del campo elettromagnetico esiste anche una formulazione “globale” delle leggi che lo governano – che ricorre matematicamente a operatori integrali, cioè di “somma” – tramite il “lavoro” compiuto dal campo elettrico e dal campo

magnetico.

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non sono molte – che definiscono le proprietà e il comportamento dei campi elettrici

e magnetici. Tra le soluzioni delle equazioni di Maxwell ci sono le onde

elettromagnetiche; e, passando dalla Matematica alla Fisica, queste soluzioni

rappresentano fisicamente la propagazione ondulatoria di una perturbazione irradiata

nello spazio.

Si pensi, ad esempio, come sorgente della perturbazione in un certo posto e in un

certo istante a un’antenna emittente, cioè un conduttore cui è applicata una tensione

che oscilla nel tempo con frequenza ν. La d.d.p. induce nell’antenna un moto di

cariche elettriche, che oscillano con la stessa frequenza ν ; e l’onda prodotta dal loro

moto viaggerà nello spazio con la stessa frequenza ν delle oscillazioni cui sono

soggette le cariche nell’antenna.

La frequenza dà, in generale, il numero di oscillazioni compiute nell’unità di tempo;

la sua unità di misura nel sistema MKSQ è lo Hertz (Hz), un’oscillazione al secondo.

L’inverso del frequenza T = 1/ν è il periodo, che è l’intervallo di tempo necessario

perché il campo elettromagnetico riassuma lo stesso valore. La distanza tra due creste

di un’onda si chiama lunghezza d’onda λ , e si misura in multipli o sottomultipli del

metro.

Frequenza, periodo e lunghezza d’onda sono grandezze scalari.

E’ anche opportuno evidenziare che la definizione stessa di onda, che si propaga con

velocità V, comporta l’invarianza della forma dell’onda rispetto a traslazioni che

avvengano nel tempo con la velocità V. Questo vale per ogni altro fenomeno

ondulatorio – meccanico, elastico, sonoro, termico – e non solo per le onde

elettromagnetiche. Questa caratteristica si traduce, matematicamente, nel fatto che le

funzioni che rappresentano le onde dipendono dalla traslazione, x – Vt, e non,

separatamente, da x e t.

Certo, le onde elettromagnetiche non si vedono e solo poche persone particolarmente

sensibili percepiscono i loro effetti attraverso particolari reazioni del sistema nervoso.

I fenomeni ondulatori hanno però molte cose in comune, a partire dalle grandezze –

frequenza e lunghezza d’onda – che li caratterizzano; e perciò per avere un modello

“visivo” di onda nelle varie dimensioni spaziali in cui si manifesta si potrà pensare

alle vibrazioni di una corda di un violino o al familiare gioco da ragazzi (caso

unidimensionale), alle onde generate da un sasso che cade in uno stagno (caso

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bidimensionale) o alle onde elastiche rese visibili dalle compressioni/espansioni di un

corpo pulsante (caso tridimensionale).

Come aveva già capito Leonardo dall’osservazione delle messi, una caratteristica

comune al fenomeno di propagazione della perturbazione è che esso avviene senza

trasporto di materia; basti pensare alle onde del mare che, lontano dalla risacca, non

ci spostano e ci fanno andare su è giù come turaccioli, rispetto al livello di superficie,

ma sempre in loco. Un’altra caratteristica comune ai moti ondosi è che soddisfano

una relazione tanto semplice quanto importante

V ,

dove V è l’intensità della velocità di propagazione dell’onda nel mezzo, che è il

materiale dove l’onda si propaga. Questa velocità dipende dalle caratteristiche

fisiche del mezzo in cui si propaga la perturbazione. Nel caso degli strumenti a corda

la perturbazione è il “pizzico” e la velocità di propagazione lungo la corda dipende

dal valore della tensione cui è sottoposta la corda e dalla sua densità.

Nel caso delle onde elettromagnetiche la velocità di propagazione dipende dalla

permettività dielettrica ε e dalla permeabilità magnetica µ del mezzo

,

dove c è la velocità della luce nel vuoto (o in aria). Sulla direzione e verso ci

torneremo con l’esempio di Fig. 2. La presenza in (2) di ε e µ che sintetizzano,

rispettivamente, le proprietà elettriche e magnetiche del mezzo, consentono di

rimarcare che, soprattutto dal punto di vista sperimentale, hanno rilievo l’induzione

elettrica D e la induzione magnetica B.

Esse sono legate ai rispettivi campi da semplici relazioni lineari, tranne che per i

materiali ferromagnetici:

.

Nel caso in cui il mezzo sia omogeneo – stessa densità di materia in ogni punto –

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e isotropo, cioè abbia le stesse proprietà fisiche in ogni direzione (non è questo il

caso, ad esempio, dei cristalli che si sviluppano preferenzialmente lungo una

direzione), ε e µ sono costanti. In generale la materia non consente queste

semplificazioni descrittive, che sono però utilizzabili sicuramente come prima

approssimazione per gran parte dei fenomeni che si vogliono descrivere con il ricorso

alla Matematica.

Nel caso della propagazione delle onde elettromagnetiche nell’aria, che è quella cui

più ci riferiremo, si possono assumere per ε e µ i valori del vuoto: ε = µ = 1 e la

relazione (2) fornisce la grandezza della velocità di propagazione delle onde

elettromagnetiche in aria: c, cioè la velocità della luce nel vuoto (cfr. nota 2).

Essendo ormai chiaro, si spera, che onde, vibrazioni e oscillazioni sono sinonimi che

descrivono fenomeni di ugual natura, è utile richiamare qui brevemente alcune

nozioni apprese nella Scuola Media Superiore sul più semplice moto oscillatorio: il

moto su una retta di un punto materiale di massa m, sottoposto a una forza “di

richiamo” – un molla di coefficiente elastico k – posta in un punto O della retta,

assunto come origine del sistema di riferimento: l’oscillatore armonico. La

posizione del punto sulla retta è la distanza x del punto dall’origine O; e la legge del

moto, in funzione del tempo t, è:

,

che in ogni istante t fornisce la posizione del punto materiale sulla retta (e,

conseguentemente, la velocità del punto e le altre grandezze dinamiche come la

quantità di moto e l’energia). Il coseno, che compare a secondo membro della (4), è

una funzione periodica, del tempo; cioè, in capo a un intervallo di tempo T , detto

periodo del moto, essa riassume lo stesso valore e il punto materiale la stessa

posizione sulla retta (nella (4) va ugualmente bene la funzione seno).

In termini matematici, qualunque istante to si fissi, dovrà essere:

x (to) = x (to + T).

Del resto questo è il senso, anche colloquiale, che si attribuisce al periodo o

all’aggettivo periodico quando si parla del moto della Terra, di eventi climatologici

(stagioni, alisei, monsoni) o, più quotidianamente, dell’uscita di pubblicazioni

(giornali, riviste ecc.). L’inverso del periodo è, come si è detto in precedenza, la

frequenza ν = 1/T , cioè, il numero di oscillazioni che avvengono in un secondo.

La geometria materiale di questo semplice sistema è sintetizzata da ω = √(k/m).

Questa costante prende il nome di pulsazione; e la forma periodica della legge del

moto (4) fornisce subito (basta porre in essa t = T e θ = 0) la relazione

ω = 2π/T = 2π·ν.

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La fase, θ , dà la posizione iniziale del punto materiale sulla retta, che non coincide in

generale con O.

Molto importante è il parametro A , ampiezza massima dell’oscillazione, cioè la

distanza massima del punto materiale da O , perché è legata all’energia E del punto

durante il moto; più precisamente si può mostrare 4

che E = k A2 .

4 Dalla legge di moto dell’oscillatore armonico di massa m: x (t) = A · cos (ωt + θ)

si può derivare la sua velocità: v = - ω · A· sen (ωt + θ) e l’energia cinetica :

K = (½ ) m · v2

= (½) m · ω2 · A

2 sin

2 (ωt + θ).

La forza elastica di richiamo, proporzionale allo spostamento x dall’origine O : f = -

kx , è derivabile da un’energia potenziale U = (½ ) · k ·x 2

; pertanto l’energia

meccanica totale è:

E = K + U = (½) m·ω2·A

2 ·sin

2(ωt + θ) + (½ )k·A

2 cos

2(ωt + θ) = (½)A

2· [m·ω

2

+ k]·[sin2(ωt + θ) + cos

2(ωt + θ)]. Poiché per definizione è ω = √ k/m , ne segue

che m·ω2 + k = m·(k/m) + k = 2k.

In definitiva: E = k A2 ,

in quanto la relazione trigonometrica sen2(θ ) + cos

2(θ) = 1 vale anche come valor

medio sulle oscillazioni di pulsazione ω e argomento θ = ωt.

L’insistenza su questi aspetti è motivata dal fatto che un’onda, non solo

elettromagnetica, può essere pensata fatta da infiniti oscillatori armonici, collegati,

che vibrano ortogonalmente alla direzione di propagazione (ad es., vedi Fig. 2);

ognuno di essi, con la sua ampiezza e frequenza, è detto modo di vibrazione. A

questa concettualizzazione corrisponde una dimostrazione matematica.

La proprietà dell’onda di trasportare energia dalla sorgente nello spazio circostante,

senza alcun trasporto di materia, è generalmente definita radiazione. Si può quindi

parlare indifferentemente di onda elettromagnetica o radiazione elettromagnetica.

La frequenza dei diversi tipi di onde elettromagnetiche si estende su una gamma

impressionante di valori, che consente la classificazione delle onde: tali valori

costituiscono lo spettro delle frequenze. La (1) afferma che se l’onda si propaga in

un mezzo che con buona approssimazione si può considerare omogeneo e isotropo la

frequenza è inversamente proporzionale alla lunghezza dell’onda: più alta è la

frequenza, più corta è l’onda e viceversa. L’insieme dei valori delle lunghezze

d’onda costituisce lo spettro delle lunghezze d’onda, e la lunghezza d’onda, lo

ricordiamo, è la distanza tra due massimi (o due minimi) che l’ampiezza dell’onda

raggiunge. Con il termine spettro elettromagnetico si definisce l’insieme delle

oscillazioni elettromagnetiche, che include sia lo spettro delle frequenze che quello

delle lunghezze d’onda.

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A una distanza dalla sorgente distanza sufficientemente grande, tale che essa possa

essere considerata puntiforme (a 500 m. e oltre, anche un’antenna lunga 5 m. può

essere considerata puntiforme), e se l’irraggiamento dalla sorgente avviene in modo

isotropo (non è questo il caso di un’antenna che emette su una direzione

preferenziale), il fronte d’onda sferico che, irraggiato dalla sorgente, investe

l’osservatore o lo strumento di misura è così grande da essere rilevato come “piano”

invece che convesso (il piano tangente al fronte d’onda nel punto di osservazione,

Fig.1). Il fronte d’onda è il luogo geometrico dello spazio di tutti i punti dell’onda

che hanno ugual fase.

In questo senso si parla di onda piana, che si può rappresentare come una

componente del campo elettrico che vibra in un piano ortogonale al piano in cui vibra

la componente di campo magnetico, mentre si propaga nella direzione ortogonale a

tutti e due i piani (vedi Fig.2).

Fig. 1: Onda sferica

Fig.2: Un caso particolare di campo elettromagnetico è l'onda elettromagnetica

piana. Il piano xy, dove oscilla il campo elettrico è detto piano di vibrazione; il piano

xz dove oscilla il campo magnetico è detto di piano di polarizzazione.

E’ convenzione, la più usata, associare alla direzione di propagazione – che unisce la

sorgente all’osservatore – l’asse x; gli altri due assi del sistema di riferimento restano

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determinati dalla richiesta che costituiscano una terna di assi coordinati levogira

(l’asse z deve “vedere” l’asse x sovrapporsi all’asse y con una rotazione in senso

antiorario). Pertanto, con riferimento alla Fig. 2 e tenendo conto delle semplificazioni

che l’ipotesi “onda piana” comporta per le equazioni di Maxwell, la direzione del

campo elettrico E coincide con l’asse y e quella del campo magnetico H con l’asse z.

Si può ricorrere allo schema di onda piana tutte le volte che si vogliano affrontare

problemi di “campo lontano”; se invece l’oggetto irradiato si trova vicino alla

sorgente, il campo elettromagnetico assume una configurazione più complessa e non

si può usare un’onda piana per rappresentarlo.

La figura 2 è così diffusa da indurre talvolta nell’errore che tutte le onde, se non

addirittura tutti i campi elettromagnetici, siano rappresentabili in quel modo. Fig.2 è

valida solo per le onde piane e raffigura solo una parte delle componenti

elettromagnetiche. Le equazioni di Maxwell forniscono infatti nel caso di onda piana

due relazioni: Ey = (√µ/ε ) · Hz , quella rappresentata in Fig.2, e quella simmetrica

Hy = - (√ε/µ) · Ez , rappresentabile in ugual modo. Con gli indici in basso si

denominano le componenti del campo elettrico e magnetico omonime agli assi

coordinati del sistema di riferimento. La precisazione fatta nulla toglie alla

“visibilità” che la Fig.2 consente, né, ovviamente, al rigore e alla validità della sua

determinazione.

Nella Tab.1 lo spettro delle onde elettromagnetiche è illustrato sinteticamente in

funzione della frequenza e della lunghezza d’onda. Leggendo dall’alto verso il basso,

si possono osservare le radiazioni che presentano una maggiore frequenza, alle quali

è associata una maggior energia (raggi γ, raggi X, raggi UV).

Ispezioniamo ora lo spettro delle frequenze elettromagnetiche, dalle più basse alle più

alte, in rapporto ai diversi dispositivi di utilizzo o di emissione. Ci sono onde con

frequenza bassissima che vengono denominate ELF (Extremely Low Frequency);

decine di Hertz, ma lunghe fino centomila chilometri, come quelle emesse dai cavi ad

alta tensione (50 Hz). Sempre nel campo delle basse frequenze, ma più elevate delle

ELF, si trovano le SLF (Super Low Frequency ) cui corrispondono lunghezze d’onda

fino a diecimila chilometri, e le ULF (Ultra Low Frequency), cui corrispondono

lunghezze d’onda fino a 1000 chilometri.

Nelle diverse bande della Regione hertziana si trovano le onde della radiofonia e

della televisione (radiofrequenze) e dei cellulari: da qualche migliaio di Hertz e

lunghezze d’onda di decine di chilometri a centinaia di milioni di Hertz (1 milione di

Hertz = 1 MHz, MHz = MegaHertz) e lunghezza d’onda di decine di metri. Le onde

radar sono microonde, come quelle del forno, dei ponti radio e dei collegamenti

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satellitari: miliardi di Hertz (1 miliardo di Hertz = 1 GHz, GHz = GigaHertz) e pochi

centimetri di lunghezza.

Tab. 1: Spettro elettromagnetico

La suddivisione dello spettro in “bande” di frequenza (e di lunghezze d’onda), come

riportata nella tabella 1, è fondata sui diversi dispositivi in grado di produrre o

trasmettere le onde elettromagnetiche, rispetto ai quali esistono ovviamente delle

sovrapposizioni ai bordi degli estremi di ogni banda.

Onde elettromagnetiche? Con la sistemazione teorica dell’elettrodinamica

quantistica, operata dal premio Nobel Richard Feynmann nei primi anni ’60, il

dibattito millenario sulla natura della luce – ondulatoria o corpuscolare? –, che ha

impegnato Democrito come Newton, Goethe come Maxwell, abbia avuto una risposta

definitiva, al di là di ogni ragionevole dubbio: la natura della luce è corpuscolare, i

grani di luce sono i fotoni. E fotoni sono ormai detti i quanti d’energia

elettromagnetica d’ogni frequenza.

Denominazione Frequenza Lunghezza

d’onda

Raggi > 31010

GHz 0,01 nm <

Raggi X 31010

– 7,5107 GHz 4 - 0,01 nm

Regione ottica

Ultravioletti 7,5107–7,910

5 GHz 380 - 4 nm

Visibile 7,9105–3,810

5 GHz 0,78 – 0,38 m

Infrarosso 3,8105 – 300 GHz 1 mm – 0,78 m

Regione hertziana

Microonde 300 - 0,3 GHz 1 m – 0,1 cm

Radiofrequenze 300 MHz - 3 kHz 100 km – 1 m

ULF 3 kHz – 300 Hz 1.000 – 100 km

SLF 300 – 30 Hz 103 – 10

4 km

ELF 30 - 3 Hz 104 – 10

5 km

13

Allora onde elettromagnetiche, addio? No, esse costituiscono un’approccio

fondamentale e utilissimo per la massima parte dello studio delle interazioni con la

materia e i sistemi biologici..

2. Il potenziale elettrico di membrana e i potenziali d’azione

Quando un sistema biologico è investito dalla radiazione elettromagnetica,

caratterizzata da una densità di potenza per unità di superficie S 5, da un campo

elettrico E e magnetico H incidenti, al suo interno si generano un campo elettrico e

magnetico Ei , Hi interni. Cosa accade dopo che la radiazione elettromagnetica

incidente ha generato i campi elettrico e magnetico interni?

Il corpo umano è una complessa struttura costituita da parti eterogenee quali cute,

grasso, osso, midollo spinale, muscolo, sangue, fibre nervose, ed altro ancora, ognuna

delle quali è caratterizzata a livello macroscopico da parametri elettromagnetici

(conducibilità, costante dielettrica relativa e permeabilità magnetica), che dipendono

dalla frequenza dei campi interni.

A livello microscopico i tessuti sono formati da differenti tipi di cellule; a sua volta

ogni cellula è composta da strutture specializzate (membrana, mitocondrio, nucleo,

ecc.), dette organelli, e da una miriade di macromolecole biologiche.

Tutte queste strutture possiedono parti elettricamente cariche, le quali sono sottoposte

ad una forza quando interagiscono con i campi interni.

Il problema, come già accennato, è di determinare il campo elettrico interno nelle

diverse parti del corpo quando esso è esposto ad un campo elettromagnetico

incidente noto.

Quando la materia biologica è sottoposta a un campo elettrico esterno, atomi e

molecole neutre possono essere distorti nella loro configurazione, poiché si manifesta

un’eccedenza di cariche di un segno in una regione dello spazio da essi

5 La densità di potenza per unità di superficie di un campo elettromagnetico viene

anche chiamata intensità della radiazione, e per rappresentarla in modo sintetico ed

efficace si suole introdurre il vettore di Poynting S, che è il prodotto vettoriale di E,

H per una costante: , dove c è la velocità della luce, la direzione e il

verso sono quelli di propagazione dell’onda e la grandezza del vettore S è l’intensità

di radiazione. Nel caso che valga per l’onda incidente l’approssimazione di onda

14

piana (“campo lontano”, cioè sorgente del campo puntiforme ed emissione non

direzionale ma isotropa) se A è l’ampiezza dell’onda la grandezza di S è data εA2/4π,

dove ε è la costante dielettrica del mezzo in cui viaggia l’onda incidente (di solito

l’aria).

occupata: il conseguente difetto di cariche di quel segno nella regione abbandonata è

“visto” dal campo elettrico esterno come una carica di segno opposto.

Tale asimmetria nella distribuzione di carica nello spazio indotta dal campo esterno è

detta polarizzazione, e i dipoli elettrici così generati sono chiamati dipoli indotti; la

definizione è valida anche per quell’unità biologica fondamentale, dalla struttura

estremamente complessa, che è la cellula, unità che possiede, entro certi limiti,

meccanismi di controllo e di equilibrio.

Ai primi passi nell’origine della vita fu la costituzione di uno spazio interno rispetto a

quello esterno, mediante la formazione di una membrana cellulare. La membrana

cellulare è costituita dal 55% di proteine, 35% di lipidi e 10% di polisaccaridi: il suo

compito è di contenere le diverse strutture intracellulari e di separare due ambienti

con composizione chimica diversa.

Nella struttura della membrana vi sono alcune proteine che hanno il compito di

mantenere una diversa concentrazione di ioni tra esterno ed interno della cellula.

Questa funzione, detta pompa ionica metabolica, genera una differenza di potenziale

V del valore medio di circa 70 mV – il potenziale di elettrico membrana – e

intensità del campo elettrico E dell’ordine di 107 V/m (Fig.3).

Durante l’evoluzione i sistemi biologici hanno selezionato dei gruppi di cellule

particolari, quelle nervose e muscolari (come quelle cardiache), che sono in grado di

produrre variazioni del potenziale di membrana, dette depolarizzazioni. Queste

cellule sono “eccitabili” e le variazioni del potenziale di membrana sono dette

potenziali d’azione. Poiché le variazioni avvengono in un intervallo molto breve,

dell’ordine del microsecondo, i potenziali d’azione sono anche detti impulsi elettrici

e si propagano lungo i nervi ed i muscoli.

Questa “corrente elettrica” non è dovuta a movimento di elettroni o di ioni, come

accade nei metalli o nelle soluzioni elettrolitiche. Gli impulsi elettrici infatti

raggiungono i diversi distretti corporei senza trasporto di materia (elettroni o ioni),

ma tramite la propagazione della depolarizzazione della membrana cellulare.

Insomma, gli impulsi elettrici (potenziali d’azione) si propagano nel corpo proprio

come onde in un mezzo: la perturbazione è la variazione del potenziale di membrana,

generata ad esempio in una cellula del sistema nervoso centrale, che viaggia lungo il

sistema nervoso con una velocità V che dipende dalle caratteristiche materiali del

15

mezzo – i nervi – in cui si propaga. Attenzione, il carattere elettrico dell’impulso non

ha a che vedere con quello della sua propagazione; quella che viaggia non è un’onda

elettromagnetica.

La cellula genera un campo elettrico di valore elevato, il quale ha il compito di

mantenere le proteine della membrana “allineate” contro l’agitazione termica3 della

cellula e dei suoi componenti che tende a disaggregarle; in assenza di questo campo

non si avrebbe lo scambio elettrochimico di sostanze fra interno ed esterno della

cellula.

Nelle cellule tumorali si evidenzia che il potenziale di membrana, e quindi il campo

elettrico dato dalla d.d.p. della membrana, diminuisce.

I tessuti e gli organi sono tutte strutture che, a livello macroscopico, sono

caratterizzate dai seguenti parametri elettromagnetici:

conducibilità ;

costante dielettrica relativa r ;

permeabilità magnetica .

Questi parametri possono essere definiti anche per la cellula e per la membrana, che,

pur appartenendo al mondo microscopico (letteralmente, se si pensa allo strumento

per poterle vedere), sono però costituite da un numero di molecole così elevato da

poter definire per esse le medie statistiche che forniscono i valori dei parametri.

Fig. 3: Rappresentazione schematica della membrana cellulare, campo elettrico e

potenziale tra interno ed esterno della cellula

16

3. Interazioni ed effetto finestra

Nello studio degli effetti dei campi elettromagnetici sui sistemi viventi, la disciplina

del bioelettromagnetismo, cioè lo studio dell’interazione dei sistemi viventi con

l’energia elettromagnetica, può essere condotto riferendosi a due modelli diversi.

3 Tutta la materia, inorganica, organica e biologica, è animata nei suoi componenti

ultimi – cellule e loro parti (membrana, proteine e lipidi di membrana, mitocondri,

organelli ecc.), molecole (dell’acqua come del silicio, ecc.), atomi (dei gas come dei

metalli, ecc.) – da moti di vibrazione, in generale non coordinati tra di loro e le cui

caratteristiche – ampiezza, frequenza – sono determinate dalla struttura materiale del

microsistema, dallo spazio che ha a disposizione e dalle caratteristiche di questo

spazio. L’ampiezza di queste incessanti vibrazioni si riduce, e con essa l’energia

associata, al decrescere della temperatura, non raggiungendo mai la quiete perfetta

perché è impossibile raggiungere lo zero assoluto, cioè -273,16 °C (terzo principio

della Termodinamica).

Anteporremmo allo studio dell’interazione la descrizione di alcune fondamentali

proprietà elettriche e magnetiche della materia vivente.

La presenza di un campo elettrico interno al sistema biologico determina a livello

microscopico i seguenti effetti fisici:

spostamento di elettroni e di ioni, liberi così di muoversi su percorsi relativamente

brevi e di generare correnti di conduzione locali, dette microcorrenti;

rotazione ed orientamento dei dipoli elettrici permanenti ed indotti, ovvero il

fenomeno della polarizzazione.

La variazione del campo in funzione del tempo si traduce nell’oscillazione delle

cariche libere e dei dipoli con la formazione di correnti di conduzione e di

polarizzazione localizzate. Il movimento degli ioni e dei dipoli è però ostacolato dagli

urti con le altre particella costituenti il sistema biologico; in questo modo una parte

dell’energia ceduta dal campo si trasforma in calore. In termini macroscopici, questa

resistenza al moto delle cariche viene descritta tramite quel parametro che abbiamo in

precedenza introdotto: la conducibilità , maggiore è la conducibilità minore è la

resistenza al moto delle cariche.

In generale, nelle ipotesi semplificative sulle strutture biologiche, in presenza di un

campo elettrico più sono le cariche libere di muoversi presenti nel sistema biologico

maggiore è la conducibilità. In un organo o in un tessuto, poi, si verifica

sperimentalmente che la conducibilità è direttamente proporzionale alla frequenza

del campo. Negli schemi semplificativi maggiormente adottati il comportamento del

materiale biologico rispetto al fluire di cariche elettriche è descrivibile in termini

simili a quelli della materia inorganica.

17

La costante dielettrica relativa r è un fattore di proporzionalità adimensionale, che

fornisce una misura della polarizzazione locale delle cariche elettriche – i dipoli –

nelle strutture biologiche sottoposte a un campo elettrico interno. La costante

dielettrica, maggiore per i tessuti e gli organi con elevato contenuto di acqua,

diminuisce al crescere della frequenza del campo; più elevata è la frequenza tanto

minore è l’energia dell’onda elettromagnetica che viene assorbita dal materiale

biologico.

Nella trattazione “classica” più semplice, ad esempio, solamente il 50% della

radiazione della regione delle microonde attraversa la cute, per poi essere attenuata

esponenzialmente. E’ bene allora ripetere che quando si parla di “campo” nelle

osservazioni precedenti e in quelle che seguiranno si intendono sempre Ei e Hi , cioè

i campi interni.

In realtà le soluzioni acquose di elettroliti sono mezzi estremamente complessi che

presentano proprietà anomale, in grado di influenzare i fenomeni di equilibrio e di

trasporto che si verificano nei sistemi viventi. Queste soluzioni non sono

schematizzabili soltanto mediante l’analisi basata sul passaggio della corrente e sulla

polarizzazione dielettrica; e la conoscenza delle interazioni molecolari nell’acqua è

ancora limitata.

La conducibilità e la costante dielettrica nei tessuti cancerosi sono maggiori di

quelle dei tessuti normali.

La permeabilità magnetica nei sistemi viventi è uguale alla permeabilità

magnetica nel vuoto 0 6, tranne che per alcune strutture biologiche contenenti

magnetite, quali sono, ad es., i magnetosomi.

Il campo magnetico associato all’onda elettromagnetica incidente è in grado

d’interagire con i componenti delle strutture biologiche dotate di proprietà

magnetiche, quali materiali ferromagnetici, radicali liberi, molecole

diamagnetiche anisotrope e momenti magnetici nucleari.

Ne tratteremo nella sezione dedicata alle proprietà magnetiche. Completiamo, ora

con una rapida descrizione, la rassegna delle altre proprietà elettriche dei sistemi

viventi.

Le strutture biologiche esibiscono comportamenti piezoelettrici e piroelettrici.

L’effetto piezoelettrico è la generazione di una differenza di potenziale elettrico

causata in certe macromolecole da una distorsione di tipo meccanico (ad es., la

18

rotazione di loro parti). Si osserva principalmente nelle proteine (cheratina,

collagene, fibrina, ecc.) e può determinare variazioni del pH locale, cambiamenti

della permeabilità di membrana, lo spostamento di cellule, la catalisi enzimatica,

l’orientamento di macromolecole intra-ed extracellulari, ed altre ancora.

L’effetto piroelettrico è la generazione di una differenza di potenziale elettrico

dovuta a una variazione di tipo termico, quando per aumento o diminuzione della

temperatura cambia l’intensità dei momenti di dipolo elettrico – la nozione di

momento di un vettore viene fornita più avanti – in quelle strutture biologiche che si

comportano come solidi anisotropi 7. Tale effetto è stato osservato per la prima volta

nei sistemi biologici nel 1966, e la d.d.p. così generata può produrre delle correnti che

stimolano reazioni fisiologiche nell’organismo. La piroelettricità è stata osservata

anche nelle cellule, nei tessuti e negli organi di molte piante ed animali inferiori: essa

potrebbe essere alla base del funzionamento dei vari organi sensori (termorecettori,

fotorecettori, elettrorecettori, chemiorecettori).

L’effetto piezoelettrico e quello piroelettrico sono due ulteriori meccanismi di cui si

servono nel loro funzionamento gli organismi viventi, al fine di convertire energia

meccanica e termica in energia elettrica.

Il potenziale di membrana è dovuto alla diffusione di protoni (H+) e di ioni (Na

+, K

+,

ed altri ancora) attraverso la membrana: Albert Szent-Györgyi (1893-1986), premio

Nobel per la medicina nel 1937 per le ricerche sull’ossidazione biologica e

6 La permeabilità magnetica del vuoto vale: µo = 4π·10

-7 henry al metro = 12,57·10

-7

(H/m).

7 Ricordiamo che per anisotropo s’intende un sistema materiale le cui proprietà

fisiche dipendono dalla direzione. Ad esempio, vari cristalli hanno proprietà di

riflessione e di rifrazione diverse secondo la loro superficie esposta alla luce

incidente; anche corpi elastici possono mostrare proprietà elastiche in funzione della

direzione in cui sono sollecitati.

la vitamina C, fu il primo scienziato ad ipotizzare, nel 1941, che nelle cellule il

trasferimento di energia elettrica fosse imputabile anche ad un trasferimento di

elettroni eccitati lungo la membrana, assimilata ad una matrice semiconduttrice. La

materia biologica presenta proprietà uguali a quelle della materia inorganica! La

presenza di un potenziale di membrana e di un elevato campo elettrico, di circa 107

V/m, permetterebbe alle proteine inserite nel doppio strato lipidico, considerate nel

loro insieme, di comportarsi come un semiconduttore, il protagonista di quella

19

rivoluzione tecnologica che oltre 50 anni fa sostituì un chip di silicio alle valvole

termoioniche delle radio, inaugurando l’era dell’elettronica di consumo. Tale ipotesi

ha acquisito un sempre maggiore supporto teorico e sperimentale nel corso degli

anni. Infine, altra ipotesi stupefacente e assai più recente, gli organismi viventi si

servirebbero del fenomeno della superconduttività, a temperatura fisiologica, per

assolvere ad alcune funzioni biologiche, come ad esempio quella nervosa.

Occorre poi tenere presente che nei sistemi viventi sono presenti, a livello cellulare,

campi elettromagnetici (CEM) endogeni 8, generati per mezzo dell’attività

metabolica. Le sorgenti dei campi sono dovute alla cellula come unità, alla membrana

cellulare e all’interno della membrana cellulare, in particolare nel citoscheletro9. Le

frequenze dei campi generati in questo modo interessano le regioni di bassa

frequenza, da pochi hertz al megahertz (1MHz =106 Hz) e nell’intervallo di

elevatissima frequenza dal gigahertz (1GHz =109 Hz) al terahertz (1THz =10

12 Hz):

CEM da pochi Hz fino al MHz sono conseguenze delle correnti ioniche, mentre i

CEM dal MHz fino al THz sono dovuti alle vibrazioni dei dipoli elettrici. I CEM

cellulari rivestono un ruolo importante nell’organizzazione spaziale e temporale delle

strutture nelle cellule (posizione di organelli e molecole), nella comunicazione

cellulare, nel trasporto dei componenti delle reazioni chimiche, ovvero sulla cinetica

delle reazioni chimiche; e anche nelle interazioni con l’ambiente circostante

(aderenza delle cellule, comunicazione a distanza tra cellule).

Venendo ora ai meccanismi dell’interazione con il materiale biologico, un primo

modo è studiare l’azione che il campo elettromagnetico associato all’onda esercita

sulle cariche presenti negli organismi viventi.

In questa prima descrizione detta classica, i sistemi viventi sono considerati, in prima

approssimazione, come principalmente costituiti da acqua – del resto, per l’uomo essa

rappresenta circa i due terzi della materia di cui siamo fatti – con disciolte sostanze

che la rendono conduttiva. Note le caratteristiche della sorgente del campo,

dell’esposizione e dei già citati parametri elettromagnetici dei vari livelli di

organizzazione degli organismi pluricellulari, l’applicazione delle leggi

dell’elettromagnetismo, ovvero delle equazioni di Maxwell, permette in linea di

principio di descrivere il meccanismo biofisico dell’interazione.

8 In letteratura indicati anche come CEM biologici.

9 L’argomento è trattato in dettaglio nel testo di M. Scalia e M. Sperini: La cellula:

aspetti elettrodinamici; Edizioni Andromeda, 2014.

Il problema consiste nel determinare quali modificazioni dei parametri

elettromagnetici subiscono le strutture biologiche e come tutto ciò si rifletta sul

funzionamento dell’organismo 10

.

20

Sembrerebbe più appropriata dal punto di vista teorico la seconda modalità, quella

che considera le radiazioni elettromagnetiche incidenti come quanti di energia, i

fotoni. Ma la trattazione quantistica dei fenomeni in esame, che oltretutto imporrebbe

anche una descrizione in termini quantistici del materiale biologico sottoposto alle

radiazioni incidenti, risulterebbe assai complessa e, in ogni caso, non è davvero cosa

per queste note.

Qui si può solo lanciare, sommessamente, il monito ad evitare “semplificazioni

quantistiche”. All’origine di una mutagenesi si può essere tentati dal pensare al

quanto elettromagnetico di energia hν, h costante di Planck 11

e ν frequenza

dell’onda elettromagnetica, come a un “proiettile” che “perfora” il DNA; e se i

meccanismi di riparazione naturale del DNA operati da certi enzimi non riescono a

ripristinare la configurazione, ecco la mutagenesi. In realtà l’eventuale azione del

campo elettromagnetico si esplica attraverso una perossidazione che genera dei

radicali liberi12

che possono aggredire le molecole del DNA.

Abbandonando speculazioni teoriche, veniamo ora alla storia di alcuni esperimenti

che sembrano comprovare l’esistenza di effetti specifici del campo elettromagnetico e

che hanno polarizzato l’attenzione di molti ricercatori in questi ultimi quarant’anni.

Negli anni ’70 il dott. William Ross Adey scoprì un importante effetto dei campi

elettromagnetici: l’efflusso di ioni di calcio dal tessuto cerebrale, quando la corteccia

cerebrale veniva stimolata elettricamente in vivo – si trattava di gatti coscienti – con

circa 200 impulsi al secondo (200 Hz, durata 1 ms), con campo elettrico all’interno

del tessuto di 5 V/m (circa la grandezza dell’EEG).

10 La notevole complicazione di questo approccio è costituita dalle difficoltà di

caratterizzare dal punto di vista elettromagnetico le cellule, i tessuti e gli organi del

sistema biologico in vivo. 11

h = 6,627 10-34

(m2 kg/s), è il “quanto d’azione” di Planck. Una costante che ha le

dimensioni fisiche di un’energia per un tempo, quelle, appunto di un’azione; il suo

valore può essere preso come linea di confine tra la regione in cui h ha un valore non

trascurabile, e allora valgono le leggi della meccanica quantistica, e dove valgono le

leggi della Fisica classica (h molto piccolo rispetto ai valori delle altre grandezze

fisiche). 12

I radicali liberi sono specie chimiche estremamente reattive, ovvero con una forte

tendenza a legarsi con altri atomi e molecole: questa definizione generale, che

comprende l’atomo di idrogeno e vari ioni e molecole, è ristretta in biologia, con

l’eccezione dell’ossigeno, alle sole macromolecole che assolvono ad una specifica

funzione biologica, quali metalloproteine, prodotti intermedi delle reazioni

21

metaboliche (ed altre ancora). La tendenza di atomi e molecole di un elemento o di

un composto organico a legarsi con un altra specie dipende dalla loro configurazione

elettronica. Questa configurazione nel caso delle molecole sarà chiamata più

propriamente “orbitale”; e la forte reattività dei radicali liberi è determinata dal fatto

che negli orbitali più “esterni” della molecola si trova un solo elettrone (elettrone

“spaiato”) Un principio generale – il principio di esclusione formulato nel 1925 da

Wolfgang Pauli, e alla base della costruzione (aufbau principle) della tabella

periodica di Mendeleev – consente la presenza di due elettroni negli orbitali più

esterni dei radicali liberi; c’è quindi posto per un altro elettrone, che potrà essere

occupato dalla specie chimica con cui il radicale libero si lega

Negli esperimenti si registrava il rilascio di una notevole quantità di calcio (20% in

più) e di un’equivalente quantità di GABA (acido -aminobutirrico).

Tale scoperta confutò l’idea che deboli campi extracellulari, del medesimo ordine di

grandezza dell’EEG e molto più deboli del potenziale di membrana, non sono in

grado di influenzare il neurone.

In successivi esperimenti effettuati da Bawin e Adey, il tessuto cerebrale di pulcini e

di gatti veniva esposto per la durata di venti minuti a vari campi elettrici alternati, di

frequenze 1, 6, 16, 32 Hz e di intensità comprese nell’intervallo tra 5 V/m e 100

V/m. I risultati degli esperimenti evidenziavano un decremento significativo (15-

20%), rispetto ai controlli, dell’efflusso di ioni calcio dal tessuto cerebrale, in

corrispondenza ad alcune delle frequenze scelte (6 e 16 Hz), ma solo per campi

elettrici di intensità interna ai valori dell’intervallo, mentre in corrispondenza agli

estremi dell’intervallo, rispettivamente 5V/m e 100/V/m, non si registrava un

decremento significativo dell’efflusso di ioni.

Quando un effetto biologico, causato dall’esposizione a campi elettromagnetici, si

verifica tra i due estremi di un intervallo di valori dell’intensità del campo, ma non

agli estremi, è uso definirlo come effetto, o fenomeno, finestra.

L’effetto finestra, nel caso degli esperimenti condotti da Adey e il suo gruppo, era

duplice: rispetto all’intervallo dove variavano le intensità dei campi e rispetto

all’intervallo di variazione delle frequenze [1 – 32 ]Hz; l’effetto biologico essendo

rilevabile solo in corrispondenza ad alcune frequenze interne a quell’intervallo.

I resoconti degli anni ’70 del gruppo di Adey indicavano come i ricercatori si

trovassero di fronte ad uno strano fenomeno: l’interazione si presentava come una

risposta biologica (bioeffetto) all’azione del campo; una risposta non lineare,

funzione della frequenza e dell’ampiezza del campo, con un massimo della “curva di

risposta” in corrispondenza alla frequenza di 16 Hz e all’intensità di campo di 56

V/m. Gli effetti che si manifestavano erano di tipo non termico (gli sperimentatori

avevano avuto cura che la densità di potenza del campo elettromagnetico non

22

superasse i 10 W/m2

= 1mW/cm2) e riguardavano il funzionamento del sistema

nervoso.

Negli anni ’80 il gruppo Adey condusse altri esperimenti con campi modulati in

ampiezza a 16 Hz, associati a una portante di alta frequenza, 450 MHz, che esibirono

un incremento dell’efflusso cerebrale di ioni calcio sia in gatti che in ratti (+ 38%);

mentre in assenza di modulazione o con modulazione a 60 Hz non si rilevò nessun

effetto.

L’EPA (Environmental Protection Agency, ovvero Agenzia per la Difesa

Ambientale), alcuni anni dopo i primi esperimenti del gruppo di Adey, allestì un

proprio laboratorio (Health Effects Research Laboratory) per verificare

indipendentemente l’effetto “finestra”. Il laboratorio, diretto dal dott. Carl F.

Blackman e dal dott. J.A. Elder, seguendo le medesime procedure descritte dai

protocolli del gruppo Adey, confermò con vari esperimenti l’esistenza delle finestre

sia per le intensità di campo che per i valori della frequenza13

.

C’era però un disaccordo tra i due gruppi di ricerca sulla variazione dell’efflusso di

ioni: Adey e colleghi ne avevano rilevato una riduzione, Blackman e colleghi un

incremento. Blackman e colleghi si chiesero allora se la differenza era dovuta alla

componente magnetica del campo modulato di 16 Hz, presente nei loro esperimenti

ma non in quelli del gruppo di Adey. L’ipotesi si rivelò giusta, poiché, eliminando la

presenza della componente magnetica del campo oscillante a 16 Hz, non si rilevava il

fenomeno dell’incremento nell’efflusso di ioni di calcio

Successivamente fu scoperta da Blackman (1988) l’importanza del campo magnetico

locale come parametro sperimentale: la finestra in frequenza dipende dal valore della

componente statica del campo magnetico terrestre presente nella camera di

esposizione (il valor medio del campo magnetico terrestre è di circa 80 T, T =

micro Tesla). Un campo elettrico di valore 40 V/m e frequenza di 16 Hz era efficace

nel determinare un aumento dell’efflusso di ioni calcio, se l’intensità del campo

geomagnetico era di 38 T, ma inefficace se il campo geomagnetico era ridotto a 19

T. Il medesimo campo elettrico, ma di frequenza 30 Hz, era inefficace con un

campo magnetico statico di 38 T e diveniva “attivo biologicamente” per induzioni

magnetiche di 25,3 T e 76 T.

Alla fine degli anni ’80 le due sorprendenti scoperte del gruppo di ricerca dell’EPA

possono così sintetizzarsi:

i. nel rilascio degli ioni calcio del tessuto cerebrale dei pulcini è implicata

la componente magnetica del debolissimo campo elettrico applicato

nell’intervallo di frequenza ELF;

23

ii. le finestre in frequenza che determinano la risposta biologica dipendono

dall’intensità del campo geomagnetico locale statico.

Replicato con successo l’effetto finestra, l’attenzione dei ricercatori fu rivolta verso la

formulazione di un meccanismo biofisico atto a spiegarla.

Per quello che riguarda invece la “verità” sperimentale, non esito ad assumere la

perentoria conclusione che, dieci anni dopo, Carl F. Blackman propose allo Scientific

Workshop on Biological Effects of Electromagnetic Radiation (Università di Vienna,

25-28 ottobre 1998) dopo aver riassunto i risultati di 30 anni di ricerche sull’efflusso

degli ioni calcio: l’analisi sugli studi pubblicati in letteratura indicava in modo

“schiacciante” che “.. i campi elettrici e magnetici di bassa intensità possono

alterare la normale omeostasi degli ioni calcio ed alterare le risposte che gli

organismi viventi presentano verso il proprio ambiente”.

13

Altri studi studi furono condotti da S.K. Dutta che, in colture di cellule nervose

(neuroblasti) di origine umana, esposte ad un campo di 915 MHz modulato in

ampiezza a 16 Hz, evidenziò un incremento dell’efflusso di ioni calcio per valori del

SAR di 0,05 e 1 W/kg – corrispondenti a densità di potenza dell’ordine dei 10

mW/cm2 per campi di quella frequenza –, ma non per SAR di valore minore,

intermedio o maggiore.

4. La biorisonanza

Quale può essere allora un meccanismo di interazione tra campi e componenti

biologici microscopici?

Ne sono stati proposti vari. Voglio ricordare la teoria della coerenza quanto-

elettrodinamica, proposta da Giuliano Preparata nel 1995, e le elaborazioni e

modelli da lui studiati in collaborazione soprattutto con Emilio Del Giudice. E il

modello cooperativo, proposto inizialmente da I.T. Grodsky e perfezionato nel 2000,

da C.J. Thompson.

Queste teorie, e i modelli interpretativi che propongono, hanno a che vedere con la

risonanza, ma stando più strettamente al tema, ci sono quei modelli tutti fondati sul

concetto di risonanza, anche da qui la “popolarità” del termine, che mi limiterò a

elencare:

la risonanza di ciclotrone, proposta da A.R. Liboff nel 1985, sviluppata in Italia da

A. Chiabrera e B. Bianco;

la risonanza parametrica, proposta da V.V. Lednev nel 1991, sviluppata da J.P.

Blanchard e C.F. Blackman;

24

la risonanza di precessione, proposta da M.N. Zhadin nel 1998, che è l’esperimento

e il tentativo di interpretazione su cui ci soffermeremo.

La questione della risonanza è in ballo da 90 anni, ricordate l’esperimento di Gosset e

Lakhovsy all’Ospedale della Salpetrière?. Proprio la lunghezza di questo lasso di

tempo, senza che ancora ci sia un’interpretazione chiara e indiscutibile per quel che

riguarda gli effetti biologici, ci fa comprendere con quale attenzione bisogna

procedere per evitare il rischio che la risonanza, magari con l’aggiunta di bio – la

biorisonanza – diventi un mantra o una non risposta a un problema complesso

Allora vediamo più addentro al fenomeno della risonanza, che si incontra un po’

ovunque, dalla Meccanica celeste a quella delle costruzioni, dalla teoria degli

strumenti musicali, e degli effetti udibili, all’Ottica all’Elettronica alla Chimica, allo

studio delle cellule e dei sistemi biologici e via elencando.

Partiamo dall’ultranota storia del ponte che crolla sotto il passo cadenzato di una

compagnia militare. Non è certo la pressione cui viene sottoposto dal peso della

compagnia a farlo crollare, ma la cadenza del passo, cioè la frequenza.

Questa frequenza infatti può essere molto vicina alla frequenza di vibrazione

“propria” di una delle strutture portanti del ponte; in questo caso, la relativamente

modesta energia ceduta al ponte con la battuta del passo viene amplificata a un livello

tale che il trasferimento di energia alla struttura la fa “saltare” (come l’effetto di

un’esplosione), e il ponte crolla (vedi Fig. 5). In generale si può dire che ogni

sistema, microscopico o macroscopico, è in grado di oscillare e oscilla con delle sue

frequenze caratteristiche, le frequenze proprie di vibrazione (oscillazione e

vibrazione sono del tutto sinonimi).

La risonanza è allora la capacità che ha il sistema di aumentare l’ampiezza di

oscillazione in corrispondenza a certe frequenze, quelle proprie di vibrazione.

Se il sistema è sottoposto a una perturbazione esterna che ha una frequenza vicina a

una frequenza propria del sistema, il sistema assorbe amplificandola l’energia ceduta

dalla perturbazione. Poiché vicino alla frequenza propria l’ampiezza della vibrazione

aumenta come rappresentato in Fig.4 e poiché l’energia di una vibrazione è

proporzionale al quadrato dell’ampiezza, l’energia assorbita aumenterà ancora di più;

ad esempio, a un raddoppio dell’ampiezza corrisponderà una quadruplicazione

dell’energia.

25

Fig. 4 In ordinata, l’ampiezza di oscillazione. La frequenza di vibrazione propria è

f0 = ν0 ; l’andamento delle curve dipende dallo smorzamento (damping), cioè

dall’attenuazione dell’ampiezza a causa della resistenza opposta dal mezzo – aria,

liquidi ecc. – in cui avviene la vibrazione. In assenza di smorzamento, la curva più in

alto, si ha la “catastrofe”: se la perturbazione è “sincrona”, cioè ha la stessa frequenza

del sistema oscillante, il ponte crolla (tratta da myweb.fcu.edu.tw).

Col meccanismo della risonanza si è tentato di spiegare quella significativa mole di

dati sperimentali, accumulata per trent’anni, e della quale Blackman fece la rassegna

in precedenza ricordata insieme alla conclusione da lui tratta al Workshop di Vienna

del 1998: la variazione dell’efflusso di ioni Ca++

dalla cellula, quando un campo

magnetico interagisce con la “pompa” Sodio/Calcio, Na+/Ca

++, che governa quel

flusso.

La pompa Sodio/Calcio regola una molteplicità di importanti funzioni cellulari ed è

reversibile, porta cioè il Calcio all’interno della cellula quando serve, come ad

esempio durante la salita del potenziale d’azione cardiaco.

Uno dei problemi chiave in bioelettromagnetismo è quello di spiegare il meccanismo

dell’influenza dei campi elettromagnetici deboli su oggetti biologici; questo

meccanismo non è ancora chiaro, nonostante i numerosi dati sperimentali. In

particolare, non è chiaro come le basse frequenze o campi statici, magnetici o

elettrici, possono portare alla risonanza delle reazioni biochimiche, anche quando

l’energia di tali campi è molto piccola in confronto alla energia termica kT del

processo, dove k è la costante di Boltzmann e T la temperatura in gradi Kelvin. La

mancanza di una spiegazione teorica, che sia soddisfacente o condivisa tra i

ricercatori, è ora chiamato “il problema kT” o “paradosso kT”

In questo contesto lo scienziato russo Michael Zhadin ed i suoi collaboratori per

dirimere sperimentalmente la questione fondamentale, insita nei sistemi biologici

sottraendola alla complessità modellistica, realizzarono il seguente esperimento in

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una materia non biologica. L’intento principale dei ricercatori russi era insomma

quello di sperimentare l’azione dei campi su un materiale organico estremamente più

semplice del materiale biologico abitualmente usato.

Ricordiamo che sottoponendo una carica elettrica q di massa m a un campo

magnetico statico B0 la carica si muove di moto periodico circolare, nel piano

ortogonale a B0, con una frequenza νc , detta “frequenza di ciclotrone”, data da

νc = q ·B0/2πm .

Nell’esperimento di Zhadin, ad una cella riempita di una soluzione elettrolitica di

acido glutammico è applicata una tensione di 80 mV; la cella è posta all’interno di

due solenoidi che assicurano la presenza di due campi magnetici paralleli: uno statico

(B0 = 20-40 µT), avente una intensità dell’ordine di grandezza del campo magnetico

terrestre (BT ≈ 80 µT); l’altro alternato, avente una intensità bassissima (Bc = 20-80

nT) ed una frequenza variabile tra 2 e 4 Hz. I due campi sono applicati

ortogonalmente alla direzione della corrente elettrolitica. Tutto l’apparato

sperimentale è posto all’interno di una scatola fatta di una lega capace di schermare i

campi magnetici esterni (permalloy); perciò i soli campi magnetici all’opera sono

quelli sopra specificati.

L’esperimento di Zhadin fornisce i seguenti risultati:

i. quando la frequenza del campo alternato diventa uguale alla “frequenza

di ciclotrone” dell’acido glutammico la corrente elettrica della cella

presenta un picco transitorio la cui altezza massima iniziale è pari

all’80% del valore della corrente stazionaria degli ioni dell’acido

glutammico e la cui durata è dell’ordine di 15-20 secondi. La frequenza

di ciclotrone: 0c

q B

2 m

dove m, q sono massa e carica dello ione

elettrolitico, indica il numero di giri al secondo che lo ione descrive in un

piano perpendicolare al campo magnetico B0 cui è sottoposto;

ii. l’effetto precedente sparisce quando l’intensità del campo alternato

eccede una soglia, il cui valore è molto basso. In altre parole, l’effetto

accade solo sotto influenze “sottili” e sparisce quando il campo applicato

“fa la voce grossa”.

La soluzione elettrolitica risponde all’azione del campo magnetico alternato: l’effetto

prodotto dal campo alternato si traduce, nell’esperimento, in impulsi di corrente che

si possono vedere su un oscilloscopio.

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Le finestre di frequenza trovate da Zhadin erano intorno a 4 Hz per B0 = 40 µT e Bc =

10, 20, 30 nT; invece nell’intervallo [2,4] Hz, con un passo di 0,5 Hz per B0 = 20, 25,

30, 40 µT e Bc = 25 nT.

Il risultato della loro esperienza fornisce una risposta clamorosa all’interrogativo

“Come possono segnali deboli superare il “rumore termico” e produrre, quindi, degli

effetti?”. In certe condizioni un segnale debolissimo, quale può essere quello

associato al campo di poche decine di nanoTesla, pur avendo un’energia

incomparabilmente inferiore a quella del rumore termico riesce lo stesso a superare

quella barriera e a produrre un effetto, registrato come impulsi sull’oscilloscopio.

L’esito dell’esperimento di Zhadin dimostra in maniera semplice che la non

irrilevanza dell’applicazione di campi magnetici deboli su sistemi organici è una

pretesa infondata; e apre un più generale interrogativo sull’interpretazione teorica che

lo giustifichi, al quale, fino ad oggi, non è stata data una risposta accettata e condivisa

dai ricercatori del settore.

Molti autori si riferiscono a questo risultato come “effetto Zhadin”; lo stesso

esperimento è stato replicato in Germania Errore. L'origine riferimento non è stata

trovata.(2004, Pazur) e in Italia (2002 Del Giudice et al., 2006 Comisso et al., 2008

Giuliani et al. con lo stesso Zhadin).

Zhadin tentò di spiegare lui stesso il fenomeno in termini di risonanza, in un articolo

del 2005. Vediamo le conclusioni che ne trae:

“…Unfortunately, for free ions such sort of effects are absolutely impossible because

dimensions of an ion rotation radius should be measured by meters at room

temperature and at very low static magnetic fields used in all the before experiments.

Even for bound ions these effects should be absolutely impossible for the positions of

classic physics because of rather high viscosity of biological liquid media…” 14

Per questa ragione il tentativo di interpretare il risultato sperimentale con la risonanza

di ciclotrone è stato abbandonato dallo stesso Zhadin; in parole povere, la risonanza è

un meccanismo della Fisica classica che non può essere usato quando ci si muove in

un ambito quantistico15

.

14 Zhadin M.N. & Barnes S.S., Frequency and amplitude windows in the combined

action of DC and low frequency magnetic fields on ion thermal motion in a

macromolecule: theoretical analysis. Bioelectromagnetics 26: 323-330, 2005. 15

L’energia del campo Bac, poiché negli esperimenti è inferiore a 10 Hz, è inferiore

a EB = h = 6,62610-3410 = 6,62610

-33 Js. In eV, EB = 6,62610

-33 6,242110

18 =

28

4110-15

= 0,04110-12

eV. Vale la pena poi rilevare, a proposito del “paradosso kT ”

che EB << kT , in quanto kT = 0,026 eV; il singolo quanto magnetico non ha l’energia

sufficiente per perturbare il moto ordinato dello ione nel campo elettrico.

5. Le proprietà magnetiche

La principale sostanza ferromagnetica presente negli organismi viventi è

rappresentata dai magnetosomi. Nel XVIII secolo fu avanzata l’ipotesi che il campo

geomagnetico (vedi Fig. 5) potesse essere usato da alcuni uccelli migratori per

orientarsi nella navigazione (vedi Fig. 6).

Fig. 5 La Terra genera un campo magnetico non omogeneo, simile a quello di un

magnete a barra, le cui linee di forza sono approssimativamente orientate verso il

nord geografico; e, quindi, verso il basso nell’emisfero nord e verso l’alto

nell’emisfero sud (tratta da www.windianz.com).

Questa congettura è stata confermata sperimentalmente nella seconda metà degli anni

’60. Attualmente è nota la capacità dei batteri dei fanghi di orientarsi grazie alla

presenza di magnetosomi, cristalli di Fe3O4. E’ assodata l’esistenza di una

magnetosensibilità, dovuta alla presenza di sostanze ferromagnetiche negli organismi

di molluschi, insetti, pesci, uccelli e mammiferi (roditori e delfini). Nell’uomo è stata

evidenziata una magnetosensibilità del sistema endocrino (ghiandola pineale) e del

sistema nervoso.

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Fig. 6 tratta da www.ks.uiuc.edu

Le sostanze diamagnetiche, diversamente da quelle ferromagnetiche, non si

magnetizzano anche se sottoposte ad un intenso campo magnetico: nei sistemi viventi

esistono molecole diamagnetiche anisotrope, le quali formando aggregati

macromolecolari acquisiscono la proprietà di orientarsi in presenza di un campo

magnetico; esempio di tali strutture biologiche sono i bastoncelli della retina, gli acidi

nucleici, il doppio strato lipidico della membrana, le proteine di membrana ed altre

ancora.

Nei materiali biologici sono presenti i nuclei di alcune specie chimiche chiamate

isotopi, ovvero che possiedono lo stesso numero di elettroni e di protoni, ma diverso

numero di neutroni, nel nucleo, che presentano deboli proprietà magnetiche; queste

proprietà possono essere ricondotte all’esistenza, fisicamente misurabile, di un

momento magnetico.

I “momenti” sono introdotti in fisica come grandezze idonee a descrivere i moti

rotazionali dei sistemi materiali ed a definire l’energia che compete a tali moti: nel

caso magnetico, è facilmente osservabile che l’ago della bussola, che è un dipolo

magnetico, sottoposto a un campo magnetico B , ad es. quello di una calamita, ruota

sino a diventare parallelo alla direzione del campo.

A questo dato sperimentale corrisponde la seguente descrizione: il campo magnetico

della calamita, B , agisce come un momento torcente M sul momento magnetico m

dell’ “ago della bussola”, facendola ruotare fino ad allinearsi al campo B (Fig.7). Il Il

prodotto vettoriale che definisce l’azione di M : M = m x B avrà intensità massima

quando m e B sono paralleli e concordi; e a questa configurazione corrisponde

l’energia potenziale minima.

Quando i materiali biologici in cui sono presenti nuclei dotati di momento magnetico

(momento magnetico nucleare) sono sottoposti ad un campo magnetico, si otterrà un

comportamento analogo a quello descritto.

m

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F N M

r1

O

B r2

S F

Fig. 7 L’ago della bussola è un dipolo magnetico di momento, m, che ha la

direzione e il verso rappresentati in figura: dal polo S a polo N dell’ago. Il campo

magnetico B agisce sull’ago magnetico come una coppia di forze di ugual intensità F.

Il momento torcente M è il momento della coppia. Il momento del dipolo magnetico

è “atipico” perché in generale si definisce momento M di un vettore v il prodotto

vettoriale di r,v : M = r x v , dove r è il vettore che collega l’origine O del sistema di

riferimento con il punto di applicazione di v. Assunto il baricentro dell’ago magnetico

O come origine, il momento M è la somma vettoriale di M1 = r1 x F e M2 = r2 x F.

Ricordando la convenzione della terna levogira adottata nel definire il prodotto

vettoriale, M1 e M2 hanno lo stesso verso oltre che la stessa direzione. L’energia

potenziale, minima, che compete alla configurazione dell’ago parallelo e concorde al

campo, possiamo pensarla come acquisita dall’ago a spese del lavoro fatto da M per

ruotarlo fino a quella posizione.

Se il campo magnetico è quello associato ad un’onda a radiofrequenza il fenomeno

può essere descritto come simile ad una risonanza tra nuclei ed onda, definita

“risonanza magnetica nucleare” (RMN): al variare della frequenza il diverso

comportamento del momento magnetico nucleare, la sua “risposta”, fornirà

informazioni sul materiale biologico.

Questo tipo di spettroscopia è ampiamente utilizzato come applicazione dei campi

magnetici nella medicina diagnostica.

Oltre a questo tipo di interazioni, occorre tenere conto che, se la radiazione

elettromagnetica possiede energia sufficiente, può agire sul potenziale di membrana

delle cellule eccitabili e indurre potenziali d’azione i quali si traducono in azioni sul

tessuto muscolare e nervoso.

L’ esempio di Fig.7 ha un valore assai più generale: infatti, tutte le evoluzioni

naturali, i passaggi da stato a stato, tendono allo stato di energia potenziale minima.

La Natura ha quindi una sua teleologia verso le configurazioni di minimo? Per

rispondere basta ricordare, come ci insegna la Meccanica Statistica di Boltzmann che

le configurazioni di energia potenziale minima sono quelle di equilibrio stabile, cioè

quelle che possono essere realizzate nel maggior numero di modi possibili. Sono

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quindi quelle più probabili, e, secondo la sua celebre formula, anche quelle di

massima entropia S :

S = k · ln П ,

dove ln è il logaritmo naturale (in base e). Ritroviamo allora quel che è racchiuso

nella relazione di Boltzmann, cioè che le evoluzioni naturali avvengono con passaggi

verso un disordine crescente (S cresce) fino all’equilibrio. I passaggi inversi dal più al

meno disordinato, se lasciati alla Natura, sono più improbabili; per vincere il

disordine e costruire stati più ordinati occorre lavoro, ad esempio la “fatica” – basta

ricordare che a energia potenziale minima corrisponde il massimo del lavoro – che

dovrà fare M per ruotare l’ago della bussola dalla sua posizione di allineamento con il

campo magnetico a un’altra diversa e più peculiare .

Insomma, sarebbe stolto attribuire alla Natura intenzionalità, i suoi processi sono

governati dai percorsi verso gli stati di maggior probabilità, più disordinati. Anche la

Natura ammette “isole di ordine”, sono quelle conquistate con il lavoro delle forze

che costruiscono passo a passo sistemi ordinati sempre più complessi, dalle molecole

di Idrogeno, Carbonio, Ossigeno e Azoto alle molecole organiche, al vivente. Questa

non è solo la storia della vita sulla Terra, è la storia di ogni vita. Quando le forze che

hanno promosso il passaggio dall’indifferenziato al differenziato, a quella precisa

forma di vita, si indeboliscono e perdono a poco a poco la capacità di tenere insieme i

componenti nella loro forma, quella e le sue funzioni degradano in un ritorno

all’indifferenziato, allo stato più probabile: l’equilibrio, cioè la morte.