TEORIA E PRATICA DEL RAGIONAMENTO I parte cultura Quadri/Teoria e pratica... · stessa inferenza (...

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1 TEORIA E PRATICA DEL RAGIONAMENTO I parte Paolo Vidali Cosa significa ragionare? Tra ragione e persuasione: la “logica” della pubblicità La svolta argomentativa Il ragionamento formale Gli argomenti, le fallacie, i para-argomenti Come sostenere una tesi Come criticare una tesi Le regole della discussione razionale Che cosa significa ragionare? Un ragionamento consiste in una successione di enunciati collegati fra loro attraverso un’inferenza, in modo da poter distinguere enunciati da cui il ragionamento parte, ossia le premesse del ragionamento, un enunciato con cui il ragionamento si conclude, ossia la conclusione del ragionamento, e alcuni eventuali enunciati intermedi che permettono di passare da quelle date premesse a quella data conclusione. Con questi elementi possiamo dire che il ragionamento permette di giustificare razionalmente una tesi, espressa nella sua conclusione, a partire da alcune premesse e grazie a un processo inferenziale. I tre tipi di ragionamento dominanti Vi sono ragionamenti dimostrativi, o dimostrazioni (A implica B, A, quindi B) in cui le premesse sono assunte come vere e l’inferenza è necessaria.

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TEORIA E PRATICA DEL RAGIONAMENTO

I parte

Paolo Vidali

Cosa significa ragionare? Tra ragione e persuasione: la “logica” della pubblicità La svolta argomentativa Il ragionamento formale Gli argomenti, le fallacie, i para-argomenti Come sostenere una tesi Come criticare una tesi Le regole della discussione razionale

Che cosa significa ragionare?

Un ragionamento consiste in una successione di enunciati collegati fra loro attraverso un’inferenza, in modo da poter distinguere enunciati da cui il ragionamento parte, ossia le premesse del ragionamento, un enunciato con cui il ragionamento si conclude, ossia la conclusione del ragionamento, e alcuni eventuali enunciati intermedi che permettono di passare da quelle date premesse a quella data conclusione. Con questi elementi possiamo dire che il ragionamento permette di giustificare razionalmente una tesi, espressa nella sua conclusione, a partire da alcune premesse e grazie a un processo inferenziale.

I tre tipi di ragionamento dominanti Vi sono ragionamenti dimostrativi, o dimostrazioni (A implica B, A, quindi B) in cui le premesse sono assunte come vere e l’inferenza è necessaria.

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Vi sono ragionamenti argomentativi, che inferiscono necessariamente ma a partire da premesse sono suscettibili di discussione (se la ricchezza determina la felicità, e Carlo è ricco, allora Carlo è felice). Vi sono ragionamenti argomentativi in cui la discussione non verte sulle premesse ma sulla stessa inferenza (Poiché in Italia si è introdotta la legge che permette il divorzio, aumenta il numero di matrimoni che falliscono) In questo caso, infatti, le premesse sono indubbiamente vere ma non è detto che una legge produca l’effetto che regolamenta: è l’inferenza ad essere discutibile. Infine vi sono ragionamenti errati, detti anche fallacie (Se sono a Roma, allora sono in Lazio. Sono in Lazio, perciò sono a Roma). In questo caso, propriamente un’“affermazione del conseguente”, il ragionamento va denunciato nel suo errore e la sua conclusione va comunque rigettata. Possiamo così dire che esistono almeno tre tipi di ragionamento, due giusti e uno errato. Lasciamo perdere l’ultimo caso, anche se lo studio delle fallacie argomentative sarebbe estremamente proficuo in un mondo come il nostro popolato da imbonitori a basso prezzo.

I diversi tipi di ragionamento a confronto Nel ragionamento dimostrativo (o dimostrazione), in cui le premesse sono assunte come vere, e quindi non discutibili, il processo inferenziale è fissato da regole rigide e la conclusione segue in modo necessario e non discutibile. La dimostrazione è il ragionamento tipico delle scienze, specie delle scienze formali: la logica, la matematica, in misura minore le scienze naturali. Nel ragionamento argomentativo, in cui sia le premesse sia il processo inferenziale sono suscettibili di critica, la conclusione cui si giunge non è necessaria. Il ricorso all’argomentazione è infatti enormemente più diffuso di quello alla dimostrazione, perché per lo più ci troviamo in situazioni in cui la nostra razionalità si esercita su premesse discutibili, su passaggi controversi, su problemi complessi. Di tutto ciò si occupa l’interrogazione filosofica. L’argomentazione è infatti il ragionamento tipico dell’ambito filosofico, non meno che dell’ambito quotidiano. La filosofia ricorre ai ragionamenti argomentativi per giustificare le proprie tesi, muovendosi in quel campo in cui il ragionare dimostrativo non è possibile, perché i principi non sono ancora assunti e accettati, perché le inferenze non sono ancora del tutto codificate, perché le premesse sono solo opinabili e quindi vanno rinforzate con la discussione e il consenso. Ecco uno schema corrente della distinzione tra i due tipi di ragionamento:

Dimostrazione Argomentazione Impersonale Personale Indipendente dal tempo e dallo spazio Situata nel tempo e nello spazio, vincolata

al qui ed ora Valida sempre e per tutti Valida nella situazione in cui è proposta Incontrovertibile Sempre rivedibile Superfluità di un'ulteriore dimostrazione Opportunità dell'accumulo Fondata su assiomi Fondata su opinioni presupposizioni,

precedenti

Premesse veree inferenze necessarie

dimostrativi(dimostrazione)

Premesse non sempre veree/o inferenze non necessarie

argomentativi(argomentazione)

Premesse non sempre veree inferenze invalide

fallaci(fallacia)

Ragionamenti

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Vale il principio del terzo escluso Non vale il principio del terzo escluso, del tutto o niente

Carattere di verità logica, valida sempre e ovunque

Carattere valutativo, tipico della giustificazione della ragionevolezza di una scelta

Evidenza e necessità Verosimiglianza, plausibilità, probabilità Brevità e semplicità Ampiezza e ornamento Usa un linguaggio che può essere anche artificiale, simbolico

Usa un linguaggio naturale

Indifferente rispetto al destinatario Postula un uditorio determinato Non negoziabilità Negoziabilità delle conclusioni Implica la possibilità di un calcolo, anche meccanico

Implica comunicazione, dialogo, discussione, controversia

Esclude la possibilità di accrescimento dell'adesione

Ammette gradi di adesione diversa

Definitiva e ultimativa Comporta decisioni modificabili, in caso di intervento di nuovi fattori o mutamenti nelle valutazioni

Giudicata in base a criteri di validità e correttezza

Giudicata in base a criteri di rilevanza, di forza o debolezza

Teoricamente autosufficiente Mira all'adesione; volta all'azione, immediata o eventuale

Questo schema (tratto da Cattani 1990, pp. 22-23 con modifiche) rappresenta, in realtà, una forzatura: i rapporti tra i due tipi di ragionamento sono molto più stretti di quanto non si creda, come, d’altra parte, lo stesso Aristotele aveva indicato.

Logica, dialettica, retorica: una proposta di defin izione

Seguendo Wolff (Trois techniques de vérité dans la Grèce classique, in Argumentation et rhéthorique, I, pp. 41 ss.) possiamo definire in Aristotele tre tecniche di verità: la logica è il discorso della scienza, cioè il procedimento razionale che, partendo da premesse vere, indipendentemente dall’interlocutore, trae conclusioni vere attraverso dimostrazioni; la dialettica è quel procedimento in cui il ragionamento ha sempre di mira la verità, ma parte da un conflitto: si misura con la tesi dell’interlocutore, cercando di confutarla o di sostenerne un’alternativa; la retorica è quel procedimento in cui chi parla ha l’obiettivo di persuadere l’uditorio di una verità ritenuta tale, tenendo conto quindi dell’uditorio, ma senza confrontarsi con esso. In conclusione: • La logica non dipende da chi parla né da chi ascolta, ma mira solo alla verità, • la dialettica dipende da chi ascolta, si misura con la sua tesi ma comunque mira alla verità • la retorica dipende tanto da chi parla quanto da chi ascolta e mira non alla verità ma alla

persuasione.

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Le logiche della persuasione Secondo Robert B. Cialdini, docente di Psicologia sociale alla Arizona State University, i fattori che inducono a dire sì alle richieste rientrano in categorie di base, ognuna governata da un principio psicologico che orienta il comportamento umano e conferisce a queste strategie il loro potere. Queste tattiche tendono a innescare risposte automatiche che ci rendono vulnerabili di fronte a chi le usa.

PRINCIPI DEFINIZIONI ESEMPI

contrasto Nella percezione umana se il secondo stimolo differisce abbastanza dal primo, tendiamo a vederlo ancora più diverso di quanto non sia in realtà.

Effetto Axe

Virgilio.it

reciprocità Dobbiamo contraccambiare quello che un altro ci ha dato.

campione gratuito, assaggio

impegno e coerenza

L’impulso ad essere o sembrare coerenti è un’arma potente per influenzare il comportamento, perché ci porta spesso ad agire in maniera contraria ai nostri interessi.

DHL

condivisione sociale

Uno dei mezzi che usiamo per decidere che cos’è giusto è cercare di scoprire quello che gli altri considerano giusto.

La pubblicità

simpatia e bellezza

Preferiamo acconsentire alle richieste di persone che conosciamo e che ci piacciono.

Omega

autorità

Nelle decisioni tra adulti svolge un ruolo rilevante la posizione di chi riveste l’autorità.

Treccani

scarsità

Le persone sembrano più motivate ad agire dal timore di una perdita che dalla speranza di un guadagno di pari entità.

Saldi

Le motivazioni evolutive di queste strutture di persuasione _______________________________________________________________________ Il testo che segue riassume le tesi di R.B.Cialdini, Influence. The Psychology of Persuasion, Quill William Morrow and Company, Inc., New York 1984, 1993, trad. it. Le armi della persuasione, Giunti, Firenze 1995. 1. Principio del contrasto Se ci vengono presentate due cose in successione e il secondo stimolo è abbastanza diverso dal primo, tendiamo a vederlo ancora più diverso. Se vediamo per esempio un gigante e subito dopo un nano, il gigante ci sembrerà ancora più alto e il nano ancora più basso. Di questo principio si siano accorti i negozianti. Che prima cercano di vendere l'oggetto più costoso e solo dopo quello economico. Ad esempio prima l'abito e poi il maglione, il cui prezzo, in confronto, sembrerà più vantaggioso di quanto sia nella realtà. Anche le agenzie immobiliari spesso mostrano prima ai clienti un paio di appartamento orribili, e poi li accompagnano a vedere la casa che prevedono possa andare bene. «La società dove ho imparato questo trucco li chiamava "immobili di preparazione», racconta Cialdini «erano due case in rovina, a prezzi gonfiati, tenute in piedi solo per ottenere l'effetto contrasto».

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Torna allo schema 2. Reciprocità Se qualcuno ci fa un favore, o un regalo, o un invito, dobbiamo ripagare il debito. Richard Leakey, un paletnologo keniota, sostiene che gli obblighi reciproci derivanti dalla regola del contraccambio sono una caratteristica della cultura umana. Il sistema di reciprocità sarebbe quindi ciò che differenzia l'uomo dagli altri animali. «Siamo umani perché i nostri progenitori hanno imparato a spartirsi il cibo e le rispettive abilità in un intreccio di obblighi reciprocamente riconosciuti», dice Leakey. Chi dava sapeva che obbligava moralmente il ricevente a dargli prima o poi qualcosa in cambio. E questo meccanismo di collaborazione tra individui è stato un enorme vantaggio per l'evoluzione e lo sviluppo della nostra specie. Da allora impariamo fin da piccoli a onorare questa norma e a definire ingrato, profittatore o parassita chi la viola. Il potere della regola di reciprocità è sfruttato in campo commerciale. Per esempio nella pratica del campione gratuito. Si fornisce ai consumatori potenziali una piccola quantità del prodotto. con lo scopo di consentire loro di verificare se lo gradiscono. E, trattandosi di un dono, si mira ad attivare la regola della reciprocità. Al supermercato i clienti si vedono offrire cubetti di formaggio o altri prodotti da assaggiare. Per molti è difficile accettare l'assaggio del commesso e andarsene. Preferiscono comprarne un po', anche se non era buono. «Insomma», avverte Cialdini, «chiunque può farci sentire in debito offrendoci un favore non richiesto». Torna allo schema 3. Impegno e coerenza La mente umana ha un bisogno quasi ossessivo di essere coerente. «La coerenza è apprezzata, mentre l'incoerenza è considerata un tratto negativo». dice Cialdini. Inoltre,. una volta deciso un atteggiamento, attenersi alla decisione presa risparmia la fatica di doverci ripensare. Risultato: in situazioni analoghe ad altre per le quali abbiamo già scelto il "comportamento giusto" tendiamo a inserire il programma automatico di coerenza e subito sappiamo che cosa credere, dire o fare. «Alcuni produttori di giocattoli sfruttano questo principio per risolvere il problema dell'andamento stagionale delle vendite», spiega Cialdini, prima e durante le feste natalizie le aziende fanno affari d’oro. Ma nei due mesi successivi il mercato crolla: esaurita l’orgia dei doni i genitori resistono alle pressioni dei figli. Come motivarli ad acquistare altri giochi? prima delle feste le aziende pubblicizzano un prodotto, che i ragazzini spesso si fanno promettere, ma che non viene sufficientemente distribuito, per cui spesso risulta esaurito. Così i genitori sono costretti a comprare un altro regalo da mettere sotto l’albero. Dopo le feste, le aziende rilanciano la pubblicità di quei prodotti. “Me l’avevi promesso” è la richiesta immediata. E gli adulti, per tener fede alla parola data, sono costretti all’acquisto. Torna allo schema 4. Consivisione sociale Le azioni di chi ci circonda hanno una parte importante nel farci decidere ad esempio dove metteremo il cartoccio vuoto delle patatine se siamo al cinema, o quali posate usare per l'antipasto in casa di ospiti di riguardo. Una sbirciata intorno e di solito ci si adegua a quello che fanno gli altri. Un'altra molla è la somiglianza. Perché i1 principio di condanna sociale agisce con la massima efficacia quando osserviamo il comportamento di persone come noi. Per questo la pubblicità televisiva mostra sempre più spesso, a decantare le lodi di un prodotto, persone qualunque: i pubblicitari sanno che un modo efficace per venderci qualcosa è dimostrare che altre persone "come noi" lo apprezzano. Torna allo schema

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5. Simpatia e bellezza Nessuno si meraviglia se preferiamo acconsentire alle richieste di chi conosciamo e apprezziamo. Di questa regola approfittano in vari modi anche perfetti sconosciuti per farci accettare le loro richieste. «I Tupperware party sono un esempio tipico» scrive Cialdini. L’azienda produce contenitori di plastica per alimenti. Recluta una padrona di casa che,. in cambio di un dono, invita molte amiche a passare un pomeriggio da lei. Durante la festa la dimostratrice Tupperware cerca di piazzare i suoi prodotti. Per le invitate. però. la richiesta di comprare non viene tanto dalla venditrice quanto, almeno psicologicamente. dalla padrona di casa, loro amica: è lei che organizza il ricevimento. Così tutti i legami del rapporto di amicizia sono messi in gioco in funzione delle vendite. Avon, Stanhome e altre aziende hanno ormai del tutto abbandonato i normali canali di pubblicizzazione. Torna allo schema 6. Autorità Fin dalla nascita siamo educati a pensare che obbedire all’autorità legittima è giusto, disobbedire sbagliato. Genitori, insegnanti, racconti, filastrocche insegnano che conformarsi ai dettami dell’autorità porta vantaggi sul piano pratico. In pubblicità si sfrutta questo principio con i medici negli spot televisivi. Si sfrutta il rispetto che nella nostra società è riservato agli scienziati per travestire attori da medici, dentisti, ginecologi e così pubblicizzare meglio dentifrici e saponi. Torna allo schema 7. Scarsità Anche l’idea di una potenziale perdita gioca un ruolo importante nelle nostre decisioni. Il timore di una perdita motiva di più ad agire con la speranza di un guadagno. Se una cosa è rara o sta per diventarlo, vale di più. Ecco perché le vetrine si tappezzano di “offerte valide per pochi giorni”, “esclusivo”, “fino ad esaurimento delle scorte”. Torna allo schema ________________________________________________________________________ Le motivazioni evolutive dei meccanismi psicologici della persuasione Alla base dei principi su cui si appoggia la tecnica persuasiva vi sono motivi atavici, talvolta inconsapevoli, spesso giustificabili dal punto di vista evolutivo.

PRINCIPI DEFINIZIONI MOTIVO

contrasto Nella percezione umana se il secondo stimolo differisce abbastanza dal primo, tendiamo a vederlo ancora più diverso di quanto non sia in realtà.

Meccanismo di individuazione del movimento e della variazione, nel rapporto tra sfondo e primo piano

(Gestaltpsycologie)

reciprocità Dobbiamo contraccambiare quello che un altro ci ha dato.

Principio evolutivo dello scambio per cooperare nella predazione

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impegno e coerenza

L’impulso ad essere o sembrare coerenti è un’arma potente per influenzare il comportamento, perché ci porta spesso ad agire in maniera contraria ai nostri interessi.

“trovare l’“uguale” nella nutrizione o in rapporto ad animali ostili aumenta le probabilità di sopravvivere” Nietzsche,

La Gaia scienza 111.

condivisione

sociale

Uno dei mezzi che usiamo per decidere che cos’è giusto è cercare di scoprire quello che gli altri considerano giusto.

Appartenenza al gruppo come aumento delle possibilità di sopravvivenza

simpatia

Preferiamo acconsentire alle richieste di persone che conosciamo e che ci piacciono.

Riconoscere il simile aumenta la fiducia, diminuisce le difese, fa

scattare meccanismi di appartenenza

autorità

Nelle decisioni tra adulti svolge un ruolo rilevante la posizione di chi riveste l’autorità.

L’autorità come principio di legittimazione e di soluzione di

conflitti. Il contratto sociale

scarsità

Le persone sembrano più motivate ad agire dal timore di una perdita che dalla speranza di un guadagno di pari entità.

Legge economica della domanda e dell’offerta.

Economia della scarsità come condizione abituale

Il problema è che tali meccanismi si riflettono in una condizione non di pericolo, caccia e scarsità, ma di benessere, consumo e abbondanza.

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La svolta argomentativa

Smarrimento e ripresa del ragionamento argomentativ o

Lo studio dell’argomentare corretto è stato parte integrante della formazione culturale superiore. Nel trivio (grammatica, retorica e dialettica) introdotto da Capella nel IV sec. e poi stabilizzato con Boezio e Isidoro di Siviglia nel VI sec.) le artes sermocinales richiedevano una conoscenza non solo linguistica ma retorica e logica, una capacità di analisi dei problemi e una tecnica di svolgimento della disputa filosofica (la quaestio) in cui la strategia argomentativa era parte decisiva. Per molte ragioni il periodo moderno espunge la dialettica dal campo di formazione del buon pensatore, riducendo sempre più la grammatica a logica, almeno a partire dalla Logica di Port-Royal.

La svolta cartesiana della filosofia moderna non fa che accentuare questa cattiva fama della dialettica e della retorica, ormai accomunata da un unico destino di vaghezza e oscura incertezza conoscitiva, per lasciare il campo alla scienza, e in particolare al metodo analitico proprio delle discipline matematiche.

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Da qui la cattiva fama che accompagna la dialettica, ad esempio in Kant, o la sua profonda ristrutturazione in forma metafisica, storica e sociale (Hegel e Marx) nell’Ottocento e in buona parte del Novecento.

La svolta argomentativa Da più parti, se non altro per seguire un fortunato antecedente, si incomincia a parlare di argumentativ turn.

L’interesse per la nuova retorica emerge nel lavoro di C. Perelman e L. Olbrechts-Tyteca. Il Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, muove da due premesse: A) da un lato, l’importanza che continua ad assumere il verosimile e il probabile nel determinare le nostre scelte;

La pubblicazione di un trattato dedicato all’argomentazione e la ripresa in esso di un’antica tradizione, quella della retorica e della dialettica greche, costituiscono una rottura rispetto a una concezione della ragione e del ragionamento, nata con Descartes, che ha improntato di sé la filosofia occidentale degli ultimi tre secoli. In effetti, sebbene nessuno possa negare che la capacità di deliberare e argomentare sia un segno distintivo dell’essere ragionevole, lo studio dei mezzi di prova utilizzati per ottenere l’adesione è stato completamente trascurato, negli ultimi tre secoli, dai logici e dai teorici della conoscenza. Ciò si deve a quanto vi è di non costrittivo negli argomenti sviluppati a sostegno d’una tesi. La natura stessa dell’argomentazione e della deliberazione s’oppone alla necessità e all’evidenza, perché non si delibera dove la soluzione è necessaria, né si argomenta contro l’evidenza. Il campo dell’argomentazione è quello del verosimile, del probabile, nella misura in cui quest’ultimo sfugge alle certezze del calcolo (C. Perelman e L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, [1958], Einaudi, Torino 1966, p. 3)

B) Il secondo aspetto è la consapevolezza che ogni pratica argomentativa si svolge “in funzione di un uditorio” (ivi, p. 7), producendo effetti di credenza e di persuasione in un pubblico o in un interlocutore, di un uditorio.

Mentre un sistema deduttivo si presenta come isolato da ogni contesto, un’argomentazione è necessariamente situata. Per essere efficace, essa esige un contatto fra soggetti. Bisogna che l’oratore (colui che presenta l’argomentazione oralmente o per scritto) intenda esercitare mediante il suo discorso un’azione sull’uditorio, cioè sull’insieme di coloro che egli si propone d’influenzare. (Argomentazione, in Enciclopedia Einaudi, Torino 1977, v. I. p. 791

Perché argomentare e studiare i ragionamenti argome ntativi? Le ragioni di una attenzione – che manca nel nostro percorso formativo tradizionale – ai processi argomentativi sono riassumibili in tre ordini di ragioni:

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Ragione epistemologica si argomenta perché, come scrive Bobbio – tra la verità assoluta e la non verità c’è posto per le verità da sottoporsi a continua revisione, mercé la tecnica dell’addurre ragioni pro o contro” (N. Bobbio, Introduzione a C. Perelman e L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, cit., p. XIX). Inoltre, come dice J.Stuart Mill, quand’anche l’opinione criticata sia un errore, discuterla può portare alla luce una porzione di verità in essa contenuta, proprio perché nessuna opinione è palesemente falsa o totalmente vera, se entra in un dibattito razionale.

Ragione etica Come scrive Perelman: “L’uso dell’argomentazione implica la rinuncia al ricorso esclusivo della forza, implica che si attribuisca un certo pregio all’adesione dell’interlocutore ottenuta con l’aiuto della persuasione ragionata, che non si tratti l’interlocutore stesso come un oggetto, ma si ricorra alla sua libertà di giudizio. L’uso dell’argomentazione presuppone che si stabilisca una comunità di spiriti che per tutta la sua durata escluda l’uso della violenza (ivi, p. 59).

Ragione sociologica Costantemente siamo fatti oggetto di messaggi e tesi di ogni genere, da parte di politici, pubblicitari, giornalisti, intellettuali televisivi, oratori nazional-popolari… imparare ad argomentare significa difendere lo spazio di libertà del nostro pensiero in un mondo della comunicazione in cui tutto agisce e seduce, ma non sempre persuade con motivi e ragioni.

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La logica formale o deduttiva Diamo adesso un quadro generico dei processi deduttivi, cioè dei principi logici, dei rapporti tra enunciati, dei connettivi e delle più importanti leggi logiche. I tre principi della logica classica Si deve ad Aristotele la piena comprensione dell’importanza di tre principi del nostro ragionare: il principio di identità, di non-contraddizione e del terzo escluso. Il principio di identità afferma che dato A, A è A. Tale principio non è formalmente presente negli scritti aristotelici, ma da Parmenide (VI-V sec. a.C) agli stoici (III sec. a.C.) a Duns Scoto (XIII sec.) rappresenta la versione logica del fatto che, nel ragionare corretto, il significato dei termini deve mantenersi che costante. La sua espressione formale è P→P (versione debole) o P↔P (versione forte) Il principio di non-contraddizione sostiene che, in un enunciato, non si può affermare e negare un predicato del soggetto, nello stesso tempo e nello stesso senso. Non possiamo dire che Mario è più grande di Giovanni e, contemporaneamente, dire che non lo è. Potremmo farlo solo se cambia la relazione temporale (crescendo un domani Giovanni diventa più grande di Mario) o il senso attribuito al termine (Mario non è più grande di Giovanni intendendo ‘grande’ come maturo, e non come alto). Aristotele lo esprime che così: «E' impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e nella medesima relazione» (Metafisica IV, 1005b, 19-20). La sua espressione formale è ¬(P∧¬P) Il principio del terzo escluso afferma che in un sistema a due valori, Vero e Falso - com’è la logica estensionale che stiamo trattando - un enunciato è vero o è falso: una terza possibilità è esclusa. Si tratta di un principio utile per dedurre una conclusione, diciamo A, dimostrando che il suo opposto (non-A) è contraddittorio. La sua espressione formale è P∨¬P. Questi tre principi sono in realtà riconducibili l’uno all’altro, almeno nel significato che assumono nella logica estensionale moderna. Tuttavia, considerandoli nel modo con cui la tradizione aristotelico-medievale ce li ha consegnati, possiamo sostenere che essi svolgono funzioni diverse nella costruzione del ragionamento corretto: il principio di identità serve a rendere stabile il

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significato dei termini presenti negli enunciati, il principio di non-contraddizione serve a che costruire enunciati coerenti tra loro e il principio del terzo escluso serve a comporre nel ragionamento enunciati coerenti tra loro. Ricordando come ogni connettivo possa essere definito a partire dagli altri, si può facilmente osservare che i tre principi non sono altro che tre modi diversi per scrivere la medesima cosa. Gli enunciati categorici Un secondo aspetto da richiamare è il modo con cui la logica aristotelico-medievale intende un enunciato. La sua struttura è sempre del tipo “S è P”: per esempio, “Socrate è calvo”, “Qualche ateniese è grasso”, “Tutti gli spartani sono greci”. In tal caso, ‘S’ indica il soggetto (‘Socrate’, ‘Qualche ateniese’, ‘Tutti gli spartani’), ‘è’ la copula e ‘P’ il predicato, ossia ciò che si predica del soggetto, la sua proprietà (‘calvo’, ‘grasso’, ‘greco’). Su questa base si possono determinare quattro tipi di enunciati, detti categorici perché indicano i soli quattro modi per affermare in modo incondizionato un predicato di un soggetto. Essi sono: • enunciato universale affermativo: “Tutti gli S sono P”. In tal caso, l’enunciato afferma che

tutto ciò che è S ha la proprietà di essere P, cioè gli si predica l’essere P (per esempio, “Tutti i greci sono europei”, “Tutti i piselli sono legumi” ecc). In epoca medievale si indicò l’enunciato universale affermativo con la lettera A (la prima vocale della parola latina Adfirmo).

• enunciato universale negativo: “Nessun S è P”. In tal caso, l’enunciato afferma che nulla di ciò

che è S ha la proprietà di essere P, cioè gli si predica il non essere P (per esempio, “Nessun greco è persiano”, “Nessun pisello è un animale” ecc). In epoca medievale si indicò l’enunciato universale negativo con la lettera E (la prima vocale della parola latina nEgo).

• enunciato particolare affermativo: “Qualche S è P”. In tal caso, l’enunciato afferma che solo

qualche S ha la proprietà di essere P, cioè gli si predica l’essere P (per esempio, “Qualche greco è calvo”, “Qualche pisello è giallo” ecc). In epoca medievale si indicò l’enunciato particolare affermativo con la lettera I (la seconda vocale della parola latina adfIrmo).

• enunciato particolare negativo: “Qualche S non è P”. In tal caso, l’enunciato afferma che

qualche S ha la proprietà di non essere P, in altre parole gli si predica il non essere P (per esempio, “Qualche greco non è giovane”, “Qualche pisello non è verde” ecc). In epoca medievale si indicò l’enunciato particolare negativo con la lettera O (la seconda vocale della parola latina negO).

Si noti che ogni enunciato categorico si caratterizza per la qualità (l’essere affermativo o negativo) e per la quantità (l’essere universale o particolare). Le inferenze immediate: un esempio di dimostrazione Abbiamo detto che ragionare equivale a che costruire inferenze. Nel ragionamento dimostrativo è possibile passare da un enunciato categorico ad un altro direttamente, senza ricorrere alla mediazione di altri enunciati. E’ il tipo più semplice di inferenza, che già in epoca antica venne strutturato nel quadrato logico, o quadrato d’opposizione. Questo quadrato sintetizza le relazioni fra i quattro enunciati categorici, ossia fra A: “Tutti gli S sono P” (“Tutti i greci sono calvi”); E: “Nessun S è P” (“Nessuno greco è calvo”); I : “Qualche S è P” (“Qualche greco è calvo”); O: “Qualche S non è P”(“Qualche greco non è calvo”). Questi sono che così collegati:

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“Tutti gli S sono P” “Nessun S è P” “Tutti i greci sono calvi” “Nessun greco è calvo”

contrari

subcontrari

subalternisubalterni contraddittori

><

><A E

I O “Qualche S è P” “Qualche S non è P”

“Qualche greco è calvo” “Qualche greco non è calvo”

E’ importante considerare le relazioni che si vengono a creare. • Contradditorietà : due enunciati sono contraddittori quando non possono essere entrambi veri o

entrambi falsi. Nel nostro caso non possono essere entrambi veri A (“Tutti i greci sono calvi”) e O (“Qualche greco non è calvo”), né possono essere entrambi falsi E (“Nessun greco è calvo ”) e I (“Qualche greco è calvo ”).

• Contrarietà : due enunciati sono contrari quando non possono essere entrambi veri, pur potendo

essere entrambi falsi. Un enunciato di tipo A (“Tutti i greci sono calvi”) e di tipo E (“Nessun greco è calvo”) non possono essere entrambi veri, ma possono essere entrambi falsi, perché vi sono solo alcuni greci calvi.

• Subcontrarietà: due enunciati sono subcontrari quando non possono essere entrambi falsi, pur

potendo essere entrambi veri. Vi è questa relazione tra gli enunciati di tipo I (“Qualche greco è calvo ”) e di tipo O (“Qualche greco non è calvo”) che non possono essere falsi entrambi, mentre possono benissimo essere veri entrambi.

• Subalternità: due enunciati sono subalterni quando sono entrambi veri o entrambi falsi e uno

descrive una situazione che è derivabile dalla situazione descritta dall’altro. Non può essere vero A (“Tutti i greci sono calvi”) se non è vero anche I (“Qualche greco è calvo”), analogamente a quanto avviene tra O (“Qualche greco non è calvo”) ed E (“Nessun greco è calvo”).

Avevamo definito la deduzione come un ragionamento in cui le premesse sono assunte come vere, il processo inferenziale è fissato da regole rigide e la conclusione segue in modo necessario e non discutibile. A questo punto possiamo esemplificare una deduzione usando le inferenze immediate. Per esempio: Se è vero un enunciato del tipo E (“Nessun greco è calvo”), allora _________________________________________ è vero O (“Qualche greco non è calvo”) perché subalterno, è falso A (“Tutti i greci sono calvi”) perché contrario, è falso I (“Qualche greco è calvo”) perché contraddittorio. Dunque grazie al quadrato logico si può passare immediatamente da un qualunque enunciato categorico al suo contrario o subcontrario, al suo contraddittorio, al suo subalterno, sapendo esattamente il valore di verità di quest’ultimo partendo dal presupposto che quello di partenza sia vero, oppure sia falso.

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L’opposizione tra termini Anche tra termini vi è opposizione e quindi possiamo parlare di contrario e contraddittorio , ma in un senso diverso da quanto detto relativamente agli enunciati. Due termini, per esempio ‘coraggioso’ e ‘vile’, sono contrari quando uno è la negazione dell’altro all’interno dello stesso genere: relativamente alla forza del carattere l’essere coraggioso è il contrario dell’essere vile. Si faccia però attenzione che possiamo riferirci al contrario di un termine se è chiaro il genere a cui esso appartiene e se tale genere permette una gradazione. Ovvero, la contrarietà è la negazione che trasforma un termine nel suo opposto all'interno di uno certo genere. Ma alcuni termini non presentano questa caratteristica: appartengono ovviamente a un genere ma non presentano una gradazione: ad esempio ‘7’, ‘italiano’, ‘poliziotto’. Non c’è un contrario per questi termini, perché il genere a cui appartengono non prevede una gradazione. Tuttavia di questi termini si dà una negazione, cioè vi è comunque una relazione di opposizione tra ‘7’ e ‘non-7’, ‘italiano’ e ‘non-italiano’, ‘poliziotto’ e ‘non-poliziotto’. In questo caso siamo in presenza della pura e semplice negazione del termine, cioè del suo contraddittorio. Si faccia attenzione, tuttavia, a ciò che questo comporta. Il contraddittorio nega il termine in questione sia all’interno del genere a cui appartiene, sia al di fuori di esso: il contraddittorio di ‘italiano’, cioè ‘non-italiano’, indica non solo le persone che non appartengono alla nazione italiana ma anche gli animali, le piante, le cose inanimate, cioè tutto ciò che non è cittadino italiano. In conclusione il contrario e il contraddittorio di un termine rimandano a due tipi di opposizione. Il contrario nega il termine dato rimanendo all’interno del genere e collocandosi all’estremo opposto di una gradazione interna al genere. Il contraddittorio nega il termine dato e rimanda a tutto ciò che quel termine non è, sia all’interno che all’esterno del genere di cui si tratta.

La logica proposizionale e le tavole di verità Ebbene, il nostro tragitto comincia proprio dalla logica fregeana e in particolare da un suo capitolo chiamato logica proposizionale (o calcolo proposizionale) in quanto non si occupa minimamente di “aprire” gli enunciati, ma si limita a studiare i modi sintatticamente corretti in cui essi si possono combinare. Partiamo da una serie di enunciati p, q, r, s, … che chiamiamo enunciati atomici in quanto non ulteriormente scomponibili e vediamo come ottenere in un modo corretto enunciati composti a partire da essi. Noi ci limiteremo a studiare solo quattro modi di ottenere un enunciato composto a partire da certi enunciati di partenza, segnatamente ci occuperemo della negazione, della congiunzione, della disgiunzione e dell’implicazione materiale. Visto che questi modi connettono fra loro enunciati, ci sarà il connettivo della negazione, della congiunzione, della disgiunzione e dell’implicazione materiale. Si noti che mentre la negazione permette di ottenere un enunciato composto a partire da un solo enunciato, gli altri modi abbisognano di due enunciati di partenza. Per poter definire appropriatamente i connettivi, dobbiamo tenere in mente che la logica proposizionale non solo non “apre” gli enunciati, ma non tiene conto nemmeno di che cosa possano significare. Si limita solo a comporre correttamente enunciati a partire da certi altri enunciati considerando tutte le possibili combinazioni di verità e di falsità che si possono avere. Soffermiamoci su questo punto importante. Abbiamo detto che ogni enunciato può avere valore di verità vero (lo indicheremo con la lettera V) o valore di verità falso (lo indicheremo con la lettera F). Ebbene la logica proposizionale, partendo da questo presupposto, si occupa anche del valore di verità degli enunciati composti tenendo conto di tutte le possibili combinazioni di valori di verità degli enunciati componenti e di come questi sono connessi. Per capire meglio quanto detto, occupiamoci subito della negazione, il cui connettivo sarà simbolicamente indicato con ¬. Dato un enunciato p, sappiamo che esso può essere vero o falso.

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Ebbene, la negazione di p, comporterà un nuovo enunciato, cioè ¬p, che sarà rispettivamente falso o vero. Ossia, ¬p sarà falso se p era vero, mentre ¬p sarà vero se p era falso. Si noti ancora che non ci siamo occupati del significato particolare di p, non abbiamo “aperto” p, non abbiamo nemmeno detto che p è sicuramente vero o sicuramente falso. Abbiamo detto che p è vero o falso, cioè abbiamo contemplato tutte le possibilità; altresì abbiamo detto che la sua negazione è un nuovo enunciato che è o falso o vero. Niente di più. Tutto ciò può essere sintetizzato grazie a quella che si chiama tavola di verità, che nel nostro caso diventa:

p ¬p V F F V

Esattamente lo stesso discorso può essere fatto per gli altri connettivi che considereremo. Nuovamente, dati i due valori di verità possibili dei due enunciati di partenza, si deve vedere quali sono i valori di verità degli enunciati composti tramite i connettivi della congiunzione (‘e’ che simbolicamente indicheremo con ∧), della disgiunzione (‘o’ che simbolicamente indicheremo con ∨) e dell’implicazione materiale (‘se … allora …’ che simbolicamente indicheremo con →). Ovviamente ogni connettivo sarà caratterizzato, ma meglio dire definito, dalla sua tavola di verità che permetterà di capire il valore di verità dell’enunciato composto a partire dai valori di verità dei due enunciati componenti. A questo punto, la cosa migliore da fare è dare semplicemente le tavole di verità relative ai tre connettivi e considerarle, come detto, proprio come definizioni dei connettivi stessi.

• congiunzione

p q p ∧ q V V V V F F F V F F F F

Si noti che la tabella, come d’altronde le seguenti, è costituita da 4 righe che raccolgono tutte le possibili combinazione dei valori di verità degli enunciati componenti, ossia VV, VF, FV, FF. Per ognuna di queste combinazioni, l’enunciato composto “p ∧ q” ha un particolare valore di verità. Rispettivamente V, F, F, F.

• disgiunzione

p q p∨ q V V V V F V F V V F F F

Si noti che la disgiunzione di cui abbiamo dato la tavola di verità è una ‘o’ da intendersi come vel e non come aut. Qui la lingua italiana può indurre in confusione, cosa che non fa la lingua latina. Infatti, “p vel q” e “p aut q” vogliono dire due cose diverse. Nel primo caso la disgiunzione è vera se è vero uno degli enunciati componenti o entrambi gli enunciati componenti. Nel secondo caso l’enunciato composto è vero solo se uno o l’altro degli enunciati componenti è vero, ma non se entrambi sono veri o entrambi sono falsi. Per disgiunzione noi intenderemo sempre, a parte indicazioni contrarie, quella ottenuta tramite il vel.

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• implicazione materiale

p q p → q V V V V F F F V V F F V

L’implicazione materiale è un po’ più ostica da comprendere e da accettare. Questo è dovuto al fatto che l’enunciato composto “se p allora q” (“p → q”), dove p è chiamato antecedente e q conseguente, è vero per ogni combinazione dei valori di verità degli enunciati componenti ad esclusione del caso in cui l’antecedente è vero e il conseguente falso. Ne segue, come si vede anche dalle ultime due righe della tavola di verità, che l’enunciato composto tramite un’implicazione materiale è vero ogni volta che l’antecedente è falso, indipendentemente dal valore di verità del rispettivo conseguente. Relativamente all’implicazione materiale bisogna fare una precisazione estremamente importante che ci permetterà di dissipare possibili confusioni e che, oltre tutto, ci consentirà di impadronirci maggiormente della nozione di deduzione logica. Si ricordi, prima di tutto, che l’implicazione materiale è un connettivo, cioè qualcosa che permette di connettere due enunciati in modo da ottenerne un terzo, il cui valore di verità dipende dai valori di verità dei due enunciati componenti nel modo indicato dalla tavola di verità. Invece, la deduzione logica, o implicazione logica, è un ragionamento che porta in modo necessario, tramite una serie di passaggi, da un enunciato, o più enunciati considerati veri (le premesse) a un enunciato vero (la conclusione), ossia a ciò che viene chiamato la conseguenza logica. In tal modo, dicendola diversamente, la tesi enunciata nella conclusione viene dimostrata. Chiarita la differenza fra implicazione materiale (è un connettivo) e implicazione logica, o deduzione (è un ragionamento), ritorniamo alle tavole di verità con cui abbiamo definito i quattro connettivi presi in considerazione e aggiungiamone un quinto: • Doppia implicazione materiale

p q p ↔ q V V V V F F F V F F F V

La doppia implicazione materiale (“q se e solo se p”) può essere riformulata come la congiunzione di due implicazioni materiali, cioè (p → q) ∧ (q → p), ossia come a un’implicazione materiale che funziona nei due sensi. Abbiamo visto che, a seconda degli enunciati connessi e a seconda del connettivo usato per connetterli, la colonna finale ha una particolare combinazione di valori di verità veri e falsi. Ma può accadere che tale ultima colonna sia costituita da valori di verità tutti veri o da valori di verità tutti falsi. Se un enunciato composto ha valori di verità tutti veri esso è chiamato tautologia; se un enunciato composto ha valori di verità tutti falsi è chiamato contraddizione. Le leggi logiche

1. I tre principi della logica aristotelica

2. Legge della doppia negazione

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¬¬P↔P 3. Legge dell'idempotenza

P∧P↔P P∨P↔P

4. Leggi di inferenza stoiche (i nomi sono medievali) (P→Q)∧P→Q (P→Q)∧¬Q→¬P ¬(P∧Q)∧P→¬Q ¬(P↔Q)∧P→¬Q ¬(P↔Q)∧¬Q→P

da cui segue la regola detta da cui segue la regola detta da cui segue la regola detta da cui segue la regola detta da cui segue la regola detta

modus ponendo ponens modus tollendo tollens modus ponendo tollens 1 modus ponendo tollens 2 modus tollendo ponens

Si noti che il modus ponendo ponens (noto semplicemente come modus ponens, da 'ponere', cioè 'affermare') è la regola di inferenza più importante della logica classica in quanto praticamente su di essa si basa la possibilità della deduzione. Il modus ponens non deve però essere erroneamente confuso con quell'errore di ragionamento chiamato fallacia dell'affermazione del conseguente, secondo cui ((P→Q)∧Q)→P. Infatti, per la tavola di verità dell'implicazione materiale, la verità del conseguente non è vincolata dalla verità dell'antecedente. Invece, il modus tollendo tollens (noto semplicemente come modus tollens, da 'tollere', cioè 'rifiutare') è la regola di inferenza attorno cui ruota, come vedremo (cfr. cap. VI), il falsificazionismo di K.R. Popper e qualunque rapporto epistemologico fra la teoria scientifica e un esperimento che la contraddica. Infatti, se T è una teoria scientifica e c è una sua conseguenza empiricamente controllabile, se l'esperimento dice che c non si dà (ovvero ¬c), allora la teoria non si dà (dal punto di vista strettamente logico). Cioè: ((T→c)∧¬c)→¬T. Analogamente al caso precedente, il modus tollens non deve essere confuso con quell'errore di ragionamento chiamato fallacia della negazione dell'antecedente, secondo cui ((P→Q)∧¬P)→¬Q. Infatti, la falsità del conseguente non è vincolata dalla falsità dell'antecedente. 5. Leggi della semplificazione

P∧Q→P P∧Q→Q

6. Leggi dell'addizione P→P∨Q Q→P∨Q

7. Paradossi dell'implicazione materiale

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ex falso sequitur quodlibet (un enunciato falso implica materialmente un qualunque enunciato: un’implicazione materiale è vera se il suo antecedente è falso) verum sequitur ad quodlibet (un enunciato vero è implicato materialmente da un qualunque enunciato: un’implicazione materiale è vera se il suo conseguente è vero) ex vero numquam sequitur falsum (un enunciato vero non implica materialmente mai un enunciato falso) ex absurdis sequitur falsum (legge dello Pseudo-Scoto; una contraddizione implica materialmente un qualunque enunciato, in particolare l'enunciato falso)

¬P→(P→Q) Q→(P→Q) (P∧¬Q) →¬(P→Q) (P∧¬P) →Q

In realtà, i paradossi dell'implicazione sono solo i primi due e nascono dal fatto che 'sequitur' viene interpretato intuitivamente, ma se lo si intende formalmente sia come implicazione materiale, sia come deduzione, scompare ogni paradossalità. Si noti che se il modus ponens è la regola che permette di dedurre dalla verità dell'antecedente la verità del conseguente e quindi permette la deduzione, la legge dello Pseudo-Scoto consente la regola che permette di controllare se un sistema è contraddittorio. Se da un sistema è possibile dedurre sia un enunciato sia la sua negazione allora esso è contraddittorio. D'altro canto, non lo sarà se è possibile dedurre un enunciato, ma non la sua negazione. 8. Leggi di Ockham (riscoperte da De Morgan)

¬(P∧Q)↔(¬P∨¬Q) ¬(P∨Q)↔(¬P∧¬Q)

9. Leggi dell'implicazione materiale (P→Q)↔(¬Q→¬P) (P→Q)↔(¬P∨Q)

10. Sillogismo a catena (sillogismo ipotetico; transitività dell'implicazione materiale) ((P→Q)∧(Q→R))→(P→R)

11. Sillogismo disgiuntivo ((P∨Q)∧¬P)→Q ((P∨Q)∧¬Q)→P

12. Leggi della doppia implicazione materiale (P↔Q)↔((P→Q)∧(Q→P))

(P↔Q)↔((P∧Q)∨(¬P∧¬Q))