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Costruire il TEMPIO Alla ricerca del progetto di Baldassarre Peruzzi per il Duomo di Carpi

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Alla ricerca del progetto

di Baldassarre Peruzzi

per il Duomo di Carpi

Costruire il TEMPIOAlla ricerca del progetto di Baldassarre Peruzzi

per il Duomo di Carpi

A cura di Andrea Giordano, Manuela Rossi, Elena Svalduz

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Albo dei prestatori

Archivio Capitolare della Diocesi, Carpi

Archivio di Stato, Modena

Archivio storico comunale, Carpi

Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia

Diocesi di Reggio Emilia

Diocesi di Vigevano (Pavia)

Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze

Galleria Palatina, Firenze

Musei civici, Mantova

Museo di Castelvecchio, Verona

Musei di Palazzo dei Pio, Carpi

Museo Galileo, Firenze

Museo Nazionale del Bargello, Firenze

Alfonso Garuti, Carpi

Referenze fotografiche

L’organizzazione ringrazia tutti gli archivi fotografici dei

prestatori che hanno fornito le riproduzioni fotografiche e

le autorizzazioni alla pubblicazione.

In copertina: Baldassarre Peruzzi, Chiesa a pianta centrale (Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi di

Firenze, inv. U449ar) La mostra e questa pubblicazione non sarebbero state

possibili senza la preziosa collaborazione, la disponibilità

e l’attenzione di: Claudia Bersanetti, Michelina Borsari,

mons. Francesco Cavina, Massimo Grillenzoni, Fernando

Miele, Anna Maria Ori, Nicoletta Sanna, Philippe Sénéchal

……

Un ringraziamento particolare a Lucia Armentano, Andrea

Beltrami, Marco Soglia.

ISBN ----

APM Edizioni

In collaborazione con

Divisione

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Di pari passo con la progettazione e la costruzione

della Collegiata, Alberto Pio si occupa anche della

dedicazione e della dotazione dell’immagine devo-

zionale della chiesa. La Cronaca di Gaspare Pozzuo-

li3, canonico della Cattedrale a inizio Seicento, ha

fatto sintesi del percorso progettuale e realizzativo

dell’opera, avendo a riferimento, come scrive espli-

citamente, documenti che oggi risultano perduti.

Secondo Pozzuoli dunque, per il signore di Carpi

la Madonna Assunta come patrona del Duomo è la

naturale prosecuzione delle scelte dei suoi antenati,

che nel 1319 «havendo havuto detto dominio nel-

la vigilia dell’Ascensione del Signore, ellessero per

titolare della chiesa loro l’Assuntione della B.V. ha-

vendo in pensiero d’apportar honore a Dio, et anche

all’Ascensione di Cristo nostro signore con celebrar

ogn’anno la Festa dell’Assunzione della B.V. la quale

siccome era il titolo della chiesa antica, così fosse

della nuova, essendo sicuri siccome dissi più e più

volte il sig. Alberto per sentenza di Bernardo Santo,

che grazia alcuna non concede Iddio se prima non

ascende per il collo di Maria»4.

Come avviene per il progetto architettonico del Duo-

mo realizzato da Baldassarre Peruzzi e fatto perve-

nire da Roma dal principe di Carpi, analogo percorso

dobbiamo ipotizzare per la committenza della statua

e per l’individuazione del modello iconografico. Non

è la prima volta che Alberto Pio dà indicazioni su

decorazioni, opere o anticaglie che gli interessano:

le sue lettere, come già rilevato dagli studi5, sono

ricche di riferimenti ben precisi su ciò che vede, in

Italia ma anche in Francia, e che in taluni casi vedia-

mo poi attuato6.

La stessa cosa dovette avvenire per la realizzazio-

ne dell’Assunta. Pozzuoli scrive infatti di «memorie

antichissime da me vedute e lettere scritte a Carpi

dal sig. Alberto in tal suggietto»7, che purtroppo non

sono giunte fino a noi.

Al canonico carpigiano si deve anche la prima attri-

buzione della statua a Gaspare Cibelli (o Sibecchi):

«Ritrovandosi dunque Alberto Pio in Parigi al servizio

di Francesco I Re di Francia, essendo già oratore, et

havendo seco condotto un certo Gaspare Sibecchi,

ovvero Cibelli, essendo quest’huomo singulare in la-

voro di scalpello ad intagliare, mentre stette in Parigi

fece di suo pugno la bellissima immagine della Bea-

ta Vergine, in modo d’ascendere al cielo»8.

Di Gaspare Cibelli, all’infuori della statua della Vergi-

ne, non risultano altre opere a lui attribuite a Carpi.

È componente della famiglia dei Sibecchi, «chiamata

prima de’ Feroveni [o Seroveni], ed originaria di Por-

lasco in Valtellina nel Ducato di Milano»9: si tratta di

una famiglia di intagliatori che si trasferisce a Carpi

nella prima metà del XV secolo dalle montagne lom-

barde e che è documentata in Emilia almeno fino

alla metà del XVII secolo. È dalla seconda generazio-

ne, dagli anni ’40-’50 del Quattrocento, da Pietro,

che viene soprannominato Sibecco, che la famiglia

assume il nome di Sibecchi o Cibelli10.

Nella lista “de li mastri de ligname” carpigiani del

149211, i Cibelli non sono citati, mentre sono pre-

senti altri nomi che nei decenni successivi troveremo

nei cantieri del Pio: i Meloni, i Papaccini, i Grisendi.

Le notizie sulla famiglia sono scarsissime e tutte

provenienti da atti ufficiali: nascite, morti, matrimoni,

acquisizioni. È il canonico Pozzuoli e la (ancora in

gran parte inesplorata) documentazione degli archivi

francesi a gettare una luce diversa su due esponenti

dei Sibecchi: Gaspare appunto e suo cugino France-

sco, che, noto col nome di Scibec da Carpi, diven-

terà chef menuisier dei cantieri di Fontainebleau12.

Sappiamo che Gaspare è condotto da Alberto Pio a

Parigi in tempi precoci, ben prima dell’ultimo defi-

nitivo soggiorno del principe dopo il 1527, quando

la sua casa in rue Sainte Antoine diventa un croce-

via fondamentale degli artisti italiani che lavorano

a Fontainebleau. In realtà Gaspare è solo uno dei

carpigiani, pittori e intagliatori in particolare, che tro-

viamo nei cantieri francesi a partire già dal 1505: a

Gaillon tra 1504 e 1509 il menuisier Richard Guer-

pe13, a Parigi nella colonia di intagliatori italiani che

soggiorna in faubourg Saint-Germain de Prés tra

“Con gli occhi al cielo levati”1.

L’Assunta2 di Gaspare Cibelli

Tania Previdi, Manuela Rossi

119

1509 e 151114, nella grande fabbrica della Catte-

drale di Sainte Cécile ad Albi i pittori che lavorano

con Francesco Donella tra 1505 e 150815. Si tratta

forse da parte del signore di Carpi di una strategia

di accreditamento presso il re di Francia, che passa

anche attraverso il viaggio delle forme artistiche del

Rinascimento italiano che si sviluppa nella piccola

capitale emiliana. Un episodio ancora tutto da stu-

diare, che potrà gettare ulteriore luce sul ruolo di

Alberto Pio come committente e punto di riferimento

delle maestranze carpigiane entro e fuori i confini

del suo stato.

Tornando a Gaspare, non sappiamo con esattezza

quando nasce, ma abbiamo sue tracce documenta-

rie di presenza a Carpi a partire dal 1536 e fino alla

morte nel 1564; nel 1541 sposa tale Cecilia Corradi,

che muore nel 1572. Dalla moglie ha nove figli, tra

i quali Cristoforo, nato nel 1548 e morto nel 1615,

di cui più oltre si parlerà. Incrociando la nota di Poz-

zuoli sulla presenza di Gaspare a Parigi tra 1514 e

1516, anni in cui presumibilmente fu realizzata la

statua dell’Assunta, e la sua comparsa a Carpi nel

1536, si può ipotizzare lo sviluppo di una carriera

artistica avviata all’ombra di Alberto Pio in Francia,

dove forse il nostro rimane a lungo, tanto da essere

indicato nel 1560 per un lavoro a Brescia “Gaspa-

ro Sibello francese” 16. Pur non essendo citato nei

(pochi) documenti a oggi noti degli archivi francesi

tra coloro che rimangono con il signore di Carpi fino

alla fine, esercita una certa suggestione il fatto che

compaia a Carpi l’anno successivo alla sepoltura del

principe nella chiesa francescana dei Cordiglieri di

Parigi, avvenuta nel 1535 con la collocazione del

monumento funebre oggi al Louvre17.

È dunque a Parigi che viene realizzata la statua in

legno di cedro dell’Assunta del Duomo di Carpi e

dallo stesso Gaspare Cibelli condotta a Carpi in una

cesta, come riporta ancora Pozzuoli: «Questo istesso

Gaspare Sibecco fu lui che la condusse a Carpi; et

era dentro d’una cesta che haveva le scodeze larghe

tre dita et era longa due brazza e mezzo, la quale

conservò lungo tempo Cristoforo Sibecchi, figliolo

del detto Gaspare, in casa sua, et io l’ho veduta,

essendo un putto, che detto Sibecco me la mostrò

e disse, questa è la cesta dentro la quale fu porta-

ta la Madonna di Carpi da Parigi. Hor questa cesta

l’hanno abbruciata i figliuoli del detto Cristoforo che

sono Alfonso e Giacomo che hora vivono, et a me

hanno confessato il vero, ma d’haver ciò fatto incon-

sideratamente essendo putti allora senza giuditio, et

hanno il libro ove erano scritte le spese che si fecero

in portar d.a Madonna di luogo in luogo, e quest’an-

cora dalli istessi fu mandato a male»18.

Pozzuoli aggiunge un ulteriore, fondamentale ele-

mento: la statua in origine non aveva la mandorla

dei cherubini e i raggi, che furono «fatti dal messer

Alfonso Cibello o Sibecchi che ora vive», cioè qua-

si ottant’anni dopo la realizzazione della scultura.

Ciononostante, la mandorla esterna doveva proba-

bilmente far parte anche del progetto originario di

Cibelli, come dimostrano le copie coeve dell’Assun-

ta di primo Cinquecento, realizzate da Saccaccino

Saccaccini a Fiumalbo e da Damiano Gafori nelle

miniature dell’Antifonario A del Museo diocesano di

Carpi19.

È ancora Pozzuoli a descrivere la statua: «la bellissi-

ma immagine della Beata Vergine, in modo d’ascen-

dere al cielo, con gli occhi al cielo pure levati, con

tanta soavità disposti et incontrati a quello, che par,

sebben statua di cedro, che vogliano rapir il para-

diso, tanto è pietoso, così è amoroso lo sguardo; il

volto parimenti è così gentile e così vago che pittore

senza dubbio con l’arte sua quantunque fosse uno

de’più eccellenti, simile di bellezza a questo giam-

mai alcun altro farìa; le mani parimente insieme

giunte sono in maniera proporzionate alla vita, che

maggior arte sì nella disposizione delle dita, come in

far apparire minutissimamente i nodi tutti, le vene, i

nervi, i giusti piegamenti con tutte l’altre cose, che

necessarie si possono vedere in scoltura ben fatta,

come è questa»20.

Dal punto di vista pittorico, la statua risulta fortemen-

120

te compromessa dalle ridipinture e dalle integrazioni

ottocentesche, sia dal punto di vista cromatico che

per la piattezza dei dettagli. Il prossimo restauro del-

la scultura potrà forse restituire i cromatismi e la

qualità artistica che hanno reso l’opera oggetto di

ammirazione21.

In ogni caso, pur con le dovute precauzioni e caute-

le, si possono tuttavia fare alcune ipotesi sui modelli

iconografici di riferimento della statua.

Modelli per l’Assunta: alcune ipotesi

L’ambito di provenienza dell’iconografia dell’Assun-

ta carpigiana sembrerebbe a prima vista far riferi-

mento all’ambiente centro-italico, umbro toscano

in particolare, con la Vergine stante a mani giunte

in preghiera, gli occhi rivolti al cielo, accompagnata

nella sua ascensione da cherubini. Iconografia, que-

sta, che in quegli anni non si era ancora imposta:

diverse sono infatti le varianti che vedono la Vergine

rappresentata a volte seduta, o in posizione fron-

tale ieratica, o ancora tardamente inserita in una

mandorla, come dimostrano opere coeve a quella

di Cibelli, realizzate dal Ghirlandaio nella Cappel-

la Tornabuoni di Santa Maria Novella a Firenze, o

nell’affresco della chiesa di San Martino a Bologna

di Lorenzo Costa, o ancora nella tavola di Monteve-

glio dello stesso artista oggi conservata presso la

Pinacoteca Nazionale di Bologna.

Andando oltre questi ambiti, si avanza in questa

sede un’ulteriore ipotesi che rimanda all’ambiente

romano frequentato dai primissimi anni del Cinque-

cento da Alberto Pio, che, come si è accennato, deve

aver avuto un ruolo rilevante nella scelta del modello

iconografico dell’Assunta. È a Roma che negli anni

Ottanta del XV secolo troviamo due immagini della

Vergine realizzate da pittori di origine umbra, molto

vicine alla statua carpigiana.

La prima è quella che un gruppo di artisti al seguito

di Perugino, tra cui Pintoricchio, Botticelli e Ghirlan-

daio, eseguirono a partire dal 1481 per papa Sisto

IV nella Cappella Sistina dedicata all’Assunta e con-

sacrata il 15 agosto 1483 dallo stesso pontefice.

La decorazione oggi perduta, distrutta per lasciare

posto al Giudizio Universale di Michelangelo, segui-

va lo stesso stile e schema decorativo delle altre

pitture presenti ancora oggi sulle pareti circostanti.

La decorazione ad affresco si divideva su tre livelli

orizzontali sovrapposti: al centro della fascia media-

na era rappresentata l’Assunta22, la cui immagine è

nota da un disegno a penna realizzato da un ano-

nimo allievo di Pintoricchio conservato all’Albertina

di Vienna23. Lo stesso Pintoricchio in seguito replicò

la medesima iconografia dell’Assunta anche nel di-

pinto della chiesa di Santa Maria del Popolo, come

fecero altri pittori minori, Giovanni di Pietro, detto

lo Spagna, che ebbe modo di lavorare con Perugi-

no a Firenze e che nel 1512 decorò la Cappella di

San Girolamo nella chiesa di San Martino a Trevi;

o Francesco Melanzio, collaboratore di Pintoricchio,

che affrescò l’Assunta nella chiesa di Montefalco24.

Non esiste alcuna documentazione diretta che iden-

tifichi in queste opere il modello dell’Assunta car-

pigiana. Eppure sono gli ambienti che Alberto Pio

frequenta a Roma. Sappiamo, per esempio, che il

signore di Carpi aveva sicuramente avuto modo di

vedere l’Assunta della Sistina, se non durante uno

dei suoi precedenti viaggi a Roma25, sicuramente nel

1513, in occasione dell’elezione al soglio pontificio

di papa Leone X, Giovanni di Lorenzo de’ Medici, pri-

mo papa a essere eletto nella Cappella Sistina dopo

un conclave dal 4 al 9 marzo 1513. Tra gli ammessi

al conclave, oltre ai cardinali, c’erano diplomatici

accreditati e tra questi, in qualità di ambasciatore

dell’imperatore, anche il Pio che non mancò di rela-

zionare l’accaduto a Massimiliano I con una lettera

inviata da Roma subito dopo26.

Come questo o altri modelli siano giunti a Parigi da

Cibelli non è documentato, ma i rapporti ininterrot-

ti già avviati col contesto francese e l’andirivieni in

quegli anni del signore di Carpi e di personaggi della

sua corte tra Italia e Francia lasciano ipotizzare che

le strade possano essere state tante.

121

Ecco dunque che l’inserimento dei cherubini ag-

giunti in un secondo momento dal nipote di Gaspare,

Alfonso Cibelli, potrebbe rappresentare il completa-

mento di quell’iconografia “sistina” così prestigiosa

che si stava diffondendo da Roma nel resto d’Italia.

Integrazioni, ridipinture, restauri: l’Assunta

dopo cinque secoli

Dopo l’aggiunta alla statua dell’Assunta della man-

dorla di cherubini non ci sono tracce documentarie o

testimonianze che attestino interventi sull’opera, se

si escludono gli spostamenti all’interno della chiesa

per motivi devozionali27.

Il primo determinante intervento documentato ese-

guito sulla statua è da ritenersi quello del 1865, in

concomitanza con i lavori di decorazione all’intera

chiesa. È la Commissione per la Conservazione dei

lavori pregevoli di Belle Arti a nome del suo presi-

dente, il pittore modenese Adeodato Malatesta,

ad autorizzare l’intervento sulla statua, assegnato

all’artista carpigiano Fermo Forti, che insieme a

Lelio Rossi e Albano Lugli provvederà, di lì a pochi

anni, anche alla decorazione della chiesa28. Per «la

ristaurazione del dipinto della statua rappresentante

l’Assunta che si venera nel Duomo di Carpi»29 Forti

ottenne il pagamento di 40 lire. Con lui era interve-

nuto il falegname Virginio Bisi, che aveva sostituito il

piedistallo della statua e sistemato e integrato alcuni

cherubini della corona30. Alla decorazione dell’abi-

to della Vergine aveva provveduto il doratore Luigi

Praudi, pagato «per aver indorato le stelle nel manto

e stuccato e spomiciato il medesimo di dietro e datto

di porpora»31.

Si chiese inoltre l’intervento dell’artista e scenografo

modenese Ferdinando Manzini, che realizzò un di-

segno di progetto per un nuovo tempietto processio-

nale in legno per valorizzare il contesto scenografico

della statua.

I costi dei lavori lievitarono più del previsto, con ram-

marico del canonico don Francesco Grandi, delega-

to al coordinamento del lavoro, come si evince dalla

documentazione di rendicontazione del settembre

186532.

L’intervento sulla statua accese una forte polemica

che si allargò dalla cerchia degli esperti e tecnici del

Capitolo del Duomo33 alle pagine dei giornali citta-

dini e non solo. La proposta di togliere la mandorla

di cherubini, considerata erroneamente una tarda

aggiunta cinquecentesca non in linea con il dise-

gno originale, fece esplodere aspre polemiche tra

i sostenitori dello stile puro rinascimentale (contrari

all’aggiunta barocca e portati a conservare l’origi-

nale antica forma della scultura) e coloro che difen-

devano l’intervento di adeguamento dell’opera. «Le

antiche statue di culto, per quanto barocche sieno,

è sempre troppo rischio l’accingersi a foggiarle alla

moderna, per facile pericolo in cui si può incorrere, e

che più non tengano della loro augusta, e venerabile

vetustà. Devesi, senza dubbio, al bisogno, ristorarle,

ma non se ne deve alterare la forma, allora special-

mente, che coll’alterazione della forma, si può fal-

sarne il carattere» così scrivevano alcuni Carpigiani

all’antica, firmando un articolo apparso su “Il Difen-

sore modenese” nel 1865, a controbattere le tesi

sostenute in un articolo dell’Unità Cattolica del 21

maggio dello stesso anno: «Sebbene anche l’ottimo, L’Assunta di Gaspare Cibelli nella nicchia dell’abside centrale del Duomo di Carpi

122

e rispettabile Giornale di Torino l’Unità Cattolica nel

suo n. del 21 maggio p.s., facendosi interprete delle

inquietudini dei buoni Carpigiani, notasse di perico-

losa l’innovazione che i Fabbriceri della Cattedrale

di quella città vogliono portare sulla statua dell’As-

sunta, tuttavia essa si vuole, ad ogni costo, mandar

ad effetto, sdegnandosi da quei Fabbriceri i richiami

di persone, colle quali non ebbero comune la patria,

e le sue devote memorie». La mandorla di cheru-

bini fu conservata, nonostante lo stesso Malatesta

ne avesse autorizzato l’asportazione34 e nonostante

l’ipotesi tornasse in auge ancora nel 1905 sulle pa-

gine della rivista settimanale “Pro Familia”: «E forse

in quella bella Madonna, se la corona degli angioli

(opera posteriore e sovrapposta) venisse tolta, l’e-

stasi tremmebonda spiccherebbe con una intensità

meravigliosa, e l’espressione attinta dall’artista da-

rebbe un godimento spirituale squisitamente spon-

taneo, perché scevro d’ogni preoccupazione critica.

Ma – avranno detto allora e qualcuno forse, un po’

sommesso, dirà anche adesso – una Madonna as-

sunta senza angeli… che la assumano?! … E così

la tradizione guasta l’espressione. Adesso poi che il

popolo è uso da secoli a vedere così, e ha il senso

artistico (se lo ha) così poco affinato, chi volete s’e-

sponga a passare per profanatore?» 35.

L’intervento, che ha profondamente modificato l’a-

spetto originario della statua, è ben leggibile nell’ot-

tica delle trasformazioni che subì la chiesa nella

seconda metà dell’Ottocento36, sia sulla struttura

architettonica sia con l’inserimento dell’apparato

decorativo. Vi era l’indubbia esigenza di adeguare

l’opera non solo al gusto dell’epoca, ma all’idea

di Rinascimento che si era sviluppata in quel mo-

mento. A questo aspetto, se ne aggiungeva uno di

carattere più funzionale: la statua, che nel 1803 era

stata collocata nella nicchia appositamente creata

nell’abside centrale a oltre cinque metri da terra e

a rilevante distanza dai fedeli, doveva essere dotata

di elementi decorativi leggibili da così lontano. In-

fine, c’era un’esigenza squisitamente devozionale:

l’immagine della Beata Vergine infatti probabilmente

si scostava molto dalle immagini sacre dell’epoca.

Nel 1933 è documentato un intervento di lavatura

e ripulitura della statua e della nicchia a opera di

Vasco Mora sotto la direzione del pittore carpigiano

Gino Baschieri: «spazzolatura e pulitura con mollica

di pane sulla tempera più ritonacatura del prospetto

in oro del cornicione a basso dell’abside dell’altare

Maggiore del suddettto Duomo. Più lavatura della

Madonna dipinta in olio, pulitura e rittonacatura

della tendina e rifare di nuovo la nicchia a tempe-

ra. Questo eseguirsi con la massima cura e regola

d’arte»37.

Nell’agosto del 1960 la Soprintendenza alle Gallerie

e alle Opere d’arte di Modena eseguì uno studio sullo

stato e sulle condizioni della statua38. La Soprinten-

denza tuttavia intervenne sulla statua solo nel 1971

con un significativo restauro conservativo finanziato

dall’allora Ministero della Pubblica Istruzione39, per

il quale la statua fu trasferita temporaneamente a

Bologna presso il laboratorio di Otello Caprara. Il re-

stauro rilevò la presenza di danni importanti provo-

cati dall’erosione dei tarli e quindi la Soprintendenza

ne vietò la storica uscita per la processione: «La pre-

ziosa opera ha subito un trattamento di disinfesta-

zione e di consolidamento che l’ha preservata dalla

distruzione a cui era immancabilmente destinata. Va

tuttavia tenuto presente che le profonde e ramifica-

te caverne aperte dai tarli mantengono alla statua

un carattere di estrema fragilità. Essa dovrà essere

maneggiata con grande cautela e in ogni caso non

Particolare dell’incarnato

Pagina seguente

Dettaglio della puntinatura con dorature

Particolare della veste della Vergine

123

dovrà essere portata in processione»40.

Il Capitolo cominciò perciò le pratiche per ottenere

una copia dell’originale per la processione, affidata

a una ditta di artigiani intagliatori della Val Garde-

na. Il primo prototipo, consegnato nel luglio 1972,

non fu ritenuto conforme alle richieste, perché non

uguale alla statua originale, e fu quindi sostituito41

con un nuovo esemplare, realizzato l’anno succes-

sivo da Dorigo Virgilio Prugger, su commissione dei

canonici della Cattedrale.

L’ultimo intervento in ordine di tempo risale al 1998

e fu eseguito su richiesta del Capitolo da Renato

Boni di Reggio Emilia, direttamente dalla Soprinten-

denza di Modena. Si tratta di un intervento di ordina-

ria manutenzione, finalizzato soprattutto alla pulitura

della statua e a un trattamento di consolidamento

antitarlo42.

Vista da vicino

È sempre rischioso azzardare teorie e ipotesi di fron-

te a un’opera che si è sempre visto a considerevole

distanza. In questa occasione tuttavia la statua, per

ragioni di sicurezza, è stata spostata dalla nicchia in

Duomo dove è esposta e portata ai Musei di Palazzo

dei Pio per un progetto di restauro che si prevede

lungo, complesso, delicato.

In questo frangente quindi, pur con i numerosi pro-

blemi che sono emersi, c’è stato anche modo di

osservare alcuni particolari, a volte di millimetriche

dimensioni, che danno ragione di certe descrizioni di

meraviglia e ammirazione lette nei documenti.

Sotto le pesanti ridipinture ottocentesche, si intrave-

dono frammenti di un intenso blu della parte interna

anteriore del manto della Vergine con puntinature,

mentre labili tracce di dorature sono emerse nella

parte posteriore esterna. La veste della Madonna,

oggi caratterizzata da una decorazione a elementi

vegetali rossi monocromi su fondo oro, pare avere

coperto un originale tratto dorato (probabilmente

con lamine d’oro) su fondo rosso arricchito da una

raffinatissima puntinatura che doveva accentuare

la tridimensionalità della figura. Anche l’incarnato,

delle mani giunte e del volto, pare più trasparente e

luminoso della pesante coloratura ottocentesca.

Solo analisi diagnostiche approfondite e un accurato

restauro potranno dire se questi sono i pigmenti ori-

ginali e quanta superficie ne sia rimasta.

Certo, l’impressione è che la statua avesse dettagli

ben visibili dagli altari, posti più in linea con lo sguar-

do dei fedeli, in cui per tre secoli è stata collocata.

Come scrisse Pozzuoli, «vivo ritratto di quella di Pa-

radiso».

NOTE Cronaca di Carpi del Canonico dottore Gaspare Pozzuoli carpigiano. 1624. Ms. cartaceo, cc. 304, mm. 305x200. Archi-vio Storico comunale di Carpi (d’ora in poi ASCC), Archivio Guaitoli (d’ora in poi AG), f. 183, cc. 180-181.2 Gaspare Cibelli, Madonna Assunta, le-gno di cedro, h. cm. 170. Con la mandorla di cherubini aggiunta da Alfonso Cibelli e la base, entrambe lignee, l’opera presenta h. 221 cm.3 Cronaca di Carpi, AG 183, cit.4 Cronaca di Carpi, AG 183, cit., c. 180.5 A. Sabbatini, Alberto III Pio, diplomazia e guerra del conte di Carpi. Corrispondenza con la corte di Mantova 1506-1511, Car-pi 1994; E. Svalduz, Da castello a “città”. Carpi e Alberto Pio (1472-1530), Roma 2001, pp. 107-109.6 Si cita a titolo di esempio il puntuale ri-ferimento che Alberto Pio fa in una lettera dalla Francia alla Galerie des Cerfs del castello di Amboise, che avrebbe ispira-to la realizzazione della sala dei Cervi del Palazzo dei Pio. Si veda Il palazzo dei Pio a Carpi. Sette secoli di architettura e arte, a cura di M.Rossi, E. Svalduz, Venezia 2008,

124

pp. 184-191 e relativa bibliografia.7 Cronaca di Carpi, AG 183, cit., c. 182.8 Cronaca di Carpi, AG 183, cit., c. 180.9 Le notizie sulla famiglia sono conservate

in ASCC, AG 103,10.10 ASCC, AG, f. 103, 10, c. 9.11 A. Garuti, Aspetti dell’artigianato arti-stico dal Rinascimento all’epoca barocca,

in Storia di Carpi, II, La città e il territorio dai Pio agli Estensi (secc. XIV-XVIII), a cura

di M. Cattini, A.M.Ori, Modena 2009, pp.

384-385. ACCC, Busta Atti e documenti sec. XV, foglio sparso.12 In questa sede non viene affrontata e

approfondita la figura di Scibec da Carpi.

Si veda al riguardo C. Occhipinti, France-sco Scibec da Carpi, maestro intagliatore alla corte di Fontainebleau, in Alberto III e Rodolfo Pio collezionisti e mecenati (atti

del convegno, Carpi 2002), a cura di M.

Rossi, Pisa 2004, pp. 278-295.13 Svalduz 2001, cit., p. 107.14 All’inizio del XVI secolo alcuni inta-

gliatori carpigiani risiedono in faubourg

Saint-Germain des Près, dove si trovava un’importante colonia italiana. Si tratta di Pierre Carpe, citato nel 1509, e Du-rand Carpe, a partire dal 1511 per un decennio. Ringrazio Philippe Sénéchal e

Guy-Michel Leproux per la preziosa colla-

borazione nel fornirmi queste informazioni

ancora inedite.15 M. Rossi, Décors à fresques. Peintures murales en Italie padane et en Èmilie: l’exemple de Carpi, in Sainte-Cécile d’Albi et le décor peint à la première Renaissan-ce (atti del convegno, Albi 2009), a cura di

J.L. Biget, Bozouls 2015, pp. 37-51.16 B. Zamboni, Memorie intorno alle pub-

bliche fabbriche della città di Brescia rac-colte da Baldassarre Zamboni arciprete di Calvisano, Brescia 1778, p.74. Parlando della Loggia di Brescia, Sala del Palazzo Pubblico, Loggia [capitolo 7]: «Pare che il pensiero dei Deputati fosse alla prima quello di formare un ricco fregio, per lo che fu fatto un disegno di esso da Ga-sparo Sibello Francese, ma qualunque si fosse la ragione non l’eseguirono».17 P. Sénéchal, Il monumento funebre, in L’immagine del principe. I ritratti di Alber-to III nel Palazzo dei Pio a Carpi (catalogo

della mostra, Carpi 2008), Carpi 2008,

pp. 117-125. 18 Cronaca di Carpi, AG 183, cit., p. 182.19 Si veda al riguardo il saggio di Alfonso

Garuti e Tania Previdi in questo stesso

volume.20 Cronaca di Carpi, AG 183, cit., cc. 180-

181.21 Si veda infra.22 Michelangelo e la Sistina. La tecnica, il restauro, il mito, Roma 1990.23 Anonimo artista umbro della bottega di

Perugino o Pintoricchio, Assunzione della

Vergine, punta metallica, penna e acque-

rello marrone, biacca su carta preparata

beige, 272 x 210 mm. Vienna, Graphi-

sche Sammlung Albertina, inv. 4861. Al

riguardo si veda Perugino Il divin pittore,

a cura di V. Gartibaldi, F. F. Mancini, Mila-

no 2004, p. 213; Pintoricchio, a cura di

V. Gartibaldi, F. F. Mancini, Milano 2008,

pp. 374-375.24 Pintoricchio aveva dipinto in Santa Ma-

ria in Aracoeli a Roma, nella gloria di San

Bernardino, un Cristo in mandorla bene-

dicente simile a quello dell’Ascensione

della cappella carpigiana e nella sala dei

Misteri dell’appartamento Borgia in Vati-

cano un’Ascensione di Cristo inserito in

una mandorla. Nella chiesa di San Gio-

vanni Evangelista a Tivoli aveva riprodotto

di nuovo una mandorla di nubi trattenuta

da cherubini che portano in cielo una Ver-

gine stante in piedi, in preghiera. A Tivoli

insieme a Perugino e ai suoi collaboratori

aveva lavorato anche Melozzo da Forlì,

maestro di Giovanni del Sega, pittore che

dal 1506 è documentato a Carpi impe-gnato nei lavori di decorazione del Pa-lazzo dei Pio. Si veda P. Scarpellini, M. R. Silvestrelli, Pintoricchio, Milano 2003, pp. 167-168; Melozzo da Forlì. L’umana bel-lezza tra Piero della Francesca e Raffaello, a cura di D. Benati, M. Natale, A. Paolucci, Milano 2011, p. 47.25 Sono documentati viaggi di Alberto Pio a Roma nell’agosto del 1507, da febbraio a giugno 1510, nel maggio e poi dicem-bre 1512, si veda Sabbatini 1994, cit.26 Lettres du roy Louis XII e du cardinal Georges d’Amboise, Bruxelles 1712, vol. IV, pp. 72-80; Sabbatini 1994, cit., p. 48.27 Si veda il saggio di Manuela Rossi in questo stesso volume.28 Archivio Capitolare della Curia di Carpi (d’ora in poi ACCC) 126, f. 5 n. 12: «2 giu-gno 1865. Dalla Presidenza della Com-missione per la conservazione dei lavori pregevoli di belle arti. Lavoro da farsi sulla statua dell’assunta opera del Cibelli. M.R. Signore Canonico Francesco Maria Gran-di. In risposta al foglio della M.R.S. Vostra 31 maggio p.s. mi pregio di autorizzare a nome della R. Commissione artistica il lavoro che codesto Capitolo intende praticare sulla statua in legno rappre-sentante l’Assunta del Cibelli. Dietro gli schiarimenti ottenuti da lei e il favorevole giudizio avutone stamane per lettera dal Commissario Maestro Lelio Rossi abilito perciò la S. V. a valersi del Forti per ristau-ro e a far levare, non senza la massima cura, a scanso d’inconvenienti, la corona d’Angeli e la raggiera che circondano la statua. Tanto più presto avrei aderito

al desiderio di codesto illustre Capitolo,

quanto prima mi fosse stato concesso

di raccogliere le necessarie informazio-

ni e il voto del sullodato commissario al

quale mi era pure volentieri riferirmi, per

trattarsi di cosa che cade sotto la sua

giurisdizione e riguardante un oggetto

di molto merito artistico già come teste assegnato al Governo nel Catalogo delle cose Carpensi. Lieto di poter fare cosa grata al Capitolo e alla gentilissima S.V. ho l’onore di dichiararmele coi sensi della più dovuta stima e singolare osservanza. Il presidente. Adeodato Malatesta».29 ACCC 8, f. 7 n. 11.30 ACCC 8, f. 7 n. 6.31 ACCC 8, f. 7 n. 13.32 ACCC 8, f. 7 n. 5, 2 settembre 1865 «Specchio delle spese nel ristauro della statua dell’Assunta e del nuovo tempietto entro il quale ella va collocata».33 Si veda anche la lettera di Leandro Gril-lenzoni del 22 giugno 1865 presso ACCC 41, f. 7 n. 34.34 Si veda nota n. 27.

35 Pro Familia, n. 251, 13 agosto 1905, p. 109.36 Si veda il saggio di Damiana Paternò in questo stesso volume. 37 ACCC 71, f. 4 n. 25.38 «L’entusiasmo dei nostri padri poteva essere legittimo e ne siamo certi, ma oggi purtroppo pur rimanendo intatto l’insieme della composizione, dobbiamo constata-re che “il raggio della divina luce” che si rifletteva sul volto è di molto diminuito a causa di un sommario e mal compreso ritocco, a vernice, eseguito forse nella seconda metà del secolo scorso. E dob-biamo similmente constatare che urge un sollecito ed intelligente restauro ge-nerale per salvare la parte originale del primo panneggiamento dorato e il manto già ritoccato da mano inesperta poiché il

tutto è seriamente minacciato dall’opera deleteria del tarlo. E di ciò è già al corren-

te la Sopraintendenza alle Gallerie e alle

Opere d’arte di Modena la quale ha fatto

uno scrupoloso esame nell’agosto 1960»,

“Il 15 agosto in Carpi”, Carpi 1964, p. 2. 39 ACCC 72, f. 4 n. 23 e 24, 14 ottobre

1970, prot. n. 1149.40 ACCC 126, f. 5 n. 14, 30 luglio 1971,

prot. n. 866. Si veda anche “Il 15 agosto

a Carpi”, Carpi 1984, p. 5.41 ACCC 72, f. 5 nn. 18, 19, 20, 21, 24;

ACCC 72, f. 6 nn. 18, 20, 21, 22, 23.42 Non è stato possibile consultare la

documentazione relativa all’intervento.