Tedium Vitae

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COS'È IL TEDIO O NOIA ESISTENZIALE? Con il termine "Tedio" si intende un particolare stato d'animo di noia grave, profonda e spesse volte dolorosa. Si è soliti anche parlare di taedium vitae, usando una espressione latina recente, che porta, per un eccesso di pessimsmo, ad avere stanchezza della propria, triste, esistenza. Addirittura il tedio esistenziale, per quante volte e per la profondità e il dolore in cui viene sentito, è stato motivo ispiritore di moltissimi poeti ed artisti, la cui produzione è in genere colmata da un certo pessimismo. Il tema del taedium vitae, della noia e del disgusto cha affliggono chi vive un'esistenza che gli appare vuota di significato, era stato svolto magistralmente da Lucrezio nel finale del libro III del De rerum natura. Seneca del De tranquillitate animi cita espressamente il poeta a proposito del motivo del se fugere, ossia dell'illusorio tentativo di sfuggire a se stessi, alla propria insoddisfazione e alle proprie frustrazioni, per mezzo dei viaggi. Il motivo era di ascendenza diatribica ed era stato sviluppato in alcuni celebri passi oraziani riecheggiati da Seneca. Nel De tranquillitate animi la descrizione del disagio esistenziale rinvia evidentemente all'esperienza dello stesso autore e dei destinatari delle sue opere. Viene adombrata, infatti, con notazioni molti precise e realistiche, la condizione dei Romani contemporanei, appartenenti ai ceti socialmente ed economicamente più elevati: esclusi, sotto l'impero, dalla gestione del potere --che in età repubblicana era stata per i loro simili l'attività più ambita e più ricca di soddisfazioni --, essi cercano nel lusso e in piaceri sempre nuovi un appagamento che non riescono a trovare. Sazi di evasioni superficiali, privi di obiettivi e di scopi per i quali vale la pena d'impegnarsi a fondo, non sorretti da saldi punti di riferimento morali o religiosi, vivono immersi in un malessere che talora li induce a desiderare la morte non Alla domanda come si possa combattere e vincere la noia esistenziale Lucrezio, Orazio e Seneca danno la medesima risposta: la soluzione dev'essere cercata nella filosofia, che assicura all'uomo la sapienza e la felicità. All'interno di questo quadro di riferimento comune, ciascuno dei tre autori pone peraltro l'accento, in un modo suo peculiare, su ciò che ritiene più importante e più utile. Lucrezio individua la radice profonda del disagio e dell'inquietudine nella paura della morte, di cui indica il rimedio nella conoscenza delle leggi della natura. Orazio raccomanda invece in primo luogo di vivere sfruttando pienamente ogni singolo momento del tempo che ci è concesso e godendo le gioie di una vita semplice e modesta. Seneca, infine, assume atteggiamenti differenti in opere diverse. Nel De tranquillitate animi (scritto prima del secessus) segnala come efficace rimedio all'insoddisfazione e all'irrequietezza l'impegno, anche politico, al servizio dei proprio simili; altrove viene invece consigliata la scelta dell'otium (cioè della vita contemplativa). Soprattutto nelle Epistole domina il richiamo all'interiorità, alla necessità di trovare non all'esterno, ma in se stessi la soluzione dei problemi esistenziali: è necessaria infatti --Seneca non si stanca mai di ripetere-- una sorta di conversione che può attuarsi solo nell'intimo della coscienza. Pagina 1 di 2 tesi 28/06/2013 http://utenti.multimania.it/esistenzialismo/page29.html

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COS'È IL TEDIO O NOIA ESISTENZIALE?Con il termine "Tedio" si intende un particolare stato d'animo di noia grave, profonda e spesse volte dolorosa. Si è soliti anche parlare di taedium vitae, usando una espressione latina recente, che porta, per un eccesso di pessimsmo, ad avere stanchezza della propria, triste, esistenza. Addirittura il tedio esistenziale, per quante volte e per la profondità e il dolore in cui viene sentito, è stato motivo ispiritore di moltissimi poeti ed artisti, la cui produzione è in genere colmata da un certo pessimismo.

Il tema del taedium vitae, della noia e del disgusto cha affliggono chi vive un'esistenza che gli appare vuota di significato, era stato svolto magistralmente da Lucrezio nel finale del libro III del De rerum natura. Seneca del De tranquillitate animi cita espressamente il poeta a proposito del motivo del se fugere, ossia dell'illusorio tentativo di sfuggire a se stessi, alla propria insoddisfazione e alle proprie frustrazioni, per mezzo dei viaggi. Il motivo era di ascendenza diatribica ed era stato sviluppato in alcuni celebri passi oraziani riecheggiati da Seneca. Nel De tranquillitate animi la descrizione del disagio esistenziale rinvia evidentemente all'esperienza dello stesso autore e dei destinatari delle sue opere. Viene adombrata, infatti, con notazioni molti precise e realistiche, la condizione dei Romani contemporanei, appartenenti ai ceti socialmente ed economicamente più elevati: esclusi, sotto l'impero, dalla gestione del potere --che in età repubblicana era stata per i loro simili l'attività più ambita e più ricca di soddisfazioni --, essi cercano nel lusso e in piaceri sempre nuovi un appagamento che non riescono a trovare. Sazi di evasioni superficiali, privi di obiettivi e di scopi per i quali vale la pena d'impegnarsi a fondo, non sorretti da saldi punti di riferimento morali o religiosi, vivono immersi in un malessere che talora li induce a desiderare la morte non

Alla domanda come si possa combattere e vincere la noia esistenziale Lucrezio, Orazio e Seneca danno la medesima risposta: la soluzione dev'essere cercata nella filosofia, che assicura all'uomo la sapienza e la felicità. All'interno di questo quadro di riferimento comune, ciascuno dei tre autori pone peraltro l'accento, in un modo suo peculiare, su ciò che ritiene più importante e più utile.Lucrezio individua la radice profonda del disagio e dell'inquietudine nella paura della morte, di cui indica il rimedio nella conoscenza delle leggi della natura. Orazio raccomanda invece in primo luogo di vivere sfruttando pienamente ogni singolo momento del tempo che ci è concesso e godendo le gioie di una vita semplice e modesta. Seneca, infine, assume atteggiamenti differenti in opere diverse.Nel De tranquillitate animi (scritto prima del secessus) segnala come efficace rimedio all'insoddisfazione e all'irrequietezza l'impegno, anche politico, al servizio dei proprio simili; altrove viene invece consigliata la scelta dell'otium (cioè della vita contemplativa). Soprattutto nelle Epistoledomina il richiamo all'interiorità, alla necessità di trovare non all'esterno, ma in se stessi la soluzione dei problemi esistenziali: è necessaria infatti --Seneca non si stanca mai di ripetere-- una sorta di conversione che può attuarsi solo nell'intimo della coscienza.

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perché soffrano, ma perché sono stanchi della monotona, insensata ripetitività della vita. Anche questo tema si trovava già in Lucrezio, dove la Natura personificata ammoniva così l'uomo stolto ed insaziabile:<< Non c'è nient'altro che io possa escogitare e inventare per te che ti piaccia: tutto è sempre uguale>> (III, 944-45)Il medesimo concetto viene presentato da Seneca in un'epistola come la sconsolazione di chi è stanco di vivere:<<In alcuni s'insinuano la sazietà di fare e vedere sempre le medesime cose, e non l'odio ma il disgusto della vita, nel quale scivoliamo spinti dalla stessa filosofia, quando diciamo: "Fino a quando le medesime cose?">> (Epist., 24, 26).Rispetto a Lucrezio Seneca ci appare meno distaccato e più partecipe: come osserva Alfonso Traina, "la solenne formulazione lucreziana di una legge cosmica si fa in Seneca insofferente protesta di una situazione esistenziale". Il filosofo, peraltro, nello stesso passo definisce fiacchi e indolenti coloro che soggiacciono al 'taedium vitae', e li contrappone agli uomini coraggiosi ed energici che hanno la forza di sopportare sia la vita sia la morte.

Nell'epistola 104, ancora a proposito delle illusorie, decadenti evasioni costituite dai viaggi, il filosofo varia così il celebre motto oraziano dell'epistola a Bullazio.<<A che serve varcare i mari, cambiare città? Se vuoi sfuggire a ciò che ti assilla non devi andare altrove, ma diventare un altro.>> (Epist., 104, 8)Solo nell'intimo, infatti, può essere vinta la lotta contro i vizi e le passioni, che costituiscono i principali ostacoli alla serenità; più in generale, solo dall'intimo scaturiscono le gioie più profonde e più vere: "ritieniti felice allorquando ogni tua gioia nascerà da te stesso" (Epist. 124, 24)Dunque il sapiente in se reconditur, secum est(Epist. 9, 16); lungi dal fuggire da se stesso, trova nella sua interiorità, perfettamente libera da condizionamenti esteriori, il suo totale appagamento:<<non esiste alcun bene duraturo all'infuori di quello che l'animo trova dentro di sé>> (Epist. 27, 3).

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