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TECNICHE DI BIOLOGIA MOLECOLARE Pancreas mRNA proinsulina Plasmide ricombinante cDNA proinsulina Insulina Batterio trasformato Uso clinico

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TECNICHE DI BIOLOGIA MOLECOLARE

Pancreas mRNAproinsulina

Plasmidericombinante

cDNAproinsulina

Insulina Batterio trasformato

Uso clinico

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Si dicono nucleasi gli enzimi che idrolizzano un legame fosfodiesterico di una molecola di DNA o RNA, generalmente in corrispondenza di una sequenza specifica di nucleotidi.

Le nucleasi vengono distinte in nucleasi per RNA e quelle per DNA.

Nell’ambito di quelle per il DNA, distinguiamo poi le esonucleasi, che possono tagliare solo il nucleotide ad un’estremità della molecola (ad esempio una 3’-5’endonucleasi del veleno di serpenti), dalle endonucleasi, che operano invece tagli all’interno di una doppia elica di DNA.

Il DNA ricombinante: gli enzimi di restrizione

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Distinguiamo tre tipi di endonucleasi per DNA:• tipo I: riconoscono un sito e operano un taglio lontano da esso, in una posizione variabile. • tipo II: riconoscono un sito e operano un taglio al suo interno, in una posizione specifica.tipo III: presentano un diverso meccanismo di azione, ma hanno in

comune con le endonucleasi di tipo I la mancanza di specificità di taglio.

La rottura in siti specifici della doppia elica di DNA è un sistema di difesa di molti procarioti nei confronti di DNA estraneo che riesca ad entrare nella cellula (ad esempio, il DNA di un fago). In questo modo si contrasta l’infezione della cellula e se ne preserva l’integrità del genoma.

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Il sistema delle nucleasi non è specifico per un invasore piuttosto che per un altro: si basa sulla probabilità che un lungo tratto di DNA contenga la sequenza riconosciuta dal pool di nucleasi della cellula. Tuttavia, il DNA di un procariota contiene a sua volta migliaia di basi ed è possibile che il sito di restrizione riconosciuto dalle sue nucleasi sia presente anche nel suo genoma.

Com’è possibile che venga tagliato il DNA esogeno e non quello endogeno?

Il sistema di difesa basato sulle endonucleasi è complementare a un sistema di riconoscimento del DNA endogeno basato sulla metilazione: in un dato organismo, è presente, per ogni enzima di restrizione, una metiltransferasi in grado di metilare un nucleotide sullo stesso sito riconosciuto dall’endonucleasi. I siti così metilati sono protetti dall’azione delle endonucleasi.

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Sono invece tagliati i tratti di DNA estraneo appena entrano nella cellula.

Se un fago riesce comunque ad entrare e infettare la cellula ospite, il genoma virale subisce lo stesso pattern di metilazionedel DNA cellulare, risultanto così refrattario alla digestione da parte delle endonucleasi.

Se si duplica ed esce dalla cellula potrà facilmente infettare batteri dello stesso tipo, dei quali può contrastare il sistema di difesa, ma non organismi o ceppi che posseggano un sistema di endonucleasi/metiltransferasi diverso. Si dice quindi che il fago è ristretto ad un determinato ceppo, da cui il nome “enzimi di restrizione” dato alle endonucleasi.

Nelle endonucleasi di tipo I e III la metiltransferasi è un dominio della stessa proteina, mentre per quelle di tipo II l’attività è svolta da una proteina diversa

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In virtù della loro specificità di taglio, le endonucleasi di tipo IIsono quelle di gran lunga più interessanti per le applicazioni biotecnologiche.

La maggior delle endonucleasi di tipo II riconosce sequenze specifiche di 4, 5 o 6 nucleotidi. Caratteristica comune a questi siti è il fatto di essere quasi tutti palindromici (o “a simmetria binaria”).

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La simmetria binaria del sito di riconoscimento ègiustificata dalla simmetria binaria dell’enzima stesso, generalmente in forma dimerica: data la struttura della doppia elica, nucleotidi su filamenti opposti distanziati di circa 5 unità si trovano sullo stesso lato della doppia elica.

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Vi sono due possibili tagli: quelli che lasciano estremità blunt(taglio “pari” sui due filamenti) e quelli che lasciano estremitàsticky (con un numero di basi diverso sui due filamenti). I nucleaotidi “sporgenti” prendono il nome di “overhangs”.

Ciascun enzima di restizione è caratterizzato:1. Dal sito di restrizione riconosciuto2. Dalla modalità di taglio (blunt, stiky)

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Data la grande importanza biotecnologica delle endonucleasidi tipo II, si è cercato di isolarne quante più possibile. Oggi ne sono note migliaia, di cui diverse centinaia sono in commercio. Il nome, per convenzione, deriva dall’organismo dal quale è stato isolato.

Gli enzimi di restrizione che riconoscono un identico sito, anche se non lo tagliano nella stessa posizione, sono detti isoschizomeri.

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L’impiego in vitro di due classi di enzimi – gli enzimi di restrizione e la ligasi – ha consentito di sviluppare la tecnologia del DNA ricombinante. Due frammenti di DNA duplex tagliati con il medesimo enzima di restrizione che dia un taglio “sticky” avranno overhangs complementari che, in opportune condizioni, tenderanno ad appaiarsi.

DNA ricombinante

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La ligasi, a spese dell’ATP, potrà formare due legami fosfodiesterici. Una volta formato il legame covalente, il DNA ricombinante è stabile. Si noti che si mantiene il sito di restrizione, per cui i due frammenti uniti potranno sempre essere separati per digestione con l’enzima di restrizione corrispondente (in questo caso BamHI).

Se una delle due molecole tagliate è circolare (ad esempio un plasmide), la reazione di “taglia e cuci” per restrizione/ligazione porta, in due passaggi, un DNA circolare.

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La ligasi catalizza anche la formazione di due legami covalenti tra due estremità blunt, tra le quali, ovviamente, non vi ci può essere riconoscimento tra overhangs. Come prevedibile, la reazione richiede condizione più drastiche e tempi più lunghi. A meno che non sia stato usato la stessa endonucleasi per rendere blunt i due frammenti, il sito di restrizione viene a perdersi.

La ligazione di estremità blunt, per quanto meno efficiente, èpiù generale, in quanto le estremità blunt possono essere generate con enzimi di restrizione diversi, o addirittura “smussando”, con enzimi specifici (polishing enzymes), le estremità sticky. Il prodotto PCR di alcune DNA polimerasi èblunt. Inoltre, grazie al fatto che il legame indipendentemente dalla sequenza dei frammenti coinvolti, si possono legare corti tratti di DNA duplex sintetici a qualsiasi estremità blunt di frammenti ottenuti in altro modo.

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Separazione di polinucleotidi

Per poter analizzare il DNA, è cruciale disporre di metodi che consentano la separazione di frammenti di diversa lunghezza. Tutti i metodi di separazione del DNA si basano sul principio dell’elettroforesi: si applica un campo elettrico alla miscela da risolvere, posta in una matrice che fa da “setaccio molecolare”.

Il DNA, a pH neutro, presenta caicanetta negativa, per cui tutti i frammenti tenderanno a migrare verso il catodo. La velocità di migrazione è funzione della lunghezza del frammento. Alla fine della corsa i frammenti di diversa lunghezza si disporranno quindi in bande discrete.

Per frammenti lunghi fino a 1000 bp si impiega il gel di poliacrilamide (PAGE), mentre per frammenti più grandi si usa il più poroso gel di agarosio. Applicando campi elettrici pulsati ai gel di agarosiosi possono separare interi cromosomi.

Il DNA non subisce danni durante la migrazione, per cui lo si può facilmente recuperare in forma pura tagliando la banda corrispondente al frammento che interessa (elettroforesi preparativa).

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Le bande di DNA possono essere visualizzate in vari modi. Il metodo aspecifico più usato consiste nel trattare il gel con bromuro di etidio, una sostanza che diventa fluorescente solo quando lega il DNA. Illuminando il gel con una radiazione di opportuna lunghezza d’onda, si osserverà quindi luce di fluorescenza in corrispondenza delle bande.

Si può far correre la miscela che si vuole risolvere parallelamente a una miscela di markers, ovvero a frammenti di DNA di lunghezza nota. Ciò consente di stimare la lunghezza delle diverse bande.

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Proprio perché porosi, i gel di agarosio non sono adatti a mantenere a lungo le bande discrete di DNA: i frammenti, in breve tempo, tendono a diffondere. In seguito alla separazione su gel, è però possibile trasferire le bande di DNA su un supporto di nitrocellulosa, sul quale viene preservata la distribuzione dei frammenti ottenuta per elettroforesi anche per tempi lunghi.

Si ottiene quindi una replica stabile del gel, che consente l’applicazione di diverse tecniche di riconoscimento dei frammenti.

Il blotting

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Il Southern blotting (dal nome dello scopritore), consente di identificare il frammento di DNA nel quale si trovi la sequenza complementare a una sonda sintetica marcata radioattivamente.

Ad esempio, un intero genoma può essere digerito con enzimi di restrizione e fatto migrare in gel di agarosio. Un singolo frammento può essere individuato mediante southernblotting.

Il blotting viene condotto in ambiente fortemente basico, in modo che il DNA si denaturi e si separino i due filamenti che lo costituiscono.

I filamenti così separati possono così ibridizzare (formazione di un breve tratto di doppi elica) con una sequenza di DNA o RNA (sintetica) marcata radioattivamente che sia complementare. Un’autoradiografia consente di individuare la banda che contiene il tratto complementare alla nostra sonda.

Il Southern blotting

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La rilevazione di un frammento di DNA e le sue dimensioni possono essere importanti per diversi scopi, ad esempio la diagnosi di una malattia genetica.

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PCR

La reazione di polimerizzazione a catena (polymerasechain reaction, PCR) è una tecnica di amplificazione in

vitro di un tratto specifico di DNA.

Il materiale di partenza può essere una quantità minima di DNA, generalmente il materiale genetico estratto da una cultura cellulare, da un campione di tessuto, ecc.

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In vivo:

� L’enzima che catalizza l’aggiunta di un nucleotide alla catena in formazione è la DNA polimerasi.

Esistono diverse DNA polimerasi, ma sono tutte accomunate da una forma a “mano” grazie alla quale la proteina può “avvolgere” il DNA.

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� La polimerizzazione dei nucleotidi avviene a partire dai loro derivati trifosfato. La rottura del legame fosfoanidridicofornisce l’energia per formare il legame fosfoesterico con l’ossidrile in posizione 3’ del nucleotide successivo.

� Il deossinucleotide aggiunto è, tra i 4 che costituiscono il DNA, quello complementare al filamento stampo.

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� Le DNA polimerasi non possono iniziare la sintesi del filamento complementare ex novo: non possono cioè partire da un singolo filamento, possono solo allungare una doppia elica, anche molto corta.

Interviene pertanto un enzima che riesce a partire da un singolo filamento e sintetizzare un corto tratto di RNA (non DNA) che formi una doppia elica con il filamento singolo. Questo corto “innesco” per la DNA polimerasi è detto primer. L’enzima primasi è una RNA polimerasi specializzata che si unisce al complesso del pre-innesco e sintetizza un primer di RNA complementare al frammento da duplicare.

Perché un frammento di RNA e non uno direttamente di DNA? perché le RNA polimerasi, contrariamente alle DNA polimerasi, possono partire da un filamento singolo e non richiedono un primer. Evoluzionisticamente, non si è cioèsviluppata una DNA polimerasi che possa partire da un singolo filamento e si è quindi affermato questo sistema piùcomplesso, che richiede un ulteriore passaggio. Il corto tratto a RNA sarà infatti eliminato in seguito da enzimi specifici.

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� I primers di RNA saranno poi rimossi e rimpiazzati dai corrispondenti filamenti in DNA da una DNA polimerasi. Segmenti adiaceti saranno poi legati covalentementedall’enzima ligasi

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� La DNA polimerasi richiede che la doppia elica di DNA venga localmente aperta da parte di proteine specifiche. Inizialmente, l’apertura della doppia elica interessa poche centinaia di nucleotidi, che formano la bolla di replicazione. In questa regione i filamenti singoli sono esposti e può essere iniziata la duplicazione.

L’apertura della doppia elica a livello della forcella di replicazione viene catalizzata da enzimi noti come elicasi.

I tratti a filamento singolo che si generano vengono protetti da specifiche proteine (single strand DNA binding proteins o SSB)

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La forcella di replicazione in E. coli è quindi un sistema complesso che vede la partecipazione di un elevato numero di proteine

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Nella PCR:

La PCR sfrutta la capacità della DNA polimerasi di sintetizzare la catena complementare a un filamento singolo di DNA in presenza dei 4 deossinucleotiditrifosfato e di adeguati primer.

Rispetto al processo di trascrizione che avviene in vivo, dove il distacco tra i due filamenti della doppia elica èmediato da enzimi, nella PCR si sfrutta il fenomeno della denaturazione termica. La doppia elica del DNA tende a dissociarsi nei due filamenti costituenti ad una temperatura di circa 95°C.

Essendo richiesta una fase ad alta temperatura, non èpossibile impiegare le DNA polimerasi degli organismi piùcomuni, inattivate dal calore. La soluzione è utilizzare una DNA-polimerasi termostabile, isolata da organismi che normalmente vivono ad alte temperature (ad esempio Thermus aquaticus, da cui Taq polimerasi, la prima ad essere stata usata). La Taq polimerasi è attiva attorno a 72°C e resistente alla denaturazione fino ad oltre i 95°C.

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La Taq polimerasi, come tutte le DNA polimerasi, necessita di un tratto a doppia elica sul quale si possa innestare l’elica complementare allo stampo.

Affinchè la polimerasi agisca, occorre quindi un primer (uno per filamento), un corto segmento di DNA a singolo filamentoche si appai al DNA che si vuole amplificare formando un breve tratto a doppia elica.

I primer, che ovviamente devono essere di sequenza nota e complementare alla catena con cui li si vuole appaiare, sono ottenuti per sintesi. Le tecnologie attuali consentono di sintetizzare tratti di DNA di lunghezza fino a 100 nucleotidi(molto più corti di un gene: per questo non si possono sintetizzare direttamente i geni, anziché applicare la PCR). Le sequenze corrispondenti ai primers sono l’unica parte del DNA da amplificare che deve essere nota in partenza.

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Nel complesso, nella miscela di reazione (generalmente pochi µl di soluzione) occorreranno quindi:

• DNA da amplificare. Il tratto che interessa può in realtàessere la minima parte di quello presente, spesso l’intero genoma.

• La Taq polimerasi o uno dei diversi enzimi analoghi che sono stati isolati e messi in commercio e i suoi cofattori (ioni Mg2+).

• I quattro deossinucleotidi trifosfato, che costituiscono il substrato della DNA polimerasi anche in vivo.

• i 2 primer che si appaino agli estremi delle due catene complementari nel tratto che si vuole amplificare. I primerdevono essere aggiunti in grande eccesso, affinchè siano sufficienti per tutti i cicli.

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La miscela di reazione può quindi essere incubata a 95°C per denaturare il DNA (30 secondi o più). La si porta poi a circa 55°C per favorire l’appaiamento delle catene singole con i primer e infine a circa 72°C, la temperatura alla quale la Taq polimerasi èpiù attiva. Gli steps di temperatura sono generati da uno strumento detto thermocycler.

I tempi e le temperature per ognuno dei passaggi dipende in realtà da una quantità di fattori: il tipo di polimerasi usata, la lunghezza del segmento da amplificare, la natura dei primers, ecc. Un ciclo tipo è il seguente:

circa 95°C

(temperatura di denaturazione)

circa 55 °C

(temperatura di annealing)

circa 72°C

(temperatura ottimale per la Taq)

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L’operazione può essere ripetuta per diverse volte. Ciò consente anche alle catene sintetizzate ad ogni ciclo di fare da stampo in quello successivo, dando così un’amplificazione esponenziale.

Considerando che parte dell’enzima e dei deossinucleotidi trifosfatosi degradano ad ogni ciclo, il numero massimo di cicli è limitato (generalmente <30).

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Si noti che, nei primi cicli, il prodotto è parzialmente eterogeneo. Quando i primer si legano al materiale di partenza o a prodotto di amplificazione che in tutti i cicli siastato ottenuto a partire dallo stesso primer tra i due presenti, la polimerasi può continuare indefinitamente e la lunghezza per più cicli di seguito con lo stesso primer tra i due presenti della catena prodotta dipenderà prevalentemente dal tempo che la polimerasi ha a disposizione per la sua reazione.

Se invece il primer si lega ad una catena derivante dalla polimerizzazione con l’altro primer, il tratto amplificato finale sarà quello delimitato dai due primer.

È estremamente improbabile che un segmento venga amplificato. Dopo pochi cicli vengono quindi a prevalere i segmenti “corti”, di lunghezza ben definita. Il prodotto finale èpressochè puro.

Alla fine dei cicli, si lascia il DNA alla temperatura ottimale per la sua rinaturazione, per cui i filamenti complementari, presenti in ugual quantità, si appaiano dando luogo a doppie eliche.

Si noti anche che, durante l’intervallo alla temperatura di annealing, i filamenti di DNA potrebbero anche combinarsi con i filamenti complementari pittosto che con i primers. I primi ovviamente non potrebbero costituire uno stampo per la DNA polimerasi. II numero di doppie eliche complete che si formano durante l’annealing è tuttavia minimo, dato che i primer vengono aggiunti in grande eccesso. Solo dopo alcuni cicli i primer si esauriscono.

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Le tecniche del DNA ricombinante e della PCR possono essere integrate: I primer per la PCR devono essere complementari ai due estremi del DNA che interessa, ma possono anche contenere, a monte (posizione 3’) della regione complementare, una corta sequenza che non lo sia. Tale sequenza viene incorporata nel prodotto finale della PCR.

In questo modo possono essere introdotti siti di restrizione, che possono venire impiegati per unire il prodotto PCR a altre molecole di DNA.

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RT-PCR

La RT-PCR (reverse transcriptase PCR) consente di trascrivere un filamento di RNA (generalmente mRNA) in DNA e amplificarlo. Il DNA che si ottiene prende il nome di cDNA. La RT-PCR ha due fondamentali applicazioni:

1. Quantificare il livello di trascrizione di un gene, per valutare le risposte cellulari a particolari situazioni (nutrimenti, stress). Al limite si può analizzare l’intero trascrittoma, ovvero l’insieme dell’mRNA presente in un dato momento nella cellula (e quindi, indirettamente, della quantità di proteina espressa).

2. Un secondo motivo per voler amplificare dell’mRNAanziché il gene da cui è stato trascritto si pone per gli eucarioti: il gene eucariotico contiene generalmente introni, che non verranno poi codificati. Il messaggio che verràtradotto nella proteina risiede quindi nel mRNA. I batteri non sono in grado di operare lo splicing, per cui occorre fornire loro il “codice” che è già stato processato dagli eucarioti, ovvero l’mRNA maturo, trascritto in DNA mediante RT-PCR.

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Non vi sono enzimi cellulari che consentano di amplificare il mRNA (né avrebbero senso, dato il ruolo che ricopre l’RNA nelle cellule). Si può però sfruttare l’enzima virale trascrittasi inversa, utilizzata dai retrovirus nel primo passaggio di integrazione del loro genoma a RNA in quello della cellula ospite. La trascrizione inversa è quindi un processo che non avviene normalmente negli organismi cellulari, né eucarioticiné procariotici. Si tratta di un meccanismo attraverso il quale alcuni virus che presentano un genoma a RNA (retrovirus) possono “trascriverlo” a DNA in modo che possa essere integrato al genoma della cellula infettata.

Dopo l’ingresso del virus nella cellula, la trascrittasi inversa usa l’RNA virale come stampo per sintetizzare una catena di DNA complementare, dando luogo ad una elica ibrida DNA-RNA. La catena di RNA virale viene poi degradata dalla RNasiH (un enzima virale facente parte della stessa catena polipeptidica della trascrittasi inversa). Infine, la trascrittasi inversa forma la catena complementare e quindi la doppia elica.

Come le DNA polimerasi, la trascrittasi inversa necessita di un primer (ne occorre uno anziché due come nella normale PCR, perché l’RNA è a singolo filamento).

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Una volta che il genoma virale si è integrato con il genoma ospite, le proteine virali codificate dal materiale genetico virale sonoespresse dal sistema di trascrizione cellulare. Le proteine virali, insieme al suo genoma a RNA (quindi trascritto dalle RNA polimerasi della cellula sotto il controllo di una regolazione virale) possono riassemblarsi a dare nuovi virus.

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Siccome le proteine virali sono poche, sono anche pochi i possibili bersagli molecolari per un’azione antivirale. La trascrittasi inversa è uno di questi. Gli inibitori della trascrittasi inversa sono i primi farmaci anti-HIV ad essere stati utilizzati.

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Per poter trascrivere un filamento di RNA in DNA, la trascrittasi inversa necessita, come la taq polimerasi, di un primer.

Nei procarioti e in generale quando si voglia amplificare un mRNA specifico si deve ricorrere a primer sintetici che abbiano sequenza complementare all’mRNA che interessa, in modo analogo a quanto visto per la PCR.

Un’importante modificazione posttrascrizionale tipica degli eucarioti, la poliadenilazione in 3’, offre un modo per amplificare contemporaneamente tutti gli mRNA presenti impiegando come primer universale un poliT. La coda di poliAè anche sfruttata per separare gli mRNA dalle altre molecole presenti in un lisato cellulare.

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Supponiamo di voler amplificare tutto il trascrittoma di cellule di un tessuto. Si estrae il mRNAmaturo e lo purifica. L’mRNA viene a questo punto incubato con il primerpoli T e con la trascrittasi inversa. Si forma una doppia elica ibrida DNA/RNA.

Aggiungiamo l’enzima RNaseH, chè è in grado di idrolizzare il filamento di RNA, lasciando quello singolo di DNA. In alternativa, si può elevare il pH: l’RNA non è stabile all’idrolisi alcalina e quindi rimane solo il filamento di DNA.

Se nella miscela di reazione è presente una DNA polimerasi e i 4 deossinucleotidi trifosfato, i singoli filamenti di DNA possono generare le doppia eliche di DNA.

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Se nell’ambiente di reazione è presente la taq polimerasi e i primers specifici per l’amplificazione di uno specifico gene, si può procedere direttamente all’amplificazione del cDNA per PCR.

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Un passaggio in RT-PCR è indispensabile quando si voglia amplificare il DNA codificante per una proteina eucariotica e portarlo ad una forma “leggibile” dai procarioti, che non sono in grado di riconoscere e eliminare gli introni dall’mRNA.

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Esempio: ottenimento di un cDNA del gene dell’insulina.

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Sequenziamento del DNA

Il metodo di elezione per il sequenziamento di catene di DNA fino a 500 bp è quello enzimatico, detto anche di Sanger. Si tratta di una reazione catalizzata da una DNA polimerasi su un singolo filamento condotta in presenza non solo dei quattro deossinucleotidi trifosfato, ma anche di loro derivati privi dell’ossidrile in 3’ (dideossinucleotidi), aggiunti in minima quantità.

Per avere più materiale, si può condurre una PCR, ovviamente usando la Taq polimerasi come DNA polimerasi.

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Affinchè la DNA polimerasi possa formare il filamento complementare, occorre fornire anche un primer, che individua l’inizio del tratto da sequenziare.

Nelle prime versioni di questo metodo, si conducevano separatamente 4 reazioni di PCR, ognuna in presenza di un diverso nucleotide modificato. La duplicazione si blocca, per ognuna delle 4 reazioni, quando viene incorporato il nucleotidemodificato: tali derivati possono essere aggiunti alla catena nascente dalla DNA polimerasi ma poi ne impediscono il proseguimento. Il loro inserimento è casuale, per cui si generano filamenti di lunghezza diversa, ciascuna terminante con il derivato terminatore.

La proporzione di nucleotidi “normali” e modificati è tale per cui, statisticamente, si formeranno tutti i filamenti tronchi terminanti con un determinato nucleotide.

n copie

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Le catene sono tutte marcate radioattivamente (si aggiungono nucleotidi con un atomo radioattivo, o al primer o a una porzione dei nucleotidi trifosfato), per cui possono essere visualizzate mediante autoradiografia su un gel. Si utilizzano gel di poliacrilamide perché consentono di separare molecole che differiscono in lunghezza per un singolo nucleotide.

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I 4 prodotti di PCR vengono fatti correre parallelamente su un gel. In questo modo è possibile ricostruire la sequenza completa del filamento complementare.

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La variante più recente di questo metodo prevede che i quattro nucleotidi modificati leghino un label fluorescente, ognuno in grado di emettere luce di “colore” diverso. Con questo metodo è sufficiente una singola reazione di PCR in presenza di tutti e quattro i nucleotidi modificati. Le repliche parziali vengono separate mediante elettroforesi: il “colore” di ciascuna banda indicherà la natura del nucleotide terminate (A, T, G o C). In questo modo, si può ricostruire a l’intera sequenza.

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Clonaggio

Il clonaggio consiste nello sfruttare la capacità di cellule, generalmente batteriche, di ospitare DNA estraneo e di consentirne l’amplificazione insieme al proprio. Attraverso il clonaggio, possiamo quindi disporre di quantità illimitate di DNA di sequenza desiderata. Il clonaggio è quindi un’amplificazione in

vivo di DNA ricombinante.

Se lo si inserisse come tale in una cellula, il DNA non sarebbe replicato e si perderebbe immediatamente. Per poter essere mantenuto nelle cellule batteriche da una generazione all’altra, il frammento che vogliamo amplificare deve essere (a) integrato nel genoma cellulare oppure (b) essere inserito in una molecola di DNA extragenomico di cui facciano parte sequenze tali da consentirne la permanenza nella cellula e la replicazione. Nel secondo caso, di gran lunga più frequente, si parla di vettori di clonaggio. Quelli più utilizzati sono i plasmidi, piccoli cromosomi circolari accessori derivanti da varianti naturali normalmente presenti nelle cellule batteriche. I plasmidi permettono di clonare tratti di DNA corrispondenti a uno o pochi geni. Recentemente, con la possibilità di sequenziare interi genomi, si sono resi utili vettori di clonaggio più “capienti”, grazie ai quali è possibile clonare tratti di DNA molto più lunghi. I cromosomi artificiali batterici (BAC), i fagi e i cosmidi ne sono esempi.

Per il clonaggio sono generalmente impiegati ceppi batterici da cui siano stati eliminati i sistemi di metilazione/restrizione, in modo che non interferiscano con il DNA che vogliamo inserire. Sinoti che i vettori di clonaggio possono essere facilmente separati dalle altre componenti della cellula (compreso il suo genoma) e il frammento che vi abbiamo inserito può essere recuperato dal plasmide tagliandolo con gli stessi enzimi di restrizione con i quali lo abbiamo inserito.

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I plasmidi sono elementi genetici accessori normalmente presenti nelle cellule procariotiche.

• Contrariamente al cromosoma principale, i plasmidi sono normalmente presenti in più di una copia, spesso in numero variabile da cellula a cellula. Non sono generalmente indispensabili alla crescita della cellula in condizioni normali, ma codificano per proteine coinvolte nella resistenza ad antibiotici, proteine associate alla virulenza, ma anche enzimi che catalizzano particolari reazioni metaboliche.

• I plasmidi sono entità genetiche relativamente indipendenti e possono spesso trasferirsi da cellula a cellula, anche tra specie diverse.

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Ti of Agrobacterium

tumefaciens, conferring the abilityto cause crown galldisease on dicotyledonousplants

PathogenicityVirulence

TOL of Pseudomonas

putida, for toluene metabilism

Enzymes formetabolism of unusual molecules

Degradative

Col of E. coli, forcolicin production

Synthesis of toxinsthat kill other bacteria

Killer

F of E. coliConjugation and DNA transfer between bacteria

Fertility

Rbk of Escherichia

coli and otherbacteria

Antibiotic resistanceResistance

ExamplesGene functionsType of plasmid

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L’inserimento di plasmidi in batteri viene chiamato trasformazione ed è ottenuto trattando una cultura di batteri con agenti chimici o fisici che ne aumentano temporaneamente la permeabilità di membrana.

I plasmidi ricombinanti

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1. Un’origine di replicazione (ori) affinché possano essere duplicati ad ogni ciclo cellulare. Il tipo di origine di duplicazione determina il numero medio di copie presenti nel batterio: si distinguono ori che danno un high copy numberda quelle che danno un low copy number. I primi consentono di ottenere una quantità maggiore di DNA. L’origine di replicazione è spesso specie-specifica. Si può però modificare la sequenza del plasmide in modo che contenga siti ori specifici per più di un organismo.

2. Un marker, o selettore: tra le funzioni svolte dai plasmidi in natura, vi è quella di veicolare un’attività antibiotica (vedi ad esempio le multiresistenze nelle infezioni nosocomiali). Codificano cioè per una o più proteine in grado di bloccare l’azione di un antibiotico (ad esempio, ampicillina, kanamicina, streptomicina). A livello molecolare, tale azione può essere di diverso tipo: ad esempio il gene di resistenza alla ampicillina codifica per un enzima, la β-lattamasi, che rompe l’antibiotico, inattivandolo. Si è pensato di sfruttare questa funzione dei plasmidi (che non è non l’unica in natura) per mantenere il plasmide nel batterio durante i vari cicli di duplicazione cellulare. Se si aggiunge l’antibiotico al mezzo di cultura, solo i batteri in cui il plasmide è presente sopravviveranno e si riprodurranno. In assenza di antibiotico il plasmide tenderebbe a perdersi. In un plasmide possono essere presenti geni di resistenza a più di un antibiotico.

I plasmidi più comunemente usati come vettori di clonaggiohanno dimensioni variabili tra 2000 e 5000 bp e sono stati originariamente ottenuti da plasmidi naturali, tra cui, in particolare, il plasmide di E. coli ColE1. Alcuni possono replicarsi in più specie, altri sono più selettivi e possono replicarsi solo in una. Nella loro sequenza devono contenere almeno:

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La resistenza all’antibiotico è lo stratagemma che si usa per selezionare i cloni batterici in cui la trasformazione con il plasmide ricombinante abbia avuto successo (in genere, una minima parte). La cultura trattata con il plasmide viene “stesa”su un terreno solido (LB agar) in cui sia disciolto l’antibiotico al quale il plasmide conferisce resistenza. Le cellule nelle quali èpresente potranno crescere come popolazione clonale (cellule identiche, derivate da una singola cellula) fino a formare colonie visibili ad occhio nudo. La colonia a questo punto può essere isolata e coltivata in terreni liquidi. Il plasmide può essere purificato dalla cultura batterica in modo semplice e veloce.

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3. Un sito in cui siano contenuti dei siti di restrizione unici(single cutters), in modo da potervi inserire il frammento di DNA tagliato con gli stessi enzimi. Sarebbe sufficiente anche un solo sito di restrizione unico, ma molti plasmidicommerciali presentano un multiple cloning site, in modo che vi sia un’ampia scelta di enzimi di restrizione da usare (nota bene: la scelta dei siti di restrizione da impiegare per ottenere DNA ricombinante è ristretta dalla possibilità che tali enzimi taglino il frammento di DNA che interessa).

Il MCS non è indispensabile al plasmide in sé ma è richiesto affinché lo si possa usare come vettore di clonaggio. Un MCS consente inoltre di clonare in serie più frammenti.

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I BAC (cromosomi artificiali batterici) sono costrutti di DNA basati sul plasmide naturale della fertilità (F) di E. coli, piùgrande di altri plasmidi che si riscontrano in natura. Rispetto aiplasmidi, I BAC possono accomodare frammenti più lunghi di DNA (fino a 300 Kbp). Grazie a questa capienza, sono spessoimpiegati nel seqenziamento di genomi.

I BAC ricombinanti

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I fagi ricombinanti

I batteriofagi, o fagi, sono virus che infettano i batteri. Il loro materiale genetico, una volta entrato nella cellula può (a) integrarsi con quello della cellula ospite, di cui diventa parte integrante (via lisogenica) (b) moltiplicarsi in più copie: i geni virali vengono quindi espressi in grande quantità e diversi virus si assemblano, comportando la rottura della cellula (via litica). Si dicono temperati i fagi che vanno generalmente incontro a lisogenia, ma che sono occasionalmente in grado di iniziare un ciclo litico. Il batteriofagotemperato più studiato è il batteriofago λ.L’integrazione del genoma virale è una ricombinazione non omologa(mediata da proteine che riconoscono siti specifici nel DNA), del tipo incontrato per molti virus.

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Tanto il processo lisogenico che quello litico avvengono anche se, all’interno del genoma virale, inseriamo un frammento di DNA estraneo al fago. I fagi ricombinanti che si ottengono possono infettare cellule di E. coli come quelli naturali. Si può introdurre direttamente il genoma(trasfezione) o infettare le cellule con l’intero virus assemblato in vitro (infezione).

trasfezione

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Il genoma fagico ricombinante può essere introdotto nella cellula ospite per infezione, “impacchettandolo invitro con le proteine del capside.Affinché si possa avere l’impacchettamento in vitro del genomafagico ricombinante a partire dalle proteine del capside, sono indispensabili le sequenze cos, situate normalmente alle estremità del genoma fagico. Tali sequenze sono riconosciute dalle proteine fagiche (codificate cioè da geni del genoma fagico) Nu1 e A, che ne mediano l’impaccamento nella “testa” del virus.

Per un efficiente impacchettamento, è anche critica la lunghezza del DNA. Se è troppo corta (ad esempio non si è avuta l’inserzione del frammento esogeno), non si ha formazione di un fago attivo. Se è troppo lunga, l’impaccamento è impedito.

infezione

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La resa del processo di trasfezione/infezione è relativamente bassa, per cui solo poche cellule la subiranno. Incubando cellule di E. coli stratificate uniformemente su un terreno solido, si osserveranno delle placche (cellule lisate) che si originano da un singolo “focolaio” di infezione. I fagi che si trovano nella placca, derivando da un singolo fago, costituiranno una popolazione clonale (copie identiche del fago originario). I fagi di una placca potranno essere prelevati e usati per infettare una cultura in terreno liquido: si viene quindi ad ottenere un numero di fagi sufficiente per purificarne il DNA contenuto e, con esso, il nostro frammento.

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I cosmidi ricombinanti

I cosmidi sono plasmidi in cui sono stati inseriti siti cos, che consentono loro di impaccarsi -in vitro - nella testa di un batteriofago λ. Possono anche essere visti come batteriofagi cui sono stati tolti tutti i geni fagici, rimpiazzati con gli elementi tipici di un plasmide: ori, markers, MCS. Nella testa del virus, vi èquindi sufficiente spazio per un grosso inserto, fino a 45kb. Un inserto di tali dimensioni non potrebbe essere inserito in un fago λ (perché gran parte dello “spazio disponibile” è occupato dai geni fagici), ma neppure in un plasmide. In sostanza, con l’aggiunta dei siti cos, si consente l’introduzione del plasmide per infezione, un sistema più efficiente della trasformazione.

Una volta entrato nella cellula, il cosmide si comporta come un normale plasmide (non possiede i geni del batteriofago per la ricombinazione, né per la sintesi delle proteine del capside).

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1000YAC (yeast artificial chromosome)

300BAC (bacterial artificialchromosome)

100P1 phage

45Cosmid

25λ phage

20Plasmid

Cloned DNA (kb)Vector Type

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Tra le principali applicazioni del clonaggio vi è la possibilità di amplificare corti tratti di DNA ottenuti per frazionamento di molecole molto lunghe. I frammenti amplificati per clonaggio, disponibili in quantità pressoché illimitata, possono essere caratterizzati e sequenziati. Ad esempio, è possibile tagliare un grosso frammento di DNA con un singolo enzima di restrizione. Nederiveranno frammenti più piccoli che possono essere inseriti in un plasmide tagliato con lo stesso enzima di restrizione.

Si noti che i frammenti sono casuali e non rispecchiano necessariamente i limiti tra unità funzionali (geni, elementi di regolazione, enhancer, ecc).

Clonaggio di interi genomi: le librerie genomiche

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Questa operazione potrà essere eventualmente ripetuta rompendo il DNA originario con altri enzimi di restrizione: si ottengono librerie ridondanti con frammenti in parte sovrapposti(contigs). L’analisi delle sequenze sovrapposte consente di risalire all’ordine in cui i frammenti si presentano nella molecola di DNA originaria (metodo “shotgun”) e, quindi, alla sua sequenza complessiva.

I plasmidi possono essere trasformati in batteri a dare diversi cloni batterici, facilmente isolabili e amplificabili. L’insieme di questi cloni, che potenzialmente coprono tutto il DNA originario, prende il nome di libreria.

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Al limite, si può costruire una vera e propria libreria genomica, un insieme di cloni batterici che nel loro complesso contengono tutto il DNA di un organismo. Per queste applicazioni, dovranno essere impiegati i vettori di clonaggio più “capienti” (fagi o BAC).

Ad esempio, l’intero genoma umano è stato frazionato (Progetto Genoma Umano) in 393216 BACs.

Queste librerie, eventualmente “sfoltite” per essere il meno ridondanti possibile, sono rese disponibili alla comunitàscientifica.

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Le librerie genomiche non danno informazioni circa il diverso livello di espressione dei geni. Da questo punto di vista, è piùinformativa una libreria di cDNA, ottenuta mediante clonaggio del cDNA ottenuto per RT-PCR su tutti gli mRNA espressi da una cellula. Non si arriverà a clonare tutto il materiale genetico (non tutto è trascritto a mRNA), ma si ottengono informazioni, seppur indirettamente, sulle proteine espresse. Confrontando librerie genomiche con quelle di cDNA si possono avere informazioni sulla forza di promotori ed enhacer, sulla inducibilità di alcuni geni, sullo splicing, ecc.

Clonaggio di interi trascrittomi: le librerie di cDNA

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Il clonaggio può essere integrato con la PCR per isolare una sequenza ben definita ed eventualmente modificata. Inserendo siti di restrizione ai lati del segmento amplificato (usando opportuni primers), è possible inserirlo agevolmente in un vettore di clonaggio.

Si noti che, se si mantiene il sito di restrizione grazie al quale si è inserito l’inserto nel plasmide, lo si potrà sempre recuperare e clonare, ad esempio, in un altro vettore (subclonaggio).

Clonaggio di sequenze specifiche

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Espressione

Un semplice clonaggio consente di isolare e caratterizzare un segmento di DNA, che può essere replicato a piacere in modo semplice ed efficace. Se il clonaggio viene condotto in appositi vettori, detti vettori di espressione, è possibile sfruttare non solo il sistema di duplicazione del DNA della cellula procariotica ospite, ma anche il suo sistema di trascrizione, ottenendo così la proteina codificata dal tratto di DNA (via mRNA). Se l’espressione avviene in un organismo diverso da quello in cui è stato isolato il gene si parla di espressione eterologa.

Ciò è di straordinaria utilità, perché le proteine espresse e purificate possono trovare le più varie applicazioni. È inoltre possibile produrre di una proteina in quantità sufficiente per essere caratterizzata mediante tecniche biochimiche. Combinando questa tecnologia con quella della mutagenesisito-specifica, è possibile esprimere e caratterizzare anche proteine mutanti.

Nella grande maggioranza dei casi, la cellula ospite èbatterica (E. coli). Le cellule batteriche non sono in grado di operare uno splicing sugli mRNA, per cui, volendo clonare ed esprimere una proteina eucariotica, dovremo utilizzare il cDNA ottenuto mediante RT-PCR dall’mRNA maturo estratto dalla cellula eucariotica. Se usassimo il prodotto PCR ottenuto dal genoma eucariotico, vi sarebbero inclusi anche gli introni, che la cellula batterica non saprebbe “interpretare”come tali.

Rimane l’eventualità che la cellula procariotica non sia in grado di operare modificazioni post-traduzionali indispensabili alla funzione della proteina eucariotica. In questo caso èindispensabile esprimerla in cellule eucariotiche impiegando speciali vettori.

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Reg. trad. (INIZIO)

Sequenza di regolazione della trascrizione (INIZIO

trascrizione)

Sequenza trascritta a RNA Sequenza di regolazione della trascrizione (STOP

trascrizione)

Inizio trascrizioneFine trascrizione

Codone di stop

Inizio traduzione Fine traduzione

DNA

mRNA

Proteina

Affinché un vettore di clonaggio sia anche di espressione, il frammento di DNA inserito deve essere un gene, comprendente le sequenze non codificanti di regolazione della sua espressione, sia a livello della trascrizione che della traduzione.

Espressione in procarioti

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Reg. trad. (INIZIO)

Sequenza di regolazione della trascrizione (INIZIO

trascrizione)

Sequenza trascritta a RNA Sequenza di regolazione della trascrizione (STOP

trascrizione)

Inizio trascrizioneFine trascrizione

Inizio traduzione Fine traduzione

Sequenza di terminazione della

trascrizione

RBSCodone di stop

Promotore

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La sintesi dell’RNA incomincia in corrispondenza di siti specifici sullo stampo di DNA: la RNA polimerasi si lega ad una sequenza di basi detta promotore.

Nei procarioti, i promotori sono sequenze di DNA di circa 40 basi localizzate immediatamente a monte del gene. Un tipico promotore batterico consiste di due sequenze di consenso (sequenze comuni a tutti i promotori): la sequenza TTGACA centrata in posizione -35 (riferito alla posizione di inizio della trascrizione) e quella TATAAT in posizione -10.

Promotore

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La sintesi proteica nei procarioticonsiste di tre fasi: inizio, elongazione o allungamento e terminazione.

L’inizio è innescato dal legame della subunità piccola, insieme al fattore IF-3, all’RBS. Il legame con l’RBS consente il corretto posizionamento dei siti attivi del ribosoma sul codone di inizio dell’ mRNA.

Il codone di inizio per i geni batterici è generalmente AUG, il codone per la metionina.

A questo punto il tRNAi – met(formilata) si lega al suo codone.

Infine, la subunità maggiore si lega alla subunità minore formando il complesso di iniziazione.

Quindi: sia la sequenza RBS che il codone AUG definiscono il reading frame

Ribosome binding site

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Il plasmide contenente gli elementi genetici accessori necessari per la trascrizione (oltre a quelli necessari per la selezione e per la replicazione) può essere trasformato in una cellula procariotica come un plasmide di clonaggio. Come vettori di espressione per procarioti, è sufficiente utilizzare i plasmidiperché un gene è di dimensioni ridotte e non richiede vettori piùcapienti, come BAC o cosmidi.

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Ciascun batterio possiede diversi tipi di siti promotori (siti cui si lega la RNA polimerasi), che potrebbero essere posti a monte di un gene plasmidico per regolarne la trascrizione. Tra i possibili siti promotori presenti nel genoma di E. coli, ci si èfocalizzati su quelli che controllano geni inducibili. È infatti utile poter indurre l’espressione di una proteina mediante induttori(piccole molecole, possibilmente stabili) al momento desiderato, ad esempio quando la cultura ha raggiunto un certo livello di crescita, dato che la sovraespressione di una proteina esogena tende a rallentarla.

Uno dei sistemi più semplici consiste nell’impiegare il promotore per l’operone del lattosio (o lac). Invece del lattosio, l’induttore naturale, si impiega un suo analogo sintetico piùstabile, l’IPTG.

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Le proteine repressore interagiscono direttamente con il DNA in corrispondenza di una sequenza specifica: quando vi si legano, impediscono alla RNA polimerasi di proseguire la trascrizione.

L’associazione e la dissociazione di queste proteine regolatrici dal DNA è a sua volta regolata da piccole molecole, che legandosi a siti allosterici determinano modificazioni conformazionali tali da modificare le proprietà di legame della proteina al DNA.

Le molecole sono spesso metaboliti o loro derivati: segnalano quindi al sistema di trascrizione quando debbano essere espresse proteine in risposta a una mutata situazione ambientale.

L’esempio meglio studiato è quello del repressore lac. In presenza del suo ligando (l’allolattosio) il repressore si stacca dalla sequenza di regolazione

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Come il lattosio, l’IPTG si lega alla proteina lacI, inducendone la dissociazione dal DNA e quindi consentendo alla RNA polimerasi di trascrivere il gene immediatamente a valle (che normalmente, nei batteri, èl’operone lac, ma che noi possiamo sostituire con il gene che ci interessa).

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Per ottenere rese ancora più alte si può ricorrere ad un duplice sistema di amplificazione basato su un promotore virale, il T7, riconosciuto dalla RNA polimerasi virale T7.Vi sono ceppi ingegnerizzati di E. coli in cui il gene per la RNA polimerasi T7 viene posto sotto il controllo del promotore lac (quindi inducibile dall’IPTG). Una volta che ne è indotta l’espressione, la RNA polimerasi potrà a questo punto trascrivere il gene di interesse posto nel plasmidesotto il controllo del promotore virale T7. La produzione di polimerasi T7 determina un’enorme espressione dei geni dipendenti dal suo promotore (T7, appunto).

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Se si mette a monte del promotore T7 anche un promotore lac, rendiamo ancora più stringente l’induzione: l’IPTG rimuoverà contemporaneamente la repressione sul gene plasmidico e sulla RNA polimerasi T7. Un gene per il repressore lac, lacI, può essere inserito nel plasmide per aumentarne la concentrazione all’interno della cellula, in modo che l’espressione sia completamente soppressa in assenza di induttore.

Questi stratagemmi per rendere il più possibile stringente l’induzione sono motivati dal fatto che, a volte, la proteina sovraespressa in grandi quantità è tossica per la cellula. Il controllo sui tempi di espressione diventa quindi cruciale per ottimizzare le condizioni di espressione.

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Mutagenesi sito specifica

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Espressione in eucarioti

La maggior parte delle proteine eucariotiche può essere espresso in cellule procariotiche (via cDNA), ma alcune richiedono modificazioni post-traduzionali che i procariotinon riescono a compiere. In questi casi occorre quindi esprimere le proteine in sistemi eucariotici.

Siccome la maggior parte degli eucarioti non tollera DNA extracromosomale (tipo plasmidi), il DNA che si vuole esprimere deve essere inserito, con gli elementi di regolazione riconosciuti dalla cellula ospite, nel DNA genomico.

Il DNA può essere microiniettato in cellule animali. il tasso di successo è molto basso, perché un’inserzione spontanea nel genoma è molto improbabile.

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Si ha maggiore efficienza utilizzando vettori di espressione per eucarioti, generalmente derivati da virus, dei quali si sfrutta la capacità, mediante ricombinazione, di inserire DNA nel genoma della cellula ospite (come i fagi nella via lisogena).

Principi simili a quelli visti per i fagi possono essere ad esempio applicati al baculovirus, in grado di infettare cellule di insetto (che possono poi essere mantenute in cultura).

Per ciascun tipo di eucariote si è sviluppato un set appropriato di vettori.

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In genere si preferisce usare cellule eucariotichein cultura, perché è piùfacile recuparare la proteina espressa. Un’eccezione è data da tessuti di animali dai quali la proteina è secreta e facilmente recuperabile. Ad esempio, un’importante farmaco proteico, l’attivatoretissutale del plasminogeno, viene secreto nel latte di pecore transgeniche. Il gene per l’attivatore tissutale del plasminogeno è in realtàpresente in tutte le cellule ma è posto sotto il controllo del gene per la β-lattoglobulina, una proteina sintetizzata solo dalla ghiandola mammaria.

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