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DEMO

SI RIPORTA DI SEGUITO

A SCOPO ILLUSTRATIVO

ALCUNI BRANI DEL VOLUME:

“TECNICA DI POLIZIA GIUDIZIARIA AMBIENTALE”

2° EDIZIONE 2013

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TECNICA DI POLIZIA GIUDIZIARIA AMBIENTALE

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TECNICA DI POLIZIA GIUDIZIARIA AMBIENTALE2° Edizione 2013

Le norme procedurali penali applicate alla normativa ambientale

Diritto all’Ambiente - EdizioniSegreteria organizzativa: Viale Donato Bramante n. 103 - 05100 TerniTel. 0744/301558; Fax 0744/301609; [email protected] di Roma: Via Guglielmo degli Ubertini n. 56 – 00176 Roma

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Cura dell’impaginazione e della grafica di copertinastaff tecnico di “Diritto all’ambiente - Edizioni”

Finito di stampare nel mese di luglio 2013 presso: Leoni Grafiche s.n.c.

05022 Amelia - Viale Europa, 78/80Tel./Fax 0744.978792

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A mio padre,esempio di moralità personale e professionale,

insostituibile maestro di diritto e di vita,che ha creduto in me,

ed al quale non ho potuto consegnarela prima copia di questo volume.

Maurizio Santoloci

A tutti coloro che in divisa o con la toga, da noi conosciuti o no,

hanno sacrificato la loro vita nell’adempimento del loro dovere

credendo nel loro lavoro e nella legalità. Sempre e comunque.

Maurizio Santoloci e Valentina Santoloci

Gli autori del presente volume non percepiscono alcun compenso e devolvonoi relativi diritti agli scopi sociali del sito www.dirittoambiente.net

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TECNICA DI POLIZIA GIUDIZIARIA AMBIENTALE

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Questa nuova edizione 2013...

Siamo giunti alla edizione 2013. Anno dopo anno questo volume da un lato regi-stra gli impulsi che provengono dalle operatività sul territorio delle varie forze di po-lizia impegnate nel campo ambientale e dall’altro a sua volta cerca di decodificareproblemi e dare conto di nuove realtà emergenti di fatto ed a livello giuridico percontribuire alla crescita ed alla evoluzione della cultura delle stesse forze di poliziaimpegnate “sul campo”.Dalla stesura della edizione 2012 ad oggi il dato forse più rilevante che abbiamonotato nel settore in esame è ormai la crescente e consolidata interconnessione trareati ambientali, reati a danno gli animali, reati a danno della salute pubblica e reatifiscali e tributari. Le grandi inchieste di questi ultimi mesi hanno infatti evidenziato,in particolare in alcuni settori, che tutte queste viuolazioni sono ormai in modostabile tra loro collegate e l’una costituisce il reato presupposto rispetto all'altra.Questo dayo di fatto che emerge in modo oggettivo anche dalle più rilevanti in-chieste di questi ultimi mesi deriva verosimilmente dal fatto che le varie crimina-lità operanti nei quattro settori che stiamo citando sostanzialmente hanno lo stessocomun denominatore, anche perché nella maggior parte dei casi i soggetti agentisono esattamente gli stessi che rivestono diversi ruoli contemporaneamente per vio-lare in modo contestuale diverse normative.Questo fenomeno porta ad una conseguenza inevitabile rispetto alla operatività delleforze di polizia giudiziaria ambientale operanti nel settore. Infatti inizia ad essereforse troppo restrittivo parlare soltanto di polizia giudiziaria ambientale in sensostretto. Perché seguendo la logica che stiamo sopra esaminando, oggi le forze dipolizia devono essere altrettanto interconnesse tra loro per affrontare in modo in-terdisciplinare nei vari settori le varie diverse commesse. Oggi, infatti, molto spessoper accertare un reato ambientale si parte dal reato fiscale e tributario, e viceversa,e accertando un reato nel campo degli inquinamenti ambientali si giunge inevita-bilmente anche a reati a danno della salute pubblica; ma è vero anche il contrario,perché molto spesso in un allevamento dove si riscontrano reati ambientali e reatia danno della salute pubblica emergono reati a danno degli animali. E le gestioni il-legali di rifiuti sono uniti a doppio filo con le violazioni fiscali.È dunque necessaria una rinnovata cultura da parte delle forze di polizia che ope-rano nei quattro settori connessi, anche per uno scambio attivo e vivace di infor-mazioni, dati, esperienze ma anche di strategie operative ed investigative innovative.

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INTRODUZIONE

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E ormai il tempo di superare arcaiche edanacronistiche visioni statiche degli inter-venti di polizia giudiziaria, legati a codicistiche superate e di secoli ormai trascorsi.Una polizia giudiziaria moderna che opera nel campo ambientale deve necessaria-mente fare i conti con questa realtà emergente ed adeguare la propria visione ed ilproprio approccio investigativo con le rinnovate esigenze sostanziali e proceduralianche in sede investigativa.Da qui il nostro impegno per una progressiva evoluzione anche dei testi e delle ela-borazioni contenute in questo volume per cercare offrire anche il nostro contributoa questa nuova visione dei fatti e delle realtà concrete gravi settori in esame.Resta tuttavia invariata la filosofia di fondo del libro che continua ad essere un ma-nuale con finalità pratiche ma che nel contempo riporta anche in modo rigorosoprincipi di dottrina e di giurisprudenza per ogni livello di lettura.

Maurizio Santoloci - Valentina SantolociMarzo 2013

Gli autori nel mese di luglio 2013, atteso il grande successo di vendita di questa edi-zione, propongono la presente ristampa della stessa edizione aggiornata, tuttavia, conl’integrazione di alcune importanti novità normative e giurispudenziali in materiadi gestione delle terre e rocce da scavo.

Luglio 2013

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PARTE PRIMA

Problemi generali di principio e di procedura per la polizia giudiziaria

nei reati ambientali

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PROBLEMI GENERALI DI PRINCIPIO E DI PROCEDURA

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§ 4. LA COMPETENZA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA IN RELA-ZIONE AI REATI AMBIENTALI

Va in via preliminare precisato che i reati in materia ambientale sono, alpari di tutti gli altri reati inerenti ogni altro settore, di competenza gene-rica di tutta la polizia giudiziaria. Non esiste, quindi, alcuna competenza selet-tiva specifica che determini una esclusività operativa di un organo di P.G. versoquesti reati o addirittura verso alcuni di questi reati.

La riserva è inesistente a livello attivo e passivo; in altre parole, nessun organodi P.G. può essere considerato competente in via esclusiva per alcuni reati am-bientali (con esclusione di altri organi) né, al contrario, nessun organo di poliziapuò ritenersi esonerato parzialmente o totalmente dalla competenza verso questireati (con rinvio ad altri organi).

Indubbiamente esiste una specializzazione di fatto che fa sì che alcuni organisiano istituzionalmente preposti e preparati in particolare verso determinate tipolo-gie di illeciti, ma questo non esime gli stessi organi dalla competenza verso gli altrireati ed in particolare, per quanto attiene al settore in esame, non li esime dal po-tere/dovere di intervento verso illeciti di diversa tipologia nel campo ambientale.

Tale concetto - connaturale ai principi generali del diritto - è autorevol-mente ripreso e ribadito fin dagli anni ’90 dalla Suprema Corte (Cass. pen., sez.III, 27 settembre 1991, n. 1872 - Pres. Gambino, Est. Postiglione) la quale fin daallora ha espressamente sancito che «i reati in materia ambientale sono di compe-tenza di tutta la polizia giudiziaria, senza distinzione di competenze selettive oesclusive per settori, anche se di fatto esistono delle specializzazioni». La SupremaCorte, per ovviare a realistiche problematiche derivanti da una mancata qualifi-cazione professionale su specifici e particolari punti tecnici da parte della P.G. ingenerale, aggiunge che «naturalmente la P.G. potrà avvalersi di “persone idonee” nellaqualità di “ausiliari” e l’accertamento tecnico che ne consegue deve considerarsi atto dellastessa P.G.». Questo, dunque, è un principio basilare che riguarda i rapporti trapolizia giudiziaria e reati in generale.

Va peraltro precisato che anche le previsioni normative di principio che, a li-vello di leggi e/o regolamenti, prevedono che alcune attività di vigilanza o di in-vestigazione vengano svolte da alcuni organi di polizia specificamente indicati,devono essere considerate espressioni di principi politici generali perché non eso-nerano, e non potrebbero esonerare, altre forze di polizia ad operare in quel settore(specialmente in seguito alla realizzazione di un reato).

Dunque anche queste espressioni previsionali, a nostro avviso inopportunee fuorvianti (perché creano dubbi, pretesi esoneri e pretese monocompetenze),non costituiscono deroga al principio-base in base al quale tutta la P.G. è sempree comunque competente per tutti i reati ambientali, ovunque commessi. Trattasi,infatti, di rafforzamenti a livello politico-istituzionale del ruolo di organi di poli-

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zia specifici su certi temi e settori che tendono a proporre il ruolo preminente eper certi versi significativamente visibile degli stessi organi in quel determinato set-tore anche come punto di riferimento primario per le altre istituzioni ed i citta-dini. Ma nulla di più.

Per cui va ribadito il concetto che tutti gli organi di P.G., su inizia-tiva e su segnalazione, devono comunque sempre intervenire in ordine adun reato ambientale. E non possono rifiutare il loro operato (sotto pena di inte-grazione del reato di omissione di atti di ufficio ex art. 328 C.P.), qualora un pri-vato si rivolga a loro, sostenendo - e ciò è frequente - che non è di loro competenzae che bisogna rivolgersi ad un organo specializzato.

Il fondamento di quanto asserito lo troviamo nell’art. 55 C.P.P. il quale spe-cificando che «la polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere no-tizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gliautori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova (...)» non distin-gue poi affatto competenze selettive per genere di reati ma crea un connubio ge-nerale polizia giudiziaria (generica) - reati (generici). Né tantomeno,paradossalmente, vi è scritto che (tutta) la polizia giudiziaria deve prendere notiziadei reati etc... con un inciso di esclusione dei reati in materia ambientale che do-vrebbero considerarsi di competenza di una sola parte limitata della polizia giudi-ziaria. Né sussiste la possibilità che leggi speciali in campo ambientale possonodemandare ad organi di P.G. specifici la competenza su alcuni territori e/o su al-cuni reati con esclusione della competenza per gli altri organi. Si tratterebbe di unaderoga (non ipotizzabile) ai principi generali del codice di procedura penale.

Proprio in forza dei principi fin qui esposti, ad esempio, anche il D.M. 23marzo 2007, con il quale Corpo Forestale dello Stato e Polizie Municipali e Pro-vinciali sono chiamati ad assumere un ruolo prioritario nell’azione giuridica a tu-tela degli animali, se rafforza e rende giustamente e correttamente prioritaria lafunzione di tali forze di polizia nel settore, non sortisce certo l’effetto (come tuttigli altri decreti ministeriali simili in campi diversi) di concedere solo agli organi ci-tati nel decreto medesimo la competenza esclusiva per i reati di settore esonerandogli altri organi di polizia dalla medesima competenza.

In realtà, tali decreti individuano - con un fine logico - un riparto di compe-tenze prioritarie a livello istituzionale e di principio (che potremmo definire “po-litico”) di alcuni organi di P.G. con funzioni di priorità operativa su una determinatalegge, senza tuttavia escludere dalla competenza generale di base gli altri organi diP.G. non citati.

Per essere più chiari, ed in altre parole, se oggi nel decreto del Ministro del-l’Interno, il Corpo Forestale dello Stato e le Polizie Municipali e Polizie Provin-ciali sono - come è logico e giusto che sia - organi di riferimento primario perl’applicazione della legge a tutela degli animali, ciò non esime tutti gli altri organidi P.G. (Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Guardia Costiera, Guar-

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diaparco, ed altri statali o locali) dal dovere positivo di intervento in caso di reati adanno degli animali. Ed il rifiuto per presunta “incompetenza” sarebbe una graveomissione di atti di ufficio.

4.1 Il D.M. 28 aprile 2006: riassetto dei comparti di specialità delle forzedi polizia

I medesimi principi illustrati nel paragrafo precedente debbono - naturalmente- essere riferiti anche al D.M. 28 aprile 2006 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 103del 5 maggio 2006), con il quale il Governo ha provveduto a riordinare i compartidi specialità delle varie forze di polizia.

Orbene, va preliminarmente evidenziato proprio come tale decreto non ri-guardi le competenze generali della polizia giudiziaria, ma solo il “riassetto dei com-parti di specialità delle forze di polizia”. Come espressamente è precisato anche neltitolo del decreto tale provvedimento va a disciplinare solo il settore specifico delleattività degli organi di eccellenza specializzati dei vari corpi di polizia (“…consoli-damento dei comparti di specialità delle Forze di polizia a competenza generale…”)e non tutto il campo delle attività di polizia giudiziaria di tutte le forze di polizia;ed infatti nel dispositivo si legge che: “Tanto premesso, si evidenzia che, fermi restandoi compiti di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza che la legge rimette a cia-scuna Forza di polizia ed ai suoi appartenenti, nella ridefinizione dell’assetto deicomparti di specialità delle Forze di polizia a competenza generale e nella connessa indi-viduazione di ulteriori ambiti di intervento rimessi alla competenza esclusiva o prevalente disingole Forze di polizia occorre valorizzare, in coerenza con gli assetti normativi, la presenzadi strutture operative che abbiano sviluppato una particolare qualificazione in specifici ambitidi indagine e si pongano, dunque, come referenti principali per lo svolgimento delle attività dipolizia afferenti a tali specifici settori…”.

Sarebbe, dunque, del tutto illogico ritenere che forze di polizia non citate indetto decreto nella parte della sicurezza ambientale (come Polizie Provinciali, Po-lizie Municipali, Guardiaparco e perfino… Polizia di Stato non possono più ope-rare accertamenti ed indagini per illeciti in materia ambientale! Una limitazione intal senso potrebbe, infatti, essere disposta solo attraverso una modifica al codice diprocedura penale…

Consegue che tutto il discorso che andremo a sviluppare sulle tecni-che di polizia giudiziaria in materia di reati ambientali, a difesa della sa-lute pubblica ed a tutela degli animali in generale interessa potenzialmentenon qualche organo specifico di P.G. ma tutti gli organi di P.G. indiffe-rentemente. Naturalmente per alcuni organi di polizia questo settore sarà priori-tario istituzionalmente, mentre per altri rappresenterà uno dei vari campi dicompetenza generale.Noi riteniamo che oggi, stante la chiarezza solare delle norme procedurali penali,

sostenere teoria opposta, e cioè ritenere che una o più forze di polizia statali o

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locali non abbiano competenza per i reati in materia di ambiente, salutepubblica e tutela degli animali - e quindi indurre uno di tali organi a nonintervenire in caso di tali reati - significa esporre il singolo operatore di po-lizia ad una diretta responsabilità personale in ordine al mancato intervento.E, per essere ancora più chiari, riteniamo che un organo di polizia statale o locale ilquale a fronte di uno specifico reato nei settori sopra citati, deliberatamente per unapresunta “incompetenza” per materia, non agisca al fine di impedire che il reatovenga portato ad ulteriori conseguenze, assicurare le fonti di prova del reato mede-simo ed individuare gli autori per la denuncia alla magistratura, si pone in una posi-zione procedurale e sostanziale di omissione del proprio dovere d’ufficio la cuivalutazione non potrà che essere rimessa al pubblico ministero competente al finedella valutazione del reato di cui all’articolo 328 codice penale.

4.2 Le Polizie provinciali ed i Corpi forestali regionali e la competenza peri reati ambientali Le Polizie provinciali sono una realtà emergente nel contesto delle funzioni

di polizia giudiziaria in materia ambientale. In passato da parte di qualcuno è statamessa in dubbio la (doverosa) competenza per i reati in materia ambientale daparte degli organi di Polizia provinciale. Oggi, per fortuna, queste tendenze in-terpretative sono (quasi) del tutto scomparse e sopite; e dunque nel momento at-tuale forte e sentita è la presenza operativa della Polizia provinciale su tutto ilterritorio nazionale nel contrasto ai reati ambientali; non solo in settori “classici”come l’edilizia abusiva, ma anche verso il campo degli inquinamenti e della tu-tela del territorio in generale. Tuttavia, purtroppo, rimane ancora parzialmenteviva la tendenza interpretativa - sostenuta in alcuni (limitati) settori della pub-blica amministrazione - in base alla quale le Polizie provinciali non avrebberouna specifica competenza riguardo i reati ambientali, con una variante interpre-tativa che - seppur riconosce in via strettamente teoria alle Polizie provincialiquesta competenza - poi di fatto la vanifica con le disposizioni amministrative edorganizzative attraverso le quali di fatto esclude tali organi dalla competenza ope-rativa e reale per tali illeciti, destinando queste forze di polizia ad agire in altri set-tori esclusivi come i compiti di polizia stradale o nelle vesti di moderniguardiacaccia operanti solo nel settore venatorio.

Noi riteniamo che sia le interpretazioni ufficiali sia i provvedimenti di fatto,come sopra citati, siano criticabili sotto il profilo procedurale e sotto il profilo sostan-ziale. Infatti, a nostro modesto avviso, non vi è alcun dubbio che oggi su tutto ilterritorio nazionale le Polizie provinciali hanno competenza diretta ed in-tegrale su tutti i reati ambientali. Non vi sono interpretazioni ermeneutichee strumentali derivanti da presunti principi mal letti in regolamenti o man-sionari che possano escludere tali organi dal sistema procedurale di compe-tenza obbligatoria nel campo penale anche per i reati ambientali.

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§ 15. LA RELAZIONE OPERATIVA TRA P.M. E POLIZIA GIUDIZIARIA

15.1 I primi contatti direttiÈ logico ed intuitivo che la P.G. non può limitarsi ad inoltrare la comunica-

zione di reato al P.M. ed a considerare perciò esaurito il proprio compito.Fino a quando il P.M. non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle

indagini, la P.G. non solo può, ma deve raccogliere ogni elemento utile alla rico-struzione del fatto ed alla individuazione del colpevole, procedendo sia alla ricercae conservazione delle cose e delle tracce pertinenti al reato sia alla ricerca di personein grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (art. 348c.p.p.). In questo contesto investigativo e assicurativo può, tra l’altro, oltre che as-sumere sommarie informazioni dall’«indagato» e da chi è informato sui fatti, ancheprocedere ai necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose quandovi è pericolo che essi si alterino, disperdano o modifichino prima dell’intervento delP.M., procedendo poi, se del caso, a sequestro; e può effettuare perquisizioni per-sonali e locali nella flagranza di un reato ed ancora procedere al sequestro di quantoè pertinente al reato ed è stato rilevato nel corso delle perquisizioni.

La immediata comunicazione della notizia di reato da parte della P.G. pone ilP.M. nella condizione e nella doverosa necessità di intervenire direttamente nelleindagini che egli deve, sotto il profilo funzionale, sollecitare, coordinare, dirigere.Ciò ha comportato un mutamento di ruolo; da organo istruttorio e di decisionequale era in precedenza, il P.M. è divenuto oggi organo di indagine (investiga-zione) e di ricerca ed assicurazione della prova.

È importante sottolineare che spetta alla polizia giudiziaria vigilare sul luogo esulle cose pertinenti al reato fino a che intervenga il P.M. (art. 354, comma 1,c.p.p.). La polizia giudiziaria, cioè, mantiene lo stato di cose rinvenuto ed evitaqualsiasi mutamento in attesa delle direttive del P.M.

Tuttavia se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi del reato si alterino osi disperdano o comunque si modifichino ed il pubblico ministero non può inter-venire prontamente (ipotesi questa più che ordinaria poiché il pubblico ministeronon può intervenire per tutti i casi, ma per questioni di necessità pratiche solo neipiù rilevanti) gli ufficiali di polizia giudiziaria (ma ai sensi dell’art. 113, disp. att.c.p.p. nei casi di particolare urgenza lo stesso potere compete agli agenti di poliziagiudiziaria) compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e dellecose. Di queste attività la polizia giudiziaria redige il verbale (art. 357, comma 2, let-tera e, c.p.p.) delle operazioni compiute. Il verbale potrà essere corredato con fo-tografie, planimetrie e con ogni altro mezzo di riproduzione (anche con ripresevideo). Da tale contesto emerge chiaro il ruolo prioritario e fondamentale degli ac-certamenti della P.G. in relazione agli illeciti in materia ambientale i quali, per forzadi cose, rendono quasi sempre necessari, a causa della loro particolare natura, ac-certamenti e rilievi urgenti nell’immediatezza dei fatti.

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PROBLEMI GENERALI DI PRINCIPIO E DI PROCEDURA

15.2 La sfera di autonomia operativa per la P.G. prevista dal codice diproceduraSi deve sottolineare sul punto che il codice di procedura penale riserva una parte

di disposizioni per il momento operativo (inevitabile) in cui la P.G. può ed anzi deveagire autonomamente e di propria iniziativa nella immediatezza (leggi: flagranza) delfatto perché l’intervento del P.M. è in via logica in tale momento praticamente im-possibile in tempo reale. Naturalmente il codice poi sottopone alla convalida del ma-gistrato penale tutti gli atti più importanti che la P.G. ha realizzato (soprattutto insenso invasivo) in questa area di operatività totalmente autonoma che la stessa P.G.non può esimersi dal valutare come proprio comportamento spesso doveroso.

Certamente la possibilità di procedere all’arresto in flagranza in via auto-noma è il caso più rilevante che conferma quanto sopra esposto. A ben riflettere laprivazione della libertà personale è demandata dall’ordinamento ad un provvedi-mento complesso del magistrato penale, ed anzi dei magistrati penali, atteso chenon è più una iniziativa autonoma neppure per il P.M., ma deve essere adottata dalG.I.P. su richiesta della Procura. Appare dunque ben eccezionale che l’ordinamentopoi consenta in alcuni casi all’organo di P.G. di procedere all’arresto in flagranza (oal fermo di P.G.) in via totalmente autonoma. Ciò significa che quell’area di poteripreliminari e specifici per la polizia giudiziaria è talmente rilevante per l’ordina-mento che giunge fino alla possibilità di derogare al principio sacramentale dellacompetenza dell’autorità giudiziaria per la firma dell’ordine di custodia cautelare.Evidentemente il codice si rende conto, per giungere a tale deroga, che la P.G. inalcuni momenti non può ma deve sostanzialmente procedere anche ad un atto tal-mente grave come quello della privazione della libertà personale anticipando inqualche modo il provvedimento del magistrato. Salva naturalmente poi la conva-lida di quest’ultimo.

Ma in quest’area di autonomia preliminare (squisitamente operativa) si inseri-scono anche altri istituti caratterizzati da una potenziale e spesso doverosa autono-mia della P.G.: tra questi la perquisizione ed il sequestro. Trattasi di atti anch’essidemandati in via ordinaria e di regola al magistrato penale ma, parallelamente al piùgrave istituto dell’arresto in flagranza, l’ordinamento consente in via derogatoriaalla P.G. anche in questi casi di anticipare il provvedimento giurisdizionale operandodirettamente sia la perquisizione che il sequestro.

Diversi organi di P.G. ritengono questa una facoltà totalmente discrezionale,e per tali motivi spesso evitano in particolare di procedere al sequestro sostanzial-mente trasmettendo una informativa al P.M. e di fatto riversando sul suo Ufficiol’eventuale provvedimento successivo. Se ciò è logico e corretto nei casi in cui lemore intercorrenti in tali interlocuzioni non creano danni potenziali, tale prassi ap-pare invece inopportuna e sostanzialmente omissiva laddove il mancato sequestroimmediato ad opera della P.G. può determinare (e spesso determina) danni irrepa-rabili per l’acquisizione della fonte di prova o per la prosecuzione del reato.

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In realtà in alcuni casi il sequestro si appalesa doveroso e il margine di discre-zionalità della P.G. si riduce proporzionalmente in connessione con i pericoli de-rivanti dalla mancata attuazione di tale istituto, soprattutto se è in gioco, oltre alsistema probatorio, anche in modo particolare l’impedire che il reato venga portatoa ulteriori conseguenze (compito primario della polizia giudiziaria).

Si pensi, per citare un esempio limite, all’operatore di polizia che in flagranzadi rapina a mano armata identifica i rapinatori, ma evita di reprimere la rapina e disequestrare le armi ai responsabili. Ciò appare assurdo in via logica. Ma nel campoambientale il parallelo comportamento omissivo è invece spesso sistematico. Certola percezione del danno sociale è diversa, ma la prassi procedurale è identica. E cosìdurante un controllo su strada, ad esempio, a fronte di un carico veicolare di fustidi sostanze non identificate e non in regola con i documenti del trasporto (e, quindi,verosimilmente rifiuti pericolosi che viaggiano verso destinazione ignota) sarebbefortemente omissivo consentire la prosecuzione del viaggio semplicemente identi-ficando autista, ditta ed estremi del veicolo e limitarsi a segnalare il fatto al P.M. ri-chiedendo un provvedimento di sequestro. È anche questo un esempio limite, maaltri casi più “ordinari” non sono di minore pregio valutativo. Non si dimentichiche il dilagare dell’abusivismo edilizio è stato dovuto anche (e forse soprattutto) alfatto che gli organi di vigilanza, dopo aver accertato il cantiere totalmente e pale-semente illecito (magari in area protetta e vincolata), si sono limitati alle identifica-zioni di persone ed alla descrizione delle cose, per poi inviare la comunicazione alpubblico ministero. Evitando di sequestrare immediatamente il cantiere illecito perimpedire la prosecuzione dei lavori. Poiché è noto che tali cantieri sostanzialmenteriescono a concludere i lavori essenziali in pochi giorni, limitarsi a comunicare ilfatto al P.M. auspicando un suo intervento successivo, significa non tener contodelle situazioni reali che in questo caso sono caratterizzate da un lato dai tempi tec-nici occorrenti in queste interlocuzioni tra P.G. e P.M. e dall’altro dalla fulmineavelocità di realizzazione dei lavori illeciti. Poiché i due tempi sono inversamenteproporzionali il risultato pratico di tale prassi è sotto gli occhi di tutti.

15.3 Gli atti tipici di iniziativa della P.G.Nella sfera di operatività immediata ed autonoma della P.G. sopra citata, il co-

dice di procedura penale prevede alcuni atti tipici di iniziativa sul presupposto del-l’urgenza che rende non rinviabile il compimento degli atti stessi. Si tratta deiseguenti adempimenti:- assunzione, sul luogo e nell’immediatezza del fatto, di notizie e indicazioni utiliai fini dell’immediata prosecuzione delle indagini tramite le dichiarazioni della per-sona nei cui confronti vengono svolte le indagini (art. 350, comma 5, c.p.p.);- apertura immediata di plichi o di corrispondenza (art. 353, comma 2, c.p.p.): l’ur-genza è data dalla necessità di acquisire fonti di prova che potrebbero andare dispersea causa del ritardo;

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§17. IL DIVIETO DI LETTURA DEGLI ATTI DI P.G. E LA FUNZIONETESTIMONIALE PERSONALE DELL’OPERATORE DI POLIZIAGIUDIZIARIA DURANTE LA FASE DIBATTIMENTALE INAULA DI UDIENZA

17.1 Il divieto di lettura degli atti di P.G. da parte del teste operatore dipoliziaIn sede di deposizione dibattimentale va sottolineato un punto essenziale.

Anche se questo è un principio poco gradito dagli operatori di polizia ed in genereda loro affatto condiviso. Tuttavia questo concetto è importantissimo e disattenderlopuò causare da un lato importanti vuoti e disguidi in sede di testimonianza duranteil processo e dall’altro conseguenze di anomalie e nullità procedimentali.

L’operatore di polizia giudiziaria non può, in linea di principio gene-rale, rileggere e consultare gli atti da lui redatti in sede di indagine. Si trattadi un concetto fondamentale stabilito in modo chiaro ed inequivocabile dall’arti-colo 514, comma 2, del codice di procedura penale il quale prevede comeprincipio base il divieto in questione. Naturalmente esiste poi una parziale e limi-tata eccezione a questo concetto di fondo laddove sempre il codice di procedura pe-nale nell’articolo 499/5° comma prevede che il giudice può - in casi particolari- autorizzare l’operatore di P.G. testimone in aula a consultare atti da lui redatti inaiuto alla memoria.

Ma va ribadito ed evidenziato che questa è l’eccezione e non può essere tra-dotta in regola. Infatti è logico che in sede di indagini particolari che richiedono ilricordo di un rilevante e complesso insieme di date, cifre e comunque nozioni dicarattere squisitamente formale e mnemonico l’operatore di P.G. non può ricordaretutto a memoria e dunque l’ordinamento gli consente di consultare atti (appunto inaiuto alla memoria).

Ad esempio, nel caso di una complessa indagine per ricettazione e spaccio diun rilevante numero di assegni che ha determinato articolati accertamenti presso di-versi istituti bancari è logico che il teste potrà essere autorizzato a consultare unaparte degli atti per esprimersi su numeri degli assegni, banche, date, nomi e via di-cendo (dati che certamente sarebbe impossibile ricordare a memoria). Nel campospecifico dei reati ambientali l’eccezione può essere, a titolo sempre esemplifica-tivo, attuata a favore dell’operatore di P.G. che abbia svolto particolari indagini peruna violazione di tipo territoriale ed edilizio, laddove sorge la necessità di ricordaree riferire misure, dati, ed altre questioni di accertamento tecnico preciso che a me-moria sarebbe certamente impossibile ricordare.

Ma nel contempo la parte predominante della testimonianza, e cioè quella so-stanziale, deve essere resa in modo genuino e spontaneo senza la possibilità di con-sultare e rileggere gli atti.

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PARTE SECONDA

Aspetti operativi della polizia giudiziaria in ordine ai

reati in materia di ambiente

REATI AMBIENTALI - ASPETTI OPERATIVI DELLA P. G.

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§ 1. LE PERQUISIZIONI NEI REATI AMBIENTALI

1.1 La perquisizione è una procedura pertinente ai reati ambientali ?Come primo approccio, sembrerebbe che la perquisizione è un tema so-

stanzialmente estraneo alla tematica dei reati ambientali. Questo poteva essereparzialmente vero molti anni fa, quando gli illeciti penali in questo settore eranodi modesta entità e circoscritti a violazioni per lo più di tipo formale e logistico.Oggi i reati ambientali sono dilaganti, e spesso assumono i connotati di veri egravi crimini, singoli od organizzati. Ma anche nel livello “ordinario” la dina-mica di tali fattispecie si è notevolmente elevata a livello oggettivo e soggettivo,e sempre più spesso - per quanto possa sembrare strano - la perquisizione è un attoprocedurale necessario ed inevitabile nel settore della repressione dei reati am-bientali. E non solo nel campo - come si potrebbe pensare - delle ecomafie o deicrimini di maggiore livello.

Vediamo infatti, a puro titolo esemplificativo, che anche durante un ordina-rio controllo in materia venatoria si può presentare spesso il ricorso a questo stru-mento operativo, giacché il bracconiere che si rifiuti di esibire il carniere o mostrareil vano portabagagli del veicolo, in condizioni di forte sospetto o certezza di reatinel settore, è soggetto a perquisizione personale o veicolare; altrettanto se i dinie-ghi sono connessi a ricerca di armi o trappole. Nel campo dell’edilizia e dei vin-coli paesaggistici, il rifiuto a consentire l’ingresso nel cantiere per un controllocomporta la necessità di operare tecnicamente una perquisizione per accedere indetta area. Analogamente per il diniego all’ingresso in una azienda per controlloscarichi o rifiuti o in depuratore o discarica. Su strada, ove ne ricorrano i presup-posti, il veicolo che trasporta liquami, rifiuti, materiali sospetti può essere oggettodi perquisizione. Fino ai grandi reati di criminalità organizzata ove tale strumentoè prassi ricorrente.

1.2 La perquisizione come atto invasivo eccezionaleCome criterio generale, dobbiamo tuttavia affermare e ribadire che certamente

la perquisizione è un atto preliminare importante, fortemente invasivo della sferapersonale sia veicolare che di ubicazione di lavoro o domiciliare e, dunque, si trattadi una attività che è riservata in via primaria dalla norma alla decisione ed alla di-sposizione del magistrato penale. Lo stesso magistrato penale per disporre un prov-vedimento specifico di perquisizione, da demandare poi in fase esecutiva alla poliziagiudiziaria, ha naturalmente l’obbligo di motivare in modo compiuto il provvedi-mento stesso che non può quindi essere emesso in modo superficiale e senza al-cuna fondata base di considerazioni giustificative.

Pur tuttavia l’ordinamento giuridico, preso atto che in molte situazioni la po-lizia giudiziaria può trovarsi in casi nei quali le more di attesa conseguenti alla ri-chiesta di intervento del magistrato e all’effettiva redazione del provvedimento

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formale da parte di quest’ultimo potrebbero comportare danni per l’investigazionein atto, consente allo stesso organo di P.G. di operare le perquisizioni di iniziativa,certamente in via derogatoria ed eccezionale rispetto al potere attribuito in lineaordinaria, appunto, al magistrato penale.

Quindi è inevitabile che, se il provvedimento del magistrato penale deve es-sere motivato, l’iniziativa della polizia giudiziaria - che dovrà poi essere ap-punto convalidata dal magistrato penale con funzione anche di retrospettiva - deveessere ancor più motivata di quanto deve esserlo il provvedimento ufficiale edordinario del magistrato penale.

1.3 La perquisizione della P.G. come mezzo di ricerca della prova in rela-zione ad una ipotesi di reatoL’articolo 352 del c.p.p. disciplina i poteri attribuiti alla polizia giudiziaria in

materia di perquisizioni personali e locali. Per quanto riguarda i casi concreti e spe-cifici nei quali l’organo di P.G. è legittimato ad eseguire di iniziativa una perquisi-zione, al di là delle altre formulazioni previste dalla legge che certamente nonriguardano in modo specifico il campo della normativa ambientale (si veda ad esem-pio la ricerca di reati connessi ad armi ed esplosivi, oppure la ricerca di un evaso,oppure al fermo della persona indiziata di delitto, etc.), il caso più logico che possapresentarsi agli investigatori in materia di applicazione della normativa ambientaleè certamente quello della flagranza di reato o della quasi flagranza di reato. Quindisoffermeremo il nostro esame, per restare su un piano pratico e non meramenteteorico, esclusivamente su tale aspetto.

Le perquisizioni derivanti da norme speciali hanno poi la loro apparente di-sciplina specifica, ma in realtà i presupposti di principio generale sono quelli con-nessi alla perquisizione-base prevista dal codice di procedura penale. Nel campo deireati ambientali riteniamo forzata - salvo casi specifici - l’applicazione di dette ul-teriori procedure che spesso vengono poi usate in modo distorto per finalità diverserispetto a quelle (gravi e precise) poste alla base delle singole legislazioni speciali (inparticolare questo concetto vale per la perquisizione finalizzata alla ricerca di reaticonnessi alle armi, che non di rado è oggetto di improprio utilizzo nel contesto dioperazioni entro le quali le armi non c’entrano nulla).

Dunque, il presupposto giuridico di base della perquisizione pretende chel’operatore di P.G., nel momento in cui decide autonomamente, e quindi senzarelazionarsi con il magistrato penale per richiedere specificamente un provvedi-mento che lo abiliti alla possibilità di perquisizione, deve trovarsi di fronte ad unaipotesi di flagranza di reato o comunque di quasi flagranza.

Si deve specificare che non è certamente richiesta la certezza assolutadell’esistenza di un reato. Perché sarebbe una ipotesi inverosimile ed in contra-sto con la realtà oltre che con i principi giuridici (d’altra parte la certezza assolutadel reato si avrà soltanto dopo che la sentenza definitiva sarà passata in giudicato).

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§ 4. L’IMPORTANZA DEL SEQUESTRO NEL CONTESTO DEI REATIIN MATERIA AMBIENTALE

4.1 I due tipi di sequestro previsti dal codice di procedura penaleVa ricordato e premesso che il dovere di sequestro rientra tra gli istituti pri-

mari della polizia giudiziaria la quale, attraverso tale procedura di iniziativa, rag-giunge i due obiettivi primari della sua funzione: la finalità di assicurare le fontidi prova e la finalità di impedire che il reato venga portato ad ulteriori conse-guenze e/o reitarato. In tale contesto esiste proceduralmente una sfera propriaed esclusiva riservata alla P.G. in flagranza di reato che fornisce in questa deli-cata fase un potere speciale all’organo procedente proprio sulla base di vederegarantite le due finalità sopra espresse. Questa sfera procedurale, a nostro avviso,non è opzionale o facoltativa per la P.G. ma è invece doverosa e rituale.

Il codice di procedura penale, in tale contesto e con tali specifiche finalità,prevede due tipi di sequestro ciascuno dei quali è modulato nella forma e nellasostanza a raggiungere i due diversi obiettivi sopra citati.

Il sequestro probatorio, annoverato tra i mezzi di ricerca della prova, èstrettamente collegato alla perquisizione essendone spesso una diretta conse-guenza. L’Autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro delcorpo del reato e delle cose ad esso pertinenti necessarie per l’accertamento deifatti (art. 253 c.p.p.). Laddove non sia possibile l’intervento tempestivo del-l’Autorità giudiziaria è consentito alla polizia giudiziaria sequestrare i medesimibeni prima che essi si disperdano nelle more dell’intervento del Pubblico Mi-nistero (art. 354/II° comma c.p.p.). Dunque, sulla base dell’art. 354 la po-lizia giudiziaria di iniziativa con il sequestro probatorio assicura nelladisponibilità potenziale ed operativa dell’Autorità Giudiziaria il corpo di reatoe le cose pertinenti al reato stesso, sottraendole al possessore, in particolarequando esista il pericolo che tali cose si alterino, si disperdano o comunque simodifichino. Con la specifica finalità di assicurare i sistemi probatori.Qualora la polizia giudiziaria, nel corso delle indagini, dovesse provvedere dipropria iniziativa al sequestro probatorio, il Pubblico Ministero lo dovràconvalidare nelle 48 ore successive (artt. 354 e 355 c.p.p.).

Nel caso in cui abbia proceduto a sequestro probatorio, la polizia giudi-ziaria espone dettagliatamente nel relativo verbale il motivo del provvedimento ene consegna copia alla persona alla quale le cose sono state sequestrate. Il ver-bale è trasmesso senza ritardo, e comunque non oltre le quarantotto ore, alPubblico Ministero del luogo dove il sequestro è stato eseguito. Il PubblicoMinistero, nelle quarantotto ore successive, con decreto motivato convalida ilsequestro se ne ricorrono i presupposti ovvero dispone la restituzione delle cosesequestrate. Copia del decreto di convalida è immediatamente notificata allapersona alla quale le cose sono state sequestrate. Contro il decreto di convalida,

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la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e il suo difensore, non-chè la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe di-ritto alla loro restituzione, possono proporre - entro dieci giorni dalla notificadel decreto ovvero dalla diversa data in cui l’interessato ha avuto conoscenzadell’avvenuto sequestro - richiesta di riesame.

Come prassi, il sequestro probatorio è il tipo di sequestro più utilizzatodalla P.G. essendo la procedura più semplice ed immediatamente accessibile,anche perché può essere eseguito non solo dagli ufficiali ma anche dagliagenti di polizia giudiziaria (sulla base del disposto dell’art. 113 delle di-sposizioni di attuazione del codice procedura penale, che deroga al dispostodell’art. 354 c.p.p il quale cita solo gli ufficiali di P.G.:. “Nei casi di particolare ne-cessità e urgenza, gli atti previsti dagli artt. 352 e 354 commi 2 e 3 del Codice possonoessere compiuti anche dagli agenti di polizia giudiziaria”).

Tuttavia, attenzione: la motivazione è molto importante, perché comesopra accennato questo atto sarà esposto a doppia verifica: la convalidadel P.M. e l’eventuale riesame se il soggetto passivo propone richiestadi riesame contro il decreto di convalida. Questo ci induce a sottolineareche le motivazioni non devono essere scarne e superficiali, ma appro-fondite e ben dettagliate per poter meglio essere valutate nelle due sedi di ri-lettura critica citate. Molti organi di P.G. ritengono che una volta consegnatoil verbale al P.M. hanno concluso il loro operato, ma vediamo invece che que-sto non è vero perché per l’iter di quel verbale, di fatto, inizia proprio in quelmomento la fase più difficile e rischiosa sotto il profilo procedurale… Una scarsaed errata motivazione, trascritta in verbali magari prestampati con poche righedi spazio utile, sarà soggetta a rischio elevato di censura nelle due sedi citate.

Il sequestro probatorio è molto diffuso tra gli operatori di polizia giudiziariaambientale, molti dei quali lo considerano di fatto l’unico sequestro possibile diloro iniziativa… Questo non è condivisibile e rischia di relegare l’attività di se-questro solo a tale ipotesi, che è certamente di minore consistenza, di più dif-ficile dimostrazione come necessità (può essere surrogata da foto, filmati o altridocumenti a livello probatorio…) e di modesto effetto deterrente e repressivo.È invece molto più efficace il sequestro preventivo, che spesso la P.G. ritiene- erratamente - di esclusiva competenza del magistrato. In realtà, anche gli uf-ficiali di P.G. possono - ed anzi devono - eseguire il sequestro preven-tivo di iniziativa quando ne ricorrono le condizioni, e cioè quando ènecessario impedire che il reato venga portato ad ulteriori conseguenze. Esi-genza che - in pratica - è comune a quasi tutti i reati ambientali…

Il sequestro preventivo è infatti atto più significativo (anche se sensi-bilmente più complesso) e di regola di competenza del magistrato penale.Tuttavia, sulla base dell’art. 321, comma 3/bis, c.p.p. la polizia giudiziaria(solo un ufficiale di P.G. e non l’agente) può procedere di iniziativa

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al sequestro preventivo della cosa pertinente al reato quando non èpossibile per motivi di urgenza attendere il provvedimento del ma-gistrato e quando vi è pericolo che la libera disponibilità della stessa possa ag-gravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissionedi altri reati. Tale tipo di sequestro è finalizzato in pratica ad impedireche il reato venga portato ad ulteriori conseguenze, e dunque in defi-nitiva a ben guardare coincide perfettamente con la finalità primaria del-l’operato della polizia giudiziaria. Per tale sequestro procedono solo gliufficiali di polizia giudiziaria (gli agenti di P.G. non possono adottaretale provvedimento), i quali, nelle quarantotto ore successive, trasmettonoil verbale al pubblico ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito.Questi, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, richiede al giu-dice per le indagini preliminari la convalida e l’emissione del decreto conse-guente. Naturalmente anche in questo caso sono previste le procedure diriesame attuabili dal soggetto passivo e dunque - a maggior ragione - valgonole argomentazioni sopra esposte in ordine alla necessità di una motiva-zione dettagliata e precisa nel relativo verbale.

È dunque pacifico che la P.G. può (ed anzi, a nostro avviso, deve)eseguire, di iniziativa, i due tipi di sequestro.

Nel campo degli illeciti ambientali, ed in modo particolare nel settore dellanormativa in materia di inquinamento, le funzioni della P.G. di impedire che i reativengano portati a conseguenze ulteriori hanno un rilievo prioritario. Infatti il semplicelimitarsi a comunicare la notizia di reato al P.M. senza adoperarsi per stroncarela prosecuzione del reato stesso non corrisponde ad un corretto comportamentoapplicativo della norma perché la situazione antigiuridica, oltre che continuarea restare in essere, genera poi danni spesso irreversibili. Si pensi, ad esempio, adun veicolo fermato su strada mentre trasporta in modo irregolare un carico dirifiuti pericolosi (ad esempio con quantità, qualità e/o destinazione ignota); ilsemplice inoltro della comunicazione di notizia di reato al P.M. ha come con-seguenza di fatto la libertà per il titolare del trasporto e per il committente diportare a termine lo smaltimento illegale dei rifiuti stessi.

Quando si giungerà al dibattimento, per forza di cose, i rifiuti saranno ve-rosimilmente scomparsi o smaltiti in modo fraudolento o mascherato; ed allorail danno verso l’ambiente (che la norma si preoccupava in fin dei conti di evi-tare) sarà irreparabile.

Un sequestro del mezzo e del carico eseguito dalla P.G. già al momentodel controllo su strada consente, invece, di congelare la situazione e di evitareulteriori sbocchi illeciti irreversibili nelle more del processo. Oltre che di ap-profondire tutti gli aspetti probatori del caso. Pertanto il sequestro, al di là deifini formali probatori, può essere eseguito in senso più lato dalla P.G. ancheper impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori.

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REATI AMBIENTALI - ASPETTI OPERATIVI DELLA P. G.

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SCHEMA DI COMUNICAZIONE GENERICA DI NOTIZIA DI REATO

Indicazione Organo operante

Al signor Procuratore della Repubblica di....................................

OGGETTO: comunicazione di notizia di reato ex art. 347 C.P.P. per violazione a....…………………………

……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

Lo scrivente ufficiale/agente di P.G..................................... in servizio presso.................................... comunica di aver ac-quisito (o ricevuto), alle ore.................................... del giorno.................................... la seguente notizia direato:..................................................................................................... Ha svolto conseguentemente gli accertamenti di rito ed ha rilevato quantosegue:.………………………………………………………………………………………………………................................... (esporre i fatti in modo dettagliato edinquadrandoli puntualmente nella loro dinamica, nei presupposti, nelle conseguenze e nel teatro di svolgimento).

Oppure:

Comunica che alle ore.................................... del giorno.................................... ha rilevato di iniziativa i seguentifatti.………………………………………………………………………………………………………................................... (esporre i fatti in modo dettagliato edinquadrandoli puntualmente nella loro dinamica, nei presupposti, nelle conseguenze e nel teatro di svolgi-mento).

Comunica inoltre che in seguito all’accertamento della fattispecie illecita sopra esposta è stata in-dividuata come persona nei confronti della quale vengono svolte leindagini...............................................................................................……………............. (oppure: non sono emerse indicazioni atte ad in-dividuare l’autore del fatto).

La parte lesa della fattispecie illecita sopra esposta va individuata in.................………………………………………...................

Al fine di acquisire ulteriori elementi probatori utili per la ricostruzione dell’accaduto, si precisa cheelementi rilevanti potranno essere riferiti dalle seguenti persone...................................……………………………………………………… ( nel caso in cui non esista parte offesa oppure non sia stata ancoraidentificata e nel caso in cui non siano stati individuati testimoni relativamente ai fatti, darne atto espressamente).

Eventualmente: Sono stati eseguiti rilievi fotografici (e/o filmati e/o documentali) raccolti in specificofascicolo che viene trasmesso in allegato integrativo. Trasmette in allegato separato gli atti conseguenti l’attività svolta, significando che si resta in attesadi disposizioni operative nelle more delle quali si vaglieranno eventuali elementi che dovesserosuccessivamente emergere, con contestuale immediata informativa per codesta Procura.

Luogo e data FIRMA

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IL CONTROLLO IN MATERIA DI RIFIUTI

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PARTE TERZA

Spunti per procedure di controlloin tema di normativa sui rifiuti

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§ 3. IL CONFINE TRA “ACQUE DI SCARICO” E “RIFIUTI LIQUIDI”:ASPETTO DI ESTREMA RILEVANZA IN SEDE APPLICATIVA

3.1 Acque di scarico e rifiuti allo stato liquido: dov’è il confine? Quali norme si applicano ai liquami aziendali in vasca anche in sededi trasporto?Il confine tra “acque di scarico” e “rifiuti liquidi” è fonte molto spesso di

equivoci interpretativi ed applicativi da parte di molti organi di P.G., pur es-sendo campo di gravissime illegalità. Vale dunque la pena tracciare qualche notadi chiarimento in merito a fini sostanziali e procedurali. Soprattutto perché chidelinque con i liquami tende a spacciare la propria attività come “scarico” perrientrare nelle sanzioni della parte terza del T.U. ambientale che sono molto piùmodeste di quelle contenute invece nella parte quarta che riguarda i rifiuti ancheliquidi. La parte terza è infatti sostanzialmente depenalizzata o microcrimina-lizzata, prevede regole di sola forma e di scarsa sostanza, è limitata da procedureper il controllo, prelievo ed analisi estremamente complesse che rendono spessovani gli accertamenti della P.G..

Per questi motivi la tendenza di chi smaltisce rifiuti liquidi, anche perico-losi, è quella di ingannare a livello giuridico e sostanziale l’organo di controlloper indurlo ad operare entro il contesto molto più blando a livello regolamen-tativo e soprattutto sanzionatorio delle norme sugli scarichi anziché in quelle deirifiuti liquidi. Ecco dunque che percepire bene gli esatti parametri di questoconfine tra le due parti del T.U. ambientale è straordinariamente importante pergli organi di polizia giudiziaria.

La parte quarta del D.Lgs. n. 152/2006 rappresenta la legge-quadro in ma-teria di inquinamento e disciplina tutti i rifiuti solidi e liquidi, mentre sonoestranei dal suo campo di applicazione le acque di scarico (cfr. articolo 185,comma 2, lett. a, dopo modifiche del D.Lgs. n. 205/2010). Poiché lo scaricodelle acque reflue è disciplinato ora dalla parte terza dello stesso D.Lgs 152/2006(mentre prima era disciplinato dal decreto legislativo 152/1999 e prima ancoradalla “Legge Merli”), le disposizioni sui rifiuti dettate dal T.U. ambientale tro-veranno applicazione solo per la parte che il sistema della parte terza del D. Lgs.152/2006 in materia di scarichi e tutela acque non regolamenta. Quindi: laparte quarta del D.Lgs. 152/2006 disciplina i rifiuti allo stato liquido, mentrela parte terza dello stesso decreto disciplina le acque di scarico.

Il criterio interpretativo fondamentale per l’applicazione della normativasui rifiuti risiede nel fatto che la parte quarta del D.Lgs. 152/2006 disciplina tuttele singole operazioni di gestione (ad esempio: conferimento, raccolta, trasporto,ammasso, stoccaggio, etc.) dei rifiuti prodotti da terzi, siano essi solidi o liquidi,fangosi o sotto forma di liquami. Restano escluse quelle fasi, concernenti rifiutiliquidi (o assimilabili), relative allo scarico e riconducibili alla disciplina stabilita

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IL CONTROLLO IN MATERIA DI RIFIUTI

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dalla norma specifica sugli scarichi. Ne consegue che la disciplina degli impiantidi trattamento dei rifiuti liquidi in conto terzi e relative ulteriori operazioni, chepresuppongono il trasporto non canalizzato delle acque di processo, ricade sottola normativa della parte quarta del D.Lgs 152/2006, mentre le operazioni con-nesse allo scarico delle acque, cioè all’immissione diretta e al trattamento pre-ventivo delle stesse, poste in essere dallo stesso titolare dello scarico, sottostannoalla disciplina sulle acque.

Dunque lo “scarico” previsto dalla parte del T.U. ambientale sulle acqueappare come una deroga al concetto generale di rifiuto liquido. La costruzionedi geografia politica e giuridica del settore presenta il rifiuto liquido della partequarta del D. Lgs. 152/2006 come categoria generale di base; le acque di sca-rico, provenienti solo dallo “scarico”, costituiscono una specie di sottocatego-ria particolare che esula dal campo regolamentativo delle disposizioni sui rifiuti.Pur tuttavia ove tale scarico cessi di essere diretto (e cioè venga spezzata la lineadi riversamento immediato tra ciclo produttivo e corpo ricettore) e venga diconseguenza realizzato uno scarico in vasca o comunque con trasporto altrovedei liquami in via mediata ed indiretta, tale interruzione funzionale del nesso dicollegamento diretto ciclo produttivo/corpo ricettore trasforma automatica-mente il liquame di scarico in un ordinario rifiuto liquido. Non avremmo piùuno “scarico”, non si avrà dunque più di conseguenza la deroga sopra espressae la disciplina torna automaticamente nel contesto generale della parte sui rifiutidel D. Lgs. 152/2006.

Ciò che rileva ai fini dell’individuazione della disciplina da applicare nonè dunque lo stato fisico della sostanza (liquidità), bensì l’immissione diretta omeno in un corpo ricettore e, in questo secondo caso, se trattasi di “rifiuto li-quido” o di “acqua reflua”. La linea di demarcazione tra l’una e l’altra disciplinaè che le disposizioni sui rifiuti disciplinano tutte le fasi di gestione del “rifiutoliquido” dalla sua produzione fino allo smaltimento presso un impianto di trat-tamento specifico per rifiuti (regola base) o, in deroga di eccezione ma in re-altà di prassi quotidiana comune, in un impianto di depurazione pubblica nelrispetto delle condizioni di cui all’art. 110, commi 1 o 2, D.Lgs 152/2006. Laparte terza del D. Lgs. 152/2006 disciplina le operazioni connesse allo scaricodi acque reflue canalizzate o convogliate (immissione diretta) e alla loro depu-razione preventiva, posta in essere dallo stesso titolare dello scarico.

La Corte di Cassazione (Sezione III penale, sentenza dep. 3 agosto 1999n. 2358 - Pres. Tonini) precisa che: « prendendo atto della coincidenza parziale traacque di scarico e rifiuti liquidi » si deve assumere « come unico criterio di discriminetra le due discipline, non già la differenza della sostanza, bensì la diversa fase del pro-cesso di trattamento della sostanza, riservando alla disciplina della tutela delle acque solola fase dello “scarico”, cioè quella della immissione diretta nel corpo ricettore. ». Massimavalida oggi anche in vigenza del T.U. ambientale.

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Ancora molto significativa la seguente pronuncia della SupremaCorte:“…sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido, soggetti alla disciplina dell’art. 256D.Lgs. n. 152 del 2006, i reflui stoccati in attesa di un successivo smaltimento, fuori delcaso delle acque di scarico, ovvero di quelle oggetto di diretta immissione nel suolo, nel sot-tosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento(Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009 Rv. 244783) e che l’interruzione funzionale delnesso di collegamento diretto fra la fonte di produzione del liquame ed il corpo ricettore de-termina la trasformazione del liquame di scarico in un ordinario rifiuto liquido (…)”(Corte di Cassazione Penale, sezione III, sentenza del 10 giugno 2010, n. 22036).Più di recente si segnala: « Secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte i ri-fiuti allo stato liquido sono costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfi senza ver-samento diretto, avviandoli allo smaltimento, trattamento o depurazione, a mezzo ditrasporto, in quanto a differenza degli scarichi di reflui liquidi, non vengono convogliatiin via diretta in corpi idrici ricettori; di conseguenza lo smaltimento di tali rifiuti deve es-sere autorizzato, anche se il produttore intende destinarli al recupero (cfr. ex multis Cass.pen. Sez. 3 n. 20679 dell’11.3.2004)…il discrimine tra applicabilità della disciplinain materia di tutela delle acque e quella in materia di rifiuti è rappresentato dal fatto chele acque reflue siano o meno convogliate senza soluzione di continuità nel suolo, nel sot-tosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento( cfr. Cass. Sez. 3 n. 22036 del 13.4.2010). Sicché, come ribadito anche di recente,sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido, soggetti alla disciplina dell’art. 256 delD.L.vo n.152 del 2006, gli effluenti di bestiame che, in luogo di defluire direttamentenelle condotte di scarico, siano raccolti in apposite vasche a tempo indeterminato (cfr. Cass.pen. Sez. 3 n.15652 del 16.3.2001) » (Corte di Cassazione Penale, sezione III,sentenza del 20 dicembre 2012, n. 49454).

Di conseguenza, un’azienda solo se opera uno scarico “diretto” - e cioè ef-fettua il versamento del liquame direttamente dal ciclo produttivo verso il corporicettore - resta soggetta unicamente alla disciplina dettata dalla parte terza delD.Lgs. n. 152/2006, in quanto tale disciplina codifica e regolamenta in modospecifico tale tipo di scarico. Ed ancora: il sistema di tracciabilità dei rifiuti è ne-cessario per il trasporto di rifiuti liquidi di acque reflue da un’azienda produttriceverso l’impianto di trattamento finale. Questo, in coerenza con il principio che lovede trasportare puramente e semplicemente un ordinario rifiuto liquido discipli-nato dalla parte quarta del D. Lgs. n. 152/06, classificabile come “rifiuto liquidocostituito da acque reflue”. La tracciabilità formale è, infatti, un elemento essenzialeper il viaggio la cui omissione o alterazione fraudolenta costituisce illecito, ed in casodi rifiuti pericolosi, grave reato con sequestro immediato del mezzo e confisca defi-nitiva dello stesso.

Nondimeno va anche sottolineato che, in caso di trasporto sistematico dirifiuti liquidi non pericolosi senza formulario, la reiterazione del trasporto ille-cito - al di là delle singole sanzioni amministrative specifiche contestate di volta

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AGGIORNAMENTO DELLA PARTE TERZA - CAPITOLO 12- PARAGRAFI 12.2 e 12.6

§ 12. LA NUOVA DISCIPLINA IN MATERIA DI TERRE E ROCCEDA SCAVO DELINEATA DAL D.M. 10 AGOSTO 2012 N. 161(dopo le modifiche apportate dal D.L. n. 69/2013 coordinato conle innovazioni recate dalla legge di conversione n. 98/2013)

Contributo a cura della Dott.ssa Valentina Vattani

In fase di conversione del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69 (c.d. Decreto del Fare)è stata operata una ulteriore ed importante modifica al regime delle terre e rocce da scavo, me-diante la quale il nostro legislatore ha così tentato di definire e delineare un quadro stabile- seppur articolato - della materia in oggetto.

La legge 9 agosto 2013 n. 98 (pubblicata in G.U. n. 194 del 20 agosto 2013– Suppl. Ordinario n. 63) ha introdotto un nuovo art. 41 bis nel contesto del D.L.n. 69/2013, che pone “Ulteriori disposizioni in materia di terre e rocce da scavo”.

A seguito, dunque, di tali novità - intervenute dopo la pubblicazione di que-sta edizione del manuale - si riportano gli aggiornamenti ai paragrafi del presentecapitolo che sono stati interessati dalle modifiche normative.

***12.2 Le ipotesi in cui i materiali da scavo NON derivano da attività o

opere soggette a valutazione d’impatto ambientale o ad autorizza-zione integrata ambientale Al di fuori delle fattispecie disciplinate dal D.M. 161/2012, i materiali da

scavo che NON provengono da attività o opere soggette a valutazione d’im-patto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale, trovano una lorospecifica disciplina di deroga al regime dei rifiuti.

Ricordiamo come il D.Lgs. n. 152/06 all’art. 185, comma 4, per principiogenerale già prevede che: “Il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo statonaturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, devono essere valu-tati ai sensi, nell’ordine, degli articoli 183, comma 1, lettera a), 184-bis e 184-ter”.

Inoltre, di recente è intervenuta una norma interpretativa posta dall’art. 3del decreto legge 25 gennaio 2012, n. 2, in forza della quale si è stabilito che il“suolo” oggetto delle ipotesi di esclusione dalla disciplina sui rifiuti dettate dal-l’art. 185 D.Lgs. n. 152/06 comprende anche le matrici materiali di riporto:“Ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al

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“suolo” contenuti all’articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto dicui all’allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo”.

L’art. 41 del D.L. n. 69/2013 ha, poi, aggiunto alla disposizione di cuisopra un nuovo periodo, con il quale si è andato ha precisare anche la naturadi tali matrici materiali di riporto ai fini della stessa disposizione; dunque, essesono “costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, qualiresidui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un oriz-zonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafi-che naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazionedi riempimenti, di rilevati e di reinterri”

Tuttavia, ai sensi dei nuovi commi 2, 3 e 3bis dell’art.3 del D.L. n. 2/2012,per accedere alle ipotesi di esclusione previste dall’art.185 D.Lgs. n. 152/06 lematrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effet-tuato sui materiali granulari per escludere rischi di contaminazione delle acquesotterranee e, ove conformi ai limiti del test di cessione, devono rispettarequanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti conta-minati. Le matrici materiali di riporto che sono risultate non conformi ai limitidel test di cessione sono considerate fonti di contaminazione e come tali devonoessere rimosse o devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tra-mite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti o devono esseresottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche di-sponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l’area secondo la de-stinazione urbanistica senza rischi per la salute. Gli oneri derivanti da tali attivitàsono posti tutti a carico dei richiedenti delle verifiche.

Il legislatore - in sede di conversione del decreto legge n. 69/2013 - hasostanzialmente confermato l’iniziale lettura che vedeva per i materiali da scavo,nei casi non rientranti nell’ambito della disciplina posta dal D.M. 161/2012, lapossibilità di poter richiamare - qualora ne ricorrano le condizioni - il regimedei sottoprodotti ex art. 184bis D.Lgs. n. 152/06.

Il nuovo art. 41bis del D.L. n. 69/2013 (introdotto in sede di conver-sione), dispone infatti che - in deroga a quanto previsto dal D.M. 161/2012 -i materiali da scavo prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in basealle norme vigenti, sono sottoposti al regime dei sottoprodotti di cui all’art.184-bis D.Lgs. n. 152/06 se il produttore dimostra che vengono soddisfatte leseguenti condizioni:

a) che è certa la destinazione all’utilizzo direttamente presso uno o più siti o cicliproduttivi determinati; (siti di destinazione o cicli produttivi che, pertanto, an-dranno chiaramente indicati all’atto della richiesta di utilizzo del materiale dascavo in regime di sottoprodotto)

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IL CONTROLLO IN MATERIA DI RIFIUTI

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§ 13. BRUCIARE RIFIUTI: UNA ILLEGALITÀ DIVENTATA PRASSI DIFFUSA E TOLLERATA

13.1 I roghi tossici sui cumuli di rifiuti abbandonati. Ma quali reatiintegrano questi episodi criminali? In diverse zone d’Italia è ancora in atto il micidiale sistema di dare fuoco

a cumuli di rifiuti di vario tipo abbandonati in campagna o sui bordi delle stradeanche dentro o vicino alle città. Producendo un inquinamento reiterato, siste-matico e dannosissimo per la salute pubblica.

Dobbiamo considerare che - certamente - quando si nota uno di questifuochi, il primo atto da fare è quello di telefonare ai Vigili del Fuoco per chie-dere l’immediato spegnimento (atto logicamente doveroso).

Inoltre, partiamo dal presupposto che questi cumuli di rifiuti abbandonatisono comunque un fenomeno di illegalità diffusa che costituisce paleseviolazione entro la parte quarta del Testo Unico ambientale (D.Lgs n.152/06) in quanto si tratta di rifiuti comunque abbandonati. Siano essi rifiutiurbani, artigianali o industriali (pericolosi o non pericolosi), si tratta comunquenei casi anche minimi di depositi incontrollati di rifiuti riversati sul territo-rio. Nei casi di maggiore gravità, come vedremo tra breve, si può ipotizzareanche una discarica abusiva.

In ogni caso si tratta di violazioni rilevanti sotto il profilo penale.Dunque quando notiamo dei cumuli di rifiuti abbandonati in questo senso, giàci troviamo di fronte ad una palese violazione, penalmente rilevante, nel con-testo della parte quarta del T.U. ambientale. Ma nel momento in cui notiamoche il cumulo di rifiuti ha preso fuoco, non vi è dubbio che qualcuno, in mododoloso, ha attivato uno smaltimento illegale di tali rifiuti mediante ince-nerimento a terra. Va ricordato che l’incenerimento a terra è proprio ancheformalmente una operazione di smaltimento di rifiuti, e che per essere attuatadeve essere soggetta ad autorizzazioni ed all’uso di regolari impiantistiche rituali.Chiunque esegue un incenerimento a terra dando fuoco ad un cumulo di ri-fiuti, già peraltro in se stesso abusivo, integra certamente il reato grave dismaltimento dei rifiuti appunto mediante incenerimento; reato che èdi competenza obbligatoria e diretta di tutta la polizia giudiziaria(comprese logicamente le pattuglie in servizio ordinario che transitanoanche per altri motivi nell’area e notano il rogo).

Quindi, quando un operatore di P.G. nota un fuoco appiccato su un cu-mulo di rifiuti abbandonati (deposito incontrollato verosimilmente, ma anchediscarica abusiva nei casi più rilevanti) deve obbligatoriamente esercitare l’in-tervento di rito in quanto, oltre alla competenza specifica dei Vigili delFuoco per spegnere il rogo, scattano precisi reati in materia di viola-zione della parte quarta del T.U. ambientale. È dunque doveroso impe-

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IL CONTROLLO IN MATERIA DI RIFIUTI

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dire che i reati in fragranza (in atto di esecuzione) vengano portati adulteriori conseguenze. In questo senso, e con questa finalità, riteniamo chedopo l’operazione di spegnimento effettuata dai Vigili del Fuoco, le indaginidella P.G. da un lato potranno utilmente apportare eventualmente elementiproficui per individuare presunti responsabili, ma consentiranno certamentealla polizia giudiziaria di procedere di iniziativa a sequestro preven-tivo dell’area oggetto dei gravi reati in questione con il fine specificodi impedire che i reati stessi vengano ulteriormente protratti o, peggioancora, reiterati da terzi. In questo modo l’area viene “sigillata” e chiunque sirecherà nello stesso sito per riproporre nuovamente l’appiccamento del fuoconon solo andrà incontro ai reati del T.U. ambientale (parte quarta), ma ancheal più grave reato di violazione dei sigilli apposti - appunto - dalla po-lizia giudiziaria in sede di sequestro preventivo.

Questo quando si tratta di cumuli isolati e puntiformi di rifiuti sparsi sulterritorio. Ma va anche considerato che laddove un’area venga sostanzial-mente sottoposta a degrado permanente e definitivo, con profonda e ra-dicale modifica della fisionomia dell’area medesima, e quindi destinata di fattoa essere ricettacolo di continui riversamenti di rifiuti da parte di soggetticon fenomeni che si ripetono sistematicamente nel tempo, tale areapuò essere agevolmente e correttamente qualificata come discaricaabusiva di rifiuti. E questo indipendentemente dalla quantità, qualità e naturadei rifiuti in essa riversati. Questo a maggior ragione se - poi - in quest’area irifiuti vengono dati sistematicamente anche alle fiamme e quindi smaltiti in talsenso. Allora in questi casi specifici una qualsiasi forza di polizia statale olocale può operare in via preventiva il sequestro dell’area per impedireche i reati medesimi (discarica abusiva e smaltimento illegale tramiteincenerimento a terra), vengano portati a ulteriori conseguenze.

L’esigenza del sequestro preventivo sarà a maggior ragione supportata daun grave pericolo per la salute pubblica ed alla necessità di impedire la reitera-zione di questo ulteriore reato di smaltimento mediante incenerimento a terra.La conseguenza pratica può essere significativa, perché una volta sottopostal’area di discarica a sequestro preventivo, qualunque soggetto (anche unprivato) che vada a rinnovare un’attività di versamento (anche minimo) di ri-fiuti in detta area, o - peggio - per dargli fuoco, non soltanto andrà anchein questo caso ad integrare i reati specifici della parte quarta del T.U.ambientale, ma andrà in primo luogo ad essere esposto al più gravereato di violazione dei sigilli che potrà portarlo a conseguenze estre-mamente dure rispetto alla sua responsabilità personale (art. 349 codicepenale primo comma: pena da sei mesi a tre anni di reclusione). Neicasi più gravi il fatto e l’ubicazione del sito oggetto di riversamento rifiuti e falòconnessi può anche essere segnalato alla Prefettura per quanto di competenza.

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TECNICA DI POLIZIA GIUDIZIARIA AMBIENTALE

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Infine, va tracciata una riflessione sulla natura di queste fiamme. Perchèsecondo le modalità del fatto, la capacità e potenzialità distruttiva e devastantedelle fiamme, l’ubicazione, e una serie di altri elementi (che possono incideresulla durata e le potenzialità del fuoco medesimo), non vi è dubbio che talifalò possono integrare anche il reato di incendio previsto dall’articolo423 o il reato di danneggiamento seguito da incendio visto l’articolo424 del codice penale. Si tratta di reati gravissimi (art. 423: pena da tre a setteanni di reclusione con arresto obbligatorio in flagranza di reato e fermoconsentito negli altri casi di mancata flagranza; art. 424 pena: da sei mesi a dueanni di reclusione) che vanno a sommarsi in concorso con tutti gli altri reatiche abbiamo visto fino a questo punto.

È logico – poi – che se da tali falò appiccati a cumuli di rifiuti, laddove ilcumulo medesimo sia dentro o vicino ad un bosco, qualora tale fatto deter-mini poi anche un incendio dell’area boscata, il responsabile risponderàanche del reato di incendio boschivo (art. 423/bis codice penale) a titolo– a nostro avviso – di dolo eventuale e non certo di mera colpa.

Infine, andiamo a esaminare la natura delle emissioni inquinanti che de-terminano tali roghi. Dato che questi fuochi sono spesso alimentati da rifiuti ar-tigianali o industriali spesso pericolosi, rifiuti anche plastici e comunque di varianatura aziendale, non vi è dubbio che tali emissioni contengono diossinee comunque altri elementi inquinanti incontrollabili pericolosissimi edannosissimi per la salute pubblica. Consegue - a nostro modesto avviso - chenon c’è alcun dubbio che ognuno di questi falò, dal più piccolo al più grande,oltre a tutti i reati che abbiamo sopra identificato, va poi a reintegrareautomaticamente anche il reato di cui all’articolo 674 del codice pe-nale. Reato che la giurisprudenza in questi anni ha forzatamente applicatoanche nel campo degli inquinamenti dell’aria, creando un ulteriore “reato sa-tellite©” che va ad aggiungersi alla nutrita serie di illeciti penali che la Cassazioneha progressivamente nel tempo accreditato anche in vista delle emergenti esi-genze per la tutela dell’ambiente e della salute pubblica.

Va sottolineato che si tratta di un reato di pericolo e non di danno, il chesignifica a livello pratico che non è necessario che i cittadini subiscano un dannodiretto tossicologico o patologico, e dunque di livello fisico, da tali emissioni,ma basta semplicemente che l’organo di vigilanza attraverso un sistema proba-torio minimale (accertamenti diretti, testimonianze, fotografie, filmati o altro)vada a documentare che quel tipo di emissione era pienamente idonea arecare danno a un numero indeterminato di persone, anche se questonumero indeterminato di persone non ha presentato a sua volta una denunciao non si è lamentato del fatto.

Ma quale “danno” richiede questa norma specifica? Non richiede né undanno tossicologico né un danno di avvelenamento delle persone, ma addirit-

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IL CONTROLLO IN MATERIA DI RIFIUTI

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SCHEMA DI COMUNICAZIONE DI NOTIZIA DI REATOPER GESTIONE DI RIFIUTI NON AUTORIZZATA

Indicazione Organo operante

Al Sig. Procuratore della Repubblica di................………………….................

OGGETTO: Comunicazione di notizia di reato a norma dell’art. 347 C.P.P. per violazionedell’art. 256 decreto legislativo n. 152/2006

Il sottoscritto................…………………................. in servizio presso................………….............. segnala quanto segue.Con intervento in loco in data...........………................. in località................…………………................. del Comunedi................…………………................. è stata accertata una attività di gestione di rifiuti non autorizzata. In particolare è stato rilevato che................…………………................. (descrivere dettagliatamente la tipologia diattività riscontrata, il tipo di rifiuti presenti - specificando in modo espresso se trattasi di rifiuti pericolosi omeno - e le conseguenze sul territorio ed ogni altro elemento utile).

Trattasi dunque di attività di................…………………................…………………………………………………………………….

(dopo aver descritto nel punto precedente gli aspetti oggettivi dei fatti riscontrati, appare ora determinantegiungere alla classificazione ed inquadramento giuridico dei fatti stessi nel contesto della disciplina sanzio-natoria della norma di settore; specificare dunque con esattezza il tipo di fattispecie e precisamente se trat-tasi di una attività di raccolta e/o trasporto e/o recupero e/o smaltimento e/o commercio ed intermediazionedi rifiuti prodotti da terzi in mancanza della prescritta autorizzazione e/o iscrizione o comunicazione dicui agli artt. 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 del decreto).È stata integrata dunque la violazione di cui all’art. 256/1° comma decreto legislativo n. 152del 03/04/2006 (N.B. ipotesi A per rifiuti non pericolosi; ipotesi B per rifiuti pericolosi)

In alternativa:

Si tratta dunque di un abbandono (o depositano in modo incontrollato) da parte di impresa (odente) in ordine ai propri rifiuti sul suolo (o nel sottosuolo) in violazione del divieto di cui al-l’art. 192, comma 1 del decreto in epigrafe indicato in quanto................………………….................

È stata integrata pertanto la violazione di cui all’art. 256/2° comma/prima parte/prima ipotesidecreto legislativo n. 152 del 03/04/2006

In alternativa:

Si tratta dunque di una immissione da parte di impresa (od ente) in ordine ai propri rifiuti nelleacque superficiali (o sotterranee) in violazione del divieto di cui all’art. 192, comma 2 del de-creto in epigrafe indicato in quanto........…………………………………………………………………………………………………………………………………………………...................

È stata integrata pertanto la violazione di cui all’art. 256/2° comma/prima parte/seconda ipo-tesi decreto legislativo n. 152 del 03/04/2006

In alternativa:

Si tratta dunque di attività di gestione da parte di impresa (od ente) dei propri rifiuti senza leprescritte autorizzazioni, iscrizioni o comunicazioni di cui agli artt. 208, 209, 210, 211, 212,214, 215 e 216 in quanto............................. È stata integrata pertanto la violazione di cui all’art.256/2° comma/seconda parte decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006.

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IL CONTROLLO IN MATERIA DI RIFIUTI

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(N.B. Ove le violazioni predette siano riconducibili a più modeste ipotesi di inosservanza delle prescrizionicontenute o richiamate nelle ipotesi di inosservanza dei requisiti e delle condizioni richieste dalle iscrizionio comunicazioni, precisare il punto in modo chiaro ed espresso perché in tal caso sarà applicabile comun-que, in sede dibattimentale, il quarto comma dell’art. 256 che prevede una pena minore).

In alternativa:

Si tratta dunque di attività non consentita di miscelazione di rifiuti (ovvero non si è provve-duto alla separazione dei rifiuti miscelati) in violazione del divieto di cui all’art. 187 decreto le-gislativo n. 152 del 3 aprile 2006 in quanto.......…………………………………………………………………......................

È stata integrata pertanto la violazione di cui all’art. 256, comma 5, citato decreto.

(Eventualmente: Va precisato che l’area in questione è soggetta al vincolo paesaggistico previstodal T.U. del D.lgs n. 42/04 perché..................……………………………………...........).Come primo intervento di P.G., sono stati eseguiti rilievi fotografici di tutta l’area interessataal fenomeno (eventualmente: e sono stati eseguiti prelievi di campioni dei rifiuti al fine di veri-ficare, al di là degli aspetti estetico-visivi la loro esatta natura). I risultati definitivi (dei quali si allega documentazione) hanno attestato che trattasi di rifiuti deltipo.............…………………………………………….................

(Eventualmente: Per procedere alle operazioni tecniche di prelievo si nominava ai sensi dell’art.348/4° comma, C.P.P. ausiliario di P.G. il sig..............……………………………………………................ che rive-ste la qualifica di.............……………………………………………................ ed era dunque persona idonea per svol-gere le citate operazioni; si allega copia del verbale di nomina relativo)

Il responsabile legale dell’azienda (o dell’ente) è stato individuato in.............………………………………….

- indicare generalità complete - in quanto risulta rivestire la qualifica di...........………………………………

Si allega copia della visura camerale inerente la ditta acquisita presso la locale Camera di Com-mercio a conferma della indicata qualifica alla data dei fatti oggetto di accertamento.Eventualmente: Il predetto responsabile legale risulta aver delegato per lo specifico settore ilsig..............……………………………………………................ (indicare generalità complete) con indicazione specificacontenuta in.............……………………………………………................ (specificare con precisione l’atto dal quale risultala delega); si allega copia dell’atto in questione. Si evidenzia che il predetto dipendente rivestequalifica di.............……………………………………………................ e svolge funzioni di.............………………………………

A livello soggettivo, si evidenzia che sussiste comportamento attivo (o deliberatamente omis-sivo) da parte del titolare dell’area così come sopra indicato (oppure: da parte del dipendente de-legato) in quanto ………………………………………………………………………………………………………………………...................

(trattasi di punto importantissimo: descrivere dettagliatamente ogni attività omessa, dovere non ottempe-rato, imperizia e negligenza adottata, omissione operativa attuata).Si allegano i documenti sopra indicati, mentre come atto autonomo e separato dalla presentecomunicazione si trasmette a parte un fascicolo fotografico contenente le immagini realizzatenonché i verbali di prelievo ed i referti delle analisi.

Luogo e data FIRMA

pag. 486

TECNICA DI POLIZIA GIUDIZIARIA AMBIENTALE

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PARTE QUARTA

Spunti per procedure di controlloin tema di normativa

sull’inquinamento idrico

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IL CONTROLLO IN MATERIA DI INQUINAMENTO IDRICO

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IL CONTROLLO IN MATERIA DI INQUINAMENTO IDRICO

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§ 2. LE REGOLE PER LA MISURAZIONE ED IL CONTROLLODEGLI SCARICHI - IL PUNTO DI PRELIEVO - GLI ACCESSIPER GLI ORGANI ISPETTIVI - I PRELIEVI E LE ANALISI: DI-SCIPLINA E PROBLEMI OPERATIVI

2.1 Le violazioni tabellari come “inquinamento” formaleAbbiamo, dunque, fin qui visto che la struttura normativa contenuta nella

parte terza - Sezione II - del D. Lgs. n. 152/2006 è caratterizzata da disposizioniregolamentative sul sistema degli scarichi non inibitorie in senso generale. Men-tre la parte sui rifiuti prevede come comun denominatore il divieto di riversare(comunque) rifiuti nell’ambiente ed obbliga a rispettare i sistemi legali di smal-timento, con chiari fini di prevenzione e tutela ambientale, la parte sulle acquesi limita a disciplinare (non proibire) i vari casi di inquinamento ed il riversa-mento dei liquami nei “corpi ricettori” (come tali identificati formalmenteanche se, in ipotesi, si tratti di preziosi ambienti naturali acquatici…). La norma,qui, è finalizzata a dettare forme di regole amministrative per gestire corretta-mente gli scarichi.

Di conseguenza, “inquinare” per la normativa sulle acque significa superareformalmente i parametri di massima tollerabilità degli elementi inquinanti riversatisul corpo ricettore. Tali parametri sono quelli indicati nelle tabelle allegate al testonormativo medesimo (eventualmente integrate dalle leggi regionali).

Consegue in via logica che per individuare eventuali violazioni di“inquinamento” dello scarico il sistema dei prelievi assume partico-lare importanza. Ed il pozzetto di ispezione costituisce chiave di let-tura basilare in tutto questo contesto.

Infatti, il prelievo non deve essere eseguito nell’ambito del corpo ricet-tore, ma prima che il liquame raggiunga il medesimo. Non va misurato il dannosul corpo ricettore stesso, bensì la quantità e qualità degli elementi contenutinello scarico in relazione alle modalità tecniche previste nelle tabelle allegate allaparte terza del D. Lgs. n. 152/2006 (questo fatto salvo - come sopra appena ac-cennato - l’opposta procedura per i rilievi sulle acque pubbliche inquinate ai finidell’accertamento dei cosiddetti “reati satelliti©”).

2.2 Il pozzetto di ispezioneIl pozzetto di ispezione aziendale costituisce per la pubblica amministra-

zione un momento di irrinunciabile fonte di verifica (analogamente per gli or-gani di controllo) e per l’azienda una garanzia della legittimità e razionalità degliinterventi di prelievo effettuati. Esso rappresenta il punto ufficiale sulla lineadello scarico per i prelievi ai fini di controllo. È ubicato dopo il depuratore eprima che le acque reflue raggiungono il corpo ricettore. Deve essere previstonell’atto di autorizzazione allo scarico.

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L’esistenza del pozzetto è dunque elemento essenziale nel contesto dellanormativa sulle acque perché in tale sito si concentra tutto il sistema di verificasulla potenzialità “inquinante” dello scarico. Ed in effetti la norma all’art. 101,comma 3, D. Lgs. n. 152/2006 prevede espressamente che “tutti gli scarichi adeccezione di quelli domestici e di quelli ad essi assimilati ai sensi del comma 7,lett. e) devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell’auto-rità competente per il controllo nel punto assunto per la misurazione…”; inol-tre, a conferma del principio sopra esposto, si stabilisce che il campionamentodeve essere effettuato “immediatamente a monte della immissione nel recapitoin tutti gli impluvi naturali, le acque superficiali e sotterranee, interne e marine,le fognature, sul suolo e nel sottosuolo”.

Sussiste tuttavia eccezione a questa regola-base sul punto di prelievo sta-bilita dall’art. 108, commi 4 e 5, “per le acque reflue industriali contenenti lesostanze della Tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, ilpunto di misurazione dello scarico è fissato secondo quanto previsto dall’auto-rizzazione integrata ambientale di cui al D. Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59, e, nelcaso di attività non rientranti nel campo di applicazione del suddetto decreto,subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che servelo stabilimento medesimo.”

Inoltre è previsto che “l’autorità competente può richiedere che gli scari-chi parziali contenenti le sostanze della tabella 5 del medesimo Allegato 5 sianotenuti separati dallo scarico generale e disciplinati come rifiuti.”.

Il Tar Umbria con sentenza n. 67 del 12 febbraio 2004 (pubblicata sul no-stro sito www.dirittoambiente.net in via integrale ed ancora di attualità anche al-l’indomani dell’entrata in vigore del T.U. ambientale) ha ricordato che: “ (…) ilpunto di prelievo deve essere individuato in un sito che si trovi dopo il sistemadi depurazione (non avrebbe evidentemente senso prelevare il campione in unpunto della linea dello scarico in cui gli effluenti non abbiano ancora subito glieffetti positivi della tecnologia impiegata per abbattere la presenza di sostanze in-quinanti); nell’ipotesi generale, questo sito deve collocarsi subito a monte delpunto di immissione (e quindi, anche in un punto non attiguo all’impianto di de-purazione, laddove le esigenze funzionali e la struttura dell’impianto lo richie-dano); in quella speciale (relativa alla presenza di sostanze inquinanti piùallarmanti), il sito è invece arretrato subito dopo l’uscita dal depuratore o (qua-lora lo stabilimento ne sia sprovvisto) dallo stabilimento, così escludendo (perrendere più agevole l’individuazione di eventuali diluizioni, vietate … o co-munque di interventi elusivi) la possibilità di un’ubicazione periferica.

In entrambi i casi, viene presupposta la predisposizione del pozzetto diprelievo, la sua indicazione formale già nell’autorizzazione allo scarico, e la suaaccessibilità.

Laddove detta indicazione non sia rinvenibile, ovvero il campionamento

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IL CONTROLLO IN MATERIA DI INQUINAMENTO IDRICO

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non sia concretamente praticabile nel pozzetto indicato, tale mancanza costi-tuisce un’omissione ad un obbligo di legge e pertanto (…) il punto di prelievoverrà individuato in base alla scelta del tecnico incaricato del campionamento,sulla base dei criteri predetti (…)”.

2.3 Gli organi competenti per i prelieviQuali sono gli organi che possono eseguire i prelievi di campioni all’in-

terno dell’azienda?In ordine a tale punto, va in primo luogo ricordato che la giurisprudenza

della Cassazione da tempo ha stabilito che tutti gli organi di polizia giudi-ziaria, e non solo il personale delle strutture sanitarie, possono eseguirei prelievi: “Con riferimento alle competenze per il controllo tecnico l’articolo15 sesto e settimo comma della legge 319/76 prevede funzioni tecniche di vi-gilanza e controllo dei laboratori provinciali di igiene e profilassi in attesa dellacostituzione di presidi e servizi multizonali di cui all’art. 21 legge 833/78 (leggesanitaria). Il testo di legge non specifica che si tratta di una competenza “esclu-siva” dei predetti organismi, sicché é da ritenere legittimo il campionamentoeseguito da soggetti diversi (personale delle USL addetto all’igiene ambientale,nucleo specializzato dei Carabinieri (NAS), Nucleo Ecologico dei Carabinieri(NOE), vigili urbani, corpo provinciale di vigilanza dell’inquinamento idrico,etc...) salva la facoltà del giudice di valutarne l’attendibilità, tenendo conto dellemodalità utilizzate nel prelievo nel caso concreto” (Cassazione penale, Sez. III,del 27/9/91, n. 1872 - Rel. Postiglione - Pres. Gambino); e si precisa nellasentenza che “... non può sorprendere che Carabinieri, Polizia di Stato, Guar-dia di Finanza, Corpi Forestali, Vigili Urbani possano procedere, ove si evi-denzia una necessità, ad operazioni di campionamento di acque, rimanendo leoperazioni di analisi affidate agli organi tecnici competenti. Naturalmente lapolizia giudiziaria potrà avvalersi di “persone idonee” nella qualità di “ausiliari”e l’accertamento tecnico che ne consegue deve considerarsi atto della stessa po-lizia giudiziaria. (...)”.

Naturalmente nulla è mutato in ordine a tale principio anche dopo l’en-trata in vigore del D. Lgs. n. 152/2006.

L’orientamento della Cassazione non va sottovalutato giacché stabilisceche ogni organo di P.G. può eseguire detti prelievi; ove il personalenon sia professionalmente idoneo e/o non disponga delle attrezzaturenecessarie, può ricorrere ad un ausiliario (art. 348/4° comma c.p.p.) no-minato tra soggetti dotati di specifiche competenze tecniche nel settore per lafase materiale delle operazioni.

Si apre dunque il delicato e prioritario campo verso l’enorme potenzialitàoperativa di tutta la P.G. nel settore.

Questo principio comporta alcune conseguenze pratiche di indubbio inte-

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TECNICA DI POLIZIA GIUDIZIARIA AMBIENTALE

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§ 4. I REATI “SATELLITI©”: GLI ARTICOLI 635/II COMMA N. 3E 674 DEL CODICE PENALE - LA NORMATIVA SUI VINCOLIPAESAGGISTICI-AMBIENTALI (D.Lgs n. 42/04) - IL DE-LITTO DI “DISATRO AMBIENTALE INNOMINATO”

(“Reati satellti” è una definizione editoriale ideata da “Diritto all’ambiente” e registratacome marchio con il n. TR2011C000093 del 11.10.11 presso la Camera Commercio Terni– Copyright riservato)

4.1 La giurisprudenza della Cassazione crea i “reati satelliti©”Dopo l’entrata in vigore del T.U. ambientale parte terza in materia di sca-

richi e tutela delle acque assume particolare e primaria importanza sottolineareche a nostro avviso concorrono anche con gli illeciti previsti dalla nuova nor-mativa il reato di danneggiamento aggravato in acque pubbliche (art. 635/IIcomma n. 3 Codice Penale) ed il reato di violazione del vincolo pae-saggistico-ambientale del T.U. sui vincoli paesaggistici-ambientali pre-visto dal D. Lgs n. 42/04 ove il corso d’acqua o il lago o il tratto di marerisulti “danneggiato” sotto il profilo biologico (moria di pesci, soffocamentodella flora acquatica, etc.) e/o sotto il profilo paesaggistico (coltri di schiume,acque colorate, etc.).

Si tratta di principio molto importante. Riteniamo dunque che la giuri-sprudenza della Cassazione che aveva legittimato tali interpretazioni vigente lalegge pregressa rimanga superstite anche nel contesto della nuova normativa.

Inoltre la giurisprudenza della Cassazione, da ultimo, ha creato un altroimportante principio - sempre “satellite”- in ordine al reato di disastro am-bientale innominato.

4.2 Il reato di “danneggiamento di acque pubbliche”Con una importante e significativa sentenza della Cassazione in materia di

scarichi illeciti in realtà la Suprema Corte, già vigente il pregresso decreto n.152/99, ha confermato tutta la pregressa elaborazione giurisprudenziale elabo-rata in precedenza nel contesto della legge 319/76 ribadendo che in caso digrave inquinamento idrico, in costanza della successiva normativa, è comunquepossibile applicare anche il reato (delitto) di danneggiamento di acque pubbli-che previsto dal codice penale (art. 635/II comma n. 3 c.p.).

Vediamo la massima: “Lo scarico di sostanze inquinanti o deturpantiin acque pubbliche, quali sono quelle del mare, dei fiumi o dei torrenti,integra certamente gli estremi del delitto di danneggiamento, compor-tando, anche nell’ipotesi di fatto occasionale e transitorio, il deteriora-mento di cosa mobile esposta per necessità alla pubblica fede e destinataad utilità pubblica. Ai fini della ravvisabilità del dolo, nel reato di che

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IL CONTROLLO IN MATERIA DI INQUINAMENTO IDRICO

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trattasi, non è necessaria la rappresentazione del fine di nuocere, essendosufficiente la coscienza e volontà di distruggere, deteriorare o rendere in-servibili cose mobili o immobili altrui.” (Cassazione Penale - Sezione III -Sentenza del 15 novembre 2000 n. 11710). Ed ancora: “Il reato di cui all’articolo635 del C.P. è configurabile anche in relazione a danni cagionati da scarichi abu-sivi, stante la diversità dell’oggetto penale della tutela nei due casi (scarico abu-sivo e danneggiamento).” (Cass. Pen. - Sez. III - Sentenza 7 agosto 2001 n. 30836- Pres. Svignano; Rel. Postiglione; P.M. Geraci; Ric. Russo e altro).

Tale impostazione della Cassazione (valida ancora oggi in vigenza del T.U.ambientale 152/06, si presenta particolarmente interessante per i grandi e si-stematici casi di inquinamento idrico, soprattutto considerando che, come ab-biamo già sopra ripetutamente espresso, il D. Lgs. n. 152/06 parte terza, chedisciplina come norma quadro di settore il campo degli scarichi e della tuteladelle acque, non è affatto una norma sostanziale tesa a proibire l’inquinamentoma prevede soltanto alcune regole tecniche (viziate da interferenza politica) per“regolare” l’inquinamento. In pratica, non si proibisce l’inquinamento ma siregolamenta lo stesso. Stabilendo dei limiti formali (tecnici, ma soprattuttofrutto di compromessi politici) che non possono essere superati dagli scarichi.

Registriamo una importante sentenza della Cassazione sul “reato satellite©”in esame di danneggiamento aggravato di acque pubbliche. Questo delitto, loribadiamo, rappresenta da anni in pratica l’unico reato efficace e sostanziale peril contrasto ai grandi inquinamenti idrici, stante il carattere meramente formalee le sanzioni irrisorie della normativa specifica di settore (con particolare rife-rimento alla parte terza del D.Lgs. n. 152/06).

Sul reato di danneggiamento di acque pubbliche (art. 635 comma 2 codicepenale) si è innestata in questi decenni di applicazione una giurisprudenza fio-rente ed articolata che ha di volta in volta affrontato i diversi aspetti di costru-zione del delitto in esame.

Ma due punti sono spesso rimasti oggetto di dubbi e perplessità da partedegli operatori del diritto che non hanno condiviso questa “giurisprudenza sup-plente”, e tali due temi sono stati affrontati in modo convincente e lineare dal Su-premo Collegio nella pronuncia Cassazione Penale - Sez. 4 - sentenza n. 9343(Ud. 21 ottobre 2010 – Dep. 9 marzo 2011 – Pres. Morgigni – Rel. Izzo) chevede il ricorrente imputato – tra l’altro – del reato di cui all’art. 635 comma 2 c.p.per avere “smaltito i rifiuti della discarica ed in particolare il percolato nelle acquesuperficiali” di un corso d’acqua pubblico “ed avere irrimediabilmente deterio-rato il predetto corso d'acqua a valle della discarica” nonché ulteriore fiume.

Ma vediamo primo punto in commento: la questione del caratteretemporaneo del danno sulle acque pubbliche se si tratta di un fiume, acausa del naturale scorrimento delle acque medesime. Si è infatti spesso soste-nuto che tale momentaneità del danno, con le acque che fluiscono e dunque

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fanno scorrere anche gli effetti del danno in un tempo medio/breve, sarebbe in-compatibile con il danno previsto dal delitto in esame che - invece - preten-derebbe un danno permanente.

Questa interpretazione, che comunque collide già con la finalità primariadello specifico reato in esame (che va - naturalmente - contestualizzato nella di-namica delle azioni di inquinamento idrico) viene oggi totalmente smentita dallaCassazione che, invece, ritiene sussistente il danno sulle acque di un fiumeanche se gli effetti dell’inquinamento sono momentanei e transitori.

Si veda - infatti - che il Collegio cosí argomenta sul punto specifico (diestrema importanza per la individuazione esatta del reato): “(…) La Corte di me-rito, in sede di rinvio ha valutato che la condotta posta in essere aveva determinato undanno strutturale ai corsi d’acqua, integrante l’elemento oggettivo del delitto di danneg-giamento, nella forma aggravata di cui all’art. 635 c.p., comma 2. Invero, si ha “de-terioramento” tutte le volte in cui una cosa venga resa inservibile all’uso a cui èdestinata, anche solo temporaneamente. La possibilità di reversione del dannonon esclude la configurabilità del delitto, anche sa tale reversione avvenga, nonper l'opera dell’uomo, ma per la capacità della cosa di riacquistare la sua fun-zionalità nel tempo. Nel caso di specie, correttamente la Corte di merito ha ritenutomaturatosi il deterioramento dei corsi d'acqua, considerato che essi per un lungoperiodo di tempo sono stati inidonei a servire per la loro funzione di irrigazioneed abbeveraggio degli animali. Come già osservato da questa Corte in altre pro-nunce, irrilevante è che il deterioramento non sia stato irreversibile (cfr. cass. sez.2, sentenza n. 12383 del 28/04/1975 ud. (dep. 20/12/1975), imp. Fratini, Rv.131584), essendo sufficiente che il fatto che sia stato notevole e di lunga durata (cfr.Cass. Sez. 6, Sentenza n. 8465 del 21/06/1985 Ud. (dep. 02/10/1985), imp.Puccini, Rv. 170544).

Ne consegue da quanto detto, che il motivo di censura concernente l'insussistenzadell'elemento oggettivo del reato è manifestamente infondato. (…)”.

Appare, dunque, oggi evidente che la prova del danno per il reato di dan-neggiamento di acque pubbliche prescinde dalla durata dello stesso e non è an-corata alla stabilità nel tempo e definitività del danno medesimo. Altrimenti, difatto, questo reato nel campo degli inquinamenti idrici non avrebbe avuto sto-ria. Certamente deve trattarsi – comunque – di un danno importante e che hacompromesso il corso d’acqua in modo notevole e per un periodo significativo.

Il secondo punto importante che affronta la sentenza è quello relativo alla“durata” temporale dell’azione attiva che provoca il danno (nel nostrocaso quasi sempre uno scarico), con forti riflessi su un altro e connesso aspetto:la prescrizione.

La Cassazione - infatti - supera in questa pronuncia ogni residuo dubbiointerpretativo sul tema e cosí stabilisce: “(…) Ritiene la Corte che ben può affer-

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CAPI DI IMPUTAZIONE PER IL P.M.

*Realizzazione di un nuovo scarico industriale senza autorizzazioneImputato del reato di cui all’art. 137/1° comma d.l.vo 03/04/2006, n. 152 perché,quale titolare dell’insediamento ******* apriva (o comunque effettuava) un nuovo sca-rico di acque reflue industriali senza aver ottenuto il prescritto provvedimento di au-torizzazione della pubblica amministrazione.In ………………………….. accertato il …………………………..

N.B. deve essere contestata l’ipotesi più grave prevista dal 2° comma quando lacondotta descritta riguarda gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le so-stanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle ta-belle 5 e 3/A dell’allegato 5 alla parte terza del D. Lgs. n. 152/2006

*Continuazione di un nuovo scarico industriale dopo revoca autorizzazioneImputato del reato di cui all’art. 137/1° comma d.l.vo 03/04/2006, n. 152 perché,quale titolare dell’insediamento ******* continuava ad effettuare (o comunque man-tenere) ) un nuovo scarico di acque reflue industriali dopo che l’autorizzazione rela-tiva era stata sospesa (o revocata) in quanto ……………………………..

In ………………………….. accertato il …………………………..

N.B. deve essere contestata l’ipotesi più grave prevista dal 2° comma quando lacondotta descritta riguarda gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le so-stanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle ta-belle 5 e 3/A dell’allegato 5 alla parte terza del D. Lgs. n. 152/2006

*Scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose compresenelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’alle-gato 5 alla parte terza del D. Lgs. n. 152/2006 in violazione delle prescrizioni del-l’autorizzazione. Imputato del reato di cui all’art. 137/3° comma d.l.vo 03/04/2006, n. 152 perché,quale titolare dell’insediamento *******, effettuando uno scarico di acque reflue indu-striali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di so-stanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5 alla parte terza del D. Lgs. n.152/2006, ometteva di osservare le prescrizioni dell’autorizzazione rilasciata da………………………………… in quanto ………………………………… (oppure: ometteva di osservare le pre-scrizioni richieste dall’autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, e108, comma 4, in quanto ………………………… …………………………………).In ………………………….. accertato il …………………………..

*Scarico di acque reflue industriali superante i valori limite fissati nella tabella 3

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IL CONTROLLO IN MATERIA EDILIZIA E PAESAGGISTICA

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PARTE QUINTA

Spunti per procedure di controllo in tema di

normativa urbanistico-ediliziae paesaggistica

Parte realizzata con il contributo dell’Avv. Valentina Stefutti

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§ 1. LA NORMATIVA IN MATERIA URBANISTICO-EDILIZIA EPAESAGGISTICA. LA DISCIPLINA GENERALE

1.1 Il quadro normativoLa disciplina giuridica generale di settore è oramai posta da due testi unici: • il D. Lgs. n. 42/2004 (c.d. “Codice Urbani”), come modificato prima dal

D.lgs. n.157/06 e, da ultimo, dal D. lgs. n.63/08, in materia di vincoli paesag-gistici, che ha sostituito il T.U. n. 490/99 (e che rappresenta anche la rielabo-razione generale della vecchia Legge Galasso n. 431/85);

• il D.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 (“Testo Unico sull’edilizia”), checontiene i principi e la disciplina dell’attività edilizia.

Le due norme sono tra loro in gran parte sinergiche. Non vi è dubbio, in-fatti, che laddove si intenda porre in essere una attività di modifica strutturaledel territorio in un’area soggetta, in particolare, a vincolo paesaggistico, ancorprima di andare a considerare le norma di cui al T. U. sull’edilizia, sarà neces-sario aver conto, in via preventiva, di quanto normato dal D. Lgs. n. 42/2004.

Accadrà spesso, quindi, che nella contestazione di opere abusive, si debbafare riferimento alla violazione di entrambe le suddette norme. Un esempio inquesto senso è costituito dall’operazione denomina “Ventus” condotta nel-l’aprile 2007 dagli Ufficiali e dagli Agenti di Polizia Giudiziaria del Corpo Fo-restale dello Stato - Comando Stazione Parco di Gravina in Puglia -, che haportato al sequestro penale preventivo, disposto dal G.I.P. del Tribunale diTrani, di 3 scavi di fondazione su roccia calcarea (pseudosteppa), effettuati perla realizzazione di piattaforme destinate alla localizzazione ed all’ancoraggio dipali eolici, realizzati senza alcuna autorizzazione, nel Parco Nazionale dell’AltaMurgia, in difformità totale dall’Atto Dirigenziale rilasciato dal settore indu-stria della Regione Puglia (che prevedeva l’installazione di n. 20 pali eolici fuoridal Parco). Cinque sono state le persone indagate dall’Autorità Giudiziaria perviolazione del Codice dei beni culturali ed ambientali (D. Lgs. 42/2004), deltesto unico in materia edilizia (D.P.R. 06.06.2001, n. 380), nonché per viola-zione delle norme di tutela ambientale (Legge 394/91 sulle Aree Protette) edelle vigenti norme di tutela del Parco Nazionale dell’Alta Murgia (D.P.R.10.03.2004).

Il D.P.R. n. 380/2001 ha riformulato tutte le definizioni degli interventiin materia edilizia.

Questo schema di definizioni assume particolare importanza per gli organidi vigilanza in quanto rappresenta il logico presupposto per l’applicazione delsistema sanzionatorio. Rinviamo al testo di legge per le singole definizioni di“interventi di manutenzione ordinaria”, “interventi di manutenzione straordinaria”, “in-terventi di restauro e di risanamento conservativo”, “interventi di ristrutturazione edilizia”,“interventi di nuova costruzione”, “interventi di ristrutturazione urbanistica” ed altro.

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IL CONTROLLO IN MATERIA EDILIZIA E PAESAGGISTICA

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Certamente è da tenere presente che la “concessione edilizia”, posta dallanormativa previgente, è ora stata sostituita dal “permesso di costruire” e,tuttavia, tale sostituzione è del tutto formale dato che il regime del permesso dicostruire è sostanzialmente identico a quello della concessione edilizia, con laconseguenza che in ordine al permesso di costruire devono valere tutti i prin-cipi già elaborati dalla giurisprudenza del regime previgente.

Va sottilineato che i termini “licenza edilizia” e “concessione edi-lizia” che si usano molto spesso nel linguaggio comune sono forte-mente errati, perché riguardano discipline giuridiche pregresse e superate.

Infatti, la “concessione edilizia”, posta dalla normativa previgente (che a suavolta aveva abolito la “licenza edilizia”…), è ora stata sostituita dal “permessodi costruire”. Se nel linguaggio comune queste improprietà terminologichepossono essere fonte di importanti equivoci interpretativi, in una comunica-zione di notizia di reato o in un verbale di sequestro trascrivere questi terminiin modo errato costituisce un errore imperdonabile che rischia di vanificare alivello sostanziale e procedurale tutto l’accertamento, valorizzando eventualifondate eccezioni della difesa in ordine a tale inesattezze che sono non solo for-mali ma corrispondono a precisi concetti sostanziali e sanzionatori.

La lettura dell’art. 10 del D.P.R. n. 380/2001 ci indica quali sono gli in-terventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio subordinati a per-messo di costruire:

a) gli interventi di nuova costruzione;b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica;c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo

edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumentodi unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o dellesuperfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omo-genee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso.

Nel merito la Corte di Cassazione, con sentenza del 18 giugno 2003, n.26197, ha precisato che:“Costituiscono lavori edilizi necessitanti il preventivo rilasciodella concessione (ora sostituita dal permesso di costruire a seguito dell’entrata in vigore delD.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) non soltanto quelli per la realizzazione di manufatti chesi elevano al di sopra del suolo, ma anche quelli in tutto o in parte interrati e che trasfor-mano in modo durevole l’area impegnata dai lavori stessi” (fattispecie nella quale laCorte ha ritenuto necessaria la preventiva concessione per la realizzazione di unapiscina). Lo stesso art. 10, ai commi 2 e 3, prevede poi che le Regioni stabiliscanocon legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, del-l’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a de-nuncia di inizio attività. Le Regioni possono altresì individuare con legge ulterioriinterventi che, in relazione all’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico,sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire. Al riguardo è im-

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TECNICA DI POLIZIA GIUDIZIARIA AMBIENTALE

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portante tenere presente che la Cassazione ha precisato che: “In materia urbanisticaed edilizia le disposizioni legislative regionali, espressione del potere concorrente con quellodello Stato in materia, devono essere interpretate in modo da non collidere con i principi fon-damentali dettati in materia edilizia-urbanistica dalla legislazione statale” (Corte di Cas-sazione, sentenza del 12 maggio 2003, n. 20752).

Sussiste, inoltre, una disciplina parallela per gli interventi edilizi minoriche non sono soggetti al regime del “permesso di costruire” e che sostanzial-mente nelle vecchie leggi pregresse erano di fatto regolamentati dalla “autoriz-zazione edilizia” (L. n. 47/85) poi abrogata. Si tratta naturalmente, proprioperchè relativa a lavori di minore entità, di una disciplina con regime sanzio-natorio depenalizzato e cioè soggetto solo a sanzioni amministrative. La storiadi questi interventi minori è un po’ tortuosa... infatti inizialmente all’art. 22 delcitato D.P.R. n. 380/2001 erano indicati gli interventi subordinati a “denun-cia di inizio attività” (“DIA”), che rappresentava l’unica alternativa al “per-messo di costruire”, essendo venuta meno “l’autorizzazione edilizia” dellepregresse normative.

Alla fine del 2001 è stata emanata anche la Legge obiettivo (legge 21 di-cembre 2001, n. 443 ) la quale ha introdotto la c.d. super DIA. Consapevole deiproblemi di compatibilità con le norme del T.U. sull’edilizia, il legislatore - nellastessa legge n. 443/2001 - ha previsto l’emanazione di un decreto legislativo percoordinare i due testi normativi. Il Governo ha, quindi, adempiuto a tale obbligoapprovando il D. Lgs. n. 301/2002, con il quale si è provveduto a coordinare laDIA disciplinata dal T.U. sull’edilizia (DIA semplice) con la super DIA discipli-nata dalla legge obiettivo. Per cui sono venute a coesistere due fattispecie di DIA:

- la DIA “semplice”, consentita in tutti i casi già previsti dal D.P.R. n.380/2001, con esclusione delle previsioni di cui all’art. 1, comma 6, lett. a)della legge obiettivo;

- e la super DIA, operante nei casi previsti dalla legge n. 443/2001 ed ap-plicabile alle ristrutturazioni edilizie ed alle nuove costruzioni, qualora sianoin diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposi-zioni plano-volumetriche.

Tutte le DIA riguardavano interventi edilizi di minore impattoterritoriale rispetto ai lavori soggetti a “permesso di costruire”.

Le leggi regionali e i regolamenti comunali hanno, di conseguenza, elen-cato molto spesso le opere che, nel territorio di competenza, erano soggette aidue diversi regimi autorizzatori.

Successivamente la legge 30 luglio 2010, n. 122, ha apportato una radi-cale modifica a tale regime, ed infatti nel modificare la legge 7 agosto 1990 n.241 (in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai do-cumenti amministrativi), di fatto si è andato ad abrogare la DIA sostituen-

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TECNICA DI POLIZIA GIUDIZIARIA AMBIENTALE

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§ 2. IL CONTROLLO NEL SETTORE DEGLI ABUSI EDILIZI EPAESAGGISTICI

2.1 La giurisprudenzaNel settore dell’abusivismo edilizio si registra un consolidato filone giuri-

sprudenziale della Corte di Cassazione che ha delineato un nuovo quadro di ri-ferimento in ordine alla prevenzione ed alla repressione degli illeciti connessi.Un vero e proprio giro di vite sancito dalla Suprema Corte che si articola in di-verse componenti interpretative. Si tratta di sentenze perfettamente esportabilidel nuovo T.U. in materia edilizia, vista la continuità normativa tra le due nor-mative di riferimento. Ricordiamo, ad esempio, che con una sentenza impor-tante la Corte di Cassazione ha stabilito in modo inequivocabile che la (ex)concessione edilizia per opere in area vincolata dal (previgente) decreto legi-slativo n. 490/99 (ex legge “Galasso”) senza nulla-osta preventivo integra ilreato di abuso di atti d’ufficio a carico del firmatario dell’atto (Cass. Pen. - Sez.VI - 4/10/2000, n. 10441 - Pres. Romano). Vanno ancora citate le numeroseed univoche sentenze della Cassazione che stabiliscono la competenza obbli-gatoria del magistrato penale ad eseguire direttamente gli ordini di abbattimentodelle opere edilizie abusive dopo le sentenze di condanna ma anche di patteg-giamento, nonché tutto l’arco di pronunce sul sequestro delle opere illegali ac-cettato nella giurisprudenza della Cassazione anche dopo l’ultimazione deilavori. Per certi versi clamorose sono state le sentenze del Supremo Collegio chehanno legittimato ripetutamente la disapplicazione da parte del giudice penaledelle concessioni comunali palesemente in violazione di legge pur in assenza diun provvedimento specifico della competente autorità deputata alla dichiara-zione formale di illegittimità in senso stretto. Vedremo nei dettagli nei paragrafisuccessivi i principi fondanti enunciati in tali pronunce, ivi compresi i seque-stri in caso di concessioni illegittime, confermati dalla Cassazione.

Tale complesso di evoluzione giurisprudenziale da un lato ha fornito raf-forzati strumenti operativi repressivi sia agli organi di polizia giudiziaria che allamagistratura penale, dall’altro ha delineato precise responsabilità personali per ipubblici amministratori e funzionari che sempre più frequentemente vengonodunque chiamati a rispondere penalmente di attività omissive nel contesto delleprocedure autorizzatorie in materia di edilizia e urbanistica.

2.2 Concorre nel reato di abuso edilizio il dirigente comunale che ri-lascia un permesso di costruire illegittimo: un duro colpo per gli“abusi edilizi in bianco”Un duro colpo è stato inferto dalla Cassazione al dilagare degli “abusi edi-

lizi in bianco”. Questa tipologia di illegalità - come è noto - non è contemplataespressamente nella normativa sull’edilizia, ma l’abbiamo terminologicamente

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creata noi sulle pagine del nostro sito Diritto all’ambiente www.dirittoam-biente.net come una nuova ed emergente tipologia di illeciti, per indicare unarealtà silente, ma non per questo meno pericolosa di ruspa selvaggia.

Infatti, accanto all’abusivismo classico e brutale, quello che realizza inmodo ingordo cantieri totalmente privi di ogni atto abilitativo, contro ognilegge e regola (che poi in gran parte stranamente non vede mai nessuno fino almomento dei condoni…), esiste un’altra realtà di abusi, più subdola e meno pla-teale. Da anni, infatti, si realizzano manufatti, anche impattanti, sulla base delrilascio di ex concessioni (ed oggi permessi di costruire) basati su illegittimitàamministrative di vario genere e livello, che “legalizzano” in apparenza quelloche non poteva essere autorizzato.

La questione è stata sempre fonte di grave danno per il territorio, giacchéla ex concessione urbanistico-edilizia (oggi permesso di costruire) - rilasciata inviolazione delle norme di settore - è stata sempre considerata sostanzialmenteillegittima sotto il profilo amministrativo. Ma è noto che le illegittimità ammi-nistrative possono essere rilevate esclusivamente o della stessa autorità ammini-strativa o della magistratura amministrativa (T.A.R. e Consiglio di Stato).

Va considerato, tuttavia che la magistratura amministrativa è non legitti-mata, come quella penale, ad intervenire d’ufficio. Perché questa si pronunci,è necessario che qualcuno proponga ricorso. Chi può proporre ricorso controtali atti amministrativi palesemente illegittimi? O un privato che ha un inte-resse legittimo sul caso (ad esempio il proprietario del terreno limitrofo e con-finante all’area oggetto di lavori) oppure un ente esponenziale che venga aconoscenza del caso. Ma nella maggior parte dei casi, non sussiste né un privatoche vanti un interesse legittimo, secondo i parametri disegnati dall’art.100 c.p.cper impugnare la sentenza, né un ente esponenziale che venga in tempo a co-noscenza dell’atto amministrativo illegittimamente rilasciato e che, quindi, rie-sca a proporre ricorso al T.A.R. entro gli stretti termini previsti dalla legge perproporre l’impugnativa stessa, vale a dire 60 giorni.

Il titolo abilitativo rilasciato, in questi casi perciò, sostanzialmente si conso-lida non risultando più ricorribile. Col risultato che un atto amministrativo pale-semente illegittimo ha sempre spiegato regolarmente i propri effetti. Sotto ilprofilo sanzionatorio penale, quando l’organo di vigilanza di P.G. si reca sul postoper verificare lo stato dei lavori, si trova di fronte ad un paradosso giuridico. In-fatti, nota in un’area particolarmente protetta un’opera palesemente autorizzata inbase ad un atto abilitativo evidentemente illegittimo perché mancante dei pre-supposti che ne giustificavano il rilascio, però tale atto, non impugnato e non og-getto di ricorso al T.A.R., è sostanzialmente operante a livello amministrativo.Nessuna sentenza amministrativa lo ha annullato, certamente la pubblica ammi-nistrazione non auto-annulla un atto da essa stessa rilasciato. Non sussistono inmodo automatico violazioni penali, giacché comunque l’atto è formalmente va-

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TECNICA DI POLIZIA GIUDIZIARIA AMBIENTALE

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SCHEMA DI COMUNICAZIONE DI NOTIZIA DI REATOPER ILLECITO URBANISTICO-EDILIZIO

IN SEGUITO AL RILASCIO DI PERMESSO DI COSTRUIRE ILLEGITTIMOPER ASSENZA DEL NULLA-OSTA PAESAGGISTICO

Indicazione Organo operante

Al Sig. Procuratore della Repubblica di …………………………………

OGGETTO: Comunicazione di notizia di reato a norma dell’art. 347 C.P.P. per violazionedella normativa urbanistico edilizia del T.U. n. 380/2001 sul presupposto di un permesso di co-struire comunale verosimilmente illegittimo (eventualmente anche: e per il reato di abuso di uf-ficio a carico del firmatario del permesso di costruire).

Il sottoscritto ………………………………… in servizio presso ………………………………… segnala quanto segue.

Con intervento in loco in data ……………………… si è accertato che in località …………………………………

del Comune di ………………………………… sono in corso lavori di ……………………………………………………………

(descrivere dettagliatamente la natura dei lavori, la finalità degli stessi e le conseguenze sul territorio; pre-cisare possibilmente la data di inizio dei lavori, lo stato di attiva operatività degli stessi ed ogni altro ele-mento utile).

Da un controllo documentale eseguito presso il cantiere e presso il Comune è emersa la cir-costanza che i predetti lavori, i quali comportano una alterazione sostanziale e definitiva del-l’assetto urbanistico-territoriale della zona, sono eseguiti sulla base del permesso di costruirerilasciato dal Comune di ………………………………… e riportante la firma di ………………………………… (spe-cificare il firmatario dell’atto e, verosimilmente dirigente o responsabile dell’ufficio) in data ………………… conil n. ………………………………… (si allega copia del documento).Da un esame approfondito della natura dell’opera e dal riscontro dei documenti e del permessodi costruire si è evidenziato che l’atto in questione è stato rilasciato senza il preventivo nulla-osta autorizzatorio previsto dal vigente D.lgs. n. 42/04 in materia di vincoli paesaggistici.L’area su cui insistono i lavori è infatti sottoposta a vincolo paesaggistico sulla scorta della normacitata essendo una zona di ………………………………… (descrivere dettagliatamente la natura dei luoghi in re-lazione al vincolo; ad esempio: territorio coperto da boschi o foreste, etc..).Le fotografie allegate documentano in via diretta sia la natura dei luoghi così come sottopostia vincolo sia l’entità e struttura dei lavori posti in essere.(N.B.: Dettagliare con estrema esattezza le violazioni di legge poste alla base del rilascio del permesso dicostruire i documenti preliminari che mancavano in sede di esame, la natura dell’area su cui sorge l’operaeventualmente soggetta ad inedificabilità e/o vincoli non rispettati, ed ogni altro elemento utile).In particolare, accertamenti eseguiti presso l’ufficio tecnico del Comune hanno permesso di ve-rificare che ………………………………………………………………………………………………………………………………… (even-tualmente: Si allegano alcune copie utili degli atti consultati presso il predetto ufficio tecnico).

Eventualmente: 1) Si allega la denuncia presentata da ………………………………… che sottolinea il carattere irregolaredell’iter seguito.2) Si allegano copie di articoli di stampa che sottolineano il carattere irregolare dell’iter seguito.

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3) Si allegano copie dei ricorsi e/o comunque atti amministrativi acquisiti che sottolineano ilcarattere irregolare dell’iter seguito.)

I lavori sono stati eseguiti dalla ditta ………………………………… della quale è responsabile legale………………………………… per conto di ………………………………… (indicare con precisione le generalità complete).

Come atto autonomo e separato dalla presente comunicazione si trasmette a parte un fascicolofotografico contenente le immagini dei lavori di che trattasi nel cui contesto sono descritti invia specifica i dettagli dei fatti riscontrati.

La presente comunicazione viene inviata rilevato che la giurisprudenza della Cassazione ha le-gittimato la possibilità di un intervento indiretto del giudice penale nel settore, inizialmente sta-bilendo il principio in base al quale “il giudice ordinario può sindacare l’atto amministrativo (nelcaso di specie una concessione in sanatoria) al fine di accertare la sussistenza non dei requisitidi legittimità, ma degli elementi essenziali la cui mancanza comporta nullità ed inesistenza giu-ridica dell’atto medesimo. (...)” (Cass. pen., sez. III, 29 maggio 1992, n. 6537 , Melone). E poi-ché era logico che il principio valeva non solo per le concessioni in sanatoria ma anche per leconcessioni ordinarie, conseguiva che “(...) per la conformità sostanziale delle norme urbani-stiche introdotta e imposta dall’art. 6 legge n. 47 cit. le opere ancorché eseguite in base a unaconcessione edilizia illegittima possono integrare il reato di cui all’art. 20 lett. a) legge n. 47 cit.»(Cass. pen., sez. III, 10 marzo 1993, n. 513 - Pres. Accinni, Rel. Raimondi, P.G. Geraci).Successivamente la Cassazione ha ampliato il principio, estendendolo notevolmente stabilendoche “alla luce della sentenza delle sezioni unite 21 dicembre 1993, P.M. in proc. Borgia e altri,nell’ipotesi in cui si edifichi con concessione edilizia illegittima, non si discute più di disappli-cazione di un atto amministrativo illegittimo e dei relativi poteri del giudice penale, ma di po-tere accertativo di detto magistrato dinanzi ad un atto amministrativo, che costituiscepresupposto o elemento costitutivo di un reato.In tale ipotesi l’esame deve riguardare non l’esistenza ontologica dello stesso, ma l’integrazioneo meno della fattispecie penale in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tu-tela (nella specie l’interesse sostanziale alla tutela del territorio), nella quale gli elementi di na-tura extrapenale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo.” (Cass. pen.,sez. III, 25 febbraio 1995, n. 113, Antonilli; conforme e pressoché identica Cass. pen., sez. III,30 giugno 1995, n. 1756, Di Pasquale).Peraltro Cass. pen., sez. III, 12 giugno-20 luglio 1996, ha ulteriormente ribadito che il rilasciodella concessione, se macroscopicamente illegittima, non esclude la sussistenza dell’illecito ur-banistico poiché “(...) in ipotesi di difformità, dell’opera edilizia rispetto agli strumenti norma-tivi urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, il giudicepenale ben può, pur in costanza del rilascio della concessione edilizia, pervenire all’affermazionedell’illiceità penale (senza che ciò comporti una non consentita disapplicazione dell’atto am-ministrativo concessorio), in quanto la concessione edilizia non è idonea a definire compiuta-mente lo statuto urbanistico ed edilizio dell’opera da realizzare, senza rinviare al quadro delleprescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle rappresentazioni grafiche del progetto appro-vato; conseguentemente, l’accertamento che il giudice penale deve effettuare, al fine di accer-tare la sussistenza del reato di cui all’art. 20 lett. a L. 47 del 1985, consiste nella verifica diconformità dell’opera a tutti i parametri di legalità di cui viene fatta menzione nel precetto ditali disposizioni, individuabili non solo nella concessione edilizia ma anche nelle norme, pre-scrizioni e modalità esecutive previste nella L. n. 47 del 1985, dalla L. n. 1150 del 1942, dai re-golamenti edilizi e dagli strumenti urbanistici. (...) Le sentenze, pure di questa sezione (18febbraio 1994, Pernici, e 24 gennaio 1996, Oberto) che, analizzando compiutamente i già ci-

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tati artt. 4 e 5 L. 2248 del 1865 all. E, sono pervenute all’esplicita affermazione del potere delgiudice penale di disapplicare l’atto amministrativo illegittimo. Un tale orientamento (...) va quiriaffermato. (...) Non sarebbe, invero, soggetto soltanto alla legge un giudice penale che arre-stasse il proprio esame all’aspetto formale dell’atto (...)pur quando la concessione si riveli in pa-lese contrasto con i presupposti legali; non sarebbe soggetto soltanto alla legge un giudice penaleche dichiarasse estinto il reato in base a una concessione in sanatoria emanata in palese viola-zione degli strumenti urbanistici e, quindi, in palese contrasto con l’art. 13 della L. 47 del 1985.Deve, quindi, ritenersi consolidato il principio secondo cui il giudice penale può disapplicarel’atto amministrativo palesemente illegittimo. (...)Sono attualmente superate le opinioni (...)secondo cui potrebbero essere disattese solo le concessioni inesistenti ovvero frutto di una col-lusione tra il privato richiedente e l’autorità che rilascia la concessione (...)”.Successivamente la Corte di Cassazione ha sempre ribadito tale orientamento giurispruden-ziale stabilendo che: “secondo consolidata giurisprudenza, il giudice penale ha il potere-doveredi verificare la legittimità della concessione edilizia rilasciata in sanatoria e di accertare chel’opera sia comunque conforme alla normativa urbanistica. Ne consegue che, in mancanza ditale conformità, la concessione non estingue i reati e il mancato effetto estintivo è ricollegabileall’esercizio del doveroso sindacato sulla legittimità del fatto estintivo incidente sulla fattispeciepenale” (Cassazione Penale - Sezione III - Sentenza del 19 gennaio 2001 n. 413 - Pres. To-riello). Infine le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno confermato perfino il se-questro di una intera lottizzazione eseguito nonostante l’autorizzazione rilasciata dalla P.A.ritenuta invece illegittima (Cass. Pen. Sezioni Unite - 8/2/2002 n. 5115).Successivamente la Cassazione ha sempre mantenuto questa linea giurisprudenziale, superandoaddirittura il concetto di disapplicazione. Si veda, ad esempio: “In tema di reati edilizi, in pre-senza di una concessione edilizia illegittima non occorre fare ricorso alla procedura di disappli-cazione dell’atto amministrativo, bensì valutare la sussistenza dell’elemento normativo dellafattispecie, atteso che la conformità della costruzione e della concessione alla normativa urba-nistica é elemento costitutivo o normativo dei reati contemplati dall’art. 20 della legge 28 feb-braio 1985, n. 47, stante la individuazione del parametro di legalità urbanistica ed edilizia qualeulteriore interesse protetto dalle disposizioni in questione.” ( Cassazione penale, Sez. III, sen-tenza 3 febbraio 2003, n. 4877 (c.c. 18 dicembre 2002), Tarini V.).Va ancora sottolineato come: “in caso di costruzione edilizia realizzata in presenza di atto am-ministrativo illegittimo ma in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia, si configura ilreato di cui all’art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nelle diverse ipotesi di cui alle let-tere a), b) e c) in relazione al differente grado di offensività e con riferimento alla distinzionetra difformità totale e parziale e tra opere eseguite in zone soggette o meno a vincolo.” (Cas-sazione Penale - Sezione II - Sentenza del 3 febbraio 2003 n. 4877, Tarini V.)E si veda, in aggiunta relativamente alla disapplicazione: “Il giudice penale ha il potere-doveredi verificare la legittimità della concessione edilizia rilasciata in sanatoria (artt. 13 e 22 dellalegge n. 47/85) e di accertare che l’opera realizzata sia conforme alla normativa urbanistica. Inmancanza di tale conformità, infatti, la concessione non estingue i “reati contravvenzionali pre-visti dalle norme urbanistiche vigenti” ed il mancato effetto estintivo non si ricollega a una va-lutazione di illegittimità del provvedimento della pubblica amministrazione cui consegua ladisapplicazione dello stesso ex art. 5 della legge n. 2248 del 20 marzo 1865, allegato E, bensìall’effettuata verifica dell’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’estinzione dei reati insede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo incidente sulla fat-tispecie tipica penale. Ai fini del suddetto controllo, dovendosi ricordare che si pone quale pre-supposto indispensabile per il rilascio della concessione in sanatoria ex art. 13 della legge n.47/85 la necessità che l’opera sia “conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazioneapprovati e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell’opera,

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sia al momento della presentazione della domanda” (Cassazione Penale - Sezione III - Sentenzadel 23 maggio 2003 n. 22824 - Pres. De Maio; Rel. Fiale; Pm (conf) Iacoviello; Ric. Proc. Rep.Trib. Bergamo in proc. Invernici e altro).Ritenendo applicabili anche nel contesto della rinnovata disciplina i principi giurisprudenzialisopra esposti, nel caso di specie, per i motivi sopra esposti, si ritiene di dover sottoporre i fattiad una valutazione della S.V. per il proprio potere accertativo dinanzi all’evidenziato atto am-ministrativo del permesso di costruire, che si ritiene costituisce presupposto ed elemento co-stitutivo di un reato di violazione sostanziale ai principi-quadro della normativaurbanistico-edilizia.

Eventualmente aggiungere in caso di palese e dolosa violazione della normativa urbanistico-edilizia e/o dellanormativa sui vincoli paesaggistici posta alla base del rilascio della permesso di costruire illegittimo il seguentepunto che evidenzia, oltre alla illegittimità amministrativa con conseguente richiesta di disapplicazione se-condo quanto fin qui esposto, anche il parallelo e connesso reato di abuso di ufficio a carico del soggetto fir-matario del permesso di costruire

Si rileva altresì che la palese illegittimità sopra evidenziata si basa su una evidente e dolosa vio-lazione della normativa di settore perché sono stati omessi in modo evidente i seguenti docu-menti ed iter: …………………………………………………………………………………………………………………………………………

Si segnala tale specifico aspetto in considerazione del fatto che la Corte di Cassazione ha rav-visato il reato di abuso di ufficio nel caso di situazioni similari. Si vedano al proposito le seguentipronunce della Suprema Corte:

* “Integra il reato di abuso d’ufficio il rilascio da parte degli amministratori comunali di unaconcessione edilizia in assenza della prescritta autorizzazione ambientale: l’autorità ammini-strativa, infatti, non è svincolata, nel concedere la concessione edilizia, dalle disposizioni rela-tive alle limitazioni poste dalle norme in tema in tema di tutela dell’ambiente, in quanto questeultime costituiscono uno dei presupposti necessari per la legittimazione della concessione stessa;conseguendone che una tale condotta si configura come in “violazione di legge” (sub specie,della violazione delle leggi che presiedono ai vincoli ambientali), rilevante ai fini e per gli ef-fetti dell’articolo 323 del codice penale.” (Cassazione Penale - Sezione VI - Sentenza del 4 ot-tobre 2000 n. 10441 - Pres. Romano).* “In tema di abuso di ufficio deve ritenersi che la concessione edilizia senza rispetto del pianoregolatore generale integra una violazione di legge rilevante al fine della configurabilità delreato di cui all’art. 323 c.p. (Ha specificato la Corte nella fattispecie, relativa a concessione edi-lizia in zona inedificabile, che il piano regolatore generale continue prescrizioni immediata ap-plicazione, pur potendo assumere anche carattere programmatorio di scelte generali. Neconsegue - sotto il profilo del soddisfacimento del principio della determinatezza della fattispecieincriminatrice - la sussistenza del dovere da parte della competente autorità amministrativa diprovvedere ai sensi dell’art. 4 della L. n. 10 del 1977 (caratteristiche della concessione edilizia)e dell’art. 31 della legge n. 1150 del 1942, dati normativi che costituiscono il principio discri-minatorio della condotta lecita da quella illecita).”(Cassazione Penale - Sezione VI - Sentenzadel 29 maggio 2000 n. 6247 - Pres. Pisanti).Ritenendo applicabili anche nel contesto della rinnovata disciplina i principi giurisprudenzialisopra esposti, si trasmette il presente atto per quanto sarà ritenuto di propria competenza.

Luogo e data Firma

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L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO - PROCEDURE DI CONTROLLO

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PARTE SESTA

Inquinamento atmosferico:illeciti e procedure di controllo

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L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO - PROCEDURE DI CONTROLLO

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§ 3. L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO NELLA GIURISPRUDENZARELATIVA ALL’ART. 674 CODICE PENALE

3.1 L’applicabilità dell’art. 674 del Codice PenalePer quanto concerne l’impianto sanzionatorio il sistema non è sostanzialmente

cambiato rispetto al D.P.R. 203/88, per cui si tratta ancora di contravvenzioni. Lenorme poste dalla nuova disciplina si presentano scarsamente utilizzabili in terminiconcreti da parte della cittadinanza e gli interventi di P.G. sono principalmente alivello formale.

Per l’operatore di P.G. si deve sottolineare l’art. 674 del Codice penale che erae resta, di fatto, la norma più immediatamente e concretamente applicabile sul ter-ritorio contro i fenomeni più diffusi di inquinamento aeriforme, inclusi quei mi-crofenomeni che coinvolgono sempre più spesso la cittadinanza (essendo il testofinalizzato a presentare aspetti pratici e concreti di intervento per la P.G. troviamoutile pertanto dedicare uno spazio particolare a questo strumento giuridico a tut-t’oggi realmente operativo).

L’art. 674 del Codice Penale punisce «chiunque... nei casi non consentiti dallalegge provoca emissioni di gas, di vapori o di fumi atti ad offendere o imbrattare omolestare persone». Certamente si tratta di norma non varata per essere applicataspecificamente in questo campo, e diretta per lo più verso forme meno gravi, piùfamiliari e quotidiane di azioni in materia. Tuttavia l’elaborazione alla quale la giu-risprudenza ha sottoposto tale articolo del Codice Penale ha fatto sì che questo rap-presenti oggi un valido strumento disponibile per combattere l’inquinamentoatmosferico anche nelle forme più gravi ed industrializzate.

Non si tratta di una forzatura interpretativa isolata ma ormai di costante e ve-tusta scelta giurisprudenziale della Corte di Cassazione e dunque la P.G. può pro-cedere all’applicazione di tale articolo in tutta tranquillità.

Del resto mentre la «legge antismog» e la Parte Quinta del D. Lgs. n. 152/2006restano pur sempre leggi che prevedono dettati di pura forma e prescindono daglieffetti reali e concreti dell’inquinamento e perseguono (per modo di dire) il solomancato rispetto burocratico di alcuni parametri, l’art. 674 C.P. entra nel merito enella sostanza del caso di inquinamento e persegue il fatto materiale di inquinare insenso stretto.

Trattasi di reato di pericolo e di reato istantaneo per cui non solo è sufficiente,per la dichiarazione di responsabilità, che i fumi siano potenzialmente idonei a pro-durre almeno uno degli effetti prospettati nel disposto di legge, non essendo altresìnecessario provare che essi si siano verificati, ma non è nemmeno richiesta la ripe-tizione di più atti, bastando che l’emissione di gas, vapori, fumo si verifichi una solavolta. Si veda Cassazione Pen., Sez. I, 5-17 giugno 1997, n. 5912: «Poiché la con-travvenzione di cui all’articolo 674 del c.p. costituisce reato di pericolo, non è ne-

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cessario, per la punibilità della condotta, che le emissioni di gas, di vapori o di fumo(nella specie, l’imputato era un restauratore di mobili che, lasciando asciugare i mo-bili all’esterno della bottega, provocava emissioni di odori sgradevoli) provochinoun effettivo nocumento, essendo sufficiente l’attitudine delle stesse a offendere, im-brattare, molestare persone, cioè ad arrecare a esse disagio, fastidio o disturbo, ov-vero a turbarne il modo di vita quotidiano».

Tale assunto è stato anche in seguito ribadito dalla stessa Corte di Cassazione.Recentemente si veda Cassazione Penale, Sez. III, sentenza del 14 novembre 2008,n. 42533: « Per il reato di getto pericoloso di cose, il Tribunale si è adeguato allagiurisprudenza di questa Corte secondo cui

• “la fattispecie di cui all’art. 674 cod. pen. non richiede per la sua configu-rabilità il verificarsi di un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente ilsemplice realizzarsi di una situazione di pericolo di offesa al bene che la norma in-tende tutelare…, atteso che anche con ciò può determinarsi un rischio per la salu-brità dell’ambiente e conseguentemente della salute umana” [Cassazione Sezione IIIn. 46846/2005, RV. 232652];

• tale ipotesi di reato può concorrere con quelle relative alla tutela dell’am-biente stante la diversa struttura della fattispecie e i differenti beni giuridici tutelati[cfr. Cassazione Sezione I n. 26109/2005, RV 231882]. ».

Molto interessante è anche un’altra pronuncia della Cassazione sempre in ma-teria di emissioni provocate da attività industriali (nella fattispecie: versamento dipolveri in atmosfera) e violazione dell’art. 674 c.p..

In tale occasione la Sezione III Penale, con sentenza n. 16286 del 17 aprile2009, precisa che: « Nel linguaggio corrente s’intende per “polvere” un “insiemeincoerente di particelle molto minute e leggere di terra arida, detriti, sabbia ecc.,che, sollevate e trasportate dal vento, si depositano ovunque”. S’intende invece per“fumo” il “residuo gassoso della combustione che trascina in sospensione particellesolide in forma di nuvola grigiastra o bianca”. Ne deriva che, pur trattandosi sem-pre di minuscole particelle, il fumo si distingue dalla polvere perché è sempre unprodotto della combustione, sicché la polvere, essendo prodotto di frantumazione,ma non di combustione, non può essere ricompresa nella nozione di fumo. In con-clusione, quindi, la diffusione di polveri nell’atmosfera va contestata … come ver-samento di cose ai sensi della prima ipotesi dell’art. 674 c.p. e non come emissionedi fumo. », sottolinenando poi che: «Il versamento di polveri in atmosfera … nonè reato necessariamente doloso, ma può essere imputato anche a titolo di colpa, equesta ovviamente può consistere anche nella omissione di cautele doverose… ». Igiudici della Suprema Corte proseguono affermando che: «Il soggetto al quale l’or-dinamento attribuisce una posizione di garanzia nei confronti dell’interesse collet-tivo alla salute e alla incolumità, come il titolare di una impresa potenzialmentepericolosa, deve evitare di mettere a repentaglio quell’interesse, ovverosia ha l’ob-bligo di evitare ogni evento di pericolo. Nelle ipotesi in esame, egli ha l’obbligo di

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L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO - PROCEDURE DI CONTROLLO

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evitare il versamento di polveri o l’emissione di gas, vapori e fumi, in quanto peri-colosi per la salute pubblica. Su questa base, la disposizione incriminatrice, come in-tegrata dall’art. 40 cpv. c.p., mette a suo carico non solo ogni condotta attiva(generalmente dolosa), ma anche ogni condotta omissiva (in genere colposa) cheprovochi l’evento pericoloso. Quello che conta, infatti, …è il risultato da evitare,non la condotta, sicché il legislatore si preoccupa di imporre al titolare della posi-zione di garanzia soltanto un obbligo di risultato, indipendentemente da ogni vin-colo di comportamento. », «Orbene, in tale categoria di reati può e deve sussumersiil versamento di polveri in atmosfera, come anche la emissione di vapori, gas e fumi,atti a imbrattare, offendere o molestare persone, trattandosi di contravvenzioni,strutturalmente omologhe, per le quali la norma incriminatrice tende a evitarel’evento pericoloso per la salute pubblica, indipendentemente dalle modalità com-portamentale (positive o negative) con cui si realizza il versamento o l’emissione. ».

«A rigore, quindi, si deve negare che le due ipotesi contravvenzionali previstenell’art. 674 c.p. o le menzionate contravvenzioni di emissioni extratabellari con-figurino necessariamente reati di condotta attiva. A ben vedere esse si atteggianocome reati di evento pericoloso, dove l’evento può essere cagionato da una con-dotta attiva od omissiva, dolosa o colposa…».

« Si deve pertanto concludere che il reato de quo nei congrui casi può ancheatteggiarsi come reato commissivo mediante omissione (cd. reato omissivo impro-prio) ogni qual volta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi (anche)dalla omissione (dolosa o colposa) del soggetto che aveva l’obbligo giuridico di evi-tarlo. Ovviamente, in tutti i casi suddetti, presupposto indispensabile perché si con-figuri un reato commissivo mediante omissione è che l’agente sia gravato da unobbligo giuridico di impedire l’evento. ».

« Così inquadrata la diffusione in atmosfera di polveri moleste o pericolosenella fattispecie prevista dalla prima parte dell’art. 674 c.p., viene escluso ogni rilievoalla clausola “nei casi non consentiti dalla legge”, che è propriamente riservata allaemissione di gas, vapori o fumi prevista nella seconda parte della norma. », «… lapredetta clausola [“nei casi non consentiti dalla legge”] esclude il reato non per tuttele emissioni provocate dalla attività industriale regolamentata e autorizzata, ma soloper quelle emissioni che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari oaltre determinate disposizioni amministrative. Solo queste ultime emissioni si pre-sumono legittime. Non possono presumersi come legittime, invece, le altre emis-sioni, connesse più o meno direttamente all’attività produttiva regolamentata, cheil legislatore non disciplina specificamente o che addirittura considera pericoloseperché superiori ai limiti tabellari, o che vuole comunque evitare attraverso misuredi prevenzione e di cautela imposte all’imprenditore. »

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PARTE SETTIMA

Aspetti operativi della polizia giudiziariain materia di tutela giuridica degli animali

Parte realizzata con il contributo dell’Avv. Carla Campanaro

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§ 2. LA LEGGE 189 DEL 2004

Con la legge 189 del 2004 il Parlamento ha introdotto delle nuove normea tutela degli animali, tramite la tecnica della novellazione, inserendo nel se-condo libro del codice penale subito prima dei “Delitti contro la famiglia” il capoIX bis “Dei delitti contro il sentimento per gli animali” che introduce quattro fatti-specie penalmente rilevanti. L’intervento nasce estrapolando diverse previsioniincriminatrici presenti nel precedente art. 727 c.p., già modificato nel 1993,elevandole al rango di delitti con conseguente innalzamento delle pene e deitermini di prescrizione, mentre l’art. 727 c.p. resta a disciplinare la fattispeciedi abbandono degli animali e detenzione in condizioni incompatibili, come il-lecito contravvenzionale con termine di prescrizione da 3 a 4 anni e mezzo incaso d’interruzione. Non è invece incorporato nel codice penale il divieto dicommercializzazione di abiti confezionati con pelliccia di cane e gatto, an-ch’esso punito a titolo di contravvenzione.

Le sanzioni diventano così molto più incisive, finalmente l’uccisione in-giustificata di animali propri è reato, seppur attuate senza gravi sofferenze e lasomministrazione di sostanze stupefacenti o la sottoposizione a trattamenti chene procurano un danno alla salute degli stessi, le scommesse ed i combattimentitra cani sono fortemente sanzionati.

È inoltre prevista la confisca obbligatoria degli animali oggetto di tali reati,anche in caso di patteggiamento, e dunque anche il sequestro preventivo deglistessi ai sensi dell’art. 321 c.p.p. co. III bis.

2.1 Analisi delle singole fattispecie criminose:

2.1.1 Art. 544 Bis c.p. “Uccisione di animali”Il primo reato che apre il nuovo capo a tutela degli animali è l’art 544 bis

c.p. sotto il nomen iuris di “Uccisione di animali”, stabilisce che “Chiunque, percrudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione daquattro mesi a due anni.” Non può non riconoscersi come il suo dettato letteralericalchi la fattispecie di cui all’art 575 del codice penale “omicidio” che punisce‘‘chiunque cagiona la morte di un uomo..’’, ed infatti è stato ribattezzato dalla dot-trina più recente con il neologismo di “animalicidio”. Rispetto alla precedentedisciplina l’uccisione di animali diventa così, finalmente, un’autonoma ipotesidi reato, mentre nella precedente formulazione non era punibile autonoma-mente ma comportava solo un aggravamento della pena del reato di maltratta-mento, se attuata con gravi sofferenze. Quest’articolo colma così una grave edinspiegabile lacuna del nostro ordinamento per cui prima dell’introduzione dellanorma, l’uccisione immotivata di animali propri non era sanzionabile nè ai sensidell’art 638 c.p. che punisce solo l’uccisione di animali altrui, nè ai sensi del-

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l’art 727 c.p. se attuata senza gravi sofferenze, ad esempio con metodi indo-lore. Tale vuoto normativo fu anche oggetto di una questione di legittimitàcostituzionale, risoltasi però con la dichiarazione d’inammissibilità di una sen-tenza additiva in malam partem da parte della Corte Costituzionale (Corte Cos-tituzionale Sentenza 411/95) che non ha potuto fare altro che ribadire la suaimpossibilità all’introduzione di nuove fattispecie penali.

Il reato di uccisione di animali è un reato a forma libera, incentrato sullacondotta di cagionare, considerando ogni tipo di azione collegata all’eventomorte dell’animale da un nesso di causalità. Assai rilevante e da tener presenteè dunque l’ampia prospettiva del verbo cagionare, condotta tipica del reato dequo, che porta alla penale rilevanza di molteplici azioni o omissioni, potendotale condotta essere costituita sia da un’azione sia da un’omissione, come con-fermato dalla Corte di Cassazione con una rilevante pronuncia per cui “il nuovodelitto si configura come reato a dolo specifico, nel caso in cui la condotta lesiva dell'in-tegrità e della vita dell’animale - che può consistere sia in un comportamento commissivocome omissivo - sia tenuta per crudeltà, e a dolo generico quando essa è tenuta, come nelcaso in esame, senza necessità’’. (Cass.Pen, Sez III, Presidente E. Papa, RelatoreM. Margherita sentenza n. 44822/07).

Dunque, aspetto di non poca importanza per gli operatori di settore, ilreato in esame potrà essere integrato anche da una condotta omissiva ad es-empio di incuria ed abbandono come confermato da un costante orientamentogiurisprudenziale in merito. È stato infatti riscontrato il reato di uccisione dianimali ai sensi dell’articolo 544 bis c.p. nel caso di un cane da caccia tenuto seg-regato con altri in una stanza senza cibo nè luce e successivamente morto d’in-curia e disidratazione (Trib. di Treviso DPC 2005-gli altri cani sequestrati sonostati poi confiscati ed affidati alla Lav) mentre il Tribunale Penale di Roma harinviato a giudizio per uccisione di animale il proprietario di un gatto colpev-ole di averne causato la morte avendolo lasciato morire di inedia nella propriaabitazione (Trib. Penale di Roma ud.27 maggio 2008- Lav ente denunciante).

Non pare inoltre superfluo precisare come, per quanto riguarda la causal-ità omissiva ex art 40 comma 2 del codice penale in relazione all’art 544 bis, tere 727 c.p. questa si ravvisa ogni qual volta si integri la violazione dell’obbligodi agire, di impedire il verificarsi dell’evento danno di morte e maltrattamento,in violazione del c.d. obbligo di garanzia del soggetto, generalmente il padronedell’animale, ma ben può trattarsi anche del gestore di un canile che ha la re-sponsabilità dei cani in custodia o del medico veterinario che aveva il controllosanitario sugli animali da esso posseduti e dunque anche la responsabilità sulloro benessere. In tali casi occorre identificare, oltre la ricostruzione in via mera-mente ipotetica dell’efficacia del trattamento omesso l’individuazione delle con-dotte positive che, se poste in essere, avrebbero evitato il prodursi degli eventidanno, quali le cure più basilari ed il nutrimento e sostentamento agli animali

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eventualmente morti per inedia. Ininfluente al fine della rilevanza penale dellacondotta, il mezzo impiegato per cagionare il decesso, che può essere fisico,diretto o indiretto, ed il fine dello stesso.

È evidente che in linea di massima comportamenti cruenti consisteranno incondotte positive come il colpire un animale, mentre quelli non necessitati po-tranno consistere anche in una condotta omissiva come precedentemente esposto.

Essendo l’evento morte il momento in cui si consuma tale reato sarà con-figurabile il tentativo, sia nella forma del tentativo compiuto che incompiuto,con logiche ripercussioni in tema di intervento delle forze di polizia giudiziariache, su denuncia di privati o di propria iniziativa, ai sensi dell’art 55 c.p.p. po-tranno/dovranno intervenire sul nascere della condotta criminosa per impedireil consumarsi dell’evento morte, ad esempio compiendo un sequestro preven-tivo d’urgenza ex art 321 c.p.p. ed ovviamente a tal fine sarà necessario l’ac-certamento concreto sull’idoneità dell’azione posta in essere dall’agente.

Ciò considerato non può non rilevarsi come l’introduzione del reato di“animalicidio” configura una scelta di tecnica di tutela assai intensa seppur comeè ovvio, non sarà punita l’uccisione di animale di per se, ma soltanto quella in-giustificata o in alternativa crudele, in base ai requisiti di illiceità speciale pre-visti dalla norma, che saranno di seguito analizzati (cfr 2.1.2 Illiceità speciale, lacrudeltà e la mancanza di necessità).

Per quanto riguarda l’uccisione di animale ad opera di altro animale sfug-gita al custode, in linea di principio non dovrebbe rientrare nell’ipotesi di reatoin oggetto, trattandosi di evento colposo che può generare però una forma diresponsabilità civile (art. 2052 del Codice Civile), ma andrà comunque effet-tuato un accertamento attento caso per caso, in quanto nulla vieta che l’animalesia stato utilizzato come arma per uccidere, senza necessità o con crudeltà, unaltro animale.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo la fattispecie in esame prevedeil dolo nella forma del dolo generico inteso non come la necessaria e specificavolontà di cagionare l’evento morte, essendo invece sufficiente per la respons-abilità penale la previsione che l’azione o omissione intrapresa anche per altrefinalità comporti anche la mera possibilità del ravvisarsi di tale evento, anche atitolo di dolo eventuale inteso quale mera accettazione del rischio di verifi-cazione dell’evento come conseguenza di una propria condotta . Esula invece,dall’ambito di applicazione della norma, l’uccisione meramente colposa, tut-tavia, l’ammissibilità del dolo eventuale, assai vicino all’atto pratico alla “colpacosciente”, potrebbe consentire la punibilità di comportamenti limite, qualoradi oggettiva gravità. La reclusione prevista è dai 3 ai 18 mesi, per cui non sonoammesse misure di arresto o misure cautelari, mentre la competenza è del giu-dice monocratico su citazione diretta del PM.

Inoltre il Tribunale Penale dell’Aquila correla il dettato della legge 189 del

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2004, ovvero il divieto di uccisione indiscriminata di animali ai sensi dell’art.544 bis c.p. alla disciplina speciale a tutela degli animali d’affezione, legge 281del 1991 “Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randag-ismo”, ai cui principi anche e soprattutto i funzionari del Servizio VeterinarioNazionale devono attenersi nello svolgimento delle loro mansioni di controllodel randagismo e nelle attività ad esse correlate, e per cui si ricava che, nell’e-sercizio delle sue funzioni, un veterinario ASL può sopprimere o ordinare lasoppressione di un cane, randagio o padronale che sia, solo per i tassativi mo-tivi di cui all’art. 2 comma 6 legge 281 del 1991, e cioè per gravi condizionidi salute o per comprovata pericolosità, elementi che devono certamenteessere letti e valutati in un’ottica restrittiva, in linea con la tutela del benegiuridico animale, oggi tutelato penalmente con forza ai sensi della legge 189del 2004. Solo dunque in tali ipotesi possono essere scriminate condotte altri-menti penalmente rilevanti e cioè l’uccisione immotivata di cani, sia randagi chepadronali.

Sul punto si è pronunciata anche la Corte di appello dell’Aquila, con lasentenza n. 3395 del 2011 che confermava la condanna in primo grado. Standoal Collegio di giudicanti il quadro normativo fornito dal giudice di primo gradoche disciplina la materia di riferimento è irreprensibile. La legge regionaleAbruzzo, in linea con quanto disposto dalla legge quadro sulla tutela degli an-imali d’affezione vieta in linea generale l’uccisione dei cani, eccetto che per imotivi già indicati dall’articolo 6 della legge quadro ed art. 13 della legge re-gionale. Analogamente il delitto di cui all’art. 544 bis sanziona le uccisioni dianimali non necessitate, rientrando in tale ultima nozione “lo stato di necessità pre-visto dall’art. 54 c.p. nonché ogni altra situazione che induca all’uccisione dell’animaleper impedire l’aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti in-evitabile” (cfr. Cassazione penale n. 44822 del 24 ottobre 2007). Pertanto nelcaso in esame la Corte di Appello ritiene non sussistenti i motivi idonei a scrim-inare le indebite uccisioni, in quanto i cuccioli si trovavano all’interno di unaproprietà privata e l’invasione della sede stradale rappresentava, come già affer-mato dal giudice di primo grado, un pericolo solo potenziale “al quale potevaovviarsi trovando altre soluzioni”. Ne vale a scriminare la condotta e dunquepuò essere considerato motivo sanitario, secondo i magistrati, lacarenza dei posti nel canile o le apodittiche e generiche dichiarazionisu presunte trasmissibilità di patologie all’uomo ed ad altri cani di virusda parte dei cuccioli, di cui peraltro era accertato il buono stato di salute.Per quanto riguarda l’interpretazione della comprovata pericolosità ed i gravimotivi sanitari ancora una volta è quindi confermata un’interpretazione deltutto restrittiva che non lascia spazio a generalizzate soppressioni. Anche perquanto riguarda la tesi dell’adempimento del dovere, il Collegio rigetta in totola difesa dell’imputato, in quanto quest’ultima si applica a condizione che l’or-

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dine del superiore gerarchico sia assolutamente insindacabile e ciò non si veri-fica, ragiona il Collegio, quando come nella specie “l’ordine sia palesemente ille-gittimo e si concreti nella richiesta di provvedere alla commissione di un reato”. A talproposito non pare superfluo rilevare che colui che esercita un’azione controla legge nella convinzione erronea di esercitare un diritto o l’adempimento diun dovere, non è scriminato per esercizio putativo di un diritto, in quanto egliversa in errore non relativamente al fatto, ma sulla efficacia giuridica dellanorma penale e dunque in stato inescusabile di ignoranza penale, non essendoinvocabile l’ignoranza della legge penale ex art. 5 c.p., alla luce dell’orienta-mento costituzionale, da parte di chi, professionalmente inserito nel campo diattività collegato alla materia disciplinata dalla legge integratrice del precettopenale , non si uniforma alle regole del settore, per lui facilmente conoscibiliin ragione dell’attività professionale svolta (Cass. Sez. III sent. 22813/04, ud.15/04/04). Inoltre l’obbligo d’informazione e di ordinaria diligenza previstoper il comune cittadino ai fini della eventuale scusabilità dell’ignoranza dellalegge penale ex art. 5 c.p. è, giustamente, assai rigoroso per coloro i quali svol-gono professionalmente una determinata attività pubblica, quali ad esempio imedici veterinari ASL.

2.1.2 Illiceità speciale, la crudeltà e la mancanza di necessitàPer la sussistenza del reato di uccisione di animali sono necessari due re-

quisiti di illiceità speciale: la crudeltà e la mancanza di necessità. La loro sussistenzaserve a rendere penalmente rilevante la condotta di uccisione di animale chedunque non è illecita in se e per se, ma solo in presenza in via alternativa di talirequisiti, in quanto la crudeltà non necessita della mancanza di necessità, per-ché l’incrudelimento presuppone di per se stesso l’assenza di qualsiasi giustifi-cabile motivo da parte dell’agente. Tali requisiti provengono dall’originario art.727 c.p. che li prevedeva in via concorrente, punendo “l’incrudelimento deglianimali senza necessità”. Rispetto al passato la grande innovazione è che tali re-quisiti sono previsti in via alternativa, e così oggi sarà punibile ad esempio l’ab-battimento di animali non malati, cioè senza necessità, o l’abbattimento cruentodi animali malati.

In particolare per quanto riguarda “la crudeltà”, si considera la giuri-sprudenza del precedente art. 727 c.p., per cui si intende un’uccisione o unmaltrattamento con atti concreti di volontaria inflizione di sofferenze anchea causa di insensibilità dell’autore del reato. Non è necessario infatti il soloscopo della malvagità nè occorre per forza un truce compiacimento nell’in-fierire sull’animale, potendosi avere crudeltà anche per mera insensibilità edindifferenza dell’autore ad atti di per sé oggettivamente crudeli, nè sono ne-cessari per forza veri e propri atti di torture o barbarie. Inoltre la circostanzaaggravante dei motivi abbietti o futili ex art 61 c.p. comma 1 è compatibile

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GLOSSARIO

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Glossario

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TECNICA DI POLIZIA GIUDIZIARIA AMBIENTALE

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Acque reflue: i liquami provenienti dalle attività fisiologiche dell’uomo (metaboli-smo), oppure da sue attività lavorative primarie (agricoltura e allevamento di bestiame)o secondarie (industria). Tali liquami contengono sostanze organiche ed inorganichesovente assai nocive le quali, se immesse senza alcun trattamento di depurazione (ocon un trattamento incompleto o comunque inefficace) nell’ambiente naturale, lo con-taminano con negative conseguenze a carico degli esseri viventi nell’ambiente mede-simo. Quando le acque reflue vengono scaricate dalla fonte produttrice (industriale odomestica) direttamente su un corpo ricettore entro il contesto della parte terza decreton. 152/06, costituiscono uno “scarico”, concetto che rappresenta una deroga rispettoalla gestione dei rifiuti liquidi prevista dal medesimo decreto parte quarta.

Area naturale protetta: territorio sottoposto al regime di tutela e di gestione alloscopo di perseguire, in particolare, le seguenti finalità:a) conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di sin-golarità geologiche, di formazioni palentologiche, di comunità biologiche, di biotopi,di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici,di equilibri ecologici;b) applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare unaintegrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valoriantropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastoralie tradizionali;c) promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, ancheinterdisciplinare, nonché di attività ricreative compatibili;d) difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici.Il termine è da ritenersi adeguato soltanto per quei territori caratterizzati da un elevatovalore ambientale e per i quali, oltre alla generale normativa a tutela dell’ambiente, sirende necessario uno specifico intervento legislativo ed amministrativo al fine di garan-tire e promuovere la conservazione e la valorizzazione dell’ecosistema di riferimento.La normativa di riferimento è la legge quadro sulle aree naturale protette (L. n.394/1991) e successive modifiche oltre alle varie leggi regionali in materia.A titolo esemplificativo sono da chiamarsi con cognizione di causa aree naturali pro-tette i parchi nazionali, i parchi regionali, i parchi interregionali, le riserve statali, le ri-serve regionali ed i parchi regionali. A questa classificazione, rintracciabile nella leggequadro nazionale, occorre integrare tutte quelle aree naturali protette regionali, per lequali il legislatore (regionale) può prevedere una espressione semantica differente.L’errore più frequente è quello di chiamare “area naturale protetta” od “area protetta”qualunque territorio che la quotidianità ci induce, chiaramente in buona fede, a chiamare“parco”, ma così non è. Spesso ciò che chiamiamo “parco” è in realtà una zona che ilpiano regolatore comunale o altro piano di governo del territorio, dedica “a verde”. Ciò non toglie che non si pongano per essa problemi di tutela, di gestione, di fruizionepubblica e di accessibilità, ma non può essere tale area qualificata “naturale protetta”;questo ovviamente non significa che non sia comunque da proteggere ma soltanto cheesiste una diversa fonte normativa, la legislazione sul governo del territorio, a cui fareriferimento e da cui attingere per raggiungere tale scopo.Un area naturale protetta necessita di un iter di individuazione, di una delimitazione

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GLOSSARIO

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territoriale, spesso cartellonata ma non necessariamente, di riferimenti alla normativadi settore, Legge n. 394/91 e sue modifiche o le leggi regionali, di una organizzazioneappositamente dedicata, spesso ci si riferisce all’Ente parco, ma tale termine è specificosolo per i parchi nazionali, e di appositi strumenti di gestione.

Autorità amministrativa: con questo termine si indica l’organo (o l’insieme degli or-gani) a cui spetta l’esercizio della funzione amministrativa. La funzione amministrativaè l’attività diretta alla realizzazione degli interessi pubblici dello Stato attraverso prov-vedimenti che danno effettiva operatività all’astratto contenuto delle leggi. La funzione amministrativa è esercitata dallo Stato e dagli altri Enti pubblici (come leRegioni, le Province, i Comuni).

Autorità giudiziaria: organo a cui spetta l’esercizio della funzione giurisdizionale. Lafunzione giurisdizionale (o giurisdizione) è l’attività volta a garantire l’applicazione el’osservanza della legge nei casi concreti, ed è esercitata dai giudici (il cui insieme co-stituisce la magistratura). Il giudice, mediante la sentenza, dà una interpretazione dellalegge e la applica al caso concreto.L’autorità giudiziaria si distingue, secondo le competenze, in civile, penale e ammini-strativa. L’autorità giudiziaria civile (Giudici di Pace, Tribunali, Corte d’Appello, Cortedi Cassazione) è competente per la soluzione delle controversie che sorgono tra pri-vati. È inoltre competente per le controversie tra privati e Pubblica Amministrazioneper la difesa dei diritti soggettivi dei primi.L’autorità giudiziaria penale (Giudici di Pace, Tribunali, Corte d’Appello, Corte d’As-sise, Corte di Cassazione) è competente per la punizione di quei comportamenti chesono considerati dalla legge come reato. È l’autorità giudiziaria penale che, a seguitodi un processo penale, applica le sanzioni penali (o pene) ai responsabili del compor-tamento illecito. L’autorità giudiziaria amministrativa generale (Tribunali amministra-tivi regionali, Consiglio di Stato) è competente per le controversie tra privati e PubblicaAmministrazione per la difesa dell’interesse dei primi a un corretto funzionamentodella P.A. Si può dunque ricorrere all’autorità giudiziaria amministrativa nel caso in cuisi lamenti un “cattivo uso” del potere da parte dell’amministrazione pubblica.

Calunnia: reato disciplinato dall’articolo 368 del Codice penale. Lo commette chi,mediante una denuncia anche anonima o sotto falso nome, incolpa di un reato qual-cuno (una persona, una impresa, un ente) sapendo invece che è innocente, oppure si-mula a suo carico delle tracce di reato. È dunque importante, per non commetterequesto reato, che i fatti di danneggiamento ambientale che si denunciano all’autoritàpubblica abbiano una reale fondatezza, soprattutto se viene indicato il nome dei pre-sunti responsabili (persone fisiche, imprese, Enti).

Carotaggio: in campo ambientale rientra nelle operazioni relative alla bonifica di sitiinquinati (D.M. 471/99), si utilizza per esempio in caso di sversamento di sostanzepericolose sul terreno. L’operazione di carotaggio viene eseguita mediante il prelievodi “carote” (campione di terreno di forma cilindrica prelevato con sistema meccanico),per verificare la quota/il livello dell’infiltrazione dell’inquinante nel terreno.

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Maurizio Santoloci inizia da adolescentead impegnarsi nella tutela degli animali edell’ambiente. Fonda con un gruppo dialtri giovanissimi una associazione spon-tanea denominata MAPAN (MovimentoAnticaccia Protezione Animali e Natura),una delle prime strutture di volontarito dibase che opera in Italia negli anni ‘70/80.È stato poi per 12 anni Vice-Presidentedel WWF Italia. Mentre oggi è Direttoredell’Ufficio Legale della LAV. Dopo la laurea in legge vince il concorsoper entrare in magistratura. La prima no-mina è quella di Pretore di Sorgono, aNuoro. Tra le prime iniziative giurisdi-zionali si annovera la creazione della teo-ria della caccia abusiva come furtovenatorio.A fine 1984 diventa Pretore di Amelia, inprovincia di Terni. Anche in questa sedefirma una serie di sentenze e provvedi-menti che saranno pubblicati a livello na-zionale.

Promuove inoltre iniziative giudiziarie sulcampo, tra le quali una grande operazionedi polizia giudiziaria coordinata da lui stessosul territorio in collaborazione con il CFSe la Polizia Municipale; vengono seque-strate costruzioni abusive in violazione deivincoli paesaggistici, scarichi e cave illegali.

Chi è Maurizio Santoloci

Maurizio Santoloci che, attivista di base, attacca imanifesti per le prime campagne ambientaliste in oc-casione di manifestazioni contro la caccia ed i campi di“tiro al piccione”. Sotto - lo stemma del MAPAN.

Maurizio Santoloci inizia a dirigere una delle ope-razioni di PG con il CFS. Da queste operazioninascono poi sentenze innovative, come la giuri-sprudenda sulla “legge Galasso”.

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È stato consigliere giuridico del Ministroper l’Ambiente On. Valerio Zanone aglialbori della costituzione del Ministero.Successivamente il Ministro dell’AmbienteSen. Edo Ronchi nel luglio 1997 lo hanominato membro della “ComissioneEcomafia” istituita presso il Ministero. È stato consulente della Commissione Bi-camerale del Parlamento di inchiesta sultraffico dei rifiuti. Nel 2006 il Ministrodell’Ambiente lo nomina suo consiglieregiuridico per il contrasto alla criminalitàorganizzata in materia ambientale ed ènominato membro dell’Osservatorio Cri-mini Ambientali istituito presso il Mini-stero. Partecipa anche ai lavori dellaCommissione per la revisione del “T.U.ambientale”. È Direttore del “Centro Studiper la promozione scientifica e le tecniche di po-lizia giudiziaria ambientale” per il CFS.È Direttore della Testata giornalistica online Diritto all’ambiente ed in collabora-zione con Diritto all’Ambiente - Corsi &Fomazione ha partecipato ad eventi for-mativi e numerose iniziative di caratteredidattico.

A fianco delle attività pratiche sul territo-rio, Maurizio Santoloci opera una intensaattività didattica di formazione verso glioperatori di polizia. Delinea una sua ma-teria specifica: “Tecnica di Polizia Giudi-ziaria Ambientale”. Inizia le docenze inSardegna negli anni di esercizio presso laPretura di Sorgono, e quando diventaPretore di Amelia il Corpo Forestale delloStato lo chiama come docente presso lesue Scuole. Inizia a formare il personalenel 1985, con le prime “operazioniadorno” per il contrasto al bracconaggiosullo stretto di Messina. Ma Santoloci èsubito impegnato anche nelle docenzepresso il Nucleo Operativo Ecologico deiCarabinieri, fin dai primissimi momentidella nascita del NOE. In questi anni hatenuto lezioni e conferenze anche per ilCorpo della Capitanerie di Porto-Guar-dia Costiera, per la Guardia di Finanza eper molte polizie provinciali e municipali,nonchè per il personale di molte pubbli-che amministrazioni.

Oggi Maurizio Santoloci è magistrato diCassazione con funzioni di GIP presso ilTribunale Penale di Terni.

L’AUTORE

Maurizio Santoloci svolge una lezione al primogruppo di operatori del NOE dei Carabinieri ap-pena costituito, presso gli uffici della vecchia sededel Ministero dell’Ambiente in Piazza Venezia aRoma.

Maurizio Santoloci oggi.

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