Teatro Umanistico e Rinascimentale

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TEATRO UMANISTICO E RINASCIMENTALE 0. LINEE GUIDA E CONTESTO Nel più ampio fenomeno dell’umanesimo e del rinascimento si colloca la radice del teatro moderno, e l’origine dei più importanti teatri nazionali europei. In questo contesto di possono evidenziare quattro principali linee di frattura: 1) la riscoperta della tragedia e della commedia classiche in termini di studio filologico, che dà origine sia alla «commedia umanistica» e «regolare», sia alle drammaturgie nazionali di Francia, Inghilterra e Spagna; 2) la lettura e l’interpretazione critica della Poetica di Aristotele, che costituirà il testo di riferimento per tutta la successiva riflessione teatrale occidentale, in particolare per quanto riguarda l’idea della composizione drammatica basata sulle tre unità: tempo, spazio, azione; 3) lo studio e la reinvenzione dell’architettura teatrale romana, che promuove l’emergere della prospettiva scenica e infine anche dell’edificio teatrale vero e proprio; 4) la «commedia dell’arte» che segna l’avvento del professionismo nella pratica attoriale, trasformando al contempo lo spettacolo in un mercato. 1. RISCOPERTA DEI CLASSICI E FIORITURA DELLA COMMEDIA 1.1 L’ideale teatrale e la commedia umanistica L’autore protagonista, fin dall’inizio del trecento, della riscoperta del teatro classico è Seneca, le cui opere ispirarono la prima nuova tragedia del teatro europeo: l’Ecerinis di Mussato (1314). La tragedia si riferiva alla storia cittadina padovana, rievocando la figura di un tiranno, con chiari riferimenti alla situazione politica dell’epoca. Più in generale e più tardi, con la nascita della filologia umanistica, l’approccio ai testi di classici che non erano mai del tutto scomparsi come Plauto e Terenzio si rinnovò e diede vita alla commedia umanistica, una forma drammatica di ambiente universitario, composta più per scopi didattici che spettacolari, e legata alla nuova fioritura degli studi di retorica gestuale e della dizione nelle università come Pavia, Padova, Bologna, Pisa. In questo contesto l’ispirazione terenziana e plautiana si mescolava con la tradizione goliardica

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teatro del quattrocento e del cinquecento

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TEATRO UMANISTICO E RINASCIMENTALE

0. LINEE GUIDA E CONTESTO

Nel più ampio fenomeno dell’umanesimo e del rinascimento si colloca la radice del teatro moderno, e l’origine dei più importanti teatri nazionali europei. In questo contesto di possono evidenziare quattro principali linee di frattura: 1) la riscoperta della tragedia e della commedia classiche in termini di studio filologico, che dà origine sia alla «commedia umanistica» e «regolare», sia alle drammaturgie nazionali di Francia, Inghilterra e Spagna; 2) la lettura e l’interpretazione critica della Poetica di Aristotele, che costituirà il testo di riferimento per tutta la successiva riflessione teatrale occidentale, in particolare per quanto riguarda l’idea della composizione drammatica basata sulle tre unità: tempo, spazio, azione; 3) lo studio e la reinvenzione dell’architettura teatrale romana, che promuove l’emergere della prospettiva scenica e infine anche dell’edificio teatrale vero e proprio; 4) la «commedia dell’arte» che segna l’avvento del professionismo nella pratica attoriale, trasformando al contempo lo spettacolo in un mercato.

1. RISCOPERTA DEI CLASSICI E FIORITURA DELLA COMMEDIA

1.1 L’ideale teatrale e la commedia umanisticaL’autore protagonista, fin dall’inizio del trecento, della riscoperta del teatro classico è Seneca, le cui opere ispirarono la prima nuova tragedia del teatro europeo: l’Ecerinis di Mussato (1314). La tragedia si riferiva alla storia cittadina padovana, rievocando la figura di un tiranno, con chiari riferimenti alla situazione politica dell’epoca. Più in generale e più tardi, con la nascita della filologia umanistica, l’approccio ai testi di classici che non erano mai del tutto scomparsi come Plauto e Terenzio si rinnovò e diede vita alla commedia umanistica, una forma drammatica di ambiente universitario, composta più per scopi didattici che spettacolari, e legata alla nuova fioritura degli studi di retorica gestuale e della dizione nelle università come Pavia, Padova, Bologna, Pisa. In questo contesto l’ispirazione terenziana e plautiana si mescolava con la tradizione goliardica medievale, con effetti di satira sul presente politico delle città che si avviavano ad esaurire l’esperienza della libertà comunale.

1.2 Il rinascimento della drammaturgia: la commedia regolare e il dramma pastoraleNella prima metà del ‘400 si cominciarono a studiare, dapprima a Firenze e in area italiana e poi in tutta Europa, i testi dei classici greci (Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane), portati in Italia da Costantinopoli caduta in mano ai turchi e prima ancora da alcuni partecipanti bizantini al Concilio di Firenze (1439). Nella seconda metà del secolo, con l’invenzione della stampa, i testi dei tragici greci e di Seneca si diffusero in tutta Europa, riscuotendo successo presso gli intellettuali, ma trovando difficilmente occasione di essere messi in scena, al contrario delle commedie, sempre più rappresentate. La scoperta del teatro greco permise agli intellettuali di farsi un’idea ben più precisa e profonda di cosa significasse un testo teatrale, dato che le tragedie di Seneca non erano nemmeno pensate, probabilmente, per essere messe in scena. a) La corte estense di Ferrare si fece pioniera, nel campo della commedia regolare, cioè rigidamente strutturata sul modello classico latino in cinque atti. Dobbiamo all’Ariosto la prima commedia in volgare, la Cassaria (1508), che intrecciava il modello plautino con l’osservazione della realtà contemporanea. La commedia regolare era una commedia squisitamente legata al mondo della corte, fondata sulla alleanza tra aristocrazia di potere e aristocrazia intellettuale, e pertanto miope nei confronti della complessa realtà sociale che la circondava, nondimeno restò a

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lungo un modello di perfezione formale sia dal punto di vista della lingua, sia della struttura ordinata dell’azione. I temi erano la svalutazione della borghesia e la messa in rilievo dei suoi vizi, con il chiaro obiettivo di rafforzare l’immagine del principe contro i ceti mercantili e professionali che erano stati protagonisti della precedente stagione comunale.b) In contemporanea ad Ariosto opera a Firenze, emarginato però dalla vita activa Niccolò Machiavelli, che realizzò una versione da Aristofane (andata perduta) e soprattutto compose la Mandragola (1514), geniale commedia di stampo plautesco con risvolti pessimistici sulla capacità umana di agire con dignità ed onestà, con chiari riflessi di critica alla politica dell’epoca.c) Un altro autore sempre di area toscana è l’Aretino, famoso per la Cortigiana (1525) che sconvolge radicalmente la commedia regolare e la deforma in satira contro l’aristocrazia romana, che si rivela essere ben più spregevole delle «virtuose» cortigiane. Il contenuto era talmente polemico che ne rese impossibile la rappresentazione e gli rese ostile l’ambiente romano, costringendolo infine a rifugiarsi a Venezia, dove diede vita ad una seconda versione ripulita.d) Angelo Beolco detto il Ruzzante, dal nome del contadino protagonista delle sue opere, che egli stesso interpretava nella sua compagnia semiprofessionistica, rappresenta un riuscito esempio di riscrittura anticlassica dei modelli romani, fu ospite di numerose corti dove poté rappresentare le sue opere, che avevano per protagonista un villano, e lo seguivano nelle varie fasi della sua vita, seguendo il suo sviluppo naturale, dalla giovinezza al matrimonio, fino al momento di partire per la guerra e così via, indagando i temi della vita quotidiana agricola.

Il dramma pastorale sorse a partire da una speculazione sulla natura del dramma satiresco antico: di esso si conosceva soltanto l’ambientazione boschiva, ma nessun esempio né informazione sui reali contenuti. Si sviluppò così una rappresentazione silvestre, con protagonista un pastore e una ninfa, che aveva per oggetto i loro languidi e piagnucolosi amori, con personaggi patetici affiancati da altri comici. Il modello ebbe eccezionale successo, ambientato in un’ideale Arcadia popolata di creature boschive che attraeva tanto le corti quanto i ceti borghesi (forse proprio per la sua innocua lontananza dall’attualità cittadina). Un altro elemento decisivo per il successo del dramma pastorale fu senz’altro il fatto che esso conteneva intermezzi musicali, ma anche vere e proprie parti cantate.Due sono i principali esempi di questo tipo di composizioni:

a) l’Aminta di Torquato Tasso (1573), che cela dietro alla vicenda dell’amore tra Aminta e la ninfa Silvia intrighi di corte interni alla corte estense

b) il Pastor Fido (1583, 1590) di Battista Guarini, l’opera maggiormente considerata, che mescolava ambiguamente e furbescamente la sensualità con la morale cattolica, e conciliava elementi tragici e comici, e culminava nell’esaltazione moralistica del matrimonio. Ebbe fortuna incredibile presso le corti europee per oltre due secoli.

2. LA POETICA DI ARISTOTELE

Nel 1498 Lorenzo Valla tradusse in latino la Poetica di Aristotele. Questo costituisce il punto di partenza di un’ampia riflessione sul teatro tragico (dal momento che non possediamo la parte della Poetica dedicata alla tragedia). La tragedia rimane in Italia per lungo tempo un semplice esercizio letterario, perché è contraria al gusto dei principi, superstiziosi riguardo alla rappresentazione di eventi funesti in tempo di festa e soprattutto insofferenti verso qualsiasi indagine inerente i meccanismi violenti del potere. La riflessione sulla tragedia si snoda su vari livelli:

1) le tre unità: tempo, luogo, azione: in realtà Aristotele parla solo dell’unità d’azione, per cui le altre due sono sostanzialmente un’aggiunta dei teorici rinascimentali (Castelvetro, 1570);

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2) funzione catartica: il fine della tragedia viene riconosciuto, coerentemente con il testo aristotelico, nella purificazione delle passioni (pietà e timore) dello spettatore;

3) delectare/docere: la tragedia deve al contempo provocare piacere in chi guarda e ascolta e insegnare, cioè esibire la vittoria della ragione sulle passioni, o almeno risolversi in modo che lo spettatore capisca la necessità di una tale vittoria sulle passioni;

4) lingua e stile: il linguaggio della tragedia deve essere grave ed alto, lirico e retorico, perché così si accorda alla estrazione sociale dei personaggi che vi si rappresentano e al tono degli eventi che vi si imitano, è il decoro: la materia esteriore dei personaggi (il modo di parlare, di vestire ecc… deve accordarsi con lo stato d’animo interiore, sublime e addolorato):

Una grande e importante eccezione al generale scarso successo della tragedia in terra italiana in questi anni fu la rappresentazione dell’Edipo Re di Sofocle nel Teatro Olimpico di Vicenza nel 1585, sotto la supervisione di Angelo Ingegneri. L’allestimento si caratterizzò per l’accurato filologismo che permise una ricostruzione particolarmente coerente e scrupolosa, nella quale confluivano tutte le riflessioni sul genere tragico che abbiamo qui presentato.

3. LA SCENA TEATRALE COME IMMAGINE DELLA CITTA IDEALE

Come abbiamo detto, la costruzione teatrale classica romana, riscoperta dalla filologia umanistica, fu decisiva per la rinascita dell’edificio teatrale e per la costruzione della scena teatrale:

a) lo studio di Vitruvio: all’inizio del ‘400 fu rinvenuto il trattato De architectura di Vitruvio che conteneva una sezione dedicata agli edifici deputati allo spettacolo. Il primo a studiare approfonditamente l’opera fu il grande architetto Leon Battista Alberti. Il problema principale era però costituito dal fatto che l’opera di Vitruvio non conteneva illustrazioni, pertanto si trattava di ricostruire l’immagine di ciò che Vitruvio descriveva con l’ovvia possibilità di fraintendimenti. Lo studio dell’edificio teatrale e della scena teatrale del De Architectura sarebbe continuato per oltre un secolo fino all’edizione decisiva, corredata dalle illustrazioni del Palladio, curata da Daniele Barbaro con accurate annotazioni, che fece scuola come modello del moderno edificio teatrale e per la costruzione della scena (1556); la sua messa in pratica si ha con la costruzione del Teatro Olimpico di Vicenza, capolavoro palladiano del 1580.

b) Dalla scena prospettica alla scena mutevole: come è noto nel medioevo la rappresentazione si svolgeva su scena simultanea, era perciò pensata sul modello di una processione; con il rinascimento abbiamo il ritorno alla scena unitaria, che venne favorito dall’uso della prospettiva scenica, cioè del fondale dipinto tramite l’uso della prospettiva illusionistica che dava la sensazione di profondità. In relazione a questo la scena teatrale rappresentava un vero e proprio modello della città ideale, come quello che si vede in molte opere del rinascimento. Il teatro diveniva così il luogo della esibizione dell’idea di città perfetta, costruita secondo le regole rigorose della prospettiva. Dalla semplice scena prospettica si passò poi ad uno spazio strutturato, con un primo livello di quinte praticabili e un secondo livello dipinto da sfondo. Si afferma così una dialettica tra la scena classico-vitruviana e la scena illusionistica e immaginifica. Questo momento è molto importante per lo statuto della rappresentazione perché si afferma la distinzione radicale tra lo spazio reale del pubblico e lo spazio, inaccessibile al pubblico, della rappresentazione vera e propria, separato. Il passaggio dalla semplice scena prospettica alla scena mutevole, cioè dove si susseguono varie scenografie a seconda della situazione, è legato inizialmente alla presenza degli intermezzi, non avendo questi relazione con il dramma esigono infatti un cambio di scenografia, così dietro le quinte occorre avere un ampio spazio per ospitare diversi fondali, nonché le macchine e tutti gli attrezzi scenografici. Bernardo Buontalenti combinò il sistema

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dei periatti (macchine poligonali vitruviane che ruotando su se stesse permettevano il cambio di scenario) con quello delle quinte scorrevoli, dando l’impulso decisivo al passaggio alla scena mutevole e immaginifica (macchine-nuvole che si muovevano nel cielo, monti che emergevano dalla terra, ondeggiare di mari artificiali attraversati da dèi e navi ecc…)

c) Verso l’edificio teatrale moderno: in realtà per quasi tutto il ‘500 le rappresentazioni teatrali non avevano luoghi specifici deputati, ma venivano rappresentate per lo più in piazze, cortili monumentali, palazzi signorili dalle ampie sale. Qui venivano installate impalcature lignee smontabili e posticce all’occasione delle rappresentazioni. Solo alla fine del ‘500 comincerà l’edificazione di edifici teatrali stabili. Nondimeno la disposizione di queste impalcature occasionali farà da modello per la costruzione dei teatri moderni. A questo proposito bisogna citare l’allestimento della Sala dei magistrati agli Uffizi del Buontalenti, su commissione di Francesco I de’ Medici e poi di Ferdinando il Buontalenti allestì la prima sala stabilmente dedicata al teatro: era caratterizzata da un pavimento digradante verso il palco, a sua volta costruito in pendenza fino ad un’altezza di circa 3 metri. Nel 1589 il teatro del Buontalenti diveniva l’esempio del primo teatro stabile per rappresentazioni. Parallelamente al Buontalenti lavoravano il Palladio, e in seguito lo Scamozzi, al Teatro Olimpico di Vicenza, più strettamente fedele alle indicazioni vitruviane. Costruirono una cavea semiellittica a 13 gradoni, con orchestra si suoi piedi dedicata agli spettatori di rilievo, e una scenafronte monumentale su tre livelli, con cinque porte, delle cui la centrale era principale, la ianua regia.

d) la festa del principe: abbiamo detto che il Buontalenti lavorava appunto su commissione del principe. È importante sottolineare che la rappresentazione teatrale rientra nel più ampio contesto della festa principesca, è uno dei momenti della celebrazione del potere del principe. Già dal ‘400 le feste medievali di carattere cittadino e comunale erano state riassorbite, attraverso una sorta di patrocinio attivo, nelle feste organizzate dai sovrani. Alla festa ciclica di ascendenza rituale si sostituisce la festa storico-celebrativa dal significato politico: la popolazione diviene spettatrice delle feste principesche, cui è invitata a partecipare come pubblico, più che come parte attiva. La festa principesca si snoda in diversi momenti: l’ingresso trionfale, la cerimonia religiosa, i ricevimenti di etichetta, il torneo drammatizzato, il banchetto serale con musiche, danze, intermezzi e spettacoli teatrali. Il tema delle celebrazioni era solitamente l’armonia universale, e dunque la connessione tra ordine metafisico e ordine politico di cui il principe si faceva garante.

4. LA COMMEDIA DELL’ARTE

Il termine è da intendersi come «commedia professionale», «arte» qui significa infatti, molto generalmente, soltanto «mestiere con il quale ci si guadagna da vivere». L’emergere del primo «professionismo» attoriale è legato alla fase successiva al Sacco di Roma (1527). La crisi di potere che si verifica in Italia in quel periodo spinge infatti attori e commedianti, tradizionalmente legati al potere signorile e ai momenti di celebrazione collettiva, a cercare nuove strade: la sopravvivenza non si ricerca più nell’asservimento e nella protezione di un signore, ma attraverso una logica di mercato. Lo spettacolo inizia così a diventare «bene di consumo», acquistabile a prezzo di un biglietto. L’attore diventa così un professionista, con una preparazione specifica, recante le proprie abilità, estremamente diversificate tra di loro (attore, acrobata, cantante, musicista, ballerino e a volte poeta). La data di nascita della commedia dell’arte è il 25 febbraio 1545 nel quale fu stipulato a Padova un contratto che fondava una società di attori detta «fraternal compagnia».

Il carattere itinerante delle compagnie della commedia dell’arte fu decisivo per lo sviluppo della loro drammaturgia, che doveva essere molto versatile, nacque così il «canovaccio», composto in pochissimo tempo e capace di adattarsi meglio di un testo scritto alle esigenze dei vari pubblici.

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Le «maschere» permettevano all’attore di sviluppare le proprie capacità attorno ad un «centro di gravità», creando un rapporto di complicità con il pubblico quasi immediato. L’attore della compagnia era così coinvolto in un percorso di crescita personale e professionale, continuo allenamento e miglioramento, capacità di adattabilità ai diversi tipi di pubblico ed ambiente. I personaggi crescevano e si modificavano, acquisivano nuove espressioni e modi di fare con progredire dell’abilità dell’attore. Si crearono alcuni tipi fissi:

a) i servi, espressione della mentalità popolare e contadina svolgevano la funzione di veri e propri motori dell’azione comica, erano anche detti «zanni», diminutivo bergmasco di Giovanni;

b) i vecchi, erano figure borghesi, come il mercante (Pantalone) che crede di poter comprare tutto; il dotto (Balanzone) che crede di sapere tutto; e il capitano (capitan Spavento) che millanta imprese inventate;

c) gli innamorati, personaggi giovani attorno ai quali venivano costruite vicende serie di carattere sentimentale, erano privi di maschera e adoperavano un linguaggio aulico.

Al contrario di ciò che di norma accadeva nella realtà, nelle commedie dell’arte, la logica della specie, per cui i giovani devono amarsi e accoppiarsi trionfava sulla logica del potere e del profitto, in cui i vecchi dettano legge ai desideri dei giovani.

La commedia dell’arte portava le donne sulla scena, ciò portò a un grande e immediato successo dato che era ancora vietato vedere donne recitare nei teatri più controllati dalle istituzioni, ben presto le donne divennero la vera attrattiva della commedia dell’arte, anche perché recitavano senza maschera. Ciò portò alle condanne della Chiesa e dei moralisti, perciò i comici dell’arte furono indotti a cercare protezione presso le autorità laiche.