T293_CALDE NOTTI HAWAIANE

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woman fiction

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Calde notti hawaiane

L'isola della seduzione

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Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Second Time Lucky Delicious Do-Over

Harlequin Blaze © 2011 Debbi Quattrone © 2011 Debbi Quattrone

Traduzioni di Anna De Figueiredo

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Temptation

giugno 2012

Questo volume è stato stampato nel maggio 2012 presso la Rotolito Lombarda - Milano

HARMONY TEMPTATION

ISSN 1591 - 6707 Periodico mensile n. 293 dello 07/06/2012

Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 128 dello 07/03/2001

Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA

Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI)

Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A.

Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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DEBBI RAWLINS

Calde notti hawaiane

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Prologo

Niente da fare. Non c'era. Parecchio delusa, Mia Butterfield si riparò gli occhi dalla luce del sole di mezzogiorno e scru-tò in mezzo alla gente che gremiva il parco. Patiti del jog-ging, persone anziane sulle panchine, gruppetti di babysitter che si occupavano dei bambini e nel contempo spettegola-vano tra loro. Era una bella giornata di gennaio, cielo azzur-ro, temperatura mite e avrebbe giurato che Annabelle aves-se deciso di portare fuori Mister Muffin, il suo cane oversi-ze, un incrocio tra un san Bernardo e un rottweiler. Piccola di statura e vicina agli ottanta, la nuova amica di Mia avrebbe dovuto scegliere un cagnolino di compagnia tipo yorkshire o un barboncino nano. Invece no. Non Anna-belle. Aveva preferito quel colosso trovato al canile comu-nale. Lei stava tornando dal tribunale in ufficio quando Mister Muffin l'aveva letteralmente travolta, costandole un tacco delle scarpe nuove di zecca pagate una fortuna oltre a un paio di collant da quaranta dollari. Il rovescio positivo della medaglia era stato l'aver guada-gnato, il termine non poteva essere più esatto, una nuova amica. Un'amica preziosa, di cui aveva bisogno. Non che non ne avesse. Anzi! Due di queste erano davvero speciali. Due compagne di college che però vivevano a chilometri di

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distanza, ma che di certo non avevano la saggezza e l'espe-rienza di vita di Annabelle. Quest'ultima sapeva ascoltare ed essere imparziale. Le rare domande che faceva non erano per dare giudizi ma per capire meglio, il sorriso sempre sul-le labbra, l'espressione serena. A ventotto anni, Mia deside-rava avere accanto qualcuno che le dicesse cosa fare. Odia-va quella sua punta di vulnerabilità. Fin da ragazzina era stata una persona su cui poter conta-re, con idee chiare e in grado di gestire situazioni critiche. Sia suo fratello più piccolo sia la sorella andavano da lei per ricevere consigli. Come le amiche del resto. Quando si era laureata in Legge col massimo dei voti, nessuno si era me-ravigliato. E nemmeno quando era stata assunta dallo studio legale più prestigioso di Manhattan. Non si era neanche do-vuta preoccupare di spiegare ai genitori quale incredibile opportunità fosse per un giovane avvocato. A posteriori era stata una buona cosa non enfatizzare l'importanza di quel lavoro perché ora avrebbero faticato a comprendere il fatto che era decisa a dare le dimissioni e piantare tutto. Cambiare totalmente campo d'azione. Inizia-re da capo. No, non avrebbero affatto capito le sue ragioni. In realtà nemmeno lei riusciva a farlo. Riflettere su quanto aveva in mente di fare le strinse lo stomaco in una morsa. Abbassò lo sguardo sulla busta di carta che aveva in mano e sospirò pesantemente. Non le importava niente della mela e dello yogurt che si era com-prata. L'unica ragione per cui si era presa una pausa era la speranza di incontrare Annabelle. «Mia!» Al suono della voce familiare si girò per vedere l'amica letteralmente trascinata dal suo cagnone. Preparandosi all'assalto delle grosse zampe e delle leccate affettuose, si abbassò sulle ginocchia.

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«Ciao, Mister Muffin.» Sporse una mano per farsi annu-sare e subito l'attenzione dell'animale si rivolse alla busta di carta. «Ehi, amico, non credo che siano di tuo gusto.» «Oh, lo sai, se si tratta di cibo, il mascalzone è comunque interessato» disse Annabelle con una risata divertita, il viso come al solito perfettamente truccato. «Su, su, Muffin, non fare lo scroccone.» Lo tirò appena col guinzaglio, infilando l'altra mano nella tasca del giaccone bordeaux di ottimo ta-glio, elegante ma che mostrava chiari segni del tempo. «Vieni qui, testone.» Gli mostrò un pacchetto di bastoncini al latte e gliene diede uno dopo averlo fatto sedere. «Speravo proprio di vederti oggi.» Mia si rialzò, ansiosa di approfittare della temporanea distrazione del cane. «È una giornata stupenda. È incredibile che sia gennaio.» «Lo so. Non avrei potuto mollare il lavoro, ma non ho re-sistito.» L'amica agitò in aria una mano guantata. «Lavori trop-po.» Si accorse che il suo compagno a quattro zampe aveva finito di sgranocchiare e in fretta gli diede un altro baston-cino. «Non ne dovrebbe mangiare tanti» mormorò, guar-dandosi intorno. «Dove diavolo è quel giovanotto?» «Quale giovanotto?» «Eccolo là... per fortuna!» Annabelle fece cenno a un ra-gazzo biondo sui quindici anni, in piedi su uno skateboard. Il giovane le focalizzò all'istante, dirigendosi subito verso di loro ed evitando per un pelo e con abilità una coppia di persone anziane. «Buongiorno, signora Albright. Non sono in ritardo, vero?» «In perfetto orario.» Gli porse il guinzaglio. «Una mez-z'ora dovrebbe stancarlo a sufficienza.» Si chinò a strofinare il volto contro il collo peloso del cane con un movimento molto sciolto per una donna della sua età. Merito del glorio-so passato trascorso sul palcoscenico di Broadway. «Va be-

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ne, Mister Muffin? E fa' il bravo, mi raccomando.» Il simpatico cagnone guardò con occhi colmi di speranza il sacchetto di bastoncini passare dalle mani della padrona a quelle del ragazzo. Poi, felice e soddisfatto, trotterellò via al fianco del giovane amico. Annabelle continuò a guardare la coppia sino a che non sparì, mentre Mia trovava una panchina libera sotto l'ombra di un vecchio olmo. «Chi è?» chiese incuriosita, passando un fazzolettino di carta sul sedile. «Kevin, il nipote del mio vicino» rispose la signora Al-bright. «Ma mentre sono in viaggio porterai fuori tu Muf-fin?» «Quale viaggio? Non mi hai mai accennato al fatto che volevi andare da qualche parte.» «Oh, è una crociera!» Annabelle minimizzò la notizia con una scrollatina di spalle. «L'avevo promesso a un amico alcuni mesi fa.» «Sono contenta per te.» Mia le accarezzò un braccio con affetto. «Sarà divertente andar via per un po' dalla metropo-li. Dove vai esattamente?» «Non lo so in realtà. Hamilton...» e si schiarì la voce, «... ha pensato a tutto lui.» Lei nascose un sorriso. Così Annabelle aveva un amico che voleva portarla in vacanza. Il che era ancora più bello e dolce perché dubitava che l'anziana amica potesse permet-tersi una crociera. Mia aprì la busta di carta e le porse una mela. «Grazie, cara. Non dimentichi mai che mi piace questa qualità. Ma ho già pranzato.» «Non fa nulla. Tienila per il pomeriggio. Io ho comprato anche lo yogurt.» Annabelle le scrutò il viso e Mia distolse in fretta lo

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sguardo nel caso in cui le sue intenzioni fossero troppo ov-vie. Aveva capito che la donna anziana versava in difficoltà economiche, ma era troppo orgogliosa per accettare la cari-tà. Era sempre in ordine e curata, ma sia i vestiti sia le scar-pe, per quanto di classe, avrebbero dovuto essere smessi da anni. Evidentemente ci teneva ancora molto al proprio a-spetto e a essere autosufficiente. Una volta Mia aveva commesso l'errore di offrirsi di comprarle da mangiare e di pagare un dog sitter per Mister Muffin, ma era stata subito messa a tacere. «Forza, dimmi cosa ti passa per la testa» la spronò Anna-belle con la solita schiettezza. Lei esitò un istante. «Odio il mio lavoro.» Ecco, l'aveva detto ad alta voce. «È così» ribadì con decisione quando l'amica le rivolse un'occhiata perplessa. «Come mai?» «Le ore sono lunghe. Non ho una vita sociale... È un in-sieme di tante cose.» L'espressione di Annabelle si addolcì. «Hai intenzione di cambiare studio?» Una folata di vento freddo la fece rabbrividire e lei si strinse addosso il cappotto. «Non so se voglio continuare a esercitare la professione» mormorò in un bisbiglio. L'amica si raddrizzò sulla panchina, soffermandosi a os-servare un paio di bambini che andavano sull'altalena. «È una decisione importante.» La voce era calma, pacata, ma Mia scorse l'ansia negli occhi celesti. Probabilmente pensava fosse impulsiva. Pazza anche. In effetti chi era così squilibrato da passare anni di studio for-sennato alla Facoltà di Legge e trovare subito lavoro presso uno studio come Pearson & Stern per poi mollare tutto? Certo non una persona sana di mente. Avrebbero avuto la stessa reazione anche i suoi genitori, ne era certa. Mio Dio,

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aveva letteralmente il terrore di affrontarli! «Hai ragione, è una decisione importante. Non certo da prendere alla leggera.» «Infatti.» Annabelle corrugò la fronte. «E cosa vorresti fare in alternativa?» «Ti ho parlato delle mie amiche Lindsey Shaw e Shelby Cain. Già ai tempi del college avevamo pensato di metter su un'attività di assistenza e noleggio. La nostra associazione universitaria partecipava a raccolte di fondi a scopi benefici o umanitari e noi ci offrivamo di fare la spesa, cucinare, ba-dare ai bimbi, organizzare cene... qualsiasi cosa il cliente ri-chiedesse per occasioni speciali.» Scrollò le spalle. «Non solo ci siamo divertite un mondo, ma ci abbiamo intravisto notevoli potenzialità per un'attività redditizia da svolgere qui a Manhattan.» «Mi sembra piuttosto azzardato. Se non pericoloso.» Mia sorrise. «Ovviamente dovremmo controllare che i nostri clienti siano persone a posto. Tra l'altro immagino che per la maggior parte si tratterà di affittare borse firmate, abiti da sposa e cose del genere. Se poi qualche studente vorrà collaborare, credo che li potremmo usare per la parte portierato e assistenza. Il nostro motto sarà: Potete affittare di tutto da Anything Goes. Potresti voler dare in affitto Mister Muffin un giorno.» Annabelle forzò un sorriso, ma l'espressione restò preoc-cupata. «Le tue amiche sono disposte a lasciare il loro lavo-ro e a trasferirsi a New York?» Lei emise un profondo sospiro. Qui stava il problema. «Veramente ancora non ne ho parlato con loro.» La vecchia signora sembrò sollevata. «Allora ancora non hai deciso?» Quella reazione non avrebbe dovuto infastidirla. Era na-turale. Tuttavia non poté ignorare il senso di tradimento che

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l'assalì suo malgrado. Per qualche ragione aveva sperato che Annabelle potesse capire. Era stata una donna che aveva la-sciato da parte ogni convenzione, aveva rinunciato a un ma-rito e ai figli per dedicarsi alla carriera quando le donne non si sognavano nemmeno di potersi realizzare nel mondo del lavoro. «No» mentì. «Ancora non ho preso una decisione.» «Bene. Sono scelte serie. Non devi avere fretta e magari fare tutto proprio mentre sono via.» L'amica le prese una mano tra le sue. «Non prendere decisioni di questo tipo solo a causa di David.» Mia trasalì, colta alla sprovvista. «David? Perché... Lui non ha niente a che vedere con questo. Non capisco perché l'hai tirato in ballo.» Nonostante il sorriso gentile, gli occhi di Annabelle ebbe-ro un lampo. «Oh, certo! Scusami. Perdona questa povera vecchia.» «David è il mio capo. Niente di più.» La donna si limitò ad annuire. «L'unico motivo per cui mi hai sentito nominarlo è per-ché abbiamo lavorato insieme ad alcuni casi.» Lei tacque, frustrata per essersi messa subito sulla difensiva. Era natu-rale che lo nominasse di tanto in tanto. A parte il fatto che lui nemmeno la vedeva. Nello studio erano in tanti tra av-vocati, segretarie e collaboratori. E lei era solo una dei tanti. A volte si erano trattenuti a lavorare insieme sino a tardi, ma non avevano condiviso neanche un pezzo di pizza. Figu-rarsi se poteva esserci qualcosa tra loro! Solo l'idea era ridi-cola. Per David Pearson Mia Butterfield non esisteva. Annabelle alzò la testa verso il sole e chiuse gli occhi con un sospiro, un sorrisetto irritante sulla bocca.

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Mia aspettò che il cameriere versasse lo champagne anche nei calici delle amiche per alzare il suo. «A noi tre» disse sorridendo a Lindsey e a Shelby. «Ce l'abbiamo fatta.» «Sì, ce l'abbiamo fatta» ripeté Lindsey, storcendo la boc-ca, l'espressione non molto entusiasta. «Ora siamo debitrici di una somma di denaro al cui pagamento nessun'altra gio-vane donna di ventotto anni si sognerebbe mai di sobbarcar-si in tutta la vita.» Shelby scoppiò a ridere e bevve tutto d'un fiato. «Sei una tale pessimista!» Mia le diede una leggera go-mitata, scuotendo la testa. «Se avessimo pensato di non ave-re alcuna possibilità di successo, nessuna di noi avrebbe firmato né tanto meno lasciato il proprio lavoro.» Lindsey spalancò gli occhi. «Hai già dato le dimissioni? Sul serio!?» «Ho scritto la lettera e domani mattina sarà sulla scriva-nia del mio capo.» Lei deglutì un paio di volte nel tentativo di mandar giù il nodo che le era salito alla gola. Nodo che le toglieva il respiro ogni volta che pensava a tutti i suoi ri-sparmi già volati via e al fatto che non avrebbe avuto introi-ti sino a che la loro avventura non fosse decollata. «Tu a che punto sei?» chiese, rivolgendosi a Shelby. «Aspettavo solo di firmare i documenti del prestito ban-

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cario. Consegnerò la mia lunedì mattina non appena sarò tornata a Houston.» L'amica tolse la bottiglia di Cristal dal secchiello del ghiaccio e si riempì il bicchiere. «Godiamo-celo, ragazze. Dopo stasera non credo potremo più permet-tercelo fino a che non torneremo a guadagnare qualche spicciolo.» Lindsey emise un gemito di disperazione. «Per favore, non ricordarmelo.» Mia posò il bicchiere, pronta a fare il discorsetto di inco-raggiamento che si era preparata nelle settimane precedenti. Dopo aver deciso che voleva lasciare lo studio legale e ini-ziare una nuova attività, si era rivolta alle amiche sapendo di poter contare su di loro. Per cui si sentiva doppiamente responsabile per averle spinte in quell'avventura. Inoltre lei viveva già a Manhattan, mentre Lindsey e Shelby dovevano trasferirsi. «Su, non farla esagerata» sbuffò Shelby. «Non sarà poi così male. Mangeremo e berremo quando usciremo con qualche bel cavalier servente.» «A questo proposito...» incominciò lei. Tutte e due la fissarono attente. «Dimenticate i gloriosi giorni del college. Non è che Manhattan pulluli di uomini disponibili e papabili.» «Nemmeno Chicago se per questo» intervenne Lindsey. «In sette mesi non ho rimediato neppure un vero appunta-mento.» Rivolse a Shelby un'occhiata accusatrice visto che all'amica non mancava mai la compagnia maschile. «Male che vada ci trasferiremo a Houston, Mia. Almeno lì potre-mo contare sugli avanzi.» Shelby fece un cenno negativo con la mano. «Spiacente, tesoro, ma ti sbagli se pensi che lì abbia avuto più fortuna.» L'amica emise un brontolio poco convinto. «Dici sul serio?» si meravigliò lei.

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«Eccome!» rispose la diretta interessata. «Non riesco a ricordare l'ultima volta in cui sono uscita con lo stesso uo-mo due volte, figurarsi tre. Quelli sono gli appuntamenti che contano. E non perché sia difficile o schizzinosa» ag-giunse in tono difensivo. «Hai ottime ragioni per fare la difficile. E anche noi» di-chiarò Mia con convinzione. Del resto erano secoli che non aveva una storia. In parte per colpa sua. Tutte quelle ore as-surde trascorse in ufficio non le erano state di aiuto. Se poi doveva essere totalmente onesta con se stessa, aveva passa-to troppo tempo a sperare che alla fine David si svegliasse e le chiedesse di uscire. Almeno una volta. Nonostante quello che aveva detto ad Annabelle, nonostante quello che aveva detto a se stessa, aveva veramente creduto di piacergli. Al-meno all'inizio. Purtroppo, però, si era soltanto presa in gi-ro. Quindi doveva smetterla di pensare al signor Pearson. «Amen.» Lindsey finì lo champagne. «Comunque non sarebbe male avere a disposizione un assortimento di pre-tendenti appetibili per poi fare le difficili. A proposito, Mia, che è successo a quel tipo con cui lavori?» Per poco lei non si soffocò. «Non c'è mai stato niente di niente su quel versante.» «Me lo ricordo anch'io» s'intromise Shelby. «Quando hai incominciato a lavorare al suo studio, pensavi fosse bello ed eccitante.» «Lo è infatti, ma è totalmente preso.» «Sposato?» precisò Lindsey. «Col lavoro. Il padre e lo zio hanno fondato lo studio le-gale e il ragazzo ci si dedica più di ogni altro.» Mia scosse la testa. «D'altronde vige una regola ferrea in quell'ufficio che vieta ogni fraternizzazione. E David Pearson si farebbe tagliare gli alluci piuttosto che oltrepassare la linea di de-marcazione.»

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Lindsey ridacchiò in sordina, il che le fece capire che le bollicine le stavano andando alla testa. Così riempì di nuo-vo i loro bicchieri. «Quando eravamo a scuola, avevamo spasimanti di ogni genere. Se non accettavamo un appun-tamento, era perché non volevamo uscire.» «Lo so» convenne Shelby con aria pensosa. «Eravamo circondate, braccate. Allora, mi chiedo, dove diavolo sono finiti? Non possono essersi sposati tutti o votati alla casti-tà!» «Hai ragione.» Mia sorseggiò il liquido ambrato lenta-mente, preoccupata che andasse alla testa anche a lei. Di so-lito non le faceva quell'effetto, ma non aveva mangiato nul-la per l'intera giornata. «Anche durante le gite di fine anno c'erano due maschioni per ogni ragazza.» «Sono io la contabile» intervenne Lindsey. «Direi tre per ognuna.» «Gita del terzo anno del liceo. Fort Lauderdale.» Shelby si lasciò andare contro lo schienale, l'espressione sognante. «Mamma mia!» «Stai scherzando?» Mia la fissò incredula. «E quella dell'ultimo anno? Waikiki Beach, il massimo.» Il sospiro di Shelby disse tutto. Lindsey si limitò a sorri-dere a trentasei denti, gli occhi persi nei ricordi. Mia le imitò, rivivendo con la mente quella magica setti-mana. In religioso silenzio. Poi un'idea cominciò a prendere piede e si riscosse di colpo. «Ehi, ragazze, mi è venuta...» «No, ti prego!» l'interruppe Lindsey, lanciando a Shelby un'occhiata drammatica. «Non so se ne reggerò un'altra.» «Nessuna paura, questa è buona» la rassicurò lei ridendo. «Nessuna legge dice che le gite di fine anno si debbano fare soltanto al college.» «Vero» concordò Shelby Lindsey corrugò la fronte, sospettosa.

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«Dunque, lavoreremo come delle pazze fino a che Any-thing Goes non sarà decollato, giusto? Se vogliamo pren-derci una vacanza, questo è il momento. Con ogni probabi-lità l'ultima occasione per non so quanti anni.» Vide un cer-to interesse risvegliarsi sul volto di Shelby. Quanto a Lindsey assunse un'espressione scioccata. «Ha-waii?!» «Perché no?» Mia si accorse che la bottiglia era vuota e fece cenno al cameriere. «Perché è troppo cara, come prima cosa. E poi hai dimen-ticato che, firmando il prestito, abbiamo appena rinunciato alla nostra vita?» «Come sei esagerata» borbottò lei, poco incline ad ab-bandonare la propria idea. «Possiamo prenotare un last mi-nute a buon mercato. Tra l'altro nessuna di noi ha ancora dato le dimissioni. Sono disposta a lavorare ancora un paio di settimane allo studio per pagarmi la vacanza alle Ha-waii.» «Niente ci vieta di vedere quali offerte ci sono» fece no-tare Shelby. «Suppongo di no.» Lindsey mise sul tavolo il bicchiere. Non sembrava molto convinta e rivolse a Mia un'occhiata accusatrice. «Prima, però, dobbiamo fissare un budget. Sen-za alcuna possibilità di cambiarlo.» Mia annuì. E intanto veniva assalita dai ripensamenti. L'idea era ridicola, a dir poco assurda per tre donne che sta-vano per rinunciare a uno stipendio sicuro e avrebbero vis-suto di speranza fino a che non avessero di nuovo avuto i piedi ben piantati per terra. Come diavolo ti è venuto in mente? Di solito sei una per-sona assennata! Ma per la miseria, aveva lavorato come una matta negli ultimi sei anni. Prima studiando all'università, poi allo stu-

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dio Pearson & Stern. Si meritava una tregua e al momento, con il vento fresco di marzo che soffiava all'esterno, le Ha-waii sembravano un angolo di paradiso. «Sapete cosa sarebbe davvero forte?» Gli occhi di Shelby luccicavano di eccitazione, mentre si chinava in avanti. «Ricordate quei tre fusti che abbiamo incontrato alla festa l'ultima sera passata a Waikiki?» «Sì, certo. Fa... vo... lo... si» mormorò lei. Lindsey s'irrigidì. «E allora?» «Potremmo organizzare un incontro.» Shelby si tirò in-dietro una ciocca di capelli dal viso. «Con loro alle Ha-waii.» «Ma se non sappiamo nemmeno i loro nomi!» sbottò Mia. «E poi potrebbero essere sposati o in prigione.» L'amica la ignorò totalmente. «Sappiamo quale università hanno frequentato, per cui possiamo tentare con Facebook.» «Potremmo mandare un post al gruppo del nostro corso» propose lei. «Ma dovrebbero essersi iscritti anche loro» obiettò Lin-dsey. Shelby scrollò le spalle. «Un sacco di gente lo fa, anche solo per curiosità. Io per prima. E tu?» Mia scosse la testa. «State a sentire. Rispondono. Non ri-spondono. Che importa? Quello che conta è Waikiki. Chis-sà, potremmo incontrare qualche bel surfista che ha voglia di divertirsi.» «Mi piace.» Shelby frugò nella borsa, tirando fuori una penna. «Chi ha un pezzo di carta?» Lei prese l'agenda dalla sacca dell'ufficio e vi strappò un foglio. «Tieni.» «Ancora con questi strumenti preistorici» sbuffò l'amica. «Perché non usi un BlackBerry?» le chiese mentre incomin-ciava a scrivere.

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«Li uso entrambi» rispose Mia, guardando Lindsey. Sa-peva che era una persona molto prudente e infatti non sem-brava affatto contenta. «Okay, che ne dite di un messaggio del genere...» Shelby strizzò gli occhi come se facesse fatica a leggere la sua stes-sa scrittura, che in effetti era orribile. «Ricordate la gita di fine anno? Mia, Lindsey e Shelby saranno al Seabreeze Ho-tel nella settimana tal dei tali. Venite se ne avete il corag-gio.» «Non male» osservò lei. «Ma dovremmo essere più pre-cise. La gita di fine anno 2004.» «Okay. Tu che ne pensi, Lindsey?» L'interpellata si passò una mano tra i lunghi capelli bion-di e tirò un grosso respiro. Il locale era nella penombra ma si vide chiaramente che era arrossita. «Credo dovreste cam-biare Lindsey con Jill.» «Non hai dato il tuo vero nome?» si stupì Shelby. Lindsey scosse la testa. Le altre due si scambiarono un'occhiata più che significa-tiva e scoppiarono a ridere di gusto. David Pearson passò davanti all'ufficio vuoto di Mia, mentre andava nella sala riunioni dove lo stavano aspettan-do il padre e lo zio. Ancora non riusciva a credere che fosse andata via. Il giorno in cui gli aveva dato la lettera di dimissioni aveva avuto uno shock. E adesso, due settimane e tre giorni dopo, trovava difficile credere che lei non fosse più un avvocato dello studio. Che non uscisse dall'ascensore al mattino presto quando non c'era che lui. Con gli stupendi occhi verdi ancora un po' assonnati, i morbidi capelli castano scuro sciolti e umidi sulle spalle. Alle otto Mia aveva già bevuto tre caffè con un

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accenno di zucchero e si era raccolta i capelli in uno chignon. Conosceva le sue abitudini quasi quanto le pro-prie. «Buongiorno, signor Pearson.» Lui si riscosse, mettendo a fuoco la receptionist. Solo in quel momento si rese conto che si era fermato e stava fis-sando la pianta che Mia aveva lasciato accanto alla porta del suo ufficio. Si schiarì la voce. «Buongiorno, Laura.» La graziosa biondina gli sorrise continuando a cammina-re verso la propria stanza con una tazza fumante in mano. «Laura, scusa?» «Sì, avvocato.» «Mia verrà a riprendersi questa pianta?» «Non ne ho idea... Non credo però.» «Capisco... Si deve fare comunque qualcosa» osservò in un tono più brusco di quanto intendesse. Non si interessava mai di sciocchezze simili. E ancora più irritante era l'inatte-sa speranza che potesse rivederla. «O gliela mandiamo op-pure, se non la vuole, diamola a qualcuno.» «Mia va alle Hawaii. Intanto penserò io ad annaffiarla.» «Alle Hawaii?» Sentì una stretta al petto. «Si trasferisce lì?» «Scommetto che le piacerebbe» fu il commento divertito. «Ma a quanto dice Lily, ci andrà solo per una settimana.» «Quando parte?» Un lampo di curiosità illuminò gli occhi svegli della ra-gazza restituendo a lui il buonsenso. «Non importa» si affrettò a tagliar corto, sistemando le cartelle che aveva in mano sotto il braccio. «Occupati della pianta, però» aggiunse dirigendosi verso la sala conferenze. «Tra un paio di giorni» lo informò Laura alzando la voce. «Parte tra un paio di giorni.» David non rispose e continuò a camminare. Che diavolo

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gli prendeva? Non erano fatti suoi quello che faceva Mia. Se n'era andata. Punto. L'aveva ringraziato per aver avuto l'opportunità di far parte dello studio legale, ma aveva in-tenzione di seguire altre strade. Lui non aveva nemmeno cercato di convincerla a restare. Lei era un avvocato male-dettamente bravo e avrebbe dovuto farlo. Ma era rimasto muto come un cretino. Troppo scioccato dalla notizia. La porta della sala riunioni era chiusa e bussò un paio di volte prima di aprirla. Seduti al lungo tavolo di mogano c'e-rano suo padre, suo zio Harrison e Peter, uno dei soci azio-nari. Strano che il padre non fosse a uno dei suoi amati tor-nei di golf visto che era venerdì. I tre comunque sembrava-no di umor nero. «Buongiorno, signori.» «Ciao, David» lo salutò Peter. «Siediti, per favore» fu tutto quello che disse il padre. Lo zio versò un bicchier d'acqua e lo spinse verso di lui. «Credo ci vorrai aggiungere un goccio di scotch tra qualche minuto.» «È successo qualcosa?» Mentre prendeva posto su una delle sedie in pelle osservò le facce tetre una dopo l'altra. «Abbiamo perso Decker» buttò lì il padre in tono piatto. Fu come se l'investisse un colpo di vento gelido. Thur-ston Decker era il loro secondo cliente più importante. «Come?» «Non è tutto» aggiunse lo zio. «Sembra che anche Crom-well abbia intenzione di mollarci.» Scioccato, si volse verso Peter che si fissava le mani strette a pugno. «Non capisco.» David scosse la testa. «So-no con noi da due generazioni senza mai una lamentela. Abbiamo sempre fatto un eccellente lavoro per loro.» «Infatti non è questo che mettono in discussione.» Il pa-dre si tolse gli occhiali e incominciò a pulire le lenti. «Ad-

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ducono motivi economici. Ristrettezze.» «Fesserie!» sbottò Harrison con rabbia. «È tutta colpa dei nipoti di Thurston. Piccoli, schifosi bastardi. Hanno prima estromesso il vecchio dalla compagnia e ora stanno facendo un sacco di cambiamenti idioti.» «È inutile arrabbiarsi» dichiarò il padre di David in tono stanco. Raramente mostrava le proprie emozioni. E in qual-che modo lui gli assomigliava. «Dobbiamo concentrarci su come farli tornare.» «Dubito sia possibile» osservò Peter. Era un uomo tran-quillo, uno studioso di poche parole entrato nello studio un anno prima di David. E chiaramente sapeva molto più dei soci anziani su quella faccenda. «Mi è arrivata voce che Fritz Decker, il nipote più grande, ha già assunto uno dei suoi compagni di università dello studio Flanders & Sheen. E per un onorario molto più basso.» «Quanto è attendibile l'informazione?» chiese David. Peter storse la bocca. «Scordiamoci l'affare Decker.» «Santa pace, ma dove diavolo sono finite la lealtà e la correttezza?» esplose di nuovo Harrison. «Forse non sai che tuo nonno aveva appena fondato questo studio quando Thurston Decker si è messo a vendere alcolici. Ha iniziato con un piccolo negozio e un bar. Poi un contrabbandiere l'ha incastrato e tuo nonno l'ha preso come cliente senza vo-lere un penny.» Lui aveva sentito quella storia altre volte e annuì. «Ri-guardo a Cromwell che mi dite? Abbiamo combinato qual-che pasticcio o gioca anche lui la carta del risparmio?» Peter scrollò le spalle. «Non abbiamo fatto nulla di sba-gliato.» «Abbiamo qualche chance di recuperarlo?» «Ottima domanda.» Il padre bevve un sorso d'acqua e po-sò il bicchiere. «Negli ultimi mesi abbiamo perso alcuni

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piccoli clienti. Sempre per questioni economiche, ma ades-so, senza più Decker e Cromwell, siamo in seria difficoltà.» David si abbandonò contro lo schienale, la testa pesante. Non aveva mai nemmeno immaginato si potesse arrivare a quel punto. Pearson & Stern aveva sempre avuto una repu-tazione prestigiosa e ben meritata tra l'altro. «Dobbiamo tagliare le spese» decretò il padre. «Niente più fiori freschi durante la settimana e il catering per le pause pranzo e per le riunioni deve finire. Non hai idea di quanto spendiamo per queste frivolezze.» «E i licenziamenti?» chiese Peter. A quel punto David si allarmò definitivamente visto che né il padre né lo zio protestarono. Possibile che la situazio-ne fosse così grave? Certo, si rendeva conto che il momento era critico, ma non era la prima volta nella storia dello stu-dio legale che capitava. «Licenziamenti? Assurdo. Prima cerchiamo di accaparrarci altri clienti.» «Come se non ci avessimo già provato figliolo. Tuo zio e io abbiamo fatto qualche telefonata, ma senza risultato.» Il volto del padre era stanco, sfiduciato e lui sentì la pres-sione al petto farsi più forte. L'aveva sempre ammirato non solo per l'alta professionalità e l'intelligenza con cui lavora-va, ma anche come uomo. Era un ottimo datore di lavoro, un marito fedele e premuroso e un membro rispettato dell'ordine degli avvocati. Tra l'altro era stato molto conten-to quando aveva incominciato a rallentare il ritmo e deciso di dedicarsi al golf. «Okay. Provo anch'io a chiamare qual-cuno» disse, tirando fuori il BlackBerry dalla tasca. «Un pa-io di miei ex professori di Harvard dovrebbero...» «Aspetta!» Lui alzò la testa. «C'è una cosa che potresti fare in effetti. Quella giovane avvocatessa, Mia.»

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«Mia Butterfield» precisò Peter. «Esatto.» Lloyd Pearson si sporse in avanti. «Personcina sveglia e in gamba. Comunque ci sarebbe un cliente poten-ziale. Un patrimonio notevole da amministrare oltre che una fondazione benefica piuttosto vasta. Il che significa un compenso grandioso per noi e per almeno tre avvocati a tempo pieno.» «Non capisco cosa abbia a che fare tutto questo con Mia» obiettò lui confuso. «Sai che non lavora più con noi.» «Purtroppo. Il cliente, infatti, è disposto a stipulare il con-tratto solo se sarà l'avvocato Butterfield a curare i suoi inte-ressi.» «Non ha senso. Mia non si è mai occupata di patrimoni. Abbiamo avvocati specializzati in rendite finanziarie e am-ministrazione di beni più che validi. Oppure potrei assume-re io stesso l'incarico.» Il padre scosse la testa. «Temo che non ci sia via d'uscita. Il cliente vuole Mia Butterfield e nessun altro. Tu hai lavo-rato molto con lei. La conosci meglio di chiunque qui den-tro. Devi riuscire a convincerla a tornare.» «Piuttosto difficile.» David ricordava perfettamente il giorno in cui gli aveva dato la lettera di dimissioni. Era ri-masta in silenzio mentre lui la leggeva, poi senza alcuna esitazione o segno di rammarico era uscita dalla stanza. «Offrile una gratifica, una promozione, un aumento di stipendio. Qualsiasi cosa. Abbiamo bisogno di questo con-tratto, David. O chiudiamo i battenti.» Lui si allentò la cravatta, la mente in subbuglio. Era inuti-le negare che desiderava che lei tornasse. Per la miseria, certo che la voleva rivedere! Ma non a quelle condizioni. Non in quel modo.

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Calde notti hawaiane di Debbi Rawlins Per sfuggire all'attrazione che prova per David Pear-son, il suo capo supersexy, Mia decide di prendersi una vacanza e partire per le Hawaii. Ma cosa accade quando è la tentazione a venire da te?

Il piacere di una notte di Tawny Weber All'improvviso le luci si spengono. E Larissa si trova rinchiusa in un negozio con il suo ex fidanzato, Ja-son. Cosa fare per sfuggire a quell'imbarazzante si-tuazione e, soprattutto, tenere a bada il desiderio?

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L'isola della seduzione di Debbi Rawlins Lindsey non riesce a credere di aver mollato il lavoro per tornare nell'isola dove, anni prima, ha vissuto una notte di passione con uno sconosciuto. Ora il passato ritorna, e ha un viso e un nome: Rick Granger...

Sembra il perfetto cliché: l'attrice famosa che perde la testa per la guardia del corpo. Eppure, è ciò che accade a Tessa, che sta aspettando l'occasione per-fetta per assaggiare quella passione proibita...

Il fuoco prima dell'alba di Samantha Hunter

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Sapore che inebria di Lori Wilde Il playboy Wyatt DeSalme ha deciso di sfruttare i suoi sensi per scova-re i segreti di una famosa azienda vinicola. Ma la scoperta più scon-volgente è la sexy dirigente della società: Kiara Romano.

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Complice il buio di Heather MacAllister La carriera di ladra di Kaia Bennet ha una battuta d'arresto dopo l'in-contro con l'agente per la sicurezza Blake McCauley. Ora, dopo sei anni, lei vuole vendicarsi inducendolo in ogni modo al peccato.

296 Sessioni private di Tori Carrington Caleb Payne è un imprenditore cinico e calcolatore. Bryan Mataxas vuole stipulare un contratto con lui. Ma la tensione sessuale unita alle macchinazioni economiche sono un mix molto, troppo pericoloso.

Esotica avventura giapponese di Crystal Green I sogni proibiti di Juliana Thompsen hanno sempre avuto un solo pro-tagonista: Tristan Cole. È ora di voltare pagina e durante il suo viaggio in Giappone decide di concedersi un'avventura trasgressiva con...

297 Partita bollente di Elle Kennedy Hayden Houston vuole rompere col suo passato da brava ragazza e un uomo come Brody Croft, star di hockey e bomba ultra sexy, fa al caso suo. Vivrà con lui una notte strabiliante, finché...

Il gioco delle tentazioni di Nancy Warren In Idaho per il matrimonio della cugina, a Emily Saunder mancava solo l'inconveniente di dividere la stanza d'albergo con Jonah Betts, mu-scoli e sex appeal allo stato puro. Per lei sarà davvero dura resistere.

298 Incontri dopo il tramonto di Wendy Etherington L'uomo sbagliato è sempre quello più difficile a cui resistere. Lo sa bene Sloan Caldwell che davanti al ricco e misterioso Aidan Kendrick non fa altro che pensare a quelle mani sul suo corpo.

Un tesoro da toccare di Wendy Etherington Il cercatore di tesori Gavin Fortune è sulle tracce di una nave som-mersa, ma Brenna McGary è decisa a farlo desistere. Certo lui ha una capacità innata nel convincere una donna a cambiare idea.

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