Sviluppo Sassari 22-07-2013

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Ricercatrice di Statistica Economica per il Centro Studi L’Unione Sarda e analista di sistemi informativi statistici e Presidente CdA di Vispo Srl, spin-off dell’Università di Sassari 1

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Crescita, sviluppo e occupazione nella provincia di Sassari. Presentazione del 22/07/2013

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Ricercatrice di Statistica Economica per il Centro Studi L’Unione Sarda e

analista di sistemi informativi statistici e Presidente CdA di Vispo Srl,

spin-off dell’Università di Sassari

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Una scaletta della presentazione

Questa è la situazione attuale che caratterizza la provincia rispetto al

resto della Sardegna. E’ il punto di partenza per prospettare una

crescita e uno sviluppo, quindi un incremento occupazionale.

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Dall’unità d’Italia al 2011, ultimo censimento, la popolazione della

provincia di Sassari è più che raddoppiata, il tasso di crescita annuo

però è stato inferiore alla media regionale, come pure alla provincia di

Olbia Tempio (che cresce più di tutte le altre province sarde) e di

Cagliari.

Nella provincia di Sassari ci sono 66 comuni di cui 8 costieri. Il numero

dei comuni costieri è rilevante perché in media sono proprio i comuni

che si popolano, quindi più comuni costieri ci sono in una provincia più

alta è la probabilità che la provincia si popoli.

Villanova Monteleone fa eccezione, è infatti l’unico comune costiero di

Sassari che negli ultimi 20 anni si è spopolato.

Tenendo sempre questo intervallo temporale: 1991-2011 (di cui si

dispongono i dati a livello comunale che consentono l’aggregazione

nelle 8 province) meno del 30% dei comuni ha avuto un incremento di

popolazione, gli altri si sono spopolati.

Oltre all’essere o meno costiero rileva infatti nell’incremento o

decremento demografico anche la dimensione del comune.

Solitamente i comuni di dimensioni più elevate attirano nuovi

residenti, mentre i comuni piccoli li perdono.

In provincia di Sassari ci sono solo 5 comuni con più di 10 mila abitanti:

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oltre a Sassari (130 mila), Alghero (41 mila), Porto Torres (22,5 mila) si

aggiungono anche Sorso (15 mila) ed Ozieri (11 mila), che è l’unico dei 5

che si sta spopolando.

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La situazione presentata ci aggiornava fino all’ultimo censimento.

Sassari è seconda nell’Isola per il tasso di crescita totale che misura le

variazioni demografiche dell’ultimo anno.

Il tasso di crescita totale è un indicatore di breve periodo che consente

il monitoraggio continuo dell’andamento della popolazione, che può

essere utilizzato per prevenire fenomeni di spopolamento.

Nel 2012 i comuni che sono rimasti stabili o hanno visto aumentare la

loro popolazione residente sono stati 21 (32% del totale dei comuni),

ma solo in 8 comuni il saldo naturale è risultato positivo.

Questi dati non consentono ancora di capire quale fetta della

popolazione sia aumentata. Perché fa differenza se a crescere è la

popolazione non più in età attiva, quindi gli over 65enni o invece la

popolazione cresce perché aumentano i giovani.

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Per fare questo tipo di considerazioni si possono utilizzare degli altri

indicatori, che propongo nella slide, coi valori aggiornati al 2012.

Nonostante l’estensione, in termini di superficie, la provincia si caratterizza

per una densità di popolazione più elevata rispetto alla media regionale

(rispettivamente 77 e 68). Gli indicatori evidenziati mostrano che la

provincia di Sassari è meno attrattiva verso gli immigrati rispetto alla media

regionale (di sicuro rispetto ad Olbia Tempio) e i giovani stanno diminuendo

rispetto agli anziani. Ogni 100 giovani ci sono infatti 166 anziani, nel ’91,

erano 73, nel 2001 erano 119.

L’indice di ricambio della popolazione fornisce un’indicazione della

sostituzione generazionale nella popolazione in età attiva. Un valore

dell’indice pari a 100 costituisce la soglia di equilibrio, significa cioè che tutti

quelli che potenzialmente sono in uscita dal mercato del lavoro sono

sostituiti da quelli che vi stanno entrando. Valori inferiori a 100 indicano che

le persone potenzialmente in uscita sono meno di quelle in entrata, mentre

valori superiori a 100 rilevano che le uscite sono maggiori delle entrate.

Fino al 2002 questo indicatore risultava in equilibrio, ha poi iniziato a

crescere portandosi oggi a 139, quindi c’è il 39% di esubero di uscenti dal

mercato rispetto ai potenziali nuovi ingressi.

C’è da dire comunque che questi indicatori non si discostano molto dalla

media sarda.

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Altra precondizione allo sviluppo sono le infrastrutture, sia

economiche che sociali. I valori indicati hanno come confronto 100,

che è il valore normalizzato relativo all’Italia. Questo significa che sia la

provincia che la regione hanno delle dotazioni infrastrutturali inferiori

a quelle mediamente presenti in Italia. Il dato si può interpretare come

valore pro-capite.

Anche se non particolarmente aggiornati gli indicatori di dotazione

infrastrutturale contribuiscono a chiarire quali sono le condizioni

endogene che possono favorire o meno lo sviluppo della provincia.

Nel dettaglio si possono analizzare sia le infrastrutture economiche che

sociali.

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Per quanto concerne gli indicatori economici ci sono alcuni indicatori

che segnalano che la provincia gode di una situazione migliore rispetto

alla media regionale.

Porti e aeroporti ad esempio sono due indicatori che stanno non solo

al di sopra del valore sardo ma anche al di sopra della media italiana.

Tutte le altre infrastrutture invece, pur essendo sempre discretamente

lontane dai valori nazionali, indicano che la provincia è meglio dotata

del resto dell’Isola.

Dei livelli infrastrutturali al di sotto dei valori medi nazionali hanno due

effetti principali: da un lato determinano una scarsa attrattività per la

localizzazione di imprese nelle zone più interne per via degli alti costi

di trasporto; d’altro lato, però, dato che i visitatori non possono

agevolmente muoversi nel territorio tendono a concentrarsi in poche

località prossime a porti ed aeroporti di arrivo e questo potrebbe

risultare un vantaggio per le località turistiche della provincia che si

situano proprio in prossimità di porti e aeroporti. E’ vero comunque

che questo limita lo sviluppo turistico delle zone più interne.

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La provincia ha una elevata dotazione di infrastrutture culturali e

ricreative, il valore dell’indicatore supera anche quello medio

nazionale e di sicuro è più elevato della media regionale. Anche gli altri

indicatori risultano più elevati della media. Si può notare però che

l’indicatore delle strutture per l’istruzione è al di sotto del livello

nazionale e presumibilmente contribuisce a determinare un tasso di

istruzione della popolazione adulta più basso rispetto alla media

italiana. Questo indicatore riferisce che più della metà dei residenti

della provincia (di età compresa tra 25 e 64 anni) ha al massimo

un’istruzione secondaria inferiore: “la terza media”. Il valore medio

nazionale si ferma al 45,7%.

Questi valori sono abbastanza datati, non ce ne sono però di più

aggiornati.

Come noto, la carenza di infrastrutture sociali determina un

deterioramento del capitale umano e sociale, legato al senso di

appartenenza dei cittadini e al livello di istruzione, nonché una

diminuzione diretta della qualità della vita, specialmente nel caso delle

infrastrutture sanitarie.

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Un focus sulle strutture ricettive per mettere in evidenza la capacità

ricettiva della provincia e la sua specializzazione.

Come si può vedere infatti solo il 13,9% degli esercizi sono alberghi, la

prevalenza sono invece esercizi complementari (86,1%).

Tra gli alberghi prevalgono quelli di qualità medio bassa, mentre sono

rari gli alberghi di lusso.

Evidentemente la provincia è preparata ad accogliere le classi medie

della popolazione che però risentendo della crisi hanno tagliato «le

vacanze» e questo ha causato una crisi anche del settore turistico.

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Ancora nel dettaglio del settore turistico per mettere in evidenza le

basse performance. L’indice di utilizzazione lorda delle strutture

ricettive è più basso rispetto alla media regionale e i turisti si

trattengono per periodo inferiori. Gli stranieri, forse avvantaggiati dai

voli low cost, rappresentano una porzione più elevata rispetto al resto

dell’Isola.

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Un altro focus sulla capacità di attrarre capitali di investimento.

E’ evidente, dai dati riportati in tabella, che non è così.

Per misurare la capacità di attrazione dei capitali d’investimento,

solitamente si usa la propensione ad investire, calcolata come rapporto

tra gli impieghi bancari nel territorio in esame e i depositi dei residenti

nello stesso territorio. In Sardegna 100 euro depositati in banca

producono 118 euro impiegati (cioè richiesti per investimenti).

Più è alto questo rapporto più è alto il contributo dei capitali esterni.

In Sardegna il moltiplicatore ha un valore basso (118) se si confronta

col resto del paese, in cui il ritorno in termini di investimento arriva a

162.

Ma anche questo valore è ridotto se si prende a riferimento l’Italia

centrale: 202 euro di investimenti.

Olbia Tempio è l’unica provincia sarda in cui gli impieghi sono il doppio

dei depositi, questo significa che il territorio è in grado di attirare

investitori.

Sassari ha ugualmente un valore discretamente alto rispetto alla

Sardegna e supera anche Cagliari.

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Terzo flash, il reddito dei contribuenti della provincia. A Sassari e provincia i

redditi sono mediamente più alti rispetto alla media regionale e sono

superati solo da Cagliari.

Rispetto al 2006 si è ridotto il numero dei contribuenti ma è aumentato il

reddito medio, il che significa che è diminuito il numero dei percettori di

reddito ma sono venuti a mancare i contribuenti più poveri.

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Tornando alle pre-condizioni per lo sviluppo, si analizza ora la struttura

produttiva per mettere in evidenza le peculiarità provinciali e trovare dei

punti sui quali intervenire.

La situazione nel complesso si presenta simile al resto dell’Isola.

Nella provincia sassarese c’è il 20% circa delle imprese sarde. Il tasso di

crescita delle imprese, che misura la dinamicità e la capacità di resistere nel

mercato delle imprese (è un indicatore di breve periodo) risulta negativo

per il 2012, qualche anno prima, nel 2008, era invece positivo in provincia e

pari a 1,4 mentre era già negativo nel resto dell’Isola, -0,33. Questo significa

che sono di più le imprese che chiudono di quelle che aprono e in questo

calcolo si considerano sia le imprese di dimensioni elevate che quelle di

dimensioni minori, compreso i liberi professionisti.

Più preoccupante ancora è l’intensità dei fallimenti, se in Sardegna sono

fallite 1,7 imprese ogni mille attive, a Sassari sono 2,7. Non ho un indicatore

a livello nazionale che ci consenta di dire se la situazione sia in linea. Non è

disponibile neanche lo stesso indicatore per un anno precedente per

verificarne il miglioramento o peggioramento, quindi ci si deve

accontentare del confronto col resto dell’Isola.

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Il dato sulle imprese attive della slide precedente si riferisce al 2012 ed è di

fonte Camera di Commercio.

I dati censuari ci consentono di stabilire come è cambiata la situazione dal

2001 al 2011 e di entrare più nel dettaglio delle informazioni.

Come appare subito evidente a fronte di un incremento del numero di unità

attive di quasi 10 punti percentuali corrisponde un incremento di 5 punti

del numero di addetti, mentre si riducono i contratti di lavoro esterni.

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Un’analisi per settore consente di verificare in quali settori c’è stata la

variazione. A un incremento nel numero di imprese non corrisponde però

necessariamente un incremento nel numero di addetti impiegati e

viceversa.

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Per poter studiare la distribuzione per classe dimensionale e settore di

attività economica e forma giuridica, bisogna utilizzare ancora il dato

censuario del 2011.

Questo dato esclude le imprese agricole che sono state conteggiate l’anno

precedente nel censimento dell’agricoltura.

Il 92% delle imprese dell’industria e dei servizi ha fino a 5 dipendenti, il 97%

ha meno di 10 dipendenti. Questo vale sia a livello provinciale che a livello

regionale.

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Questa slide, anche sei i numeri risultano troppo piccoli per essere letti

mette in evidenza la distribuzione per classe dimensionale per settore.

Come si può notare sono pochissimi i settori in cui si sono imprese di grandi

dimensioni. L’unica impresa che supera i mille dipendenti è nel settore delle

attività finanziarie e assicurative.

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Sempre utilizzando i dati del censimento dell’industria e dei servizi,

pubblicati dall’Istat si può analizzare la struttura produttiva suddividendola

per settore di attività economica e non si rilevano differenze rispetto alla

distribuzione regionale.

Il commercio è il settore più rilevante (28,7%), seguito dalle attività

professionali (15,1%), dalle costruzioni (14,2%), dalle attività manifatturiere

(7,2%) e dalla sanità e assistenza sociale (6,1%). Gli altri settori non sono

rilevanti.

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La distribuzione delle imprese e degli addetti non è comunque uniforme nel

territorio provinciale, considerato che quasi la metà delle imprese e più

della metà degli addetti ha sede a Sassari città.

Si consideri che Sassari, Alghero e Porto Torres rappresentano assieme il

58% della popolazione della provincia, gli addetti sono invece il 72%.

Questo significa che c’è pendolarismo e che nei restanti comuni della

provincia non ci sono molte possibilità di lavoro.

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La stragrande maggioranza di imprese opera come impresa individuale.

Ovviamente questo comporta una minore efficienza nell’utilizzo delle

risorse umane e minori possibilità di strutturare le unità produttive.

In tutta la provincia di Sassari ci sono appena 53 società per azioni. Le

società a responsabilità limitata sono 2.891 e il 60% sono a Sassari città e un

21% si ripartisce tra Alghero (13%) e Porto Torres (7%).

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Dal censimento dell’agricoltura si possono trarre le informazioni sulle

aziende agricole, che si possono suddividere per forma giuridica, rilevando

che la quasi totalità sono aziende individuali (il 94%).

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La maggior parte delle aziende agricole è di piccole o piccolissime

dimensioni, ci sono però delle eccezioni.

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Il saldo della bilancia commerciale della provincia di Sassari, come del resto

della Sardegna intera è negativo, il che significa che per i nostri consumi

dipendiamo dall’esterno.

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Il contributo della provincia di Sassari non è molto rilevante sul totale degli

scambi commerciali dell’Isola col resto del mondo, nel 2012 le importazioni

della provincia rappresentano meno del 5%. Questa percentuale è

facilmente spiegabile dal fatto che la parte più rilevanti (più dell’80%) delle

nostre importazioni si riferisce al coke e ai suoi derivati.

Se si considera però il solo settore agroalimentare si può notare che la

rilevanza aumenta, anche se purtroppo, dal 2006 al 2012 è andata

riducendosi.

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La stessa analisi si può fare per le esportazioni. Anche in questo caso la

provincia ha una rilevanza esigua se considerata nel complesso delle sue

esportazioni, rispetto al resto della regione, ma se si considerano solo i

prodotti agroalimentari il peso aumenta decisamente.

Infatti quasi la metà delle esportazioni si riferiscono proprio a questa

provincia.

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Considerando nel dettaglio proprio il settore agroalimentare si può notare

che risulta positivo, il che significa che la provincia è un esportatore netto.

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I principali mercati di sbocco sono:

Per le importazioni la Spagna, la Francia e la Germania.

Per le esportazioni gli Stati Uniti, e a distanza la Turchia e il Canada.

I prodotti delle industrie lattiero casearie rappresentano il 91% dell’export

dell’agroalimentare verso gli Stati Uniti e il 53% di quello diretto in Canada.

Il totale delle esportazioni di prodotti agroalimentari verso la Turchia si

riferisce a carne lavorata e conservata e prodotti a base di carne.

Le bevande rappresentano l’83% dell’export del settore agroalimentare

verso la Germania.

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Forte specializzazione del settore terziario. Agricoltura e industria

perdono occupati mentre il commercio e le attività alberghiere e di

ristorazione occupano un numero maggiore di addetti.

L’agricoltura ha un peso inferiore rispetto al resto della Sardegna

(5,6%), come pure l’industria in senso stretto (9,1%). Invece le

costruzioni e i servizi pesano di più del resto dell’Isola (dove valgono

rispettivamente 8,1% e 77,2%).

Il tasso di attività e di occupazione sono più elevati a Sassari. Lo sono

però anche il tasso di disoccupazione totale e giovanile.

Tasso di attività 62,4| 61,4

Tasso di occupazione 52,3 |51,7

Tasso di disoccupazione totale 16,0 |15,5

Tasso di disoccupazione giovanile 53,1| 47,3

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Qualche considerazione più in dettaglio sui tassi di disoccupazione a

livello provinciale.

Nel 2008 il tasso di disoccupazione della provincia era il più elevato,

nel 2012 è invece tra i più bassi, anche se non si è modificato in modo

significativo. Sono infatti le altre province che hanno visto peggiorare

la propria situazione. In Ogliastra si è passati ad esempio da un tasso

del 12,1% a uno del 22,4%.

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Se si considera solo la fascia d’età 15-24 anni, i giovani, si può

osservare un netto incremento della disoccupazione. A Sassari oltre la

metà dei giovani che si presenta sul mercato del lavoro è in cerca di

un’occupazione.

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E questo vale sia per i maschi, in cui il tasso ha avuto un elevato

incremento nel periodo considerato.

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Che per le femmine, in cui invece il tasso si è ridotto ma è ancora

decisamente molto alto. Il 61,4% delle ragazze che si propone per un

lavoro non lo ha ancora trovato.

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L’Unioncamere, attraverso la banca dati Excelsior raccoglie le intenzioni

di assunzione delle imprese, sia in termini di quantità di lavoro

richiesta che in termini di qualità. Questa rilevazione, per la Sardegna,

si scompone al massimo per le 4 province storiche, quindi il dato della

provincia di Sassari comprende anche la provincia di Olbia Tempio, per

cui è difficile riuscire a suddividere le richieste della parte ovest da

quelle della parte est del Nord Sardegna.

Presento quindi solo una slide esemplificativa a dimostrazione di un

lavoro che dovrebbe essere più dettagliato e che può dare l’idea

dell’effettiva richiesta di lavoro.

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I dati proposti consentono di inquadrare la situazione della provincia, in

alcuni casi forniscono anche un confronto col passato per valutare gli effetti

della crisi.

Mettono in evidenza ad esempio che le precondizioni allo sviluppo e alla

crescita sono più favorevoli rispetto al resto della Sardegna, almeno per

alcuni aspetti, anche se, riferendoci al settore turistico andrebbero forse

riammodernate le strutture ricettive differenziando l’offerta in modo da

incentivare nuove tipologie di turisti.

A questo punto però bisogna assegnare delle priorità di intervento,

definendo politiche industriali di medio e lungo periodo che inneschino la

crescita che consentirà alle imprese di fare nuove assunzioni in particolare

nella porzione della popolazione giovane e femminile, che risente

maggiormente della mancanza di occupazione. Ed è necessario anche

pensare agli scenari futuri del mercato del lavoro, alle nuove figure

professionali richieste dal mercato.

Il terziario pubblico non può essere il fattore di sviluppo principale anche

perché determina la concentrazione dei servizi nel solo comune di Sassari

oltre al fatto che manca una struttura produttiva da supportare.

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