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SUPPLEMENTO A PELO & CONTROPELO N. 2/2013 Giornale scaricabile all’indirizzo: www.lacincia.it/docs/pelo_contropelo_20131201.pdf DR. LUCIANO PROIETTI PEDIATRA Nato a Torino. Pediatra esperto in alimentazione vegetariana e vegana. Laureato in Medicina e Chirurgia, specializzazione in Pediatria. Nel 1975 svolge le prime ricerche in Italia sull'alimentazione vegetariana nel bambino pres- so il Centro di Auxologia della Clinica Pediatrica dell'Università di Torino, diretto dal pro- fessor Lodovico Benso, con le prime valutazioni auxologiche di bambini vegetariani. Padre di tre figli, d'accordo con la moglie Carla, ha scelto di mantenere in famiglia una rigo- rosa dieta vegetariana e lasciare decidere ai figli, al momento dell'ingresso nella scuola, cosa mangiare, spiegando le ragioni della propria scelta. CONFERENZA “ALIMENTAZIONE DALLA GRAVIDANZA ALLA PRIMA INFANZIA” – TORINO 10/07/2013 organizzata dalla L.A.V. (Lega Anti Vivisezione) trascrizione a cura di Marinella Robba L’argomento di questa conferenza è l’alimentazione durante la gravidanza e nei primi anni di vita del bambino, il periodo che viene definito “1000 giorni”, cioè 270 giorni di gravidanza e 2 volte 365 giorni di vita del bambino. Il totale fa esattamente 1000 giorni, cioè il periodo dal concepimento fino ai primi 2 anni di vita del bambino. Crescere in modo fisiologico La crescita dipende dalla genetica, ma soprattutto dall’alimentazione. Cosa vuol dire crescere in modo fisiologico? Premetto che l’alimentazione che si propone, cioè le istruzioni sull’alimentazione del bambino, che vengono date ai pediatri e che questi ultimi danno ai genitori, non hanno nessuna base scientifica, non l’hanno mai avuta e continuano a non averla. Esistono alcuni dati obiettivi, scientifici, ma le indicazioni nutrizionali sull’allattamento e sullo svezzamento non hanno una base scientifica. Sono legate alla storia, alla cultura, all’ambiente. Anche la modalità di crescita del bambino varia in rapporto al momento storico e all’ambiente in cui vive. Negli anni ‘50 e ‘60, dopo la guerra, la tendenza in Italia ed in Europa era di fare in modo che i bambini non fossero più

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CONFERENZA “ALIMENTAZIONE DALLA GRAVIDANZA ALLA PRIMA INFANZIA” – TORINO 10/07/2013 organizzata da L.A.V. (Lega Anti Vivisezione) trascrizione a cura di Marinella Robba

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SUPPLEMENTO A PELO & CONTROPELO N. 2/2013

Giornale scaricabile all’indirizzo: www.lacincia.it/docs/pelo_contropelo_20131201.pdf

DR. LUCIANO PROIETTI

PEDIATRA

• Nato a Torino. • Pediatra esperto in alimentazione vegetariana e vegana.• Laureato in Medicina e Chirurgia, specializzazione in Pediatria.• Nel 1975 svolge le prime ricerche in Italia sull'alimentazione vegetariana nel bambino pres-

so il Centro di Auxologia della Clinica Pediatrica dell'Università di Torino, diretto dal pro-fessor Lodovico Benso, con le prime valutazioni auxologiche di bambini vegetariani.

• Padre di tre figli, d'accordo con la moglie Carla, ha scelto di mantenere in famiglia una rigo-rosa dieta vegetariana e lasciare decidere ai figli, al momento dell'ingresso nella scuola, cosa mangiare, spiegando le ragioni della propria scelta.

CONFERENZA “ALIMENTAZIONE DALLA GRAVIDANZA ALLA PRIMA INFANZIA” – TORINO 10/07/2013 organizzata dalla L.A.V. (Lega Anti Vivisezione) trascrizione a cura di Marinella Robba

L’argomento di questa conferenza è l’alimentazione durante la gravidanza e nei primi anni di vita del bambino, il periodo che viene definito “1000 giorni”, cioè 270 giorni di gravidanza e 2 volte 365 giorni di vita del bambino. Il totale fa esattamente 1000 giorni, cioè il periodo dal concepimento fino ai primi 2 anni di vita del bambino.

Crescere in modo fisiologico

La crescita dipende dalla genetica, ma soprattutto dall’alimentazione. Cosa vuol dire crescere in modo fisiologico? Premetto che l’alimentazione che si propone, cioè le istruzioni sull’alimentazione del bambino, che vengono date ai pediatri e che questi ultimi danno ai genitori, non hanno nessuna base scientifica, non l’hanno mai avuta e continuano a non averla. Esistono alcuni dati obiettivi, scientifici, ma le indicazioni nutrizionali sull’allattamento e sullo svezzamento non hanno una base scientifica. Sono legate alla storia, alla cultura, all’ambiente. Anche la modalità di crescita del bambino varia in rapporto al momento storico e all’ambiente in cui vive. Negli anni ‘50 e ‘60, dopo la guerra, la tendenza in Italia ed in Europa era di fare in modo che i bambini non fossero più

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allattati al seno. Si disincentivava l’allattamento al seno a favore dell’utilizzo del latte in polvere e poi del latte vaccino. Quando ho iniziato ad occuparmi di pediatria, negli anni ‘70, c’era già stato un piccolo cambiamento: si consigliava di allattare fino a 3 mesi e poi dare latte di mucca e omogeneizzati. Con il passare del tempo, le indicazioni sono ulteriormente cambiate. Adesso la proposta è abbastanza diversa, ma è sempre indicativa, generica. Oggi è di moda l’“autosvezzamento”: il bambino si svezza da solo dandogli la possibilità di mangiare quello che trova sulla tavola, quindi gli stessi cibi dei genitori. Verso la fine degli anni ‘70 e negli anni ‘80, in Canada e negli Stati Uniti, un numero crescente di mamme allattavano a lungo al seno i bambini, oltre l’anno. Era un comportamento anomalo nelle popolazioni progredite, infatti le mamme della maggior parte delle nazioni europee e del Nord America allattavano fino a 6 mesi, se andava bene. In quel periodo si stava sviluppando un movimento che proponeva l’utilizzo del latte materno anche fino ad 1 anno, 1 anno e mezzo, 2 anni di vita del bambino. Cosa succedeva? I pediatri osservavano che i bambini crescevano in modo non congruo rispetto alle tabelle di crescita. Crescevano meno ed erano decisamente al di sotto della media e dei percentili. La crescita è considerata un segno di benessere, di salute, per cui se il bambino non cresce bene bisogna accertare che non abbia qualche malattia o che non vi sia qualche problema, ad esempio carenze di vario tipo. Questi bimbi, allattati al seno, crescevano decisamente meno rispetto ai parametri delle tabelle, pertanto i pediatri consigliavano alle mamme di interrompere l’allattamento e di dare ai bambini latte vaccino e latte in polvere, perché considerati più nutrienti di quello materno; in questo modo i bambini sarebbero cresciuti in modo adeguato. Tuttavia, quando hanno cominciato ad essere migliaia i bambini che, allattati al seno, crescevano meno rispetto alla media, qualcuno ha pensato che, probabilmente, ad essere sbagliato non fosse l’uso del latte materno, ma le stesse tabelle, redatte negli anni ‘60 e ‘70 sulla base della media di crescita di bambini europei alimentati con latte vaccino e latte in polvere. Vista l’incongruenza tra i parametri di crescita dei bimbi allattati al seno e i valori delle tabelle, si è deciso di intraprendere una ricerca confrontando la crescita dei bambini di tutti i continenti. Sono stati presi in considerazione alcune centinaia di bambini allattati al seno da mamme di famiglie benestanti dell’Europa, Nord America, Sud America, Africa, Asia ed Australia. Questi bambini erano allattati al seno fino a 2 anni. Più precisamente, veniva dato esclusivamente latte materno fino a 6 mesi e poi le mamme integravano con altri alimenti fino a 2 anni. Dalla ricerca è emerso un dato straordinario, anche se ovvio. Si è scoperto che il cucciolo di Homo Sapiens, indipendentemente dalla razza a cui appartiene, cresce allo stesso modo se viene alimentato allo stesso modo, cioè da cucciolo di Homo Sapiens. Se al bambino viene dato latte materno la sua crescita sarà più rallentata rispetto a quella del bambino allattato con latte vaccino o artificiale. E’ stata la dimostrazione dell’ovvietà, che ancora al giorno d’oggi non accettiamo. L’Homo Sapiens, come qualsiasi altro mammifero, ha la caratteristica di avere bisogno di latte nella prima parte della vita. Tutti i mammiferi sono lattanti, compreso l’Homo Sapiens, però quest’ultimo continua ad essere lattante tutta la vita. Si propone latte durante tutta la vita, non quello della mamma, ma il latte di mucca e questa è una delle controindicazioni assolute per la salute. Inoltre, è un atto contro natura, perché nessun mammifero continua a bere latte della propria mamma o di un’altra specie oltre il periodo dell’allattamento. Lo facciamo solo noi esseri umani e non per un motivo di salute, ma economico. Una volta era diverso. Quando si è iniziato in Europa a dare il latte di mucca ai bambini? Non tanto tempo fa, a metà dell’800 quando, con la rivoluzione industriale, nel centro Europa le mamme che lavoravano in fabbrica, dopo aver partorito, non potevano stare a casa 6 mesi, 1 anno ad allattare, perché rischiavano di perdere il posto di lavoro. Quindi dovevano trovare una soluzione e, in un primo momento, le soluzioni erano solo due: affidare il neonato ad una balia oppure sopprimerlo. L’infanticidio era molto diffuso in quel periodo, perché non esistevano metodi anticoncezionali e solo chi aveva la possibilità economica di mantenere un bambino lo affidava ad una balia, in caso contrario la morte era quasi una certezza. In seguito, sono stati scoperti sostituti del latte materno considerati adeguati: il latte di mucca, di capra e di asina, a seconda della regione in cui risiedeva la famiglia. Quindi i bambini appena nati venivano alimentati con questi tipi di

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latte, che però per natura sono adatti, rispettivamente, al cucciolo della mucca, della capra e dell’asina. Infatti, la loro composizione è totalmente diversa da quella del latte della mamma e i bambini morivano. Non si sapeva perché un lattante di 1 mese, che prendeva latte di mucca o di capra, nel giro di 2-3 settimane morisse: al bimbo veniva una diarrea continua che lo portava alla morte. Non si conosceva ancora la composizione dei diversi tipi di latte e quando è stata scoperta si è visto che era diversa rispetto a quella del latte della mamma, era molto più proteica. Per questo motivo il latte di mucca, di capra e di asina provocavano una diarrea putrefattiva, che portava il bambino alla morte per disidratazione. Allora è stato escogitato il trucco di diluirlo con acqua, ma in questo modo si perdevano calorie e il bambino non cresceva più. Per ovviare al problema si iniziò ad aggiungere farine e zucchero. Ancora adesso, raramente, qualcuno dà al neonato latte di mucca diluito con acqua, con l’aggiunta di zucchero e farine. Questa soluzione permette al bambino di vivere però, se fino a 70 anni fa, dopo la guerra, per i genitori era sufficiente che il proprio figlio sopravvivesse (in Italia la mortalità andava dal 10 al 15%, adesso è allo 0,4%), oggi non pretendiamo solo che nostro figlio sopravviva, ma che sia sano e cresca bene. Quindi è necessario sapere quali sono le “regole del gioco”. Ormai è accettato da tutti, dalla scienza e dalla cultura diffusa, che l’unico latte adatto al bambino è quello della mamma e non esiste nessuna alternativa in natura. In realtà, ce ne sarebbe una ed è il latte di scimpanzé che, evidentemente, è un po’ scomodo da prelevare. Quindi, se la mamma non riesce ad allattare, l’unica soluzione è utilizzare un latte “costruito”, un latte formulato, cioè un latte in polvere che ha una composizione simile a quello della mamma, però ovviamente costa. Non va bene neanche il latte di asina, che adesso si propaganda e si vende a 20 euro al litro. Il latte in polvere, commercialmente, si chiama “formula”, non si chiama latte perché può essere definito tale solo quello che esce dalle mammelle dei mammiferi. Per questa ragione non si può dire “latte di soia”, “latte di riso”, “latte di mandorla”, ma “bevanda” di soia, riso, mandorla e “formula”. Per lo stesso motivo non si trova la dicitura “latte in polvere”. Cosa vuol dire “formula”? Si tratta proprio di una formula. Nel latte in polvere vengono messi i vari nutrienti che compongono il latte materno: vitamine A, B, C, D, calcio, ferro, magnesio, zinco, proteine, grassi, estratti da cereali, oli, semi ecc., quindi da più parti. In questo modo si ottiene una composizione simile a quella del latte materno ed è la soluzione ottimale per la mamma che non ha latte. Ma perché una mamma non allatta? Un bambino non viene allattato al seno o perché la mamma non ha latte o perché non vuole allattare. Non ci sono altre possibilità, tuttavia la situazione di una mamma senza latte è contro natura, perché il meccanismo biologico dei mammiferi comporta che lo producano automaticamente quando partoriscono un cucciolo. Allora bisogna chiedersi perché una mamma non allatta. La nostra società fa di tutto affinché le donne non allattino, in modo indiretto, con messaggi subliminali. Ne sono un esempio la pubblicità del biberon oppure il parto in ospedale, cioè nella struttura dove vengono curati i malati. Se un soggetto è sano non va in ospedale; una donna che deve partorire non è malata, è sana. E’ chiaro che il parto è un momento a rischio, ma sappiamo benissimo cosa succede e siamo in grado di prevedere con grossa possibilità se andrà bene oppure se ci saranno problemi.

Gli alimenti fisiologici

Per fare in modo che il bambino cresca bene, senza ammalarsi: neanche un raffreddore, né tosse, catarro, bronchite, otite o tonsillite, occorre mettere “la benzina” giusta nell’organismo e bisogna cominciare prima del concepimento. Non prima del parto, prima del concepimento! I genitori devono prepararsi “pulendo i propri motori” e creando le condizioni psichiche, emotive, alimentari e ambientali corrette. Proprio ieri ho letto un articolo su una rivista pediatrica in cui si sosteneva che i bambini concepiti d’estate hanno un peso migliore alla nascita e crescono meglio. Non è un caso. Infatti, d’estate di solito si va in vacanza, ci si rilassa e si è contenti. Se, al contrario, il concepimento avviene, ad esempio, dopo una bevuta o in un momento di stress, si inizia già con qualche difficoltà. Bisogna sempre conoscere il motivo per cui accade un evento ed essere

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consapevoli che niente è casuale. Ad esempio, il raffreddore o l’influenza non vengono per caso. C’è sempre un motivo, però molto spesso non fa comodo sentirlo. Se il nostro “motore” si inceppa, se il “motore” di nostro figlio si inceppa significa che non abbiamo messo la “benzina” giusta, anche senza volerlo. Il bambino che va al nido si ammala. Perché? Si pensa a causa di virus e batteri, ma anche a casa ci sono virus e batteri. Invece il motivo è esclusivamente psichico: il senso di abbandono, con conseguente diminuzione delle difese immunitarie e aumento del cortisolo. I primi 3 mesi della gravidanza sono molto importanti. Il congedo dal lavoro, a mio parere, dovrebbe essere nei primi 3 mesi, anzi 4, cioè 1 mese prima del concepimento. Comunque sono importantissimi i primi 3 mesi di gravidanza, perché è proprio in questo periodo che si forma l’organismo del bambino: il sistema nervoso, il cuore, il fegato e tutti gli altri organi. E’ il momento più delicato, quindi occorre fare particolare attenzione ai livelli di stress, all’alimentazione, all’aria che si respira. Ovviamente, trascorsi i primi 3-4 mesi, occorre ancora stare attenti, tuttavia i primi 3 mesi sono fondamentali. Oggi si parla di “epigenetica”, che significa “sopra la genetica”, è una nuova branca della medicina che studia gli effetti dell’ambiente sulla genetica. Ancora adesso si dà molta importanza alla genetica: «tu sei depresso perché sei nato così», «è un bambino nervoso, nato nervoso, è sempre stato così, non riesce mai a dormire». La genetica, è certamente importante, ma lo è ancora di più l’epigenetica. Ciò che facciamo, infatti, influenza la manifestazione o meno del gene, l’effetto delle malattie. La predisposizione a certi tipi di tumore, ad esempio, dipende dal tipo di vita che conduciamo. Quindi per molte patologie del bambino, oggi, si fa riferimento all’epigenetica, in particolare all’ambiente, a ciò che mangia e respira (cibo inquinato, aria inquinata). Non mi voglio soffermare in particolare sui cibi che dovrebbe consumare la mamma durante la gravidanza, ma voglio parlarvi in generale dei cibi fisiologici. Fisiologici, non sani. Cosa significa fisiologico? Ogni nostra azione o comportamento (una relazione emotiva ed affettiva, il respiro, il movimento, il cibo) determina nel nostro organismo un effetto. Se una sostanza è funzionale al nostro “motore”, questo gira bene; se la sostanza non è funzionale si verificano problemi. L’acqua è fondamentale ed è funzionale, però c’è acqua e acqua: può essere viva o morta, inquinata o non inquinata. Se beviamo acqua viva non inquinata, le nostre cellule funzionano bene. Lo stesso discorso vale per il cibo. Dopo la nascita il bambino ha bisogno di due cose: il contatto fisico e il latte della mamma. Un grosso quesito, che ci si pone da decenni è: fino a quando il bambino è lattante? Fino a quando dare il latte? Negli anni ‘50 e ‘60 si diceva: «1 mese, 2, 3 e poi basta». Adesso le indicazioni sono fino a 6 mesi esclusivo e poi, integrato con altri alimenti, fino ad 1 anno, 1 anno e mezzo, alcuni dicono fino a 2 anni. Nel 2005 l’Accademia Americana di Pediatria, l’organo scientifico pediatrico mondiale più importante in assoluto nell’ambito della ricerca in questo settore, pubblicò sulla rivista internazionale di aggiornamento in pediatria “Pediatrics” un articolo sull’allattamento in cui, dopo 70 anni di discussione, si affermava che il latte della mamma è l’unico cibo adatto al lattante e che è indicato non solo nei primi 6 mesi o nel primo anno, ma anche a 2, 3 anni e anche oltre. Affermazioni ovvie, visto che è un alimento fisiologico. Dagli studi, inoltre, emerse che il latte materno è adeguato, non solo sotto il profilo della salute del bambino e della mamma, ma anche ambientale. A questa conclusione si era giunti analizzando i costi ecologici, in termini di salute e di risparmio di giorni persi a lavoro, perché se il bambino si ammala la mamma non va a lavorare. Quindi, analizzando tutti questi aspetti, il latte materno è risultato l’alimento più fisiologico, anche oltre il terzo anno di vita del bambino. Ma fino a quando si può allattare? Esistono dati obiettivi per stabilire fino a quando il cucciolo dell’Homo Sapiens è lattante? Esistono, però non sono funzionali alla nostra società, perché il latte della mamma non costa niente, funziona e fa stare bene il bambino, quindi non si spende in medicine. Il bambino si ammala poco o niente, noi pediatri lavoriamo poco, le industrie farmaceutiche vendono meno, quindi il guadagno diminuisce. Il cucciolo di Homo Sapiens è lattante e ha bisogno di latte fino a 6-7 anni. A quell’età i bambini cambiano i denti da latte ed entrano nella relazione emotiva. Fino a 6-7 anni il bambino dovrebbe stare vicino alla mamma. In quel periodo si verifica un cambiamento a livello del sistema nervoso e varia

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l’elettroencefalogramma. Inoltre, occorre tenere in considerazione un altro dato obiettivo: la digestione del latte. Molti adulti non digeriscono il latte, quello di mucca ovviamente. Lo bevono e hanno la diarrea. Che cosa non digeriscono del latte? Il lattosio, che è lo zucchero del latte ed è presente nel latte di tutti i mammiferi, tranne quelli marini, a cui non occorre. Aggiungo un altro dato interessante. Il lattosio è uno zucchero, come il glucosio e il fruttosio, che si trova praticamente solo nel latte. Dico praticamente, ma fino a qualche tempo fa avrei detto solo nel latte, perché si è scoperto che è presente anche nelle alghe, la verdura del mare. Fino a 6-7 anni produciamo a livello di intestino la lattasi, l’enzima che serve a digerire il lattosio, dopo non la produciamo più. Questo significa che dai 6-7 anni in avanti non abbiamo più bisogno di bere latte, per questa ragione l’organismo, nella nostra evoluzione, non produce più lattasi. Fa eccezione una piccola parte di umanità costituita dalla razza bianca, che può produrre lattasi anche tutta la vita. Se un soggetto di 40-50 anni, bevendo un bicchiere di latte, non riscontra alcun problema, significa che il suo organismo produce ancora lattasi. Questo avviene nel 70% della popolazione di razza bianca adulta. Tutto il resto dell’umanità, a partire dai 6-7 anni, non la produce più, quindi la razza bianca costituisce un’eccezione. L’umanità non è bianca di pelle, siamo un’eccezione evolutiva, una sorta di anomalia. Fino a 2000-3000 anni fa gli esseri umani erano tutti scuri di pelle. Le persone di colore, gli indiani dell’India o d’America, i giapponesi o i cinesi non possono bere latte, perché provoca la diarrea. A queste popolazioni occorrerebbero decine o centinaia di anni per adattarsi a produrre lattasi.Il bambino può essere allattato fino a 6 anni. Ovviamente si possono abbinare altri alimenti, anche se il latte della mamma è completo. L’organismo del bambino ha bisogno di: grassi, proteine, zuccheri, sali minerali ecc.. Nel latte della mamma c’è tutto e nella giusta misura, ovviamente se la mamma si alimenta in modo adeguato. Quindi il bambino potrebbe bere solo latte perchè, dal punto di vista nutrizionale, contiene tutti i nutrienti nella misura giusta. E allora perché si svezza a 5-6 mesi? Cosa vuol dire svezzamento? Significa togliere il vizio. Quale? Fino a metà dell’800 questo termine non esisteva nei libri di pediatria, il passaggio dal latte agli altri alimenti veniva chiamato “slattamento”. Ad un certo punto, con la nascita della puericultura nel 1800, togliere il latte dall’alimentazione del bambino è stato definito “svezzamento”, cioè togliere il vizio. Attribuendo in questo modo una connotazione negativa all’allattamento, considerato eticamente e convenzionalmente sbagliato, economicamente non adeguato. Si doveva mandare un messaggio, anche con le parole, bisognava dire che l’allattamento era un vizio come il fumo e l’alcool. Quindi togliamo il vizio. Adesso, molto lentamente, si sta cercando di superare questo pregiudizio, infatti si parla di “alimentazione complementare”, tuttavia il termine che si usa normalmente e che tutti conoscono è ancora “svezzamento”. Perché si inizia a 5-6 mesi? Perché fa comodo a tutti, tranne alla mamma e al bambino. In genere si è contenti, perché si ritiene che il bambino debba crescere in fretta. A 8-9 mesi mangia di tutto: arrosto, patate fritte, yogurt, gelato, biscotti, cioccolato. Questo dà soddisfazione, ma quel tipo di alimentazione è la “benzina” giusta per quel “motore”? Non ci sono dati scientifici per stabilirlo, ma esistono dati fisici. La cultura popolare insegna che alcuni alimenti possono essere consumati a volontà, altri con moderazione perché infiammano.

Correlazione tra malattia e alimentazione

Infiammazione è la parola chiave della medicina contemporanea. Infatti, si è scoperto che tutte le patologie hanno una base infiammatoria. Cosa consigliano i medici, i cardiologi e gli oncologi per valutare il rischio di tumore, di patologie cardiovascolari, di Alzheimer ecc.? Consigliano di fare l’esame della “proteina C reattiva” per valutare lo stato infiammatorio dell’organismo. Normalmente il valore aumenta quando si ha febbre e influenza. Se un bambino ha la febbre e viene portato in ospedale, la prima cosa che fanno i medici è proprio l’esame della “proteina C reattiva”, per verificare se è in corso un’infiammazione oppure se si tratta di una febbre

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da calore. Se un soggetto adulto sta bene, ma ha la “proteina C reattiva” alta, il suo “motore” non gira tanto bene e corre il rischio di avere un infarto, ammalarsi di tumore o di una patologia di tipo neurologico ecc.. Qual è il cibo adatto al nostro “motore” e al “motore” del bambino? Per stabilirlo si devono valutare gli effetti che produce. Se mettiamo la benzina giusta alla nostra auto, funzionerà bene e durerà 20 anni. Se non mettiamo l’olio al momento giusto e la benzina adatta, l’auto funzionerà meno. Lo stesso discorso vale per il nostro organismo e per quello del bambino, con la differenza che nel bambino gli effetti sono immediati. Comincia ad avere naso che cola, tosse, catarro, mal di orecchie, qualche linea di febbre e disturbi di infiammazione. Solitamente in questi casi si dice: «è stato un colpo d’aria», d’estate e d’inverno c’è sempre il colpo d’aria quando il bambino ha qualcosa oppure si dà la colpa ai denti. Tuttavia, se il cibo che diamo a nostro figlio è quello giusto può avere i colpi d’aria a dieci gradi sotto zero o mettere tutti i denti senza mai ammalarsi e arrivare a dieci anni senza avere preso una medicina. Incredibile, eppure è così! Quindi il cibo che diamo a nostro figlio crea un effetto. Se il bambino è sano, cresce bene e non si ammala significa che il cibo è quello giusto. Se invece si ammala anche solo di tonsillite, otite, raffreddore, bronchite, significa che o non lo teniamo bene, come condizione oppure non gli diamo il cibo giusto. E qui diventa impegnativo perché l’alimentazione ha una funzione anche di gusto, di piacere, emotiva. Molte volte il cibo più gustoso è quello che dà più problemi e il nostro organismo non “ragiona” in termini di buono-giusto e buono-cattivo, ma di equilibrio acido-basico, di quantità di sali minerali, vitamine ecc.. Ciò che arriva alla membrana cellulare fa lavorare più o meno bene la cellula. Non decidiamo noi le regole del gioco, le ha decise l’evoluzione, la nostra storia millenaria. Il cucciolo dell’essere umano non si è ancora accorto, a livello di organismo, che è cambiato il sistema di vita. Dal punto di vista biologico il suo organismo “ragiona” ancora come faceva un milione di anni fa. Quindi se riceve il cibo di allora funziona, se riceve quello di oggi non funziona più e le conseguenze si hanno a breve, medio e lungo termine. Il lungo termine, però, è sempre più breve, visto che un numero crescente di bambini piccoli di 1 anno e mezzo, 2 anni, si ammala di leucemia. Ieri ho ricevuto una telefonata: una bimba di 2 anni con la leucemia. I casi come questo aumentano, non sono eccezioni. Per fortuna al giorno d’oggi esistono cure che permettono la soluzione della leucemia nell’80-90% dei casi, ma il diabete, per esempio, almeno per ora non è curabile e vivere con questa patologia non è facile per un bambino di 2-3 anni e per i suoi genitori. Un altro problema recentissimo è l’intolleranza al glutine, la celiachia, che è sempre più diffusa. Anche i casi di dermatite sono molto frequenti. Non possiamo dire: «è destino, mi è andata male» oppure «sono fortunato, mio figlio sta sempre bene». Dobbiamo fare in modo, partendo da lontano, che nostro figlio stia bene. Facciamo un esempio per capire il meccanismo della salute o della malattia del bambino. Una bimba di 6 mesi con la dermatite: la vedo la prima volta, appunto a 6 mesi, chiedo ai genitori quando è comparsa la patologia. Mi rispondono che è iniziata verso 1 mese e mezzo con qualche macchia e si è accentuata a 2 mesi e mezzo. La bambina è stata sottoposta a visite varie (dermatologi, medicina alternativa ecc.) e a diversi interventi (terapie, creme ecc.), senza risoluzioni importanti se non con il cortisone, che cura però, quando si interrompe la somministrazione, la patologia riprende. Perché quella bambina a 1 mese e mezzo aveva la dermatite? Perché la bimba della telefonata di ieri, a 2 anni, si è ammalata di leucemia? Una spiegazione esiste, ma di solito le persone non si pongono domande. Perché ad un bambino viene la tonsillite? Perché ad 1 anno ha l’asma o l’allergia? Altre patologie molto frequenti. Le persone non si chiedono il motivo. E’ complicato, è molto più semplice dare la medicina. Sono contenti i genitori che in questo modo risolvono il problema, anche se devono sempre ricorrere alla medicina, ma è contento soprattutto chi la produce. Abbiamo rispettato le “regole del gioco”? Quella bimba con la dermatite a 6 mesi è nata con parto cesareo. Cosa succede quando non si nasce in modo fisiologico? Un fenomeno straordinario, di cui ci rendiamo conto da poco tempo. C’è differenza se il bambino esce per vie naturali rispetto al parto cesareo. Le vie naturali sono inquinate, piene di batteri. Quando il bambino esce preme l’intestino della mamma e “mangia le sue feci”, quindi si inquina, il suo intestino si riempie di batteri. Il bambino che nasce con il taglio cesareo, in sala operatoria, dove è tutto sterilizzato, non si inquina e il suo intestino rimane sterile.

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Inizia ad inquinarsi quando riceve cibo. Se però la mamma lava il bambino con il disinfettante, gli dà il biberon sterilizzato nel Milton e così via, il bimbo continua a non venire a contatto con i batteri. Cosa succede? Innanzitutto compare la malattia emorragica del neonato e, per prevenirla, da qualche anno i pediatri prescrivono la vitamina K. Inoltre, l’intestino forma una flora batterica non adeguata e quando inizia ad arrivare il cibo, se è quello fisiologico l’organismo regge, ma se non è cibo fisiologico sorgono problemi. La mamma della bimba nata con parto cesareo, riesce ad allattare più o meno un mesetto, poi non ce la fa più ed integra l’alimentazione con latte in polvere vaccino; sulla pelle della bimba comincia a comparire qualche macchia, non così diffusa. A 2 mesi le dà solo latte vaccino e la dermatite aumenta, a 3 mesi la bimba è piena di macchie. Se l’avessi visitata a 15 giorni, 1 mese avrei detto alla mamma di darle fermenti lattici per inquinare l’intestino, perché la bimba era nata con parto cesareo. Inoltre, le avrei detto: «se puoi allattala. Evita il più possibile le proteine animali, in particolare latte e latticini. Se non puoi allattare la bimba dalle un latte formulato, evita il latte vaccino». In questo modo il rischio di dermatite sarebbe diminuito. L’organismo di quella bambina ha funzionato benissimo, ha reagito in base alla “benzina” ricevuta. Il “motore” non girava tanto bene, quindi cercava di sfogare attraverso la pelle. Anche la bimba con la leucemia era nata con parto cesareo. La mamma non poteva allattarla e le dava latte in polvere vaccino; c’è familiarità di intolleranza al glutine genetica e la bambina cresce poco. Dai 5-6 mesi assume glutine attraverso alimenti che contengono farina. La leucemia è una delle conseguenze a breve, medio, lungo termine dell’intolleranza al glutine. L’altra patologia importante favorita da questo tipo di intolleranza è il diabete. Molti diabetici scoprono di essere celiaci solo dopo che è stato loro diagnosticato il diabete. Le altre possibili conseguenze dell’intolleranza al glutine sono: ipotiroidismo, tumore all’intestino, malattie infiammatorie intestinali … troppe patologie! L’intolleranza al glutine è dovuta al fatto che quello che assumiamo oggi deriva dal grano modificato negli anni ‘70, utilizzato perché molto più economico e produttivo, quindi conveniente all’economia, ma non al nostro sistema immunitario intestinale che non lo riconosce. Quando questo tipo di glutine entra nell’intestino il sistema immunitario si attiva cercando di difendersi e insorge l’intolleranza. In conclusione, che cosa dare da mangiare al bambino, almeno fino ai primi 2 anni? Solo latte della mamma. Decidono il bambino e la mamma quando interrompere l’allattamento. Non occorre lo “svezzamento” e, in ogni caso, se decidiamo di dare al bambino altri alimenti, si deve trattare di cibi che fanno girare bene il “motore”, che non creano infiammazione e quindi non fanno insorgere: catarro, muco, raffreddore, otite, tonsillite, allergie, bronchite, stitichezza, diarrea e così via. Quindi cibo vegetale, che è quello meno acidificante in assoluto, né carne, né pesce, né uova, né latte e né formaggio. Fino a quando il bambino è allattato al seno è biologicamente e fisiologicamente vegano, se vogliamo utilizzare un termine che, a mio parere, ha una connotazione ideologica. Il vegetarismo e il veganismo sono scelte ideologiche, etiche, ecologiche, ambientali. L’alimentazione vegana può non essere salutare. Infatti, se una persona beve unicamente Coca-Cola e mangia solo patate fritte è vegana, ma la sua alimentazione non è salutare. La condizione che deve essere rispettata per quanto riguarda la salute del bambino è che l’alimentazione sia vegana (latte materno, latte formulato e cibo vegetale calorico), perché il bambino è biologicamente vegano. Evitare frutta e verdura, perché ricche di fibre, che sono utili agli adulti per contrastare la stitichezza, ma nel bambino la provocano. Se un lattante mangia frutta e verdura smette di crescere e diventa stitico, perché il suo intestino non è adatto a ricevere fibra, infatti il latte non ne contiene. Un errore che si commette è dare al bambino piccolo il passato di verdura o la frutta, ad esempio la mela frullata, che è il primo alimento che si dà, anche se non è stagione e l’abbiamo conservata a lungo in frigorifero. Generalmente si pensa: «la mela va bene, perché è un frutto e la frutta fa bene», ma è composta da fibra, la quale produce una quantità enorme di feci che il bambino non è in grado di espellere, di conseguenza diventa stitico. Questo è uno dei disturbi più diffusi, quindi zero fibra, solo cibi calorici. Della frutta e della verdura possiamo dare i componenti utili: le vitamine, i sali minerali e il colore. Cosa conferisce colore alla frutta e alla verdura? Le sostanze più importanti in assoluto per la salute di tutti: gli

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antiossidanti. Il giallo, il rosso, il verde, il blu (licopene, beta-carotene ecc.). Sono presenti anche nel latte, per questa ragione il lattante non ha bisogno di frutta e verdura. Se però vogliamo dargliele dobbiamo estrarre il liquido, il succo, cioè dare al bambino la frutta e la verdura senza fibra. Inoltre, è fondamentale il cibo calorico: cereali non integrali (quelli integrali sono indicati solo per l’alimentazione degli adulti), un po’ di legumi e grassi. Questi ultimi sono essenziali a tutte le età. Ovviamente si deve trattare di grassi vegetali, che sono prevalentemente insaturi: olio e semi (di sesamo, di canapa ecc. ). Questa è l’alimentazione ideale fino a 6 anni, comunque almeno fino a 2 anni. Dopo sicuramente mangerà biscotti, gelati, patate fritte, tutto quanto, però almeno durante i primi 2 anni il bambino avrà messo buone basi e il rischio di ammalarsi sarà molto inferiore. Purtroppo non sentirete mai ciò che vi ho detto in questa conferenza alla televisione, perché non è funzionale al sistema. Invece sono informazioni fondamentali, che interessano alle persone.

Domanda - Qual è la differenza, dal punto di vista della composizione, tra il latte di essere umano e quello di altre specie?Risposta - Nel latte di mamma sono presenti 2 grammi di sali minerali per litro, nel latte di mucca 7 e in quello di coniglia 22. Le proteine che compongono il latte di mamma sono 9 grammi per litro, latte di mucca 36, di coniglia 100, cioè 10 volte tanto rispetto al latte della mamma umana. Assumere cibo contenente troppi sali minerali può essere dannoso per l’organismo. Infatti il latte in polvere, per obbligo di legge, non può averne più di 4 grammi per litro. La composizione del latte è molto importante per la salute del bambino.

Domanda - Cosa ne pensa del latte di mandorle al posto del latte materno?Risposta - La bevanda a base di mandorle non è un alimento completo per il bambino. Fino a 5 anni fa esisteva un latte formulato che conteneva le proteine delle mandorle e andava bene, ma adesso non è più in commercio. Tutte le bevande vegetali (di soia, di riso, di avena ecc.) non sono complete, quindi non sono adatte al bambino. L’unica alternativa al latte materno è un latte formulato.

Domanda – In che modo il latte di mucca nuoce alla nostra salute?Risposta – Per rispondere a questa domanda vi descrivo un esperimento condotto in Svizzera più di 30 anni fa. A soggetti giovani, ventenni e trentenni, divisi in tre gruppi furono somministrati: latte vegetale, latte vaccino crudo e sterilizzato. In seguito vennero valutati gli esami del sangue dei soggetti appartenenti ai tre gruppi, con particolare attenzione alla produzione di globuli bianchi. Si scoprì che il consumo di latte vegetale non aumentava il numero di globuli bianchi. Al contrario, il latte vaccino li aumentava ed, in particolare, l’incremento di globuli bianchi risultava maggiore nei soggetti che avevano consumato latte sterilizzato. Dall’esperimento si dedusse che il latte vaccino, come qualunque altro cibo di origine animale, può aumentare i globuli bianchi con conseguente attivazione dei sistemi difensivi e insorgenza di infiammazione.

Domanda - Se ci si accorge di aver commesso errori nell’alimentazione si può rimediare?Risposta – Si è sempre in tempo per rimediare a tutte le età, anche se in alcuni casi è più faticoso. Il diabete, ad esempio, è molto impegnativo da recuperare. Nel caso di tumore, dipende dal tipo di patologia, ma anch’esso è molto impegnativo. Tuttavia, ci sono grosse possibilità di risoluzione nella maggior parte delle patologie. Il trucco è molto semplice: rispettare le “regole del gioco”. Le informazioni che vi ho dato nel corso di questa conferenza hanno ovviamente come obiettivo la salute e di solito non vengono dette pubblicamente perché si tratta di informazioni non funzionali al sistema. Il mio discorso è finalizzato a mantenere le persone in salute, fisica e psichica, aspetti ovviamente correlati. Se sentiamo il bisogno di cibo per compensare lo stress, meglio quello che il farmaco. Il gelato, il cioccolato, il cannolo costituiscono una sorta di “psicofarmaci”, tuttavia occorre cercare di risolvere il problema a monte, evitando di avere troppo bisogno di questi

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“psicofarmaci”. A differenza di un tempo, quando il cibo era scarso e solo a Natale e a Pasqua si mangiava e si beveva a volontà, oggi esageriamo tutto l’anno e l’eccesso di cibo può causare problemi.

Domanda - Vorrei sapere se la dermatite può regredire modificando l’alimentazione.Risposta - Tutto può regredire modificando l’alimentazione. I motivi che possono provocare la dermatite, in particolare nel bambino, sono essenzialmente due: assenza di contatto fisico e di latte della mamma. La pelle ha importanza soprattutto a livello emotivo-psicologico quindi, se un bambino è coccolato e il suo intestino funziona bene perché riceve la “benzina” giusta, non corre il rischio di avere la dermatite. Il bambino nato con parto cesareo è a rischio, quindi non si può evitare di dargli tanti fermenti lattici. Bisogna dare il cibo giusto, evitando le proteine animali (formaggi, yogurt, prosciutto, nulla di tutto questo) perché alterano la flora batterica intestinale, che nel lattante deve essere gram-positiva. Al momento dello svezzamento la flora batterica cambia. Infatti, mentre le feci del bambino allattato al seno sono gialle e liquide, quando inizia lo svezzamento diventano scure e dure, perché cambia la flora batterica intestinale quindi varia la composizione delle feci, della pipì, della pelle, cambia tutto. Questo cambiamento non influisce solo sull’intestino, ma su tutto il corpo: occhi, vista, capelli, pelle ecc..

Domanda – Vorrei sapere come dovrebbe essere l’alimentazione dei genitori prima del concepimento, durante la gravidanza, durante e dopo l’allattamento.Risposta – All’ospedale Sant’Anna di Torino c’è una dottoressa che alle coppie con problemi di infertilità, che non riescono a concepire, prima di procedere con indagini o terapie, riequilibra l’alimentazione. Più precisamente la alcalinizza. L’alimentazione generalmente è acidificante, cioè l’organismo produce troppi acidi ed è possibile verificarlo semplicemente facendo l’esame delle urine: se il ph risulta acido si è in acidosi. Ad eccezione dei bambini allattati al seno e dei vegani tutti sono in acidosi. La dottoressa dell’ospedale Sant’Anna risolve il 40-50% dei casi di infertilità modificando l’alimentazione, più precisamente riducendo le proteine animali e aumentando gli alimenti alcalinizzanti, che sono frutta e verdura. I cereali integrali non sono alcalinizzanti, però sono in equilibrio. Quindi un’alimentazione vegana completa, con l’accorgimento di integrare la vitamina B12, costituisce uno dei modi per prevenire i problemi di concepimento.

Domanda - Cosa deve integrare la donna vegana in gravidanza?Risposta - oggi tutti dovremmo integrare molto, quindi anche la donna in gravidanza, perché il cibo che assumiamo normalmente, comprato nei negozi o al supermercato, ha moltissime carenze. Se, avendo la possibilità, riuscissimo a coltivare frutta e verdura nel nostro orto o comunque ad avere alimenti prodotti in modo naturale, non troppo elaborati e li consumassimo in tempi brevi, il rischio di carenze sarebbe molto minore. La situazione di chi abita in città e compra in negozio frutta e verdura è molto diversa rispetto a chi ha la possibilità di raccoglierle nell’orto e mangiarle fresche. Mio figlio minore, quando era piccolo, era abituato ad andare nell’orto a prendere germogli, finocchi, carote e altro. Li mangiava senza pulirli, sentiva il vero gusto e, in quel modo, assumeva la vitamina B12, che deriva dai batteri presenti nel cibo e nella terra. Questo non è possibile quando è tutto sterilizzato. Anche negli allevamenti occorre necessariamente integrare l’alimentazione dei bovini con la vitamina B12, perché mangiano fieno e farine, non l’erba dei prati che la contiene. Cosa deve integrare la donna vegana in gravidanza? Innanzitutto la vitamina B12, ma anche le altre vitamine, perché con il tipo di alimentazione attuale si hanno sicuramente carenze sotto questo profilo. La frutta contiene vitamina C ma, se viene conservata a lungo, diminuisce di molto. Anche la vitamina D è importante e l’organismo la sintetizza mediante l’esposizione alla luce solare, ma oggi si rischia carenza, perché si trascorre gran parte dell’anno negli uffici e i bambini, quando tornano da scuola, non vanno a giocare in cortile, si siedono davanti al computer o vanno in palestra. Anche gli acidi grassi omega-3 sono importantissimi. Dove si trovano gli omega-3 a catena lunga, quindi già pronti? Nei pesci, ci dicono trenta volte al giorno di mangiare pesce per gli

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omega-3, però non viene detto che sono presenti anche in altri alimenti. Innanzitutto nelle verdure del mare, le alghe. Esiste, inoltre, un altro alimento che contiene omega-3 a catena lunga ed è l’unico alimento terrestre ad averli: il latte della mamma. Gli omega-3 a catena breve, invece, sono presenti un po’ ovunque: nell’olio di lino, nelle foglie verdi, nei ribes, nei semi, però si impiega un po’ più di tempo per assimilarli. Quindi, durante la gravidanza, è importante assumere omega-3 consumando alghe. Occorre, inoltre, integrare l’acido folico per prevenire la spina a bifida. Da dove arriva l’acido folico? Il nome che cosa suggerisce? Deriva dalle foglie. Se consumassimo grandi quantità di foglie verdi non avremmo carenza di acido folico, ma ne mangiamo poche. Di solito nella nostra alimentazione è presente un po’ di insalata, ma è quella del supermercato o del negozio, che forse è stata raccolta una settimana prima. L’acido folico è termolabile e fotosensibile, quindi la donna in gravidanza rischia di non assumerne abbastanza attraverso il cibo, per questa ragione è necessario che lo integri. Inoltre, se l’alimentazione è acidificante, deve essere integrato anche il ferro. Le mamme che consumano carne, solitamente, sono in carenza di ferro e, anche se la mangiano tre volte al giorno, succede che al termine della gravidanza abbiano l’emoglobina a 9 o a 10, con i valori della creatinina e della ferritina bassi. Questo è dovuto al fatto che non è importante quanto ferro mettiamo in bocca, ma quanto ne arriva alle cellule e al sangue. Stesso discorso per il calcio. Se si mangia un pezzettino di Parmigiano o se ne mette un cucchiaio nella pasta, si assume una quantità di calcio giornaliera adeguata tuttavia, anche in questo caso, non è importante quanto ne mettiamo in bocca. Il calcio è ovunque: nel latte, nella verdura, nei cereali, nei semi, nella carne, nel pesce. Si assumono quantità di calcio enormi, tuttavia si è carenti perché lo si assorbe meno e lo si elimina attraverso le urine. Più l’alimentazione è acidificante, quindi ricca di proteine animali, più l’urina è acida, più il calcio va a finire proprio nell’urina impoverendo le ossa e dando origine, di conseguenza, all’osteoporosi. Quarantenni, cinquantenni, sessantenni, tutti abbiamo l’osteoporosi. La patologia inizia a 6 mesi, quando si mette un cucchiaino di Parmigiano nella pasta del proprio figlio. Da quel momento inizia la perdita di calcio con le urine e comincia l’osteoporosi. Tutto ciò però non viene detto. Come si fa a parlare male del Parmigiano? E’ un alimento conosciuto in tutto il mondo, che fa arrivare denaro da tutto il mondo. I nostri governanti, quelli europei e mondiali, non badano alla salute delle persone. L’obiettivo delle società non è la salute, ma l’occupazione e l’economia.

Ricetta del Dott. Luciano Proietti “Pappa per lo svezzamento del bambino” nella rubrica “Vegan Cuisine” di Pelo & Contropelo n. 2/2012 scaricabile all’indirizzo: www.lacincia.it/docs/pelo_contropelo_20121120.pdf