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SUOR MARIA CELESTE LA FIGLIA DI GALILEO GALILEI Chi per poco si appassioni agli studi galileiani non tarderà ad imbat- tersi nella sublime figura di Suor Maria Celeste, di questa eletta giovane, degna figlia di quel Grande, che fu uno dei sommi tra i tanti grandi che abbia in ogni età partorito la nostra Italia; così che meritamen te fu dai posteri, e ancora dai contemporanei, chiamato il divino Galileo; uomo che da se solo basterebbe ad illustrare eternamente un paese, e che in- sieme con Archimede e con Newton costituisce nel campo delle scienze esatte una t riade somma, che sinora non è stata toccata, nè forse più mai sarà raggiunta. Ma per chi di questi studi non si occupa, Suor Maria Celeste è una persona pressoché ignota; così che potrà trovarsi chi la conosca di nome, ma difficilmente si troverà chi abbia cercato di conoscerla da vicino. Però chi l'abbia fatto, quanta dolcezza non avrà provato nell'accostarsi alla figura umile e dolce di questa monacella, di questa vergine cui toccò il compito fortunato di alleviare l'animo del suo grande padre, e distrarlo dai poderosi problemi che si rivolgevano nella fucina della sua mente, e dalle avversità che incontrava nella vita? Se Virginia Galilei, come al secolo si chiamava, non si fosse fatta monaca, ma fosse rimasta sempre accanto al padre, noi avremmo appe- na saputo della sua esistenza, o tutt'al più avremmo saputo che Galileo ebbe una figlia molto buona e che fu la migliore sua consolatrice; ma giacché, diventata monaca, era costretta dal suo stato a stare lontana dal padre, di tanto in tanto, quando questi tardava a recarsi da lei, era essa che andava a trovarlo con le sue lettere, che, per nostra fortuna, Galileo conservava. Così noi oggi possiamo sentire e conoscere l'animo celestia- le di cui fu dotata la sua primogenita; possiamo apprezzare tutte le vir- tù di cui la sua anima era adorna. Purtroppo non tutte le lettere che suor Maria Celeste scrisse al pa- dre giunsero sino a noi; ma si ha ragione di credere che non furono molte quelle disperse. Dopo la morte di Vincenzo Viviani, l'ultimo e il più gio- vane dei discepoli del Grande, disgraziatamente i manoscritti galileiani andarono dispersi, e con questi le lettere della figlia. Fu il Nelli, uno dei primi biografi di Galileo, che riuscì a ricuperarle comprandole; e fu l'il- 143 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce

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SUOR MARIA CELESTELA FIGLIA DI GALILEO GALILEI

Chi per poco si appassioni agli studi galileiani non tarderà ad imbat-tersi nella sublime figura di Suor Maria Celeste, di questa eletta giovane,degna figlia di quel Grande, che fu uno dei sommi tra i tanti grandi cheabbia in ogni età partorito la nostra Italia; così che meritamen te fu daiposteri, e ancora dai contemporanei, chiamato il divino Galileo; uomoche da se solo basterebbe ad illustrare eternamente un paese, e che in-sieme con Archimede e con Newton costituisce nel campo delle scienzeesatte una t riade somma, che sinora non è stata toccata, nè forse più maisarà raggiunta.

Ma per chi di questi studi non si occupa, Suor Maria Celeste è unapersona pressoché ignota; così che potrà trovarsi chi la conosca di nome,ma difficilmente si troverà chi abbia cercato di conoscerla da vicino. Peròchi l'abbia fatto, quanta dolcezza non avrà provato nell'accostarsi allafigura umile e dolce di questa monacella, di questa vergine cui toccò ilcompito fortunato di alleviare l'animo del suo grande padre, e distrarlodai poderosi problemi che si rivolgevano nella fucina della sua mente, edalle avversità che incontrava nella vita?

Se Virginia Galilei, come al secolo si chiamava, non si fosse fattamonaca, ma fosse rimasta sempre accanto al padre, noi avremmo appe-na saputo della sua esistenza, o tutt'al più avremmo saputo che Galileoebbe una figlia molto buona e che fu la migliore sua consolatrice; magiacché, diventata monaca, era costretta dal suo stato a stare lontana dalpadre, di tanto in tanto, quando questi tardava a recarsi da lei, era essache andava a trovarlo con le sue lettere, che, per nostra fortuna, Galileoconservava. Così noi oggi possiamo sentire e conoscere l'animo celestia-le di cui fu dotata la sua primogenita; possiamo apprezzare tutte le vir-tù di cui la sua anima era adorna.

Purtroppo non tutte le lettere che suor Maria Celeste scrisse al pa-dre giunsero sino a noi; ma si ha ragione di credere che non furono moltequelle disperse. Dopo la morte di Vincenzo Viviani, l'ultimo e il più gio-vane dei discepoli del Grande, disgraziatamente i manoscritti galileianiandarono dispersi, e con questi le lettere della figlia. Fu il Nelli, uno deiprimi biografi di Galileo, che riuscì a ricuperarle comprandole; e fu l'il-

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lustre e compianto Prof. Antonio Favaro, che è stato il più appassionatoe profondo cultore degli studi galileiani, che nel 1891 pubblicò tutte lelettere rimaste di Suor Maria Celeste.

Il contenuto di queste costituisce un vero godimento spirituale; giac-che, oltre all'essere adorne di molta semplicità e squisita grazia, sonoscritte anche in buona lingua; e se non sono annumerate fra i testi e nonsono state proposte ad esempio di bello scrivere, la lingua è pura e il fra-seggiare assai buono, specialmente se si pensa al tempo in cui furonoscritte, quando la moda richiedeva ampollosità d'immagini, espressioniesagerate, spesso unite ad una gran vaquità di contenuto.

E ciò non poteva certamente sfuggire alla mente altissima dell'al-tissimo Filosofo; il quale talvolta tardava apposta a mostrarsi alle duefiglie monache, per costringere la maggiore a scrivergli. Ed egli trovavaalfine tregua al suo spirito perennemente tormentato, perchè ricevendolettere dalla figlia, dimenticava tutto per immergersi nella lettura diquelle pagine, attingendone quasi un lavacro spirituale per l'ingenuità ela dolcezza con cui erano scritte. E ciò noi rileviamo dal contenuto stessodelle lettere di Suor Maria Celeste, giacché in esse non si fa mai cennodelle battaglie che il padre pur doveva sostenere nella vita. Vuol dire cheessa non ne era a conoscenza; vuol dire che quando il padre andava atrovarla o le scriveva riusciva a sedare ogni tempesta nel proprio cuore,riusciva a dimenticare per diventare soltanto padre delle sue figlie. Nè èda pensare che Galileo soltanto per prudenza evitasse di far conoscerealla sua diletta Suor Celeste le controversie in cui purtroppo tante volteera invescato, i dispiaceri che gli venivano da parte dei famigliari, le per-secuzioni degli accaniti nemici, perchè essendo Suor Maria Celeste, comein seguito rileveremo, le persona più intima che egli avesse, doveva purqualche volta, magari involontariamente lasciarsi sfuggire qualche cosa.

Abbiamo detto che tanto si rileva dal contenuto delle lettere di SuorCeleste; perchè quelle scritte dal padre, alla figlia, purtroppo non sonostate sinora rinvenute, e molto probabilmente non si ritroveranno più.Non già che la figlia non le conservasse; ed invero scrivendo essa al pa-dre in data 13 agosto 1623 gli diceva: « Io metto da parte e serbo tuttele lettere che giornalmente mi scrive, e quando non mi ritrovo occupata,con mio grandissimo gusto le rileggo più volte » ma perché, per causa dalei certamente indipendente, non sono state ritrovate. V'è chi pensa cheandarono disperse insieme a tutto il carteggio galileiano dopo la mortedel Viviani; v'è chi pensa invece, che essendo con gli anni rimasto de-serto il convento di S. Matteo, in Arcetri, in cui essa visse e morì, gl'in-cartamenti essendo passati tutti nell'archivio arcivescovile di Firenze,si trovino ancora sepolte colà. V'è infine chi, con maggiore probabilità,pensa che, qualche monaca eccessivamente scrupolosa, avutele in mano,dopo la morte di Suor Celeste, abbia creduto di fare opera meritoria perla propria anima distruggendo gli scritti di un uomo, che essendo stato

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condannato dall'Inquisizione, presso le persone di poca levatura passavaper un eretico o quasi. Certo è che non sono state rinvenute.

E a ciò gli studiosi pensano con rimpianto, perché avremmo cono-sciuto un po' meglio Galileo nella sua intimità. Tuttavia sappiamo beneche egli stimava grandemente la sua primogenita; e che nei riguardi deisuoi tre figli, soltanto della maggiore, di Suor Maria Celeste, andava or-goglioso, come di quella che egli sentiva sola aver portato della sua ani-ma. E quando gli capitava l'occasione, ne parlava volentieri con i suoiconoscenti, e di lei scriveva al fratello Michelangelo in Polonia, e per-fino alle Granduchesse di Toscana: Madre e Sposa; alla moglie dell'Am-basciatore di Toscana a Roma,. al P. Castelli ed altri. Ragionava spessodella cara figliuola mettendone in rilievo la bontà, la dolcezza, il tatto,la grande intelligenza, l'umiltà, la carità; insomma l'insieme delle vir-tù che ne facevano davanti a Dio un'anima rara, davanti agli uomini unafigura pietosa e mirabile:

GAI ILEI IN PADOVA

Galileo Galilei non ebbe moglie. Si potrebbe istituire una discussio-ne se egli Fece bene o male; se si trovasse in grado di prenderla o no; manoi vogliamo sorvolare. Se è lecito esprimere il proprio pensiero in pro-posito, si potrà dire che essendo il grande uomo di temperamento moltoaffettuoso, avrebbe fatto bene a prenderla: avrebbe così avuto il suo ni-do, come gli bisognava. Comunque non l'ebbe. Invece, trovandosi ad es-sere Professore nell'Università di Padova, nel territorio della Serenissi-ma Repubblica Veneta, conobbe in Venezia una giovane di famiglia pro-babilmente nobile ma decaduta.

La ragazza si chiamava Maria Gamba, e c'è da credere che fossebella. Dalle relazioni amorose che il Filosofo ebbe con essa, nacquerotre figli: due bimbe a distanza di un anno l'una dall'altra, e che chiamòVirginia e Livia; come si chiamavano le sue due sorelle; e dopo quattroanni circa un maschietto, cui impose il nome del babbo suo, Vincenzio.E questo fu l'ultimo. Poiché la persona che più da vicino c'interessa è laVirginia, faremo cenno degli altri due solo quando se ne presenterà l'oc-casione.

NASCITA DI SUOR M. CELESTE

Nacque dunque Virginia in Padova, il giorno 13 agosto 1600. Il pa-dre, dalla posizione dei pianeti nel momento della nascita, trasse l'oro.scopo che noi succintamente riportiamo.

« Trovandosi Mercurio e la Luna separati e non guardandosi con« buon aspetto, vi sarebbe stata nella fansiulla una certa discordia fra« la facoltà razionale e quella sensitiva; e poiché Mercurio era fortissi-« mo e posto in un segno dominante, e la Luna invece debole ed in segno

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« obbediente, risultava che la ragione sarebbe stata dominata dagli affet-« ti. Dall'aspetto degli altri pianeti, si desumeva che sarebbe stata pa-« ziente delle fatiche e delle molestie, solitaria, taciturna, parca, stu-« diosa del proprio comodo, gelosa, non sempre verace nelle promesse,« autoritaria, superba ma festiva, religiosa, gentile, e mansueta. Quanto« all'ingegno, sarebbe stata molto intelligente, sapiente, prudente, corte-« se, dotata di grande memoria.

GALILEO E LA SUA EPOCA

Come vedremo in seguito, questo oroscopo, nella stessa guisa di tut-te le previsioni sul destino delle persone che sono state fatte e che si fa-ranno sino alla consumazione dei secoli, contiene qualche cosa di vero.

Ci sarebbe però da meravigliarsi come mai, uno scienziato della por-tata di Galileo sia stato tanto superstizioso da erigere un oroscopo perla figlia, ma chi è un po' addentro negli studi galileiani, trova subito laspiegazione. Galileo aveva ereditato dai tempi. Egli non era nato scien-ziato: egli aveva soltanto sortito una mente di una capacità singolare.A mano a mano che nel suo pensiero si faceva la luce, egli si staccava dal-le età passate e segnava la via alle età venture. Infatti volgarmente si cre-de che Galileo sia stato sempre copernicano; invece dal suo Trattato dellaSfera o Cosmografia si rileva che durante gli anni che insegnò a Padova,esponeva il sistema del mondo secondo Tolomeo.

La meraviglia scemerà ancora o si accrescerà, se si pensa che il con-temporaneo Keplero, il quale, a differenza di Galileo, facendo proprio laprofessione di astronomo, fu uno dei più grandi di ogni tempo, e dettòle tre famose leggi sul moto dei pianeti, fu anche astrologo di profes-sione, e convinto; e traeva gli oroscopi dietro compenso.

Tornando a Galileo, abbiamo detto che man mano che la luce si face-va nella sua mente, abbandonava le superstizioni ereditate dall'età sua;ed invero anche per la sua seconda figlia Livia tracciò l'oroscopo; peròquello del figlio Vincenzo non è stato ritrovato; ma molto probabilmenteegli non lo eresse; e diciamo ciò perché fra gli scritti galileiani non si hapiù notizia di oroscopi che il grande scienziato abbia tracciato per altri.

RITORNO A FIRENZE

Galileo spinto dai bisogni della vita aveva accettato l'insegnamen-to a Padova; ma egli sentiva sempre nell'animo il richiamo della dilettaterra toscana. Infatti durante le vacanze estive si recava quasi ogni an-no a Firenze; e sospirava di tornarvi per sempre.

Finalmente, quando ormai era diventato lo scienziato più grande deisuoi tempi; riputato uomo quale da Archimede in poi non vi era più sta-to, e come novello Archimede veniva celebrato, per desiderio del suo Prin-cipe, ed un po' anche per le sue pressioni, fu nominato Primario Ma-

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tematico dello Studio di Pisa e Primario Matematico e Filosofo delGranduca di Toscana. Così dopo essere stato circa 18 anni a Padova,nel 1610 se ne tornava definitivamente a Firenze.

Approfittando del ritorno in patria di sua madre, che si era recatain Padova, mandò avanti la piccola Virginia, che aveva da poco sorpas-sato i nove anni. Dopo quasi un anno condusse seco Livia, mentre il pic-colo Vincenzio che aveva quattro anni, bisognoso ancora di cure, re-stò con la madre ancora qualche tempo.

E la Marina Gamba? La lasciò a Padova. Essa era unita, questa vol-ta legittimamente, in nozze con un tale Giovanni Bartoluzzi, fattore deiSignori Dol fin in Padova.

L'Arduini, che per primo ci dette una raccolta quasi completa del-le lettere di Suor Maria Celeste, in quella specie di romanzo che vi pre-mise, si fece ad esaltare i rapporti illegittimi del Galilei con la MariaGamba, facendogliene addirittura un merito; e approvando pienamen-te che poi l'avesse abbandonata. Noi non consentiamo in ciò con quelloscrittore, come non consentiamo negli innumerevoli strafalcioni ed as-surdità di cui arricchì abbondantemente il suo scritto.

INGRESSO DI VIRGINIA E IIVIA NEL CONVENTO DI S. MATTEO

Sulla fine del 1613 o al principio del 14, le due figlie di Galileo en-trarono nel convento di S. Matteo in Arcetri: Virginia aveva circa 14 an-ni; Livia un anno di meno. Era quello un convento di clarisse.

La ragione che indusse Galileo a rinchiuderle in monastero è ovvia.Esse erano figlie illegittime; perciò difficilmente avrebbe potuto

trovare loro una buona occasione per collocarle decorosamente, come labontà della sua origine e l'essere figlie sue richiedeva: la loro stessa na-scita le condannava.

Chiunque oggi si rattristerebbe pensando a quelle due povere fan-ciulle, destinate sin dalla nascita, e non per loro colpa, a doversi rinchiu-dere fra le mura di un convento per non uscirne più. Ma allora era una co-sa comune il monacarsi, e tante e tante fanciulle, pur senza trovarsi nel-le condizioni delle figlie di Galileo, predevano il velo. Forse in conseguen-za di questa non molto buona usanza; ma forse dipendendo dalla rilassa-tezza dei costumi del tempo, il tipo della monaca di Monza, descrittaci dalManzoni era piuttosto frequente. Ma come il padre fu eccelso fra i dotti,così Suor Maria Celeste fu eletta fra le compagne di convento, e forsanchetra le monache del suo tempo come si rileva dai suoi scritti. Dai qualisi può ancora rilevare che l'insieme delle monache di quel convento eraun insieme onesto; e questa deve essere stata una delle ragioni per cuida tutte le compagne, senza eccezione, era amata, stimata e tenuta ingrandissima considerazione.

Il 4 Ottobre 1616 Virginia pronunziò i voti solenni, assumendo il no-

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me di Snor Maria Celeste. Quello stesso anno, precisamente qualchemese dopo, si conci Lise il cosidetto Primo Processo che si era ve-nuto addensando sul capo di Galileo, da un paio d'anni da parte dei suoiavversari; ed in conseguenza del quale egli fu ammonito di « non inse-gnare in nessun modo, nè di tenere l'opinione di Copernico sulla mobili-tà della Terra intorno al Sole ».

Un anno dopo la professione di Virginia venne la volta di quella del-la sorella Livia, la quale pronunciò i voti solenni il 28 ottobre 1617, as-sumendo il nome di Suor Arcangela. Era costei una donna comune;e se non avesse avuto la fortuna di essere figlia di Galileo, sarebbe eter-namente incognita. Aveva forse ereditato i difetti della famiglia Galileisenza portarne i pregi. Ad ogni modo era del tutto diversa dalla sorellamaggiore.

LE LETTERE DI SUOR M. CELESTE

Le lettere di Suor Celeste, almeno quelle pervenuteci, 124 in tutto,hanno inizio col 10 maggio 1623. Probabilmente altre ne scrisse prima alpadre, ma o andarono disperse o Galileo non curò di conservarle.

Era in quel tempo morta Virginia, la sorella maggiore di Galileo,l'ultima rimastagli: Suor Maria Celeste scrive al padre una breve lette-ra di condoglianze, di cui vogliamo gustare la freschezza e la dolcezza.

Molto Ill.re Sig.r Padre

« Sentiamo grandissimo disgusto per la morte della sua amatissi-« ma sorella e nostra cara zia; ne abbiamo, dico, gran dolore per la per-

dita di lei e ancora sapendo quanto travaglio ne avrà avuto V.S., nonavendo lei, si può dir, altri in questo mondo, nè potendo quasi perdercosa più cara, sì che possiamo pensar quanto gli sia stata grave que-sta percossa tanto inaspettata. E, come gli dico, partecipiamo ancornoi buona parte del suo dolore, se bene dovrebbe essere bastato a far-

« ci miglior conforto la considerazione della miseria umana, e che tuttisiamo qua, come forestieri e viandanti, che presto siamo per andar al-

« la nostra vera patria nel Cielo, dove è perfetta felicità, e dove sperar do-viamo che sia andata quell'anima benedetta. Sì che, per l'amor di Dio,preghiamo V.S. a consolarsi e rimettersi nella volontà del Signore, alquale sa benissimo che dispiacerebbe facendo altrimenti; e arco fa-rebbe danno a sè ed a noi, perché non possiamo non dolerci infinita-

« mente, quando sentiamo ch'è travagliata e indisposta, non avendo noialtro bene in questo mondo che lei.

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« Non gli dirò altro, se non che cli tutto cuore preghiamo il Signore« che la consoli e sia sempre seco, e con vivo affetto la salutiamo.

Di S. Matteo, li 10 di maggio 1623Di V.S. molto Ill.re

Aff.ma Fig.laSuor M.a Celeste

I I 5 agosto dello stesso anno, col nome di Urbano VIII, era statoeletto Papa il Card. Maffeo Barberini, amico e protettore di Galileo, ilquale gli aveva già indirizzato un'ode latina per celebrare la scoperta del-le macchie solari. Galileo, per far conoscere alla figlia gli ottimi rappor-ti esistenti con il nuovo Pontefice le mandò alcune lettere che questi gliaveva precedentemente indirizzato. Suor Celeste gliele rimanda con unasua ringraziandolo, e pregandolo di darle a leggere la minuta della let-tera di rallegramenti ch'egli avrebbe mandato al nuovo Papa. Ma Ga-I i leo che, conscio di essere pontefice sommo della scienza, attendeva cheil sommo pontefice della fede si ricordasse ora di lui e mostrasse deside-rio di vederlo, rispose alla figlia non essere conveniente ch'egli scrives-se così presto al nuovo papa; al che la figlia, con umiltà francescana, re-plicò.

Molto Ill.re Sig.r Padre

« La sua amorevolissima lettera è stata cagione che io a pieno ho« conosciuta la mia poca accortezza, stimando io che così subito doves-« si V.S. scrivere a una tal persona, o per dir meglio al più sublime si-« gnore di tutto il mondo. Ringraziola adunque dell'avvertimento, e mi« rendo certa che, mediante l'affezione che mi porta, compatisca alla mia« grandissima ignoranza e a tanti altri difetti che in me si ritrovano.« Cosi mì foss'egli concesso il poter di tutti esser da lei ripresa ed av-« vertiti, come io lo desidero e come mi sarebbe grato, sapendo che avrei« qualche poco di sapere e qualche virtù che non ho. Ecc. ecc. »

(La sublime ingenuità di questa soave vergine doveva farle vederenel Papa un essere soprannaturale).

MALI FISICI DI GALILEO

Galileo aveva sortito da natura una costituzione robusta ed una fi-bra resistente, però era sovente assalito da acciacchi. Riportiamo a talproposito quello che scrive Vincenzo Viviani, ultimo e più giovane disce-polo di Galileo e primo biografo di lui; il quale poté udire dalla viva vocedel Maestro molti degli episodi della sua vita.

Scrive dunque il Viviani: « Fu travagliato per più di quarantotto« anni della sua vita da acutissimi dolori e punture, che acerbamente lo

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• molestavano nelle mutazioni dei tempi in diversi luoghi della persona,originate in lui dall'essersi ritrovato, insieme con due nobili amici

• suoi, ne' caldi ardentissimi d'una estate, in una villa del contado di« Padova, dove postisi in una stanza assai fresca per fuggir l'ore più no-« iose del giorno, e quivi addormetatisi tutti, fu inavvertitamente da ur,« servo aperta una finestra, per la quale solevasi sol per delizia sprigio-« vare un perpetuo vento artifizioso, generato da moti e cadute d'acque« che quivi appresso scorrevano. Questo vento, per esser fresco e umido« di soverchio, trovando i corpi loro assai alleggeriti di vestimenti, nel« tempo di due ore che riposarono, introdusse in loro pian piano così ma-« la qualità per le membra, che svegliandosi, chi con torpedine e rigori« per la vita, e chi con dolori intensissimi nella testa, e con altri acciden-« ti, tutti caddero in gravissime infermità, per le quali uno de' compagni« in pochi giorni se ne morì, l'altro perdè l'udito e non visse gran tempo,« e il signor Galileo ne cavò la suddetta indisposizione della quale mai« poté liberarsi. » Fin qui il Viviani.

In occasione appunto di un assalto di questo male, Suor Celeste gliscrive a Firenze, dove Galileo erasi fatto trasportare per essere megliocurato, mentre per solito dimorava in una villa in località detta Bello-sguardo, nei pressi della città.

Molto Ill.re Sig.r Padre

« Sta mattina ho inteso dal nostro fattore che V. S. si ritrova in Fi-renze indisposta: e perché mi par cosa fuora del suo ordinario il par-tirsi di casa sua quando è travagliata dalle sue doglie, sto con timore,e mi vo immaginando che abbia più male del solito.

« Pertanto la prego darne ragguaglio al fattore, acciocchè, se fosse« manco male di quello che temiamo, possiamo quietar l'animo. Ed in-

vero che io non m'avveggo mai d'esser monaca, se non quando sento« che V. S. è ammalata, poichè allora vorrei poterla venir a visitare e go-

vernare con tutta quella diligenza che mi fosse possibile. Orsù ringra-ziato sia il Signore Iddio d'ogni cosa, poichè senza il suo volere non sivolta una foglia.

« Io penso che in ogni modo non gli manchi niente, pur veda se in« qualche cosa ha bisogno di noi e ce l'avvisi, che non mancheremo di

servirla al meglio che possiamo. Intanto seguiteremo, conforme al no-stro solito, di pregare nostro Signore per la sua deriderata sanità, eanco che gli conceda la sua santa grazia. E per fine di tutto cuore lasalutiamo insieme con tutte di camera.

Di S. Matteo, li 17 d'agosto 1623Di. V. S. molto Ill.re

Aff.ma FigliaSuor M.a Celeste

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E in occasione di un altro assalto veramente grave capitato dopoquattro anni circa al padre, per cui fu quasi in fin di vita, essa gli espri-me Io stesso concetto:

Amatiss.mo Sig.r Padre

« Non potendo io assisterla con la persona, siccome sarebbe il mio« desiderio (che non per altro mi par alquanto difficile la clausura), non• tralascio già d'accompagnarla continuamente con il pensiero e deside-« rio di sentirne nuove ogni giorno; e perchè ieri l'altro il fattore non po-« tette vederla, lo rimando oggi, con scusa di mandargli due morselletti« di cedro. intanto V. S. potrà dirgli se vuol qualcosa da noi, e se la pe-« ra cotogna gli è niente piaciuta, acciò possa accomodargliene un'altra.« Finisco, per non noiarla di soverchio, senza finir mai di raccomandar-« mele e di pregar nostro Signore per la sua in tiera sanità e il simile fa« Suor Arcangela e l'altre amiche. ecc. ecc.

Il linguaggio che tiene in questa lettera è quello di tutte le altre. Inesse non del bigottismo ignorante, ma fede schietta e pietà sentita, detta-te da un'anima fedele e intelligente, che cerca di attuare il regno di Dioin sé, facendo consistere la fede non in parole, ma in sentimento vivo eprofondo.

Dopo quattro giorni, pur di avere notizie della salute del padre conun ingenuo pretesto, questa volta manifesto, altre volte celato, lo rag-giunge ancora con una letterina.

Molto 111.re ed Amatiss.mo Sig.r Padre

« Desiderosa oltremodo d'aver nuove di V. S. mando costì il nostro« fattore e per un poco di scusa gli mando parecchi pescetti di marzapa-« ne, quali, se non saranno buoni come quelli d'Arno, non penso che sia-« no per essere cattivi affatto per lei, e massimamente venendo da San« Matteo.

« Non intendo già d'apportargli incomodo o fastidio con questa mia,« per causa dello scrivere, ma solo mi basta d'intendere a bocca come si• sente, e perchè se niente possiamo in suo servizio ce l'avvisi.

Di S. Matteo, li 21 d'Agosto 1623Di V. S. molto Ill.re

Aff.ma Fig.laSuor M.a Celeste

ATTENZIONI

A Galileo non dovevano dispiacere le frutta e i dolci, perchè non so-lo gradiva moltissimo quelli che Suor Celeste spontaneamente gli man-dava, ma poiché le monache del convento di S. Matteo, come in genere

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tutte le suore, dovevano essere esperte nel confezionare dolci, soventeordinava loro confetture. E Suor Maria Celeste, che conosceva il deboledel padre, spesso si privava dei suoi per mandarli a lui.

S'intende facilmente che Galileo ricambiava molto bne le atten-zioni della figlia, e lo rileviamo subito dalle prime lettere di Suor Celeste,che fra l'altre cose scrive:

« Ringrazio il Signore e mi rallegro con lei del suo miglioramento,« e la prego a riguardarsi più che gli è possibile, fino a tanto che non« racquista la desiderata sanità. La ringrazio delle sue troppe amorevolez-« ze, che in vero, mentre che ha male, non vorrei che di noi si pigliassi« tanto pensiero. La saluto con ogni affetto, insieme con Suor Arcangela,« e da nostro Signore gli prego abbondanza della sua grazia.

E in un'altra:

Molto Ill.re ed Amatiss.mo Sig.r Padre

« S'io volessi con parole ringraziar V. S. del presente fattoci, oltre« che non saprei a pieno sodisfare al nostro debito credo che a lei non sa-« rebbe molto grato, come quella che, per sua benignità, ricerca più presto« da noi gratitudine d'animo che dimostrazioni di parole o di cerimonie.« Sarà dunque meglio che nel miglior modo che possiamo, ch'è con l'ora-« zione, cerchiamo di riconoscere e ricompensar questo e altri infiniti, e« di gran lunga maggiori, benefizi che da lei ricevuti abbiamo. Ecc. ecc. »

CONFIDENZE

La lettera che segue è una delle tante con cui domanda qualchecosa al padre.

Amatiss.mo Sig.r Padre,

« Con mio grandissimo contento intesi l'altro giorno che V. S. stavabene, il che non segue già di me, poichè da domenica in qua mi ritrovoin letto con un poca di febbre, la quale (secondo che dice il medico)sarìa stata di considerazione, se un poco di flusso di corpo sopraggiun-tomi non gli avessi tagliata la strada e ridotta di presente in poca quan-tità. Io, già che Dio benedetto mi fa grazia di mantenermi V. S., preva-lendomi di questa abilità, a lei ricorro in tutte le mie necessità, conquella confidenza che più un giorno dell'altro mi somministra la sua

« cordiale amorevolezza; e particolarmente adesso che mi trovo bisogno-sa di governarmi mediocramente bene per rimediare alla mia estremadebolezza, avrei caro che V. S. mi somministrassi qualche quattrinoper provvedere ai miei bisogni che sono tanti, che a me sarìa faticosol'annoverargli e a lei quasi impossibile in altra maniera il sovvenirgli.Solo gli dirò che la provvisione che ci dà il monastero è di pane assai

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• cattivo, di carne di bue, e di vino che va in fortezza; io mi godo il suo,« del quale ne ho ancora un fiasco e mezzo, e non me ne fa di bisogno« per ancora, perchè bevo pochissimo. Basta, lo partecipo anche con le« altre com'è il dovere, e particolarmente con Suor Luisa. Se nel suo pol-

laio si trovasse una gallina che non fosse buona per uova, sarebbe buo-« na per farmi del brodo che devo pigliar alterato. Intanto, non avendo« altro, gli mando 12 fette di pasta reale, a ciò se la goda per mio amore;« e la saluto insieme con tutte le amiche e con la madre Badessa, mia

molto cortese e favorevole amica. Nostro Signore La conservi.

Sua Fig.la Aff.maSuor M. Celeste

CULTURA DI SUOR CELESTE

Un'altra lettera comincia così:

Amatiss.mo Sig.r Padre,

« Le mando la copiata lettera, con desiderio che sia in sua satisl a-« zione, acciocchè altre volte possa V. S. servirsi dell'opera mia, essendo-« mi di gran gusto e contento l'occuparmi in suo servizio. ecc. ecc.

Da qui rileviamo come Galileo avesse incaricata la figlia di trascri-vergli con bella scrittura una lettera indirizzata non sappiamo con pre-cisione a chi, certo ad uno dei tanti illustri personaggi, con cui era in con-tinua corrispondenza. Invero, essendosi egli accorto della non comune in-telligenza della figlia, temendo che le cure della vita claustrale non fosse-ro sufficient i all'attività dello spirito, forse cercava di tenerla il più possi-bilmente occupata. Aveva perciò impartito tanto a lei che all'altra figliaSuor Arcangela, una buona cultura letteraria; e figlio di eccellentissimosuonatore di liuto, ed egli stesso uno dei più eccellenti suonatori del suotempo, aveva loro insegnato a suonare. Ma di tanto in tanto le mandava aleggere le lettere dei personaggi illustri, con cui era in commercio episto-lare; altre gliene mandava a ricopiare con bella scrittura e le faceva ancheavere le opere da lui pubblicate, come rileviamo da una lettera di Suor Ce-leste, in cui gli chiede una copia del SAGGIATORE.

« E di più la prego a farmi grazia, di mandarmi il suo libro, che si« è stampato adesso, tanto che io lo legga avendo io gran desiderio di

vederlo. »D'altra parte, in una lettera Suor Maria. Celeste gli aveva mandato un

suo componimento, in cui gli esprimeva i bisogni suoi e della sorella, eche molto probabilmente doveva essere in versi.

« Adesso ho rimesso di nuovo Suor Arcan gela nelle mani del medico,« per vedere, con l'aiuto del Signore, di liberarla dalla sua noiosa infer-« mite, che a me apporta infinito travaglio.

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« Da Salvadore (un servo di Galileo) ho inteso che V. S. ci vuole ve-nire presto a vedere, il che molto desideriamo; ma gli ricordo ch'è ob-bligato a mantener la promessa fattaci, cioè di venire per stare una se-

« ra con noi, e potrà star a cena in parlatorio, perché la scomunica è« mandata alla tovaglia e non alle vivande.

« Mandogli qui incluse una carta, la quale, oltre al manifestargli qualsia il nostro bisogno, gli porgerà anco materia di ridersi dalla mia scioc-ca composizione; ma il veder con quanta benignità V. S. esalta il miopoco sapere, m'ha dato l'animo a far questo. Scusimi adunque V. S.e con la sua solita amorevolezza supplisca al nostro bisogno. La ringra-zio del pesce, e la saluto affettuosamente, insieme con Suor Arcangela.

« Nostro Signore gli conceda intera felicità ».Il componimento purtroppo non si è trovato.

RICORSI

In una lettera del 21 novembre 1623 gli domanda un padiglione peril letto.

« Per non aver io camera dove star a dormire la notte, Suor Diaman-« te, per sua cortesia, mi tiene nella sua, privandone la propria sorella« per tener me; ma a questi freddi vi è tanto la cattiva stanza, che io, che« ho la testa tanto infetta, non credo potervi stare, se V. S. non mi soc-« corre, prestandomi uno dei suoi padiglioni, di quelli bianchi che adesso« non deve adoperare. Avrò caro d'intendere se può farmi questo servizio.

E più sotto:« Io ancora non sto molto bene, ma per esser omai tanto assuefatta

« alla poca sanità, ne faccio poca stima, vedendo di più che al Signore pia-« ce di visitarmi sempre con qualche poco di travaglio. Lo ringrazio e lo« prego che a V.S. conceda il colmo d'ogni maggior felicità ».

In questa lettera abbiamo visto che Suor Celeste domandava un pa-diglione al padre. E' inutile dire che Galileo glielo mandò e subito. Masempre, qualsiasi cosa gli domandasse egli le concedeva: ogni desideriodi Suor Celeste era quasi un comando per lui. Ma no, non era un co-mando ; era anzi un bisogno, un potente bisogno della sua anima cerca-re di accontentarla, anche quando quello che gli domandava non servis-se nè a lei, e nè alla sorella; ma per qualche suora amica, o addiritturaper il convento.

A leggerle tutte queste lettere si potrebbe avere la sensazione checol suo continuo chiedere dovesse riuscire noiosa e petulante, inveceera lui che spontaneamente le mandava dei presenti, che si studiava diprevenirne i desideri, giungendo a preparare con le sue mani cibi che sa-peva sarebbero tornati accetti alla figlia, oppure la spingeva a chiedere,così che la monacella, fatta ardita dalle sollecitudini dell'ottimo padre,non esitava a domandare.

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Ed invero con un'altra lettera gli rimanda un chitarrone che Ga-lileo le aveva donato, e domandava in cambio due breviari, uno per sée l'altro per la sorella. Spesso chiedeva qualche fiasco di vino, quandoessa o qualche amica fosse ammalata, di quell'ottimo vino di cui Ga-lileo era sempre ben fornito.

Una volta, anzi parecchie volte, gli mandò ad accomodare l'oriuolodel convento, e un'altra volta giunse a domandargli che le avesse acco-modata l'impannata della finestra della sua stanza in cui si radunavanocon lei le suore amiche a lavorare. Ma lo domandava con tanta graziae bontà che certamente Galileo non si dovè poter rifiutare:

« Adesso che comincia a rinfrescare, Suor Arcangela ed io, insieme• con le nostre più care, facciamo disegno di star a lavorare nella mia• cella che è molto capace; ma perché la finestra è assai alta, ha bisogno« d'essere impannata, acciò si possa veder un poco più di lume. Io vor-« rei mandarla a V.S., cioè li sportelli, acciò me la accomodassi con pan-« no incerato, che, quando sia vecchio, non credo che darà fastidio, ma« prima avrò caro di sapere, s'Ella si contenti di farmi questo servizio.« Non dubito della sua amorevolezza, ma perché l'opera è piuttosto da« legnaitioli che da filosofi, ho qualche temenza. Dicami adunque libera-« mente l'animo suo, che io intanto con la madre Badessa e tutte le ami-« che la saluto di cuore, e prego Dio benedetto che la conservi nella sua« grazia ».

E già altra volta lo aveva pregato di volerla aiutare a comprarsi unacella. Nel convento di S. Matteo le monache avevano un dormitorio co-mune; ma quelle che avevano mezzi prendevano una cella dietro paga-mento di un congrua somma; in tal modo essendo il convento assai po-vero, si riusciva ad avere un poco di danaro per sostenere alla men peg-gio le sorti della comunità.

Molto Ill.re Sig.r Padre,

« L'incomodità ch'io ho patita dappoi che sono in questa casa, me-« diante la carestia di cella, so che V.S. in parte lo sa, ed ora più chia-« ramente gliel'esplicherò, dicendole che una piccola celletta, la quale« pagammo (conforme all'uso che abbiamo noi altre) alle nostra mae-« stra trentasei scudi, sono due o tre anni, mi è convenuto, per necessità,« cederla totalmente a Suor Arcangela, acciò (per quanto mi è possibile)« ella stia separata dalla nostra maestra ( la maestra di Suor Celeste, quarz-« do era novizia, con la quale Suor Celeste dormiva; la quale era ammalata• di nervi, e dopo non molto tempo, in un accesso di pazzia, per ben due« volte tentò di uccidersi) che, travagliata fuor di modo dai soliti umori,« dubito che con la continua conversazione gl'apporterebbe non poco« detrimento; oltre che, per esser Suor Arcangela di qualità molto diver-« sa dalla mia e piuttosto stravagante, mi torna meglio il cedergli in mol-« te cose, per poter vivere con quella pace e unione che ricerca l'intenso

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amore che scambievolmente ci portiamo. Onde mi ritrovo la notte conla travagliosa compagnia della maestra (e se bene me la passo assaiallegramente coll'aiuto del Signore dal quale mi sono permessi questitravagli indubitatamente per mio bene) e il giorno sono quasi peregri-

« na, non avendo luogo ove ritirarmi un'ora 9 mia requisizione. Non desi-dero camera grande o molto bella, ma solo un poco di stanzuola, comeappunto adesso me se ne porge l'occasione di una piccolina, che unamonaca vuol vendere per necessità di danari; e, mediante il buon uffizio

« fatto per me da Suor Luisa, mi preferisce a molte altre che cercano dicomperarla. Ma perché la valuta è di scudi 35, e io non ne ho altri chedieci, accomodatimi pur da Suor Luisa, e cinque n'aspetto della mia en-trata, non posso impossessarmene, anzi dubito di perderla, se V. S. nonmi sovviene colla quantità che me ne manca, che sono scudi 20.

« Esplico a V.S. il bisogno con sicurtà filiale e senza cerimonie, pernon offender quella amorevolezza da me tante volte esperimentata.Solo replicherò che questa è della maggiori necessità, che mi possonoavvenire in questo stato che mi ritrovo, e che, amandomi Ella come

« so che mi ama, e desiderando il mio contento, supponga che da que-sto me ne deriverà contento e gusto grandissimo, e pur anco lecito eonesto, non desiderando altro che un poco di quiete e solitudine. « ecc.

ecc. ».In questa lettera, con molta delicatezza e carità, vien proiettato un

fascio di luce sul carattere bisbetico e scontroso di Suor Arcangela,come quello della nonna, la madre di Galileo.

COSTUMI RELIGIOSI DEL TEMPO

Dovendo Galileo recarsi a Roma, si era offerto alla figlia di poter ot-tenere dai prelati e cardinali suoi conoscenti, e magari dallo stesso Papa,dei favori per il convento, lasciando alle monache di esprimere i propridesideri. Suor Maria Celeste risponde con una lettera e un piccolo memo-riale, oltremodo interessante, con cui, mentre ci illumina un po' sui co-stumi del tempo, mostra quanto essa fosse religiosa e giudiziosa.

Molto Ill.re Sig.r Padre

« Pensavo di poter presenzialmente dar risposta a quanto mi dis-se V.S. nell'amorevolissima sua lettera scrittami già son parecchi gior-ni. Veggo che il tempo ne impedisce, si che mi risolvo con questa mianotificargli il mio pensiero. Dicogli adunque che il sentire con quan-

« ta amorevolezza Lei si offerisce ad aiutare il nostro monastero, mi ap-« portò gran contento. Lo conferii con Madonna e con altre Madri più

attempate, quali mi mostrorno quella gratitudine che ricercava la qua-lità dell'offerta; una perché stavano sospese non sapendo in fra di loro

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