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Direttore

Fabrizio LUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”

Comitato scientifico

Louis BUniversità degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Giuseppe CUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”

Domenico CUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”

Antonello GUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”

Matthias KMartin Luther Universität Halle Wittenberg

Edoardo MUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”

Rocco PUniversità degli Studi di Napoli “Federico II”

José Manuel S FUniversidad de Sevilla

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Questa collana dell’ex Dipartimento di Filosofia “Antonio Aliotta” (confluitonel Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Napoli“Federico II”) nasce come “porta” aperta al dialogo interculturale con stu-diosi vicini e lontani dalla grande tradizione napoletana e italiana. Lo scopoè di offrire un nuovo luogo di confronto senza pregiudizi ma con una solaprerogativa, quella della serietà scientifica degli studi praticati e proposti suipiù aggiornati itinerari della filosofia e della storiografia, della filologia edella letteratura nell’età della globalizzazione e in un’Università che cambia.

Le pubblicazioni di questa collana sono preventivamente sottoposte alla procedura divalutazione nella forma di blind peer-review.

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Igor Pelgreffi

Scrittura e filosofia

Jacques Derrida interprete di Nietzsche

Prefazione diManlio Iofrida

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I edizione: luglio

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a mio padre, in memoriam

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Indice I Prefazione di Manlio Iofrida 11 Introduzione. Scrittura e filosofia 21 Capitolo I

Il problema dell’oggetto

1.1. Il problema dell’oggetto. I materiali, 21 – 1.2. Il rapporto tra l’oggetto e la scrittura di Derrida, 23 – 1.3. Cenni di letteratura se-condaria, 26 – 1.3.1. L’oggetto e la Nietzsche Renaissance, 28 – 1.3.2. L’oggetto come dispositivo di confronto con il Nietzsche di Heidegger, 33 – 1.3.3. L’oggetto come dispiegamento della questio-ne della scrittura, 39 – 1.4. Un bilancio e un piano di lavoro, 46

53 Capitolo II Scrivere Nietzsche

2.1. Nietzsche nella scrittura di Derrida. Topologia, 53 – 2.2. Tecni-che di citazione, 54 – 2.3. Scrittura per segmenti. Lettura senza in-terpretazione, 56 – 2.4. Scrittura teatrale: Nietzsche attore di Derrida regista, 67 – 2.5. La prosa di Derrida, 73 – 2.6. La scrittura come tertium tra dialettica e flusso, 81 – 2.7. Scrittura/filosofia, 84 – 2.8. La passione e il canone. Note biografiche sulla scrittura nel giovane Derrida, 89

99 Capitolo III

Gestazione dell’oggetto. Nietzsche prima della scrittura

3.1. La lettura giovanile di Nietzsche, 100 – 3.2. Il silenzio su Nie-tzsche e il contesto letterario, 107 – 3.3. Il silenzio su Nietzsche e il contesto accademico, 115

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10 Indice

135 Capitolo IV

La ricerca dell’oggetto. Un’analisi

4.1. Gli scritti sino al 1972. La nozione di scrittura di Nietzsche, 135 – 4.1.1. La nozione nella sua cifra anti-metafisica, 135 – 4.1.2. Una nozione non univoca, 139 – 4.1.3. La nozione intersecata con altri temi, 143 – 4.1.4. Valutazione delle oscillazioni della nozione, 152

4.2. La questione dello stile. La conferenza di Cerisy-la-Salle nel 1972, 156

4.3. Scrittura e disconnessione. I testi dal 1972 al 1988, 173 – 4.3.1. Cenni generali, 173 – 4.3.2. La questione dell’autobiografia nella ri-flessione di Derrida, 176 – 4.3.3. La scrittura della firma, della vita e della morte, 179 – 4.3.4. Otobiographies (1976), 184 – 4.3.5. Inter-pretare firme (1981) e altri testi su Heidegger (1983-87), 193 – 4.3.6. Le conferenze su Paul de Man (1984), 198

4.4. I testi posteriori al 1988. La morfologia finale dell’oggetto, 202 – 4.4.1. L’ultima immagine di Nietzsche, 202 – 4.4.2. Il seminario Politiche dell’amicizia (1988-89), 204 – 4.4.3. Il problema del forse, 207 – 4.4.4. Logica del forse, 210 – 4.4.5. La parola forse nella scrit-tura di Nietzsche, 212 – 4.4.6. Considerazioni sulla forma dell’oggetto, 214 – 4.4.7. Nietzsche e la macchina (1994), 217 – 4.4.8. Testo e tempo, 221

225 Capitolo V L’oggetto. Qualche conclusione 5.1. L’oggetto, 225 – 5.2. Osservazioni teoriche, 227 – 5.3. Osserva-zioni storiche, 231 – 5.4. Cubismo della riflessione, 236 – 5.5. Il va-lore della contraddizione. Ragione e corpo, 239 – 5.6. Digressione antropologica, 247 – 5.7. Derrida/Nietzsche: attraversamento e reci-procità, 252

257 Ringraziamenti 259 Indice dei nomi

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Prefazione

di M I

Questo lavoro di Igor Pelgreffi si iscrive in una serie di sue ricerche

dedicate a Derrida, ricerche che sono tutte caratterizzate dalla singolareassociazione di un duplice registro: per un lato, l’autore è estremamentefedele al suo oggetto e sembra più derridiano di Derrida; per l’altro, la suaacribia documentaria, l’individuazione di fonti inedite o rare, il notevoleruolo attribuito ai documenti sulla gioventù, anche assai acerba, delpensatore franco–algerino, e, infine, lo studio del contesto socio–culturalein cui egli si inserisce, si rifanno a un metodo storico–filosofico che èassai estraneo al suo oggetto; per il primo verso, Pelgreffi, fedele al suoautore e alla tradizione epistemologica francese, insiste sul caratteretutto costruito del suo oggetto e moltiplica i punti di domanda sullalegittimità della sua stessa indagine — secondo la filosofia di Derrida,non è impossibile, a rigore, istituire una ricerca sul “tema” di Nietzschein Derrida? Per questo aspetto, il registro del lavoro è tutto “francese”;per il secondo aspetto, la ricerca è assai più “italiana”: nel dissidio fraquesti due registri, si insinua tutta l’originalità di questo lavoro, teorico estoriografico insieme, su uno degli autori della filosofia contemporaneaprima facie meno legati alla storia. Certo, il dissidio è talora stridentee si sentirebbe l’esigenza di un’articolazione più profonda fra quei duemomenti, di una “mediazione” vera e propria; ma, anche così, il lavoroproduce dei risultati molto originali. Mi soffermerò su qualcuno di questi,cercando nello stesso tempo di indicare, almeno implicitamente, in chedirezione potrebbe essere praticata quella ulteriore “mediazione”, perottenere risultati ancora più ricchi.

Il tema, il rapporto fra il pensiero di Nietzsche e quello di Derrida, non ècerto dei più facili: anche perché Derrida stesso lo ha reso particolarmentedifficile. Se, in generale, il rapporto di questo filosofo con la sua tradizio-ne è particolarmente complesso e problematico, per ragioni per così dire“sistematiche”, il caso di Nietzsche è, e Pelgreffi ben ne è consapevole e

. Oltre ad aver pubblicato una traduzione italiana dell’intervista di Derrida Nietzsche and themachine (Nietzsche e la macchina. Intervista a Richard Beardsworth, Milano, Mimesis, ), Pelgreffiha dedicato la sua tesi di dottorato, discussa a Verona nel , al problema dell’autobiografia inDerrida.

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II Prefazione

lo documenta, particolarmente grave: uno dei testi chiave, in proposito,la famosa conferenza al colloquio di Cerisy del poi edita in volumecon il titolo Éperons, rappresenta infatti, dopo la grande triade di opere del, il momento di una radicalizzazione del pensiero decostruttivo, che loporta a conseguenze estreme particolarmente paradossali. A distanza di unquarantennio, ci si può interrogare sulla fecondità di tale radicalizzazione,che inaugura una serie di opere degli anni Settanta in cui il momento dellaprovocazione surreal–futurista è particolarmente evidente. È il Derridadel , che si terrà ai margini della professione accademica fino alla crisiradicale della costellazione della filosofia francese contemporanea che siverifica a partire dalla fine degli anni Settanta; è il Derrida che incentra tuttosul frammento della perdita dell’ombrello — un Derrida particolarmenteirritante per ogni serio studioso di Nietzsche e che può essere valorizzatosolo storicizzandolo molto precisamente.

Ma la storia del rapporto Nietzsche–Derrida si può limitare ai testi espli-citi (non molti) che il secondo ha dedicato al primo? Pelgreffi sa benissimoche non è così ed è qui che il suo lavoro di scavo dal punto di vista storiogra-fico produce dei risultati significativi. Prima di entrare nel dettaglio di questiultimi, vorrei fare un breve cenno sulla ormai assai vexata quaestio dellaricezione di Nietzsche in Francia. Che la Francia sia stata il luogo elettivo diuna lettura creativa e politicamente non conservatrice dell’opera del filosofotedesco è ormai un dato acquisito della ricerca sulla fortuna del filosofotedesco; cosa si può dire più in particolare per quel che riguarda Derrida? Illavoro di Pelgreffi spinge giustamente nella direzione dell’ambiente algerinocome luogo di approfondimento per comprendere la specificità del nicciane-simo di Derrida; in questo quadro, è il giovane Camus che campeggia. Nel

. Alludo naturalmente a De la grammatologie, a Le voix et le phénomène e a L’écriture et la différence.. Questa associazione, che in parte è un ossimoro, è voluta: il modernismo di Derrida e della

rivista «Tel Quel» negli anni Sessanta comporta una dimensione di rottura con il passato che va benal di là della tradizione surrealista ed è di un nichilismo tutto futurista, se non addirittura dadaista.

. Non a caso, poco dopo, Derrida tentò, senza successo, di entrare nei ranghi dell’Universitàcome professore e si avvicinò progressivamente a Lévinas; la crisi della filosofia francese, simbolica-mente segnata dalla tragedia dell’omicidio commesso da Louis Althusser, nel , e dalla scomparsadi Jean–Paul Sartre, sempre nel , è dovuta a motivi di lunga durata: in quegli stessi anni, cade lafine dei Trenta gloriosi, del fordismo e del keynesismo, cioè del contesto storico–sociale che avevacostituito la premessa della fioritura culturale della Francia del dopoguerra; solo Michel Foucaultseppe reagire con vera consapevolezza a questo mutamento storico veramente epocale e trasformòsostanzialmente il suo pensiero, a fronte di un Derrida e di un Deleuze che poco hanno aggiunto,dal punto di vista dell’armamentario concettuale di fondo, a quello che avevano scritto fino allora.

. Cfr. J. D, Spurs. Nietzsche’s style. Éperons. Les styles de Nietzsche, Chicago and London,Chicago University Press, , p. e ss.

. Mi limito a citare le due monografie più importanti e recenti sull’argomento: J. L R,Nietzsche en France, Paris, PUF, , e S. R, Foucault interprete di Nietzsche, Modena, Mucchi,, che, pur essendo dedicato a Foucault, ricostruisce tutto l’arco della ricezione nicciana in Francia.

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Prefazione III

Camus di Noces, che veniva da un’esperienza comunista e che era così legatoalla solidarietà con gli arabi, il profilo di una lettura di Nietzsche del tuttoinconciliabile con quelle di destra è già tutto contenuto. In questo senso, laformazione algerina di Derrida assume un peso che dovrà essere semprepiù valutato; Pelgreffi utilizza vari documenti dei Derrida Papers conservatia Irvine che confortano questo assunto: in effetti, la Algeri precocementeliberata dagli Alleati fu un centro che poteva ben gareggiare con la Parigioccupata e, in questo senso, Camus non è che l’espressione più alta di unavita culturale e politica intensissima, fatta di piccole riviste, di produzionepoetica di ottimo livello, di un’apertura internazionale di cui l’incontro el’amicizia di Camus con il nostro Nicola Chiaromonte sono solo uno deitanti esempi.

In che modo questo ambiente ha segnato Derrida? In che modo ha se-gnato la sua lettura di Nietzsche? Alla prima domanda si può solo, per ora,cominciare a rispondere, seguendo le orme dell’autore: Algeri e Camuslasciano una traccia profonda sul filosofo per la duratura associazionefra filosofia e letteratura che avevano rappresentato; è infatti indubbioche, se Derrida è stato filosofo, lo è stato, fino all’ultimo, sotto il segnodi una vocazione letteraria, se non addirittura poetica, il cui miraggiolo ha accompagnato fino alla fine. Certo, Camus fu un letterato filosofo,laddove Derrida è stato un filosofo letterato: e le differenze fra i due nonsono certo poche; ma è mia convinzione che lo scavo del rapporto fra idue vada approfondito e continuato, poiché potrà dare risultati ulteriorie importanti. Pelgreffi accenna anche alla giovanile intemperanza delfilosofo, alla sua necessità di maturare un abito intellettuale rigoroso —necessità che d’altra parte fu da lui sentita come “naturale” completa-mento della sua preparazione umana e intellettuale; ma anche in questadirezione, egli non si allontanava da Camus, anzi si avvicinava alla suarigorosa congiunzione fra caos e ordine, dionisiaco e apollineo. Che sepoi si dovesse insistere sul significato del momento “letteratura” in que-sto periodo, certamente non si potrebbe che seguire ancora le orme diPelgreffi, laddove addita in Jean–Paul Sartre il rappresentante maggio-re di una distinzione e congiunzione di filosofia e letteratura che sonostate il segno di un’epoca. Che il periodo fra gli anni Quaranta e la finedegli anni Cinquanta sia stato quello aureo per la figura dell’intellettualeletterato o universale; che la letteratura abbia in tale periodo rivestito

. Lo studio di E. B, The young Derrida and French Philosophy –, New York, Cam-bridge University Press, , prende le mosse dal periodo in cui Derrida inizia i suoi studi a Parigi,dedicando solo qualche cenno alla giovinezza algerina del filosofo di El–Biar.

. Cfr. infra, p. e ss.. Alludo a un celebre tema che Foucault ha lanciato in un’intervista del a Fontana e

Pasquino: M. F, Microfisica del potere, Torino, Einaudi, , p. e ss.

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IV Prefazione

un ruolo chiave, in Francia certo prioritariamente, ma anche altrove (ivicompreso il così differente contesto statunitense); che essa abbia assuntoun significato di sapere “totale”, che poteva associarsi e porsi sullo stessolivello della filosofia come “trattamento ontologico del mondo”, non èquesto lo sfondo su cui misurare la concezione dell’écriture di Derrida etutta la sua modalità letteraria di trattamento del testo filosofico? Certoche non si potrà dare conto della personalità e dell’opera del filosofofranco–algerino se non si terrà conto di questo dato, che dal lavoro di Pel-greffi emerge con molta chiarezza; e, nel far ciò, non si potrà, con strettaconsequenzialità, non approfondire il solco della ricerca sul complessorapporto che lo lega, oltre che a Camus, a Sartre: a chi ha in mente unsaggio capitale nell’opera di Derrida come Les fins de l’homme, non sfuggeinfatti come, in questo testo strategico sulla questione dell’umanesimoper tutta la filosofia francese contemporanea, alla polemica col Sartre deL’esistenzialismo è un umanismo, Derrida affianca una ripresa del Sartrede La nausea e de L’essere e il nulla che configura un rapporto positivofra i due.

Ma, per rispondere alla seconda domanda che ho posto più sopra, riguar-do al rapporto Nietzsche–Derrida cosa risulta da questo sfondo algerino? Pervari versi, emerge una conferma del tratto fondamentale dell’interpretazio-ne derridiana di Nietzsche: quella frammentarietà, quella “disconnessione”del pensiero del filosofo tedesco che è anche, secondo Pelgreffi, la caratte-ristica su cui viene a battere sempre più l’accento nei testi che il filosofofranco–algerino dedica al filosofo tedesco nel corso degli anni: così, adesempio, questo tratto è già abbondantemente documentato nella letturadi Camus. Non si tratta certo di qualcosa di particolarmente originale:l’asistematicità del pensiero di Nietzsche è una caratteristica che ne ha se-gnato la ricezione fin dal suo inizio: ma cosa significa la forte accentuazionedella disconnessione nel caso di Derrida? Forse, alla luce dell’ampia ricercadi Pelgreffi, è possibile cercare di apprezzare il significato di questo temagrazie al suo inserimento in un contesto più ampio.

Dei tre filosofi maggiori del post–strutturalismo, Jacques Derrida è,a un tempo, il meno nicciano e il più heideggeriano: se Gilles Deleuze

. Il rapporto di Derrida con Camus non è tuttavia assorbito da quello con Sartre, se nonaltro per motivi politici: la riserva sempre mantenuta da Derrida verso il marxismo non è daiscriversi nel solco dell’influenza del primo? Sulla complessa questione del rapporto di Derridacon la politica, il marxismo e Althusser si veda l’intervista che il filosofo concesse a Sprinker: J.D, Politiques et amitié, Paris, Galilée, .

. Cfr. J. D, Les fins de l’homme, in Marges de la philosophie, Paris, Les Éditions de Minuit,, p. . Questo rapporto positivo con il filosofo dei Temps Modernes riguarda, come è noto,anche Deleuze; fra i tre maestri del poststrutturalismo, sembra essere dunque Foucault ad essereil più lontano da Sartre: quel Foucault che, d’altronde, risulta essere il più vicino a Merleau–Ponty.

. Cfr. infra, p. e ss.

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Prefazione V

ha dedicato a Nietzsche un libro che è insieme un capolavoro della suariflessione e uno dei più importanti contributi alla Nietzsche–Renaissancedel secondo dopoguerra; se Michel Foucault ha fatto di Nietzsche l’in-terlocutore costante del suo lavoro, da Storia della follia alle ultime pagineche ha vergato; in Jacques Derrida, che fin dal principio iscrive la suariflessione nel solco heideggeriano, pur nel modo critico e originale checonosciamo, che significato ha un riferimento a Nietzsche così costan-te, così insistente, così strategico? È chiaro che la prima e più naturalerisposta (ed è quella che è data da Pelgreffi, come da altri interpreti) staproprio in tale peculiarità della lettura derridiana del filosofo di Mes-skirch: è per smarcarsi dal tema heideggeriano della metafisica e dalconnesso tema dell’Essere che il riferimento a Nietzsche è strategico inDerrida; e, più in particolare, è per confutare la tesi heideggeriana di unNietzsche culmine della metafisica occidentale che Derrida insiste sultema della disconnessione. Questa risposta può essere, non contraddetta,ma arricchita e approfondita dalla seguente considerazione: se Nietzschefunziona da antidoto all’ortodossia heideggeriana sull’Essere e la metafi-sica, è perché il riferimento al filosofo di Messkirch è strategico laddovesi voglia contrapporre, a una ontologia delle origini e del “raccoglimen-to” tendenzialmente nostalgico e unitario, una diversa ontologia (chepuò essere ancora heideggeriana) della dispersione, dell’Ereignis e delladisconnessione. Qui, naturalmente, la riflessione di Derrida si inquadravain una temperie storico–culturale, che è quella degli anni Sessanta, chedi questo tema della disconnessione era satura: basti pensare, spaziandonei campi più diversi, a Beckett in campo teatrale, al Nouveau Roman eai suoi sviluppi successivi in campo letterario, all’écriture du désastre diMaurice Blanchot, agli sviluppi della dodecafonia e della ricerca musicalecontemporanea con Stockhausen e Cage, per non parlare del Godarddegli anni “Karina” e del nostro Antonioni (Deserto rosso in testa) di queglianni. Sul piano filosofico, l’altro grande autore che pensò, sullo sfondo diquesta complessa nebulosa culturale, la questione della disconnessione,fu un tedesco che con Nietzsche ebbe molto a che fare: alludo al grandeAdorno della Dialettica negativa, che, come annunciato nelle prime righedel testo, è una Logik des Zerfalls. Adorno, Derrida: pur con la diversitàdelle generazioni dei due autori, due filosofie si incontrano che pensanola grande trasformazione del moderno e, in particolare, il grande saltonella società dei consumi che costituì il nocciolo storico degli anni Sessan-ta. Una risorsa critica nei confronti del tardo capitalismo, sulla base di unpensiero della disconnessione, ispirato, sia sul versante tedesco (Adorno)che su quello francese (Derrida) al massimo critico ottocentesco della

. G. D, Nietzsche et la philosophie, Paris, PUF, .

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VI Prefazione

società industriale, Friedrich Nietzsche: è questa la traccia di ricerca daapprofondire che mi suggerisce conclusivamente questo lavoro di IgorPelgreffi.

. Sull’incontro fra decostruzione e dialettica negativa, che è poi stato, in Germania e negliStati Uniti, un fenomeno storico effettivo, mi soffermai in un saggio del , poi pubblicato nel, che ormai può definirsi pionieristico: cfr. M. Iofrida, Pour un matérialisme critique: traduireAdorno dans Derrida, et retour, in Présence du matérialisme, éd. Jacques D’Hondt, Georges Festa,Colloque International de Cerisy, Paris, L’Harmattan, , tr. fr. par Charles Alunni, p. –.Al nocciolo teoretico di quel saggio, che mi sembra ancora fecondo, vedo ora la necessità diaggiungere, per irrobustirne e confermarne la validità, la contestualizzazione storica di cui hoappena parlato.

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Introduzione

Scrittura e filosofia

L’esercizio filosofico è innanzitutto e perlopiù un’attività di scrittura. Il vecchio adagio nulla die si-ne linea acquista nella scritturalità filosofica un sen-so preciso, poiché il pensatore che riprende i tratti del pensiero è di regola uno scrittore che mette di nuovo sulla carta delle righe già scritte, nella speran-za che la ripetizione non rimanga semplicemente una copia inerte di ciò che già è stato pensato, ma con-servi la matrice atta a produrre la variazione creati-va1.

Peter Sloterdijk

Nietzsche ha scritto ciò che ha scritto. Ha scritto che la scrittura – la sua anzitutto – non è soggetta origi-nariamente al logos ed alla verità2.

Jacques Derrida Questo libro nasce dall’idea di indagare l’interpretazione che Jac-

ques Derrida ha dato della filosofia di Friedrich Nietzsche. Si tratta della messa a fuoco di questo oggetto, ponendo particolare attenzione al problema della scrittura. Tuttavia, vi è una domanda di ordine più generale a partire dalla quale può essere pensata la ricerca dell’oggetto. Filosofia e scrittura: qual è il loro rapporto? Esula dai nostri scopi uno studio diretto di questa domanda. Ma nel trattare di Derrida e di Nietzsche, evidentemente essa farà da sfondo attivo.

1 P. SLOTERDIJK, Due risposte a aut aut, aut aut, 355, lug-set 2012, pp. 4-6, p. 4. 2 J. DERRIDA, Della grammatologia, trad. it. di R. Balzarotti, F. Bonicalzi, G. Contri, G.

Dalmasso, A.C. Loaldi, Jaca Book, Milano 19982, p. 39.

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Introduzione

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In che modo la filosofia si rapporta alla sua produzione scritta, all’oggetto prodotto ma anche, contemporaneamente, al gesto singola-re della penna (o del digitare un tasto), oppure all’assemblaggio di parti-scritte, sino alla loro orchestrazione nel testo? In altri termini: qual è il nesso fra la filosofia e il suo divenire oggetto scritto? Vexata quaestio. Sin dai suoi primi vagiti in età presocratica il problema della filosofia si intreccia con il problema della scrittura:

… da dove infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo3. Così Anassimandro. Il suo “detto” è considerato il primo documen-

to scritto della filosofia occidentale. Ma se esso è giunto sino a noi nella sua forma originale, lo si deve probabilmente – secondo le ipote-si della filologia – al suo valore quasi-poetico: sarebbe in virtù di que-sto valore che nelle Opinioni dei fisici Teofrasto, allievo di Aristotele, gli risparmia l’operazione della parafrasi (riservata, invece, agli altri “filosofi”)4. Da Anassimandro a Parmenide: è solo per scelta estetica che il peri phiseos fu scritto in esametri, cioè la medesima metrica di Omero e Esiodo? E che alla prima e alla seconda parte, quella in cui si enunciano le tesi portanti del pensiero occidentale (l’essere è, il non essere non è) venga anteposto il Proemio che, come noto, raffigura la scena del carro trainato dalle cavalle? Ci si può legittimamente do-mandare5 se questa parte preliminare del peri phiseos, così ricca di

3 Il “detto di Anassimandro” corrisponde al frammento 12 B 1 dei Fragmente der Vorso-kratiker, nell’edizione curata da H. Diels e riveduta da W. Kranz, nella traduzione di R. Lau-renti (cfr. I presocratici. testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1981, Vol. I, t. 1, p. 106-107).

4 Per questo aspetto, e per le seguenti considerazioni circa Parmenide, Platone e le Vorle-sungen di Hegel, la nostra ricostruzione si basa sullo studio di Carlo Gentili, La filosofia come genere letterario, in ID. La filosofia come genere letterario, Pendragon, Bologna 2003, pp. 13-29, p. 16 e ss.

5 Se Parmenide scrisse il poema peri phiseos per proporre una nuova filosofia, diversa da quella dei fisici, ne consegue – commenta Carlo Gentili – che «egli non poteva presentarla come il frutto di un privato, personale ragionamento, ma doveva offrirla come una verità su-periore, come un’autentica rivelazione del divino […] esperienza privilegiata da cui i comuni mortali devono restare esclusi» (cfr. C. GENTILI, Il “Proemio” di Parmenide: un confronto fra poesia e filosofia sul tema dell’ermetismo, in ID., La filosofia come genere letterario, cit., pp. 31-51, p. 39). Lo stile di Parmenide conferma il carattere «iniziatico-ermetico del poema. In

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immagini oscure o metaforiche, non sia in realtà un tassello essenziale per giustificare lo strappo teorico parmenideo: la possibilità di oltre-passamento dalla fisica ionica (per sostare poi nel nuovo mondo con-cettuale, basato sulla dottrina dell’essere e della verità), non richiede un preliminare trasporto del filosofo in un’atmosfera di sogno, un’apertura extra-logica soltanto narrativa? E si potrebbe proseguire con Platone e il problema rappresentato dai suoi dialoghi, la loro dia-lettica col mithos, la critica della scrittura operata nel Fedro (Platone, Fedro, 274d-275c) o, alternativamente, quella dei poeti in La Repub-blica (Platone, Repubblica, libro X, 598d-608b). Platone introduce una novità metodologica sul piano delle tecniche di scrittura: il dispo-sitivo maieutico di Socrate. La maieutica è la macchina automatica fi-losofica che lavora il linguaggio per escluderne il superfluo, al fine di giungere al concetto. Ciò equivale a slegare la filosofia dal suo dehors, dalla non-filosofia o, se si vuole, dalla scrittura. In Platone la filosofia, neonata scienza dei concetti puri, inaugura il suo definitivo poter (e dover) fare a meno dell’elemento letterario e della scrittura.

Tutta la filosofia occidentale ha risentito di quel gesto platonico: essa si è prodotta in due direzioni, contraddittoriamente insieme e contro quel gesto. Impossibile ripercorrerne l’intero film; per econo-mia ci limitiamo a montare la prima scena accanto all’ultima. Nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia6 Hegel si sofferma proprio su Parmenide e Platone, letti all’interno della sua tipica macchina specu-lativa. La tesi è che con loro la filosofia è soltanto all’inizio della sua storia. Questa storia ha un telos: perseguire la purezza del concetto, lavandolo dall’opacità degli elementi non-filosofici che lo infestavano sin dall’inizio. Tale inizio è in Parmenide ancora «confuso e indeter-minato»7. Sebbene questi «si innalzi al regno dell’idea», nei suoi scrit-ti il concetto non è completamente trasparente, e ciò accade per la con-taminazione fra idea e elemento lirico. Notiamo come Hegel apprezzi diversi aspetti letterari in Parmenide, come quando tesse le lodi della forza stilistico-comunicativa del Proemio e riferisce, tramite Simpli- questo senso la lingua deve essere considerata una creazione specifica, la cui novità non è di-sgiunta dalla novità stessa del pensiero» (ivi, nota 18, p. 41).

6 G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, trad. it. di E. Codignola e G. Sanna, 3 voll., La Nuova Italia, Firenze 1964.

7 G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, cit., Vol. I, p. 279.

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cio, anche di alcune «espressioni pittoresche»8. Rispetto a Parmenide, in Platone abbiamo un discorso ben organizzato in un «procedimento sistematico»9. Ma la sua forma scritta, ovvero il dialogo, «è per noi d’ostacolo alla precisa comprensione della sua filosofia»10. Possiamo godere dei dialoghi, in quanto la loro forma è «particolarmente bella e attraente […] e merita certamente rispetto come opera d’arte»11. Ma il problema è esattamente nella loro qualità estetica, che produce una «forma di malintesi»12. Qual è la riflessione di Hegel su questa diffi-coltà? Le cose cambierebbero, sostiene, qualora potessimo togliere questa forma e conoscere il complesso degli insegnamenti non-scritti di Platone (di cui riferisce Aristotele)13.

Si noti bene che è qui in gioco l’idea del toglimento dello scritto come condizione necessaria affinché qualunque filosofia, e in primis la filosofia di Hegel vista da Hegel stesso, guadagnando la purezza del concetto possa divenire realmente se stessa: un’idea che potrebbe sin-tetizzare il senso ultimo della sua riflessione. Il teleologismo quale motore immobile di una filosofia significa che l’idea inseguita dal fi-losofo, il suo desiderio, è leggibile come idea (cioè finzione) legata a un proprio autos, a un automatismo nella ricerca di una formulazione individuale che faccia a meno della scrittura, dell’incertezza, in una parola: del corpo. Tuttavia, il caso di Hegel è importante anche per un’altra ragione: nel momento in cui dequalifica la scrittura, Hegel in parte la riabilita come prassi. Nel suo libro Filosofia e scrittura14 Car-lo Sini individua proprio nella Fenomenologia dello spirito un mo-mento di rottura nella scrittura filosofica che egli definisce una «rivo-luzione»15. Si tratterebbe, in primo luogo, di una reazione romantica della filosofia alla minaccia rappresentata dalle «scritture fisico-

8 G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, cit., Vol. I, pp. 278-279. 9 G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, cit., Vol. II, p. 163. 10 Ibidem. 11 Ivi, p. 166. 12 Ivi, p. 171. 13 Ivi, p. 163. Hegel approfondisce anche il rapporto platonico tra narrazione (mitologica)

e filosofia: «il mito è una forma di esposizione che, in quanto più antica, suscita sempre im-magini sensibili che sono adatte per la rappresentazione, non per il pensiero; ma questo attesta impotenza per il pensiero» (ivi, pp. 171-172). Poco oltre, la sentenza: «Quando il concetto si fa maturo, non si ha più bisogno di miti» (ivi, p. 172).

14 C. SINI, Filosofia e scrittura, Laterza, Roma-Bari 1994. 15 Ivi, p. 107.

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matematiche della verità e della realtà» che avevano gradualmente scalfito, durante i secoli XVII e XVIII, la fiducia della filosofia circa «la possibilità della propria autofondazione metafisica»16. E se la filo-sofia, nel corso di una lunga vicenda che anche Sini fa originare da Platone17, sino a quel momento aveva tentato di celarsi dietro il suo «gesto di scrittura»18, adesso, con Hegel e il contro-movimento da lui inaugurato, decide di «esibirsi»19 in esso. Il libro di Hegel «irrompe con una forza innovatrice straordinaria, inimmaginabile nel suo stile espressivo e argomentativo, testo in tutti i sensi inaudito e imprevisto nella storia della metafisica»20. La scrittura di Hegel materializza e storicizza la tensione fra il «rigore della scienza» e «la tumultuosità della vita storica». È un «bilico miracoloso e irripetibile» fra queste due opzioni, «che per la prima volta si avverte e si vede come tale e si dice nello stile incandescente di un pensare e di una espressione inti-mamente presi dalla contraddizione e dalla lotta della vita e del con-cetto»21. Occorre focalizzare l’attenzione sul fatto che, per Sini, nella storia della filosofia che, come mostrato, Hegel voleva configurare quale progressivo rischiaramento del concetto da tutti gli errori e da tutte le non-trasparenze, di cui la scrittura è forse il principale, accade un evento imprevisto: il potente ritorno alla scrittura nel «“romanzo fi-losofico”»22: astuzia del Geist contro Hegel?

L’asse Platone-Hegel non è casuale. Dopo Hegel la filosofia, nel suo paradigma classico-moderno, entrerà in una nuova condizione strutturale, ossia quella normalità della propria crisi che, in fondo, giunge sino a noi. Sarà quindi nel Novecento che la questione filoso-fia/scrittura guadagnerà una propria centralità, interessando campi an-che molto diversi della riflessione filosofica. Si prenda, ad esempio, il nesso fra pensiero-vita-scrittura nelle grandi figure dell’esistenzialismo, come Jean-Paul Sartre o Albert Camus. Oppure si prenda la filosofia di Martin Heidegger, dove la sperimentazione

16 Ibid. 17 Cfr., ivi, pp. 65-92. 18 Ivi, p. 107. 19 Ibid. 20 Ibid. 21 Ivi, pp. 107-108. 22 Ivi, p. 107.

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non solo linguistica, ma anche di apparati retorici innovativi, diviene parte integrante del gesto speculativo. Oppure ancora, su un piano non direttamente filosofico, si prenda la riflessione sull’écriture come pangrafismo quasi-ontologico, che diviene possibilità descrittiva e tra-sformativa dello stato di cose esistente, a partire dal Roland Barthes de Il grado zero della scrittura23 sino alle neoavanguardie degli anni Ses-santa e Settanta, fra cui Tel Quel. Il momento di maggiore consapevo-lezza teorico-critica si raggiunge nel dibattito degli anni Ottanta intor-no al livellamento fra filosofia e letteratura, di cui sono testimonianza, fra gli altri, il lavoro di Jürgen Habermas Il pensiero post-metafisico24 e quello di Richard Rorty La filosofia come genere di scrittura. Saggio su Derrida25. Stante la crisi dei fondamenti e la difficoltà nel definire in modo rigoroso i confini disciplinari della filosofia, non si potrebbe, dopo tutto, pensare alla filosofia come a un genere di scrittura? La domanda, tipica di quelle atmosfere già aperte sul postmoderno, mate-rializzava una fra le possibilità da sempre contenute nella diade filoso-fia/scrittura, ma portandola all’estremo. Questi pochi esempi soltanto per testimoniare la pervasività di una questione che tocca in misura variabile anche ambiti apparentemente più distanti, come quelli della filosofia analitica. Non agisce forse, anche nell’esposizione più asetti-ca, uno stile nella composizione e orchestrazione delle parti scritte, una scrittura «per sottrazione» che realizza un oggetto, ossia che pro-duce un’organizzazione formale?

Anche oltre il Novecento, la domanda filosofia/scrittura mantiene la propria attualità, se si accetta l’ipotesi che gli scenari odierni, di in-certa decifrazione, lascino intravedere una possibilità di alterazione della filosofia, o, più esattamente, della sua morfologia. La filosofia conosce altri sistemi di produzione e di consumo del proprio discours e altri mezzi di espressione, i quali si affiancano, e lentamente si ibri-dano, a quelli “classici”. E tutto ciò all’interno di processi affatto sem-plici e non privi di resistenze. Si pensi alla mutazione delle modalità di

23 Cfr. R. BARTHES, Il grado zero della scrittura, trad. it. di G. Bartolucci, R. Guidieri, L.

Prato Caruso, R. Loy Provera, Torino, Einaudi 1982. 24 Cfr. J. HABERMAS, Il pensiero post-metafisico, trad. it. di M. Calloni, Laterza Roma-

Bari 1991. 25 Cfr. R. RORTY, La filosofia come genere di scrittura. Saggio su Derrida, in Id., Conse-

guenze del pragmatismo, trad. it. di F. Elefante, Feltrinelli, Milano 1986, pp. 107-123.

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pubblicazione e fruizione dei testi di filosofia, alle tecniche di auto-esposizione mediale del filosofo, alle frontiere del Self-publishing e, in generale, al rapporto della filosofia con la rete. Si pensi al fenomeno, la cui portata non conosce precedenti nella storia, delle tracce digitali “di filosofia” che errano sul web (seminari, audio o video registrazio-ni, libri, documentari, blog, appunti). Nel loro complesso, l’insieme di queste tracce sposta il confine del problema filosofia/scrittura in dire-zione di un’eterogeneità del testo filosofico, rimodulando la questione dei corpus come oggetti a loro volta problematici. Nelle nuove morfo-logie, oltre alla linea di scrittura il testo filosofico accoglie virtualmen-te la sua stessa alterazione: mutuando da Deleuze, si può dire che il te-sto filosofico diviene molteplice. Ciò accade, ad esempio, nella sua capacità di mutare i propri rapporti formali interni, ossia nell’ospitare i tre grandi filoni che, nel corso della sua storia, lo hanno in genere di-viso, più che unito: sonoro, visuale e grafico. In teoria potremo in fu-turo simultaneamente udire-vedere-leggere il filosofo: si tratterà, in quel caso, di testi multimediali che rappresentano una nuova forma unitaria, firmata dal filosofo stesso. Il tema “filosofi e nuovi media” annuncia forse un nuovo spazio politico per la filosofia? Uno spazio che, tuttavia, è sovrapposto allo spazio della propria rappresentazione? Ma, anche in questi casi, ogni volta la questione del prendere forma inerisce a quella del gesto singolare che produce forma.

Torniamo allora al tema di questo libro. Perché Nietzsche e Derri-da? E perché la questione della scrittura in Nietzsche, letta da Derrida? In qualche modo, le pagine che seguono saranno una risposta indiretta a questa domanda. È pleonastico ricordare come Nietzsche abbia rico-perto un ruolo di grande rilievo, portandola forse a un punto di non ri-torno, nell’intera questione filosofia/scrittura. La critica della nozione di verità, che mette definitivamente in crisi la filosofia, è intrecciata alla rivalutazione dell’aspetto artistico, e dunque dell’elemento tradi-zionalmente non-filosofico legato al finzionale. Ascrivere alla verità una natura menzognera e retorica, comporta come conseguenza una ridiscussione profonda del margine fra la filosofia e il suo altro (come, per esempio, la scrittura). Nel celebre passo di Su verità e menzogna in senso extramorale Nietzsche scrive:

Che cos’è dunque la verità? Un mobile esercito di metafore, metonimie, an-

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tropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state poten-ziate poeticamente e retoricamente […] le verità sono illusioni di cui si è di-menticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e hanno per-duto ogni forza sensibile26. La storia della verità non è altro che la storia di un errore. Nel Cre-

puscolo degli idoli si intuisce come la comprensione di questo errore non possa ormai più condurre a una verità positiva, posta in modo uni-laterale. Quel che Nietzsche suggerisce, nella celebre immagine della simultanea sparizione del mondo vero e del mondo apparente27, è la natura profondamente relazionale del vero e del falso, con gli enormi problemi teorici che ciò comporta, ma anche con le possibilità che es-so apre, come in questo noto frammento:

si è artisti solo al prezzo di sentire ciò che tutti i non artisti chiamano “forma” come contenuto, come “la cosa stessa”. Con ciò ci si ritrova certo in un mon-do capovolto. Perché ormai il contenuto diventa qualcosa di meramente for-male – compresa la nostra vita28. Se, come detto, neppure il mondo capovolto può ricostituire un ri-

ferimento stabile, allora è la strutturazione fra la filosofia e la sua for-ma quella che il filosofo è chiamato ad assumere come centro genera-tivo del proprio oggetto, anche in un senso vitale. Dentro la filosofia alberga, da sempre, un rapporto con l’auto-finzione, l’auto-confessione involontaria del suo autore, se è vero che, leitmotiv di Al di là del bene e del male, «ogni filosofia nasconde anche una filosofia; ogni opinione è anche un nascondiglio, ogni parola anche una masche-ra»29. Ma oltre a questa critica di tipo teorico, Nietzsche ha anche scritto la propria filosofia mediante uno stile esteticamente significati-vo, dove spesso è difficile svincolare i temi dalla forma nei quali essi si trovano espressi. Ciò non implica che la sua filosofia vada ridotta

26 F. NIETZSCHE, Su verità e menzogna in senso extramorale, trad. it. di G. Colli, in Opere di Friedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montanari, Adelphi, Milano 1982, Vol. III, t. 2, p. 361 (d’ora in avanti, salvo diversa indicazione, le Opere di Friedrich Nietzsche nell’edizione Adelphi, saranno citate con la sigla OFN, seguite dal numero di volume e di to-mo, anno di pubblicazione e numero di pagina).

27 F. NIETZSCHE, Crepuscolo degli idoli, OFN, cit., Vol. VI, t. 3, 1970, p. 76. 28 F. NIETZSCHE, Frammento 11 [3] 1887, OFN, cit., Vol. VIII, t. 2, 1990, p. 223. 29 F. NIETZSCHE, Al di là del bene e del male, OFN, cit., Vol. VI, t. 2, 1968, p. 201.

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totalmente a scrittura, ma implica, come per Anassimandro e il suo “detto”, che essa rigetti la parafrasi completa.

Questo suo doppio carattere, al contempo tetico e performativo, rappresenta la maniera con cui Nietzsche affronta il nodo filoso-fia/scrittura. A questo proposito, nell’aforisma Il tempio delle parole morte, presente nella raccolta Dopo Nietzsche, Giorgio Colli scriveva:

Ma la filosofia è scrittura, e ogni scrittura è falsificazione. Nietzsche ha libe-rato lo sguardo in questa direzione, anche se le premesse che lui stesso ha stabilito minano tutte le sue parole stampate. Egli perisce in questo incendio, da lui appiccato, del Walhalla filosofico30. L’irriducibilità del nesso fra performativo e critica dei fondamenti,

non potrebbe valere anche per Derrida? Compresa la componente di rischio di auto-neutralizzazione, quella sorta di nichilismo semantico spesso rimproveratogli dalla critica, e che Colli ravvisava in Nie-tzsche? Anche nel pensatore franco-algerino sul piano formale opera il medesimo intreccio mobile fra riflessione teorica e prassi discorsiva. Per Derrida la contaminazione fra performativo e constativo è, anzi, una delle grandi sfide, e al contempo delle nascoste necessità, della fi-losofia occidentale. In particolare ciò riguarda la scrittura: la nozione di écriture, intesa come dispositivo teorico, svolge una funzione de-terminante nella decostruzione per via grammatologica della filosofia opposizionale, quella edificata sulla logica binaria. Ma la scrittura e lo stile di Derrida sono anche tecniche con cui concretamente ed etica-mente rimettere in discussione gli assetti codificati di quella stessa fi-losofia rappresentativa, e gli assoggettamenti inconsapevoli del filoso-fo ad essa.

Ci è dunque sembrato utile ripercorrere l’interpretazione derridiana di Nietzsche seguendo il fil rouge della scrittura. In questo libro si trat-terà quindi di comprendere il senso più ampio, cioè valevole anche per lo stesso Derrida, del ritrarsi originario di Nietzsche dalla metafisica ottenuto mediante la scrittura, di cui Derrida in Della grammatologia: «Nietzsche ha scritto ciò che ha scritto. Ha scritto che la scrittura – la sua anzitutto – non è soggetta originariamente al logos ed alla veri-

30 G. COLLI, Dopo Nietzsche, Bompiani, Milano 1974, p. 67, corsivo nostro.

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tà»31. Quel che è in gioco, nel Nietzsche di Derrida, è capire quale sia il valore filosofico del ciò della scrittura di Nietzsche.

Il problema è di portata generale: Nietzsche (come chiunque) ha scritto ciò che ha scritto; ma dire questo significa dire la forma di un problema irrisolto, ovvero quello della tautologia. La questione è, cioè, quella di comprendere la natura del ciò. O, meglio, la via per cui il ciò riesce a sviare la tautologia implicita in questa proposizione. Scrive Peter Sloterdijk che «l’esercizio filosofico è innanzitutto e per-lopiù un’attività di scrittura […] il pensatore che riprende i tratti del pensiero è di regola uno scrittore che mette di nuovo sulla carta delle righe già scritte, nella speranza che la ripetizione non rimanga sempli-cemente una copia inerte di ciò che già è stato pensato»32. Occorre prendere sul serio il problema delle modificazioni del filosofo che scrive, nella misura in cui esso è anche, reversibilmente, il problema del potere trasformativo della scrittura.

La filosofia, pensata nella forma di sapere riflessivo, è interessata dal tautologico. La sua storia non è altro che la narrazione degli inse-guimenti e dei respingimenti del tautologico, di come il discorso vo-glia uscire da se stesso per giungere alle cose e di come esso si richiu-da necessariamente nella sua forma automatica di autoriproduzione, lontano dalle cose. Quanto di questa tautologia, cioè di questa descri-zione improduttiva della scrittura e del mondo, è oggi racchiusa nel ciò di quanto scriviamo o leggiamo? Si deve fissare lo sguardo su que-sto resto, sul ciò: la sua natura, eventualmente trasformativa, è mate-riale o culturale? Fisica o storica? È una natura legata al corpo o alla sua assenza? E in che modo essa si annoda alla forma del tempo?

31 J. DERRIDA, Della grammatologia, cit., p. 39. 32 P. SLOTERDIJK, Due risposte a aut aut, cit., p. 4.