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Il centralismo organico ilcomunista organo del partito comunista internazionale Reprint - Luglio 2008 - 4 Sulla linea delle battaglie di classe della Sinistra comunista

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Il centralismoorganico

ilcomunistaorgano del partito comunista internazionale

Reprint - Luglio 2008 - 4

Sulla linea delle battaglie di classe dellaSinistra comunista

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CORRISPONDENZA

Per l'Italia: il comunista - cas. post. 10835- 20110 MilanoPer la Francia: Editions Programme - 3Rue Basse Combalot - 69007 LyonPer la Svizzera: Editions Programme -Ch. de la Roche 3 -1020 Renens

Partito comunista internazionale

- il comunista -Editoda«ilcomunista»-Reg.Trib.Milanon. 431/1982 - Dir. resp. R. Mazzuca -Suppl. al n. 109 - Luglio 2008 de «ilcomunista» - Stampato in proprio

DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO:

La linea da Marx-Engels a Lenin, alla fondazione dell’Internazionale Comunista e del Partito Comunista

d’Italia; alle battaglie di classe della Sinistra Comunista contro la degenerazione dell’Internazionale

Comunista e dei Partiti ad essa aderenti; alla lotta contro la teoria del socialismo in un paese solo e la

controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; alla lotta

contro il principio democratico e la sua prassi, contro l’intermedismo e il collaborazionismo interclassista

politico e sindacale, contro ogni forma di opportunismo e di nazionalismo. La dura opera del restauro della

dottrina marxista e dell’organo rivoluzionario per eccellenza, il partito di classe, a contatto con la classe

operaia e la sua lotta di resistenza quotidiana alla pressione e all’oppressione capitalistiche e borghesi,

fuori del politicantismo personale ed elettoralesco, fuori di ogni forma di indifferentismo, di codismo, di

movimentismo o di avventurismo lottarmatista. Il sostegno di ogni lotta proletaria che rompa la pace sociale

e la disciplina del collaborazionismo interclassista; il sostegno di ogni sforzo di riorganizzazione classista

del proletariato sul terreno dell’associazionismo economico nella prospettiva della ripresa su vasta scala

della lotta di classe, dell’internazionalismo proletario e della lotta rivoluzionaria anticapitalistica.

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- INDICE DEI MATERIALI -

INTRODUZIONE 3

IL CENTRALISMO ORGANICO 13

La critica alla democrazia, portata fino in fondo,fino alla sua definitiva negazione 14

Lo sviluppo delle società non è lineare, ma procede per fortiascese fino alle rotture degli equilibri nelle fasi rivoluzionarie 16

Nessuna libertà personale di analisi, di critica, di prospettiva 18

Prassi democratica ed espedientismo: sempre a braccetto 19

Le divergenze: come prevenirle e superarle 22

Il lavoro comune nell'attività di partito 26

Coscienza di classe? Solo nel partito 28

APPENDICE 34

La struttura organica del Partito è l’altra faccia dellasua unità di dottrina e di programma 35

ESTRATTI DA MATERIALI DI PARTITO SULLA QUESTIONEDELL’ORGANIZZAZIONE INTERNA 41

Partito e classe (1921) 42 Partito e azione di classe (1921) 42 Il principio democratico (1922) 43 Tesi di Roma del Pcd’I (1922) 44 Il pericolo opportunista e l’Internazionale (1925) 45 Tesi di Lione (Tesi della Sinistra - 1926) 47 Forza violenza dittatura nella lotta di classe (1946) 50 Rovesciamento della prassi della teoria marxista (1951) 52 Dittatura proletaria e partito di classe (1951) 52 Tesi caratteristiche del partito (1951) 53 Struttura economica e sociale della Russia d’oggi (1955-57) 56 Dialogato coi Morti (1956) 59 La Russia della grande rivoluzione e nella società contemporanea (1956) 61 Considerazioni sull’organica attività del partito quando la situazione

generale è sfavorevole (1965) 62 Tesi di Napoli (1965) 63 Tesi di Milano (1966) 65 Circolare del Centro (21-9-1972) 66 Circolare del Centro (7-4-1976) 67 Il problema organizzativo al III° Congresso dell’I. C. (1981) 68 Necessità del partito centralizzato della rivoluzione comunista (1982) 70 Che cosa significa fare il bilancio della crisi di partito? (1986) 71 Materiali sul bilancio politico delle crisi interne di partito (1995) 74 Appunti sulla questione della formazione del partito dopo

la crisi esplosiva 1982-1984 (1998) 76

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Introduzione

I testi qui raccolti sono contenuti nelle pubblicazionidi partito, dalla vecchia testata «il programma comunista»all’attuale «il comunista», nelle vecchie riviste come«Prometeo» e «Sul filo del tempo» e nei libri editi dalpartito nel corso della sua attività dalla sua costituzioneeffettiva nel 1952.

Il testo «Il centralismo organico» , tema di riunioniinterne e pubbliche, è ripreso dal n. 103, Marzo 2007, de«il comunista», senza cambiare nulla. In appendice ripren-diamo l’articolo «La struttura organica del Partito èl’altra faccia della sua unità di dottrina e di program-ma» apparso in due puntate (n. 22/1965 e n.1/1966, de «ilprogramma comunista», che si rifa alle Tesi sull’organiz-zazione del 1965 e alle polemiche emerse in quel periodo.Si è voluto, poi, aggiungere una serie cospicua di «Estrat-ti» da vari materiali di partito - a partire dal 1921 fino adoggi - per dimostrare la continuità teorica, programmatica,politica e di prassi che abbiamo sempre difeso, all’internoe all’esterno del partito, in particolare nei suoi periodi dicrisi. Nel lavoro di bilancio delle crisi di partito che ci hasempre caratterizzato, ci ha accompagnato costantemen-te la preoccupazione di seguire con coerenza ed intran-sigenza il metodo e la prassi che la Sinistra comunista, eil nostro partito di ieri, hanno sempre rivendicato. E suquesta linea ininterrotta ci siamo separati da tutti coloroche di fronte alla crisi esplosiva del 1982-84 hanno presostrade diverse, apparentemente più «dirette» e più como-de per dare alla propria attività politica una caratterizza-zione da «sinistra comunista», ma in realtà corrottedall’espedientismo o dall’intellettualismo attendista.

Nell’affrontare la questione organizzativa del partitoproletario di classe si incorre molto spesso in un errore:quello di inquadrarla con criterio semplicemente organiz-zativo staccandola dall’impostazione politica generale.

Il partito proletario di classe – il partito comunistarivoluzionario – è completamente diverso da ogni altropartito politico costituitosi nel corso dello sviluppo dellesocietà divise in classi. Lo possiamo comprendere solotenendo presente le basi materiali e storiche delle societàche si sono susseguite nella storia, e soprattutto dellasocietà borghese.

Nelle società divise in classi i partiti politici rappre-sentano gli interessi che le differenti classi, o sottoclassi,o frazioni di classe, vogliono difendere nel quadro dellaformazione sociale esistente. Ciò succede anche nei pe-riodi in cui maturano le condizioni storiche, economiche,politiche e sociali delle rivoluzioni che seppelliscono ilvecchio modo di produzione per liberare lo sviluppo piùampio e profondo del nuovo modo di produzione già natoe in parte sviluppato all’interno della stessa vecchiasocietà.

Il modo di produzione che corrisponde alla divisionein classi della società determina la formazione di condizio-

ni sociali differenziate e di rapporti sociali che, a lorovolta, fanno da base materiale ad interessi specifici econtrastanti dei diversi gruppi sociali. Il capitalismo, su-perando la frammentazione sociale e l’organizzazione adisole chiuse della società feudale, universalizza la sem-plificazione estrema dei rapporti sociali alla quale potevastoricamente arrivare una società divisa in classi con-trapposte. Col capitalismo non si eliminano soltanto lebarriere tra un’isola produttiva e l’altra, ma si indirizzanoi rapporti sociali verso un unico fondamentale quadro diriferimento: il mercato, che è nello stesso tempo l’ambitonel quale si scambiano le merci con il denaro e per ilquale si producono le merci. Il mercato, con la nascita elo sviluppo del capitalismo, diventa il luogo della forma-zione dei rapporti tra capitale e forza lavoro, il luogodecretato per l'acquisto e la vendita della forza lavorosalariata.

Lo sviluppo della produzione mercantile, e quindi delmercato, a livello nazionale e mondiale, determina nelcorso del tempo l’ingigantirsi della forza del capitalesulla forza lavoro; un capitale che si stacca sempre piùdall’economia reale (l’economia produttiva) per diventa-re capitale fittizio, capitale finanziario, destinato a con-dizionare completamente l’economia produttiva, spinta aimmettere nel mercato quantità di merci sempre più impo-nenti fino ad intasarlo - con una sovraproduzione dimerci e di capitali che non possono essere più assorbiticol loro valore di scambio dal mercato stesso - e, con ciò,decretando la necessità di una sempre più vasta distru-zione di merci e di capitali, allo scopo di ricostituire lecondizioni economiche della ripresa produttiva capitali-stica.

In questa lunga e persistente sequenza di espansio-ne produttiva, stasi, recessione e crisi, le classi dellasocietà capitalistica sono inevitabilmente sottoposte apressioni e ad urti sempre più forti che sviluppano ten-denze anch’esse contrastanti, ma nello stesso tempocentrifughe e centripete. I partiti politici, che rappresen-tano gli interessi delle diverse classi, sottoclassi e frazio-ni di classe nella società capitalistica, sono ovviamentesottoposti alle stesse pressioni e agli stessi urti. In basealla forza degli interessi sociali rappresentati, i partitiagiscono sui diversi piani – politico, economico, sociale,militare – allo scopo di imporre od ottenere, nelle situa-zioni date, il miglior vantaggio per i gruppi sociali rappre-sentati, ma, in ultima analisi, dipendono sempre dall’an-damento del contrasto delle forze centrifughe e centripeteche si urtano nella società. Questo contrasto determinala durata e la forza dei partiti che lottano per ottenereciascuno un vantaggio in più rispetto agli altri, vantaggiche non mettono mai in discussione le fondamenta ca-pitalistiche della società. La concorrenza che nel mercatosi fanno le merci e i capitali permea la totalità dei rapporti

Introduzione

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Introduzione

sociali e politici della società capitalistica; concorrenzache dal piano strutturale dell’economia capitalistica sisposta al piano sovrastrutturale – politico, culturale, ar-tistico, religioso – impregnando così ogni attività umana.

In ogni società divisa in classi, l’attività dei partitipolitici consiste principalmente nel difendere gli interessispecifici dei gruppi sociali rappresentati; li difendonoanche quando «attaccano» gli interessi degli altri gruppisociali. Quanto più si sviluppa l’economia capitalistica equanto più si amplia il mercato, tanto più si infittisconole relazioni tra aziende, gruppi di aziende e Stati che pro-teggono in generale l’economia nazionale; e tanto più sirendono necessarie le condizioni per una«regolamentazione» della concorrenza, di quelle relazionie, quindi, dei contrasti, tra gruppi di interesse antagonisti.La regolamentazione che la borghesia ha storicamentedato alla lotta di concorrenza sta nell’uso della democra-zia moderna: democrazia economica (libertà di produrrequalsiasi merce, libertà di portare al mercato qualsiasi tipoe quantità di merci prodotte, libertà di sfruttare forzalavoro salariata in una “libera” contrattazione del prezzodella forza lavoro ecc.), democrazia politica (libertà diiniziativa economica e finanziaria, libertà di importare edesportare materie prime, macchinari, prodotti finiti, capi-tali, libertà di ingrandire o rimpicciolire la propria attivitàeconomica assumendo o licenziando forza lavoro, libertàdi associare più aziende, fondere più aziende, costituiregrandi gruppi con diverse ramificazioni merceologichenei confini nazionali e oltre i confini nazionali ecc.). E’assodato che ogni tipo di regolamentazione – tanto piùquella della concorrenza tra imprenditori, aziende, societàper azioni – risponde ad un complesso corpo di leggi e dinorme che difendono in principio la proprietà privata e lalibertà di appropriazione privata della produzione di mercie di capitali, e che ogni Stato borghese ha il compito diorganizzare nel modo più efficace possibile – con il dirittoscritto, la propaganda, la forza – la difesa di questi prin-cipi e, in generale, gli interessi economici, politici, socialie militari della classe dominante borghese contro ogniforza sociale e politica che li metta in discussione. I partitipolitici, perciò, vengono condizionati fin dalla loro costi-tuzione formale a svolgere la loro attività nel quadro delladifesa dei principi borghesi della proprietà privata edell’appropriazione privata della produzione di merci e dicapitali. Tutti gli altri principi teorici, ideologici, religiosiche la classe borghese applica alla società – i principi dilibertà, di uguaglianza, di solidarietà, di carità – sonofinalizzati alla conservazione della società borghese e delsuo modo di produzione che genera tutti i rapporti socialie le loro contraddizioni. Al di fuori di questo, per la classeborghese si è fuori legge, illegali.

Nella società borghese capitalistica – dopo la gran-de stagione della rivoluzione antifeudale, all’insegna dellafamosa trilogia: liberté, egalité, fraternité – si è svilup-pato, soprattutto nei paesi occidentali, un regime di de-mocrazia rappresentativa e parlamentare con la quale vieneregolata la vita e l’attività di ogni associazione, a partiredai partiti politici. Tale regolamentazione non è che l’at-tuazione di un controllo politico, e sociale, di quelle chevengono chiamate «dinamiche sociali», ossia dei contra-sti, dell’affermazione e delle aspettative che i vari gruppisociali esprimono rispetto ai propri specifici interessi. Ipartiti politici sono chiamati, perciò, a discutere e «con-frontare» gli interessi specifici che rappresentano nelquadro delle leggi che regolano ogni atto, azione, attività

– non importa in quale campo, se economico, finanziario,culturale, religioso, sociale, politico, sportivo, scientifico,militare ecc. – dei singoli individui, dei gruppi, delle as-sociazioni, delle aziende, delle istituzioni e degli entipubblici ecc. Per queste ragioni, la classe dominanteborghese afferma che la democrazia rappresentativa eparlamentare sia il metodo migliore in assoluto per rego-lamentare la vita sociale di tutti gli abitanti di un paese,sul piano civile, religioso o militare che sia.

La borghesia parte dal concetto che nelle discussioni,nei confronti, nei contrasti, in generale vada applicato unmeccanismo – considerato, ab origine, neutro – col qualegiungere ad una soluzione dei contrasti: se non vi èunanimità, si definisca una maggioranza e che questamaggioranza, per essere valida, sia almeno il 50% + 1 deiconsensi. La democrazia, quindi, applica un meccanismoche determina diverse quantità di consensi, che va dal-l’unanimità alla maggioranza assoluta, alla maggioranzarelativa e ad un minoranza, anch’essa variamentedimensionata; e in questo gioco delle quantità si vuoleche sia la maggioranza a vincere, ad avere ragione, al dilà delle decisioni prese e delle conseguenze che quelledecisioni hanno e avranno in seguito. Il presupposto è:ciò che la maggioranza sostiene è la soluzione miglioreper tutti, affidando ad ogni singolo individuo - al qualesi chiede di esprimere il suo consenso o il suo dissensorispetto a singoli aspetti di singole situazioni temporaneee parzialissime – la costruzione di un risultato che siconoscerà solo alla fine della raccolta dei voti. Il mecca-nismo democratico, dunque, applicato indifferentementesu tutti gli aspetti della vita sociale, prescinde dalla effet-tiva conoscenza che i singoli hanno delle questioni chedi volta in volta vengono sottoposte al voto di maggio-ranza; esso risponde più al principio dell’ignoranza cheal principio della conoscenza. In effetti, proprio perché isingoli individui non potrebbero mai essere in grado diconoscere a fondo ogni questione, la democrazia prevedela rappresentanza, ossia la delega con la quale tanti indi-vidui affidano a pochi individui – che appaiono più «pre-parati», più «esperti» – il compito di trovare la soluzione«migliore» delle questioni da risolvere. Ma il principio-base, quello dell’«ignoranza», non scompare: viene sem-plicemente spostato dal singolo individuo al singolodelegato, al singolo gruppo di interessi che organizza la«conoscenza» per quel che basta a rappresentare, e adaffermare, appunto quegli specifici interessi. Il tentativoche la democrazia borghese fa per elevarsi, non solo comeprincipio ideologico, ma anche come pratica applicata allavita sociale, al di sopra degli interessi specifici di gruppisociali, è un tentativo condannato a fallire perché gliinteressi specifici dei diversi gruppi sociali ripropongonocontinuamente il loro rapporto conflittuale per via dellacostante concorrenza fra di loro, acutizzando l’antagoni-smo in forme sempre più aspre quanto più certi interessispecifici non trovano un certo grado di soddisfazione.

La società è divisa in classi antagoniste non perchéun giorno la maggioranza degli uomini abbia decretatoche la società si dividesse in classe borghese, classeproletaria, classe dei proprietari fondiari, stratificandolaulteriormente in mezze-classi e sotto-classi. La divisionedella società in classi antagoniste è un prodotto storico,determinato dallo sviluppo economico delle forze produt-tive; è lo sviluppo della vita sociale materiale che deter-mina lo sviluppo dell’organizzazione sociale, quindi an-che lo sviluppo politico, culturale, ideologico degli uomi-

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Introduzione

ni i quali, divisi da interessi economici e sociali contra-stanti, si associano per difendere più efficacemente gliinteressi specifici cui sono legati. Associandosi, gli uo-mini tendono a superare l’isolamento individuale e l’ine-sorabile debolezza che il singolo individuo ha rispetto algruppo organizzato (il mito dell’eroe, del singolo Achilleche sbaraglia le moltitudini nemiche, è e resta appunto unmito). La democrazia borghese, riponendo il singolo indi-viduo al centro della vita sociale, falsa fin dall’origine larealtà del rapporto che il singolo ha con l’organizzazionesociale: è lo sviluppo dell’organizzazione sociale chedetermina le condizioni di vita dei singoli componentidella società, e non viceversa. Dunque, la democraziaborghese, non solo nel principio astratto di libertà, egua-glianza e fratellanza, falsifica la realtà dei rapporti sociali,ma la falsifica anche sul terreno della vita quotidiana nelquale non è mai la «maggioranza numerica degli indivi-dui» ad avere la supremazia, ma è il peso maggiore che igruppi di interesse economico hanno sull’intera vitasociale a primeggiare. Non è con l’aritmetica, il 50% + 1,che viene governata la società; chi ci crede non fa checonfermare la propria assoluta dipendenza dalle decisioniche i più forti gruppi di interesse economico prendono,condizionando la vita di tutti, a proprio esclusivo vantag-gio. La democrazia, il «potere del popolo», non è che laforma fenomenica del potere politico che la classe domi-nante esercita sull’intera società. E non ci riferiamo aduna particolare forma democratica, ma alla democrazia ingenerale che, come sosteneva Lenin, rappresenta il piùefficace metodo di governo della classe dominante bor-ghese poiché riesce ad imporre gli interessi generali eparticolari delle classi possidenti attraverso il consenso(il voto democratico) della maggioranza del popolo, mag-gioranza che come tutti sanno è costituita dalle classispossessate da ogni riserva economica, dalle classi pro-letarie e contadine povere.

I problemi veri nascono, appunto, non appena lacostruzione ideale della democrazia si scontra con la re-altà sociale che è fatta non di leggi, di regole, di consue-tudini, ma di forze sociali che si scontrano e che, nelloscontro, mettono costantemente in discussione le leggi,le regole, le consuetudini. E che siano le classi possidenti– la classe borghese e la classe dei proprietari fondiari –le prime a mettere in discussione le leggi, le regole e leconsuetudini che loro stesse si danno per governare, losanno ormai anche le pietre. Basti pensare all’evasionefiscale, alle truffe, alla malavita, alla corruzione. Nessunademocrazia al mondo è mai riuscita a debellare questevere e proprie piaghe sociali causate dalla brama di ric-chezza e di potere che è l’anima dello stesso capitalismo;al contrario, più la democrazia è diffusa nella società, piùqueste piaghe sono estese ai vari strati della popolazione.

Ma la società borghese capitalistica non ha solo lafaccia della democrazia; questa serve soprattutto peringannare la maggioranza della popolazione e per deviaresistematicamente le forze proletarie spinte a rompere ilconsenso sociale, la pace sociale, la conciliazione fra leclassi, dal terreno dello scontro classe contro classe alterreno del «confronto» ideologico, parlamentare, eletto-rale, al terreno della conciliazione degli interessi antago-nisti.

La società borghese si fonda su ben altra forza mate-riale, e ben radicata nella società: la sua struttura econo-mica capitalistica, indirizzata alla produzione e alla valo-rizzazione del capitale per il quale risultato la classe do-

minante è disposta a qualsiasi azione, è disposta a can-cellare (di fatto, se non formalmente) ogni limite che lesue stesse leggi le imporrebbero, è disposta a gettare alleortiche ogni garanzia e diritto rispettati fino ad un attimoprima. La democrazia borghese ha tentato, e tenta conti-nuamente, di nascondere il vero volto della società bor-ghese, che è il volto della dittatura capitalistica, delladittatura di un modo di produzione che non ammettealcuna alternativa: il capitale vive sfruttando lavoro sala-riato da cui estorce pluslavoro, e quindi plusvalore, chei borghesi chiamano profitto capitalistico; questa è l’uni-ca vera condizione incancellabile per la sopravvivenzadel capitalismo (e quindi della classe borghese dominan-te). Se non vi fosse sfruttamento del lavoro salariato nonci sarebbe capitalismo.

La dittatura del capitale (con tutto il suo corredo dimerce, denaro, mercato, proprietà privata, appropriazioneprivata della ricchezza sociale prodotta, lotta di concor-renza, imperialismo, guerra) costituisce la sostanza delladominazione della classe borghese sulla società; la formadi questa dominazione può assumere l’aspetto della de-mocrazia, nelle sue cento varianti, o della dittatura, più omeno aperta ed esplicita.

La forma politica che la dominazione borghese assu-me nei diversi paesi dipende da molti fattori storici: nellaformazione delle classi e della lotta tra di loro, nei rapportidi concorrenza mondiale, nelle tradizioni nazionali e nelleimposizioni dall’esterno; ma uno dei fattori principali ècostituito dal movimento e dal pericolo che il proletariatorappresenta in quel determinato paese, in quell’area o inquella situazione mondiale. Il proletariato, infatti, nonrappresenta soltanto la classe dei lavoratori che vengonosfruttati dal capitale per ottenere profitto, ma anche quellaforza sociale che ha dimostrato, nel corso storico dellalotta fra le classi e della dominazione borghese, di esserein grado di elevarsi a forza storica rivoluzionaria espri-mendo una effettiva alternativa politica e sociale allasocietà borghese; una classe dotata, di un programmarivoluzionario che contiene non tanto un cambio dellaguardia al potere politico borghese, quanto unrivoluzionamento completo della struttura economica dellasocietà che passa attraverso la rivoluzione proletaria, laconquista violenta del potere politico e l'instaurazionedella dittatura proletaria di classe esercitata dal partitocomunista rivoluzionario, allo scopo di giungere alla di-struzione del modo di produzione capitalistico e alla suasostituzione con un modo di produzione basato sullasoddisfazione reale dei bisogni di vita e di sviluppo dellasocietà umana: un modo di produzione non più condizio-nato e sacrificato allo sfruttamento del lavoro salariato,ma liberato da questa schiavitù moderna e indirizzato allalibera associazione degli uomini in quanto esseri sociali.

La distruzione della società capitalistica, in quantoultima società divisa in classi storicamente data, apre allaorganizzazione sociale degli uomini il superamento delsuo lungo periodo di preistoria, apre il futuro alla storiadella specie umana consapevole delle sue capacità e deisuoi bisogni e in grado di prevedere il proprio sviluppoordinato e armonioso in un rapporto vivo e positivo conla natura. Ecco perché il proletariato fa tanta paura alleclassi borghesi dominanti: perché, come dicono Marx edEngels nel Manifesto del 1848, è il becchino della societàborghese, è l’unica forza storica in grado, potenzialmente,di chiudere definitivamente il ciclo di sviluppo delle so-cietà divise in classi e la loro sopravvivenza.

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Introduzione

Non va fatto l’errore di credere che la classe borghesedominante decida di mantenere la forma democratica digoverno o di passare alla forma di dittatura esplicita sullasola spinta della propria brama di potere. E’ assodatostoricamente che – in mancanza di un imminente pericolorivoluzionario da parte del proletariato – il metodo digoverno democratico in genere sia preferito dalla borghe-sia rispetto all’aperta dittatura; ma non va dimenticato,d’altra parte, che la democrazia costa alla classe dominan-te molto di più della dittatura aperta: più burocrazia, piùdiplomazia, più partiti, più sindacati, più prebende dadistribuire, più strati e ceti sociali da corrompere, insom-ma molte più risorse economiche e finanziarie da convo-gliare nella complessa e superarticolata macchina delconsenso sociale. Ed è per questa ragione, soprattutto,che il metodo democratico è più diffuso nei paesi di vec-chio capitalismo, e di imperialismo, che non nei paesi digiovane capitalismo e di capitalismo arretrato dove, inve-ce, la forma più apertamente dittatoriale, spesso grezza eindividuabile in clan e famiglie, è molto più praticata.

Una caratteristica essenziale e storica dello sviluppodel capitalismo è data dalla sua tendenza alla concentra-zione e alla centralizzazione economica e finanziaria, quin-di anche politica in quanto il piano politico ha il compitodi rispondere al meglio alle esigenze di sviluppo e didifesa del capitalismo nella lotta di concorrenza che per-mea tutto il suo ciclo vitale. Non è stato per casualeaccidente che la borghesia si sia imposta sulla società,prima attraverso una rivoluzione tecnica ed economicache aumentò enormemente la produttività del lavoro,mandando in rovina le vecchie classi; poi con una rivo-luzione politica con la quale la borghesia liberò al pienosviluppo mondiale la nuova economia capitalistica,disarcionando dal potere statale, e talvolta decapitando,le vecchie classi aristocratiche e clericali che, per interessidi sopravvivenza di classi agiate e privilegiate, ostacola-vano lo sviluppo economico, e quindi sociale e politico.Per quanti compromessi le aristocrazie e il clero avesseotentato di fare con la borghesia, sulla spinta inesorabiledello sviluppo economico capitalistico, non poteronofrenare il movimento storico oltre un certo limite: la rivo-luzione borghese ebbe il sopravvento, prima di tutto sulpiano economico e poi, con tempi molto diversi e lunghi– tanto da provocare uno sviluppo ineguale del capita-lismo nel mondo - , anche sul piano sociale e politicocondizionando nel breve volgere di un secolo lo svilup-po, e la conseguente mancanza di sviluppo, in tutti i paesidel mondo.

Ma la caratteristica essenziale e storica dello sviluppocapitalistico non è cambiata; è rimasta la stessa e piùaumentava lo sviluppo del capitalismo nel mondo più siaccentuava il movimento centripeto del capitale. Pochipaesi ultrasviluppati dominano il mercato mondiale; po-chi trust e una rete di società multinazionali dominanol’andamento economico di molti paesi. La concentrazionee la centralizzazione capitalistiche non rispondono ad una«libera scelta» di imprenditori o di governanti: sono unanecessità obiettiva determinata in particolare dall’acutiz-zarsi della concorrenza sul mercato mondiale, alla qualegli imprenditori e i governanti non possono che piegarsi,adottando quelle misure che la stessa tendenza congeni-ta a concentrare la forza economica e finanziaria, per au-mentare la propria potenza concorrenziale, spinge a pren-dere. Basta aprire un qualsiasi giornale economico perrendersi conto dei movimenti di acquisizione, di fusione,

di concentrazione di capitali che quotidianamente avven-gono. A tali movimenti di concentrazione risponde la ten-denza al dispotismo finanziario, ossia il capitale finanzia-rio primeggia sempre più pesantemente sui capitali indu-striali e commerciali, confermando così la tesi marxistasecondo la quale il capitalismo ha per obiettivo non lasoddisfazione dei bisogni della società umana, ma la sod-disfazione delle esigenze di accumulazione e valorizzazionecapitalistica. Non c’è televisione, radio, giornale, sitointernet che non si occupi quotidianamente, oltre che dioroscopo, di Borsa e dell’andamento dei titoli e dei movi-menti di capitali, in un tacito gioco sinergico tra la «vo-lontà degli astri» e la «volontà dei capitali», entrambilontani anni luce dai bisogni di vita della stragrandemaggioranza della popolazione umana.

La marxista «produzione e riproduzione allargata delcapitale» è pienamente confermata. Ma la tendenza allamaggiore centralizzazione del capitale non impedisce ilgioco della tendenza contraria, alla parcellizzazione delcapitale, alla formazione di piccole e medie aziende chevitalizzano il mercato con la loro vasta ramificazione enumerosità, andando così a permeare ogni attività umana.Grazie a questo fittissimo reticolato di attività mercantili,a dimensione variabilissima – dalla microscopica dittaindividuale contadina o artigiana alla macroscopica mul-tinazionale –, e grazie all’ambiente sociale e politico intri-so di democrazia (per la quale ogni individuo è “uguale”all’altro e in partenza ha potenzialmente le stesse chancesdi qualsiasi altro individuo), il capitalismo appare come lasocietà nella quale ogni individuo ha, o può avere, unaposizione economica variabile che dal microscopico vafino al macroscopico, dalla povertà e dalla difficile soprav-vivenza fino alla ricchezza e ai privilegi sociali. Ma è moltopiù frequente l'andamento in senso contrario.

L’eguaglianza degli uomini, vantata dalla democrazia,consisterebbe nell’essere tutti, alla partenza, dotati di unaeguale potenzialità che, nel corso della vita fisica e socia-le, ciascuno sviluppa secondo la propria volontà, la pro-pria coscienza e propri obiettivi ideali e materiali, in unavisione sostanzialmente metafisica per cui l’astratta egua-glianza è considerata l’assoluto da cui ogni uomo partequando nasce per svolgersi nel corso della vita vissuta inuna serie infinita di tappe, traguardi, obiettivi relativi neiquali si congiungerebbe l’azione della propria volontàcon l’intervento della casualità, della fortuna o della sfor-tuna, della buona o cattiva sorte. Così, la borghesia, cheha rappresentato nel corso storico della sua ascesa rivo-luzionaria la rottura con tutte le limitazioni personali esociali del feudalesimo e con tutte le superstizioni di ca-rattere religioso o parareligioso, nella sua fase di conser-vazione sociale ricade nella più gretta e sterile concezionesuperstiziosa della vita e del mondo. Non è un caso for-tuito l’abbinamento dell’oroscopo con i titoli di Borsa: ciòche la stragrande maggioranza dei membri della societàborghese viene spinta a credere è che la vita dipenda dauna volontà superiore, da un’entità ingovernabile, dauna forza onnipotente – il mercato, la dinamica imperscru-tabile della lotta di concorrenza – rispetto alla quale nonvi è altro modo di rapportarsi che quello di piegarsi allesue leggi e indirizzare la propria attività e le proprie azioninon in contrasto con quelle leggi.

L’influenza del movimento degli astri sulla vita degliuomini che gli astrologi «interpretano» dando consigliper ogni membro di un’umanità divisa in periodi zodiacali,va in parallelo all’influenza che il movimento dei capitali,

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Introduzione

commentato dagli «esperti di Borsa», ha sulla vita econo-mica e sociale dei gruppi umani; così la democrazia eco-nomica e sociale, che si fonda sulla originaria eguaglianzadi potenzialità per ciascun membro della società, si scon-tra con la forza onnipotente e invincibile del mercato che,cieca come la fortuna, premia Tizio e non Caio, e un PincoPallino su un milione, in una gigantesca lotteria nellaquale milioni di aspiranti Pinco Pallino si infilano quoti-dianamente in ogni paese del mondo. Le superstizionicreate e alimentate dal mercato cui è stato ridotto ogniatto di vita fisica e spirituale in questa società, non sonoche la rappresentazione rovesciata dell’estrema insicu-rezza di vita nella società borghese capitalistica. L’insicu-rezza di vita, bene illustrata dal motto borghese: «vivi ilpresente, del doman non v'è certezza», è l’unica «certez-za» nella società borghese. E l’insicurezza porta da unlato all’impazienza, a bruciare energie, aspirazioni, forze,dall’altro alla rassegnazione, a soffocare energie, aspira-zioni, forze; impazienza e rassegnazione, entrambegerminatoi di superstizioni.

Ma la specie umana, in questa società, non producesolo capitale e per il capitale, non consuma soltanto ilpresente; continua a produrre e riprodurre anche se stes-sa e in questo semplice atto naturale sta la forza delfuturo, fatto materiale dal quale nemmeno la superstiziosasocietà borghese può prescindere. La risposta che laborghesia ha trovato, sul piano politico, quindi sul pianodel governo dell’economia e della vita sociale che guardail futuro, è la democrazia politica, ossia quel metodo digoverno che tende, mediante le elezioni a «suffragiouniversale», a coinvolgere la grande massa della popola-zione negli atti pubblici di governo che hanno conse-guenze non solo immediate ma nel tempo, senza però chei fondamenti economici del capitalismo vengano minima-mente intaccati. Perché ciò avvenga, non potendo pre-scindere dalla reale divisione della società in classi anta-goniste, e dagli innumerevoli conflitti di interessi esisten-ti fra i diversi gruppi sociali e fra gli Stati, è stata creatauna struttura tendenzialmente piramidale attraverso laquale, in una sequenza di piani di rappresentanza semprepiù larghi, il potere della classe dominante appaia non piùcosì nettamente separato dalle classi subalterne com’erail potere del signore, del re, del papa nelle società prece-denti, ma sorretto dalla «volontà popolare» che si espri-me, appunto, per mezzo del voto, attraverso i diversipartiti politici.

La politica, quindi, risulta come attività dei partiti chea loro volta rappresentano interessi differenti e contra-stanti, ma trasversali, apparentemente condivisibili men-tre in realtà permane il loro antagonismo che, come lavecchia talpa, lavora ad accumulare contraddizioni e scontrisociali. Il sistema democratico si è dato il compito diaccogliere la rappresentanza dei diversi e contrastantiinteressi esistenti nella società borghese, metterli a con-fronto, mitigarne gli aspetti più conflittuali e violenti,cercando di risolverli di volta in volta a colpi di maggio-ranza o, in caso di non soluzione, rinviandoli nel tempo.Il tempo, perciò, che per il capitalismo sul piano econo-mico è denaro – e per questo motivo la tendenza delcapitalismo è di accorciarlo sempre più: tempo di produ-zione, tempo di circolazione, tempo di riproduzione e viacosì in una spirale senza fine –, sul piano politico puòessere allungato fino a far decadere l’urgenza di risposteai problemi economici e sociali emersi, a metterli in secon-do piano o a farli dimenticare in tutti i casi in cui la loro

soluzione comporti un costo gravoso per i capitalisti. Lapolitica borghese opera, dunque, da un lato per conciliaregli interessi contrastanti esistenti nella società, tra classie tra frazioni di classe, dall’altro per assicurare al capita-lismo, come sistema, il massimo di efficacia possibile intermini di valorizzazione dei capitali districandosi nel gro-viglio di contraddizioni, che inevitabilmente e continua-mente si formano, attraverso l’adozione di misure cherimettano tendenzialmente in equilibrio i contrasti fra leforze centrifughe e le forze centripete.

Ma, essendo la sua principale funzione quella di di-fendere gli interessi del capitale, e del capitale nazionalesoprattutto, la politica di ogni Stato borghese sarà semprein lotta di concorrenza con la politica di ogni altro Stato.Lotta di concorrenza di fronte alla quale il metodo demo-cratico di governo, nonostante gli sforzi della borghesialiberale per smussare gli spigoli più duri della concorrenzaa livello internazionale, non ha impedito lo scoppio diguerre locali e mondiali, dimostrando la sua incapacità dirisolvere le contraddizioni che lo stesso sviluppo capita-listico produce e accumula. I principi di uguaglianza, dilibertà, di fratellanza che la moderna democrazia borghesedovrebbe sintetizzare e applicare si scontrano con la re-altà contraddittoria della stessa società borghese. Nellaloro sintesi ideale, quei principi restano utopistici, manella loro concreta applicazione nella realtà sociale sidimostrano ininfluenti, inefficaci, ingannatori, falsi, disin-tegrati come sono dal potere dittatoriale di un modo diproduzione – quello capitalistico, appunto – che traducequei principi in libertà di sfruttamento della forza lavoro,in eguaglianza di condizioni di schiavi salariati per iproletari di tutti il mondo, in fratellanza temporanea edesclusivamente funzionale alla condivisione degli affari,«fratellanza» che salta ogni volta che la superiore leggedella concorrenza capitalistica ridivide i supposti fratelliin acerrimi nemici.

Quanto all’antagonismo tra le classi, tra borghesia eproletariato, vi sono stati, vi sono e vi saranno partitipolitici, sia dichiaratamente borghesi che di ispirazioneproletaria, che rappresentano la tendenza conciliatricedegli interessi contrapposti. Che il proletariato e la bor-ghesia abbiano interessi contrapposti è ammesso daqualsiasi borghese, ma per ragioni di convenienza sociale– ossia per difendere i propri privilegi sociali senza doversistematicamente ricorrere alla loro violenta imposizione– il borghese propaganda, a dispetto della realtà materialeantagonistica dei rapporti fra le classi, la conciliazionedegli interessi come soluzione dei contrasti sociali. Ilmetodo democratico di governo rappresenta questa po-litica di conciliazione, ma è, fin dall’origine, impotente arisolvere l’antagonismo di classe tra borghesia e proleta-riato. Non lo risolve non per una «volontà» contraria, maper motivazioni molto più semplici e concrete: di quell’an-tagonismo la classe borghese si nutre proprio nel suodominio sulla società, se ne serve per organizzare la suadifesa di classe dominante, lo utilizza in tutte le sue leggiche difendono la proprietà privata e l’appropriazione pri-vata della ricchezza sociale e il suo stesso potere politico,lo vive come necessità di sopravvivenza storica comedimostrato dal disprezzo e dall’odio col quale attacca, neiperiodi di crisi, le condizioni di vita e di lavoro del prole-tariato e dei ceti più poveri della società.

A che serve, dunque, la democrazia? A nascondere,sotto la fitta coltre della propaganda borghese dellaconciliazione fra le classi, la reale dittatura del capitale, la

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Introduzione

dittatura del potere economico della borghesia, la condi-zione di estremo sfruttamento cui sono sottoposte leclassi proletarie di tutto il mondo, e le popolazioni deipaesi più deboli ed arretrati. E serve ad abituare il prole-tariato a considerare la sua condizione sociale di lavora-tore salariato, succube dalla nascita alla morte del sistemacapitalistico di produzione, come la condizione normale,che non può cambiare se non con impercettibili migliora-menti o con pesanti e inesorabili peggioramenti, a secon-da del periodo di espansione o di crisi che il capitalismoattraversa. Serve a confondere gli interessi di classe delproletariato con gli interessi di classe della borghesia, inun piano che di volta in volta è individuale, d'azienda, dinazione, generale, spingendo il proletariato a credere cheil suo futuro non sia poi così diverso dal suo presente,se non dal punto di vista della cosiddetta «coscienzaindividuale» alla quale tutti i propagandisti della conser-vazione sociale si rivolgono con insistenza, dai politicantiai capitalisti, dagli intellettuali ai preti, dai sindacalisti aigenerali.

Che vantaggio può avere il proletariato ad utilizzare lademocrazia borghese per affermare nella società i propriinteressi di classe?

I partiti conciliatori, i partiti riformisti rispondevanoche la forza del numero sta dalla parte del proletariato, eche, quindi, dato che il meccanismo democratico eletto-rale dà la vittoria alla maggioranza numerica, bastava chei proletari votassero per il partito, o i partiti, «dei lavora-tori» e il gioco era fatto: si sarebbe conquistato il poteregovernativo senza bisogno di fare la rivoluzione violenta.Il riformismo operaio, che ebbe un grande sviluppo nel-l’epoca del cosiddetto sviluppo pacifico (in Europa) delcapitalismo, propagandava l’idea che lo stesso metodoadottato dalla borghesia per governare – la democrazia,appunto – poteva essere usato dai partiti dei lavoratoriper vincere le elezioni, e migliorarlo una volta saliti algoverno. Migliorarlo nel senso di diminuire in modo sen-sibile le differenze economiche e sociali tra proletariato eborghesia attraverso una nuova legislazione più adatta aquel miglioramento. Riformare il capitalismo, riformare lasua sovrastruttura politica, senza intaccare il modo diproduzione capitalistico: questo era il grande disegno deiTurati e dei Treves, e di tutti i loro epigoni.

La storia ha dimostrato quanto il marxismo aveva giàteorizzato fin dalla sua nascita: il modo di produzionecapitalistico non è riformabile, il potere politico e lo Statoborghese non sono riformabili, perciò la conquista delpotere politico da parte del proletariato non poteva e nonpuò avvenire che attraverso la rivoluzione violenta cheabbatta lo Stato borghese (organizzato per difendereesclusivamente gli interessi nazionali borghesi e capita-listici) e instauri lo Stato proletario (organizzato per difen-dere esclusivamente gli interessi proletari e rivoluzionaria livello mondiale). Alla Dittatura del Capitale il proleta-riato rivoluzionario risponde con la Dittatura della ClasseProletaria, perché solo con un potere fortemente concen-trato e centralizzato la classe del proletariato ha la forzapolitica e militare per intervenire dispoticamente sull’eco-nomia e sul corpo sociale nella prospettiva di distruggereil modo di produzione capitalistico e sostituirlo con ilmodo di produzione socialista. La democrazia porta van-taggi soltanto alla classe dominante e, più limitatamente,ai suoi servitori (propagandisti, intellettuali, riformisti,preti ecc.).

Democrazia, secondo il luogo comune borghese, si-

gnifica anche riconoscimento di diritti: diritto di parola,diritto di organizzazione, diritto di stampa e di propagan-da, diritto di studio, diritto di difesa legale, diritto di intra-prendere una qualsiasi attività economica, politica o so-ciale legalmente accettata, ecc. ecc. Insomma, «egualidiritti» per tutti che, in termini borghesi, si scrive: «lalegge è uguale per tutti». Che sia uguale per tutti è smen-tito quotidianamente dai fatti: chi ha soldi, chi ha potere,chi può pagarsi fior fior di avvocati, chi può corromperepiù di altri, chi ha riserve per affrontare i tempi lunghi deiprocessi, ha più diritto, ovvero la legge – essendo ammi-nistrata da una istituzione statale, la magistratura, chedifende sostanzialmente gli stessi interessi difesi dalloStato borghese, gli interessi della classe dominante bor-ghese – può essere piegata agli interessi di volta in voltapiù forti, a seconda dei rapporti di forza tra le diversefrazioni borghesi che si contendono i favori dello Stato.Le leggi borghesi, per quanto possano contenere articoliper mitigare i soprusi e le prepotenze borghesi sulle classisubalterne, sono fatte e scritte dai rappresentanti dellaclasse dominante che, ovviamente, hanno un unico fon-damentale interesse: difendere il sistema di dominio bor-ghese. In parlamento, e fuori del parlamento. Ciò nonsignifica che i diritti sanciti dalla legge anche a favoredelle classi subalterne, e soprattutto dei proletari, nontrovino una conferma in sede legale; ma le fitte maglie dimigliaia e migliaia di cavilli, che danno il fianco ad inter-pretazioni opposte, formano quell’immenso labirinto al-l’interno del quale i proletari vengono disorientati e nelquale si perdono. Soltanto di fronte a poderosi movimentisociali che premono sulle istituzioni borghesi per ottenerecondizioni di vita e di lavoro meno pesanti e vessatorie,i famosi diritti, che la legge borghese formalmente rico-nosce, ottengono una certa applicazione; soltanto di fron-te a poderose lotte di movimenti operai nuove leggi ven-gono scritte e approvate. Ma scrivere una legge, e farlaapprovare dal parlamento, non ha mai significato chevenisse automaticamente applicata, e tanto meno applica-ta a sfavore dei famosissimi «poteri forti».

Nel periodo del dominio del capitale finanziario sullasocietà, nel periodo del dominio dei monopoli, delle mul-tinazionali, dei trusts, nel periodo dell’imperialismo, il si-stema democratico risponde ancor meno al riconoscimen-to dei diritti egualitari; perciò è ancor più un sistema falsoe ingannatore. Qualsiasi proletario intimamente lo sa e lovive sulla propria pelle anche se di politica non si interes-sa direttamente. Qualsiasi misura prenda il governo cen-trale, o uno dei tanti governi locali, si dimostra nei fatti,anche se non sempre all’immediato, una misura a favoredei borghesi, dei capitalisti, degli sfruttatori di lavoroumano, di lavoro salariato. Il costo della vita, che crescecostantemente, non è mai dovuto ad una competizioneelettorale nella quale la parte che vuole un costo dellavita più contenuto perde. E’ dovuto alla concorrenza ca-pitalistica e alla speculazione sui prezzi di vendita dellemerci, è dovuto all’aumento del costo degli apparati bu-rocratici e di dominio sociale che la borghesia ha costitu-ito e che mantiene in efficienza, è dovuto all’immensospreco di energie, risorse e denaro generato dalla produ-zione di capitale e di profitto, è dovuto all’aumento dellavoro morto sul lavoro vivo nella composizione organicadel capitale, ossia dei mezzi di produzione sui prodotti. Ilcapitalismo è condannato, per il suo stesso modo di pro-duzione e per la finalità capitalistica di tutto il sistemaproduttivo, a schiacciare il lavoro vivo – il lavoro umano

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Introduzione

salariato – a favore del lavoro morto, dei mezzi di produ-zione (macchinari, materie prime, edifici, terra) perchésoltanto questo rapporto, questa drammatica dipendenzadel lavoro vivo dal lavoro morto, dà la possibilità al ca-pitale di rigenerarsi, di riprodursi, di valorizzarsi.

Che eguaglianza ci può essere tra lavoro vivo e lavoromorto? Nessuna, mai, perché nel capitalismo il lavorovivo è al servizio del lavoro morto, il salariato è al serviziodel capitale. E la classe che detiene il capitale domina lasocietà, domina il salariato ricavandone privilegi, benefi-ci, vantaggi, ricchezza. Nessuna eguaglianza, perciò nes-suna fraternità. Quanto alla libertà, il discorso è semplice:grazie al loro dominio sulla società, i capitalisti, quindi laclasse borghese, posseggono la libertà di sfruttare adismisura le masse proletarie in funzione esclusivamentedei loro profitti; i proletari, da parte loro sono obbligati,se vogliono sopravvivere, a farsi sfruttare, o sono liberidi non farsi sfruttare e di morire di fame. Ma in periodi dicrisi capitalistica, i proletari – pur sfruttati nel lavorosalariato – non sono garantiti nella loro sopravvivenza;disoccupazione, povertà, guerre sono i mezzi con i qualii proletari eccedenti vengono smaltiti da un sistemasociale che equipara la vita del proletario alla vita di unaqualsiasi merce: se il mercato (del lavoro) non la assorbe,la rifiuta, va quindi eliminata, distrutta.

La libertà che la democrazia borghese riconosce, nellarealtà e non nelle mistificazioni idealistiche, consiste intutte quelle attività e quelle azioni che non intralciano illibero sfruttamento del lavoro salariato da parte dei capi-talisti, il libero arricchimento capitalistico a danno deibisogni della stragrande maggioranza della popolazionedel mondo, il libero dominio delle classi borghesi in ognipaese del mondo con la conseguente libertà di inquinarel’ambiente, di sviluppare malattie professionali di ognitipo, di riempire fino all’inverosimile di merci inutili edannose ogni metro quadro del pianeta, di sprecare gi-gantesche quantità di energie e risorse umane e naturalial solo fine di vitalizzare i mercati, di utilizzare qualsiasimezzo, legale e illegale, pacifico e di guerra, nella lotta diconcorrenza. Tutte libertà che non chiedono di esseresottoposte ad un voto; esse sono la conseguenza logica,obbligatoria, ineluttabile, del sistema sociale capitalisti-co. Distruggendo il capitalismo, il modo di produzionecapitalistico, si seppellisce definitivamente la libertà bor-ghese di sfruttare i miliardi di proletari che popolano ilmondo, la libertà borghese di distruggere quotidianamen-te migliaia di vite umane sui posti di lavoro e nelle guerre,la libertà borghese di opprimere sistematicamente interepopolazioni al solo scopo di mantenere in vita un dominiodi classe che ha come obiettivo la difesa di privilegi e diricchezze che sono negati alla stragrande maggioranzadel genere umano.

* * *

Dal punto di vista politico, ossia dal punto di vistadel governo della società, la tendenza alla centralizzazio-ne economica dei capitali esprime una corrispondentetendenza alla centralizzazione politica, il cui più logicorisultato è il partito unico esercitante la dittatura borghe-se, il partito fascista. Sostanzialmente, gli scopi fonda-mentali di «democrazia» e «fascismo» sono gli stessi:difesa degli interessi del capitale contro gli interessi delproletariato, difesa dello Stato nazionale borghese controla concorrenza degli altri Stati nazionali borghesi, difesa

dei privilegi economici, sociali, politici, della classe bor-ghese nei confronti della classe proletaria e delle mezzeclassi. E siccome la storia delle lotte fra le classi ha portatoinsegnamenti anche alla classe borghese, nell'opera didifesa del dominio capitalistico sulla società la classeborghese vede sempre possibile il pericolo che il prole-tariato insorga contro i capitalisti e il loro Stato perchéspinto da condizioni di vita diventate insostenibili, e che,nello sviluppo di questa lotta di resistenza di classe, sispinga oltre i limiti del quadro sociale borghese mettendoin discussione il suo stesso potere politico centrale.

Le classi borghesi, quindi, non si preoccupano sol-tanto della concorrenza fra borghesi, della concorrenzadelle proprie merci e dei propri capitali, e quindi delladifesa (o della conquista) di mercati per le proprie mercie i propri capitali, adottando tutte le politiche di convin-cimento, di pressione, di ricatto e di guerra che ritengonodi dover adottare nelle diverse situazioni. Le classi bor-ghesi si preoccupano anche, costantemente, del consen-so sociale, del coinvolgimento delle masse proletarie alleproprie politiche, dei rapporti di conflitto sociale che ine-vitabilmente si creano con lo sviluppo stesso delle crisicapitalistiche. E come la borghesia tende, sul piano dellaconcorrenza fra Stati e fra imperialismi, a praticare politi-che in un certo senso di prevenzione (economica, mone-taria, finanziaria, diplomatica, militare) nei confronti diconcorrenti che possono diventare particolarmente peri-colosi, così, sul piano «interno», nei rapporti con il pro-prio proletariato, tende a praticare politiche di prevenzio-ne di conflitti sociali che potrebbero sfuggire al suo con-trollo. Non ad altro servono i partiti collaborazionisti cheusano la propria influenza sulle masse proletarie, ottenutanel tempo attraverso un'opera opportunista capillare esistematica alla quale hanno partecipato attivamente anchele organizzazioni sindacali tricolore, per mantenere vivenel proletariato le illusioni tipiche della mistificazione de-mocratica.

Il riformismo socialista, che un tempo si era caratteriz-zato per una artificiale separazione tra un programmapolitico detto «massimo» (la rivoluzione attraverso la qualeraggiungere il socialismo) e un programma politico detto«minimo» (l'ottenimento graduale di miglioramenti eco-nomici e politici attraverso i quali conquistare le istituzio-ni borghesi, dal municipio al parlamento centrale, alloscopo di riformare il sistema politico, ed economico, dellaborghesia con i suoi stessi mezzi: democrazia, istituzionilocali e centrali, leggi, governo e Stato), basava la suainfluenza nelle file proletarie sul fatto che il lungo periododi sviluppo «pacifico» del capitalismo in Europa daval'impressione che i partiti proletari potessero raggiungereil potere in modo altrettanto pacifico e graduale. La primaguerra mondiale decretò il crollo dei partiti socialisti cheaderirono alla «difesa della patria» nonostante lealtisonanti dichiarazioni della Seconda Internazionalesull'opposizione all'eventuale guerra. La rivoluzione pro-letaria in Russia, con la vittoria dell'Ottobre bolscevico,seppellì definitivamente la politica dei rinnegati alla Kau-tsky e aprì le speranze rivoluzionarie ai proletari non solod'Europa ma del mondo. La democrazia liberale borghese,che il riformismo socialista voleva utilizzare per la sua«rivoluzione pacifica», si trasformò nel più biecomilitarismo, decretandone nello stesso tempo la fine. Lapaura che la marea rossa proletaria, in Europa, travolges-se i poteri borghesi come aveva già fatto in Russia e comeaveva tentato in Ungheria, in Germania, in Polonia, in

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Italia e, successivamente, in Cina, scosse profondamentele classi borghesi del mondo che - nonostante si faces-sero la guerra tra di loro per una diversa spartizione delmercato mondiale - seppero unire le rispettive forze nonsolo per resistere agli attacchi dei proletariati dei diversipaesi, ma anche per contrattaccare, e seppero utilizzarefino in fondo l'arma del riformismo socialista per impedirel'unificazione di classe del proletariato sotto le sole ban-diere della rivoluzione proletaria innalzate dall'Ottobrebolscevico, per frammentare e spezzare la formidabile forzache il proletariato rappresentava.

La democrazia borghese unita all'opera opportunistae traditrice del riformismo socialista nei paesi a lungatradizione democratica, come erano i paesi Europei e l'Ame-rica del Nord, alla resa dei conti ebbero partita vinta. Larivoluzione in Germania ebbe un corso talmente acciden-tato e partiti operai infestati da illusioni democratiche che,nonostante la grande spinta classista e rivoluzionaria delproletariato tedesco, non ebbe nemmeno la possibilità diavviare il proprio corso indipendente. In Ungheria, larivoluzione che portò al potere il partito comunista cedet-te più per le illusioni democratiche e per la mancanza dellanecessaria forte centralizzazione del potere politico eunicità del partito che per sconfitta militare. In Italia, ilmovimento rivoluzionario non ebbe la possibilità ogget-tiva di influenzare in modo determinante un proletariatoche dimostrava forti spinte classiste ma, nel contempo,gravi titubanze democratiche tanto da non riuscire a stac-carsi da un riformismo che dichiarava solo verbalmente ilsuo massimalismo, mentre nei fatti impediva al proletaria-to di riconoscere nelle sue parole la maschera con cuinascondeva la sua impotenza rivoluzionaria. La rivoluzio-ne bolscevica restava perciò isolata nella sola Russia equesto isolamento, vissuto nella carestia e nella mancan-za di sviluppo economico, se da un lato non impedì alglorioso proletariato russo e al suo partito comunista -fortemente centralizzato e unico al potere - di sostenerevittoriosamente tre anni di guerra civile, nella quale tuttele potenze imperialiste del mondo riversarono inutilmentela speranza di far crollare il potere proletario, dall'altroerose materialmente la possibilità di resistere nel tempo inattesa che la rivoluzione vincesse in Europa e venissefinalmente in aiuto del bastione russo.

E' indiscutibile che uno dei fattori di debolezza e disconfitta dei partiti comunisti, e della stessa Internazio-nale Comunista gagliardamente innalzata contro l'unionecontrorivoluzionaria di tutti gli imperialismi, vada cercatonell'influenza ancora molto forte che la democrazia bor-ghese ebbe sul proletariato e sugli stessi partiti comunistieuropei, in Germania e in Francia in particolare, dovequesti partiti furono costituiti nel 1918. Esisteva una ro-busta corrente marxista, intransigente e allineata perfetta-mente sulle posizioni teoriche e programmatiche del bol-scevismo, in Italia, ed era la Sinistra comunista, che con-dusse una tenace lotta contro gli opportunismi socialde-mocratico e socialista. Questa corrente, formatasi nonsolo sulla difesa del marxismo contro ogni sua deviazio-ne, ma nel corso di battaglie teoriche di grande importan-za contro l'anarchismo, il culturalismo, la massoneria, lademocrazia borghese, svolse un ruolo decisivo nellacostituzione, nel 1921, del partito comunista d'Italia enell'armare teoricamente e programmaticamente il partito.Fu nota già allora per la tattica astensionista di fronte alleelezioni e al parlamentarismo, tattica dedotta coerente-mente non solo dalle posizioni teoriche accomunate a

quelle sostenute da Lenin sul principio democratico, madalla stessa esperienza storica delle battaglie di classesostenute contro l'opportunismo riformista e gradualistache nei paesi di vecchia tradizione democratica infestavada decenni la vita politica e il movimento operaio.

La lotta contro il principio democratico, per coerenzapolitica, non poteva non prolungarsi sul piano della tat-tica e dell'organizzazione di partito. Certo, tattica e prin-cipi non sono la stessa cosa; vanno distinti, ma non nelsenso che i principi restino a livello di dichiarazione ver-bale e scritta mentre la tattica sia indirizzata nel sensoopposto da quello storicamente definito dai principi. Ilprincipio della rivoluzione violenta e della dittatura pro-letaria non può essere perseguito e attuato se non con lapreparazione rivoluzionaria e con l'esercizio della dittatu-ra da parte del solo partito comunista rivoluzionario, senzacondivisione del potere con altri partiti sedicenti operaio «rivoluzionari». Allo stesso modo la distruzione delparlamento, e dello Stato borghese, non può essere per-seguita e attuati se non con una tattica che sostenga lalotta senza quartiere del proletariato contro l'utilizzo delparlamento borghese e dello Stato borghese.

La storia del movimento rivoluzionario, e delle scon-fitte subite, ha dimostrato che non è producente per lacausa proletaria un'attività politica che coinvolga il par-tito comunista rivoluzionario nella propaganda del parla-mento borghese come se questo fosse un «passaggioobbligato» nello sviluppo della lotta rivoluzionaria e, tantomeno, nella partecipazione ad esso con deputati e sena-tori. La tattica del «parlamentarismo rivoluzionario» si èdimostrata, già allora, troppo debole, tanto da facilitare lacorruzione democratica dei partiti comunisti piuttosto cherafforzarne le caratteristiche rivoluzionarie; in seguito sidimostrò perniciosa perché perse del tutto la caratteristi-ca «rivoluzionaria», riducendosi ad uno squallido parla-mentarismo borghese. La tattica dell'«astensionismo ri-voluzionario», propugnata dalla Sinistra comunista italia-na, era indiscutibilmente più coerente con la preparazionerivoluzionaria del partito e del proletariato e, soprattutto,metteva il partito proletariao nella condizione di salvarei principi comunisti e l'avvenire del movimento ponendoin questo modo solide basi per una ripresa, seppur lon-tana ma inevitabile, della lotta rivoluzionaria. Perciò ilpartito, alla sua ricostituzione nel secondo dopoguerra,riprese in toto il programma del Partito comunista d'Italiadel 1921, rafforzato dal bilancio dinamico di tutto il corsorivoluzionario e controrivoluzionario che caratterizzò l'ar-co storico che va dal fallimento della Seconda Internazio-nale e dal voto dei crediti di guerra da parte dei partiti adessa aderenti, alla Rivoluzione bolscevica in Russia, allacostituzione dell'Internazionale Comunista e del Partitocomunista d'Italia, alla lunga e tenace battaglia controogni deviazione opportunista e contro la degenerazionedei partiti comunisti e, infine, dell'Internazionale stessa.

La Sinistra comunista ha costantemente collegato lequestioni tattiche e le questioni di organizzazione, a lorovolta collegate strettamente al programma e ai principicomunisti. Come nelle questioni tattiche la direttrice daseguire doveva essere sempre quella della coerenza conl'impostazione politica e programmatica generale del par-tito, così doveva essere anche nelle questioni di organiz-zazione. Seguendo questo semplice ma ferreo principio, laSinistra comunista italiana condusse una tenace battagliaperché le norme tattiche, e organizzative, che l'Internazio-nale si doveva dare, pretendendone l'applicazione disci-

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Introduzione

plinata da parte di tutti i partiti aderenti, fossero definite,precise, vincolanti. E' ben vero che la tattica, come soste-nevano Lenin e Trotsky, poteva anche essere cambiatadal partito in 24 ore se i mutati rapporti di forza fra la classeproletaria rivoluzionaria e la classe borghese lo richiede-vano, ma alla condizione che il partito possedesse già unpiano tattico. E il piano tattico è, appunto, un piano,nella misura in cui prevede anche il cambiamento di tatticaall'interno di una rosa di scelte tattiche previste epredefinite. La posizione della Sinistra comunista italianaera, ed è, chiarissima: nè libertà di teoria, nè libertà ditattica!

Se, dunque, sono rigetatte per sempre dalla vita edall'attività del partito la libertà di teoria e la libertà ditattica, può continuare a sussistere la libertà di organiz-zazione all'interno del partito, può sussistere il criteriodemocratico al suo interno?

Per la Sinistra comunista la risposta è stata NO, ed hacontinuato ad essere negativa. La tradizione socialdemo-cratica e socialista della presenza di differenti correntiorganizzate all'interno del Partito ha accompagnato losviluppo dei partiti proletari, attraverso le varie fasi dicedimento riformista e di tradimento, fino allo scoppiodella prima guerra imperialista mondiale, quando i partitiaderenti alla Seconda Internazionale tradirono definitiva-mente la causa proletaria e socialista passando armi ebagagli al servizio dell'imperialismo nazionale in guerracon i concorrenti. Con la costituzione dell'InternazionaleComunista, nel 1919, per quanto il suo programma rappre-sentasse un apice formidabile in fatto di teoria e di prin-cipi, la tradizione delle correnti - di destra, di sinistra, dicentro - non fu superata. Il movimento rivoluzionario ecomunista internazionale, pur sull'onda della vittoriosarivoluzione d'Ottobre in Russia e dell'instaurazione delladittatura proletaria esercitata dal solo partito bolscevico,non riuscì a liberarsi della tradizione democratica(persistenza delle correnti organizzate all'interno dellostesso partito, votazione di mozioni e risoluzioni ai con-gressi, ecc.) che la socialdemocrazia lasciava in eredità almovimento operaio e rivoluzionario. Contro il persistentedemocratismo all'interno dell'organizzazione rivoluziona-ria la Sinistra comunista italiana condusse una storicabattaglia, e senza attendere la formazione del Partito co-munista d'Italia, ma già all'interno del Partito socialistaitaliano e dell'Internazionale Comunista stessa.

La formula del «centralismo democratico», già moltopiù avanzata delle formule organizzative socialdemocra-tiche precedenti che lasciavano libertà di organizzazionealle correnti interne e al gruppo parlamentare, fu un passodi grande importanza poiché poneva il centralismo comeperno imprescindibile dell'organizzazione di partito. Mal'aggettivo democratico condizionava la funzionecentralistica limitandola costantemente in ogni sua deci-sione poiché la sottoponeva al criterio di maggioranza.Più volte lo stesso Lenin - come nel caso della pace diBrest-Litowsk e in altri momenti estremamente delicati perla dittatura proletaria -, per superare la titubanza o latendenza a cedere a posizioni estremiste o settarie daparte dei componenti del comitato centrale, dovette con-trastare il criterio di maggioranza con la minaccia delleproprie dimissioni (atto, anch'esso d'altra parte, di tipodemocratico). Il meccanismo democratico non poteva enon può dare all'organizzazione di partito la certezza dellabontà delle decisioni che vengono prese; d'altra partenon è nemmeno in grado di prevenire o di risolvere

divergenze e contrasti che l'andamento della lotta di clas-se e rivoluzionaria provoca inevitabilmente in seno allostesso partito comunista.

La Sinistra comunista italiana, nel 1921, lanciò unmonito sulla persistente influenza che la democrazia, comeprincipio e come meccanismo organizzativo, aveva sulproletariato e sugli stessi compagni che formavano ilPartito comunista. La democrazia andava combattuta nonsoltanto sul piano dei principi e del programma politicodel partito - cosa che non era in discussione né tra ibolscevichi nè tra i comunisti italiani - ma si dovevanotirare le conseguenze politiche fino in fondo, fino adescludere il meccanismo democratico dalla vita stessadel partito comunista. Rispetto alla lotta di classe i co-munisti traggono le conseguenze di questo movimentostorico fino in fondo, cioè fino alla rivoluzione violentache abbatte il potere politico della borghesia e all'instau-razione della dittatura proletaria esercitata dal solo parti-to comunista; e solo riconoscendo questo dialettico svi-luppo della lotta di classe ci si può chiamare comunistimarxisti. Allo stesso modo, rispetto alla lotta teorica epolitica contro la democrazia borghese, qualunque sia lasua variante geostorica, i comunisti devono trarre le con-seguenze di questa lotta fino in fondo, fino a negare allademocrazia borghese un valore anche solo parziale comesarebbe sul piano tecnico-organizzativo della vita e del-l'attività del partito.

Già allora, rispetto alla formula del «centralismo demo-cratico», la Sinistra comunista italiana attraverso il suopiù coerente rappresentante, Amadeo Bordiga, coniò unaformula più rispondente ai principi del comunismo rivo-luzionario e alla necessaria battaglia antidemocratica che,soprattutto nei paesi a capitalismo più avanzato e a lungatradizione democratica, doveva acquisire importanzanodale nell'attività di partito. Si tratta del «centralismoorganico», con il quale si rafforza il concetto di centralismo- che risolve la questione organizzativa dal punto di vistadello spazio - e si sintetizza con il termine «organico» quelnecessario collegamento con il tempo nel quale si svolgecon continuità l'attività e l'azione del partito comunistarivoluzionario nella prospettiva storica di distruggere ilcapitalismo e la sua società per sostituirli con un mododi produzione che avrà al centro la soddisfazione deibisogni della specie umana ed una società totalmenteemancipata da ogni forma di oppressione di classe.

Seguendo questa linea, coerente e non corrotta, laSinistra comunista italiana, pur battuta dallo strapoteredello stalinismo, ebbe la forza di riannodare il filo storicodella linea di classe e delle battaglie di classe condotte neigloriosi anni Venti del secolo scorso, non appena, con lafine del secondo macello imperialistico mondiale, tutti inodi della parabola controrivoluzionaria vennero uno dopol'altro al pettine. Nella ricostituzione del partito di classe,dopo una lunga battaglia teorica e politica per la restau-razione del marxismo autentico e per tirare quei necessaribilanci dinamici dal corso della rivoluzione proletaria edella controrivoluzione borghese, battaglia condotta per8 anni, dal 1945 al 1952, in un partito che inevitabilmenteconteneva correnti contrastanti e scorie da eliminare, leforze non corrotte dal democratismo ripresero saldamentein mano la formula del «centralismo organico» disfacen-dosi completamente di ogni richiamo al meccanismo de-mocratico.

Sappiamo bene che non basta scrivere una formula,un corpo di tesi o un programma perché tutti coloro che

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Introduzione

si dichiarano d'accordo si comportino poi coerentemente.E' ben per questo che la lotta politica non termina mai eche il partito, nella continuità della sua attività e della suaazione, ha il dovere di tenere sempre molto alta la guardia,anche nel suo interno.

Il partito di classe non è una torre d'avorio, non è unmonastero dentro le cui mura di cinta si mantiene unasupposta armonia sconosciuta all'esterno. Il partito diclasse è un organo di battaglia, è l'organo principale eindispensabile della lotta rivoluzionaria del proletariato, èl'organo che guiderà il proletariato nella rivoluzione anti-capitalistica ed eserciterà la dittatura di classe, ma è com-posto da militanti che sono il prodotto di questa corrottasocietà e che devono lottare, in permanenza, contro i milleostacoli che questa società frappone all'attività rivoluzio-naria, a partire dalle abitudini e dalla prassi di democrazia.L'omogeneità teorica e politica, la coerenza programma-tica, l'efficacia tattica e organizzativa del partito di classenon sono date una volta per tutte: sono una conquistacontinua nella lotta contro tutte le forze della societàborghese che attentano a quella omogeneità, a quellacoerenza, a quella efficacia. E non abbiamo alcun dubbionel dire che questa lotta si vince non soltanto sul terrenodella teoria e del programma del comunismo rivoluziona-rio, ma anche sul terreno della prassi e dell'attitudinequotidiana a mantenersi fedeli e coerenti con i dettamipratici tratti dai bilanci dinamici delle rivoluzioni e dellecontrorivoluzioni.

Come sapevamo nel 1952, così lo sapevamo nel 1965e ancora nel 1982, che la lotta contro il democratismo,persistendo l'assenza dalla scena storica della lotta diclasse e di una sua ripresa non episodica, avrebbe segna-to in modo molto forte il solco tra i militanti di partito chenon condizionano la propria militanza al successo in untempo dato o al prestigio personale e coloro che invece,cedendo alle lusinghe del policantismo borghese edelettoralesco, condizionano l'attività del partito, e quindila propria militanza, agli illusori risultati immediati.

Resistere sul bastione della corretta prassi rivoluzio-naria sulla scorta delle lezioni che la Sinistra comunista ha

tratto soprattutto dalla lotta contro la degenerazioneopportunista dell'Internazionale Comunista e dei partitiad essa aderenti, non si attua semplicemente richiamandoil programma del partito, giurando sul Manifesto del 1848e sul Capitale, o sbandierare una testata - seppur glo-riosa - che ha rappresentato per anni la vitalità del partitorivoluzionario. Di testate gloriose il partito di classe ne haavute tante, l'Iskra, la Pravda, il Proletarji, l'Avanti, laRothe Fane, ma il nome di una testata non è mai stato diper sé garanzia di sana continuità del partito. Il partitorivoluzionario deve dimostrare prima di tutto a se stesso,ai suoi militanti, una coerenza e una intransigenza orga-nicamente unite in una continuità di dottrina e di pro-gramma non formale, non letteraria. Se questo avviene, ilproletariato, quando calcherà nuovamente il terreno dellalotta di classe e della lotta rivoluzionaria, incontrerà il suopartito di classe, l'unico partito che potrà guidarlo allavittoria rivoluzionaria perché avrà saputo radicare la pro-pria storia, la propria attività,la propria forza sulla lineaincorrotta del marxismo rivoluzionario.

Il partito comunista rivoluzionario oggi non può con-tare su numerose forze; ma può contare sull' intransigentebattaglia di classe che continuiamo a fare sul filo deltempo, non escludendo a priori alcuna attività del partitoforte e compatto di domani, nel campo delle lotte imme-diate del proletariato, nel campo della critica teorica, nelcampo della polemica contro ogni posizione e atteggia-mento opportunista, nel campo della chiarezza tattica edella prassi organizzativa. E' questa battaglia di classeche permetterà, domani, al partito di classe di rappresen-tare effettivamente quell'indispensabile organo di lottarivoluzionaria che la storia delle lotte fra le classi haindicato come compito prioritario. I militanti di ieri, di oggie di domani, al di là della loro vita anagrafica in questasocietà, e al di là della loro individuale soddisfazione dipartecipare fisicamente alla rivoluzione proletaria e comu-nista, dimostrarono, dimostrano e dimostreranno di esse-re compagni militanti del partito solo strappando dallapropria mente e dal proprio cuore la meschinamercificazione del proprio, peraltro sempre modestissi-mo, contributo alla causa del comunismo.

L’opuscolo, di 38 pagine, raccoglie un testo pubblicato ne«il comunista» nel 2001 con lo stesso titolo. Costa 2 euro.

- INDICE - Introduzione Sulla crisi prolungata della classe proletaria e sullesue possibilità

di ripresa La controrivoluzione borghese non si è fermata alla distruzione

della prima dittatura proletaria in Russia; doveva trasformare iproletari in schiavi contenti della propria schiavitù

La democrazia è il miglior ambiente per la lotta della classeborghese contro la classe proletaria

La lotta fra le classi non muore mai Uscire dal baratro Sono le contraddizioni profonde del capitalismo aspingere i proletari

alla lotta di classe

«Sulla crisi prolungata della classeproletaria e sulle sue possibilità di ripresa»

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Il centralismo organico

Il centralismo organico

Molto spesso, nelle riunioni pubbliche, negli incontrie nelle discussioni con compagni e con elementi interes-sati alle posizioni della Sinistra comunista, simpatizzantio meno, viene posta la domanda: che cosa intendete percentralismo organico?, seguita normalmente da un’altradomanda: come si attua nell’organizzazione di partito?

La corrente «italiana» della Sinistra comunista - quellache si rifà non solo a Marx, Engels e Lenin, ma anche allebattaglie di classe della corrente che fondò il Partito co-munista d’Italia nel 1921 e a Bordiga - è nota, soprattuttodagli anni Cinquanta del secolo scorso in poi, per averadottato nelle questioni di organizzazione del partito diclasse la formula del centralismo organico al posto diquella del centralismo democratico.

Sta di fatto che l’abitudine ormai più che centenaria -in particolare nei paesi di vecchio capitalismo come ipaesi europei - di vivere qualsiasi tipo di attività umanasotto le categorie della democrazia borghese, fa sì chesembri naturale, anche per coloro che professano l’ade-sione al marxismo, utilizzare gli stessi strumenti e mecca-nismi che la democrazia borghese ha adottato per il man-tenimento del controllo sociale da parte della classe do-minante borghese. Tutte le correnti comuniste rivoluzio-narie del Novecento, provenienti dalla socialdemocraziacon cui necessariamente dovevano rompere e ruppero,fecero fatica a liberarsi di un’eredità politica e pratica, chealla luce della realtà storica dei movimenti proletari sirivelò cancerogena. E’ l’eredità della democrazia non solodal punto di vista ideologico e politico, ma anche dalpunto di vista tattico e organizzativo.

Oggi possiamo ben dire che la Sinistra comunistaitaliana vide molto bene la dimensione e la profondità delpericolo rappresentato dalla democrazia, anche dal puntodi vista della prassi, per la vita e l’azione del partitocomunista e quindi per lo sviluppo vittorioso della rivo-luzione proletaria e della successiva trasformazione com-pleta della società.

La grande rivoluzione russa del 1917 rimetteva all’or-dine del giorno del movimento rivoluzionario del proleta-riato la tattica della doppia rivoluzione: la rivoluzioneborghese che doveva superare storicamente la societàfeudale/asiatica esistente ancora nel grande paeseauroasiatico, e la sua trascrescenza nella rivoluzione pro-letaria quale formidabile compito storico che il proletaria-to russo e il suo partito di classe - il partito bolscevico diLenin - si assunsero a nome del proletariato mondiale edella nuova Internazionale. I compiti democratici, e quin-di borghesi, in Russia e in tutto il continente asiatico sucui la Russia insisteva erano in quella fase storica rivo-luzionari; la borghesia, che avrebbe dovuto rappresen-tarli e guidare l’intera società russa alla rivoluzione nonebbe la forza storica necessaria se non per iniziarla e si

mise, al contrario, subito dopo averla iniziata, in alleanzacon le forze zariste, al servizio della reazione della contro-rivoluzione, tale fu la paura del montare del movimentoproletario. Soltanto il proletariato ebbe la forza di fare nonsolo la rivoluzione democratico-borghese ma anche lapropria rivoluzione di classe contro la borghesia. Trovan-dosi alla guida del movimento rivoluzionario non solo inRussia ma nel mondo, il proletariato russo fu spinto aproiettare sul movimento proletario internazionale le espe-rienze tattiche e organizzative derivate dalla specificacaratteristica russa di rivoluzione doppia, rigenerandotattiche e prassi democratiche anche nei paesi europeidove la fertilità della rivoluzione borghese era ormai se-polta dalla fase reazionaria e imperialista del capitalismosviluppato.

Ma negli anni dell’ascesa della marea rossa, negli annidella prima guerra imperialista mondiale e del primo dopo-guerra, nei quali la vittoriosa rivoluzione bolscevica del1917 apriva un periodo gravido di sviluppi rivoluzionariin Europa e nel mondo, poteva non apparire così vitaleper il movimento comunista internazionale definire in modonetto e indiscutibilmente antidemocratico la formula or-ganizzativa del partito di classe che, tradizionalmente,continuava invece ad adoperare meccanismi democraticial proprio interno. Anche se, nelle fasi particolarmentecruciali della rivoluzione russa e della prima dittatura pro-letaria, non furono i meccanismi democratici a garantire lagiustezza delle decisioni e la corretta direzione rivoluzio-naria di tutto il movimento proletario internazionale, bensìla forza storica di classe condensata organicamente nelmiglior partito di classe esistente all’epoca - il partitobolscevico di Lenin - capace di prendere decisioni perconto di tutto il movimento comunista e proletario mon-diale senza doverle sottomettere alla conta dei voti né deisuoi dirigenti né tantomeno dell’intero proletariato inter-nazionale.

La questione dell’organizzazione ha sempre rivestitouna parte non certo secondaria dei problemi che il partitocomunista rivoluzionario deve risolvere. Ma, se è veroche la rivoluzione non è «una questione di forme di orga-nizzazione», è altrettanto vero che nemmeno il partito diclasse è una questione di forme di organizzazione. Difondo, ogni aspetto organizzativo è riconducibile ad unaquestione politica e, attraverso di questa, ad una questio-ne programmatica. Programmaticamente i marxisti sonoindiscutibilmente centralisti e sono, altrettanto indiscu-tibilmente, in quanto antiborghesi, antidemocratici. Lacritica alle posizioni anarchiche che inneggiano alla «li-bertà di pensiero», alla «coscienza individuale» e all’«antiautoritarismo» era già stata messa a punto da Engelse la critica alla democrazia borghese era stata già benassestata da Lenin.

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LA CRITICA ALLA DEMOCRAZIAPORTATA FINO IN FONDO,

FINO ALLA SUA DEFINITIVA NEGAZIONE

C’era però bisogno di continuare a tirare le lezionidella storia fino in fondo, di portare la critica alla demo-crazia borghese fino alle ultime conseguenze anche sulpiano della tattica e del meccanismo organizzativo; a que-sto diede il suo specifico apporto la Sinistra comunistaitaliana. Ci rifacciamo in particolare ad uno scritto di Bor-diga del febbraio 1922 intitolato Il principio democratico(1), per ricavare la prima definizione chiara e netta delcentralismo organico. Vi si legge, infatti, quando si passaad affrontare il problema dell’organizzazione del partito:

«Il partito non parte da una identità di interessi eco-nomici così completa come il sindacato, ma in compensostabilisce l’unità della sua organizzazione su una basetanto più vasta quanto è la classe in confronto alla cate-goria.

«Non solo il partito si estende sulla base dell’interaclasse proletaria nello spazio, fino a divenire internazio-nale, ma altresì nel tempo: ossia esso è lo specifico orga-no la cui coscienza e la cui azione rispecchiano le esigen-ze del successo nell’intero cammino di emancipazionerivoluzionaria del proletariato». In questo caso sononostre le sottolineature in corsivo.

Spazio e tempo, ecco gli elementi fondamentali daconsiderare anche nelle questioni di organizzazione delpartito, perché «i caratteri essenziali dell’organizazionedel partito devono essere l’unità di struttura e di movi-mento». L’articolo citato conclude poi in questo modo:

«Per segnare la continuità nello spazio della strutturadi partito è sufficiente il termine centralismo, e per intro-durre il concetto essenziale di continuità nel tempo, ossianello scopo a cui tende e nella direzione in cui si procedeverso successivi ostacoli da superare, collegando anziquesti due essenziali concetti di unità, noi proporremmodi dire che il partito comunista fonda la sua organizzazio-ne sul “centralismo organico”. Così, conservando queltanto dell’accidentale meccanismo democratico che cipotrà servire, elimineremo l’uso di un termine caro aipeggiori demagoghi e impastato di ironia per tutti glisfruttati, gli oppressi, e gli ingannati, quale quello di“democrazia”, che è consigliabile regalare per esclusivoloro uso ai borghesi e ai campioni del liberalismo varia-mente paludato talvolta in pose estremiste».

In quegli anni, ad Internazionale Comunista costituitae in piena attività già da tre anni, in cui la lotta politicacondotta dai comunisti contro i socialisti, e i socialdemo-cratici, ma anche contro i comunisti di «destra», era in-centrata soprattutto sul concetto di centralismo, sembròprematuro il suggerimento della Sinistra comunista italia-na, d’altra parte già conosciuta per le sue posizioni intran-sigentemente antidemocratiche e per la quale intransi-genza veniva considerata - a torto, s’è poi visto, dati glisviluppi storici della terza ondata opportunista chiamatastalinismo - in pericolo di settarismo.

Era molto chiaro, ai compagni della Sinistra comunistaitaliana di allora, che i problemi di organizzazione, sia delproletariato sul terreno immediato (sindacati, soviet, ecc,)sia dei militanti comunisti sul terreno del partito politicorivoluzionario (il partito di classe), erano problemi moltocomplessi che non potevano essere risolti soltanto attra-verso formule organizzative, per quanto azzeccate. Suquesto piano la Sinistra comunista italiana si è sempre

distinta per il rifiuto degli eccessi di formalismo, ma nellostesso tempo anche perché le formule adottate - nellatattica come nell’organizzazione - fossero le più chiare, lepiù dirette, inequivocabili e rispondenti alla linea politicarivoluzionaria. La preferenza data alla formula del centra-lismo organico rispetto a quella del centralismo democra-tico rispondeva all’esigenza primaria di trasformare in unconcetto sintetico una posizione politica basilare per icomunisti rivoluzionari: la lotta contro la democrazia e laprassi democratica. Allo stesso modo, si preferiva di granlunga utilizzare la formula della dittatura proletaria ri-spetto ai succedanei «governo operaio» o, peggio anco-ra, «governo operaio e contadino».

La forma organizzativa del partito di classe deve ri-spondere nel modo più conseguente ai suoi scopi fon-damentali, nello spazio e nel tempo, tenendo conto nonsolo delle esperienze delle lotte passate ma anche dell’an-damento dei rapporti di forza presenti e dei previsti svi-luppi della lotta proletaria. La continuità nello spazio e neltempo dell’attività del partito - fatti salvi i condizionamentiobiettivi delle situazioni reali che si susseguono e deidifferenti rapporti di forza fra le classi - non è «garantita»dal rispetto formale del programma e dello statuto delpartito, ma dalla corrispondenza dialettica della collettivi-tà-partito ai dettami della dottrina marxista e del suo pro-gramma da cui discende la spontanea disciplina organiz-zativa dei componenti del partito.

Nel secondo dopoguerra, ricostituito il partito sullesolide basi teoriche restaurate dall’enorme lavoro dei com-pagni di ieri, e di Amadeo Bordiga in particolare, il proble-ma della coerente applicazione dei principi organizzativicomunisti e della miglior definizione della formula orga-nizzativa fondamentale si ripresentò ovviamente più vol-te; e più volte il partito andò incontro a pericoli oppor-tunistici di varia natura, ma tutti riconducibili in ultimaanalisi al persistere del democratismo. D’altronde, il lega-me stretto fra il programma, la linea politica, la tattica el’organizzazione del partito non permette di scindere lequestioni, ad esempio di organizzazione, da tutto il resto.E’ per la necessità di ribadire i compiti del partito anchein situazioni estremamente sfavorevoli che sono statescritte tesi apposite, come quelle note come Tesi di Na-poli e Tesi di Milano del 1965 (2), precisa risposta alletendenze contingentiste e democratoidi che avevano at-taccato il partito in quegli anni. Da queste Tesi vogliamoriprendere alcuni brani che sono punti caratteristici per-manenti per il partito e dai quali non si può prescinderetrattando di questioni organizzative:

«Il partito riconobbe ben presto che, anche in unasituazione estremamente sfavorevole ed anche nei luoghiin cui la sterilità di questa è massima, va scongiurato ilpericolo di concepire il movimento come una mera attivitàdi stampa propagandistica e di proselitismo politico».

Dunque, per noi il partito non attraversa fasi distintee separate, una fase della stampa propagandistica e delproselitismo politico, una successiva fase di interventopratico nella vita e nelle lotte della classe proletaria perinfluenzarla, un’altra fase in cui il partito di classe prendeil sopravvento su tutti gli altri partiti «operai» e dirige ilproletariato nella rivoluzione, ecc. Il partito rivendica isuoi compiti dei periodi di ascesa rivoluzionaria anchenelle situazioni più sfavorevoli senza per questo caderenel romanticismo letterario di credere di essere effettiva-mente nella situazione più favorevole solo perchè lo sirivendica e lo si vuole.

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Il brano continua: «La vita del partito si deve integra-re ovunque e sempre e senza eccezioni in uno sforzoincessante di inserirsi nella vita delle masse ed anchenelle sue manifestazioni influenzate dalle direttive contra-stanti con le nostre. E’ antica tesi del marxismo di sinistrache si deve accettare di lavorare nei sindacati di destraove gli operai sono presenti, ed il partito aborre le posi-zioni individualistiche di chi mostri di sdegnare di metterepiede in quegli ambienti giungendo perfino a teorizzare larottura dei pochi e flebili scioperi a cui i sindacati odiernisi spingono (...) ».

Qui si ribadisce con forza l’attitudine del partito con-tro coloro che sostengono un’attività più “neutra” delpartito verso la classe, che distingue i luoghi e le orga-nizzazioni immediate del proletariato in cui intervenirepreferendo quelli diretti dagli opportunisti di sinistra comese queste organizzazioni fossero per loro natura più per-meabili all’influenza dei comunisti; il che fa il paio con leposizioni che sostengono che i governi di sinistra sareb-bero da preferire ai governi di destra perché i comunistigodrebbero di più “libertà” di riunione, di propaganda, diintervento. E si combatte, nello stesso tempo, la posizio-ne che nega l’attività del partito nei sindacati per il fattoche ormai sarebbero integrati nelle istituzioni statali -come fa ad esempio «battaglia comunista» - negandocon questo ogni attività di carattere “sindacale” nelleassociazioni economiche in cui sono organizzati i prole-tarie preferendo di contro dedicare le proprie forze allacostituzione di «gruppi comunisti», definiti politicamentee diretti dal partito di classe, come unica soluzione per ilpartito di influenzare gli strati più combattivi del proleta-riato. Questa posizione, in realtà, falsa completamente icompiti del partito di classe nei confronti del proletariatoe delle sue lotte immediate. Essa lascia nei fatti campototalmente libero all’influenza nefasta dell’opportunismodi qualsiasi colore; non è un’astensione storicamentegiustificata come l’astensione dalle competizioni elettora-li e dal parlamentarismo - campo squisitamente politico -ma è una reale e traditrice ritirata dal terreno più insidiosodella lotta operaia, il terreno della lotta di difesa econo-mica (della scuola di guerra del proletariato, come affer-mava Lenin) in cui germogliano e si sviluppano certamen-te tutte le tendenze opportuniste ma nel quale è vitalel’azione del partito di classe proprio perché su quellostesso terreno il proletariato fa esperienza diretta. Attra-verso quella esperienza il proletariato acquisisce gli ele-menti di base della lotta di classe grazie ai quali puòelevarsi alla lotta più generale e politica una volta spintoin questa direzione dalla situazione oggettiva di forteaccumulo delle contraddizioni sociali. Limitarsi al terrenoesclusivamente «politico» della propaganda e del prose-litismo significa impedire al partito di classe di svolgereil suo compito specifico nei confronti dell’intera classeproletaria, significa abbandonare la stragrande maggio-ranza del proletariato all’influenza della borghesia; e si-gnifica, in sintesi, avere una concezione elitaria del partitocomunista che cerca adesioni solo nel campo della «co-scienza individuale». Ma continuiamo col brano dallenostre Tesi:

«Va respinta la posizione per cui il piccolo partito siriduca a circoli chiusi senza collegamento coll’esterno, olimitati a cercare adesioni nel solo mondo delle opinioni,che per il marxista è un mondo falso quando non siatrattato come sovrastruttura del mondo dei conflitti eco-nomici. Altrettanto erroneo sarebbe suddividere il partito

o i suoi aggruppamenti locali in compartimenti stagni chesiano attivi solo in uno dei campi di teoria, di studio, diricerca storica, di propaganda, di proselitismo e di attivitàsindacale, che nello spirito della nostra teoria e dellanostra storia sono assolutamente inseparabili e in princi-pio accessibili a tutti e a qualunque compagno. Altropunto che il partito ha conquistato storicamente e da cuimai potrà decampare, è la netta ripulsa a tutte le propostedi ingrandire i suoi effettivi e le sue basi attraverso con-vocazioni di congressi costituenti comuni ad infiniti altricircoli e gruppetti, che pullulano ovunque dalla fine dellaguerra elaborando teorie sconnesse e deformi, o affer-mando come unico dato positivo la condanna dello sta-linismo russo e di tutte le sue locali derivazioni».

Quest’ultimo punto è stato messo più volte in eviden-za nella vita del partito a causa delle crisi che lo hannoattraversato, spesso determinate proprio dal cedimentonel campo dell’espedientismo, credendo cioè di ottenerepiù facilmente l’ingrossamento delle proprie file attraver-so aperture di dialoghi e confronti di posizioni con altrigruppi politici, magari considerati vicini per il fatto diricollegarsi tutti più o meno alle stesse origini storichedella Sinistra comunista variamente intesa.

Altro punto caratteristico del partito sul quale la Si-nistra comunista è stata sempre fermissima è che «unrimedio alle alternative e alle crisi storiche a cui il partitoproletario non può non essere soggetto, non può trovarsiin una formula costituzionale o di organizzazione, cheabbia la virtù magica di salvarlo dalle degenerazioni (...)Indubbiamente, nella evoluzione che i partiti seguono,può contrapporsi il cammino dei partiti formali, che pre-senta continue inversioni ed alti e bassi, anche con pre-cipizi rovinosi, al cammino ascendente del partito storico.Lo sforzo dei marxisti di sinistra è di operare sulla curvaspezzata dei partiti contingenti per ricondurla alla curvacontinua ed armonica del partito storico. Questa è unaposizione di principio, ma è puerile volerla trasformare inricette di organizazione.» (3).

Già da queste enunciazioni emerge una visione delpartito e della sua attività che difficilmente può esserecostretta nella versione democratica del centralismo, poi-ché i risultati dei bilanci dinamici degli scontri avvenutitra forze reali (classe contro classe, e non opinione controopinione) di notevole grandezza ed estensione non sonoriconducibili all’opinione di una maggioranza (fosse puredi bravissimi compagni), ma derivano essi stessi comelezione storica dai fatti storici. Fatti che vanno accettatie interpretati alla luce di un metodo che consente di nondebordare mai nell’idealismo, nella metafisica, nelmoralismo o nell’immediatismo; e il metodo è quello delmaterialismo storico e dialettico, quello del marxismo. Te-oria quest’ultima che non si può accettare «nella maggio-ranza dei casi», ma si accetta - o si respinge - globalmentecon tutti i suoi principi e le coerenti conseguenze pro-grammatiche, politiche, tattiche e organizzative che i fattistorici hanno determinato e che l’esperienza del movi-mento comunista internazionale nei grandi svolti storiciha condensato in tesi e posizioni la cui validità può essereeventualmente messa in discussione e superata solo conl’esperienza del movimento comunista internazionale inaltri grandi svolti storici.

L’esperienza storica e internazionale del meccanismodemocratico nella struttura organizzativa del partito hanei fatti dimostrato non solo i limiti di quel meccanismo,ma anche le conseguenze dannose della sua utilizzazione.

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Il centralismo organico

Non è soltanto per una questione formale di «terminolo-gia» che il nostro movimento ha eliminato dalla propriaorganizzazione di partito l’uso della democrazia; è soprat-tutto una questione di fondo, poiché è nel partito innan-zitutto che i militanti comunisti imparano a combattere lademocrazia sia sul piano ideale che sul quello politico epratico.

Eliminare dalla struttura organizzativa del partito lademocrazia, non solo come principio e linea politica maanche come mezzo per consentire e disciplinare la parte-cipazione di tutti i suoi membri alla complessa attività eall’azione del partito e per ottenere l’attuazione delle di-rettive e dei deliberati degli organi direttivi del partito,non vuol dire appiattire l’organizzazione del partito - cheè per principio centralistica e piramidale - sul piano oriz-zontale dove vi sia una specie di uguaglianza artificiale tratutti i suoi membri, capi o gregari che siano, e dove ledecisioni vengano prese sulla base del voto di maggio-ranza, sulla tale o tal altra proposta di qualcuno. Tantomeno significa organizzare il partito secondo un concettodi leaderismo per il quale il «grande capo», il «capo su-premo» o il «comitato centrale» detta le regole e la dire-zione in cui andare mentre tutti i membri del partito sonotenuti semplicemente ad eseguire gli ordini ricevuti. Lon-tana da ogni anche pallida idea di partito comunista è laprassi anarchica per cui conta l’opinione di ogni singoloe conta la volontà o voglia di ogni singolo di fare o nonfare quella determinata azione, salvo poi per necessitàpratica adattarsi ad una prassi del tutto democratica (os-sia, vince sempre la maggioranza, non importa se le suedecisioni sono coerenti o meno con quelle precedenti e/o quelle future).

Eliminare dalla struttura organizzativa del partito lademocrazia significa liberarsi finalmente, anche sul pianostrettamente organizzativo, di un meccanismo che nellarealtà dei fatti non facilita ai militanti di partito ilraggiungimento dell’omogeneità politica e d’azione, nécontribuisce a dirimere e superare con coerenza politicae pratica le divergenze che nascono inevitabilmente nelcorso dell’attività del partito nelle diverse situazioni. Dicontro, tale meccanismo permette e facilita l’introduzionenella vita del partito di concetti e abitudini dell’ambienteborghese legati alla prassi e all’ideologia democratica,ossia di quell’ideologia che la borghesia utilizza per in-gannare il proletariato e deviarne le spinte combattive edi classe.

Non basta infatti lottare ideologicamente e politica-mente contro la democrazia, come è dimostrato dalla stes-sa storia dell’Internazionale Comunista, ma si è reso sto-ricamente necessario combattere la democrazia anche sulpiano pratico e organizzativo. Perciò nel secondo dopo-guerra, nel periodo della restaurazione teorica del marxi-smo e della ricostituzione del partito di classe, le forzedella Sinistra comunista che facevano capo a Bordigaripresero la vecchia polemica contro l’impostazione de-mocratica del centralismo marxista indirizzandosi semprepiù sicure verso il centralismo organico.

Il centralismo democratico, nella misura in cui eramaneggiato da comunisti della levatura di un Lenin o diun Trotsky negli anni di più fulgida ascesa rivoluzionariamondiale, risentiva limitatamente della sua congenita con-traddizione, anche perché nella grade area russo-asiaticala storia aveva messo all’ordine del giorno non solo e nontanto la rivoluzione proletaria quanto invece la rivoluzio-ne borghese. Le decisioni, per quanto fossero sottoposte

al voto di Comitati Centrali o di Congressi dell’Internazio-nale, erano in partenza dittatoriali, e organiche rispettoagli scopi fondamentali della rivoluzione, sia sul pianopolitico che militare.

Nessuno avrebbe neanche lontamente pensato di do-ver chiedere che le decisioni prese da Trotsky nella guer-ra civile in quanto capo dell’Armata Rossa dovesseroessere sottoposte al voto per ottenere il consenso dellamaggioranza; era evidente dall’azione militare stessa chequelle decisioni non erano determinate da una scelta in-dividuale di Trotsky, ma il frutto di un’organica selezionedi militanti di partito che disponevano al meglio le forzedella rivoluzione proletaria contro le forze della controri-voluzione: quegli ordini andavano disciplinatamente ese-guiti. E nessuno avrebbe nemmeno lontanamente azzar-dato pensare che le posizioni e le decisioni che prendevaLenin potessero essere dovute a capricci o fisime perso-nali e non a necessità obiettive della rivoluzione non solorussa, ma mondiale; che fossero, dunque, intimamenteorganiche alle necessità e allo sviluppo della rivoluzioneproletaria e all’emancipazione generale della specie uma-na dal capitalismo.

Le teorie del «pazzo sanguinario» o del «grande dit-tatore» provenivano direttamente dal bagaglio della pro-paganda borghese che aveva tutto l’interesse a far pas-sare i capi della rivoluzione, che stava scuotendo allabase il mondo dei privilegi capitalisti, come persone cheapprofittavano dell’ignoranza delle masse per fini perso-nali (cosa che invece i borghesi fanno sistematicamenteda sempre!).

Ma la Sinistra comunista italiana intuì già in queglianni che continuare ad utilizzare prassi e terminologialegate alla democrazia avrebbe ostacolato il lavoro dichiarificazione nello stesso partito comunista sia sul pia-no della generale lotta politica, sia sul piano della speci-fica lotta contro la democrazia borghese - il miglior invo-lucro della dittatura del capitale (Lenin) -; e che l’atteg-giamento, fondamentalmente contro la democrazia econtro lo Stato borghese, condiviso dal partito bolscevi-co e dall’Internazionale Comunista, avrebbe dovuto esse-re rappresentato nei principi e nelle norme d’organizzazio-ne in modo molto più conseguente di quanto non potessefarlo la vecchia formula del centralismo democratico, o diquanto non facessero in seguito le parole d’ordine delfronte unico politico o del governo operaio.

LO SVILUPPO DELLE SOCIETA’ NON E’LINEARE, MA PROCEDE PER FORTI ASCESE

FINO ALLE ROTTURE DEGLI EQUILIBRINELLE FASI RIVOLUZIONARIE

Il concetto di organico proviene dallo studio dellescienze naturali, dalla biologia, per cui ogni funzionevitale dei diversi organismi è funzione appunto organi-ca, funzione che lega al tempo l’attività vitale che sisvolge in un determinato spazio e in un insieme unitarioe dinamico. Ogni organismo è parte di un insieme diorganismi dello stesso genere che a loro volta fannoparte di un vasto e complesso mondo di organismi di-versi che si integrano o si respingono in un reciprocoe continuo nutrimento, nel prodursi e riprodursi di tuttigli organismi.

Non è difficile legare il concetto di organico al con-cetto di dialettica, poiché è il continuo divenire - della

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vita come della società e della storia - che determina idiversi livelli di sviluppo, e i profondi cambiamenti, delleorganizzazioni sociali, animali o vegetali che siano.

Negli esseri superiori, quindi organizzati socialmen-te, è la selezione naturale a determinare la gerarchia dellefunzioni sociali, ed è la capacità tecnica di interveniresulle date condizioni naturali a determinare il grado disviluppo della società. La caccia è praticata dagli animalicarnivori, la raccolta è praticata dagli animali erbivori;l’agricoltura è praticata soltanto dagli animali superiori,ossia dall’uomo, da quell’essere sociale in grado di co-struire attrezzi adatti all’intervento nella natura per mo-dificare la situazione data. L’uomo, che è onnivoro, or-ganizza la sua società non solo per procurarsi il cibonecessario alla propria sopravvivenza, ma utilizza le suescoperte tecniche per trasformare qualsiasi cosa la na-tura offre «spontaneamente» in cibo più abbondante, inattrezzi da lavoro, in armi per la caccia e per difendersida altri gruppi umani, in energia, in materiali più resi-stenti: è lo sviluppo delle forze produttive di tutto ciòche serve per vivere e organizzare la vita sociale chepone, in ampi archi storici, la necessità di organizzazionisociali superiori.

Il divenire delle organizzazioni sociali umane, nellastoria che parte dall’ancestrale uomo tribale lottatorecon le belve per giungere al membro della comunitàfutura, fraterna nella armonia gioiosa dell’uomo so-ciale (4), conduce quelle a sviluppi verticali fino a «pun-ti di rottura storica» - che coincidono con le grandirivoluzioni sociali - nei quali tutta la struttura socialeesistente, messa in discussione dal suo stesso svilup-po, ossia dallo sviluppo delle sue forze produttive, cedeoggettivamente al violento urto storico delle forze so-ciali sviluppatesi in classi antagoniste per lasciare ilpasso ad una nuova e superiore organizzazione sociale.Dalle primitive forme sociali delle comunità umane orga-nizzate elementarmente sul piano della primitiva tecnicaproduttiva (il comunismo primitivo) alle successive epiù complesse forme sociali della società schiavista, deldispotismo asiatico, del feudalesimo, fino alla modernasocietà del capitalismo, l’organizzazione sociale umanaha sviluppato progressi tecnici e scientifici di grandis-sima rilevanza che, applicati alla produzione, hanno per-messo l’organizzazione sociale di popolazioni semprepiù numerose e stanziali e l’organizzazione industrialedella produzione anche agricola ponendo le basi persfamare miliardi di individui.

I punti di rottura storica, accennati sopra, vedonol’urto violento delle forze sociali rappresentate dalle clas-si che, nello sviluppo della produzione ed economicodella società, sono inevitabilmente proiettate a risolverecon la forza le contraddizioni accumulate nel processodi sviluppo della società esistente, dando vita - in uncorso che non è mai stato lineare ma sempre accidentatoe caratterizzato da alti e bassi, slanci in avanti e precipizirovinosi - ad un’organizzazione sociale superiore. Talecorso storico delle società umane - che possiamo imma-ginare caratterizzato da andamenti verticali di progressoproduttivo e sociale fino ad un apice che segna il limitedella potenziale crescita e contemporaneamente il puntodi rottura della vecchia società nel quale si innesta lalinea ascendente della nuova società che in parte assor-be e in parte seppellisce la vecchia (5) - ha portato allasocietà odierna, sempre divisa in classi sociali antago-niste, in cui sono state superate tutte le separazioni

geografiche dei gruppi umani e in cui un unico modo diproduzione, il capitalismo, domina e condiziona l’interopianeta.

La società capitalistica, al pari delle precedenti socie-tà di classe ma con un potenziale di sviluppo storicoimmensamente più alto, ha generato le basi produttive,quindi economiche e sociali, non solo del suo supera-mento in quanto società divisa in classi, ma del supe-ramento storico di tutte le società divise in classi. For-mando la classe del proletariato, dei senza riserve, sfrut-tata dalla classe detentrice del capitale per estorcene ilplusvalore - che è il tempo di lavoro non pagato - ilcapitalismo ha prodotto i suoi seppellitori (Marx), ossiala classe sociale che ha il compito storico di emanciparsidallo sfruttamento capitalistico con la sua rivoluzione diclasse e che, nello stesso tempo, svolge il compito sto-rico di liberare l’intera umanità dal dominio del capita-lismo, facendola finita definitivamente con il ciclo stori-co delle società divise in classi e aprendo al futuro dellasocietà umana la strada della comunità fraterna nellaarmonia gioiosa dell’uomo sociale.

La fine del mercantilismo capitalistico coinciderà conla fine di ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo, con lafine del dominio delle merci e del mercato sulla vita degliuomini, con la fine di ogni oppressione economica esociale che la divisione della società in classi produceinesorabilmente (oppressione economica, razziale, ses-suale e culturale).

I comunisti marxisti conoscono questo percorso sto-rico delle società umane, questa certezza storica dellasuccessione delle forme di produzione e delle rivoluzio-ni. Il marxismo è spiegazione scientifica e, nello stessotempo, fornisce le armi della critica che conducono alladefinizione della teoria delle rivoluzioni sociali, e allateoria della rivoluzione proletaria e anticapitalistica inparticolare. La coscienza, non degli individui, fosse anchedell’individuo più dotato, ma dei fatti storici che si riflet-te nel cervello degli uomini, guida lo sviluppo scientifi-co delle teorie rivoluzionarie; ed è proprio per questodato storico della realtà materiale dello sviluppo socialedelle organizzazioni umane che i marxisti rifiutano lateoria secondo la quale la «coscienza individuale» sa-rebbe il motore dello sviluppo sociale dell’uomo.

Il materialismo storico e dialettico che sta alla basedella teoria marxista risponde al principio «filosofico»secondo il quale prima viene l'azione e poi la coscienza:è dunque la realtà materiale, e l'azione materiale nellarealtà, a determinare la coscienza, e il livello di coscien-za, dell'azione umana e quindi della realtà materiale in cuil'uomo vive e si sviluppa. L'idealismo, che precede laborghesia ma che con la borghesia, dopo aver raggiuntola vetta più alta nell'epoca storica delle sue rivoluzioni,tocca il livello storico più basso e meschino, pretendeinvece che sia il pensiero, la ragione, la coscienza diogni singolo individuo a determinare la sua azione e ilsuo sviluppo; e là dove la ragione borghese non riescea spiegare l'origine di fenomeni sociali come la violenza,la fame, la miseria, la guerra, la morte, si rifugia neces-sariamente nella superstizione religiosa rimandando lacausa di quei fenomeni ai disegni imperscrutabili e mi-steriosi di un dio.

Il marxismo non ha solo combattuto e vinto controogni forma di idealismo e di filosofia, ossia non si èlimitato a fornire un’interpretazione del mondo e dellastoria delle società umane diversa e più completa di

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quelle esistenti, ma ha generato la teoria rivoluzionariaper antonomasia, assorbendo e superando qualsiasi te-oria rivoluzionaria precedente, quella cioè che non silimita più ad intepretare il mondo ma ne dirige il cambia-mento.

Il marxismo rappresenta il punto di massima ascesadi tutto ciò che l’umanità ha creato di meglio durante ilsecolo XIX: la filosofia tedesca, l’economia politica in-glese, il socialismo francese (Lenin). «La dottrina diMarx è onnipotente perché è giusta - continua Lenin (6)- Essa è completa e armonica, e dà agli uomini unaconcezione integrale del mondo che non può conciliarsicon nessuna superstizione, con nessuna reazione, connessuna difesa dell’oppressione borghese». «Il marxi-smo - ribadisce Lenin - ha aperto la via a uno studiouniversale, completo, del processo di origine, di svilup-po e di decadenza delle formazioni economico-sociali,considerando l’insieme di tutte le tendenze contraddit-torie, riconducendole alle condizioni esattamente deter-minabili di vita e di produzione delle varie classi dellasocietà, eliminando il soggettivo e l’arbitrario nella scel-ta di singole idee “direttive” o nella loro interpretazione,scoprendo nella condizione delle forze materiali di pro-duzione le radici di tutte le idee e di tutte le varietendenze senza eccezione alcuna» (7). Perfetta sintoniatra le argomentazioni di Lenin e della Sinistra comunistaitaliana.

E’ detto a chiare lettere, dunque, che il marxismoelimina il soggettivo e l’arbitrario nelle scelte ideali onella loro interpretazione, mentre scopre che le radici ditutte le idee e di tutte le varie tendenze senza eccezionealcuna, compreso quindi anche il socialismo scientifico,ossia quello che è stato chiamato da allora marxismo,vanno cercate nelle condizioni sociali delle forze mate-riali di produzione, e perciò nei rapporti sociali di questeforze materiali. Il pensiero del singolo, fosse il più do-tato intellettualmente, non determina nulla, non determi-na alcun cambiamento: è materialmente il riflesso di queirapporti sociali, e delle contraddizioni che li caratterizza.Ne può riflettere la conservazione, la reazione o il mu-tamento rivoluzionario a seconda della forza delle con-traddizioni sociali, della tensione nei rapporti di forza trale classi e del movimento delle classi rivoluzionarie neiconfronti delle classi conservatrici e reazionarie.

Perchè mai, allora, il programma rivoluzionario delproletariato, unica classe rivoluzionaria della società mo-derna, che costituisce la base fondamentale dell’azionedel partito, dovrebbe essere sottoposto al giudizio delvoto affinché una maggioranza contingente ne definiscadi volta in volta, di situazione in situazione, la pienavalidità o meno? Il programma rivoluzionario del prole-tariato non deriva da una particolare filosofia, o da unaparticolare teoria economica e sociale, ma da una teoriache ha superato ogni superstizione, ogni giustificazionedella schiavitù salariale, ogni mistificazione della realtàdei rapporti sociali di classe, collocando il processo disviluppo di tutte le società che si sono succedute finoranella realtà storica delle condizioni materiali di vita e diproduzione delle varie classi. Il programma rivoluziona-rio della classe proletaria non è il risultato delle elucu-brazioni dei cervelli di Marx e di Engels, ma discendedalla teoria del socialismo scientifico che a sua volta èil punto d’approdo, di incontro e nello stesso tempo disuperamento, di tutte le teorie più avanzate del secoloXIX, come appunto affermava Lenin.

NESSUNA LIBERTA’ PERSONALE DIANALISI, DI CRITICA, DI PROSPETTIVA

Ogni movimento politico, che nella storia si costitui-sce per rappresentare e difendere interessi di classe, sirifà a teorie che a loro volta rappresentano un puntod’approdo di esperienze del passato delle lotte fra leclassi. Questo vale anche per il movimento comunista, equindi per il partito comunista che ne è la definizioneorganizzata nello spazio e nel tempo grazie alla teoriamarxista che ne fa da base imprescindibile.

«Nessun movimento può trionfare nella storia - silegge nelle nostre Tesi caratteristiche del 1951 - senza lacontinuità teorica, che è l’esperienza delle lotte passate.Ne consegue che il partito vieta la libertà personale dielaborazione e di elucubrazione di nuovi schemi e spie-gazioni del mondo sociale contemporaneo: vieta la libertàindividuale di analisi, di critica e di prospettiva anche peril più preparato intellettualmente degli aderenti e difendela saldezza di una teoria che non è effetto di cieca fede,ma è il contenuto della scienza di classe proletaria, costru-ito con materiale di secoli, non dal pensiero di uomini, madalla forza di fatti materiali, riflessi nella coscienza storicadi una classe rivoluzionaria e cristallizzati nel suo partito.I fatti materiali non hanno che confermato la dottrina delmarxismo rivoluzionario» (8).

E’ dunque ovvia conseguenza organizzativa che nelpartito, una volta esclusa la libertà individuale di analisi,di critica e di prospettiva, si escluda l’organizzazione dicongressi e di ambiti in cui quella libertà prenda la formadi tesi contrapposte da sottoporre ad un voto; come èovvio che tutto l’armamentario organizzativo che si rife-risca ad elezioni di comitati e di organi preposti a dirigerequesta o quella attività del partito, o l’intera attività dipartito, e alla ricerca di una maggioranza per assicurareall’azione del partito un sufficiente livello di disciplina daparte dei suoi membri, si riveli del tutto inadattto e, allalunga, controproducente e perciò venga infine eliminatodalla vita del partito.

Le Tesi del 1951 che abbiamo citato, hanno rappresen-tato, per una parte del partito di allora, un punto fermo siad’arrivo nella definizione chiara e inequivocabile dellebasi d’adesione al partito, sia un punto di partenza di quelpartito omogeneo, saldo nella teoria e definito nella suaformula organizzativa, che era il traguardo indispensabiledi tutto il lavoro di restaurazione teorica e di ricostituzio-ne formale dell’organo partito cui si dedicarono - giàdurante la seconda guerra e soprattutto dalla fine dellaguerra in poi - le diverse, ma anche confuse e disomogenee,forze che si richiamavano alla Sinistra comunista italiana.Quelle Tesi funzionarono da «cartina di tornasole» nelsenso che la prima e grande scissione avvenuta nel no-stro partito di ieri, quella appunto del 1951-52 (9), avven-ne su questioni basilari, come appunto la concezione delpartito.

Una cosa è, infatti, concepire il partito come un insie-me di compagni dai quali ci si attendono elaborazioni edelucubrazioni di nuovi schemi e spiegazioni del mondo, eai quali si offre libertà di analisi, di critica e di prospettivaaffinché le loro opinioni, ordinate in tesi, si confrontinoin appositi congressi nei quali vi sia una maggioranza chedecida la giustezza o meno di quelle tesi, impegnandocosì il partito a seguire, di volta in volta, ciò che la mag-gioranza assembleare decide. Un’altra cosa è, invece, con-cepire il partito come quell’organo in cui si è cristallizzata

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la coscienza storica della classe rivoluzionaria, che assi-cura nel tempo la continuità della teoria non sottopostaad aggiornamenti o revisioni, e che mantenga la rottapolitica definita dall’esperienza delle lotte del passato edai bilanci dinamici delle rivoluzioni e delle controrivolu-zioni senza cambiarla di volta in volta (come successepurtroppo all’Internazionale Comunista) sotto l’urto dellesituazioni contingenti. Compito non facile e non automa-ticamente assolto grazie alla semplice stesura di un corpodi Tesi, ma indispensabile perché il partito di classe sia ingrado di prepararsi e preparare il proletariato allo scontrofinale decisivo, quando la situazione storica si volgeràfavorevolmente verso la lotta rivoluzionaria.

Quindi, prima acquisizione non temporanea ma perma-nente è la rivendicazione della continuità della teoria e delprogramma politico del partito cui si deve disciplina nonper cieca fiducia ma per convincimento politico, innanzi-tutto da parte degli organi dirigenti del partito e, ovvia-mente, da tutti i suoi aderenti. Tale disciplina non è ne-cessario regolamentarla con nuovi statuti elaborati appo-sitamente, almeno per tutto il periodo in cui la ripresa dellalotta di classe del proletariato non sia estesa e duratura,cosa che potrebbe porre concretamente il problema direndere più efficaci e appropriati gli Statuti cui già cipossiamo riferire.

Non siamo mai stati contrari a mettere per iscritto lenorme di comportamento del partito e dei suoi militanti,tutt’altro. Abbiamo a disposizione gli Statuti dell’Interna-zionale Comunista e le Tesi sulle condizioni di ammissio-ne all’Internazionale approvati al 2° congresso del 1920,oltre allo Statuto del Partito Comunista d’Italia approvatoal 1° congresso del partito nel gennaio del 1921e ribaditonel congresso di Roma del 1922; documenti che esprimo-no la sostanziale coerenza col programma del comunismorivoluzionario, e in questo senso rivendicati dalla nostracorrente, ma che risentono inevitabilmente della situazio-ne storica in cui nelle questioni organizzative - come nellequestioni tattiche - la messa a punto non era del tuttocompletata. L’Internazionale Comunista aveva sì l’obiet-tivo di diventare il Partito Comunista Mondiale, ma i suoiprimi anni non potevano prescindere dalle diverse espe-rienze già maturate dal movimento comunista internazio-nale e dalle difficoltà reali incontrate nella formazione deipartiti comunisti nei diversi paesi, partiti che provenivanoda scissioni dei vecchi partiti socialisti e socialdemocra-tici in modi molto meno intransigenti e netti di quanto nonfosse stato necessario storicamente. Partiti che si porta-vano appresso in eredità abitudini e tradizioni ancora inparte legate alla democrazia e al legalitarismo, cosa cheimpedì loro, nel corso degli anni, una completa maturazio-ne rivoluzionaria fino ad influenzare negativamente il mo-vimento comunista internazionale in generale e in parti-colare il partito bolscevico di Lenin.

Quando si renderà necessario è a quegli Statuti chefaremo riferimento, eliminando le dispo sizioni che ri-guardano la prassi democratica dei congressi, delle fe-derazioni, del diritto di voto, la libertà di aggiungere lo-calmente regole, e della partecipazione alle elezioni e alparlamento. Molta attenzione è e sarà prestata ai rap-porti con altri gruppi e partiti politici, al rifiuto del me-todo delle lettere aperte e del coinvolgimento delle for-ze del partito ad iniziative od organismi facenti riferimen-to ad altri partiti; nel senso che l’obiettivo prioritario saràsempre quello di distinguere e difendere intransigente-mente l’autonomia programmatica, politica, tattica e or-

ganizzativa del partito proletario di classe.

PRASSI DEMOCRATICA EDESPEDIENTISMO: SEMPRE A BRACCETTO

Una concezione delle questioni organizzative, che siè rivelata nel tempo deviante, vuole che ogni fatto e attoorganizzativo sia preventivamente incasellato in un arti-colo, o in un comma, di quell’insieme di norme tecnicheche formano appunto lo Statuto del partito. Non c’è dub-bio che gli Statuti cui ci siamo riferiti siano il risultato dellelotte del partito proletario del passato, e che il loro valorenon consiste tanto nella descrizione formalistica dei variarticoli che regolano la disciplina cui è tenuto ogni ade-rente al partito e i casi di indisciplina, quanto nello spirito,nella visione e nell’impostazione generale - che è pro-grammatica e politica - dalle quali discende appuntol’aspetto tecnico-organizzativo dell’attività del partito.Come non c’è dubbio che è lo sviluppo dell’attività delpartito nei diversi paesi, lo sviluppo della sua dimensionenumerica e lo sviluppo della sua specifica lotta controtutte le altre forze di conservazione e di reazione dellasocietà a livello internazionale e per l’influenza determi-nante degli strati decisivi del proletariato, a definire i limitidelle condizioni di adesione, di attività e di disciplina deisuoi aderenti e dei suoi organismi direttivi. Ma è altrettan-do indubbio che le esperienze del passato, e soprattuttole lezioni storiche tirate dalla recidiva opportunistica chespezzò la continuità teorica e programmatica del marxismorivoluzionario fino a spezzarne la continuità organizzati-va, non potevano essere riproposte nell’involucro forma-listico dei vecchi Statuti. Le lezioni storiche riguardavanotutti gli aspetti della restaurazione teorica e della ricosti-tuzione dell’organo-partito dopo la tremenda sconfittadella Grande Rivoluzione d’Ottobre e soprattutto del mo-vimento comunista internazionale. Teoria e prassi nel marxi-smo non sono ambiti separati e slegati; sono organica-mente uniti cosicché dai principi contenuti nella teoriamarxista - come ad esempio il centralismo - discendonodialetticamente le direttive tattiche e organizzative che,pur non essendo collocate fuori delle reali condizionidella lotta di classe e, quindi, dei rapporti di forza fra leclassi, tengono però conto dell’intera prospettiva dellalotta rivoluzionaria che il proletariato, e il partito comuni-sta alla sua guida, devono e dovranno ingaggiare perottenere il successo storico della fine del capitalismo e diogni società divisa in classi contrapposte.

L’esperienza delle lotte del passato, e delle sconfitte,ha dimostrato che il meccanismo democratico non soloall’interno della lotta politica nella società capitalistica,ma all’interno stesso del partito comunista rivoluzionario,è soprattutto veicolo delle tendenze opportuniste. Permezzo di questo veicolo la classe dominante borghesepersevera nel più vasto e insidioso inganno con cui pa-ralizza la classe del proletariato non solo dei paesi capi-talisticamente avanzati, ma, ormai, anche quello dei paesicapitalisticamente arretrati, deviandone ogni energia so-ciale nell’impotenza di un reticolato farraginoso e incon-cludente. Ed è ormai più che dimostrato dai fatti storicilegati alla sconfitta del movimento comunista rivoluzio-nario internazionale, che è del tutto falsa l’idea che ilmeccanismo democratico, se maneggiato accortamenteda un partito che non perda di vista l’obiettivo finale dellarivoluzione, possa essere utile alla causa facilitando ilcoinvolgimento e la partecipazione di tutti i militanti nel-

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l’attività e nell’azione del partito. Questo convincimentoera solidamente posseduto dalla Sinistra comunista italia-na già negli anni della costituzione dell’InternazionaleComunista e della formazione del Partito Comunista d’Ita-lia, come le grandi battaglie di classe sulla questione dellarivoluzione, della dittatura e dello Stato proletario dimo-stravano. Ma, se diamo il giusto peso agli argomentiteorici e politici che Amadeo Bordiga usò nell’avanzare laproposta della formula del «centralismo organico» al postodel «centralismo democratico» nel 1922, e a quelli checontinuò ad utilizzare in tutte le vicende che videro gliesponenti della Sinistra comunista italiana man mano al-lontanati dalla direzione del partito a causa dell’interven-to molto più tecnico-organizzativo che teorico-politicodei dirigenti dell’Internazionale, non possiamo che con-cludere in un modo: che il criterio democratico, finoraper noi un accidente materiale per la costruzione dellanostra organizzazione interna (Il principio democrati-co, 1922) non sarà mai elevato a principio, perché se icomunisti possono e devono regolarsi elasticamente ri-spetto ai canoni della democrazia interna sindacale(Ibidem), rispetto all’attività e all’azione di partito essisono tenuti ad un comportamento unitario e per nullaelastico, per nulla dettato dalle esigenze e dalle influenzedi altri raggruppamenti o soggetti politici. L’ambito dellalotta immediata e sindacale è una cosa, mentre l’ambitodella lotta politica e generale è ben diverso; nei due gran-di campi di attività del partito non vi deve essere contrad-dizione, ma coerenza organica nel senso che l’attività sulterreno immediato è al servizio dell’attività sul terreno piùgenerale e rivoluzionario, risultando essere un passaggionecessario per raggiungere l’obiettivo più grande e sto-rico: che la lotta proletaria abbatta il potere borghese ecapitalistico in tutto il mondo aprendo il cammino allanuova società comunista.

Le vicende storiche hanno nei fatti escluso che ilmeccanismo democratico, negli anni Venti del secolo scor-so ancora usato anche se solo accidentalmente (comeripetuto negli argomenti di Amadeo Bordiga), potesseriguadagnare una qualità eguale o superiore all’acciden-talità. Nel tentativo di ricostituzione del partito, durantee soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, da partedi alcune componenti che si rifacevano alla Sinistra co-munista italiana, le questioni organizzative vennero impo-state ripercorrendo la vecchia strada dello Statuto delpartito comunista d’Italia del 1921-22 e, soprattutto, rifa-cendosi agli stessi criteri del centralismo democratico (10)che erano stati adottati allora.

Nell’opera generale di restaurazione teorica del marxi-smo e di bilanci dinamici delle esperienze legate alla rivo-luzione russa, all’Internazionale Comunista, al Partito co-munista d’Italia e alla lenta ma inesorabile degenerazionedei partiti comunisti europei e infine dell’Internazionalestessa, le forze più intransigenti e coerenti della Sinistracomunista italiana riproposero anche le questioniorganizzative sulla traccia già segnata nel 1922 e resa piùattuale e affidabile dopo il cedimento al burocratismo, alladisciplina terroristica e alla pressione statale dello stali-nismo, vera espressione e sintesi della terza ondata op-portunistica che spezzò il cammino alle forze sane dellarivoluzione comunista.

Il centralismo organico fu riproposto non come unaformula che miracolosamente risolvesse in anticipo i nodiorganizzativi determinati dalle difficoltà obiettive in cuil’attività del partito si sarebbe via via trovata, e non come

una formula da usare per superare tutti i problemi diordine pratico o tattico che facessero sorgere discordanzeo divergenze, ma come un principio - e perciò un obiet-tivo cui tendere - al quale vincolarsi e dal quale far discen-dere le direttive e le norme organizzative del partito.

L’altro corno del problema era costituitodall’espedientismo - organizzativo e tattico - in cui ilpartito avrebbe potuto scivolare nell’intenzione di acce-lerare la ripresa di classe, di accelerare il processo storicorivoluzionario, o semplicemente «per rimanere sempre agalla» come denunciato chiaramente nelle Tesi caratteri-stiche del 1951 (11).

L’attitudine a fissare ed adottare scorciatoie tatticheper ottenere con minor sforzo l’obiettivo rivoluzionario èattitudine interamente borghese, derivante dalla congeni-ta attività mercantile della borghesia in ogni momento eluogo della sua esistenza. Il processo di ripresa della lottadi classe e rivoluzionaria matura innanzitutto attraversocondizioni di carattere storico e oggettivo - le cause so-ciali profonde delle crisi storiche della società -, ma viinterviene anche l’opera di proselitismo e di propagandadel partito di classe; la coscienza degli obiettivi storici delproletariato e la volontà di perseguirli agendo pratica-mente e coerentemente nella realtà storica, fanno del par-tito di classe un fattore, oltre che un prodotto, della storia.Ma il partito «esclude assolutamente che si possa stimo-lare il processo con risorse, manovre, espedienti che fac-ciano leva su quei gruppi, quadri, gerarchie che usurpanoil nome di proletari, socialisti e comunisti» (12); il riferi-mento riguarda non soltanto gli allora partiti socialisti ecomunisti ufficiali, influenzati e figli dello stalinismo, maanche tutti i diversi gruppi, a partire dal movimentotrotskista, che lottavano contro lo stalinismo ma conpratiche e metodi devianti e ispirati ad una supposta«democrazia proletaria» o a manovre di sapore «militare»- come l’entrismo - attraverso le quali accelerare il pro-cesso rivoluzionario nelle grandi masse del mondo. Coltempo i partiti stalinisti o post-stalinisti hanno cambiatopelle e i movimenti antagonisti o sono spariti, dopo de-viazioni anarchicheggianti o lottarmatiste, o si sono sem-plicemente trasformati in tante piccole tessere di unmosaico democratoide e parlamentaristico, antiproletarioe anticomunista quanto i più raffinati predecessori.

«Questi mezzi - gli espedienti di cui sopra - che infor-marono la tattica della Terza Internazionale, all’indomanidella scomparsa di Lenin dalla vita politica, non sortironoaltro effetto che la disgregazione del Comintern, cometeoria organizzativa e forza operante del movimento, la-sciando sempre qualche brandello di partito sulla stradadell’ “espedientismo tattico”» (13). E qualche brandello dipartito sulla strada dell’espedientismo tattico e organiz-zativo, purtroppo, ha continuato a sopravvivere, come lastessa storia del nostro partito di ieri dimostra, dalla scis-sione del 1951-52 dal gruppo di «battaglia comunista»fino all’ultima crisi esplosiva del 1982-84 (14).

Ribadiamo con le tesi del 1951: per accelerare laripresa di classe non sussistono ricette bell’e pronte. Etutti gli espedienti cercati e adottati per far ascoltare aiproletari la voce di classe, per rendere più accattivanti emeno ostiche la teoria marxista e la prospettiva della rivo-luzione, della dittatura proletaria e del terrore rosso, perincrementare l’influenza nel proletariato abituato alle dol-ci parole della democrazia, della pace, del lavoro che“nobilita l’uomo”, sono in realtà mezzi di deviazione diprincipio attraverso i quali non solo ci si allontana dalla

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teoria marxista, spesso richiamata formalmente come unaspecie di noiosa giaculatoria, ma si ostacola il difficile earduo cammino del proletariato alla riconquista dell’unicoterreno in cui si risolvono tutte le contraddizioni dellasocietà, il terreno della lotta di classe.

Talvolta siamo stati accusati di non voler mettere periscritto le norme organizzative interne perché saremmoprigionieri di una visione leaderista del partito, nel sensoche tutta l’attività del partito dipenderebbe dalle tesi chesarebbero frutto di elucubrazioni del grande capo, ieriAmadeo Bordiga, poi Bruno Maffi e domani chissà qualealtro atteso cervellone.

I borghesi, se non usano la calunnia, il falso, il di-sprezzo per la verità - come d’altra parte ogni buon mer-cante deve saper usare - non hanno altro metro di pole-mica che la riduzione di ogni fatto storico, di ogni avve-nimento che riguarda forze sociali e grandi masse, allameschina dimensione dell’individuo, del singolo perso-naggio, dal pensiero e dall’azione del quale dipenderebbela storia dell’intera umanità; insomma, come un piccolodio in terra, ad immagine e somiglianza - nel bene e nelmale - del dio soprannaturale, simmetriche superstizioni.

La Sinistra comunista, sul solco sicuro del marxismonon adulterato, ha sempre combattuto l’ideologia indivi-dualista e, insieme, l’idealismo con cui la borghesia hagiustificato non solo la propria ascesa al poteredisarcionando aristocrazia e clero e distruggendo i vinco-li economici e feudali della società, ma anche la conser-vazione di quel potere che in tutte le fasi successive sicaratterizzò sempre più in un movimento antistorico dalpunto di vista dello sviluppo delle forze produttive e deibisogni reali di una società soffocata dalle leggi del mer-cato capitalistico.

L’attitudine alla disciplina organizzativa dei comunistirivoluzionari non deriva da una «scelta individuale» odall’accettazione formale di uno Statuto, ma dal convin-cimento politico del programma rivoluzionario e dei det-tami politici che coerentemente ne derivano, e che preve-dono l’azione del partito, pur complessa e differenziatasui diversi piani della lotta di classe, in modo unitario,perseguendo gli obiettivi della lotta rivoluzionaria nellosforzo permanente di continuità nello spazio e nel tempo.In questo senso, la ferrea disciplina richiesta da Lenin peri militanti del partito, tanto più nelle fasi della guerra civilee rivoluzionaria e della dittatura proletaria a potere con-quistato, costituisce un elemento indispensabile e vitaledella lotta stessa, elemento che si innesta organicamentenella coscienza collettiva rappresentata dal partito.

Capi e gregari, come era d’uso chiamarli negli anniVenti del secolo scorso, sono militanti che svolgono fun-zioni diverse ma nell’unica unità organica che chiamiamopartito: militanti che per principio non sono esclusi daalcuna attività o funzione all’interno del partito; militantiche non sono incoraggiati a «far carriera» all’interno delpartito non solo perché si escludono successi storici adistanza visibile ma perché i metodi organizzativi non sibasano sul prestigio personale e sulla divisione artificialedei compiti, ma sull’integrazione delle differenti capacitàindividuali in un’attività organica e unidirezionale nellaquale l’apporto di ogni compagno militante è il risultatoanche se microscopico di un processo di maturazionedelle condizioni oggettive della lotta di classe.

Quando si afferma che i capi del partito, i responsabilidei diversi rami di attività o di sezione, non vengono eletticol metodo della consultazione elettorale e del voto, ma

sono materialmente e oggettivamente indicati da una se-lezione naturale degli elementi più capaci e affidabili perquei compiti, non si lascia che questa questione venga«risolta» dalla casualità, ma la si collega strettamente alprocesso storico di maturazione delle condizioni favore-voli alla rivoluzione. La selezione dei capi è parte inte-grante della formazione del partito di classe, perché sibasa su elementi storici materiali e oggettivi che sonounici: la teoria marxista, i principi del comunismo rivolu-zionario, il programma rivoluzionario, che non sono ilrisultato di elucubrazioni di cervelli per quanto formida-bili, ma il risultato della lotta storica tra forze sociali gigan-tesche e anonime. Per quanto la funzione dei capi delpartito comunista rivoluzionario sia fondamentalmentetecnica, non per questo essa va valutata secondo criteriorganizzativi o, peggio, burocratici; quella funzione rive-ste carattere politico nel senso che il suo svolgimento,organico nell’attività collettiva del partito, non può espri-mere la sua più alta efficacia ed efficienza se non per ilfatto di essere integrata politicamente nella più comples-sa attività del partito permeata dai dettami e dalle direttivepolitiche che provengono dallo sforzo di rendere attualee di realizzare il programma rivoluzionario del partito. Icompagni che condensano meglio la coerenza program-matica e politica e che assicurano meglio di altri la con-tinuità teorica, politica e organizzativa nello spazio e neltempo sono i compagni che questa selezione naturalechiama a dirigere il partito senza alcun bisogno dellaconsultazione elettorale dei singoli individui-membri delpartito.

L’incontro fra il partito storico e il partito formale,ossia tra la teoria del comunismo rivoluzionario e l’orga-nizzazione fisica del partito di classe, non è mediato omediabile dalla presenza di un Lenin o di un Bordiga, maavviene grazie alla concomitanza di fattori reali che sonoa loro volta il risultato dello scontro fra le classi, di unalotta che ha prodotto e produce scintille di coscienza diclasse; il singolo militante rivoluzionario rappresenta inun certo senso la forma fisica, attuale e instabile di quellacoscienza di classe. In quanto tale non potrà mai essereil partito, nel senso formale del termine, e tantomeno nelsenso storico; ma sono quelle scintille prodotte dallalotta fra le classi che possono, in date circostanze stori-che e sulla base di una teoria e un programma invariati einvarianti, unirsi e trasformarsi in una collettività organiz-zata, in un partito appunto. Il luogo e il tempo nei qualiquesto avveniva, avviene e avverrà non dipendono dallavolontà delle singole scintille, ma dai processi materiali estorici della formazione delle società e della lotta che leclassi sociali sono storicamente determinate a svolgere.

La collettività organizzata in partito rappresenta l’in-contro fra partito storico e partito formale, e le funzionitecniche e organizzative del partito formale non sono chela declinazione attuale dei compiti pratici che il partito sidà in virtù di quella coscienza degli obiettivi storici dellalotta di classe che, in quanto partito, rappresenta.

Perciò i compagni più capaci e affidabili (in termini dicoerente svolgimento dell’attività politica e militante) sonochiamati ad assumersi le maggiori responsabilità pratichee politiche del partito. In quanto responsabili di partitosvolgono la funzione di collettori delle forze del partito,convogliandole verso obiettivi immediati e futuri secon-do le direttive diramate dall’indispensabile organismo cen-trale. Tutto funziona con coerenza e disciplinatamentenella misura in cui a nessuno dei militanti di partito, capo

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o gregario che sia, è permessa la libertà di analisi, di criticae di prospettiva, la libertà individuale di elucubrare e diporre le proprie opinioni come elemento fondante la pro-pria adesione e attività all’interno del partito.

Con ciò non affermiamo che i testi di partito sianosempre perfetti, irrevocabili e immodificabili (15), o chele direttive emanate dal centro del partito siano sempregiuste. Affermare che non c’è libertà personale di formu-lazione di tesi da sottoporre al voto alla ricerca di unamaggioranza non significa che i singoli compagni di par-tito non possano dedicarsi alla elaborazione di materialicon lo scopo di trovare forme migliori e più complete ditrattazione dei diversi aspetti della teoria e del programmadel partito. Rimanendo nel solco già tracciato e invariantedella teoria marxista, e seguendo la linea delle battaglie diclasse che nel tempo hanno definito i passaggi obbligatidell’attività del partito rivoluzionario - come i bilanci di-namici dei grandi svolti storici hanno dimostrato - ognicompagno, anche giovanissino, è in grado ed è allo stes-so tempo sollecitato a dare il proprio contributo al lavorodel partito. Integrare le diverse capacità nel lavoro comu-ne del partito significa proprio questo: da ciascun com-pagno militante secondo le sue capacità, al di fuori dellelogiche di carriera, di personalismo e di separazione deicompiti.

LE DIVERGENZE,COME PREVENIRLE E SUPERARLE

Se la Sinistra comunista ha sempre sostenuto, fin daiprimi passi dell’Internazionale Comunista, che si rendes-sero più rigorose e rigide certe misure di organizzazionee di costituzione del partito comunista unico, e chefossero precisate nello stesso senso tutte le norme dellasua tattica, come mai non si è data una sua regolamen-tazione scritta nel momento della ricostituzione del partitonel secondo dopoguerra?

Negli Statuti, nelle Condizioni di ammissione, nelleRisoluzioni organizzative e tattiche, si sono sempreformalizzati i criteri e le norme che rispondevano allaprospettiva positiva della lotta di classe e rivoluzionaria,e si è sempre cercato di definire che cosa sarebbe avve-nuto nei casi in cui la disciplina di partito fosse stata rotta.Come dicevamo in precedenza, riteniamo che non ci siaancora bisogno di riscrivere quanto è già contenuto negliStatuti dell’Internazionale Comunista del 1919 e 1920 e inquelli del partito comunista d’Italia del 1921 e 1922. Questidocumenti vanno però integrati con le Tesi di Napoli e diMilano del 1965 e 1966 nelle quali si condensano le lezionistoriche delle deviazioni organizzative e tattiche, e la con-seguente degenerazione, che caratterizzarono il camminodell’Internazionale dal suo terzo congresso in poi.

Coloro che si sono ricollegati alla formula delcentralismo democratico sono convinti di aver dato larisposta ad ogni questione organizzativa importante, limi-tandosi a ribadire quei criteri e quelle norme di cui lastessa storia della degenerazione dell’Internazionale Co-munista e dei partiti che ne facevano parte ha dimostratoi limiti e le debolezze.

Di fatto, è proprio il metodo democratico inteso comeprassi risolutrice della gran parte dei problemi tattici eorganizzativi - se correlata al principio del centralismo,come fermamente ribadito da Lenin - a costituire l’elemen-to di debolezza della struttura organizzativa del partito diclasse. Attraverso di esso, invece di rendere più rigorose

e più rigide certe misure di organizzazione e di costitu-zione del partito comunista unico (16) - come affermanole nostre Tesi -, l’Internazionale fu portata a renderle piùmorbide, equivoche (come nel caso dei partiti “simpatiz-zanti”) o contrastanti con le norme appena date (come lafusione con i partiti da cui ci si era appena scissi).

«Allorché si delineò che una certa rilassatezza inquesti terreni vitali, da noi denunziata allo stesso gran-de Lenin, cominciava a dare effetti dannosi, fummo co-stretti a contrapporre relazioni a relazioni e tesi a tesi»(17). Ma questa situazione non portò mai la Sinistra ita-liana a rivendicare il metodo democratico: «A differenzada altri gruppi di opposizione, da quelli stessi che siformavano in Russia e dalla stessa corrente trotzkista,noi evitammo sempre con cura di dare al nostro lavorointerno all’Internazionale la forma di una rivendicazio-ne di consultazioni democratiche ed elettive di tutta labase, o del reclamare elezioni generali dei comitatidirettivi». Non lo fece allora, tantomeno lo farà nel mo-mento in cui, dopo la tragedia della sconfitta generale delmovimento rivoluzionario degli anni Venti e dopo il pre-cipitare dell’Internazionale Comunista nel pantano del-l’opportunismo più distruttivo, riprese il lavoro di restau-razione della dottrina e di ricostituzione del partito inter-nazionale unico. Allora, quando il movimento del prole-tariato rivoluzionario aveva ancora l’occasione di ripren-dere la lotta in Europa e nel mondo per abbattere il poteredelle borghesie, e l’Internazionale Comunista, nonostan-te i primi cedimenti alle teorie opportuniste, continuava arappresentare il punto più alto del movimento rivoluzio-nario mondiale, la Sinistra italiana lavorava affinché laparte più sana e radicata nella tradizionale lotta in difesadel marxismo e delle prospettive rivoluzionarie fosse ingrado di rimettere il movimento sulla rotta giusta. Le nostreTesi lo affermano chiaramente: «La Sinistra sperò disalvare l’Internazionale ed il suo tronco vitale e validodi grandi tradizioni senza organizzare movimenti discissione, e respinse sempre l’accusa di essersi organiz-zata o di volersi organizzare come una frazione, o comeun partito nel partito. Nemmeno la Sinistra, anche quan-do le manifestazioni del nascente opportunismo anda-vano diventando sempre più innegabili, incoraggiò odapprovò il sistema delle dimissioni individuali dal par-tito o dalla Internazionale» (18).

Tante furono le accuse alla Sinistra comunista italianada parte delle forze dell’opportunismo, e dello stalinismoin particolare, ma mai gli accusatori poterono accusarla dirivendicare il metodo democratico, o di contrapporre allaburocratizzazione e ai metodi terroristici di disciplina adot-tati dai vertici staliniani, criteri di disciplina democratici.Cercarono di convincere in tutti i modi Bordiga, e attra-verso di lui tutta la corrente di Sinistra, con le lusinghee con le minacce, fin dalle grandi discussioni sul parla-mentarismo rivoluzionario, affinché si disciplinasse alledirettive dell’Internazionale accettando di volta in volta,un cedimento dopo l’altro, le deviazioni che stavano con-cretizzandosi con l’idea che la situazione generale di ritar-do dei partiti comunisti europei nella preparazione rivo-luzionaria potesse essere rimediata attraverso indicazionitattiche e organizzative più morbide e che andassero in-contro a formulazioni ed esigenze dei partiti socialdemo-cratici che contavano ancora su di una forte influenza sulproletariato. Ma si trovarono di fronte una corrente cheaveva radici profonde e salde e che continuò a darebattaglia senza mai cedere sul piano democratico e per-

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sonalistico. Altri capi politici della corrente di Sinistra diallora, come Gramsci, Terracini, Togliatti, cedettero allapressione e alle oscillazioni dell’Internazionale, per poicrollare di fronte allo stalinismo vincente.

Ed è quella qualità di intransigenza e di profondaradice marxista che porrà la Sinistra comunista italiananelle condizioni di essere praticamente l’unica forza almondo - anche se ridotta ai minimi termini - a resistere allapressione e agli attacchi dello stalinismo, oltre che a quellidella borghesia in veste democratica come in veste fasci-sta, e in grado successivamente di rimettersi al lavoro perla restaurazione teorica del marxismo e per la ricostituzio-ne del partito internazionale unico.

Allo stesso modo, come si combatte il metodo delleconsultazioni democratiche ed elettive, così si combatteil metodo delle espulsioni.

Rileggiamo dalle nostre Tesi: «la Sinistra nel suopensiero fondamentale ha sempre visto il cammino ver-so la soppressione delle scelte elettorali e dei voti sunomi di compagni o su tesi generali come un camminoche andava verso la abolizione di un altro ignobilebagaglio del democratismo politicantesco, ossia quellodelle radiazioni, delle espulsioni e degli scioglimenti digruppi locali. Abbiamo molte volte enunciato in tuttelettere la tesi che questi procedimenti disciplinari do-vevano andare diventando sempre più eccezionali peravviarsi alla loro scomparsa». Ma, ciò che è ancora piùimportante, è che «se il contrario avviene, e peggio sequeste questioni disciplinari servono a salvare non prin-cipi sani e rivoluzionari ma proprio le posizioni co-scienti od incoscienti di un opportunismo nascente, comeavvenne nel 1924, 1925, 1926, questo significa soltantoche la funzione del centro è stata condotta in un modosbagliato e gli ha fatto perdere ogni reale influenza didisciplina della base verso di lui, tanto più, quanto piùviene sguaiatamente decantato un fasullo rigore disci-plinare» (19).

La funzione del centro, ecco il perno della questione.Il partito retto dal metodo democratico presuppone un

funzionamento basato sulle divergenze, sullecontrapposizioni, insomma sulle crisi, e prevede normevincolate alle decisioni prese con la consultazione eletto-rale e il voto: la decisione che passa sarà quella votatadalla maggioranza anche se quella decisione fosse incontraddizione con il programma, l’impostazione politicagenerale e gli obiettivi definiti, ossia con tutto ciò checostituisce il nucleo programmatico e politico su cui si ècostituito il partito. Da questo punto di vista il centrali-smo, rivendicato da molti che si richiamano al leninismoe alla Sinistra, si ridurrebbe ad un semplice coordinamen-to tecnico, ad una specie di buca delle lettere, mentre laresponsabilità politica dell’intera attività del partito, edella sua azione, verrebbe trasferita di fatto interamentesui militanti, ciascuno dei quali dovrebbe dare il suo votosu questa o quella interpretazione del programma, suquesta o quella decisione tattica, su questa o quella at-tività o azione del partito. L’unitarietà del partito e dellasua azione, dipendendo dal voto di maggioranza che divolta in volta si esprimerebbe sommando i voti di ognisingolo militante, sarebbe quindi del tutto effimera. Inquesto modo l’attività e l’azione del partito comunistarivoluzionario sarebbero sempre prigioniere di un metodoche congenitamente è paralizzante in quanto non pogge-rebbe sulla coerenza con le basi teoriche e programmati-che, né sull’omogeneità della visione generale, né

sull’unitarietà d’azione nei diversi campi di intervento.Proprio perchè il partito non agisce al di fuori della realtàdella società capitalistica e della lotta fra le classi, quelmetodo si dimostra un efficace veicolo della visione ide-alistica del mondo e della società, tipica della borghesia,e delle abitudini alla sottomissione degli interessi speci-fici del proletariato a quelli più generali e superiori (cosìli propaganda la borghesia) della patria, dell’economia edel popolo, prendendo il sopravvento sulla visione marxi-sta del mondo e sugli interessi di classe del proletariato.

L’idealismo e l’inganno sociale rappresentato dal de-mocratismo, cacciati dalla porta del programma storicodella rivoluzione comunista, tornerebbero così ad intos-sicare l’organismo-partito attraverso quella parte dellasua attività che può apparire secondaria e mai definita eche riguarda l’organizzazione e la tattica. Ma è proprio perquesta ragione che la Sinistra comunista italiana insistet-te tanto con l’Internazionale Comunista affinché le misuredi organizzazione e di costituzione del partito fossero piùrigorose e rigide e le norme tattiche non fossero generi-che ed equivoche. Non era una fissazione formale, unaspecie di estremismo della formula, ma lo richiedevano leesigenze organiche dell’omogeneità del movimento co-munista internazionale e della sua azione come partitocomunista unico nel mondo.

La lotta rivoluzionaria e le esperienze del passato, sianelle vittorie che nelle sconfitte del movimento comunistamondiale, hanno dimostrato che il metodo democratico,anche se usato con un controllo centralistico, ha prodot-to soltanto danni sia alla conduzione dell’attività del par-tito sia a livello tattico e politico più generale, fino aspezzare non solo la continuità organizzativa ma anche lacontinuità politica e teorica del partito. Esse hanno datola dimostrazione in negativo del metodo democratico, edhanno dialetticamente dimostrato che il partito rivoluzio-nario deve dotarsi di un metodo organizzativo superiore,all’altezza storica dei suoi compiti alla luce appunto dellelezioni tirate dalla degenerazione dell’Internazionale Co-munista.

Le Tesi di Napoli e di Milano (20) costituiscono, ineffetti, quel bilancio dinamico che il partito ha tirato daigrandi svolti storici in cui le forze possenti delle classisociali nello scontro titanico per la vita o per la mortehanno dato il massimo della loro esperienza. Lo Statutoche il partito redigerà un domani, quando la sua attivitàgrandeggerà nella ripresa della lotta di classe e la suaestensione organizzativa nei diversi paesi richiederà unacomplessa articolazione scritta delle regole di adesione ecomportamento per i diversi organi del partito e per ognisingolo militante, non potrà che definire i suoi vari articoliin perfetta coerenza con queste Tesi, recependone nonsoltanto lo spirito ma anche le direttive pratiche già inesse contenute.

Il militante comunista non nasce al di fuori dell’am-biente borghese, ma proviene dalle sue fortissime con-traddizioni ed è, singolarmente preso, veicolo di quellecontraddizioni. Esso deve lottare contro le abitudini e leattitudini nelle quali la società borghese immerge ogninato e nascituro; deve lottare contro una visione ideali-stica e falsa della realtà e dei rapporti sociali; deve lottarecontro la meschina riduzione dello scopo della vita alsacrificio permanente o alla sopraffazione per risparmiarsiqualche dose di sacrifici; deve lottare contro un’istruzio-ne volta esclusivamente al mercato capitalistico e alle sueesigenze; deve lottare, contemporaneamente, contro ogni

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specie di superstizione, e in particolar modo quella reli-giosa, per riuscire a comprendere qualche squarcio direaltà fisica e materiale; deve lottare, e questa è la partepiù dura, contro la democrazia, in principio e in prassi, conla quale le classi dominanti borghesi riescono, sulla scor-ta di una lunga esperienza storica, a mobilitare le masseproletarie e diseredate del mondo in difesa dei loro inte-ressi di concorrenza, in difesa dei loro privilegi, del lorodominio, della loro infinita sete di profitto capitalistico.

Nel testo del 1965 (21) che abbiamo già citato, possia-mo leggere per intero la potente descrizione del militantedi partito: «Le violente scintille che scoccarono tra irefori della nostra dialettica ci hanno appreso che ècompagno militante comunista e rivoluzionario chi hasaputo dimenticare, rinnegare, strapparsi dalla mente edal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l’anagrafedi questa società in putrefazione, e vede e confonde sestesso in tutto l’arco millenario che lega l’ancentraleuomo tribale lottatore con le belve al membro dellacomunità futura, fraterna nella armonia gioiosa del-l’uomo sociale».

Chi conosce non soltanto superficialmente le posizio-ni della Sinistra comunista italiana, sa che non si staparlando dell’individuo singolo, slegato dal partito e dallasua attività materiale, ma di quel compagno che è militantecomunista e rivoluzionario in quanto membro del partitocomunista rivoluzionario, quindi di un elemento che loscontro oggettivo delle contraddizioni sociali esistenti edella lotta di classe e rivoluzionaria ha selezionato espinto verso il superamento della società esistente, versoil partito storico, verso il comunismo, verso la comunitàfutura, fraterna nell’armonia gioiosa dell’uomo sociale.

Perciò è sbagliato pensare che il partito (tanto più sesi tratta del partito storico) sia rappresentato completa-mente da ogni singolo militante, come è sbagliato pensareche il partito sia costituito dalla somma o, se volete, dallamoltiplicazione di singoli militanti comunisti. Il partito diclasse, dal punto di vista formale, non è, nemmeno, ilrisultato organizzativo della volontà di singoli elementiche «decidono» di costituirsi in partito, ma è un risultato- sebbene temporaneo se misurato sul tempo storico - diun processo di maturazione di condizioni obiettive checontengono il livello raggiunto della lotta fra le classi, latensione delle contraddizioni sociali, la presenza di unatradizione storica del movimento comunista, la presenzafisica di elementi che attivano il collegamento nello spazioe nel tempo fra le lotte del passato, le esperienze conden-sate nel movimento storico del comunismo rivoluziona-rio, le condizioni oggettive di costituzione di un’organiz-zazione di partito sulle basi certe del marxismo e dei bilan-ci dinamici delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni.

Si diventa militanti comunisti nel partito e col partitoin cui ogni elemento si integra e partecipa ad una forzache è collettiva, o non è.

L’adesione individuale al partito non contraddice ilquadro che abbiamo sinteticamente delineato. E’ una pre-cisa norma organizzativa del partito, derivante dalla tra-dizione del movimento comunista internazionale, e rispon-de dialetticamente ad una visione anti-individualista delpartito. A difesa dell’unico programma, dell’unica teoriae dell’unicità dell’organizzazione politica del partito, cosìcome si rifiutano fronti politici con altri partiti o gruppipolitici, si rifiutano anche aggregazioni al partito di gruppigià organizzati. Si parte dal concetto che il programmae le tesi politico-tattiche e organizzative del partito siano

già dati e che comunque non siano oggetto di scambio:o si accettano o si rifiutano, non ci sono mezze misure.Inoltre il partito è un’organizzazione strutturata in modoorganico, con organismi dedicati al miglior funzionamen-to della sua attività complessiva collegati fra di loro informa piramidale e non orizzontale, rispondenti ad ununico organo centrale. Il partito, per sua impostazionefondamentale, nega la formazione di correnti e di frazioniinterne ed è perciò che non ha bisogno di congressi neiquali dare voce alle diverse correnti o frazioni. Comenon prevede gruppi separati all’interno, allo stesso modonon prevede l’aggregazione di gruppi esternipreorganizzati. Perciò l’adesione al partito è la più sem-plice e diretta: individuale.

Non che rifiutare la formazione di correnti e frazioni alsuo interno, o l’adesione di gruppi già preorganizzati,risolva la questione delle eventuali divergenze che pos-sono sempre nascere all’interno del partito e che posssonosvilupparsi fino alla formazione di vere e proprie correntio frazioni. Una cosa è però strutturare il partito già nellaforma di frazioni aggregate e tenute insieme da un pro-gramma più o meno genericamente condiviso e applicato,un’altra è strutturare il partito come un’organizzazionefondata interamente sull’omogeneità del programma e delledirettive politico-tattiche e che affronta le divergenze chepossono sempre nascere e svilupparsi nel suo seno comefatti materiali eccezionali e da trattare con grande atten-zione dato che sono sempre il sintomo di una conduzionesbagliata del partito.

Quindi, con ragione, le Tesi di Napoli ribadiscono che«nella concezione del centralismo organico la garanziadella selezione dei componenti il partito è in questo: ilpartito persevera nello scolpire i lineamenti della suadottrina, della sua azione e della sua tattica con unaunicità di metodo al di sopra dello spazio e del tempo.Tutti coloro che dinanzi a queste delineazioni si trova-no a disagio hanno a loro disposizione la ovvia via diabbandonare le file del partito. Nemmeno dopo avvenu-ta la conquista del potere possiamo concepire la iscri-zione forzata nelle nostre file; è perciò che restano fuoridalla giusta accezione del centralismo organico le com-pressioni terroristiche nel campo disciplinare, che nonpossono non copiare il loro stesso vocabolario da abu-sate forme costituzionali borghesi, come la facoltà delpotere esecutivo di sciogliere e di ricomporre le forma-zioni elettive - tutte forme che da molto tempo si consi-derano superate non diremo per lo stesso partito prole-tario, ma perfino per lo Stato rivoluzionario e tempora-neo del proletariato vittorioso. Il partito non ha dapresentare a chi vuole aderirvi piani costituzionali egiuridici della società futura, in quanto tali forme sonoproprie solo delle società di classe» (22).

Essendo legati alla materialità dello scontro sociale edella lotta fra le classi, ed intervenendo nella realtà con-traddittoria del capitalismo - con le sue profonde inegua-glianze, sperequazioni e violenze -, i comunisti sanno chel’attività di partito incontra e incontrerà inevitabilmenteostacoli non solo materiali e organizzativi, ma ideologicicreati dalla grande e radicata influenza borghese, e picco-loborghese, sul proletariato. Le divergenze interne al par-tito in merito alle più diverse questioni pratiche, tattiche,politiche o teoriche non solo non sono da escludere, masono da prevedere. Non stiamo parlando di dissensi, madi divergenze. Esse sono uno dei risultati dell’influenzaideologica borghese, dell’incessante propaganda borghe-

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se al fine di indirizzare le energie di classe del proletariatosu cammini e obiettivi borghesi. Esse possono prenderespunto da qualsiasi fatto, da qualsiasi idea, da qualsiasidifficoltà: è un fatto materiale e va affrontato come taleanalizzandone origini, potenzialità di sviluppo, danni pre-vedibili, probabilità di superamento. Se, da un lato, nonvanno mai prese con leggerezza, perché quando emergo-no e prendono la forma di un’idea organizzata rappresen-tano un importante segnale di disagio politico, dall’altrolato non vanno nemmeno sopravalutate o personalizzate.Il livello di divergenza può essere non decisivo per lacontinuità organizzativa, politica e teorica del partito, quan-do cioè la divergenza non pone in discussione i fonda-menti teorici e politici su cui si basa l’attività del partito.Nei fatti, l’esperienza insegna che è soltanto la soliditàteorica e la forza reattiva del partito a costituire le leve conle quali superare, senza perdere la rotta rivoluzionaria,gli ostacoli incontrati dal partito. Fra i moltissimi esempiche possiamo citare ne prendiamo alcuni, storicamentedecisivi, come nel caso delle Tesi di Aprile con cui Leninrimise il partito bolscevico sul binario corretto della rivo-luzione proletaria, o nel caso della pace di Brest-Litovsko in quello della tragica repressione di Kronstadt grazieai quali si salvò la vittoriosa rivoluzione d’Ottobre inRussia.

Le divergenze di ordine tattico, politico, organizzativoo teorico emergono sempre come conseguenza dell’atti-vità del partito nei diversi campi, conseguenza di unalotta politica che non ha sempre le stesse identiche formenei diversi livelli, ma che si articola con priorità, intensità,mezzi pratici differenti - sebbene sempre indirizzata se-condo criteri di unitarietà e omogeneità politica - a secon-da dei periodi storici, dei rapporti di forza fra le classi edel livello di scontro sociale che la lotta di classe raggiun-ge o dal quale ripiega. La divergenza espressa dalla Sini-stra comunista italiana, negli anni Venti del secolo scorso,nei confronti dell’Internazionale Comunista e dello stes-so Lenin in merito alla tattica del parlamentarismo rivolu-zionario, dato il periodo storico di grande spinta rivolu-zionaria e dato il grande risultato della costituzione dellaTerza Internazionale su fondamenti teorici e politici soli-dissimi, non fu considerata dalla stessa Sinistra comeelemento di rottura, in quanto il corpo teorico su cuiquella tattica si legava era appunto corretto e il fatto chefosse alla base dell’Internazionale Comunista come primotentativo di Partito Comunista Mondiale assumeva ungrande valore storico che non poteva - in quel torno ditempo - essere messo in discussione da una divergenzagiustamente considerata secondaria. Ma quando nel 1926,dopo una serie lunghissima di cedimenti tattici e politicidell’Internazionale Comunista, il corpo teorico originariofu messo in discussione con la teoria del socialismo in unsolo paese, allora la rottura con l’Internazionale si reseobiettivamente necessaria, perché a quel punto la rottanon era più raddrizzabile, come d’altra parte la storiadimostrò ampiamente.

Se il partito, pur non incoraggiandoli, deve prevederel’emergere sulle più varie questioni di punti di dissensoo di divergenza, esso sa anche che non sono particolariprecetti scritti che potranno impedire il loro emergere. Mal’esperienza delle lotte passate, e delle tragiche ondateopportuniste che hanno travolto il movimento comuni-sta, ha prodotto le Tesi sull’organizzazione cui ci siamocontinuamente riferiti. E in qualche modo potremmo an-che tentare di elencare in brevissimi punti alcuni atteggia-

menti cui i militanti di partito devono attenersi perchéquell’esperienza non vada perduta.

Ci sono delle condizioni grazie alle quali il dissenso ola divergenza possono essere di stimolo al partito perscolpire meglio, con più chiarezza, le proprie linee politi-che e tattiche nella prospettiva di una continuità organiz-zativa e d’azione; o possono addirittura diventare, nellosviluppo di una lotta politica che non riguarda più soltan-to i rapporti del partito con l’esterno, ma la vita interna delpartito, punti di necessaria rottura e scissione.

Come ad esempio:1) collegare sempre il dissenso o la divergenza all’im-

postazione organica e impersonale dell’attività e dell’azio-ne del partito;

2) enunciare le questioni su cui il dissenso si esprimerapportandole alle linee politiche e tattiche che il partitosi è dato e che lo definiscono nella sua attività;

3) evitare ogni decisione o scelta dettata dal desideriodi ottenere risultati positivi con il minimo sforzo;

4) non cedere all’innamoramento di formule o paroled’ordine o azioni ritenute di per sé di più facile e imme-diata comprensione da parte delle masse;

5) non alzare più o meno artificialmente barriere frateoria e prassi, tenere perciò sempre presente che nonsolo la rivoluzione non è questione di forme di organiz-zazione, ma non lo è nemmeno l’attività del partito voltaallo sviluppo e alla preparazione rivoluzionaria di se stes-so e del proletariato;

6) escludere a priori aggiornamenti, innovazioni, revi-sioni della teoria marxista, siano avanzati da elementidotati intellettualmente o da organismi direttivi del parti-to; allo stesso modo, escludere aggiustamenti del pro-gramma politico del partito col pretesto di situazioni«nuove» ed «impreviste» nel mondo, nel paese in cui siè presenti o all’interno stesso del partito;

7) rifiutare la cieca disciplina alle direttive impartitedagli organi dirigenti il partito, poiché l’adesione al par-tito non è un atto di fede, come si rifiuta la rivendicazionedella libertà di analisi, di critica e di prospettiva;

8) escludere le soluzioni amministrative per dirimere ledivergenze (come chiedere o dare le dimissioni, sospen-dere da un incarico, espellere ecc.), ma affrontare e risol-vere le divergenze politicamente, prendendo atto, se ildistacco dalle basi politiche e teoriche del partito diventaincolmabile, dell’impossibilità di un lavoro in comune;

9) escludere il metodo della formazione di frazioniinterne come risposta alle difficoltà di far passare nelpartito linee tattiche, politiche o organizzative diverse daquelle esistenti; escludere il metodo della pressione ide-ologica o pratica come strumento terroristico nei confron-ti dei compagni divergenti;

10) l’indipendenza politica e organizzativa del partito,dunque la sua autonomia da ogni altro raggruppamentopolitico e da ogni istituzione e apparato del capitalismoe del suo Stato, riguarda la collettività-partito e obbligai propri militanti a difenderla in ogni circostanza, ma nonpuò mai essere intesa come autonomia del singolo mili-tante rispetto al partito stesso;

11) non cedere all’illusione che l’alleanza con altrigruppi o partiti politici, in forma più o meno stretta, tem-poranea o prolungata, possa essere utilizzata dal partitocome scorciatoia per raggiungere più velocemente un’in-fluenza sulle masse.

La giusta comprensione del centralismo organico pas-

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sa attraverso la questione non solo della stretta disciplinapolitica e organizzativa che deve caratterizzare il partito,ma anche attraverso il modo in cui si affrontano i dissensie le divergenze che nascono nel partito. Ci sono staticompagni che (nel 1973-74) uscirono dal partito formandoun altro raggruppamento politico intorno al periodico IlPartito Comunista (23), e che avanzarono questa tesi: nelpartito di classe non esiste la lotta politica; se c’è lottapolitica vuol dire che quel partito non è più il partito diclasse.

E’ chiaramente una visione metafisica del partito, l’il-lusione di un’organizzazione perfetta, senza sbavature,dissensi, divergenze o scissioni. Insomma, sarebbe comedire che il Partito comunista d’Italia del 1921 o il PartitoBolscevico di Lenin non erano partiti rivoluzionari. Que-sta visione non si discosta poi molto da quella di saporeanarchicheggiante per cui ogni militante di partito è difatto il partito, e quindi ogni molecola che compone lacollettività partito è, di fatto, indipendente dalle altre,pensa e agisce in piena autonomia. Ciò non impedisce aquel gruppo di giurare fede assoluta al programma e alletesi della Sinistra comunista. Ma, ostentare ammirazioneper i testi classici e di partito non significa non caderenell’opportunismo. Le Tesi di Milano (24) che abbiamogià citato, non a caso sostengono che «a nulla vale uncorpo di tesi se quelli che le accolgono con entusiasmodi tipo letterario non riescono poi nella pratica azionead afferrarne lo spirito e a rispettarlo, e vogliono ma-scherarne la trasgressione con una più accentuata maplatonica adesione al testo teorico».

D’altra parte, nella storia del movimento comunista, edei suoi precipizi degenerativi, le divergenze che lo hannotormentato e infine distrutto spesso colpivano i verticiprima della base. Non per caso, quindi, abbiamo sempreaffermato che a nessun militante (e soprattutto ai capi) èpermesso improvvisare nuove tattiche, nuove formuleorganizzative, ma ognuno si deve attenere in modo obbli-gatorio non solo al programma del partito e alle sue lineepolitiche generali, ma anche alle direttive d’azione che daquelli discendono e che sono le norme d’azione. Nel testodi partito intitolato Struttura economica e sociale dellaRussia d’oggi, si può leggere infatti:

«Indubbiamente la nostra lotta è per l’affermazione,nella attività del partito, di norme d’azione “obbligatorie”del movimento, le quali devono non solo vincolare ilsingolo e i gruppi periferici, ma lo stesso centro del par-tito, al quale in tanto si deve la totale disciplina esecutiva,in quanto è strettamente legato (senza diritto a improvvi-sare, per scoperta di nuove situazioni, di ciarlataneschiapertisi “corsi nuovi”) all’insieme di precise norme che ilpartito si è dato per guida dell’azione» (25). Non vi èammessa alcuna libertà d’opinione, né d’azione, tantomeno per i compagni del centro che hanno la responsa-bilità di guidare il partito.

Ragione di più, questa del negare il dirittoall’improvvisazione, per gettare alle ortiche il metodo de-mocratico delle consultazioni e dei voti.

IL LAVORO COMUNE NELL’ ATTIVITA’DI PARTITO

L’abitudine al lavoro associato che il capitalismo haimposto all’umanità, se da un lato ha fatto fare un saltostorico formidabile alle forze produttive e al loro sviluppo,ha d’altra parte convogliato le stesse forze produttive

nell’imbuto della produzione e riproduzione del capitaleper cui la stragrande maggioranza della popolazione umanaè sottomessa al lavoro salariato che è sì associato maall’esclusivo scopo di estorcerne il plusvalore, ossia laquantità di tempo di lavoro non pagato che il capitalistavalorizza nel profitto capitalistico. Il lavoro in fabbrica,negli uffici, nei campi, sotto il capitalismo non è piùindividuale; ogni operaio, ogni impiegato, ogni lavorato-re agricolo è addetto ad un segmento del ciclo produttivocomplessivo che, per completarsi prima di trasformarsi inprodotti pronti per la vendita nel mercato, ha bisogno ditanti altri operai, impiegati, lavoratori agricoli, ciascunodei quali addetto agli altri segmenti del ciclo produttivo.E non ha importanza che ogni singolo lavoratore sappiaesattamente che cosa deve fare ogni altro singolo lavo-ratore; l’importante per il capitalista è che ogni lavoratoresalariato svolga la sua specifica mansione nel minor tem-po possibile e al costo inferiore possibile in modo chedall’intero ciclo produttivo sgorghi il maggior profittopossibile.

Il capitalista ha la visione completa del ciclo produt-tivo dal quale ottenere il suo profitto, l’operaio ha unavisione parziale, limitata, in ultima analisi cieca del cicloproduttivo in cui è inserito il suo sfruttamento specifico.

Ciò che accomuna i lavoratori salariati non è tanto ilfatto di essere impegnati in un ciclo produttivo che ha unsuo inizio e una sua conclusione, ma il fatto di lavoraresotto le stesse condizioni di sfruttamento che sono ap-punto quelle salariali: è il rapporto fra i possessori dicapitale, dei mezzi di produzione e degli strumenti didominio sociale e i possessori di forza lavoro; insomma,il rapporto fra borghesi e proletari.

Nel corso di sviluppo dell’economia capitalistica gliinteressi di classe fra borghesi e proletari si acuiscono, sidifferenziano e si fanno sempre più antagonisti, anche sei proletari - rincretiniti dalla propaganda borghese suipresunti interessi comuni tra sfruttatori e sfruttati - nonne percepiscono la profondità e l’inconciliabilità. Lo stes-so concetto di interesse comune prende il significatofalso dell’interclassismo, ossia di qualcosa che porta deibenefici a tutti coloro che si riconoscono in quell’interes-se comune al di sopra delle differenze di classe; ci siriferisce soprattutto ai decantati valori di patria, di nazio-ne, di cultura, di religione o semplicemente di azienda, avalori che nella materialità della vita quotidiana perdonoil loro alone idealistico e svelano tutta la meschina realtàdel mercato nel quale si incontrano fabbricanti e consu-matori, venditori e acquirenti, imbonitori e gonzi, strozzinie strozzati, speculatori e imbrogliati.

Nella società borghese gli interessi sono di classe,quindi sono fondamentalmente antagonisti rappresen-tando, come rappresentano, obiettivi sociali e storici in-conciliabili. La loro conciliazione è storicamente impossi-bile; perciò se la conciliazione è affermata e praticata losi deve ad un rapporto di forza che obbliga l’altra classeo le altre classi alla propria sottomissione. E nella societàborghese molte sono le forze sociali che operano per laconciliazione fra le classi: la borghesia dominante, innan-zitutto, le mezze classi, la religione, l’opportunismo e lasua forma più moderna che è il collaborazionismo. «Lamorte delle energie rivoluzionarie - sostiene un nostrotesto fondamentale - è nella collaborazione tra le classi»(26).

L’interesse comune nella società divisa in classi nonriguarda le classi antagoniste, ma la classe in sé, e può

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essere declinato nelle mille stratificazioni in cui la moder-na società capitalistica suddivide ogni classe sociale.L’interesse comune, nel senso borghese, è legato sempread una convenienza economica o politica e può riguarda-re la convenienza immediata fra due persone fino allaconvenienza storica tra forze sociali e Stati; la prospettivain cui questo interesse è inserito è la conservazione so-ciale, il mantenimento del modo di produzione capitalisti-co e delle sue condizioni di sviluppo. L’interesse borghe-se si basa sull’appropriazione privata dei prodotti, sullaproprietà privata, e si riconosce soltanto nella società enel potere politico che difende e conserva queste basi.L’interesse comune per i borghesi è quello che difende iloro privilegi sociali.

L’interesse comune nel senso proletario è collocatoad un livello superiore, tendenzialmente impersonale, le-gato alle condizioni di vita e di lavoro in cui si trovanotutti i proletari, non importa chi sia il loro padrone capi-talistico; tutte le volte che questo interesse comune vieneabbassato al livello economico e personale esso perde lasua caratteristica proletaria di classe, quella che lo inse-risce nella prospettiva della rivoluzione sociale, del rivo-luzionamento politico ed economico dell’intera societàche, nel proprio sviluppo, pone le basi materiali per ilsuperamento delle condizioni produttive legate al capita-le e al lavoro salariato. Abbassato al livello economico epersonale, inevitabilmente esso si trasforma in corpora-tivismo, burocratismo, localismo, andando a spezzare latendenza unificante del movimento di classe proletario.

L’interesse di classe è, quindi, comune a tutto il pro-letariato in quanto classe che possiede una prospettivastorica, un programma storico, un obiettivo storico, ap-punto quello della rivoluzione anticapitalistica e, quindi,antiborghese: la rivoluzione che seppellirà definitivamen-te la società del capitale e del lavoro salariato, la societàdegli antagonismi di classe, dei soprusi e delle vessazioni,dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

L’interesse borghese è continuare a sfruttare il lavorosalariato; l’interesse proletario è finirla con il lavoro sa-lariato e il suo sfruttamento capitalistico: di comune que-sti due interessi non hanno nulla!

Il lavoro, nella società borghese, per i proletari è illavoro salariato, ossia il lavoro sottoposto allo sfrutta-mento capitalistico della forza lavorativa della classe pro-letaria. La fondamentale attitudine dell’uomo ad una at-tività di intervento sulla natura per modificare la situazio-ne data a beneficio della sua vita sociale, l’attitudinequindi a fabbricare, a trasformare materiali grezzi in ogget-ti finiti e di utilità sociale - quel che normalmente vienedefinito lavoro - nelle società divise in classi è statapiegata agli interessi delle classi dominanti. Il lavoro èsempre stato una ricchezza sociale, solo che nella societàpresente è la borghesia che si appropria interamente questaricchezza attraverso, appunto, il modo di produzione ca-pitalistico che pone obbligatoriamente il lavoro salariatoal servizio del capitale.

L’interclassismo cancella la distanza fra lavoro sala-riato che produce ricchezza e capitale che se ne appropria,falsando la realtà delle posizioni antagoniste delle rispet-tive classi; esso alimenta l’inganno borghese dell’egua-glianza, della fraternità e della libertà, facendo passare perinteresse comune ai proletari e ai borghesi lo sfruttamen-to del lavoro salariato. Il lavoro comune tra proletari eborghesi non può quindi esserci, o meglio, se c’è, è soloa vantaggio dei borghesi.

Nelle associazioni il lavoro comune ha la funzione diconvogliare l’attività degli associati verso obiettivi co-muni, verso la difesa di interessi comuni. Succede per leassociazioni sportive, sindacali, religiose, economiche,politiche o a delinquere. La differenza, dunque, sta negliobiettivi e nei metodi per raggiungerli. Le associazioniinterclassiste, che hanno perciò obiettivi misti, ossia chetendono a soddisfare interessi di diverse classi, sonoassociazioni ingannevoli perché nella realtà conduconola loro attività secondo criteri di priorità determinati dallaforza degli interessi dominanti, che sono quelli borghesi.Le associazioni di carattere proletario, per difendere effet-tivamente gli interessi del proletariato, non possono me-scolare i propri obiettivi di difesa delle condizioni di vitae di lavoro proletarie con obiettivi di difesa degli interessiborghesi, sul piano aziendale, di quartiere, di comune onazionale, perché i due tipi di interessi si scontrano: ovince l’uno o vince l’altro. E il collaborazionismo fa vin-cere gli interessi borghesi facendoli passare per interessicomuni ai proletari. Se gli interessi non sono quindi co-muni, non può esserci nemmeno lavoro comune.

Il partito politico del proletariato è differente da ognialtro partito politico perché non è un’azienda, non rispon-de cioè ai canoni delle strutture economiche capitalisti-che. Esso ha per obiettivo storico la trasformazione dellasocietà capitalistica in società senza classi, in societàcomunista, in una società in cui le categorie mercantili ecapitalistiche sono state completamente superate. E’ dun-que questo grande obiettivo storico che condiziona ilprogramma e la prassi del partito proletario di classe.L’attività che il partito di classe è chiamato a svolgere ètutta, ripetiamo tutta, indirizzata a realizzare i principi dellarivoluzione proletaria e comunista; quindi il lavoro che imilitanti che formano il partito fanno e devono fare deverispondere a criteri coerenti e organici con il programmadel partito e con i suoi principi.

Nel partito di classe non si fa carriera, non si scalanoposti di comando, non si svolgono ruoli superpagati: nonvi sono manager, ma nemmeno manovali. Le responsabi-lità organizzative nel partito si svolgono sulla base delleesigenze politiche che il partito esprime nel suo sviluppoe in perfetta coerenza con il programma e le linee politichee tattiche definite; e queste esigenze politiche si soddi-sfano soltanto con il lavoro comune di tutto il partito. Illavoro comune, nel partito proletario, è la naturale espres-sione dell’attività di partito; se il lavoro comune si inter-rompe, nel partito si apre una crisi.

La caratteristica specifica del partito proletario di clas-se, oltre al suo programma politico e alla dottrina marxistasu cui si basa, è di non funzionare secondo la prassi e leregole di tutti gli altri partiti che esistono nella societàborghese. Ripetiamo, il partito di classe del proletariatonon è un’azienda e dunque non è teso a combattere laconcorrenza di altri partiti, non convoglia tutte le sueenergie al successo di mercato (numero di iscritti, di voti,di parlamentari ecc.), non si fa guidare nelle sue decisionidalla convenienza economica o politica immediata o futu-ra. Il partito di classe del proletariato è l’organo per ec-cellenza della rivoluzione proletaria e comunista, la guidadi un movimento di classe che non scaturisce dalle “scel-te del mercato elettorale” o del “mercato dei consensi”,ma che è esso stesso determinato dallo sviluppo contrad-dittorio degli antagonismi sociali sulla cui linea di rotturasociale il partito di classe agisce ed ottiene l’influenza ela fiducia delle masse proletarie del mondo.

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Perciò i militanti del partito comunista rivoluzionariosvolgono coerentemente la loro attività alla condizione disvolgerla in perfetta comunione di intenti, di organizza-zione, di metodi, di mezzi e di obiettivi politici e tattici: illavoro comune è l’organica attività di partito. E’, inol-tre, il metodo perché ogni militante si integri effettivamen-te nell’attività di partito, diventi e si senta parte di essa.

In presenza di divergenze, soprattutto quando le di-vergenze prendono consistenza, il lavoro comune ci va dimezzo, l’attività di partito tende a perdere la sua organicità.I virus dell’opportunismo, che tentano costantemente diattaccare il partito di classe del proletariato, hanno piùprobabilità di infettare, in parte o per intero, l’organismo-partito quanto meno l’attività di partito è organica, ossiacoerente con la dottrina, i principi, il programma e le lineepolitiche e tattiche definite. Si comprende bene, allora,quando le nostre Tesi di Napoli dichiarano che «chi,vedendo il partito proseguire per la sua chiara strada, nonsi sente ancora a tale altezza storica, sa benissimo chepuò prendere qualunque altra direzione che dalla nostradiverga», abbandonando le fila del partito senza che ilpartito adotti in materia alcun provvedimento disciplinare(27).

Va detto che i provvedimenti disciplinari non sonoesclusi in assoluto nel partito, ma vanno adottati congrandissima cautela e in situazioni del tutto eccezionali;ad esempio di fronte a compagni che divergono profon-damente dal partito imboccando un’attività sabotatrice ofrazionistica che tende a deviare il partito dalla sua rottadefinita ma con la pretesa di utilizzare a tal fine gli organicentrali e i mezzi di propaganda del partito.

Nel partito non vi è libertà di opinione, ossia non viè libertà di analisi, di improvvisazione, di prospettiva, equindi non vi è libertà di divergere. Ma quando la diver-genza emerge e prende forma, il partito ha il dovere diriprendere i temi della divergenza rimettendoli sul binariodell’originaria impostazione teorica e programmatica, allaluce delle linee politiche e tattiche che derivano dai bilan-ci dinamici del movimento rivoluzionario comunista. E’grazie a questo lavoro di ribadimento, di raddrizzamentoteorico e programmatico che è possibile riassorbire ladivergenza; se anche a questo punto la divergenza nonsi risolve, la strada per coloro che non sono all’altezza deicompiti del partito è semplicemente quella di abbandona-re il partito perché il lavoro comune non è più possibile.

COSCIENZA DI CLASSE?SOLO NEL PARTITO

E’ tesi marxista che la teoria della rivoluzione proleta-ria e del comunismo costituisce la coscienza delle finalitàdel movimento storico della lotta di classe proletaria.Lenin, nel suo Che fare?, sottolineerà con grande forzache il partito, tra i suoi compiti, ha anche quello di impor-tare la teoria rivoluzionaria nella classe del proletariatoperché il proletariato in quanto tale, in sé, come classesalariata per il capitale, non possiede la teoria della suaemancipazione storica dal capitalismo.

Dunque, la conoscenza delle finalità rivoluzionariedella classe proletaria, quindi la sua coscienza, la si trovasolo nel partito di classe.

Più volte nella storia del movimento proletario sonoemerse tendenze di sapore illuminista o semplicementeculturalista, che sostenevano la tesi secondo cui il pro-letariato, nel suo movimento di lotta, acquisisce coscien-

za di classe che, sviluppandosi in parallelo con lo svilup-po della lotta di classe, raggiunge le vette della conoscen-za delle finalità a tal punto che può fare a meno del partitodi classe come guida della rivoluzione, del governo delladittatura proletaria e della trasformazione dell’economiacapitalistica in economia socialista e comunista. Tale tesiha lo scopo di squalificare il ruolo del partito comunistarivoluzionario sia nella preparazione rivoluzionaria che,soprattutto, nell’esercizio del potere rivoluzionario a vit-toria avvenuta. E ha, nello stesso tempo, lo scopo disqualificare il ruolo del movimento di classe del proleta-riato teso a rivoluzionare definitivamente l’attuale socie-tà capitalistica.

Coloro che sostengono che la dittatura deve esseredel proletariato e non sul proletariato, colpevolizzando ilpartito di rifare quel che hanno fatto i partiti borghesidopo la rivoluzione borghese vittoriosa, sono quelli chevedono la coscienza di classe nascere da ogni lotta im-mediata del proletariato, da ogni scontro sociale. E nontengono conto del fatto che il proletariato, in quantoclasse dominata, classe in sé, è succube della propagan-da e dell’influenza ideologica della classe dominante bor-ghese. Questa condizione sociale del proletariato, se daun lato lo spinge a scontrarsi con le classi borghesi perottenere nell’immediato un miglioramento del salario edelle condizioni di lavoro e di vita, dall’altro, pur lottando,ribadisce i limiti dei rapporti sociali borghesi nel quadrodei quali chiede un prezzo più alto per la sua forza lavoro.Un salario più alto non è l’abolizione del salario, ma ne èil ribadimento. E’ invece lo sviluppo della lotta che ilproletariato fa per ottenere le sue rivendicazioni generalie unificanti (salario più alto, drastica diminuzione dellagiornata lavorativa, diminuzione dell’intensità del lavoroecc.) che lo pone - ad un certo punto dello scontro diclasse - nelle condizioni sociali, e politiche, di elevare lasua lotta immediata di difesa a lotta politica generale e diriconoscere nel partito di classe l’organo in grado diguidare lo scontro di classe fino alle estreme conseguen-ze, fino alla conquista del potere politico che si riveleràanche al proletariato come lo sbocco oggettivamente ne-cessario per avviare il processo di rivoluzionamento del-l’intera società.

La lotta immediata, il restare nei limiti determinati dagliobiettivi compatibili con l’impianto politico e sociale bor-ghese, impediscono al proletariato di generare natural-mente, spontaneamente, la coscienza delle sue finalitàstoriche.

Come per ogni classe delle precedenti società, anchela classe proletaria è il prodotto dello sviluppo delle forzeproduttive; rendersene conto non significa «conoscerele finalità storiche» dello sviluppo delle forze produttive,e quindi del movimento di classe, ma significa soltantopercepire la realtà dello scontro di interessi immediati fraproletari e borghesi. Che questo antagonismo porti, ad uncerto punto dello sviluppo sociale, allo scontro finale trale classi per la vita o la morte del capitalismo, lo hascoperto soltanto la teoria marxista, che è appunto laconoscenza delle finalità storiche della lotta fra le classi,teoria che non nasce dalle immediate condizioni socialidel proletariato ma dalle condizioni generali di tutte leclassi e dei loro rapporti nello sviluppo sociale; perciòdeve essere importata nella classe proletaria con la pro-paganda e l’azione del partito di classe.

Solo nel partito politico del proletariato, che è unaassoluta minoranza in termini quantitativi ma è il punto

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più alto storicamente in termini qualitativi, vi è rappresen-tata la coscienza di classe del proletariato, e vi è la pos-sibilità di rappresentare nell’oggi il futuro del movimentodi classe del proletariato. Storicamente, il proletariato,senza partito, ha dimostrato di poter raggiungere un livel-lo di conoscenza delle prorpie finalità del tutto inadegua-to; la Comune di Parigi del 1871 lo ha dimostrato. Comeè dimostrato che il proletariato russo, guidato invece dalpartito bolscevico di Lenin, ha effettivamente conquista-to il potere mantenendolo per tutta la durata della guerracivile con la quale le potenze imperialistiche cercarono diabbatterlo.

L’attività «cosciente» delle masse, sottoposte comesono all’oppressione salariale e alla propaganda borghe-se, darà sempre il comando alle forze borghesi o alle forzedell’opportunismo che non sono altro che forze borghesitravestite da proletarie; e questo succede perché quella«coscienza delle masse» non è altro che la coscienzaborghese trasmessa per via ideologica e sociale a tutte leclassi dominate.

Ci sono coloro che vorrebbero aderire al partito co-munista rivoluzionario alla condizione che questo si limitia fornire al proletariato gli strumenti della critica, le analisidelle situazioni, l’interpretazione degli avvenimenti e lapropaganda delle finalità storiche, dell’ideale del comuni-smo. Insomma, aderirebbero al partito se questo non po-nesse vincoli di teoria, di principi, di programma, di tatticae di organizzazione tali da non lasciare a nessuno dei suoimembri la libertà di elaborazione individuale delle tesi e didibatterle con altre tesi elaborate allo stesso modo al finedi influenzare l’impostazione e la direzione in cui agire delpartito, sottoposto in questo modo all’influenza dell’ideo-logia dominante, che è borghese, sul proletariato nellediverse contingenze. Il partito-piano, alla stessa streguadella tattica-piano, verrebbe così sbriciolato e sostituitocon un partito-processo, condizionato in modo determi-nante non dalle finalità storiche del movimento di classedel proletariato ma dalle vicende della lotta immediata delproletariato e, quindi, impossibilitato a guidare il proleta-riato nella rivoluzione.

In questo modo il proletariato verrebbe trattato comesoggetto cosciente della propria forza e delle proprieprospettive storiche, libero perciò di scegliere teoria,programma, tattica, mezzi metodi ed obiettivi che credepiù appropriati per la sua lotta di emancipazione; mentreil partito verrebbe trattato come guida spirituale, comeuno dei protagonisti della lotta sociale che fornisce - unofra i tanti partiti - la sua versione dei fatti, la sua idea dilotta, la sua visione del mondo, insomma come fosse unsuggeritore, un comiziante, un parlamentare che fa dipen-dere il proprio successo dalla condivisione da parte deiproletari della sua visione del mondo e che, per ottenerequesta “condivisione” è disposto ad abbassare il suolivello ideale a quello borghese che è il livello al qualesocialmente accede ogni proletario. I maoisti di un tempo,con il loro «servire il popolo», avevano sintetizzato benel’ipocrisia borghese tipica del mercante: servire la clien-tela; il popolo è il cliente di ogni politicante borghese, ilproletariato è il cliente di ogni politicante in giubba rossa.

Ridurre il partito ad un compito di pura propagandasignifica trasformarlo in un’azienda di servizio: si basanole sue possibilità di successo sul fatto che il proletariatolo «scelga» come suo fornitore preferito. Il risultato è chesi falsa del tutto il corso oggettivo della storia, la realtàdella lotta fra le classi e si consegnano alla classe borghe-

se i destini della lotta del proletariato. Perché?Perché il proletariato, in quanto classe sociale sotto-

posta al dominio economico e politico del capitalismo,può giungere da solo al massimo alla «coscienza tradeu-nionista» (Lenin) ossia a comprendere che i lavoratorisalariati hanno bisogno di organizzarsi in quanto tali perottenere, nel quadro del capitalismo stesso, un prezzo piùalto per la loro forza lavoro. E’ da questa lotta di difesaimmediata, e dalla reazione della classe dominante bor-ghese attraverso la forza del suo Stato, che emerge social-mente la necessità di superare il livello immediato e tra-deunionistico della lotta, ponendo al proletariato il pro-blema di una lotta più generale con obiettivi che oltrepas-sino i limiti degli interessi immediati, il problema della lottapolitica contro il potere borghese e per la conquista rivo-luzionaria del potere politico. E’ dal movimento di classedel proletariato che si sviluppano le famose scintille dicoscienza di classe di cui parla Lenin nel Che fare?;quelle scintille che sono destinate a mettere in contattola parte più avanzata del proletariato col partito storico (lateoria marxista) e, quando esiste ed agisce nella realtà, colpartito formale.

Perché il proletariato raggiunga il livello di movimentodi classe è necessario che si riconosca in un programmapolitico che riguarda il movimento storico dell’intera classeproletaria, in una lotta che è lotta di tutte le classi dellasocietà e nella quale la classe proletaria primeggi su tuttele altre. La frammentazione del proletariato nella societàcapitalistica organizzata per aziende concorrenti, per ca-tegorie, sottocategorie e stratificazioni sempre più nume-rose di lavori, la dipendenza economica e sociale dallaquotidiana vendita della propria forza lavoro, la concor-renza costante fra proletari che il capitalismo alimenta inpermanenza, inducono e costringono i proletari ad unavisione immediata, parziale, tendenzialmente corporativae individualistica della vita e del mondo. Soltanto nellalotta delle associazioni di difesa immediata i proletari con-quistano un livello più ampio di obiettivi e di esperienza,un livello che tende alla solidarietà, all’unificazione, alriconoscimento di interessi comuni contro i quali le forzedella conservazione sociale reagiscono in tutti i modi,compresi quelli violenti.

Ma è all’esterno dei rapporti immediati, parziali, quo-tidiani, corporativi e delle lotte che vi corrispondono,dunque a livello generale dei rapporti sociali di produzio-ne e di scambio e dello sviluppo delle forze produttive neiquali sono coinvolte tutte le classi presenti nella società,che si è formata la coscienza di classe del proletariato, lateoria marxista, insomma il partito storico dell’unica clas-se rivoluzionaria dell’epoca del capitalismo. Lo scontrofra lo sviluppo delle forze produttive e le forme in cuiqueste forze si sviluppano crea le condizioni oggettiveper il rivoluzionamento della società, per l’emancipazionedel proletariato dall’oppressione del lavoro salariato checorrisponde, dialetticamente, all’emancipazione dell’uma-nità intera dal capitalismo. La coscienza di questo proces-so storico di sviluppo della lotta fra le classi, e dellosbocco storico rivoluzionario, è rappresentata dalla teoriamarxista del comunismo che può essere posseduta sol-tanto da quell’organo specifico che rappresenta nell’oggiil futuro di emancipazione del proletariato, appunto ilpartito comunista rivoluzionario. E’ per questo che il partitonon fa dipendere i suoi compiti, la sua attività, il suoprogramma e la sua organizzazione dalla lotta immediatadel proletariato, ma dalla lotta generale anticapitalistica e

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antiborghese condotta fino in fondo, fino alla completadistruzione del potere borghese e del capitalismo, finoalla completa trasformazione dell’intera società divisa inclassi antagoniste nella comunità futura, fraterna nel-l’armonia gioiosa dell’uomo sociale.

Il partito, perciò, rivolge la sua attività verso tutte leclassi della società, e comprende nelle sue fila elementiprovenienti da tutte le classi sociali perché nel partito nonsi è più operai, impiegati, intellettuali, artigiani o contadi-ni, ma si diventa comunisti, militanti del partito che lottaper il rivoluzionamento completo della società presente;del partito che lotta, nello stesso tempo, contro l’influen-za e le abitudini che la borghesia diffonde e radica in tuttii pori della società; del partito che non smette un istantedi svolgere la sua attività controcorrente, di sognare larivoluzione, di permeare la sua vita interna dello spiritoproletario e rivoluzionario.

La coscienza di classe che il partito comunista rivolu-zionario possiede è una qualità specifica del partito sto-rico che i militanti non possiedono individualmente e chenon possono ereditare come fosse una proprietà o undiritto scritto. E’ la coscienza di classe, dunque la teoriarivoluzionaria, che forma i militanti di partito, non il con-trario. Per questo, senza partito, senza attività e lavoro dipartito non si può parlare di coscienza di classe, di mo-vimento di classe, ossia di movimento del proletariatodiretto verso finalità storiche che superano e dialettica-mente negano le sue caratteristiche specifiche di classe.

Ogni visione, ogni concezione che riporta la coscien-za di classe al livello del singolo individuo o di gruppi diindividui, quindi al di fuori del partito comunista rivolu-zionario, risponde all’ideologia borghese e perciòantirivoluzionaria.

Abbracciando la concezione del mondo e della storiadell’umanità che corrisponde alla teoria marxista del co-munismo si è oggettivamente obbligati a porsi in antago-nismo con l’ideologia borghese, negandole ogni possibi-le sviluppo positivo. All’obiettivo della conservazionesociale del dominio capitalistico sulla società il comuni-smo rivoluzionario contrappone l’obiettivo del completorivoluzionamento della società capitalistica e della distru-zione di ogni sua difesa; ideologica, sociale, economica,politica e militare. Perciò le «armi della critica» che ilmarxismo rappresenta nel corso della lotta fra le classidevono diventare «critica delle armi» nel periodo rivolu-zionario, e questo passaggio non può avvenire che grazieall’attività e all’azione del partito di classe che assicura almovimento di classe del proletariato il suo sviluppo or-ganico nella realtà storica dell’evoluzione sociale del-l’umanità.

La realtà storica non si muove secondo i dettami dellademocrazia politica che la borghesia ha adottato per lasua rivoluzione e la conservazione del suo potere; simuove secondo le linee storiche delle forze sociali chetendono a superare i limiti della divisione della società inclassi antagoniste, e che nello sviluppo delle forze pro-duttive tendono a rompere ogni intralcio - economico,politico, sociale, ideologico - all’evoluzione oggettivadello sviluppo dell’organizzazione sociale umana. Com-battendo contro l’utopismo che descriveva la societàfutura come voleva che fosse, Marx la descrive comesarà; e ci sono migliaia di pagine di Marx e di Engels, diLenin e del nostro lavoro di partito, a dimostrare che ilmarxismo non si è limitato a ridurre il socialismo all’elimi-nazione dello sfruttamento, all’eliminazione delle

diseguaglianze sociali. La forza della teoria marxista stanell’adesione materialistica e dialettica al reale sviluppostorico della società umana, e qui riprendiamo da Engelsun potente brano del suo Antidühring:

«Con la presa di possesso dei mezzi di produzione daparte della società, viene eliminata la produzione di mercie con ciò il dominio del prodotto sui produttori. L’anar-chia all’interno della produzione sociale viene sostituitadall’organizzazione cosciente secondo un piano. La lot-ta per l’esistenza individuale cessa. In questo modo, in uncerto senso, l’uomo si separa definitivamente dal regnodegli animali e passa da condizioni di esistenza animali acondizioni di esistenza effettivamente umane. La cerchiadelle condizioni di vita che circondano gli uomini e chesinora li hanno dominati passa ora sotto il dominio e ilcontrollo degli uomini, che adesso, per la prima volta,diventano coscienti ed effettivi padroni della natura, per-ché, ed in quanto, diventano padroni della loro propriaorganizzazione in società. Le leggi della loro attività so-ciale, che sino allora stavano di fronte agli uomini comeleggi di natura estranee e che li dominavano, vengono oraapplicate dagli uonini con piena cognizione di causa equindi dominate. L’organizzazione in società propria degliuomini che sinora stava loro di fronte come una leggeelargita dalla natura e dalla storia, diventa ora la loropropria libera azione. Le forze obiettive ed estranee, chesinora hanno dominato la storia, passano sotto il control-lo degli uomini stessi. Solo da questo momento gli uo-mini stessi faranno con piena coscienza la loro storia,solo da questo momento le cause sociali da loro postein azione, avranno prevalentemente, e in misura semprecrescente, anche gli effetti che essi hanno voluto. E’questo il salto dell’umanità dal regno della necessità alregno della libertà»; e più oltre, alla fine del capitolo:«Compiere quest’azione di liberazione universale è il com-pito storico del proletariato moderno. Studiarne a fondole condizioni storiche e conseguentemente la natura stes-sa e dare così alla classe, oggi oppressa e chiamataall’azione, la coscienza delle condizioni e della naturadella sua propria azione è il compito del socialismoscientifico, espressione teorica del movimento proleta-rio» (28). Le sottolineature sono nostre. Il socialismoscientifico, dunque, la teoria del comunismo che siconcretizza nell’attività e nell’azione del partito comuni-sta rivoluzionario, ha il compito di dare alla classe lacoscienza delle condizioni della sua rivoluzione, della suaemancipazione dal capitalismo.

La preistoria dell’uomo terminerà, dunque, con la finedelle società divise in classi, e l’uomo finalmente imporràla propria storia attraverso la distruzione della societàcapitalistica - e con essa di ogni residuo delle societàprecapitalistiche - e l’avvio della nuova società senzaclassi, della nuova collettività umana.

In un Filo del tempo del 1953, nella polemica con ungruppo francese di raddobbatori, Socialisme ou Barba-rie, Amadeo Bordiga riprese i temi teorici collegati alladifesa dell’invarianza del marxismo per ribadire le posizio-ni del partito rispetto alla questione del partito, dellecoscienza «delle masse», della cultura ecc. E, commen-tando il passo di Engels che abbiamo citato, sottolineavacon perfetta sintesi: «L’ora dipinta nel potente squarciodi Engels è quella che verrà dopo la presa di possessosociale dei mezzi di produzione, la fine della concorrenzaeconomica e del mercantilismo: ossia verrà molto dopo laconquista del potere politico. Allora per la prima volta si

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avrà un’attività cosciente degli uomini, della collettivitàumana. Allora, in quanto non vi saranno più classi» (29);le sottolineature sono di Amadeo Bordiga.

Quell’attività cosciente degli uomini, dell’intera col-lettività umana, è storicamente anticipata nel partito diclasse, e solo in esso. Ma, come è utopistico pensare chenel partito di classe si possano realizzare i caratteri delcomunismo che un giorno saranno propri di tutti gli esseriumani e che, quindi, nella collettività-partito si possanogià vivere i rapporti sociali del comunismo, così è devian-te pensare che il partito costituisca una specie di pezzodi comunismo già realizzato nel pieno della società capi-talistica (e ancor più deviante è pensare che il comunismosia possibile realizzarlo in un solo paese, in un solo ter-ritorio dove la conquista del potere politico da parte delproletariato sia avventuta).

La società futura, il comunismo, non si imporrà allostesso modo in cui si è imposto il capitalismo sul feuda-lesimo, cioè non vedrà la luce attraverso uno sviluppoeconomico che trasformi il modo di produzione all’internodei vecchi rapporti sociali e politici prima di porre laquestione del potere politico che liberi al suo completosviluppo un modo di produzione nuovo già presente eattivo. Il comunismo potrà imporsi solo attraverso unpercorso storico completamente rovesciato rispetto a quel-lo che hanno seguito le classi nel corso della storia pre-cedente: prima dovrà essere risolta la questione del po-tere politico centrale, e quindi il proletariato dovrà abbat-tere il potere borghese e poi, soltanto dopo, a poterepolitico conquistato e mantenuto nel tempo, si potrà met-tere mano alle trasformazioni economiche che seppelli-ranno la produzione di merci e l’anarchia produttiva delcapitalismo per lasciare libero il cammino alla nuova or-ganizzazione e pianificazione economica e sociale. Il tea-tro della lotta per il comunismo è il mondo e non la fab-brica, il comune, il paese. E’ lo sviluppo reale delle forzeproduttive che ha raggiunto lo stadio del capitalismo,l’universalizzazione del modo di produzione capitalistico,che permette di trasformare la produzione di merci inproduzione di prodotti utili alla vita sociale dell’uomo;che permette - una volta distrutti i vincoli di classe cheimpediscono alla società di progredire - all’uomo di nonessere più dominato dalla produzione di merci, ma didominare la sua vita economica e sociale.

Il partito - che è di classe nel senso che rappresentadialetticamente gli interessi generali e storici dell’unicaclasse che rivoluzionerà l’attuale società distruggendoneogni rapporto di classe - rappresenta nello stesso temposia gli interessi generali e storici della classe rivoluziona-ria proletaria, lanciata alla conquista del potere politiconella sua lotta anticapitalistica e antiborghese, sia gliinteressi generali della società umana che, nell’emancipa-zione del proletariato dal capitalismo, trova la via del-l’emancipazione generale di tutta la società da ogni divi-sione di classe, da ogni vincolo determinato dalla divisio-ne sociale in lavoro salariato e capitale, e quindi da ognioppressione di classe derivante da questa divisione. Nelrappresentare questo ben preciso corso storico, il partitocomunista rivoluzionario rappresenta contemporaneamen-te la necessità della rivoluzione proletaria e della dittaturadi classe e il suo superamento, la necessità della conqui-sta rivoluzionaria del potere politico e della costituzionedello Stato proletario e la sua estinzione. In questa suaduplice funzione, in questa sua dialettica esistenza, ilpartito rivoluzionario è di classe nei suoi compiti rivolti

alla lotta contro il capitalismo e la borghesia, e non è «diclasse» ma è comunista nel suo rappresentare nell’oggiil futuro della società umana, il comunismo appunto.

Il partito svolge i suoi compiti in modo organico per-ché non nega se stesso, non rinuncia a svolgerli nellasocietà capitalistica per prepararsi a quelli della futurasocietà senza classi; e non rinuncia a rappresentare gliinteressi generali e storici della società umana liberatadalle condizioni di esistenza sottoposte al dominio capi-talistico per dedicarsi alla sola lotta di classe nell’attualecorso storico capitalistico. Coloro che rifuggono dalmetodo dialettico non riescono a comprendere, ad esem-pio, che lottare per l’abolizione del lavoro salariato nonsignifica abbandonare il terreno della lotta proletaria peril salario, perché è attraverso la lotta proletaria anticapi-talistica che il proletariato si prepara e allena alla lotta perobiettivi più alti e storici. E compito del partito rivoluzio-nario è di intervenire nella lotta immediata del proletariatoper portarvi gli elementi politici e teorici dell’unificazionedel proletariato in un’unica grande lotta contro il capita-lismo e, quindi, stabilire il contatto con le scintille dicoscienza di classe generate dallo sviluppo della lottaproletaria. In mancanza di questo contatto il proletariatoè destinato a restare nel quadro dei rapporti sociali bor-ghesi, che lotti o meno contro i padroni. Perciò il partitonon perde occasione di utilizzare ogni spiraglio che siapre alla lotta proletaria per introdurvi la propria azione,la propria attività cosciente e pianificata indirizzata allalotta rivoluzionaria.

Contro tutti coloro che, elucubrando sulla «coscienzadelle masse», sull’autonomia e sulla libertà individuale,squalificano il ruolo del partito rispetto alla rivoluzione ealla dittatura proletaria, e che perciò deviano nel pantanodemocratico l’attività e l’azione del partito; contro tutticoloro che sostengono che il partito deve limitarsi adorientare la lotta del proletariato, e non a guidarla; con-tro tutti coloro che sostengono che il partito, dati glisviluppi degenerativi che si sono svolti nel corso storicodella lotta proletaria e rivoluzionaria, non ha più ragionedi esistere se non per la pura propaganda della societàfutura, opponiamo la nostra tesi:

«Sempre più la classe operaia, nel suo lungo corsostorico verso la rivoluzione, ha bisogno del suo partitopolitico! Successivamente muoiono le prime forme di as-sociazione, mutualistica, cooperativa, sindacale (dopo larivoluzione), aziendale, statale (soviet o simile che nascedopo la rivoluzione e in quanto vi è la dittatura di classe):il partito in tutto questo corso si potenzia sempre più edin un certo senso non sparisce mai, anche dopo la spa-rizione delle classi, poiché diviene l’organo di studio eorganizzazione della lotta tra la specie umana e le condi-zioni naturali» (30).

La caratteristica organica dell’attività di partito derivada questa prospettiva storica; la qualità organica del suocentralismo risponde allo sviluppo reale e storico delleforze sociali e alla direzione cosciente e volontaria che ilpartito imprime a queste forze. Nella battaglia contro l’in-fluenza e la prassi del mercantilismo che il partito comu-nista rivoluzionario fa per mantenere la rotta rivoluziona-ria e per allenarsi ai suoi compiti rivoluzionari, la colletti-vità-partito si dota di strumenti e forme d’organizzazioneche via via rispondano più adeguatamente a quei compiti.Perciò la forma democratica, considerata del tutto acci-dentale, è stata abbandonata e con essa tutto il bagaglioideologico delle libertà e delle autonomie personali.

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Concludiamo con un altro brano ripreso dal lavoro dipartito sul bilancio della rivoluzione e controrivoluzionein Russia e che sintetizza i punti cardine relativi alla vitainterna di partito e alla sua definizione nella prospettivarivoluzionaria, partendo da garanzie non formali ma so-stanziali in tema di organizzazione:

«Dottrina: il Centro non ha facoltà di mutarla da quellastabilita, sin dalle origini, nei testi classici del movimento.Organizzazione: unica internazionalmente, non varia peraggregazioni o fusioni ma solo per ammissioni individua-li; gli organizzati non possono stare in altro movimento.Tattica: le possibilità di manovra e di azione devono es-sere previste da decisioni dei congressi internazionalicon un sistema chiuso. Alla base non si possono iniziareazioni non disposte dal centro; il centro non può inven-tare nuove tattiche e mosse, sotto il pretesto di fattinuovi.

«Il legame tra la base del partito ed il centro divieneuna forma dialettica. Se il partito esercita la dittatura dellaclasse nello stato, e contro le classi cui lo stato agisce,non vi è dittatura del centro del partito sulla base. Ladittatura non si nega con una democrazia meccanica in-terna formale, ma col rispetto di quei legami dialettici»(31).

I lettori non si facciano confondere dal fatto che nel

(1) Vedi Il principio democratico, di A. Bordiga, in«Rassegna Comunista», anno II, n. 18 del 28 febbraio 1922,riprodotto nel volumetto di partito intitolato Partito eclasse, n. 4 dei «testi del partito comunista internaziona-le», Napoli 1972, pp. 62-63.

(2) Cfr. le Tesi sul compito storico, l’azione e la strut-tura del partito comunista mondiale, secondo le posizio-ni che da oltre mezzo secolo formano il patrimonio stori-co della sinistra comunista - luglio 1965, note come Tesidi Napoli perché presentate alla riunione generale di par-tito in quella città; pubblicate ne «il programma comuni-sta» n.14 del 28 luglio 1965, poi raccolte nel volume n.2della serie «i testi del partito comunista internazionale»intitolato In difesa della continuità del programma co-munista, Firenze 1970; la citazione è a pag. 178. Un annodopo, alla riunione generale di Milano dell’aprile 1966, ri-prendendo lo stesso tema, furono presentate le Tesi Sup-plementari sul compito storico, l’azione e la strutturadel partito comunista mondiale, pubblicate ne «il pro-gramma comunista» n. 7 del 1966, poi raccolte anch’essenel volume n. 2 citato.

(3) Ibidem, pag. 180.(4) Come magnificamente descritto nel testo di partito

intitolato Considerazioni sull’organica attività del par-tito quando la situazione generale è storicamente sfavo-revole, pubblicato per la prima volta in «il programma co-munista» n. 2 del 1965, raccolto poi nel volumetto intitola-to In difesa della continuità del programma comunista,n. 2 dei «testi del partito comunista internazionale», cit. p.167.

(5) Cfr. le tavole che completano seppurschematicamente il tema del Rovesciamento della prassinella teoria marxista, svolto nella riunione generale dipartito tenuta a Roma nell’aprile del 1951, poi raccolte inAppendice al volumetto Partito e classe, cit., alle

pagg.130-137; quella qui svolta è la tavola II, pag. 131.(6)Vedi Lenin, Tre fonti e tre parti integranti del marxi-

smo, 1913, in Opere, vol. 19, pagg. 9-14; questa citazione apag. 9.

(7) Vedi Lenin, Karl Marx, in Opere, vol. 21, pagg. 35-79; questa citazione a pag. 49.

(8) Cfr. le Tesi caratteristiche del partito, presentatealla riunione generale di Firenze del dicembre 1951, pubbli-cate in forma riassuntiva nell’opuscolo “Sul filo del tem-po” del maggio 1953, e integralmente ne «il programmacomunista» n.16 del 1962; poi raccolte nel volumetto Indifesa della continuità del programma comunista, cit; ilbrano è ripreso dalla Parte IV. Azione di partito in Italia ealtri paesi al 1952, a pag. 163.

(9) Ci si riferisce alla scissione che diede origine al par-tito cui noi ci ricolleghiamo direttamente, e cioè il «partitocomunista internazionalista-programma comunista», men-tre la parte che fece azione di frazionismo fino all’azionegiudiziaria per trattenere nelle proprie mani l’allora giorna-le di partito, «battaglia comunista», e che volle a tutti icosti organizzare un congresso in cui contrapporre alletesi del partito le proprie tesi, continuò, e continua ancoroggi, la sua deriva opportunista.

(10) Vedi lo Statuto del Partito ComunistaInternazionalista, 1946, che come cappello riportava laseguente frase: Il presente statuto, che è la riproduzioneaggiornata dello Statuto votato dal II CongressoNazionale del P. C. d’I, nel 1922, è valido fino al prossimoCongresso del Partito.

(11) Cfr. il testo delle Tesi caratteristiche del partito,dicembre 1951, cit., parte IV.Azione di partito in Italia e altripaesi al 1952, punto 10, In difesa della continuità del pro-gramma comunista, cit., pag. 163.

(12) Ibidem, pag. 163.(13) Ibidem, pag. 163.

brano ora citato, a proposito di tattica, si è usato il termine«congressi internazionali» quale luogo nel quale il partitoprende le sue decisioni in merito, appunto, alla tattica.All’epoca era usuale utilizzare questo termine per inten-dere le riunioni generali, internazionali del partito, comeera ancora usuale chiamare interfederali le riunioni regio-nali. Rimane evidente e chiaro, già all’epoca, che le deci-sioni che il partito prende non passano per conta dei voti,né nei congressi internazionali né in quelli nazionali onelle riunioni delle organizzazioni della base. Il legamedialettico tra centro e base del partito permette di supe-rare l’uso accidentale del meccanismo democratico. Poi-ché né alla base né al centro del partito è consentitaautonomia di analisi, di critica e di prospettiva, e nonsono consentite manovre ed azioni non previste dallelinee politiche e tattiche già definite e valide per tutto ilpartito, le decisioni che il partito prende nelle sue riunioni,internazionali e non, le prende con sistema chiuso, chiusoappunto alle consultazioni democratiche, allecontrapposizioni di tesi, alla conta dei voti. Gli apporti deimilitanti, delle sezioni, degli organi specifici del partitohanno lo scopo di migliorare e scolpire meglio le lineepolitiche e tattiche già definite, alla luce di avvenimenti,fatti e situazioni che obbligano il partito a prendere po-sizione e a decidere la propria azione.

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(14) Cfr., ad esempio, il nostro lavoro di bilancio dellecrisi del partito, fin dai primissimi numeri de «il comunista»nel 1985 e il recente opuscoletto Sulla formazione delpartito di classe.

(15) Cfr. le Tesi di Napoli, cit. contenute nel volumettoIn difesa della continuità..., cit. punto 8, pag. 178.

(16) Cfr. le Tesi di Napoli, cit. punto 10, pag. 179.(17) Ibidem, pag. 179.(18) Ibidem, pag. 179.(19) Ibidem, pag. 179.(20) Si tratta delle Tesi sul compito storico, l’azione e

la struttura del partito comunista mondiale, del 1965 e1966 presentate e adottate dal partito nelle due riunionigenerali di Napoli e di Milano di quegli anni, da cui abbia-mo ripreso diversi brani.

(21) Cfr., Considerazioni sull’organica attività delpartito..., cit. pag. 167.

(22) Vedi le Tesi di Napoli, cit. punto 13, pag. 182.(23) Il Partito Comunista è il periodico di un gruppo

politico che ha ripreso lo stesso nome del nostro partito,costituitosi dopo la scissione da «programma comuni-sta» nel 1974, e che ancor oggi per molti sono «i fiorentini»poiché quella scissione fu determinata dalla quasi totalitàdei membri della sezione di Firenze del partito di allora, aiquali si aggregarono poi altri componenti di alcune sezionitoscane.

(24) Cfr. le Tesi di Milano, cit., punto 6, pag. 185.(25) Cfr Struttura economica e sociale della Russia

d’oggi, testo di partito pubblicato tra il 1955 e il 1957 nel«programma comunista» e poi raccolto in volume conaltri due testi, nel 1976. Questo testo condensa in forma

poderosa il bilancio dinamico che il partito fece della rivo-luzione russsa e della controrivoluzione borghese, chia-mata staliniana, ed è stata la base fondamentale di tutto illavoro di acqusizione teorica e d’impostazione politica perle generazioni di militanti di quegli anni e degli anni a veni-re. La citazione è a pag. 54, quando si imposta la questionedella tattica.

(26) Cfr. Forza violenza dittatura nella lotta di classe,1946-48, pubblicato per la prima volta nell’allora rivista te-orica di partito Prometeo, poi raccolto nel testo Partito eclasse, cit. pag. 97.

(27) Cfr. le Tesi di Napoli, cit. pag. 182.(28)Cfr. F. Engels, Antidühring, Edizioni Rinascita, 1956,

Terza parte: Socialismo, cap. II Elementi teorici, pag. 308-310.

(29) Vedi il Filo del tempo intitolato Danza di fantocci:dalla coscienza alla cultura, il programma comunista, 1953n. 12, poi raccolto in un opuscoletto di partito intitolatoClasse, partito, Stato nella teoria marxista, ed. il pro-gramma comunista, 1972.

(30) Cfr. il Filo del tempo intitolato Gracidamento dellaprassi, pubblicato nel «programma comunista» n.12 del1953, poi raccolto nel volumetto di partito Classe partitoStato nella teoria marxista, cit.; il brano citato è alle pp.45-46 del volumetto.

(31) Cfr. il testo intitolato Marxismo e autorità, inter-mezzo alla serie La Russia nella grande rivoluzione e nel-la società contemporanea del 1956, pubblicato nel «pro-gramma comunista» n. 14 del 1956, poi raccolto nel volu-metto Classe partito Stato nella teoria marxista, cit.; ilbrano è alla pag. 104 del volumetto.

-INDICE- Introduzione

--Visione dialettica dello sviluppo sociale--Rotture storiche e sociali, non graduale evoluzione della società--Partito storicoe partito formale--Teoria eazione: unità dialettica, non derivazionemeccanica--Opportunismo : visione borghese del partito proletario--Principiodemocraticoeprassi democratica--Cacciarela democraziaanchedall’organizzazionedi partito

1926-1952. Distinguersi dallostalinismo, primadi tutto Democrazia:basedi principioe diprassi dell'opportunismo Filotempismo dellaSinistra Comunista Lacontrorivoluzionestaliniana ècontrorivoluzione borghese Fascismoe antifascismodemocratico, facce diverse dellastessamedaglia

borghese imperialista Il partitoe la classe Classe:movimentoe combattimento Scolpire con piùfermezza ciòche ci distingue Democraziaborghese: il nostronemicopiùinsidioso Ilpartitodiclasse, ancheper lasuavitainterna, tirauna lezionedallastoria:

escludel'usodel meccanismodemocratico

«Distingue il nostro partito»L’opuscolo, di 44 pagine, raccoglie un testopubblicatone «il comunista», nn° 96, 97-98, 100 . Costa 3 euro.

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Appendice

Appendice

L'articolo che segue prende le mosse dalle discussioni che continuavano nel partito relativamente alla questione delcriterio democratico da utilizzare o meno nella vita interna di partito. Le Tesi sull'organizzazione presentate alla riunionegenerale di Napoli del luglio 1965 (Tesi sul compito storico, l'azione e la struttura del partito comunista mondiale,secondo le posizioni che da oltre mezzo secolo formano il patrimonio storico della sinistra comunista) rispondevanoalla crisi scoppiata in quel periodo e che sboccò nella separazione dal partito da parte di diversi compagni una parte deiquali si volle chiamare «Rivoluzione comunista» e che fece del criterio democratico il fondamento della sua organizzazione.

La dimostrazione che la recidiva democratica fosse, ed è, la più insidiosa delle corruzioni borghesi sta nel fatto che molticompagni caddero nella confusione e non bastò un corpo di tesi per riportarli sulle corrette posizioni della sinistracomunista, come era materialisticamente ovvio. Ci volle molto lavoro, riprendendo la tradizione e la prassi della sinistra eaffondare le mani nella sua storia, attraverso i compagni della vecchia guardia che riportarono alla memoria del partito le

battaglie svolte nei gloriosi anni Venti e, successivamente, nella lotta di resistenza contro l'aggressione opportunista dellostalinismo. Nelle riunioni locali e generali il tema venne ripreso; vennero redatte per la riunione generale di Milanodell'aprile del 1966 le Tesi supplementari sull’organizzazione, consapevoli com'eravamo «che la grigia fase storica attraversatarende molto difficile l'opera di utilizzazione a forte distanza storica delle esperienze sorte dalle grandi lotte, e non solo dalleclamorose vittorie quanto dalle sconfitte sanguinose e dai ripiegamenti senza gloria»" (punto 2 delle Tesi di Milano). Unodei punti su cui si insistè fu quello della lotta al personalismo, a quel politicantismo personale ed elettoralesco di cui parlafin dal 1952 la manchette del giornale di partito intitolata: Distingue il nostro partito.

Non solo si combatteva lo scimmiottamento dei metodi democratici borghesi illusoriamente «vestiti» da «spiritorivoluzionario», e l'oscena degenerazione del terrorismo ideologico - usato a man bassa dallo stalinismo che lo poggiavasulla forza dello Stato - delle ammissioni di attività «controrivoluzionaria» estorte e delle riabilitazioni a distanza di tempo;si combatteva la ricerca del «prestigio personale», l'ammirazione filistea del «capo», il carrierismo tipico delle organizzazioni

borghesi, appunto il politicantismo personale ed elettoralesco. «La organicità del partito non esige affatto che ognicompagno veda la personificazione della forza partito in un altro compagno specificamente designato a trasmetteredisposizioni che vengono dall'alto», si afferma nel punto 8; e si ribadisce che «Questa trasmissione tra le molecole checompongono l'organo partito ha sempre contemporaneamente la doppia direzione; e la dinamica di ogni unità si integranella dinamica storica del tutto. Abusare dei formalismi di organizzazione senza una ragione vitale è stato e sarà sempre undifetto ed un pericolo sospetto e stupido».

La visione dialettica della sinistra comunista superava lo «stadio inferiore» dell'esperienza passata dal movimentocomunista internazionale in merito ai criteri organizzativi del partito il quale, appunto perché organodella lotta di classe delproletariato portata fino in fondo, fino alla rivoluzione violenta antiborghese e alla dittatura del proletariato (Lenin),richiedeva che il principio del centralismo, fissato per sempre dalle lezioni tratte dai marxisti e, in particolare dai bolscevichi,dalla storia delle lotte rivoluzionarie del movimento comunista internazionale, si liberasse definitivamente dei residui didemocrazia che ancora appesantivano il partito di classe, deviandolo dalla sua rotta storica. E' sul filo del tempo, sulla rotta

storicamente tracciata e invariante della rivoluzione proletaria e comunista, che la Sinistra comunista «italiana» - sullascorta delle sue stesse battaglie di classe condotte contro la democrazia borghese e ogni virus opportunista che da questaveniva generato - portò il suo specifico contributo al movimento comunista internazionale nel campo della tattica edell'organizzazione. Il principio del centralismo comunista, fino ad allora condizionato sul piano organizzativo dal criteriodemocratico, e quindi indebolito, doveva al contrario essere ribadito e rafforzato, togliendolo dal piano puramente formalenel quale i regolamenti e gli statuti tendevano a ridurlo. Il suo rafforzamento in termini teorici e programmatici non potevache essere dato da quel concetto di continuità nel tempo espresso molto più coerentemente dal termine organico. Ilcentralismo organico non è, e non è mai stata, una semplice formula organizzativa; tanto meno una formula che andava amimetizzare la "dittatura personale" del capo come andavano cianciando i dissidenti di «Rivoluzione comunista».

L'articolo La struttura organica del Partito è l'altra faccia della sua unità di dottrina e di programma («il programmacomunista», n. 22 del 1965 e n. 1 del 1966), non ha pretese teoriche, ma si pone polemicamente in contrasto con coloro cheall'epoca volevano farsi passare per puri «leninisti» accusando il partito di aver scoperto un «nuovo» principio - il

centralismo organico - deviando dalla formula del centralismo democratico che era stata alla base dell'InternazionaleComunista, e dei partiti membri, compreso il PCd'I. Vi si dimostra che non vi era nessuna scoperta, nessuna "novità", e cheinvece si traeva dal corso della controrivoluzione, oltre che da quello della rivoluzione proletaria, una vitale lezione anchenel campo organizzativo del partito, l’unica perfettamente in linea con le lezioni delle controrivoluzioni.

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La struttura organica del Partito

La struttura organica del Partitoè l'altra faccia della sua unità di dottrina

e di programma

I

Nè libertà di teoria,nè libertà di tattica

Nel giro di un anno (1) è apparso su queste colonneun corpo di tesi in cui trova sistemazione definitiva laposizione della Sinistra Comunista e del nostro Partitosulle questioni di organizzazione. Elenchiamo la succes-sione cronologica secondo cui questo materiale è statopubblicato: n. 23 del 30 dicembre 1964, Appunti per le tesisulla questione di organizzazione; n. 1 del 12 gennaio1965, Primi risultati dei contributi giunti da tutto il Par-tito per l'elaborazione delle tesi definitive sulla sua or-ganizzazione; n. 2 del 24 gennaio 1965, Considerazionisulla organica attività del Partito quando la situazionegenerale è storicamente sfavorevole; n. 14 del 28 luglio1965, Tesi sul compito storico, l'azione e la struttura delpartito comunista mondiale, secondo le posizioni cheda oltre mezzo secolo formano il patrimonio storico del-la Sinistra comunista (tradotte e pubblicate anche su «leprolétaire», n. 24 del settembre 1965); nn. 15, 16, 17 e 18del 1965, Materiale documentario esposto ed illustratoa commento delle Tesi generali della riunione di Napoli.

In tutto questo corpo di tesi si dimostra adabbundantiam che le posizioni del nostro Partito sulle que-stioni di organizzazione sono quelle sempre sostenute dal-la Sinistra Comunista, e che nessuna «svolta» o «nuovocorso» in materia è stato inaugurato. A questa abbondan-za di dimostrazioni noi vogliamo aggiungere nuova ab-bondanza, non certo per aprire gli occhi ai ciechi, ma perrinsaldare ancor più la decisione nostra e di tutto il Partitonel proseguire lungo la via che da oltre cinquant'anni laSinistra Comunista ha imboccato, la sola giusta, la solache porterà alla ricostituzione di una nuova Internaziona-le Comunista e alla vittoria proletaria mondiale.

Sono alcune citazioni quelle che intendiamo ricordaretratte da fondamentali testi del nostro Partito da lungotempo noti a tutti i compagni. Sul numero 14, 23 luglio - 2agosto 1953, di Programma Comunista, apparve un im-portante articolo intitolato «Pressione razziale al conta-diname, pressione classista dei popoli colorati», che servìda introduzione allo studio classico del Partito: I fattori dirazza e nazione nella teoria marxista» (2).

Il nostro movimento usciva allora da una fase in cui siera dovuto liberare di alcune scorie controrivoluzionarie,una delle cui caratteristiche consisteva appunto nel con-siderare superate le tesi nazionali di Marx e di Lenin. Maaltra loro caratteristica era un'analoga deviazione sullaquestione organizzativa, consistente nel rivendicare l'uti-lizzazione del meccanismodemocraticoe respingere la tesi

classica della Sinistra comunista sul centralismo organi-co.

Era dunque logico che, nel demolire la deviazione op-portunista sulla questione nazionale, il Partito accennas-se anche alle tesi classiche della Sinistra sulle questioni diorganizzazione, sebbene queste non fossero allora postein primo piano, dato lo scarso sviluppo del Partito in quelperiodo. Ed ecco infatti come, nell'articolo citato, veniva-no sinteticamente ricordate le tesi della Sinistra Comuni-sta nel campo tattico e organizzativo, in un paragrafo sug-gestivamente intitolato «Né libertà di teoria, né di tatti-ca»:

«Bisogna intendersi su questo fondamentale concet-to della sinistra. L'unità sostanziale ed organica del parti-to, diametralmente opposta a quella formale e gerarchicadegli stalinisti, deve intendersi richiesta per la dottrina,per il programma e per la cosiddetta tattica. Se intendiamoper tattica i mezzi di azione, essi non possono che esserestabiliti dalla stessa ricerca che, in base ai dati della storiapassata, ci ha condotti a stabilire le nostre rivendicazioniprogrammatiche finali ed integrali. I mezzi non possonovariare ed essere distribuiti a piacere, in tempi successivio peggio da distinti gruppi, senza che sia diversa la valu-tazione degli scopi programmatici cui si tende e del corsoche vi conduce. E' ovvio che i mezzi non si scelgono per leloro qualità intrinseche, se belli o brutti, dolci o amari,morbidi o aspri. Ma, con grande approssimazione, anchela previsione sul succedersi della loro scelta deve esserecomune attrezzatura del partito, e non dipendere dalle "si-tuazioni che si presentano".

«Qui la vecchia lotta della sinistra. Qui anche la for-mula organizzativa che intanto la cosiddetta base puòessere utilmente tenuta ad eseguire i movimenti indicatidal centro, in quanto il centro è legato ad una "rosa" (perdirla breve) di possibili mosse già previste in corrispon-denza di non meno previste eventualità. Solo con questolegame dialettico si supera il punto scioccamente perse-guito con le applicazioni di democrazia internaconsultativa, che abbiamo ripetute volte dimostrate privedi senso. Sono infatti da tutti rivendicate, ma tutti sonopronti a dare spettacolo, in piccolo e in grande, di strani eincredibili colpi di forza e di scena nell'organizzazione».

Lenin nel 1904 e nel 1922

Il testo è di una cristallina chiarezza. Tuttavia ritenia-mo utili alcune osservazioni. Il superamento della «demo-crazia interna consultativa» nel partito rivoluzionario vie-ne collegato alla «previsione» e pianificazione dei mezzitattici di cui il partito si serve nelle successive situazionistoriche.

E' ovvio che nei periodi storici in cui il partito proleta-rio non era ancora giunto storicamente ad una razionale

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pianificazione della tattica, dunque nella II e nella stessaIII Internazionale, ogni brusco (e anche lieve) mutamentodi situazione generasse nel partito rivoluzionario contra-sti, scontri, formazioni di correnti e di frazioni, e a voltelacerazioni organizzative. Il meccanismo democratico eradunque, in quel periodo storico, lo strumento di cui lecorrenti e frazioni componenti il partito si servivano nellaloro lotta interna per sopraffarsi a vicenda, ed era nellostesso tempo il tessuto connettivo che in periodo norma-le teneva unito il partito. Se la democrazia nel partito fossela fonte della «verità» o dell' «errore», era una questioneche potevano porre solo dei metafisici, e che in realtàponevano da una parte i riformisti, dall'altra gli anarchici ei sindacalisti sorelliani. I marxisti rivoluzionari, dal cantoloro, non hanno mai posto, e non potevano porre, unasimile puerile questione. I marxisti erano tenuti a sapereche la democrazia è un meccanismo di coercizione, uninganno organizzativo, e dovevano essere pronti a ser-virsene per i loro scopi come a metterla sotto i piedi, quan-do era necessario, sempre per i loro scopi. Dovevano sa-pere che i partiti nei quali conducevano la loro lotta nonerano «partiti puramente comunisti», che vi si trovavanocorrenti e frazioni non marxiste e non comuniste, e che sitrattava di sopraffarle e sottometterle servendosi del mec-canismo democratico. La democrazia nel partito dovevaservire ai marxisti per ingannare i propri nemici evitandocon cura d'essere ingannati.

L'utilizzazione del meccanismo democratico è dunqueindissolubilmente legata ad un'epoca storica in cui non visono «partiti comunisti puri». Non solo i partiti della II edella III Internazionale non erano giunti ad una sistema-zione razionale della tattica basata sulla teoria, sui principie sui fini comunisti, e quindi entravano in crisifrazionistiche ad ogni svolta della situazione politica, manon erano per definizione «partiti marxisti». Ciò è eviden-te per quanto rigauarda la II Internazionale, coacervofederalistico di tendenze di ogni genere. Ma nella stessaIII Internazionale vi erano correnti che si proclamavanoapertamente non marxiste senza che ciò comportasse laloro espulsione.

In Francia, ad esempio, sindacalisti rivoluzionari comeRosmer e Monatte e riformisti evoluzionisti come Cachine Frossard costituivano di fatto la sezione francesedell'I.C., tenuti insieme dalla ammirazione per la rivoluzio-ne d'Ottobre. In Italia, Antonio Graziadei, esponente dellacorrente di destra del Partito, poteva scrivere pubblicare edifendere libri in cui si demoliva Il Capitale di Marx, sen-za che ciò portasse alla sua espulsione. In Germania,Lukàcs e Korsch potevano iniziare una revisione filosofi-ca del marxismo in senso idealistico, e rimanere tuttavianell'Internazionale. Zinoviev tuonava, è vero, da Mosca;ma i tuoni di Zinoviev non significavano certo la espul-sione di Korsch e di Lukàcs.

Se non si parte da queste ovvie considerazioni, è inu-tile leggere Lenin, e in particolare il testo che egli dedicònel 1904 alle questioni organizzative sorte nel P.O.S.D.R.dopo la prima rottura fra bolscevichi e menscevichi, e cioè«Un passo avanti e due indietro» (3).

A questa importantissima opera di Lenin, che da qua-rant'anni [siamo nel 1965, NdR] è divenuta il cavallo dibattaglia delle falsificazioni staliniste per quanto riguardale questioni di organizzazione del partito rivoluzionario,dedicheremo una analisi approfondita non soloricollocandola nella situazione storica in cui essa nacque,ma collegandola alle polemiche svoltesi nel campo prole-

tario sulle questioni di organizzazione, a partire dalla Legadei Comunisti e dalla I Internazionale passando attraver-so la II Internazionale, e giungendo fino all'InternazionaleComunista e alla sua degenerazione e dissoluzione. Unsimile studio dovrebbe affiancarsi a quello analogo ap-parso nel 1960 sul nostro giornale e dedicato a«L'estremismo, malattia d'infanzia del comunismo», diLenin. Come infatti l' «Estremismo» è il testo sul quale lostalinismo e il post-stalinismo fondano la loro falsificazio-ne nel campo della tattica, così «Un passo avanti, dueindietro» è il testo utilizzato dagli opportunisti di ognisfumatura per creare confusione nel campo delle questio-ni organizzative, e anche per esso possiamo ripetere quan-to dicemmo a proposito dell'Estremismo: «Il testo più sfrut-tato da quarant'anni da tutte le carogne opportuniste, e lacui impudente invocazione caratterizza e definisce la ca-rogna» (4).

Ma a noi ora interessa ricordare che nel 1904, quandoLenin scrisse «Un passo avanti, due passi indietro», ilP.O.S.D.R. era una sezione della Seconda Internaziona-le, e che le formule organizzative in esso propugnate sonole stesse allora fatte proprie dalla socialdemocrazia tede-sca, come Lenin stesso ripete ad ogni pagina, con in piùuna accentuazione del centralismno e dei poteri del comi-tato centrale nei confronti della base, del resto spiegata egiustificata dalla situazione illegale in cui il P.O.S.D.R. eracostretto a lottare.

Se dunque Lenin nel 1904 parla di utilizzazione delmeccanismo democratico, parla nello stesso tempo dellanormalità della divisione del partito in correnti e in frazio-ni. Questo nel 1904. Ma se ci occupiamo della III Interna-zionale, anche qui vediamo che Lenin accetta come nor-male la sua divisione in correnti. In tutti gli scritti succes-sivi al 1919, Lenin parla dell'esistenza di una destra, di uncentro, di una sinistra comunista. Vi è di più, anzi di peg-gio: nell'articolo intitolato Serrati e la caccia alla volpe(5), scritto fra il 3° e il 4° Congresso, Lenin, dopo averriconosciuto ancora una volta la divisione dell' Interna-zionale in destra e sinistra, riconosce di aver sbagliato al3° Congresso nell'attaccare troppo a fondo la «sinistra»,e si ripromette di condurre una lotta ben più dura controla «destra». Lenin si poneva dunque come capo dell'In-ternazionale la cui funzione doveva essere, fra l'altro, diequilibrare, finché possibile, l'urto delle correnti nel suoseno. E in questa situazione politica e organizzativa vera-mente tragica, lo stessoLenin alla fine del 1922, al 4° Con-gresso, intrattiene i delegati del proletariato mondiale in-torno alla questione: «Siamo o non siamo perduti?». Ericonosce di non poterle fornire risposta. Ma, nello stes-so periodo Lenin prevede, nel suo «testamento», la pos-sibilità di una rottura nel Partito Comunista russo, nel«monolitico» partito russo, e negli articoli sulla questio-ne nazionale, mentra attacca Stalin come «sciovinista gran-de-russo», registra lo sviluppo di un «imperialismo rus-so» e di un «socialnazionalismo russo», constata la so-pravvivenza del «vecchio apparato statale zarista consa-crato dall'olio santo sovietico», e prevede che i piccolinuclei di operai sovietici e sovietizzati restino annegatinell'oceano della spazzatura sciovinista grande-russa«come una mosca nel latte».

E mentre prevede e scrive tutto ciò, il capo dell'Inter-nazionale si trova nella non invidiabile situazione di nonsapere a chi confidare le sue previsioni, a chi trasmetterei suoi scritti. Egli è prigioniero di un nascente opportuni-smo. E mentre la controrivoluzione sta in agguato e già

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costruisce l'osceno mausoleo in cui rinchiudere imbalsa-mato il capo della rivoluzione d'Ottobre, l'altro grande capo,Trotsky, rinchiude nei suoi cassetti gli ultimi scritti di Le-nin, accettando di non rivelarli al Partito già restìo ad af-frontare con vigore le questioni di politica economica reseurgenti dalla «crisi delle forbici» del 1923. Abbiamo osser-vato altra volta, commentando la lettera di Lenin a Serratidopo il Congresso di Bologna, che la questione della rivo-luzione si risolve scrivendosi qualche decina si indirizzigiusti. Lenin nel 1922 non aveva più indirizzi.

L'Internazionalee la Sinistra

In conclusione, la III Internazionale era un'organizza-zione non «puramente comunista», nel cui seno quindiesistevano correnti dichiaratamente non marxiste e perfi-no antimarxiste, un'organizzazione divisa in correnti e fra-zioni che per tutti questi motivi non era potuta perveniread una sistemazione razionale delle questioni tattiche. Essaera un prodotto della storia, certamente, un ponte di pas-saggio verso una Internazionale «puramente comunista»e verso un Partito Comunista Internazionale unico, comeZinoviev e i bolscevichi sostenevano. Perciò la formula diorganizzazione che la caratterizzava, il «centralismo demo-cratico», appunto, era anch'essa una formula di transizio-ne, aperta a diversi ed opposti sviluppi.

La Sinistra Comunista italiana condusse coraggiosa-mente la sua lotta in senso all'Internazionale, per salvarlada un nuovo opportunismo e per facilitarne e rendernepossibile il passaggio a Partito Comunista Internazionale.Essa sostenne che condizione di questo passaggio era lasistemazione della tattica alla scala mondiale, e che solosu questa base si sarebbero potute superare le crisifrazionistiche, la divisione in correnti, e l'utilizzazione delmeccanismo democratico. Questa lotta coraggiosa e diffi-cile si risolse allora in una sconfitta, perché la Sinistra sitrovò sola a condurla, ma fu tuttavia la sola lotta feconda,che salvava i principi comunisti e l'avvenire del movimen-to e poneva le solide basi di una lontana, ma inevitabile,ripresa della battaglia rivoluzionaria.

Non è dunque possibile separare le posizioni della Si-nistra nel campo tattico dalle posizioni della Sinistra nelcampo organizzativo. Non si può dire: sistemazione razio-nale della tattica sì, centralismo organico e soppressionedel meccanismo democratico nel Partito no. Chi pretendedi attuare una simile distinzione, non è che un demagogo,un demagogo che mistifica gli altri mistificando se stesso.E i demagoghi, come Lenin disse, sono i peggiori nemicidel proletariato. Chi pretende (o si ripromette) di utilizzareil meccanismo democratico nell'organizzazione del partito,non può cianciare di Partito Monolitico. I partiti proletariin cui vigeva l'utilizzazione della democrazia non sono maistati partiti monolitici, ma sono stati partiti divisi in cor-renti e frazioni, partiti non «puramente comunisti» e perdefinizione non «marxisti».

Un solo esempio ci ha fornito la storia di partiti orga-nizzati sulla base del meccanismo democratico, e malgra-do ciò monolitici: quello dei partiti stalinisti. Ma lo stalini-smo poté essere monolitico e democratico al tempo stes-so perché si fondava sulla forza dello Stato, come del re-sto il fascismo. Ed oggi il monolitismo staliniano si spezzanell'urto fra gli Stati che compongono, o componevano, il

falso e bugiardo «campo socialista».

Ed oggi?

La formula organizzativa del «centralismodemocratico», caratteristica della III Internazionale, eradunque aperta storicamente a diversi ed opposti sviluppi:essa tendeva da una parte verso il centralismo burocratico,dispotico e statale, e tuttavia sempre democratico, dellostalinismo, cioè della controrivoluzione; dall'altra parte,verso il centralismo organico e non democratico propriodel Partito Comunista Internazionale unico, puramentecomunista e puramente marxista, basato su una soladottrina, un solo programma e una sola sistemazionerazionale della tattica.

Il «centralismo democratico» era aperto storicamenteda una parte verso il monolitismo della rivoluzione,dall'altra parte verso il monolitismo della controrivoluzione.Questo concetto è chiaramente formulato nel testo del1953 sopra citato in cui «l'unità sostanziale ed organicadel partito» viene «diametralmente opposta a quellaformale e gerarchica degli stalinisti».

Prima di abbandonare questo tema, con riserva ditornare ad analizzarlo compiutamente in uno studio su«Un passo avanti, due passi indietto», accenniamobrevemente alla distinzione fra «circolo» e «partito» damolti sollevata del tutto a sproposito. Che cosa erano i«circoli»? Essi sorsero in Russia fra il 1890 e il 1900, econfluirono nella costituzione del P.O.S.D.R. Ed ecco,cianciano alcuni, che oggi ci troviamo nella situazionedella Russia fra il 1890 e il 1900: esistono molti «gruppi» e«circoli» rivoluzionari, quello che manca è il «partito». E,per arrivare a questo - a parte l'eventuale e sospirataricomparsa del «grande capo» - occorre una ricetta, quelladella «democrazia», cioè di un «congresso sovrano» cheunifichi i «gruppi» in «partito»...

Il parallelo storico fra la situazione russa del 1890-1900e la situazione d'oggi è talmente puerile che merita un solocommento. Nel 1890 esisteva soltanto una SecondaInternazionale. Esiste oggi qualcosa di simile? Non si sonomai poste, le scimmie che vogliono fare come Lenin, questapiccola, semplice domanda?

E d'altra parte, se fosse vero (ma non è) che viviamonell'epoca dei «circoli», dovrebbe essere altrettanto veroche nei «circoli» non si vota. Ora, tutti quelli che ciancianodi passaggio dai «circoli» al «partito» votano, eccome!ma allora è chiaro che dieci persone le quali chiacchieranoper votare, e votano per chiacchierare, non sono un«circolo», e nemmeno un «salotto», perché nei «salotti»si fanno giochi di società, si chiacchiera e si maligna, manon si vota. Dieci persone che votano non possonopretendere di costituire un «circolo» che confluirà nel fu-turo partito rivoluzionario, perché sono soltanto unasezione del presente e reale manicomio borghese, unasuccursale dell'osceno bordello capitalistico.

II

Con tutto ciò, noi saremmo dei «metafisici», perchénella tesi 15 degli «Appunti per le tesi sulla questione diorganizzazione» (6), abbiamo scritto che «deve conside-

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rarsi chiusa per sempre l'epoca in cui si poteva tollerareche nel campo organizzativo del partito sopravvivesseroforme elettive».

Per sempre? Ohibò! Una simile affermazione non solosarebbe «metafisica» , ma rappresenterebbe una novitàassoluta per il nostro partito, una nuova parola mai finoad oggi detta o scritta. Come si può escludere per semprel'uso della democrazia all'interno del partito?

Chi pone una simile domanda crede di non esseremetafisico. Ma essa equivale a quest'altra: come si puòaffermare perentoriamente che la terra è rotonda? Nonpotrebbe essa in qualche remota eventualità futura rive-larsi quadrata? Chi pone una simile domanda si avvolgenella peggiore metafisica, quella dei preti che condanna-rono Galileo contestandogli di non aver dimostrato esau-rientemente che la terra gira intorno al sole; sostituiscealla dialettica della necessità propria del marxismo la sofi-stica della «possibilità caratteristica» cara alla degeneratafilosofia borghese contemporanea.

Dunque, la paroletta «per sempre» noi non l'avremmomai scritta fino al novembre del 1964? Ebbene, nel giàcitato articolo del 1953 si legge: «Solo con questo legamedialettico si supera il punto scioccamente perseguito conle applicazioni di democrazia interna consultativa che ab-biamo ripetute volte dimostrato prive di senso». Si supe-ra. E dove si è mai sentito dire, o visto, che si superaqualcosa non per sempre, non definitivamente, ma perqualche ora, o per qualche minuto?!? Un organismo su-pera l'infanzia e passa all'adolescenza: può forse tornareall'infanzia?

Ma l'articolo citato è del 1953. Occorre ritornare piùindietro, al 1947, all'altro testo classico, Forza, violenza,dittatura nella lotta di classe apparso sulla rivista «Pro-meteo» nei numeri 2, 4, 5, 8, 9 e 10 della I serie (ora numero3 della collana «I testi della Sinistra Comunista») (7). Ri-cordiamo che in questo testo viene riaffermata (e non è ilsolo luogo) come in moltissimi altri, l'altra «nuovissima»tesi, secondo cui il partito comunista è organo umano ecome organo umano perpetua la sua funzione oltre la so-cietà divisa in classi, nella società senza classi e senzaStato, nella società comunista: «Non vogliamo affrontarequi la discussione sulla trasformazione del partito in unsemplice organo futuro di indagine e di studio sociale,che coincida coi grandi organismi di ricerca scientificadella società nuova...» (8).

Anche questa sarebbe una tesi «metafisica», e «nuo-va»! Sarebbe «filosofia»... «idealistica»! Quanto alla «no-vità», essa è tanto «nuova» che già nelle Tesi di Roma,dunque dal 1922, la si trova affermata (tesi 24) (9). Quan-to alla «filosofia», «idealistica» addirittura, che voletefarci? Siamo dei «filosofi», poveretti noi! Anche Marx,pover'uomo, «filosofava», pare, a tempo perso. E nel1844, metafisico e idealista com'era, scriveva nei Mano-scritti economico-filosofici che il comunismo afferma findal suo sorgere «la coscienza del genere», «l'essenzadel genere», «l'esistenza del genere». E proclamava che«l'esistenza del genere» era «consaputa» nel comuni-smo, dunque nella sua testa. Proclamava sic et simpliciterdi essere lui, Carlo Marx, la coscienza del genere uma-no. Pretendeva, orrore!, di rinchiudere nella sua poveratesta di «filosofo idealista» tutto l'avvenire dell'umanità,estraniandosi dalla lotta di classe! Non condannava egliinfatti, nella sua opera, da «filosofo idealista», il comu-nismo rozzo? Via via, togliamo dalla circolazione questidiabolici Manoscritti economico-filosofici! bene ha fat-

to il prof. Galvano Della Volpe a ricordare che quest'ope-ra non è considerata un testo «canonico» del marxismo,e che è riservata ai soli «specialisti». Bene hanno fattogli stalinisti, i post-stalinisti, e i maoisti, a toglierla dallacircolazione! Via via, mettiamo Marx in soffitta e tenia-moci per consolazione la sua barba dal momento checon essa si possono tuttora commuovere i proletari e farquattrini!

Quanto a noi, che non siamo «canonici» come il prof.Della Volpe, buttiamo via la barba e ci teniamo i Mano-scritti!

Ma torniamo alle questioni di organizzazione. Dunqueil citato studio «Forza, violenza, dittatura nella lotta diclasse» chiudeva con una «Postilla», che dice:

«Le vedute della Sinistra sulla organizzazione di parti-to, se sostituiscono allo stupido criterio maggioritarioscimmiottato dalla democrazia borghese un ben più altocriterio dialettico che fa dipendere tutto dal solido legamedi militanti e dirigenti con la impegnativa severa continui-tà di teoria, di programma e di tattica, e se depongonoogni velleità di corteggiamento demagogico a troppo lar-ghi e quindi più facilmente manovrabili strati della classelavoratrice, in realtà sono le sole che meglio si concilianocon una profilassi contro la degenerazione burocraticadei quadri del partito e la sopraffazione della base da partedi essi, che si risolve sempre con un ritorno di disastroseinfluenze della classe nemica» (10).

Anche qui si tratta di tornare alla scuola elementare, edi imparare il significato delle parole. Le vedute della Sini-stra sull'organizzazione di partito, sostituiscono allo stu-pido criterio maggioritario scimmiottato dalla democraziaborghese... Domandiamo ancora una volta: si è mai vistauna sostituzione parziale? In ogni caso, il testo citatoprosegue affermando che le vedute della Sinistra sull'or-ganizzazione di partito fanno dipender tutto dal solidolegame... ecc. ecc.

Domandiamo: si è mai visto un tutto divenire una par-te?!?!

Ma si obietterà che tutto ciò non è sufficiente, perchéla «parolina» per sempre non l'abbiamo mostrata, né po-tremmomostrarla.

Ebbene, chi questo obietta si sbaglia di grosso.Anzitutto, in ogni riunione di partito, da quindici anni

[siamo nel 1966, dunque dal 1951 sono 15 anni, ndr], siripete che l'utilizzazione del meccanismo democratico inseno al partito è per sempre superato, e si può trovaretraccia di questa costante proclamazione scorrendo sul«programma comunista» i resoconti delle riunioniinterfederali e locali (11).

In secondo luogo, la parolina «per sempre» fu scritta,e non ieri o l'altro ieri, ma nel 1952, dunque tredici anni orsono. E se è vero che verba volant, è altrettanto vero chescripta manent. Gli scritti non si cancellano. E che scritti!E in quale occasione!

Nel 1952 il nostro Partito viveva in pieno la fase cheabbiamo ricordata e in cui procedeva ad espellere dal suoseno residue scorie controrivoluzionarie. Nel 1952 questepretendevano, fra l'altro, che nel partito si applicasse ilmeccanismo democratico. E con una argomentazione tipi-ca degli opportunisti di tutti i tempi, accusavano noi divoler isterilire il partito, di volerci estraniare dalla realelotta di classe. E si vantavano, manco a dirlo, di essereveramente «politici». In questa situazione uscì l'ultimonumero di «Battaglia Comunista», organo del Partito, il12-28 settembre 1952. L'ultimo, perché gli opportunisti di

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La struttura organica del Partito

allora riuscirono con manovre veramente... «politiche», aimpadronirsi della testata del giornale e della rivista «Pro-meteo». Infatti chi legge il n. 16-1952 di «Battaglia Comu-nista» trova in ultima pagina un «Avviso ai lettori» in cuisi afferma che i responsabili del furto «legale» del giornaleal Partito rivoluzionario «non potranno più venire sul ter-reno del partito rivoluzionario. Inutile quindi parlare deiloro nomi e dei loro moventi, oggi e dopo». Il numerosuccessivo porta la testata «Il Programma Comunista»,ristampa l'«Avviso ai lettori» e reca in alto l'indicazione:«Anno I - N. 1».

Si tratta dunque di un evento capitale nella storia delpartito, di un episodio cruciale che segna irrevocabilmen-te la sua tradizione. Orbene, il numero 12-28 settembre1952 di «Battaglia Comunista» riferisce di«Un importanteconvegno di Partito a Milano il 6 e 7 settembre». Nellostesso periodo, e sempre a Milano, gli opportunisti di cuisopra indicevano il loro «congresso sovrano», con votimozioni presidenza dibattito e ballottaggi, alla presenzacompiaciuta di rappresentanti della r ivistaultraopportunista «Socialisme ou Barbarie», oggi sma-scheratasi per quello che è sempre stata, un organo dellasocialdemocrazia. L'importante convegno del nostro Par-tito si contrapponeva dunque radicalmente, nella stessacittà e nello stesso periodo, a tutti quegli opportunisti.Due metodi antitetici di intendere la natura del Partito ri-voluzionario, la sua funzione e la sua organizzazione, sicontrapposero allora, per sempre.

Il convegno ebbe il carattere di una vera mobilitazionedelle forze di tutto il partito e vi furono trattati i temi poipresentati nella rivista Sul filo del tempo (12) sotto il tito-lo: Invarianza del marxismo rivoluzionario , eImpersonalità della classe. Tesi, queste, che ci caratteriz-zano ormai da anni ed anni nei confronti di tutti gli oppor-tunisti. Trascriviamo dal resoconto:

«Le due sedute del giorno 7, molto affollate di com-pagni di Milano e di ogni regione, ebbero un caratteredi vero congresso sebbene indette con la formula delle"Riunioni di studio" già provata come di largo e van-taggioso effetto. Erano infatti presenti compagni delleorganizzazioni di Torino, Asti, Casale, Genova, Parma,Forlì, Ravenna, Bologna, Firenze, Palmanova, Trieste,Milano, Luino, Napoli, Roma ecc. e compagni francesi.

«La comune posizione democratoide e filistea pro-pria dei "corteggiatori" e corruttori della "base" negheràcarattere di congresso ad una sessione dove prende la

parola il solo relatore per una esposizione esauriente eapprofondita e l'adunanza manifesta il suo consenso par-tecipando al lavoro solo con una interrotta e seria atten-zione e comprensione; talché la relazione nelle sue tesisi dimostra espressione effettiva del comune unanimepensiero. Manca, si suol dire più o meno ipocritamente,il dibattito contraddittorio. Si dimentica che in 48 ore dipermanenza nella città di convegno i compagni, tutti oa gruppi, oltre le sei ore di seduta col relatore, svolgonouno scambio fervidissimo di opinioni, di notizie, di pro-positi e precisi programmi di lavoro; non dedicano le oredisponibili ai pettegolezzi e ai commenti sulla valentiadei capi, sui toni della loro voce o il colore delle lorochiome, ma ai serii problemi che possono interessare verimilitanti. E tra questi ve ne erano di giovanissimi e dianziani, che incrociavano i quesiti dell'oggi colle solu-zioni che detta l'esperienza di una lotta di oltre mezzosecolo. Checché sia di democrazia formale e di voti sullemozioni, storicamente gli effetti dei congressi sono statideterminati sempre fuori dalla sala della ufficiale recitaa tipo parlamentare, cui è ora di volgere per sempre lespalle» (da «Battaglia Comunista», 12-28 settembre1952, n. 16).

I compagni tutti possono constatare che la descrizio-ne del modo di funzionare, della dinamica del partito rivo-luzionario, è qui identica perfino nelle parole a quella chesi trova nei punti 7 e 8 delle «Tesi sul compito storico,l'azione e la struttura del partito comunista mondiale»(13) apparse sul n. 14 del 1965 di «programma comuni-sta». Ricordiamo pure che il testo è stato trascritto inte-gralmente, senza apportarvi la minima modificazione. Edora rileggiamo l'ultimo periodo, permettendoci di sottoli-neare le parole, a tredici anni di distanza:

«Checché sia di democrazia formale e di voti sulle mo-zioni, storicamente gli effetti dei congressi sono stati de-terminati sempre fuori della sala della ufficiale recita a tipoparlamentare, cui è ora di volgere per sempre le spalle».

A coloro che sostengono che il tutto è pur sempre unaparte, rimarrà la magra consolazione di osservare che ne-gli «Appunti» del novembre 1964 la «parolina» per sem-pre viene sottolineata, e stampata in corsivo, il che nonavveniva nel 1952. Ma questa parolina noi l'abbiamo inci-sa a caratteri indelebili nella nostra vita di Partito.

Giorno verrà - ne siamo certi - in cui, sotto l'inesorabi-le pressione della forza materiale, i sordi udranno e i ciechivedranno!

(1) Ci si riferisce al 1965. L'articolo «La struttura organi-ca del Partito è l'altra faccia della sua unità di dottrina e diprogramma» segue la pubblicazione delle Tesi di Napolisull'organizzazione e anticipa la pubblicazione delle Tesi diMilano che le completano. Data la persistenza della pole-mica sorta nel partito che vide protagonisti della rivendi-cazione di un ennesimo «centralismo democratico» oppo-sto al «centralismo organico» diversi elementi che provo-carono una scissione grazie alla quale fecero nascere ungruppo politico che chiamarono «Rivoluzione comunista»,si rese necessario tornare a riaffermare la continuità delleposizioni antidemocratiche della Sinistra comunista, e del-la nostra organizzazione di partito nata nel 1952. E si consi-derò utile richiamare i termini della scissione del 1952 dalgruppo che si impossessò del giornale di partito «batta-glia comunista» attraverso un'azione legale al tribunaleborghese.

(2) I fattori di razza e nazione nella teoria marxista, èstato il tema della riunione generale di partito tenuta a Tri-este nel 1953. Questo testo, pubblicato ne «il programmacomunista» dal n. 16 al n. 20 del 1953, fu in seguito raccoltoe pubblicato nelle edizioni Iskra, con lo stesso titolo, nel1976. Pressione «razziale» del contadiname, pressioneclassista dei popoli colorati, è un articolo della serie «sulfilo del tempo», pubblicato in «il programma comunista»n. 14 del 1953, introducendo, di fatto, il tema dei Fattori dirazza e nazione.

(3) Vedi Lenin, Un passo avanti e due indietro. La crisidel nostro partito, scritto nel febbraio-maggio 1904. InOpere, vol. 7, Editori Riuniti, Roma 1969, pagg. 199-412.

(4) Questo brano, a mo' di occhiello, introduce il testosull'Estremismo nella pubblicazione della sua prima punta-ta nel n. 16 del 1960 di «il programma comunista».

(5) L'articolo qui richiamato fa parte del testo intitolato

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La struttura organica del Partito

Note di un pubblicista, scritte da Lenin nel febbraio 1922.Il riferimento a Serrati lo si trova nella parte III di questoscritto, intitolata esattamente A proposito della cacciaalla volpe, di Levi e di Serrati, in Opere, vol. 33, EditoriRiuniti, Roma 1967, pagg.186-190.

(6) Questi «Appunti» sono stati pubblicati ne «il pro-gramma comunista» n. 22 del 30 novembre 1964.

(7) Questo testo è stato poi raccolto con altri nel 1978nel n. 4 della serie «i testi del partito comunista internazio-nale», intitolato Partito e classe.

(8) Vedi Forza, violenza, dittatura nela lotta di classe,in Partito e classe, cit. pag. 115.

(9) Le Tesi sulla tattica del partito comunista d'Italia,dette Tesi di Roma, si leggono nel n. 2 dei «testi del partitocomunista internazionale», Firenze 1970, intitolato In dife-sa della continuità del programma comunista. Il concet-to qui richiamato lo si trova in realtà nella tesi n. 25 e nonnella tesi n. 24, la seconda del capitolo V, Elementi dellatattica del partito comunista tratti dall'esame delle si-tuazioni, pag. 44 del testo citato.

(10) Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe,cit., pag. 118.

(11) All'epoca era ancora usuale chiamare le riunionigenerali del partito, riunioni «interfederali», utilizzando ilvecchio lunguaggio degli anni Venti quando le sezioni delpartito erano chiamate «federazioni», a fronte del partitocomunista d'Italia che era «sezione dell'Internazionale Co-munista». I termini «federazione», «interfederale» venne-ro successivamente abbandonati poichè il Partito Comu-nista Internazionale era considerato come unico partitoesistente al mondo e al quale i militanti aderivano attraver-so le sue circoscrizioni territoriali che erano appunto le«sezioni», nazionali e locali. Da allora le riunioni«interfederali» furono semplicemente le riunioni generalidi partito alle quali partecipavano i rappresentanti dellesezioni nazionali e locali.

(12) La rivista-opuscolo Sul filo del tempo uscì nelmaggio del 1953, il cui sommario è: Il cadavere ancora cam-mina - Marx sulla impersonalità del capitale - L'organicasistemazione dei principi comunisti nelle periodiche riu-

nioni del movimento - il New Deal e il movimento operaionord-americano. L'«Avvertenza al lettore» (necessaria datoche la scissione del settembre 1952 aveva determinato l'ap-parizione del giornale «il programma comunista» come gior-nale che assicurava la continuità di programma e di prassidel partito, mentre la testata precedente «Battaglia Comu-nista» e la rivista «Prometeo» rimasero nelle mani degliscissionisti) e pubblicata nell'unico numero che uscì dellarivista-opuscolo Sul filo del tempo, dopo aver elencato igiornali, la rivista e le trattazioni principali dei lavori dipartito, terminava con una Nota, che qui riprendiamo adimostrazione della continuità di posizione e atteggiamen-to del partito in merito alle questioni di organizzazione e dilotta contro il personalismo borghese:

«(I lettori) Nel seguire la continuità degli apporti delnostro lavoro, non si fermino ai mutamenti di titoli di perio-dici, dovuti ad episodi di una sfera inferiore. E' facile di-stinguere nella loro inscindibile organicità i contributi no-stri. Come è proprio del mondo borghese che ogni mercesegua la sua etichetta di fabbrica e ogni idea la firma del-l'autore, ogni partito si definisca col nome del capo, così èchiaro che siamo nel nostro campo proletario quando latrattazione si occupa di rapporti obiettivi della realtà e nonsi sofferma mai su sciocchi contraddittori tra pareri perso-nali, su lodi e biasimi, in cui il giudizio è spostato dal con-tenuto alla buona o cattiva fama dell'espositore; quandonon si incontrino nella trattazione vani e quasi sempre in-giustamente sproporzionati matches tra pesi massimi ominimi che siano.

«Un lavoro come il nostro riuscirà a condizione di es-sere duro e penoso, non facilitato dalla borghese tecnicapubblicitaria, dalla vile tendenza ad ammirare e adulareuomini».

(13) Queste Tesi (le Tesi di Napoli) sono poi state rac-colte inserendo anche le Tesi complementari del 1966 (leTesi di Milano) in volume, insieme a tutte le altre Tesi dipartito che formano la struttura fondamentale cui il partitosi richiama nel tempo, dal titolo In difesa della continuitàdel programma comunista, n. 2 dei «testi del partito co-munista internazionale», cit.

Tra il settembre del 1997 e l’ottobre del 1998, in tre numeri del nostro giornale“il comunista” 56, 57-58 e 62, pubblicammo una prima sistemazione del bilanciodella crisi esplosiva del partito occorsa tra il 1982 e il 1984.

Ci si riferisce in particolare alla lotta contro ogni forma di liquidazionismo del partito –fosse di tipo movimentista, attendista, o espedientista – portata avanti da compagni italiani,francesi, svizzeri e greci, che si riuniscono poi intorno a “le prolétaire” e a “il comunista”nello sforzo di ricostituzione organizzativa del partito a condizione di fare il bilancio dellecrisi che colpirono il partito di cui, quella del 1982-84, prese le caratteristiche dell’esplosi-vità.

In questo opuscolo riuniamo appunto quel lavoro che intese, partendo dall’approfondi-mento delle posizioni contenute nella sintetica, ma nello stesso tempo, complessa manchet-te intitolata “Distingue il nostro partito”, rimettere le basi ad una attività che riconquistassele caratteristiche dell’attività di partito, nonostante le forze fisiche rappresentate daicompagni fossero oltremodo ridotte.

In realtà, il lavoro di riconquista del patrimonio teorico, politico e di prassi del partitocome espressione coerente della corrente della Sinistra comunista, era cominciato giàdurante la lunga crisiche mandò in pezzi l’organizzazione all’iniziodegli anniOttanta, comedocumentato, ad esempio, dai primissimi numeri de “il comunista” e dai numeri de “leprolétaire” degli stessi anni.

INDICE:

· Sullaquestione della formazionedel partitodopolacrisi esplosivadel 1982-84del «partitocomunista internazionale/ programmacomunista», inItaliaein altri paesi· APPENDICE-Il vecchioBrunoMaffi se n’è andato(«Il comunista»;N° 87-88; Ottobre 2003 )

«Sulla formazionedel PARTITODI CLASSE»

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Materiali

Materiali sulla questionedell'organizzazione interna di partito

Estrattida:

Partito e classe (1921), «Rassegna Comunista», anno I, n. 2 del 15 aprile 1921.Vedi nella serie «i testi del partitocomunista internazionale», n. 4, Partito e classe, Napoli, Aprile 1972, da cui abbiamo ripreso i brani, pagg. 33, 34, 36.

Partito e azione di classe (1921), «Rassegna Comunista», anno I, n. 4 del 31 maggio 1921. Vedi Partito e classe, cit.,pagg. 37-38, 47.

Il principio democratico (1922), «Rassegna Comunista», anno II, n. 18 del 28 febbraio 1922. Vedi Partito e classe, cit.,pagg. 49-63.

Tesi sulla tattica del pc d'Italia - Roma (1922), note come Tesi di Roma, «Rassegna Comunista», anno II, n. 17 del 30gennaio 1922. Vedi «i testi del partito comunista internazionale», n. 2, In difesa della continuità del programmacomunista, Firenze 1970 da cui abbiamo ripreso i brani, pagg. 37-38, 43-44, 51-52.

Il pericolo opportunista e l’Internazionale (1925), diA. Bordiga, pubblicatosu«Stato Operaio», luglio1925. Ripubblicatone «il programma comunista» n. 11 del 1958.

Progetto di tesi per il III congresso del partito comunista presentato dalla Sinistra - Lione (1926), note come Tesi diLione, pubblicate come estratto de «l'Unità» col titolo «Tesi per il III Congresso», Roma 1926. Vedi In difesa dellacontinuità ..., cit. da cui abbiamo ripreso i brani, pagg. 95-98, 100-101, 104-106, 121-123.

Forza violenza dittaturanella lottadi classe (1946), «Prometeo», nn. 2 e4 del 1946, nn. 5 e 8del 1947, nn. 9e 10 del 1948.Vedi «i testi del partito comunista internazionale», n. 4, Partito e classe, cit. da cui abbiamo ripreso i brani, pagg. 115-118.

Il rovesciamento della prassi nella teoria marxista (1951), contenuto in Teoria e azione nella dottrina marxista,pubblicato nel «Bollettino Interno» del partito comunista internazionalista-battaglia comunista», n. 1 del 10 settembre1951. Vedi Partito e classe, cit. da cui abbiamo ripreso i brani, pag. 121.

Dittatura proletaria e partito di classe (1951), pubblicato nell'allora giornale di partito «Battaglia Comunista», nn. 3,4, 5 del 1951. Raccolto poi in Partito e classe, cit. da cui abbiamo ripreso i brani, pagg. 65-66 e 72.

Tesi caratteristiche del partito (1951), riunione generale di Firenze, 8-9 dicembre 1951, riassunte nel n.5 del 1952 di«Battagalia Comunista», e in «Sul filo del tempo» del maggio 1953. Ripubblicate integralmente ne «il programmacomunista» n. 16 dell'8 settembre 1962. Vedi In difesa della continuità... cit. da cui abbiamo ripreso i punti, pagg. 147-149, 154, 162-164.

Considerazioni sull'organica attività del partito quandola situazione generale è storicamente sfavorevole (1965),pubblicate ne «il programma comunista» n. 2 del 24 gennaio 1965. Vedi In difesa della continuità ..., cit. da cuiabbiamoripreso i brani, pagg. 166-169.

Tesi sul compito storico, l'azione e la struttura del partito comunista mondiale, secondo le posizioni che da oltremezzo secolo formano il patrimonio storico della sinistra comunista (1965), dette anche Tesi di Napoli, riunionegenerale di Napoli, 17-18 luglio 1965. Pubblicate ne «il programma comunista» n. 14 del 28 luglio 1965. Vedi In difesadella continuità..., cit. da cui abbiamo ripreso i brani, pagg. 175-178, 180.182.

Tesi supplementari sul compito storico, l'azione e la struttura del partito comunista mondiale (1966), dette anche Tesidi Milano, riunione generale di Milano, 2-3 aprile 1966. Pubblicate ne «il programma comunista» n. 7 del 20 aprile/4maggio 1966. Vedi In difesa..., cit. da cui abbiamo ripreso i brani, pagg. 184-186.

Circolare interna del Centro, n. 15 del 21/9/1972. Circolare interna del Centro, del 7/4/1976. Archivio di partito.

Il problema organizzativo al III° Congresso dell’Internazionale Comunista (1981), pubblicato ne «il programmacomunista» n. 15 del 29 agosto 1981.

Necessità del partito centralizzato della rivoluzione comunista (1982), pubblicato ne «il programma comunista» nn.12, 13 e 14 del 1981. I brani qui ripresi sono tratti dal n. 14 del 10 luglio 1982.

Che cosa significa fare il bilancio della crisi di partito? (1980), in «il comunista» n.6, Novembre 1986-Gennaio1987.

Materiali sul bilancio politico delle crisi interne di partito (1995), in «il comunista» n. 45, Aprile 1995.

Appunti sulla questione della formazione del partito dopo la crisi esplosiva 1982-84 (1998), in «il comunista» n. 62,Ottobre 1998.

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Materiali

Da: «Partito e classe» (1921)

(...)Guardando all'immagine fissa ed astratta della società,

chi vi scorgesse una zona, la classe, ed in essa un piccolonucleo, il partito, cadrebbe facilmente nella considerazio-ne che tutta la parte della classe, la maggioranza quasisempre, che resta fuori del partito, potrebbe avere pesomaggiore, maggiore diritto. Ma per poco che si pensi chein quella grande massa restante gli individui non hannoancora coscienza e volontà di classe, vivono per il pro-prio egoismo, o per la categoria, o per il campanile, o per lanazione, si vedrà che allo scopo di assicurare nel movi-mento storico l'azione d'insieme della classe, occorre unorganismo che la animi, la cementi, la preceda, la inquadri- è la parola - si vedrà che il partito è in realtà il nucleovitale, senza di cui tutta la rimanente massa non avrebbepiù alcun motivo di essere considerata come unaffasciamento di forze.

La classe presuppone il partito - perché per essere emuoversi nella storia la classe deve avere una dottrinacritica della storia e una finalità da raggiungere in essa.

(...) Se la coscienza degli uomini è il risultato e non lacausa delle caratteristiche dell'ambiente in cui sono co-stretti a muoversi, la regola non sarà mai che lo sfruttato,l'affamato, il denutrito, possa capacitarsi che deve rove-sciare e sostituire lo sfruttatore ben pasciuto e ferrato diogni risorsa e capacità. Questo non può essere che l'ecce-zione. La democrazia elettiva borghese corre incontro allaconsultazione delle masse, perché sa che la maggioranzarisponderà sempre a favore della classe privilegiata, e de-legherà ad essa volontariamente il diritto a governare, e aperpetuare lo sfruttamento.

(...) Tutta la degenerazione dei partiti socialdemocrati-ci della Seconda Internazionale, ed il loro apparente dive-nire meno rivoluzionari della massa non organizzata, deri-vava dal fatto che essi ogni giorno di più perdevano laprecisa sagoma di partito, appunto perché facevano

dell'operaismo, del «laburismo», ossia funzionavano nonpiù come avanguardie precorritrici della classe, ma comesua espressione meccanica in un sistema elettorale ecorporativo in cui si dava lo stesso peso e la stessa in-fluenza agli strati meno coscienti e più dominati da egoi-smi della classe proletaria stessa. La reazione a questoandazzo anche prima della guerra, e particolarmente in Ita-lia, si svolgeva nel senso di difendere la disciplina internadel partito, impedire l'accesso ad esso di elementi nonperfettamente postisi sul terreno rivoluzionario della no-stra dottrina, contrastare le autonomie del gruppo parla-mentare e degli organi locali, epurare le file del partito daelementi spuri.

Questo metodo è quello che si è rivelato come il veroantidoto del riformismo e forma il fondamento della dottri-na e della pratica della Terza Internazionale, per la quale èin primissima linea la funzione del partito, accentrato, di-sciplinato, orientato chiaramente sui problemi di principioe di tattica.

(...)La rivoluzione esige un organamento di forze attive e

positive, affasciate da una dottrina e da una finalità. Note-voli strati ed innumeri individui che materialmente appar-tengono alla classe, nell'ìinteresse della quale la rivoluzio-ne trionferà, sono al di fuori di questo affasciamento. Mala classe, vive, lotta, avanza, vince, mercé l'opera di quelleforze che ha enucleate dal suo seno nei travagli della sto-ria. La classe parte da una omogeneità immediata di con-dizioni economiche che ci appare come il primo motoredella tendenza a superare, ad infrangere l'attuale sistemaproduttivo, ma per assumere questa parte grandiosa essadeve avere un suo pensiero, un suo metodo critico, unasua volontà, che miri a quelle realizzazioni che l'indagine ela critica hanno additate, una sua organizzazione di com-battimento che ne incanali ed utilizzi col migliore rendi-mento gli sforzi ed i sacrifici. Ed in tutto questo è il partito.

Da: «Partito e azione di classe» (1921)(...)Un partito è un insieme di persone che hanno le stesse

vedute generali dello sviluppo della storia, che hanno unaconcezione precisa delle finalità della classe che rappre-sentano, e che hanno pronto un sistema di soluzioni deivari problemi che il proletariato si troverà di fronte quan-do diverrà classe di governo. Perciò il governo di classenon potrà che essere governo di partito. Limitandoci adaccennare queste considerazioni che uno studio anchesuperficiale della rivoluzione russa rende evidentissimo,passiamo all'aspetto antecedente della cosa, alla dimo-strazione cioé che anche l'azione rivoluzionaria di classecontro il potere borghese non può essere che azione dipartito.

E' anzitutto evidente che il proletariato non sarebbematuro ad affrontare i difficilissimi problemi del periododella sua dittatura, se l'organo indispensabile per risol-verli, il partito, non avesse cominciato molto prima a co-stituire il corpo delle sue dottrine e delle sue esperienze.

Ma anche per le dirette necessità della lotta che deveculminare nel rivoluzionario abbattimento della borghe-

sia, il partito è organo indispensabile di tutta l'azione dellaclasse; ed anzi logicamente non si può parlare di veraazione di classe (che cioé sorpassi i limiti degli interessi dicategoria o dei problemucci contingenti) ove non si sia inpresenza di un'azione di partito.

(...)Due ci sembrano le degenerazioni «opportuniste» dalla

buona via. Quella di dedurre la natura e i caratteri delpartito dalla valutazione della possibilità o meno, allo sta-to delle cose, di aggruppare forze notevoli - ossia farsidettare dalle situazioni le norme organizzative del partitoper dare al partito stesso dall'esterno una costituzionediversa da quella cui lo ha condotto la situazione - l'altradi credere che un partito purché sia numeroso e giunga adavere una preparazione militare possa determinare conordini di attacco le situazioni rivoluzionarie - ossia di pre-tendere di creare le situazioni storiche con la volontà delpartito.

Sia quella che si vuole la deviazione di «sinistra» o di«destra» è certo che entrambe si allontanano dalla sanavia marxista. Nel primo caso si rinunzia a quello che può e

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deve essere il legittimo intervento di una sistemazioneinternazionale del movimento, a quel tanto di influenzadella nostra volontà - derivato da una precisa coscienzaed esperienza storica - sullo svolgimento del processorivoluzionario, che è possibile e doveroso realizzare; nel-l'altro si attribuisconoalla volontà delle minoranza influen-ze eccessive ed irreali rischiando di creare soltanto delledisastrose sconfitte.

I rivoluzionari comunisti devono invece essere quelliche, temprati collettivamente dalle esperienze della lottacontro le degenerazioni del movimento del proletariato,credono fermamente nella rivoluzione e vogliono ferma-mente la rivoluzione, ma non col credito e col desiderioche si ha di conseguire il saldo di un pagamento, espostia cedere alla disperazione e alla sfiducia se passa un gior-no dalla scadenza della cambiale.

Da «Il principio democratico» (1922)(...)Il comunismo marxista si presenta nelle enunciazioni di

principio come una critica e una negazione della democra-zia; (...).

La critica marxista ai postulati della democrazia bor-ghese si fonda infatti sulla definizione dei caratteri dellapresente società divisa in classi, e dimostra l'inconsisten-za teorica e l'insidia pratica di un sistema che vorrebbeconciliare l'uguaglianza politica con la divisione della so-cietà in classi sociali determinate dalla natura del sistemadi produzione.

La libertà e uguaglianza politica contenute secondo lateorica liberale nel diritto di suffragio non hanno senso senon su una base che non contenga disparità di condizionieconomiche fondamentali: ecco perché noi comunisti neaccettiamol'applicazione nell'internodegli organismi di clas-se del proletariato, al cui meccanismo sosteniamo che sideve dare un carattere democratico.

(...)L'affermazione che il tempodei «privilegi» è tramonta-

to da quando si è creata la base della formazione elettoralemaggioritaria della gerarchia sociale, non regge alla criticadel marxismo, che porta ben altra luce sulla natura dei fe-nomeni sociali, e può apparire una seducente costruzionelogica solo se si parte dall'ipotesi che il voto ossia il parere,l’opinione, la coscienza, di ciascun elettore abbia lo stessopeso nel conferire la sua delega per l'amministrazione degliaffari collettivi. Quanto poco realista e «materialista» siaquesto concetto lo dimostri per ora questa considerazio-ne: esso configura ogni uomo come una «unità» perfettadi un sistema composto di tante unità potenzialmente equi-valenti tra loro, e anziché porre la valutazione del pronun-ziato di quel singolo in rapporto a mille sue condizioni divita ossia di rapporti con gli altri uomini, la teorizza nellasupposizione della «sovranità». Questo equivale ancora aporre la coscienza degli uomini al di fuori del riflesso con-creto dei fatti e delle determinanti dell'ambiente, a pensarlacome la scintilla accesa in qualunque organismo, sano ologoro, tormentato o armonicamente soddisfatto nei suoibisogni, con eguale provvida misura da un indefinibiledispensatore di vita. Questi non avrebbe designato il mo-narca, ma avrebbe dato a ognuno una eguale facoltà diindicarlo. Il presupposto su cui, malgrado la sua ostenta-zione di razionalità, poggia la teorica democratica, non èdissimile per metafisica puerilità da quello del «libero arbi-trio» per cui la legge cattolica dell'aldilà assolve o condan-na. La democrazia teorica in quanto si accampa fuori deltempo e della contingenza storica non è dunque menoimpeciata di spiritualismo di quello che non siano nel pro-fondodel loro errore le filosofie dell'autorità rivelata e dellamonarchia per diritto divino. (...).

Questo presupposto metafisico incompatibile col ca-

rattere della critica marxista è proprio non solo delle co-struzioni del liberalismo borghese, ma di tutte quelle dot-trine costituzionali e di quei progetti di edificazione dellasocietà che si fondano sulla «intrinseca virtù» di dati schemidi rapporti sociali e statali. Costruendo la sua dottrina del-la storia il marxismo demoliva infatti a un tempol'idealismomedioevale, il liberalismo borghese e il socialismo utopi-sta. (...).

Secondo il concetto religioso e la perfetta teoria del-l'autorità la società umana sarebbe in ogni epoca una col-lettività-unità che riceve la sua gerarchia dai poteri so-prannaturali; e non insisteremo nella critica di un similesemplicismo metafisico contraddetto da tutta la nostraesperienza. La gerarchia nasce da ragioni naturali di ne-cessità nella divisione delle funzioni, e così evidentemen-te avviene nella famiglia. Trasformandosi questa in tribù ein orda, essa deve organizzarsi per lottare contro altreorganizzazioni, e sorgono gerarchie militari sulla base del-l'opportunità di affidare il comando ai più atti a valorizzarele comuni energie. Aquesto criterio di scelta nell'interessecomune, che è di molti millenni più antico dell'elettorali-smo democratico moderno, in quanto re, capitani e sacer-doti furono originariamente elettivi, finiscono colsovrapporsi altri criteri di formazione delle gerarchie, dan-do luogo a privilegi di casta, attraverso l'eredità familiare,o la iniziazione di scuole, sette e culti ristretti, essendo ingenere il possesso di un grado motivato da speciali attitu-dini e funzioni il migliore elemento per influire sulla tra-smissione di questo grado, almeno in via normale. (...).

La divisione in classi nettamente distinte dai privilegieconomici fa sì che il valore di un pronunziatomaggioritario perda ogni valore. La nostra critica confutal'inganno che il meccanismo dello Stato democratico eparlamentare uscito dalle costituzioni liberali moderne siauna organizzazione di tutti i cittadini e nell'interesse ditutti i cittadini. Essendovi interessi contrastanti e conflittidi classe non vi è possibile unità di organizzazione, e loStato resta malgrado l'esteriore apparenza della sovranitàpopolare l'organo della classe economicamente superioree lo strumento della difesa dei suoi interessi.(...) Il comu-nismo dunque dimostra come la formale applicazione giu-ridica e politica del principio democratico e maggioritarioa tutti i cittadini mentre persiste la divisione in classi perrapporto alla economia, non vale a dare allo Stato il carat-tere di una unità organizzativa di tutta la società o di tuttala nazione. La democrazia politica è introdotta con questapretesa ufficiale, ma in realtà come una forma che convie-ne allo specifico potere della classe capitalistica e allavera e propria sua dittatura, agli scopi della conservazio-ne dei suoi privilegi.

Non occorre dunque insistere molto sulla demolizionecritica dell'errore per cui si attribuisce un eguale grado di

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indipendenza e di maturità al «voto» di ciascun elettore,sia esso un lavoratore sfibrato dall'eccesso di fatica fisicao un ricco gaudente, un accorto capitano dell'industria oun disgraziato proletario ignaro delle ragioni e dei rimedidelle sue ristrettezze, andando a cercare gli uni e gli altriuna volta tanto per un lungo periodo di tempo, e preten-dendo che l'aver risolto queste sovrane funzioni basti adassicurare la calma e l'obbedienza di chiunque si sentiràscorticare e maltrattare dalle conseguenze della politica edell'amministrazione statale.(...).

[Il partito politico del proletariato] è l'organo che piùpuò approssimarsi ai caratteri di una collettività unitariaomogenea e solidale nell'azione. In realtà esso comprendeuna minoranza della massa, ma i coefficienti che esso pre-senta in confronto di ogni altro organismo di rappresen-tanza basato su larghissimi strati sono appunto tali chedimostrano come il partito rappresenti gli interessi ed ilmovimento collettivo meglio di ogni altro organo. Nel par-tito politico si realizza la partecipazione continua e ininter-rotta di tutti i componenti alla esecuzione del lavoro comu-ne, e una preparazione alla soluzione dei problemi di lotta edi ricostruzione di cui il grosso della massa non può averecoscienza che nel momento in cui si delineano. Per tuttequeste ragioni è naturale che in un apparecchio di rappre-sentanza e di deleghe che non sia quello della menzognademocratica, ma che si fondi su uno strato della popolazio-ne che fondamentali comuni interessi sospingono nel cor-so della rivoluzione, le scelte spontanee cadono sugli ele-menti proposti dal partito rivoluzionario attrezzato per leesigenze del processo di lotta e di problemi a cui ha potutoe saputo prepararsi. (...) I caratteri positivi che pongono ilpartito all'altezza del suo compito non stanno nel meccani-smo dei suoi statuti e nelle nude misure di organizzazioneinterna, ma si realizzano attraverso il suo processo di svi-luppo e la sua partecipazione alle lotte e all'azione comeformazione di un indirizzo comune intornoa una concezio-ne di un processo storico, a un programma fondamentale,che si precisa come una coscienza collettiva, ed a una si-cura disciplina di organizzazione al tempo stesso. (...).

Il partito non parte da una identità di interessi econo-mici così completa come il sindacato, ma in compenso sta-bilisce l'unità della sua organizzazione su una base tantopiù vasta quanto è la classe in confronto della categoria.Non solo il partito si estende sulla base dell'intera classe

proletaria nello spazio, fino a divenire internazionale, maaltresì nel tempo: ossia esso è lo specifico organo la cuicoscienza e la cui azione rispecchiano le esigenze del suc-cesso nell'interocammino di emancipazione rivoluzionariadel proletariato. (...).

A fianco di un compito di consultazione analogo a quel-lo legislativo degli apparati di Stato, il partito ha un compi-to esecutivo che corrisponde addirittura nei momenti su-premi di lotta a quello di un esercito, che esigerebbe ilmassimo di disciplina gerarchica. In via di fatto, nel com-plicato processo che ci ha portato ad avere dei partiti co-munisti, la formazione della gerarchia è un fatto reale edialettico che ha lontane origini e che risponde a tutto ilpassato di esperienza, di esercitazione del meccanismo delpartito. Non possiamo concepire una designazione di mag-gioranza del partito come aprioristicamente tanto felicenella scelta quanto quella di un giudice infallibile e sopran-naturale che dia i capi alle collettività umane, a cui credonocoloro secondo i quali è un dato di fatto la partecipazioneai conclavi dello Spirito Santo. (...).

Il criterio democratico è finora per noi un accidentemateriale per la costruzione della nostra organizzazioneinterna e la formulazione degli statuti di partito; esso non èl'indispensabile piattaforma. Ecco perché noi non eleve-remmo a principio la nota formula organizzativa del«centralismo democratico». La democrazia non può esse-re per noi un principio; il centralismo lo è indubbiamente,poiché i caratteri essenziali dell'organizzazione del partitodevono essere l'unità di struttura e di movimento. Per se-gnare la continuità nello spazio della struttura di partito èsufficiente il termine centralismo, e per introdurre il con-cetto essenziale di continuità nel tempo, ossia nello scopoa cui si tende e nella direzione in cui si procede versosuccessivi ostacoli da superare, collegando anzi questidue essenziali concetti di unità, noi proporremmo di direche il partito comunista fonda la sua organizzaizone sul«centralismo organico». Così, conservando quel tantodell'accidentale meccanismo democratico che ci potrà ser-vire, elimineremmo l'uso di un termine caro ai peggiori de-magoghi e impastato di ironia per tutti gli sfruttati, gli op-pressi, e gli ingannati, quale quello di «democrazia», che èconsigliabile regalare per esclusivo loro uso ai borghesi eai campioni del liberalismo variamente paludato talvolta inpose estremiste.

I - Natura organica del partito comunista

1. Il partito comunista, partito politico della classe pro-letaria, si presenta nella sua azione come una collettivitàoperante con indirizzo unitario. I moventi iniziali pei qualigli elementi e i gruppi di questa collettività sono condottiad inquadrarsi in un organismo ad azione unitaria sono gliinteressi immediati di gruppi della classe lavoratrice susci-tati dalle loro condizioni economiche. Carattere essenzialedella funzione del partito comunista è l'impiego delle ener-gie così inquadrate per il conseguimento di obbiettivi che,per essere comuni a tutta la classe lavoratrice e situati altermine di tutta la serie delle sue lotte, superano attraversola integrazione di essi gli interessi dei singoli gruppi e ipostulati immediati e contingenti che la classe lavoratrice

Da: «Tesi sulla tattica del pc d'Italia» - Roma, marzo 1922

si può porre.2. La integrazione di tutte le spinte elementari in una

azione unitaria si manifesta attraverso due principali fatto-ri: uno di coscienza critica, dal quale il partito trae il suoprogramma, l'altro di volontà che si esprime nello strumen-to con cui il partito agisce, la sua disciplinata e centralizza-ta organizzazione. Questi due fattori di coscienza e di vo-lontà sarebbe erroneo considerarli come facoltà che si pos-sano ottenere o si debbano pretendere dai singoli poichési realizzano solo per la integrazione dell'attività di moltiindividui in un organismo collettivo unitario.

3. Alla precisa definizione della coscienza teorico-criti-ca del movimento comunista, contenuta nelle dichiarazioniprogrammatiche dei partiti e della Internazionale Comuni-sta, come all'organizzarsi degli uni e dell'altra, si è pervenu-

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ti e si perviene attraverso l'esame e lo studio della storiadella società umana e della sua struttura nella presenteepoca capitalistica, svolti coi dati, colle esperienze e nellaattiva partecipazione alla reale lotta proletaria.

4. La proclamazione di queste dichiarazioni program-matiche come la designazione degli uomini a cui si affida-no i vari gradi della organizzazione di partito si svolgonoformalmente con una consultazione a forma democraticadi consensi rappresentativi del partito, ma devono in real-tà intendersi come un prodotto del processo reale che ac-cumula gli elementi di esperienza e realizza la preparazionee la selezione dei dirigenti dando forma al contenuto pro-grammatico ed alla costituzione gerarchica del partito. (...).

V - Elementi della tattica del partito comunista trattidall'esame delle situazioni

(...)25. Il partito comunista intanto riesce a possedere il

suo carattere di unità e di tendenza a realizzare tutto unprocesso programmatico, in quanto raggruppa nelle suefile quella parte del proletariato che ha superato nell'orga-nizzarsi la tendenza a muoversi soltanto per gli impulsiimmediati di ristrette situazioni economiche. L'influenzadella situazione sui movimenti d'insieme del partito cessadi essere immediata e deterministica per divenire una di-pendenza razionale e volontaria, in quanto la coscienzacritica e l'iniziativa della volontà che hanno limitatissimovalore per gli individui sono realizzate nella collettività or-ganica del partito: tanto più che il partito comunista sipresenta come antesignano di quelle forme di associazio-ne umana che trarranno dall'aver superato la presente in-forme organizzazione economica la facoltà di dirigere ra-zionalmente, in luogo di subirlo passivamente, il gioco deifattori economici e delle loro leggi.

26. Il partito non può tuttavia adoperare la sua volontàe la sua iniziativa in una direzione capricciosa ed in unamisura arbitraria; i limiti entro i quali deve e può fissarel'una e l'altra gli sono posti appunto dalle sue direttiveprogrammatiche e dalle possibilità e opportunità di movi-mento che si deducono dall'esame delle situazioni contin-genti.

(...).29. Il possesso da parte del partito comunista di un

metodo critico e di una coscienza che conduce alla formu-lazione del suo programma è una condizione della sua vitaorganica. Perciò stesso il partito e la Internazionale Comu-nista non possono limitarsi a stabilire la massima libertà edelasticità di tattica affidandone l'esecuzione ai centri diri-genti, previo esame delle situazioni, a loro giudizio. Non

avendo il programma del partito il carattere di un semplicescopo da raggiungere per qualunque via, ma quello di unaprospettiva storica di vie e di punti di arrivo collegati traloro, la tattica nelle successive situazioni deve essere inrapporto al programma, e perciò le norme tattiche generaliper le situazioni successive devono essere precisate entrocerti limiti non rigidi, ma sempre più netti e menooscillantiman mano che il movimento si rafforza e si avvicina allasua vittoria generale. Solo un tale criterio può permetteredi avvicinarsi sempre più al massimo accentramento effet-tivo nei partiti e nell'Internazionale, per la direzione del-l'azione, in modo che la esecuzione delle disposizioni cen-trali sia accettata senza riluttanza non solo nel seno deipartiti comunisti ma anche nel movimento delle masse cheessi sono pervenuti ad inquadrare: non dovendosi dimen-ticare che a base dell'accettazione della disciplina organicadel movimento vi è un fatto di iniziativa dei singoli e deigruppi dipendente dalle influenze della situazione e deisuoi sviluppi, ed un continuo logico progresso di espe-rienze e di rettifiche della via da seguire per la più efficaceazione contro le condizioni di vita fatte dall'assetto pre-sente al proletariato. Perciò il partito e l'Internazionale de-vono esporre in maniera sistematica l'insieme delle normetattiche generali per l'applicazione delle quali potrannochiamare all'azione e al sacrificio le schiere dei loroaderen-ti e gli strati del proletariato che si stringono attorno adesse, dimostrando come tali norme e prospettive di azionecostituiscono la inevitabile via per arrivare alla vittoria. E'dunque una necessità di pratica e di organizzazione e nonil desiderio di teorizzare e di schematizzare la complessitàdei movimenti che il partito potrà essere chiamato ad intra-prendere, che conduce a stabilire i termini e i limiti dellatattica del partito, ed è per queste ragioni affatto concreteche esso deve prendere delle decisioni che sembrano re-stringere le sue possibilità di azione, ma che sole danno lagaranzia della organica unità della sua opera nella lottaproletaria. (...).

VII -Azione tattica «diretta» del partitocomunista

(...)47. (...)Tutta la tattica del partito comunista non è dettata da

preconcetti teorici o da preoccupazioni etiche ed esteti-che, ma solodalla reale proporzione dei mezzi al fine ed allarealtà del processo storico, in quella sintesi dialettica didottrina e di azione che è il patrimonio di un movimentodestinato ad essere il protagonista del più vastorinnovamente sociale, il condottiero della più grande guer-ra rivoluzionaria.

(...)Crediamoalla possibilità che l'Internazionale cada nel-

l'opportunismo. Badiamodi non tradurre possibilità in cer-tezza, oanche in probabilità maggiore ominore. Troviamoassurdo supporre che «una qualunque» Internazionale,anche costituita secondo le nostre «ricette», oggetto ditanta ironia, possa per virtù misteriosa, per garanzie fissa-teAPRIORI, formarsi una speciedi assicurazionecontro ilpericolo di deviazioni opportuniste. Non posono bastare iprecedenti storici più gloriosi e smaglianti a garantire un

Da «Il pericolo opportunista e l'Internazionale» (1925)movimento, anche e soprattutto un movimento di avan-guardia rivoluzionaria, contro l'eventualità di unrevisionismo interno. Le garanzie contro l'opportunismonon possono consistere nel passato, ma devono essere inogni momento presenti e attuali.

Non vediamo poi gravi inconvenienti in una esageratapreoccupazione verso il pericolo opportunista. Certo ilcriticismo e l'allarmismo fatti per sport sonodeplorevolis-simi; ma dato anche che essi siano, anziché il preciso ri-flesso di «qualche cosa che non cammina bene» e l'intui-

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zione di deviazioni gravi che si preparano, puro prodottodi elucubrazioni di militanti, è certoche non avrannomododi indebolire menomamente il movimentoe sarannofacil-mente superati. Mentre gravissimo è il pericolo se, all'op-posto, come purtroppo è avvenuto in tanti precedenti, lamalattia opportunista grandeggia prima che si sia osato daqualche partedare vigorosamentel'allarme. La critica sen-za l'errorenon nuocenemmenola millesima partedi quantonuoce l'errore senza la critica.

Ci pare che l'atteggiamento e la mentalità con la qualesi accolgonole obiezioni della sinistra italiana alle direttiveadottate dai dirigenti dell'Internazionale, rivelinouna con-traddizione stranissima colla negazione della presenza diun pericolo opportunista, di cui ci si deve preoccupare.

Si polemizza in questomodo: la sinistra diceche l'Inter-nazionalesbaglia. L'Internazionale non puòsbagliare; quin-di la sinistra ha torto. (...)

Un sistemaincompatibile col metodorivoluzionario

Non facciamo di questo sistema una critica «morale».Indichiamosoloche ci sembra incompatibile con un meto-do rivoluzionario. Ed infatti, se è vero che esiste un certostrato di compagni e seguaci solidarmente acquisiti a cuiun simile modo di ragionare «chiude la bocca» - pur spin-gendoli, per ogni volta che losi impiega, di un piccolopas-so più oltre nello scetticismo di domani - al di fuori di que-sti elementi già nostri, si tratta invece di attrarre, convince-re, mobilitare coloro per i quali non rappresenta nessunaautorità il ricorsoai nostri testi ed alle nostre deliberazionie tradizioni interne, ma che ci guardano con diffidenza, eche con argomenti e mezzi positivi dobbiamo trarre dalladiffidenza alla fiducia.

Questo è il compito fondamentale di un partito rivolu-zionario, e tanto più per coloro che sento gridare di voler«conquistare le masse». Ora, lo stesso modo con cui glielementi dell'attualestatomaggiore internazionalee nazio-nale vogliono per le spicciole sbarazzarsi delle nostre opi-nioni, ci conduce a dubitare della lorocapacità a diffonde-re al di fuori del partito il programma e ledirettive comuni-ste. Un movimento rivoluzionario deve giorno per giornospostare masse stagnanti dell'opinione, e per questo moti-vo deve quotidianamente, per così dire, gettare in piazza lesue tesi, per dimostrare la verità.

E' solo un partito conservatore che può fare il contra-rio, e vivere gelosamente del suo patrimonio di principii,nel senso di rispettarli, ma nello stesso tempo di ritenersiesoneratodal discuterli in contraddittoriocon chicchessia.Gli esempi storici sono così evidenti da poter fare a menodi citarli: una feroce autocritica ha distintotutti i partiti cheattraversano il vero periodo di fecondità rivoluzionaria edespansione di potenza.

Questo è poi vero soprattutto per il marxismo rivolu-zionario che respinge ogni metafisica ed ogni apriorismo,per basare la verità dei suoi principii sulla dialettica di unavera dimostrazione permanente attraversola storia e l'azio-ne.

(...)Dovremmo dire questo, che tra tanto chiacchierare di

strategia e di manovra e di conquista delle masse, in realtànon ci si sente la forza di allargare la nostra influenza e cheriduciamo il nostro obiettivo a tenerci attaccati i seguacigià conquistati, non esitando a smembrare il movimentodove sorgono iniziative di discussione e di critica.

Questosarebbe il vero, il peggiore liquidazionismo del

partito e dell'Internazionale, accompagnatoda tutti i feno-meni caratteristici e ben noti del filisteismoburocratico. Ilsintomo di questo è il cieco ottimismo di ufficio: tutto vabene e chi si permette di dubitare non è che uno scocciato-re da mandare al più presto fuori dai piedi. Noi ci opponia-mo a questo andazzo, appunto perché fiduciosi nella cau-sa comunista e nell'Internazionale, neghiamo che questadebba ridursi a consumarevolgarmente «il suopatrimonio»di potenza e di influenza politica.

A quanto abbiamo detto si può fare un'obiezione di ca-rattere organizzativo: sta bene che discutendo con gli av-versari o i non ancora convinti alla nostra fede politica noidobbiamo come base di discussione porre tutto il nostrobagaglio di idee sul tavolo anatomico del dubbio, ma sequesto volessimofare in tutto il lavoro interno di partito sene andrebbe al diavolo la sua solidità organizzativa e di-sciplinare. La obiezione non ha nessuna consistenza. An-zitutto noi non diciamo che sempre e dovunque si debba-no fare delle discussioni come quella attualeprecongressuale. E' ammissibilissimo che in un partitocome il nostro, per periodi più o meno lunghi, sia sospesaogni facoltà di critica, ed è poi sempre necessaria la disci-plina esecutiva nell'azione. Ma se la discussione si fa comein tutte le sezioni dell'Internazionale se ne fannoassai fre-quentemente, e assai più frequentemente che nel nostropartitocometutti sanno, noi sosteniamoche perché sia utilee non avvelenatrice debba svolgersi col criterio da noi di-feso. Ed infine non si può fare, tanto più da quelli che vo-gliono tanto larghe le basi organizzative del partito, unadistinzione rigida tra lavorodi propaganda tra compagni etra le masse: è stolto abituare il compagno che vogliamomandare nella fabbrica e altrove a convincere gli operai dialtro partitoosenza partito, a liquidare tutte le discussioni,cui si deve tirocinareattraverso il lavoro politicointerno dipartito, con un «così ha detto il nostro Esecutivo» o «cosìsta scrittonel programma del miopartito». Ogni propagan-da eagitazione sarebbero frustrate da una simile educazio-ne dei nostri compagni.

La «bolscevizzazione»

Ha destato scalpore enorme la nostra presa di posizio-ne contro la bolscevizzazione e contro le cellule. (...) lanostra posizione si può schematizzare così. Il tipo di orga-nizzazione del partito non può per se stesso assicurarne ilcarattere politico o garantirlo contro le degenerazioni op-portuniste. Non è dunque esattodire che la base territoria-le definisce il partito socialdemocratico, la base di fabbricaquella comunista. La base delle cellule di fabbrica, utile inRussia nel periodo zarista e da non abbandonarsi dopo,non la troviamo opportuna nei paesi di avanzato capitali-smo e a regime politico democratico borghese (...) Altresono le cellule di fabbrica delle quali parlano le tesi del IICongresso, di cui parlanoi documenti della frazione comu-nista prima di Livorno redatti dagli ordinovisti e da noiconcordemente, di cui solosi parlònelle polemiche controla tattica sindacale del massimalismo, chefuronorealizzatiin pieno dal nostro partito nel primo periodo, che rispose-roottimamentee ai quali va attribuitoanche oggi ciòche dibuono fanno le famose cellule dove ci sono (...).

Noi non siamocontro le cellule, nemmenocome gruppidi iscritti al partito nelle fabbriche con date funzioni; solochiediamoche non si sopprima la rete territoriale e chela siconsideri come rete fondamentale per l'attività politica delpartito, comeinquadramentoorganizzativo estrumentodi

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manovra neimovimenti proletari, insiemea quelli di fabbri-ca, sindacali, corporativi, ecc.

Ma andiamo un poco più oltre in questo affare dellabolscevizzazione, e precisiamo la nostra diffidenza apertaverso di essa. in quanto essa si concreta nell'organizzazio-ne per cellule, cui sovrasta onnipotente la rete dei funzio-nari, selezionati col criterio dell'ossequio cieco ad unricettario che vorrebbe essere il leninismo; in un metodotatticoe di lavoro politicoche si illude di realizzare il mas-simo di rispondenza esecutiva alle disposizioni più inatte-se, e in una impostazione storica dell'azione comunistamondiale in cui l'ultima parola debba sempre trovarsi neiprecedenti del partito russo interpretati da un gruppo pri-vilegiato di compagni: noi consideriamoche essa non rag-giungerà i suoi stessi scopi e indebolirà il movimento, e la

giudichiamo come una reazione non indovinata al succes-so poco favorevole di molti esperimenti tattici del metodoprevalente, controle critichenostre,nell'Internazionale. (...)

Il più delle volte il partito gira attorno alla propria codasenza nulla attuare; tutto questo passa per successo dalpunto di vista di ufficio, e basta. Ad esempio noi non sia-mo contro la costituzione dei Comitati operai e contadini,se essi non sono un blocco di partiti né pretendono di es-sere i Soviet, ma sono una iniziativa di fronte unico dellaclasse operaia fatta dal basso e sulla base di organismi eco-nomici e«naturali» del proletariato. Siamoinvececontro laloro costituzione, accompagnata da un abuso incredibiledi letteratura a vuoto attorno ad essi, se è manovra tra par-titi politici.

(...)

Da: «Tesi di Lione» presentate dalla Sinistra - gennaio 1926I - Questioni generali

(...)3. Azione e tattica del partito.(...) Se solo l'umanità proletaria, da cui siamo ancora

lontani, sarà libera e capace di una volontà che non siaillusione sentimentale, ma capacità di organizzare e tene-re in pugno l'economia nel più largo senso della parola;se oggi la classe proletaria è pur sempre, sebbene menodelle altre classi, determinata nei limiti della propria azio-ne da influenze ad essa esterne, l'organo invece in cuiproprio si riassume il massimo di possibilità volitiva e diiniziativa in tutto il campo della sua azione è il partitopolitico: non certo un qualunque partito, ma il partitodella classe proletaria, il partito comunista, legato, percosì dire, da un filo ininterrotto alle ultime mete del pro-cesso avvenire. Una tale facoltà volitiva nel partito, cosìcome la sua coscienza e preparazione teoretica, sono fun-zioni squisitamente collettive del partito, e la spiegazio-ne marxista del compito assegnato nel partito stesso aisuoi capi sta nel considerarli come strumenti ed operato-ri attraverso i quali meglio si manifestano le capacità dicomprendere e spiegare i fatti e dirigere e volere le azioni,conservando sempre tali capacità la loro origine nellaesistenza e nei caratteri dell'organo collettivo. Per questeconsiderazioni il concetto marxista del partito e della suaazione rifugge, come abbiamo enunciato, così dal fatali-smo, passivo aspettatore di fenomeni su cui non si sentein influire in modo diretto, come da ogni concezionevolontaristica nel senso individuale, secondo cui le qua-lità di preparazione teoretica, forza di volontà, spirito disacrificio, insomma uno speciale tipo di figura morale edun requisito di «purezza» siano da chiedersi indistinta-mente ad ogni singolo militante del partito, riducendoquesto ad una élite distinta e superiore al restante deglielementi sociali che compongono la classe operaia; men-tre l'errore fatalista e passivistico condurrebbe, se non anegare la funzione e l'utilità del partito, almeno ad ada-giarlo senz'altro sulla classe proletaria intesa nel sensoeconomico, statistico. Si ribadiscono le conclusioni ac-cennate nella tesi che precede sulla natura del partito,condannando sia il concetto operaistico che quello dellaélite a carattere intellettuale e morale, entrambi aberrantidal marxismo e condotti ad incontrarsi tra loro sulla viadello sbocco opportunista. (...).

L'attività del partito non può e non deve limitarsi osolo alla conservazione della purezza dei principi teoricie della purezza della compagine organizzativa, oppuresolo alla realizzazione ad ogni costo di successi immedia-ti e di popolarità numerica. Esso deve conglobare in tuttii tempi e in tutte le situazioni, i tre punti seguenti:

a) la difesa e la precisazione in ordine ai nuovi gruppidi fatti che si presentano dei postulati fondamentalipragmatici, ossia della coscienza teorica del movimentodella classe operaia;

b) l'assicurazione della continuità della compagine or-ganizzativa del partito e della sua efficienza, e la sua dife-sa da inquinamenti con influenze estranee ed opposteall'interesse rivoluzionariodel proletariato;

c) la partecipazione attiva a tutte le lotte della classeoperaia anche suscitate da interessi parziali e limitati, perincoraggiarne lo sviluppo, ma costantemente apportan-dovi il fattore del loro raccordamento con gli scopi finalirivoluzionari e presentando le conquiste della lotta diclasse come ponti di passaggio alle indispensabili lotteavvenire, denunziando il pericolo di adagiarsi sulle rea-lizzazioni parziali come su posizioni di arrivo e di baratta-re con esse le condizioni della attività e della combattivi-tà classista del proletariato, come l'autonomia e l'indi-pendenza della sua ideologia e delle sue organizzazioni,primissimo tra queste il partito.

Scopo supremo di questa complessa attività del par-tito è preparare le condizioni soggettive di preparazionedel proletariato nel senso che questo sia messo in gradodi approfittare delle possibilità rivoluzionarie oggettiveche presenterà la storia, non appena queste si affacce-ranno, ed in modo da uscire dalla lotta vincitore e nonvinto.

(...) Vi sono situazioni oggettivamente sfavorevoli allarivoluzione, e lontane da essa come rapporti delle forze(...) in cui il voler essere a tutti i costi partiti di masse e dimaggioranza, il volere avere a tutti i costi preminente in-fluenza politica, non si può raggiungere che rinunciandoai principi ed ai metodi comunisti e facendo una politicasocialdemocratica e piccolo borghese. Si deve altamentedire che, in certe situazioni passate, presenti e avvenire,il proletariato è stato, è e sarà necessariamente nella suamaggioranza su una posizionenon rivoluzionaria, di iner-zia e di collaborazione col nemico a seconda dei casi; eche in tanto, malgrado tutto, il proletariato rimane ovun-

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que e sempre la classe potenzialmente rivoluzionaria edepositaria della riscossa della rivoluzione, in quanto nelsuo seno il partito comunista, senza mai rinunziare a tut-te le possibilità di coerente affermazione e manifestazio-ne, sa non ingaggiarsi nelle vie che appaiono più faciliagli effetti di una popolarità immediata, ma che deviereb-bero il partito dal suo compito e toglierebbero al proleta-riato il punto di appoggio indispensabile della sua ripre-sa. Su tale terrenodialettico e marxista, non mai sul terre-no estetista e sentimentale, va respinta la bestiale espres-sione opportunista che un partito comunista è libero diadottare tutti i mezzi e tutti i metodi. Si dice che, appuntoperché il partito è veramente comunista, sano cioè neiprincipi e nella organizzazione, si può permettere tutte leacrobazie della manovra politica, ma questa asserzionedimentica che il partito è per noi al tempo stesso fattore eprodotto dello sviluppo storico, e dinanzi alle forze diquesto si comporta come materia ancora più plastica ilproletariato. (...).

Lenin dice nel suo libro sull'infantilismo che i mezzitattici debbonoessere prescelti, in ordine alla realizzazio-ne delloscopo finale rivoluzionario, attraverso una chia-ra visione storica della lotta del proletariato e del suosbocco, e che sarebbe assurdo scartare un certo espe-diente tattico solo perché sembri «brutto» o meriti la de-finizione di «compromesso»: occorre invece stabilire sequel mezzo è o non rispondente al fine. Questo problemaè sempre aperto e resterà sempre aperto come formidabi-le compito dinanzi all'attività collettiva del partito e del-l'Internazionale Comunista. Se sul problema dei principiteorici dopo Marx e Lenin ci possiamo dire in possessodi una sicura eredità, senza voler dire che sia finito ognicompito di nuove ricerche teoriche per il comunismo, lostesso non si può dire nel campo tattico, neppure dopola rivoluzione russa e la esperienza dei primi anni di vitadella nuova Internazionale, a cui troppo presto Lenin èvenuto a mancare. Il problema della tattica, assai più am-pio delle semplicistiche risposte sentimentali degli «in-fantili», deve essere ancora meglio lumeggiato col con-tributo di tutto il movimento comunista internazionale, edi tutta la sua esperienza antica e recente. Non è controMarx e Lenin l'affermare che nel risolverlo si devono per-seguire delle regole di azione, non vitali e fondamentalicome i principi, ma obbligatorie sia per i gregari che pergli organi dirigenti del movimento, che contemplino lepossibilità diverse di sviluppo delle situazioni, per trac-ciare col possibile grado di precisione in quale sensodovrà muoversi il partito quando esse presenteranno de-terminati aspetti.

L'esame e la comprensione delle situazioni devonoessere elementi necessari delle decisioni tattiche, ma nonin quanto possano condurre, ad arbitrio dei capi, a«improvvisazioni» ed a «sorprese», ma in quanto segna-leranno al movimento che è giunta l'ora di un'azione pre-veduta nella maggior misura possibile. Negare la possi-bilità di prevedere le grandi linee della tattica - non diprevedere le situazioni, il che è possibile con sicurezzaancora minore, ma di prevedere che cosa dovremo farenelle varie ipotesi possibili sull'andamento delle situa-zioni oggettive - significa negare il compito del partito, enegare la sola garanzia che possiamo dare alla rispon-denza, in ogni eventualità, degli iscritti al partito e dellemasse agli ordini del centro dirigente. In questo senso ilpartito non è un esercito, e nemmeno un ingranaggiostatale, ossia un organo in cui la parte dell'autorità gerar-

chica è preminente e nulla quella dell'adesione volonta-ria; è ovvio il notare che al membro del partito resta sem-pre una via per la non esecuzione degli ordini, a cui nonsi contrappongonosanzioni materiali: l'uscita dal partitostesso. (...). Non esitiamo a dire che, essendo lo stessopartito cosa perfettibile e non perfetta, molto deve esse-re sacrificato alla chiarezza, alla capacità di persuasionedelle norme tattiche, anche se ciò comporta una certaquale schematizzazione: quando le situazioni rompesse-ro di forza gli schemi tattici da noi preparati, non si rime-dierà cadendo nell'opportunismo e nell'eclettismo, ma sidovrà compiere un nuovo sforzo per adeguare la lineatattica ai compiti del partito. Non è il partito buono chedà la tattica buona, soltanto, ma è la buona tattica che dàil buon partito, e la buona tattica non può essere che traquelle capite e scelte da tutti nelle linee fondamentali.

(...).

II - Questioni internazionali

(...)4. Questioni organizzative.Nella fondazione del Comintern ebbe molto peso la

considerazione che urgeva attuare un vasto concentra-mento di forze rivoluzionarie, prevedendosi allora moltopiù rapido lo sviluppo delle situazioni oggettive. Tutta-via si è potuto constatare che sarebbe stato più conve-niente procedere con maggior rigore nei criteri di orga-nizzazione. Agli effetti della formazione dei partiti o dellaconquista delle masse i risultati non sono stati favoritiné dalle concessioni a gruppi sindacalisti ed anarchici,né da piccole transazioni ammesse nelle 21 condizioniverso i centristi, né dalle fusioni organiche con parti dipartiti ottenute con «noyautage» politico, né dal tollera-re la doppia organizzazione comunista in certi paesi con ipartiti simpatizzanti. La parola d'ordine della organizza-zione dei partiti sulla base delle cellule, lanciata dopo il VCongresso, non raggiunge il suo scopo di sanare i difetticoncordemente constatati nelle sezioni dell'Internazio-nale. Nella sua generalizzazione, e soprattuttonella inter-pretazione datale dalle Centrale italiana, tale parola d'or-dine si presta a gravi errori e ad una deviazione sia dalpostulato marxista che la rivoluzione non è una questio-ne di forme di organizzazione, che dalla tesi leninista cheuna soluzione organica non può mai essere valida pertutti i tempi e per tutti i luoghi.

(...)Il conservare al partito l'organizzazione di base terri-

toriale non vuol dire rinunciare ad avere organi di partitonelle officine: questi devono essere i gruppi comunisticollegati al partito e diretti da questo, ed inseritinell'inqudramento sindacale del partito. Questo sistemarisolve assai meglio il contatto con le masse e serba menovisibile l'organizzazione fondamentale del partito.

5. Disciplina e frazioni.Un altro aspetto della parola bolscevizzazione è quel-

lo di far consistere la sicura garanzia della efficienza delpartito in un completo accentramento disciplinare e nelsevero divieto di frazionismo.

L'ultima istanza per tutte le questioni controverse èl'organo centrale internazionale, nel quale si attribuisce,se non gerarchicamente, almeno politicamente, una ege-monia al PartitoComunista Russo.

Questa garanzia in realtà non esiste, e tutta la impo-

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stazione del problema è inadeguata. In linea di fatto nonsi è evitato l'imperversare del frazionismo nell'Internazio-nale, ma se ne sono incoraggiate invece forme dissimula-te ed ipocrite. Dal punto di vista storico poi il supera-mento delle frazioni nel partito russo non è stato un espe-diente né una ricetta ad effetti magici applicata sul terre-no statutario, ma è stato il risultato e l'espressione dellafelice impostazione dei problemi di dottrina e di azionepolitica.

Le sanzioni disciplinari sono uno degli elementi chegarantiscono contro le degenerazioni, ma a patto che laloro applicazione resti nei limiti dei casi eccezionali, enon divenga la normalità e quasi l'ideale del funziona-mento del partito.

La soluzione come non sta in una esasperazione avuoto dell'autoritarismo gerarchico (a cui la investiturainiziale viene a mancare, sia nella incompletezza delle purgrandiose esperienze storiche russe, sia perché nella stes-sa vecchia guardia, custode delle tradizioni bolsceviche,sorgono di fatto dissensi la cui soluzione non va ritenutaa priori come la migliore) così non sta in una applicazionesistematica dei principi della democrazia formale, che nelmarxismo non hanno altro posto che quello di una prati-ca organizzativa suscettibile di essere comoda.

I partiti comunisti devono realizzare un centralismoorganico che, col massimo compatibile di consultazionedella base, assicuri la spontanea eliminazione di ogni ag-gruppamento tendente a differenziarsi. Questo non si ot-tiene con prescrizioni gerarchiche formali o meccaniche,ma, come dice Lenin, colla giusta politica rivoluzionaria.

La repressione del frazionismo non è un aspetto fon-damentale della evoluzione del partito, bensì lo è la pre-venzione di esso.

Essendo assurdo e sterile, nonché pericolosissimo,pretendere che il partitoe l'Internazionale siano misterio-samente assicurati contro ogni ricaduta o tendenza allaricaduta nell'opportunismo, che possono dipendere damutamenti della situazione come dal gioco dei residuidelle tradizioni socialdemocratiche, nella risoluzione deinostri problemi si deve ammettere che ognidifferenziazione di opinione non riducibile a casi di co-scienza odi disfattismo personale può svilupparsi in unautile funzione di preservazione del partito e del proleta-riato in generale da gravi pericoli.

Se questi si accentuassero, la differenziazione pren-derebbe inevitabilmente ma utilmente la formafrazionistica, e questo potrebbe condurre a scissioni nonper il bambinesco motivo di una mancanza di energiarepressiva da parte dei dirigenti, ma solo nella dannataipotesi del fallimento del partito e del suo asservimentoad influenze controrivoluzionarie.

Un esempio del falso metodo si ravvisa nelle soluzio-ni artificiose della situazione del partito tedesco dopo lacrisi opportunista del 1923, con lequali, senza d'altra parteriuscire ad eliminare il frazionismo, si è intralciata la de-terminazione spontanea, nelle file di un proletariato cosìavanzato come quello tedesco, della giusta reazione clas-sista e rivoluzionaria alla degenerazione del partito.

Il pericolo dell'influenzamento borghese sul partito diclasse non si presenta storicamente come organizzazio-ne di frazione, ma piuttosto come una accorta penetrazionesventolante una demagogia unitaria e operante come unadittatura dall'alto, immobilizzatrice delle iniziative dellaavanguardia proletaria.

Si riesce ad individuare e colpire un simile fattore

disfattista non ponendo la questione di disciplina controi tentativi di frazione ma riuscendoad orientare il partitoed il proletariato contro una tale insidia nel momento incui prende l'aspetto non solo di una revisione dottrinale,ma di una proposta positiva di una importante manovrapolitica ad effetti anticlassisti.

Uno degli aspetti negativi della cosiddettabolscevizzazione consiste nel sostituire alla elaborazio-ne politica completa e cosciente nel seno del partito, checorrisponde ad effettivo progresso verso il centralismopiù compatto, una agitazione esteriore e clamorosa delleformule meccaniche dell'unità per l'unità e della discipli-na per la disciplina.

I risultati di questo metodo danneggiano il partito edil proletariato e ritardano il raggiungimento del «vero»partito comunista. Questo metodo applicato in molte se-zioni dell'Internazionale, è di per se stesso un grave sin-tomo di un latente opportunismo. Nella situazione di ogginel Comintern non si delinea la costituzione di una oppo-sizione internazionale di sinistra, ma se continuasse losviluppo dei fattori sfavorevoli fin qui indicati, il formarsidi una tale opposizione sarà nello stesso tempo una ne-cessità rivoluzionaria ed un riflesso spontaneo della si-tuazione.

(...)

III - Questioni italiane

(...)10. Operato della Centrale nella questione del

frazionismo.La campagna culminante nella preparazione del con-

gresso è stata deliberatamente impostata dopo il V Con-gresso mondiale non come un lavoro di propaganda edelaborazione in tutto il partito delle direttive dell'Interna-zionale tendente a creare una vera ed utile più avanzatacoscienza collettiva, ma come una agitazione mirante araggiungere nel modo più spiccio e col minimo sforzo larinunzia dei compagni alla adesione alle opinioni dellasinistra. Non si è badato se un tale metodo era utile odannoso al partito agli effetti della sua efficienza verso inemici esterni, ma si è mirato con ogni mezzo alraggiungimento di quell'obiettivo interno.

Si dice altrove della critica in linea storica e teorica almetodo illusorio della repressione dall'alto delfrazionismo. Nel caso italiano il V Congresso aveva ac-colto la richiesta della sinistra di rinunciare ad imposi-zioni dall'alto e prendere atto dell'impegno a non fareopera di opposizione e a partecipare a tutto il lavoro dipartito ma non alla direzione politica. Tale accordo furotto dalla Centrale con una campagna non di postulatiideologici e tattici ma di accuse disciplinari a singoli com-pagni portate innanzi ai congressi federali in una luceunilaterale.

La costituzione del Comitato d'intesa all'annunzio delcongresso era un atto spontaneo tendente ad evitarereazioni singole e di gruppi nel senso della disgregazio-ne, per incanalare l'azione di tutti i compagni della sini-stra in una linea comune e responsabile entro gli strettilimiti della disciplina e con la garanzia del rispettoai dirit-ti di tutti i compagni della consultazione del partito. Talefatto fu colto dalla centrale ed inserito nel piano di agita-zione col presentare i sinistri sotto la luce di frazionisti escissionisti, attraverso la campagna in cui si vietò loro didifendersi prima che si ottenessero con imposizioni dal-

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l'alto voti contro la sinistra dai Comitati federali.Il piano di agitazione di sviluppò con una revisione

frazionista dell'apparato del partitoe delle cariche locali,colla maniera di presentare gli scritti di contributo alladiscussione, col rifiuto alla sinistra di intervenire con rap-presentanti nei Congressi federali, culminando nel siste-ma di votazione inaudito che attribuisce automaticamen-te alle tesi della Centrale i voti degli assenti alla consulta-zione.

Qualunque sia il risultato di una simile opera per ilsuo effetto numerico maggioritario, esso non ha fattoavanzare, ma ha danneggiato la coscienza ideologica delpartito ed il suo prestigio tra le masse. Se si sono evitatepeggiori conseguenze lo si deve alla moderazione deicompagni di sinistra, che hanno subito un tale martella-mento non perché lo credessero minimamente giustifica-to, ma solo per devozione alle sorti del partito.

(...)

12. Prospettive della situazione interna del partito.La situazione interna politica ed organizzativa del no-

stro partito non può avere una risoluzione definitiva nelquadro nazionale, ma dipende dagli sviluppi della situa-zione interna e della politica di tutta l'Internazionale. Sarà

un grave errore ed una vera colpa dei dirigenti nazionalied internazionali se si continuerà verso la sinistra il me-todo insensato delle pressioni dall'alto e della riduzionea casi di condotta personale del problema complesso dellaideologia e della politica del partito.

Essendo la sinistra sempre ferma sulle sue opinioni sideve consentire a tutti i compagni che a quelle opinioninon intendano rinunziare, di offrire in una atmosferasgombra di patteggiamenti e minacce reciproche il piùleale impegnoalla esecuzione delle disposizioni degli or-gani di partito e la rinunzia ad ogni opera di opposizione,senza però pretendere la partecipazione di essi alla Cen-trale del partito. E' evidente che questa proposta noncorrisponde ad una situazione astrattamente perfetta, masarebbe pericoloso illudere il partito che gli inconvenientidella situazione interna possano essere eliminati da sem-plici meccaniche misure organizzative e da posizioni per-sonali. Chi questo facesse risponderà di un grave atten-tato al partito.

Solo risollevando il problema da questa impostazio-ne meschina e ponendolo in tutta la sua vastità dinanzi alpartito e alla Internazionale si raggiungerà veramente loscopo di evitare l'invelenirsi dell'ambiente del partito e siavvierà questo verso il superamento di tutte le difficoltàcontro cui oggi è chiamato a combattere.

Da: «Forza violenza dittatura nella lotta di classe» (1946)

(...).Il carattere distintivo che noi vediamo nel partito deri-

va proprio dalla sua natura organica: non vi si accede peruna posizione «costituzionale» nel quadro dell'economiao della società; non si è automaticamente militanti di parti-to in quanto si sia proletari o elettori o cittadini o altro.

Si aderisce al partito, direbbero i giuristi, per libera ini-ziativa individuale.Vi si aderisce, diciamonoi marxisti, sem-pre per un fatto di determinazione nascente nei rapportidell'ambiente sociale, ma per un fatto che si può collegarenel modo più generale ai caratteri più universali del partitodi classe, alla sua presenza in tutte le parti del mondo abi-tato, alla sua composizione di elementi di tutte le categoriee aziende in cui siano lavoratori e perfino in principio dinon lavoratori, alla continuità di un suo compito attraver-so stadi successivi di propaganda, di organizzazione, dicombattimento, di conquista, di costruzione di un nuovoassetto.

E’, quindi, tra gli organismi proletari, il partito politicoquello meno legato a quei limiti di struttura e di funzionenei cui intyerstizi meglio possono farsi strada le influenzeanticlassiste, i germi che determinano la malattia dell'op-portunismo. E poiché, come più volte abbiamo premesso,tale pericolo esiste anche per il partito, la conclusione èche noi non ne cerchiamo la difesa nella subordinazionedel partito stesso ad altri organismi della classe ch'essorappresenta, subordinazione invocata molto spesso inmalafede, talvolta per l'ingenua suggestione esercitata dalfatto del maggior numero di lavoratori che appartengono atali organismi.

* * *

Il nostro modo d'interpretare la questione si estendeanche alla famosa esigenza della democrazia interna del

partito, secondo la quale gli errori delle direzioni centralidel partito (di cui ammettiamo di aver avuto purtropponumerosissimi e disastrosi esempi) si evitano o si rimedia-no ricorrendo, al solito, alla conta numerica dei pareri deimilitanti di base.

Non imputiamo cioé le degenerazioni che si sono veri-ficate nel partito comunista all'aver lasciato scarsa voce incapitolo alle assemblee e ai congressi dei militanti rispettoalle iniziative del centro.

Una sopraffazione da parte del centro sulla base insenso controrivoluzionario vi è stata in molti svolti storici;la si è raggiunta perfino con l'impiegodei mezzi che offrivala macchina statale, fino ai più feroci; ma tutto ciò, più chel'origine, è stata l'inevitabile manifestazione del corromper-si del partito, del suo cedere alla forza delle influenzecontrorivoluzionarie.

La posizione della sinistra comunista italiana su que-sta che potremmo chiamare la «questione delle guarentigierivoluzionarie» è anzitutto che garanzie costituzionali ocontrattuali non ve ne possono essere, sebbene nella na-tura del partito, a differenza degli altri organismi studiati[Stato, soviet, sindacati, NdR], vi sia la caratteristica d'es-sere un organismo contrattuale, usando il termine non nelsenso dei legulei e nemmeno in quello di J. J. Rousseau.Alla base del rapporto fra militante e partito vi è un impe-gno; di tale impegno noi abbiamo una concezione che, perliberarci dell'antipatico termine contrattuale, possiamo de-finire semplicemente dialettica. Il rapporto è duplice, costi-tuisce un doppio flusso a sensi inversi, dal centro allabase e dalla base al centro; rispondendo alla buona fun-zionalità di questo rapporto dialettico l'azione indirizzatadal centro, vi risponderanno le sane reazioni della base.

Il problema quindi della famosa disciplina consiste nelporre ai militanti di base un sistema di limiti che sia l'intelli-

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gente riflesso dei limiti posti all'azione dei capi. Abbiamoperciò sempre sostenuto che questi non debbono avere lafacoltà in importanti svolti della congiuntura politica discoprire, inventare e propinare pretesi nuovi principi, nuo-ve formule, nuove norme per l'azione del partito. E' nellastoria di questi colpi a sorpresa che si compendia la storiavergognosa dei tradimenti dell'opportunismo. Quandoquesta crisi scoppia, appunto perché il partito non è unorganismo immediato e automatico, avvengono le lotteinterne, le divisioni in tendenze, le fratture, che sono in talcaso un processo utile come la febbre che libera l'organi-smo dalla malattia, ma che tuttavia «costituzionalmente»non possiamo ammettere, incoraggiare o tollerare.

Per evitare quindi che il partito cada nelle crisi di op-portunismo o debba necessariamente reagirvi colfrazionismo non esitono regolamenti o ricette. Vi è peròl'esperienza della lotta proletaria di tanti decenni che cipermette di individuare talune condizioni, la cui ricerca, lacui difesa, la cui realizzazione devono essere instancabilecompito del nostro movimento. Ne indicheremo a conclu-sione le principali:

1) Il partito deve difendere ed affermare la massimachiarezza e continuità nella dottrina comunista quale si èvenuta svolgendo nelle sue successive applicazioni aglisviluppi della storia, e non deve consentire proclamazionidi principio in contrasto anche parziale coi suoi cardiniteoretici.

2) Il partito deve in ogni situazione storica proclamareapertamente l'integrale contenutodel suo programma quan-to alle attuazioni economiche, sociali e politiche, e soprat-tutto in ordine alla questione del potere, della sua conqui-sta con la forza armata, del suo esercizio con la dittatura.

Le dittature che degenerano nel privilegio di una ri-stretta cerchia di burocrati e di pretoriani sono state sem-pre precedute da proclamazioni ideologiche ipocritamentemascherate sotto formule di natura popolaresca a sfondoora democratico ora nazionale, e dalla pretesa di avere die-tro di sé la totalità delle masse popolari, mentre il partitorivoluzionario non esita a dichiarare l'intenzione di aggre-dire lo stato e le sue istituzioni e di tenere la classe vintasotto il peso dispotico della dittatura anche quando am-mette che solo una minoranza avanzata della classe op-pressa è giunta al punto di comprendere queste esigenzedi lotta.

«I comunisti - dice il Manifesto - disdegnano di na-scondere i loro scopi». Coloro che vantano di raggiungerlitenendoli abilmente coperti sono soltanto i rinnegatori delcomunismo.

3) Il partito deve attuare uno stretto rigore di organiz-zazione nel senso che non accetta di ingrandirsi attraversocompromessi con gruppi o gruppetti o peggio ancora difare mercati fra la conquista di adesioni alla base e conces-sioni a pretesi capi e dirigenti.

4) Il partito deve lottare per una chiara comprensionestorica del senso antagonista della lotta. I comunisti riven-dicano l'iniziativa dell'assalto a tutto un mondo di ordina-menti e di tradizioni, sanno di costituire essi un pericoloper tutti i privilegiati, e chiamano le masse alla lotta perl'offensiva e non per la difensiva contro pretesi pericoli diperdere millantati vantaggi e progressi, conquistati nelmondo capitalistico. I comunisti non danno in affitto eprestito il loro partito per correre ai ripari nella difesa dicause non loro e di obbiettivi non proletari come la libertà,la patria, la democrazia ed altre simili menzogne.

«I proletari sanno di non aver da perdere nella lotta

altro che le loro catene».5) I comunisti rinunciano a tutta quella rosa di espe-

dienti tattici che furono invocati con la pretesa di accelera-re il cristallizzarsi dell'adesione di larghi strati delle masseintorno al programma rivoluzionario. Questi espedientisono il compromesso politico, l'alleanza con altri partito, ilfronte unico, le varie formule circa lo Stato usate comesurrogato della dittatura proletaria - governo operaio econtadino, governo popolare, democrazia progressiva.

I comunisti ravvisano storicamente una delle principalicondizioni del dissolversi del movimento proletario e delregime comunista sovietico proprio nell'impiego di questimezzi tattici, e considerano coloro che deplorano la lueopportunista del movimento staliniano e nello stesso tem-po propugnano quell'armamentario tatticocome nemici piùpericolosi degli stalinisti medesimi.

POSTILLA

Il lavoro pubblicato in cinque puntate col titolo «Forzaviolenza dittatura nella lotta di classe» aveva per oggettola questione dell'impiego della forza nei rapporti sociali edei caratteri della dittatura rivoluzionaria rettamente intesisecondo il metodo marxista. Non toccava di proposito lequestioni di organizzazione di classe e di partito, ma vi fucondotto direttamente nella parte conclusiva dalla discus-sione sulle cause di degenerazione della dittatura, attribu-ite da molti in modo preponderante ad errori di organizza-zione interna e alla violazione di una prassi democratica edelettiva nel seno del partito e degli altri organi di classe.

Nella confutazione di questa tesi abbiamo tuttavia com-messa una omissione non ricordando una importante po-lemica svoltasi nell'Internazionale Comunista nel 1925-26 apropositodella trasformazione della base organizzativa deipartiti comunisti secondo le cellule o nuclei di azienda.Quasi sola la sinistra italiana si oppose decisamente e so-stenne che la base di organizzazione doveva restare quellaper circoscrizioni territoriali.

L'argomento fu sviscerato ampiamente ma il punto cen-trale era questo. Se la funzione organica del partito, nonsostituibile in essa da alcun altro organo, è lo svolgimentodalle singole lotte economiche di categoria e locali allaunità della lotta generale della classe proletaria sul pianosociale e politico, nessuna eco di tale compito può seria-mente aversi in una riunione in cui figurano soltanto lavo-ratori di una stessa categoria professionale e di una stessaazienda di produzione. Tale ambiente sentirà solo esigenzecircoscritte e corporative, l'espressione della direttiva uni-taria di partito vi scenderà solo dall'alto e come cosa estra-nea; il funzionario di partito non si incontrerà mai su unpiano di parità coi singoli iscritti della base, in un certosenso egli non farà più parte del partito non appartenendoa nessuna azienda economica.

Nel gruppo territoriale invece sono posti in partenzasul medesimo piano i lavoratori di ogni mestiere e dipen-denti da svariatissimi padroni, e con essi tutti gli altri mili-tanti di categorie sociali non strettamente proletarie che ilpartito dichiaratamente ammette come gregari, e deve inogni caso ricevere come tali e, se occorre, tenerli in mag-giori quarantene, prima di chiamarli, ove ne sia il caso, acariche di organizzazione.

Mostrammo allora che la concezione delle cellule, mal-grado la pretesa di attuare la stretta adesione dell'organi-

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Da «Rovesciamento della prassi nella teoria marxista» (1951)(...)8. Come sono da scartare le posizioni di quei gruppi

che svalutano il compito e la necessità del partito nellarivoluzione e ricadono in posizioni operaiste o, peggio,hanno esitazioni sull'impiego del potere di stato nella rivo-luzione, così devono ritenersi fuori strada quelli che consi-derano il partito come il raggruppamento degli elementicoscienti e non ne scorgono i necessari legami con la lottadi classe fisica, ed il carattere di prodotto della storia, comedi suo fattore, che il partito presenta.

9. Tale questione conduce a ristabilire l'interpretazionedel determinismo marxista quale è stata costruita dallaprima enunciazione, ponendo al loro posto il comportarsidel singolo individuo sotto l'azione degli stimoli economi-ci e la funzione dei corpi collettivi come la classe e il parti-to.

10. Anche qui è utile delineare uno schema che spiegail marxistico rovesciamento della prassi. Nel singolo si vadal bisogno fisico all'interesse economico, all'azione quasiautomatica per soddisfarlo; soltanto dopo, ad atti di vo-lontà ed all'estremo alla coscienza e conoscenza teorica.Nella classe sociale il processo è lo stesso: solo che siesaltano enormemente tutte le forze di direzione

Da: «Dittatura proletaria e partito di classe» (1951)

(...)La lotta del proletariato moderno si manifesta e si ge-

neralizza come lotta politica con la formazione e l'attivitàdel partito di classe. La caratterizzazione specifica di que-sto partito risiede nella seguente tesi: il fatto dellospiegamento completo del sistema capitalista industriale edel potere della borghesia, discendente dalle rivoluzioniliberali e democratiche, non solo non esclude storicamen-te ma prepara e acuisce sempre più lo svolgersi del contra-sto fra gli interessi di classe in guerra civile, in lotta armata.

II

Il partito comunista, definito da questa previsione e daquesto programma, finché la borghesia conserva il potereassolve i seguenti compiti:

a) elabora e diffonde la teoria dello sviluppo sociale,delle leggi economiche caratterizzanti il sistema attuale deirapporti produttivi, dei conflitti di forze di classe che nesorgono, dello Stato e della rivoluzione;

b) assicura la unità e persistenza storica dell'organizza-zione proletaria. La unità non è il raggruppamentomateria-le degli strati operai e semi-operai che subiscono, per ilfatto stesso del dominio della classe sfruttatrice, l'influen-

smo partito alle più larghe masse, conteneva gli stessi di-fetti oppportunistici e demagogici dell'operaismo e laburi-smo di destra e contrapponeva i quadri alla base, in unavera caricatura del concetto di Lenin sui rivoluzionari pro-fessionali.

Le vedute della sinistra sull'organizzazione di partito,se sostituiscono allo stupido criterio maggioritario scim-miottato dalla democrazia borghese un ben più alto criteriodialettico che fa dipendere tutto dal solido legame di mili-

tanti e dirigenti con la impegnativa severa continuità diteoria, di programma e di tattica, e se depongono ognivelleità di corteggiamento demagogico a troppo larghi equindi più facilmente manovrabili strati della classe lavo-ratrice, in realtà sono le sole che meglio si conciliano conuna profilassi contro la degenerazione burocratica dei qua-dri del partito e la sopraffazione della base da parte di essi,che si risolve sempre con un ritorno di disastrose influen-ze della classe nemica.

concomitante. Nel partito, mentre dal basso vi confluisco-no tutte le influenze individuali e di classe, si forma dal loroapporto una possibilità e facoltà di visione critica e teoricae di volontà d'azione, che permette di trasfondere ai singolimilitanti e proletari la spiegazione di situazioni e processistorici e anche le decisioni di azione e di combattimento.

11. Quindi, mentre il determinismo esclude per il singo-lo possibilità di volontà e coscienza premesse all'azione, ilrovesciamento della prassi le ammette unicamente nel par-tito come il risultato di una generale elaborazione storica.Se dunque vanno attribuite al partito volontà e coscienza,deve negarsi che esso si formi dal concorso di coscienza evolontà di individui di un gruppo, e che tale gruppo possaminimamente considerarsi al di fuori delle determinanti fi-siche, economiche e sociali in tutta l'estensione della clas-se.

12. E' quindi priva di senso la pretesa analisi secondocui vi sono tutte le condizioni rivoluzionarie ma manca unadirezione rivoluzionaria. E' esattodire che l'organo di dire-zione è indispensabile, ma il suo sorgere dipende dallestesse condizioni generali di lotta, mai dalla genialità o dalvalore di un capo o di una avanguardia.

(...)

za di direzioni politiche e di metodi di azione dissonanti, malo stretto legame internazionale delle avanguardie piena-mente orientate sulla linea rivoluzionaria integrale. Lapersistenza è la rivendicazione continua della linea dialet-tica senza rotture che lega le posizioni di critica e di batta-glia assunte successivamente dal movimento nella seriedelle condizioni mutevoli;

c) prepara di lunga mano la mobilitazione e l'offensivadi classe con l'impiego armonico di ogni possibilità di pro-paganda di agitazione e di azione in ogni lotta particolarescatenata dagli interessi immediati, culminando nell'orga-nizzazione dell'apparato illegale ed insurrezionale per laconquista del potere.

Quando le condizioni generali ed il grado di soliditàorganizzativa, politica e tattica del partito di classe perven-gono a far scoppiare la lotta generale per il potere, il partitoche ha condotto nella guerra sociale la classe rivoluziona-ria vittoriosa, la dirige egualmente nel compito fondamen-tale di infrangere e demolire gli organi di difesa armata e diamministrazione in generale, di cui lo Stato capitalista sicompone. Questa demolizione colpisce ugualmente la rete,qualunque essa sia, di pretesa rappresentanza delle opi-nioni o degli interessi corporativi attraverso corpi di dele-

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Da: «Tesi caratteristiche del partito» - dicembre 1951(...)

Parte II. Compito del PartitoComunista

1. La emancipazione della classe lavoratrice dallosfrut-tamento del capitalismo non può avvenire che con unalotta politica ed un organo politico della classse rivoluzio-naria, il partito comunista.

2. L'aspetto più importante della lotta politica nel sen-so marxista è la guerra civile e la insurrezione armata concui una classe rovescia il potere della opposta classe do-minante e istituisce il proprio. Tale lotta non può averesuccesso senza essere diretta dalla organizzazione di par-tito.

3. Come la lotta contro il potere della classe sfruttatricenon può svolgersi senza il partito politico rivoluzionario,così non lo può la succesiva opera di sradicamento degliistituti economici precedenti: la dittatura del proletariato,necessaria nel periodo storico di tale trapasso non breve,è esercitata dal partito apertamente.

4. Compiti egualmente necessari del partito prima, du-rante e dopo la lotta armata per il potere sono la difesa ediffusione della teoria del movimento, la difesa e il rafforza-mentodella organizzazione interna col proselitismo, la pro-paganda della teoria e del programma comunista, e la co-stante attività nelle file del proletariato ovunque questo èspinto dalle necessità e determinazioni economiche allalotta per i suoi interessi.

gati. Lo Stato borghese di classe, mentitrice espressioneinterclassista della maggioranza dei cittadini, o dittaturapiù o meno confessa esercitata da un apparato di governoche si pretende rivestito di una missione nazionale razzialeo socialpopolare, dev'essere allo stesso titolo distrutto; seciò non avviene, è la rivoluzione che rimane schiacciata.

III

Nella fase storica successiva alla dispersione dell'ap-parato di dominio capitalista, il compito del partito politicooperaio rimane ugualmente fondamentale, poiché la lottafra le classi continua, dialetticamente rovesciata.

(...).Ogni classe il cui potere è stato rovesciato, anche col

terrore, sopravvive a lungo nel tessuto dell'organismo so-ciale, e non abbandona la speranza di rivincita ed i tentati-vi di riorganizzazione politica, di restaurazione violenta edanche mascherata. E' passata da classe dominante a classevinta e dominata, ma non è scomparsa.

(...).IV

(...)Lo Stato proletario non può essere animato che da un

solo partito, e non ha alcun senso che vada oltre la con-giuntura concreta la condizione ch'esso organizzi nei suoiranghi e riceva nelle «consultazioni popolari», vecchiatrappola borghese, l'appoggio di una maggioranza stati-stica. (...). Ai democratici ingenui di un secolo fa in occi-dente e di mezzo secolo fa nell'impero zarista, i marxistiebbero ragione di contestare che i capitalisti ed i proprie-tari sono la minoranza e quindi il solo vero regime di mag-gioranza è quello dei lavoratori. Se la parola democraziasignifica potere dei più, i democratici dovrebbero mettersi

dalla nostra parte di classe. Ma la parola democrazia, siain senso letterale («potere del popolo») che per lo sporcouso che sempre più se ne fa, significa «potere non appar-tenente a una classe ma a tutte». Per questo motivo stori-co, come respingiamo con Lenin la «democrazia borghe-se» e la «democrazia in generale», dobbiamo escluderepoliticamente e teoricamente la contraddizione in terminidi una «democrazia di classe» e di una «democrazia ope-raia».

(...)VIII

(...)Da quando si è buttato dietro le spalle l'utopismo, il

movimento proletario assicura la propria via ed il propriosuccesso con l'esperienza esatta del modo attuale di pro-duzione, della struttura dello Stato presente e degli erroridella strategia della rivoluzione proletaria, sia sul campodella guerra sociale «calda», sul quale i federati del 1871 [i comunardi, NdR] caddero gloriosamente, che «fredda»,sul quale abbiamo perduto, dopo il 1917 e fino al 1926, lagrande battaglia di Russia fra l'Internazionale di Lenin e ilcapitalismo del mondo intero, sostenuto in prima linea dal-la complicità miserabile di tutti gli opportunisti.

I comunisti non hanno costituzioni codificate da pro-porre. Hanno un mondo di menzogne e di costituzioni cri-stallizzate nel diritto e nella forza dominante da abbattere.Sanno che, mediante un apparato rivoluzionario e totalita-rio di forza e di potere, senza esclusione di mezzi, si lotteràper impedire che i relitti infami di un'epoca di barbarie ritor-nino a galla, che il mostro del privilegio sociale risollevi latesta, affamato di vendetta e di servitù, lanciando per lamillesima volta il mentitore grido di libertà.

5. Il partito non solo non comprende nelle sue file tuttigli individui che compongono la classe proletaria, ma nem-meno la maggioranza, bensì quella minoranza che acquistala preparazione e maturatità collettiva teorica e di azionecorrispondente alla visione generale e finale del movimen-to storico, in tutto il mondo e in tutto il corso che va dalformarsi del proletariato alla sua vittoria rivoluzionaria.

La questione della coscienza individuale non è la basedella formazione del partito: non solo ciascun proletarionon può essere cosciente e tanto meno culturalmente pa-drone della dottrina di classe, ma nemmeno ciascun mili-tante preso a sé, e tale garanzia non è data nemmeno daicapi. Essa consiste solo nella organica unità del partito.

Come quindi è respinta ogni concezione di azione indi-viduale o di azione di una massa non legata da precisotessuto organizzativo, così lo è quella del partito comeraggruppamento di sapienti, di illuminati o di coscienti, peressere sostituita da quella di un tessuto e di un sistemache nel seno della classe proletaria ha organicamente lafunzione di esplicarne il compito rivoluzionario in tutti isuoi aspetti e in tutte le complesse fasi.

6. Il marxismo ha vigorosamente respinta, ogni voltache è apparsa, la teoria sindacalista, che dà alla classeorgani economici nelle associazioni per mestiere, per indu-stria o per azienda, ritenendoli capaci di sviluppare la lottae la trasformazione sociale.

Mentre considera il sindacato organo insufficiente da

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solo alla rivoluzione, lo considera però organo indispen-sabile per la mobilitazione della classe sul piano politico erivoluzionario, attuata con la presenza e la penetrazionedel partito comunista nelle organizzazioni economiche diclasse. Nelle difficili fasi che presenta il formarsi delle as-sociazioni economiche, si considerano come quelle che siprestano all'opera del partito le associazioni che compren-dono solo proletari e a cui gli stessi aderisconospontaneamnete ma senza l'obbligo di professare dateopinioni politiche religiose e sociali. Tale carattere si perdenelle organizzazioni confessionali e coatte o divenute par-te integrante dell'apparto di Stato.

7. Il partito non adotta mai il metodo di formare orga-nizzazioni economiche parziali comprendenti i soli lavora-tori che accettano i principi e la direzione del partito co-munista. Ma il partito riconosce senza riserve che nonsolo la situazione che precede la lotta insurrezionale, maanche ogni fase di deciso incremento dell'influenza delpartito tra le masse non può delinearsi senza che tra ilpartito e la classe si stenda lo strato di organizzazioni afine economico immediato e con alta partecipazione nu-merica, in seno alle quali vi sia una rete emanante dalpartito (nuclei, gruppi e frazione comunista sindacale).Compito del partito nei periodi sfavorevoli e di passivitàdella classe proletaria è di prevedere le forme e incorag-giare la apparizione delle organizzazioni a fine economicoper la lotta immediata, che nell'avvenire potranno assume-re anche aspetti del tutto nuovi, dopo i tipi ben noti dilega di mestiere, sindacato d'industria, consiglio d'azien-da e così via. Il partito incoraggia sempre le forme diorganizzaione che facilitano il contatto e la comune azionetra lavoratori di varie località e di varia specialità profes-sionale, respingendo le forme chiuse.

8. Nel succedersi delle situazioni storiche, il partito sitiene lontano quindi: dalla visione idealista e utopista cheaffida il miglioramento sociale ad un'unione di eletti di co-scienti di apostoli o di eroi - dalla visione libertaria che loaffida alla rivolta di individui o di folla senza organizzazio-ne - dalla visione sindacalista o economista che lo affidaall'azione di organismi economici ed apolitici, sia o nonaccompagnata dalla predicazione dell'uso della violenza -dalla visione volontarista e settaria che, prescindendo dalreale processo deterministico per cui la ribellione di classesorge da reazioni ed atti che precedono di gran lunga lacoscienza teorica e la stessa chiara volontà, vuole un pic-colo partito di«élite» che o si circonda di sindacati estre-misti che sono un suo doppione, o cade nell'errore d'iso-larsi dalla rete associativa economico-sindacale del prole-tariato. Tale ultimo errore di «ka-a-pe-disti» germanici etribunisti olandesi fu sempre combattuto in seno alla TerzaInternazionale dalla Sinistra italiana.

Questa si staccò per ragioni di strategia e tattica dellalotta proletaria, che non possono essere trattate se non inriferimento al tempo ed al succedersi delle storiche fasi.

(...)

Parte III. Ondate storichedi degenerazione opportunista

(...)15. Non minore confusione [dovuta al metodo seguito

dall'Internazionale: cambiare la tattica secondo l'esame dellesituazioni, trattato nel punto precedente di queste tesi,NdR] si arrecònell'organizzazione interna e si compromiseil risultato del difficile lavoro di selezione degli elementirivoluzionari dagli opportunisti nei vari partiti e paesi. Si

credette di procurarsi nuovi effettivi ben manovrabili dalcentro con lo strappare in blocco ali sinistre ai partiti so-cialdemocratici. Invece, passato un primo periodo di for-mazione della nuova Internazionale, questa doveva stabil-mente funzionare come partito mondiale ed alle sue sezioninazionali si doveva aderire individualmente dai nuoviproseliti. Si vollero guadagnare forti gruppi di lavoratori,ma invece si patteggiò coi capi, disordinando tutti i quadridel movimento, scomponendoli e ricomponendoli percombianzioni di persone in periodi di lotta attiva. Si rico-nobbero per comuniste frazioni e cellule entro i partiti so-cialisti e opportunisti, e si praticarono fusioni organizzative;quasi tutti i partiti , anziché divenire atti alla lotta furonocosì tenuti in crisi permanente, agirono senza continuità esenza definiti limiti tra amici e nemici, e registraronoconti-nui insuccessi nelle varie nazioni. La Sinistra rivendica launicità e continuità organizzativa.

Altro punto di dissenso fu l'organizzazione che si volledare ai partiti comunisti per luogo di lavoro anziché persezioni territoriali. Ciò restringeva l'orizzonte delle organiz-zazioni di base che risultavano composte da elementi tuttodello stesso mestiere e con paralleli interessi economici.La naturale sintesi delle varie «spinte» sociali nel partito enella sua unitaria finalità venne meno, e fu espressa solodalle parole d'ordine che portavano i rappresentanti deicentri superiori, per lopiù divenuti funzionari e che comin-ciavano ad avere tutte le caratteristiche colpite nelfunzionarismo politico e sindacale del vecchio movimen-to. Tale critica non va confusa con una rivendicazione di«democrazia interna» e con la doglianza che non si possa-no fare per i quadri del partito «libere elezioni». Si trattainvece di una profonda divergenza di concezioni sulladeterministica organicità del partito come corpo storicovivente nella realtà della lotta di classe, si tratta di unaprofonda deviazione di principio, che ridusse i partiti inca-paci di antivedere e fronteggiare il pericolo oppoprtunista.

(...)

Parte IV. Azione di partito in Italia e altri paesi al 1952

(...)4. Oggi, nel pieno della depressione, pur restringendo-

si di molto le possibilità d'azione, tuttavia il partito, se-guendo la tradizione rivoluzionaria, non intende romperela linea storica della preparazione di una futura ripresa ingrande del moto di classe, che faccia propri tutti i risultatidelle esperienze passate. Alla restrizione dell'attività prati-ca non segue la rinuncia dei presupposti rivoluzionari. Ilpartito riconosce che la restrizione di certi settori èquantitativamente accentuata ma non per questo vienemutato il complesso degli aspetti della sua attività, né virinuncia espressamente.

5. Attività principale, oggi, è il ristabilimento della teo-ria del comunismo marxista. Siamo ancora all'arma dellacritica. Per questo il partito non lancerà alcuna nuova dot-trina, riaffermando la piena validità delle tesi fondamentalidel marxismo rivoluzionario, ampiamente confermate daifatti e più volte calpestate e tradite dall'opportunismo percoprire la ritirata e la sconfitta. (...)

Il centro, quindi dell'attuale posizione dottrinaria delmovimento è questo: nessuna revisione dei principi origi-nari della rivoluzione proletaria.

6. Il partito compie oggi un lavorodi registrazione scien-tifica dei fenomeni sociali, al fine di confermare le tesi fon-damentali del marxismo. Analizza, confronta e commenta i

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fatti recenti e contemporanei. Ripudia l'elaborazionedottrinale che tende a fondare nuove teorie o a dimostrarel'insufficienza della dottrina nella spiegazione dei fenome-ni. (...)

7. Con questa giusta valutazione rivoluzionaria deicompiti odierni, il partito, sebbene poco numeroso e pococollegato alla massa del proletariato e sebbene sempregeloso del compito teorico come compito di primo piano,rifiuta assolutamente di essere considerato un'accolta dipensatori o di semplici studiosi alla ricerca di nuovi veri oche abbiano smarrito il vero di ieri considerandolo insuffi-ciente.

Nessun movimento può trionfare nella storia senza lacontinuità teorica, che è l'esperienza delle lotte passate.Ne consegue che il partito vieta la libertà personale dielaborazione e di elucubrazione di nuovi schemi e spiega-zioni del mondo sociale contemporaneo: vieta la libertàindividuale di analisi, di critica e di prospettiva anche peril più preparato intellettualmente degli aderenti e difendela saldezza di una teoria che non è effetto di cieca fede, maè il contenuto della scienza di classe proletaria, costruitocon materiale di secoli, non dal pensiero di uomini, madalla forza di fatti materiali, riflessi nella coscienza storicadi una classe rivoluzionaria, e cristallizzati nel suo partito.I fatti materiali non hanno che confermato la dottrina delmarxismorivoluzionario.

8. Il partito, malgrado il ristretto numero dei suoi ade-renti, determinato dalle condizioni nettamentecontrorivoluzionarie, non cessa il proselitismo e la propa-ganda dei suoi principi, in tutte le forme orali e scritte,anche se le sue riunioni sono di pochi partecipanti e lastampa di limitata diffusione. Il partito considera la stampanella fase odierna la principale attività, essendo uno deimezzi più efficaci che la situazione reale consenta, per indi-care alle masse la linea politica da seguire, per una diffu-sione organica e più estesa dei principi del movimentorivoluzionario.

9. Gli eventi, non la volontà o la decisione degli uomi-ni, determinano così anche il settore di penetrazione dellegrandi masse, limitandolo ad un piccolo angolo dell'attivi-tà complessiva. Tuttavia il partito non perde occasioneper entrare in ogni frattura, in ogni spiraglio, sapendobene che non si avrà la ripresa se non dopo che questosettore si sarà grandemente ampliato e divenuto domi-nante.

10. L'accelerazione del processo deriva oltre che dallecause sociali profonde delle crisi storiche, dall'opera diproselitismo e di propaganda con i ridotti mezzi a disposi-zione. Il partito esclude assolutamente che si possa stimo-lare il processo con risorse, manovre, espedienti che fac-ciano leva su quei gruppi, quadri, gerarchie che usurpanoil nome di proletari, socialisti e comunisti. Questi mezzi cheinformarono la tattica della Terza Internazionale, all'indo-mani della scomparsa di Lenin dalla vita politica, non sor-tironoaltroeffetto che la disgregazione del Comintern, cometeoria organizzativa e forza operante del movimento, la-sciando sempre qualche brandello di partito sulla stradadell' «espediente tattico». Questi metodi vengono rievo-cati e rivalorizzati dal movimento trotskista e della IV Inter-nazionale, ritenendoli a torto metodi comunisti.

Per accelerare la ripresa di classe non susssistono ri-cette bell'e pronte. Per far ascoltare ai proletari la voce diclasse non esistono manovre ed espedienti, che come talinon farebbero apparire il partito quale è veramente, ma untravisamento della sua funzione, a deterioramento e pre-

giudizio della effettiva ripresa del movimentorivoluzionmario, che si basa sulla reale maturità dei fatti edel corrispondente adeguamento del partito, abilitato aquesto soltanto dalla sua inflessibilità dottrinaria e politi-ca.

La Sinistra italiana ha sempre combattutol'espedientismo per rimanere sempre a galla, denuncian-dolo come deviazione di principio e per nulla aderente aldeterminismomarxista.

Il partito sulla linea di passate esperienze si astiene,quindi, dal lanciare ed accettare inviti, lettere aperte e pa-role di agitazione per comitati, fronti ed intese miste conqualsivoglia altro movimento e organizzazione politica.

11. Il partito non sottace che in fasi di ripresa non sirinforzerà in modo autonomo, se non sorgerà una forma diassociazionismo economico sindacale delle masse.

Il sindacato, sebbene non sia mai stato libero da in-fluenze di classi nemiche e abbia funzionato da veicolo acontinue e profonde deviazioni e deformazioni, sebbenenon sia uno specifico strumento rivoluzionario, tuttavia èoggetto di interessamento del partito, il quale non rinunciavolontariamete a lavorarvi dentro, distinguendosi netta-mente da tutti gli altri raggruppamenti politici. Il partito,mentre riconosce che oggi può fare solo in modo sporadi-co opera di lavoro sindacale, mai vi rinunzia, e dal momen-to che il concreto rapporto numerico tra i suoi membri, isimpatizzanti, e gli organizzati in un dato corpo sindacalerisulti apprezzabile e tale organismo sia tale da non avereesclusa l'ultima possibilità virtuale e statutaria di attivitàautonoma classista, il partito esplicherà la penetrazione etenterà la conquista della direzione di esso.

12. Il partito non è una filiazione della Frazioneastensionista, pur avendo avuta questa grande parte nelmovimento fino alla conclusa creazione del Partito Comu-nista d'Italia a Livorno nel 1921. L'opposizione in seno alPartito Comunista d'Italia e all'Internazionale Comunistanon si fondò sulle tesi dell'astensionismo, bensì su altrequestioni di fondo. Il parlamentarismo, seguendo lo svi-luppo dello Stato capitalista che assumerà palesemente laforma della dittatura che il marxismo gli ha scoperto findall'inizio, va man mano perdendo d'importanza. Anche leapparenti sopravvivenze degli istituti elettivi parlamenta-ri delle borghesie tradizionali vanno sempre più esauren-dosi rimanendo soltanto una fraseologia, e mettendo inevidenza nei momenti di crisi sociali la forma dittatorialedello Stato, come ultima istanza del capitalismo, controcui deve esercitarsi la violenza del proletariato rivoluzio-nario. Il partito, quindi, permanendo questo stato di cosee gli attuali rapporti di forza, si disinteressa delle elezionidemocratiche di ogni genere e non esplica in tale campo lasua attività.

13. Poggiando su un dato di esperienza rivoluziona-ria, che le generazioni rivoluzionarie si succedono rapida-mente e che il culto degli uomini è un aspetto pericolosodell'opportunismo, dato che il passaggio dei capi anzianiper logorio al nemico e alle tendenze conformiste è fattonaturale confermato dalle rare eccezioni, il partito dà lamassima attenzione ai giovani e fa, per reclutarne e prepa-rarne all'attività politica, aliena al massimo da arrivismi eapologismi di persone, il massimo degli sforzi.

Nell'ambiente storico attuale, ad alto potenzialecontrorivoluzionario, s'impone la creazione di giovani ele-menti direttivi che garantiscano la continuità della Rivolu-zione. L'apporto di una nuova generazione rivoluzionariaè condizione necessaria per la ripresa del movimento.

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Da «Struttura economica e sociale della Russia d'oggi»(1955-1957)

Premessa(...)

3. Ulteriore trattazione sulla «tattica»Anche dall'attuale rapporto, sebbene non se ne possa

ogni tanto dimenticare la connessione, resterà fuori il temaa cui da tempo il nostro movimento lavora, e di cui si sonopotuti raccogliere alcuni documenti notevoli: il dibattito ditattica e di metodo che preluse storicamente al nostro di-stacco dal comunismo ufficiale, che mano mano, da posi-zioni sempre meno accettabili ed eterodosse, è discesofino al rinnegamento sistematico delle posizioni di parten-za che si leganoa quanto traemmo in comune, per dirla conle solite espressioni brevi, da Marx, da Lenin e dalla TerzaInternazionale. Tale dibattito ebbe il suo sviluppo neglianni dal 1920 al 1926 e le sue posizioni, si dovrà mostrare,erano genuinamente marxiste, nella loro retta e tutt'altroche facile presentazione, ed hanno ricevuto dall'avvenirela meno gradita ma la più clamorosa delle conferme.

Tuttavia è importante precisare bene le nostre posizio-ni su questa rimessa in linea del delicato punto della tatti-ca, indispensabile per ogni ritorno, auspicabile anche senon previsto troppo vicino, ai periodi in cui è di primopiano il settore dell'azione e della lotta rispetto a quellonon offuscabile e sempre decisivo della dottrina di partito.

Indubbiamente la nostra lotta è per l'affermazione, nel-la attività del partito, di norme di azione «obbligatorie» delmovimento, le quali devono non solo vincolare il singolo ei gruppi periferici, ma lo stesso centro del partito, al qualein tanto si deve la totale disciplina esecutiva, in quanto èstrettamente legato (senza diritto a improvvisare, per sco-perta di nuove situazioni, di ciarlataneschi apertisi "corsinuovi") all'insieme di precise norme che il partito si è datoper guida dell'azione.

Tuttavia non si deve fraintendere sulla universalità ditali norme, che non sono norme originarie immutabili, manorme derivate. I principi stabili, da cui il movimento nonsi può svincolare, perché sorti - secondo la nostra tesidella formazione di getto del programma rivoluzionario - adati e rari svolti della storia, non sono le regole tattiche, maleggi di interpretazione della storia che formano il bagagliodella nostra dottrina. Questi principi conducono nel lorosviluppo a riconoscere, in vasti campi e in periodi storicicalcolabili a decenni e decenni, il grande corso su cui ilpartito cammina e da cui non può discostarsi, perché ciònon accompagnerebbe che il crollo e la liquidazione stori-ca di esso. Le norme tattiche, che nessuno ha il diritto dilasciare in bianco né di revisionare secondo congiuntureimmediate, sono norme derivate da quella teorizzazione deigrandi cammini, dei grandi sviluppi, e sono norme pratica-mente ferme ma teoricamente mobili, perché sono normederivate dalle leggi dei grandi corsi, e con esse, alla scalastorica e non a quella della manovra e dell'intrigo,dichiaratamente transitorie.

Richiamiamo il lettore ai tanto martellati esempi, comequello famoso del trapasso nel campo europeo occidenta-le dalla lotta per le guerre di difesa e indipendenza naziona-le, al metodo del disfattismo di ogni guerra che lo Statoborghese conduce. Bisognerà che i compagni intendanoche nessun problema trova risposta in un codice tatticodel partito.

Questo deve esistere, ma per sè non scopre nulla e nonrisolve nessun quesito; le soluzioni si chiedono al baga-glio della dottrina generale e alla sana visione dei campi-cicli storici che se ne deducono.

Una successiva esposizione quindi, usando come ma-teriale storico il dialogo polemico tra la sinistra italiana eMosca, dovrà illuminare il problema tattico e rimediare aigravi errori che tuttora circolano, ad esempio in merito alproblema dei rapporti tra il movimento proletario interna-zionale e quelli dei popoli coloniali contro i regimi antichiinterni e l'imperialismobianco, massimoesempio di proble-ma storico e non tattico - non problema di appoggio, per-ché bisogna prima spiegare in tutto perché ha totalmenteripiegato il movimento puramente classista del proletaria-to delle metropoli, e solo dopo si saprà come questa forzarivoluzionaria del livello postcapitalista si pone in rappor-to alle, oggi potenti e vive in Oriente, forze rivoluzionariedel livello precapitalsta.

Rispondere citando e peggio coniando a freddo unarigida formula di tattica, è in simili casi banale. Sostenere ildiritto di riconiare ad ogni momento regole tattiche elasti-che di comodo, questo sì è opportunismo e tradimento,contro cui saremo sempre spietati, ma contro cui opporre-mo assai più ferrate e meno innocue condanne d'infamia.

(...)

10. Demolizione dello Stato(...)Benché la rivoluzione borghese classica avesse conte-

nuto in sé la necessità dello smantellamento del preceden-te organo di Stato, in quanto fondato sui vecchi ordini, suiprivilegi degli ordini stessi, e sulla diversa potestà giuridi-ca dei componenti la società, solo la lotta della rivoluzionerussa nella fase di Ottobre poté dare base storica e positi-va alla esigenza che anche loStato giuridico delle modernecostituzioni proclamanti l'eguaglianza e libertà di tutti ebasate su rappresentanze universali senza distinzioni diordini, anche un tale Stato, come stabilito dalla prima orada Marx e dal Manifesto, non era che organo di dominio diclasse, e un giorno la storia lo avrebbe a sua volta stritola-to in frantumi.

Non è dunque permesso dire che la rivoluzione di Ot-tobre restò nei limiti di una rivoluzione borghese. Lo svi-luppo sociale della Russia ha dovuto restare nei limiti delleforme e modi capitalisti di produzione, ed è un dato storicoche il proletaraito ha lottato per l'avvento di una formaborghese - e che doveva farlo. Ma non a questo si è limita-ta la sua lotta politica.

Come inseparabile parte della lotta politica del proleta-riato internazionale, che per organizzarsi in classe domi-nante deve prima organizzarsi in partito della propria ca-ratteristica ed esclusiva rivoluzione, le forze e le armi chehanno indiscutibilmente vinta la battaglia di Ottobre vin-sero per il proletariato e il socialismo mondiale, e la lorovittoria servirà nel materiale senso storico a quella mon-diale del comunismo, sulle rovine del capitalismo di tutti igradi e di tutti i paesi, Russia attuale ivi compresa.

(...)

Parte primaLOTTAPERILPOTERENELLEDUERIVOLUZIONI

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94. Dogma o guida per l'azione?(...) Dobbiamo provare che la posizione di Lenin e del

partito tra il luglio e il settembre 1917, in cui si abbandonòla parola «il potere ai Soviet», che poi doveva essere ri-presa per la lotta armata di ottobre, non fu un lapsus, nonsubì la lamentevole vicenda del riconoscimento di errore,in cui la rivoluzione spense piano piano le sue fiamme e lasua gloria nei successivi anni.

Questa formula del riconoscimento vale per le perso-ne, che poco importano coi loro pentimenti, sottomissionio cruente liquidazioni. Per il partito essa si trasforma nel-l'altra di rettifiche successive della strategia della classeoperaia, derivate dall'apparire di situazione «impreviste».Man mano che queste successive accostate hanno con-dotto il proletariato mondiale e russo nei più fetenti miasmidel pantano borghese, si è con sempre più potenti risorseiniettata nelle masse smarrite la credenza ignobile che que-sto dettame sia contenuto nella linea di Marx, di Engels, diLenin, ridotti alla pietosa figura di spregiudicati allievi del-l'ultima moda.

Noi siamo lungi nell'esporre, non gli episodi gloriosi overgognosi, ma le successive valutazioni del corso storicoda parte del movimentomarxista, per provare che esse sonolegate ad un corso unitario indeformabile, teorizzato digetto non da una mente qualunque in un tempo qualun-que, ma da un collettivo movimento di classe determinatoall'epoca fissa dell'apparire del contrasto tra capitalisti eproletari, epoca più feconda a questo fine delle passate edelle posteriori. Noi siamo - è bene dirlo, fra tanto anneb-biarsi di immagini trasmesse, nella forma cruda - per uncorpus di dottrina che non è permesso mutare, lungo l'arcostorico della classe operaia moderna, dal suo apparire allascomparsa delle classi. Se un insegnamento storico smen-tisse questa costrutta dottrina «di parte» del passato e delfuturo, essa, nella dannata e contestata ipotesi, crollereb-be nel nulla, e non potrebbe essere salvata da contingentipuntellature, da ibridazioni bastarde. E dobbiamo, comeabbiam detto, essere lunghi, per opporci al gioco di cita-zioni con cui, senza collocarle nel tempo, nel filo dei tempi,nello specifico documento di cui si tratta, si cerca di avva-lorare questo spregevole eclettismo, a cui tutto ildisfattismo, che ci ha a tante riprese travolti, ma non di-spersi, integralmente si riconduce.

Tutta la letteratura dello stalinismo mira, nella suapossente organizzazione, a questo traguardo. Ad esempiovi ricorre una frasetta di Lenin, o a lui attribuita, che con-densa il concetto: «il marxismo non è un dogma, ma unaguida all'azione».

95. La pretesa «filosofia della prassi»Questa vecchia frase, che Gramsci usò allo scopo di

evitare che la parola marxismo non facesse passare i suoiquaderni sotto la pedestre censura carceraria, è anch'essaequivoca, e non qui concluderemo la disquisizione, cuioccorre ancora dare materiale anche relativo alla politicacomunista, oltre che in Russia, anche nel mondo, nella sualunga storia.

Il marxismo ha a che fare con la prassi (parola che si-gnifica azione umana, comportamente della specie uomo, enull'altro di diabolico), ma non nel senso che ne faccia ilsoggetto, il punto d'appoggio, la chiave del mondo socialee della sua storia. Meglio è dire che il marxismo è una dot-trina o scienza delle cause e delle leggi della prassi, e che

non tratta della prassi del singolo individuo ma del com-portamento medio sociale. La spiegazione che ne dà nonconsiste nel porre tale comportamento alla base, ma allasommità della ricerca, il che non vuol dire che questo effet-to di cause ambienti, materiali e relative alla materiale vitadella spcecie, non si riverberi in cause del procedere stori-co: lo fa, ed è tutto qui il misterioso «capovolgersi» dellaprassi, quando lo si scopre non nel pensiero e nella volon-tà del singolo uomo, anche di eccezione, ma nell'interven-to in tempo maturo delle classi sociali in senso largo e delpartito di classe in senso più stretto. A questo punto e inquesto piano si vede che la dottrina marxista non sorse persoddisfare la voluttà di cervelli anelanti di scoprire il reto-rico mistero dell'essere, ma per servire di base al movimen-to di una data classe sociale e del partito che ne prepara larivoluzionaria vittoria.

Al lume di questo rapido richiamo, la frase che il marxi-smo non è un dogma ma una guida per l'azione, anche sefigura, per motivi che è facile a volta a volta trovare, in tesidi propaganda di agitazione e di battaglia, non dice nulla enon vale nulla.

Dogma nella comune accezione etimologica e filosofi-ca significa un'affermazione derivante da una sopraumanarivelazione, che è valida per tutti i tempi e che non è con-sentito negare e nemmeno sottoporre a critica analisi. Itrascendentisti lo ammettono, gli immanentisti lo neganoalla loro maniera e noi marxisti... ci freghiamo degli uni edegli altri.

Noi non diciamo nè che il dogma è stato rivelato daldio, nè che è stato inventato da un furbacchione o unabanda di furbacchioni. Il dogma è sorto in un tempo ed unasocietà determinati, come primoembrione di una scienza, enon di scienza astratta ma di scienza che doveva servirealla prassi: sia a tramandare le tradizioni della prassi (del-l'esperienza, dell'attività sociale anche primitiva), sia comebase di normativa pratica, di codice etico. La forma dogma-tica sorse per interesse di classi che volevano conservareuna struttura sociale e il suo controllo. La religione non è,per noi, e non appare come risposta all'esigenza di capire ilmondo, ma a quella, molto precedente ed assorbente, dicontrollare la società (e in genere per infrenare le sue ten-denze a mutarsi).

In sostanza per un marxista i dogmi, storicamente, era-no guide per l'azione. La frase che il marxismo non è undogma ma guida per l'azione è dunque un nonsenso, sedetta da un marxista.

Essa ci espone a confonderci con due posizioni bor-ghesi: una che l'attuale scienza di classe sia uscita dallepastoie del dogma rivelato e autoritario, e quindi faccialegge uguale per lor signori borghesi e per noi. L'altra checol condannare i dogmi fideisti si sia fatto tutto quel cheoccorreva per avere il diritto di guidare l'azione umana, e sisia chiuso il periodo delle rivoluzioni. Per noi le vecchiesocietà avevano per guida dell'azione un sistema di dogmi,quella borghese ha per guida di azione una falsa scienza euna filosofia che si pretende a torto antimitologica e con-sacra vuoti ideologismi sull'umanità la personalità e la li-bertà al solo fine di difendere e conservare il modo socialecapitalistico - il marxismo è una nuova forma di superare eil dogma, e il borghese antidogma, e di porre, in linee primaimproponibili, il vero rapporto tra conoscenza e prassi,dottrina ed azione, in dialettica inseparabilità.

Ben si dice che il marxismo non è un dogma, in quantoè teoria di una classe sociale che nasce ad un dato svoltostorico e tratta scientificamente i fatti sociali del presente,

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del passato e dell'avvenire. Ben si può dire che la teoriamarxista vale di guida alle decisioni del partito, e in questosenso di guida all'azione della classe.

La frase che collega i due termini, nella troppopasteggiata dagli opportunisti formuletta di comodo, puòservire solo a ribattere chi voglia esaurire il marxismonellostudio del divenire storico, oscurandone il lato essenzialedella partecipazione collettiva alla storica azione.

(...)

Parte terzaLAGRAVEVICENDASTORICAFRALAMORTEDI

LENINENOI(...)

Collegamento(...)

114. Comunismo e «centralismo»(...) Come si inventò da Stalin il «principio leninista

dell'edificazione del socialismo nella sola Russia» che eral'opposto della storica lotta che ebbe a capo Lenin in tuttoil corso della sua vita; così oggi dai liquidatori di Stalin sene inventa destramente - e con trattazioni storichederivative! - un altro non meno bugiardo: «il principioleninista del centralismo democratico nello sviluppo eco-nomico».

Si enuncia la cosa in non pochi passi in maniera ancorpiù crassamente antimarxista: «democratizzazione dell'eco-nomia»! Fatto questo, altro non occorre per navigare inpieno capitalismo e liberalismo borghese.

Noi marxisti radicali ci colleghiamoalla definizione del-la linea marxista che fu data contro di noi nelle polemichedella Prima Internazionale intorno al 1870. Accettiamol'ac-cusa e confessiamo la colpa: come siamo gli autoritaricontro i libertari, siamo parimenti i centralisti contro ifederalisti.

Al tempo di Marx, di Lenin e all'odierno, si impostanello stesso modo la battaglia dei rivoluzionari contro gliopportunisti.

La formula del «centralismo democratico» fu - è vero -data da Lenin nella ricostruzione dei partiti marxisti e del-l'Internazionale comunista. Essa peròsi riferiva all'organiz-zazione interna dei partiti e dell'Internazionale, e non allasocietà economica; nè quale programma integrale del co-munismo, nè quale programma di politica economica nellaRussia, società in moto tra feudalismo e capitalismo, nel-l'attesa della rivoluzione proletaria occidentale.

Anticentralisti erano sempre stati i socialisti di destra,i riformisti e collaborazionisti di prima della prima guerramondiale, e socialpatrioti durante questa. Tale gentagliacon la quale ci davamo a coltello mezzo secolo fa era pertutte le «autonomie» e soprattutto per le «locali». La tesidi questi traditori del proletariato era che un'organizzazio-ne locale, cittadina o provinciale, poniamo del partito, po-teva decidere tutto da sola, e anche contro il parere preva-lente del partito, sull'azione locale, sulla tattica, sugli ac-cordi con altri partiti. Negando questa autonomia nel 1870ai libertari e nel 1900 ai revisionisti, i difensori dell'integraletradizione di Marx ed Engels difendevano da attentati pas-sati, contemporanei e futuri la priorità della questione delpotere centrale. Centralizzato sempre più il potere della clas-se borghese, centralizzato nell'azione oltre che nella dottri-na il partito proletario rivoluzionario.

Su identico piano era la lotta contro i socialsciovinisti,

in cui sta la piattaforma vitale del «leninismo». I traditorivollero ogni partito autonomo nell'atteggiamento rispettoalla guerra, fino ad ammettere che mentre il partito (ponia-mo) serbo sabotava la guerra (e lo fece sebbene «difensi-va»!), quello austriaco conservasse il diritto di votare icrediti di guerra a Francesco Giuseppe e appoggiare il suogoverno (benché, a dir popolaresco, «aggressore»). Noicon Lenin pretendemmo che valesse l'impegno internazio-nale che legava ogni partito nazionale, e che questo nonavesse mai il diritto di decidere con una sua consultazione«democratica» interna il rispetto o la violazione del pattocentrale e di classe.

Sviluppata dai classici di Lenin e dei suoi la dottrinadel potere rivoluzionario con due soli personaggi centrali:Stato capitalista e Rivoluzione proletaria, e rivendicato ilprogramma marxista della stretta dittatura centralizzatacome potere postrivoluzionario, che distrutto lo Stato bor-ghese e resolo in pezzi monta la macchina unitaria del po-tere comunista, fu ancora una volta dispersa ogni conce-zione che facesse posto a poteri locali e a intese federali diorgani autonomi, che potessero decidere ognuno per suoconto.

A una tale dottrina per lo Stato, che spinse al massimol'indignazione dei socialtraditori ex marxisti da un lato, equella degli anarchici e sindacalisti alla Sorel dall'altro, va-rietà tutte della peste «autonomista» ed «iniziativista» (con-cetti che per noi valgono: borghese), corrisponde analogadottrina per la vita del partito di classe rivoluzionario.

La centralità della direzione del partito - e quindi del-l'Internazionale, che è considerata in Lenin come il partitoper eccellenza - fu da tutti accettata, e qualche elemento atendenza piccoloborghese autonomista, anche se di at-teggiamenti estremisti, fu messo fuori, alla pari di quellidestri egualmente restii alla ferma manodella direzione cen-trale, che storicamente non poteva avere altra sede che aMosca.

Fu allora che, ai fini della vita interna dell'Internaziona-le, Lenin pose nelle sue storiche tesi l'espressione di«centralismo democratico» . Noi della sinistra italiana pro-ponemmo - ancora una volta i fatti ci hanno dato ragione -di sostituire questa formula, che giudicavamo pericolosa,con quella di «centralismo organico». Ci spieghiamo subi-to, ma fateci scrivere d'urgenza che chi si dà a fracassare ilcentralismo, senza aggettivi, oltraggia Marx, Lenin e la cau-sa della rivoluzione: è un manutengolo di più della conser-vazione borghese.

115. Impotenza alla dialetticaNella possente marxista dialettica di Lenin l'aggettivo

di democratico, applicato qui alla nozione di centralismnonel fine preciso di definire la dinamica interna del partito diclasse, non era affatto in contrasto con lo sterminio dellasuperstizione democratica, che è il contenuto essenzialedel marxismo, come Lenin rivendicò respingendo l'ondataopportunista del suo tempo, avente gli stessi caratteri del-la contemporanea, trionfante ed ululante dal Cremlino.

Il concetto di Lenin è sul piano organizzativo e si riferi-sce alla regolazione della vita del partito. Nella fase storicache precede e accompagna subito la rivoluzione non vipuò essere partito senza statuto, senza carta costituziona-le. Noi marxisti ridiamo di una costituzione della societàcomunista, perché se così non fosse non avremmo tra inostri canoni la scomparsa dello Stato. Ridiamo di unacostituzione e di una democrazia entro la classe operaia, inqaunto se la ammettessimo dovremmo cancellare tutto il

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Da «Dialogato coi Morti» (1956)Giornata terza - sera

(...)

Senso del determinismoPer il determinismo conta nulla la coscienza e la volon-

tà di un individuo: la sua azione è determinata dai suoibisogni e dai suoi interessi, e poco importa come egli for-muli la spinta che egli crede, a cose fatte, avere svegliata lasua volontà, di cui si accorge in ritardo. Questo vale perquelli in basso e in alto, miseri e ricchi, umili e potenti.Dunquenon troviamo noi marxisti nulla nella persona, nellepersone; e nella «personalità», povera marionetta dellastoria, tanto meno. Più è nota, da più fili è tirata. Per ilnostro grandioso gioco essa non è un pezzo, nemmenouna modesta pedina. Ma negli scacchi v'è il Re? Si', collasola funzione di farsi fottere.

Nella classe l'uniformità, il parallelismo di situazionicrea una forza storica, una causa di sviluppo storico. Mal'azione precede egualmente la volontà, e più la coscien-za di classe.

La classe assurge a soggetto di coscienza (di fini pro-grammatici) quando si è formato il partito, e si è formata ladottrina. Nel cerchio più stretto che è il partito, come orga-no unitario, si comincia a trovare un soggetto di interpre-tazione del cammino satorico, delle sue possibilità e stra-

nostro programma storico, che è la scomparsa della classe(la parola classe non ha singolare; quando sparisce ladivisione della società in classi, non ne è superstite nessu-na).

La democrazia costituzionale operaia sotto il capitalevale la costituzione per cui gli schiavi hanno diritto a farparte del loro consorzio in base al marchio di ferro roventeche possono mostrare sulla spalla. Ad essa si riduce lanefasta illusione di laburisti sindacalisti e ordinovisti.

Lenin trattava del funzionare tecnico del partito, e lasua impostazione della questione era dialetticamentecristallina. Noi lo capivamoal mille per mille, ma venivamodi sotto la pressione bestiale del capitalismo parlamentaree democratico, che lui non aveva mai subita, avendole colsuo partito dato gloriosamente di ferro alla gola prima checominciasse gli atti respiratori. Tememmo che la formulapotesse - ed oggi avviene - essere predata dai futuri tradi-tori, cosa possibile fino a che il funerale mondiale dellademocrazia borghese, della democrazia nella società, dellademocrazia in generale, non sarà stato celebrato: era lon-tano nel 1920 e lo è ancora oggi, dopo tanti anni, e nonabbiamo fatto a tempo a mandargli dietro colossali coronerosse con la scritta: da Carlo Marx - da Vladimiro Lenin -dai minimi ma gaudiosi affossatori.

Era ben evidente che le decisioni del partito, dalla sua«base» in su, tecnicamente non si potevano prendere checol sistema ingenuo della conta dei voti. Ciò ammesso, sitrattava di ribadire la categoria primaria del marxismo,ossia la centralità, la unità omogenea, la garanzia contro inefasti delle velleità individuali, di gruppo, di località, dinazionalità.

Il partito nella sua vita interna, una volta storicamentericondotto alla dottrina di origine, risanato nell'organizza-zione con l'eliminazione degli strati corrotti, rinsaldato nel-

l'azione con decisioni tattiche dal respiro mondiale e rivo-luzionario, e per ciò stesso assicurata la sua dinamicacentralista, è in un certo senso una anticipazione della so-cietà comunista in cui il dilemma tra decisione del centro edecisione della base perderà di senso e non si porrà più.Ma esso vive ed opera nell'interno della società di classe esubisce le determinazioni e le reazioni dei suoi urti contro ilnemico di classe e dei controurti di questo. Più volte mo-strammo che nei momenti decisivi l'indirizzo non è cercatoda consultazioni e congressi e nemmeno da voti di istanzeristrette e comitati centrali; l'esempio tante volte ripetuto èLenin stesso.

Lasciamo negli statuti questo banale ingranaggio dellaconta dei voti e dei pareri individui, noi proponevamo; maconsideriamo che l'uinità del partito non è quella di uncumulo di sabbia o altra sostanza granulare, di una colo-nia di esseri simili, quale la primitiva madrepora nel bancodi corallo o il singolo uomo (capolavoro della natura!) nel-la banalità dell'anagrafe e della statistica.

Il partito è un organo nel senso integrale che si applicaa quelli viventi. E' un complesso di cellule, ma non tuttesono identiche, nè uguali, nè della stessa funzione, nè del-lo stesso peso. Non tutte le cellule nè tutti i loro sistemicondizionano l'energetica o al più la vita di tutto l'organi-smo. Tale nell'insegnamento di Marx e Lenin, nel materiali-smo dialettico, è la valutazione delle società umane e deicomplessi sociali, contrapposti alla sciocca filosofia bor-ghese che proietta tutta la società nell'individuo e nonammette che nella società sono le potenze e capacità disviluppo all'individuo contese e negate, e che esse nonrisiedono in un individuo speciale e di eccezione, ma nellaricchezza delle relazioni fra uomini, gruppi di uomini, classidi uomini.

(...)

de. Non sempre, ma solo in certe rare situazioni dovute apienezza dei contrasti nel mondo della base produttiva, nelsoggetto «partito» ammettiamo, oltre alla scienza, anchela volontà, nel senso di una possibilità di scelta tra attidiversi, influente sul moto degli eventi. Per la prima volta lalibertà, non dignità di persone, appare. La classe ha unaguida nella storia in quanto i fattori materiali che la muo-vono si cristallizzano nel partito, in quanto questo possie-de una teoria completa e continua, un'organizzazione a suavolta universale e continua, che non si scomponga e com-ponga ad ogni svolta con aggregazioni e scissioni; questosono pero' la febbre, che costituisce la reazione di un simi-le organismo alle sue crisi patologiche.

Dove le «garanzie»?Dove dunque trovare le garanzie contro la degenera-

zione, il disfacimento del corso del movimento, del suopartito? In un uomo è poco; l'uomo è mortale, è vulnerabiledai nemici. E', se unico, pessima fragile garanzia, anche sein un solo la si credesse mai insita.

Prenderemmo tuttavia sul serio il gran vantare di averetrovata la garanzia collegiale, dopo la scomparsa di un capo,che dirigeva a suo arbitrio? Tutto ciò non è serio. In Rus-sia tutto è stato perduto, e nulla resta da salvare. Comun-que, il disfacimento sotto Stalin mostra lati meno deterioridi quelli che ora, deviando da lui, si vengono mostrando,

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mentre delle sue magagne nulla si vede, e non si potrebbevedere, corretto.

Le nostre garanzie sono note e semplici.1. Teoria. Come abbiamo detto non nasce in una fase

storica qualunque, né attende per farlo l'avvento del Gran-de Uomo, del Genio. Solo in certi svolti può nascere: dellesue «generalità» è nota la data, non la paternità. La nostradovette nascere dopo il 1830 sulla base dell'economia in-glese. Essa garantisce in quanto (anche ammettendo chel'integrale verità e scienza sono obiettivi vani, e solo sipuò avanzare nella lotta contro la grandezza dell'errore)la si tiene ferma nelle linee dorsali formanti un sistemacompleto. Durante il suo corso storico ha due sole alter-native: realizzarsi o sparire. La teoria del partito è un siste-ma di leggi che reggono la storia e il suo corso passato, efuturo. Garanzia dunque proposta: niente permesso di ri-vedere, e nemmeno di arricchire la teoria. Niente creativi-tà.

2. Organizzazione. Deve essere continua nella storia,quanto a fedeltà alla stessa teoria e alla continuità del filodelle esperienze di lotta. Solo quando ciò per vasti spazidel mondo e lunghi tratti del tempo, si realizza, vengono legrandi vittorie. La garanzia contro il centro è che non ab-bia diritto a creare, ma sia obbedito solo in quanto le suedisposizioni di azione rientrino nei precisi limiti della dot-trina, della prospettiva storica del movimento, stabilita perlunghi corsi, per il campo mondiale. La garanzia è che siarepresso lo sfruttamento della «speciale» situazione loca-le o nazionale, dell'emergenza inattesa, della contingenzaparticolare. O nella storia è possibile fissare concomitanzegenerali tra spazi e tempi lontani, ovveroè inutile parlare dipartito rivoluzionario, che lotta per una forma di societàfutura. Come abbiamo sempre trattato, vi sono grandi sud-divisioni storiche e «geografiche» che danno fondamen-tali svolti all'azione del partito: in campi estesi a mezzi con-tinenti e a mezzi secoli: nessuna direzione di partito puòannunziare svolti del genere da un anno all'altro. Posse-diamo questo teorema, collaudato da mille verifiche speri-mentali: annunziatore di «nuovo corso» uguale traditore.

Garanzia contro la base e contro la massa è che l'azioneunitaria e centrale, la famosa «disciplina», si ottiene quan-do la dirigenza è ben legata a quei canoni di teoria e prati-ca, e quando si vieta a gruppi locali di «creare» per conto

loro autonomi programmi, prospettive e movimenti.Questa dialettica relazione tra la base e il vertice della

piramide (che a Mosca trent'anni addietro chiedevamo direnverser, capovolgere) è la chiave che assicura al partito,impersonale quanto unico, la facoltà esclusiva di leggerela storia, la possibilità di intervenirvi, la segnalazione chetale possibilità è sorta. Da Stalin a un comitato disottostalinisti, nulla è stato capovolto.

3. Tattica. Sono vietate dalla meccanica del partito «cre-atività» strategiche. Il piano di operazioni è pubblico enotorio e ne descrive i precisi limiti, ossia i campi storici eterritoriali. Un esempio ovvio: in Europa, dal 1871, il partitonon solidarizza con alcuna guerra di Stati. In Europa, dal1919, il partito non partecipa (non avrebbe dovuto...) adelezioni. In Asia e Oriente, oggi tuttora, il partito appoggiai moti rivoluzionari democratici e nazionali e un'alleanza dilotta tra proletariato e altre classi fino alla borghesia locale.Diamo questi crudi esempi per evitare si dica che lo sche-ma è uno e rigido sempfe e dovunque, ed eludere la famosaaccusa che questa costruzione, materialista storica inte-gralmente, derivi da postulati immoti, etici od estetici omistici addirittura. La dittatura di classe e di partito nondegenera in forme diffamate come oligarchie, a condizioneche sia palese e dichiarata pubblicamente in relazione adun preveduto ampio arco di prospettiva storica, senzaipocritamente condizionarla a controlli maggioritari, ma allasola prova della forza nemica. Il partito marxista non arros-sisce delle taglienti conclusioni della sua dottrina materia-lista; non è fermato, nel trarle, da posizioni sentimentali edecorative.

Il programma deve contenere in linea netta l'ossaturadella società futura in quanto negazione di tutta la presen-te ossatura, punto dichiarato in arrivo per tutti i tempi eluoghi. Descrivere la presente società è solo una parte delcompito rivoluzionario. Deprecarla e diffamarla non è affarnostro. Costruire nei suoi fianchi la società futura nemme-no. Ma la rottura spietata dei rapporti di produzione pre-senti deve avvenire secondo un chiaro programma, chescientificamente prevede come su questi spezzati ostacolisporgeranno le nuove forme di organizzazione sociale, esat-tamente note alla dottrina del partito.

(...)

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(...)29. Interna vita del partito di classeLenin - la citazione è spesso ricorsa negli ultimi dibatti-

ti - era per la norma del «centralismo democratico». Nes-sun marxista può discutere menomamenmte sull'esigenzadel centralismo. Il partito non può esistere se si ammetteche vari pezzi possano operare ciascuno per conto suo.Niente autonomie delle organizzazioni locali nel metodopolitico. Queste sono vecchie lotte che già si condusseronel seno dei partiti della II Internazionale, contro ad esem-pio l'autodecisione del gruppo parlamentare del partitonella sua manovra, contro il caso per caso per le sezionilocali o le federazioni, nei comuni e nelle province, control'azione caso per caso dei membri del partito nelle varieorganizzazioni economiche, e così via.

L'aggettivo democratico ammette che si decida nei con-

Da «La Russia nella grande rivoluzionee nella società contemporanea» (1956)

gressi, dopo le organizzazioni di base, per conta dei voti.Ma basta il conto dei voti a stabilire che il centro obbedi-sce alla base e non viceversa? Ha ciò, per chi sa i nefastidell'elettoralismo borghese, un qualche senso?

Ricorderemo appena la garanzie da noi tante volte pro-poste e illustrate ancora nel Dialogato [Dialogato coiMorti, sul XX congresso del Pcus, 1956, pagg. 114-115].Dottrina: il Centro non ha facoltà di mutarla da quella sta-bilita, sin dalle origini, nei testi classici del movimento.Organizzazione: unica internazionalmente, non varia peraggregazioni o fusioni ma solo per ammissioni individuali;gli organizzati non possono stare in altro movimento. Tat-tica: le possibilità di manovra e di azione devono esserepreviste da decisioni dei congressi internazionali con unsistema chiuso. Alla base non si possono iniziare azioninon disposte dal centro: il centro non può inventare nuo-

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Da «Considerazioni sull'organica attività del partito quandola situazione generale è storicamente sfavorevole» - (1965)

(...)8. Dato che il carattere di degenerazione del comples-

so sociale si concentra nella falsificazione e nella distru-zione della teoria e della sana dottrina, è chiaro che ilpiccolo partito di oggi ha un carattere preminente di re-staurazione dei principi di valore dottrinale e purtroppomanca lo sfondo favorevole in cui Lenin lo compì dopo ildisastrodella prima guerra [mondiale, NdR]. Tuttavia, nonper questo possiamo calare una barriera fra teoria e azionepratica; poiché oltre un certo limite distruggeremmo noistessi e tutte le nostre basi di principio. Rivendichiamodunque tutte le forme di attività proprie dei momenti favo-revoli nella misura in cui i rapporti reali di forze lo consen-tono.

9. Tutto ciò andrebbe svolto molto più lungamente,ma si può pervenire ad una conclusione circa la strutturaorganizzativa del partito in un trapasso tanto difficile.Sarebbe errore fatale riguardarlo come divisibile in duegruppi: uno dedito allo studio e l'altro all'azione, perché

una unità centrale, non tagliandole con barriere verticalitra province, regioni e comuni, ma tagliando la loro co-struzione sul territorio governato, orizzontalmente; po-nendo la classe che stava sotto il peso sociale controquella sovrastante che teneva nel pugno le leve centralidi tutto il sistema. Non si propose di strappare a questabrandelli del suo dominio di classe; ma di toglierle tutto ilblocco insito nel nuovo modo di produzione associata inmasse, che faceva ruotare in un moto unico la produzionee la distribuzione dei beni e dei servizi, sempre più genera-li e complessi.

Associò tutti i lavoratori della nazione in un bloccotanto unico e stretto al suo centro, quanto quello delloStato oppressore, e andò molto più oltre, cercando di farecorpo unico centralizzato dei partiti proletari di tutti i pae-si.

Mille ideologie forcaiole si posero contro questa uni-ca via del cammino rivoluzionario, questo unico mezzoper uscire dalle tenaglie del sistema borghese internazio-nale. Alla base di esse sta la solita ubbia della libertà,sciocca ombra del fondamentale inganno dell'ideologiacapitalista, che non osando se non copertamente vantarsidi avere uniti i suoi già dispersi governanti, si vanta diaverli uno per uno sciolti da secolari legami e pressioni.

La libidine del libero convellersi capriccioso dell'indi-viduo, e del suo vivere per sè, che tutte le fallaci filosofiegli propinarono trattandolo da spirito o da carne, non daspecie e da umanità, si tradusse nella miopia, tra le altre,del limite familiare, poi di quello locale e campanilistico.Ad un certo momento si cercò di cambiare nomi e conno-tati alla teoria proletaria chiamandola non più socialismo,ma comunalismo. Al solito ciò pretendeva di essere unpasso a sinistra; e se ne stava innamorando uno dei tantiche hanno avuto la sventura di scambiare se stessi permarxisti rivoluzionari: nella fattispecie si trattava dellameteora socialista dal nome Benito Mussolini, cui fu ilcaso di dare il primo e numerosi tratti di... corda.

(...).

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ve tattiche e mosse, sotto pretesto di fatti nuovi.Il legame tra la base del partito ed il centro diviene una

forma dialettica. Se il partito esercita la dittatura della clas-se nello Stato, e contro le classi contro cui lo Stato agisce,non vi è dittatura del centro del partito sulla base. La ditta-tura non si nega con una democrazia meccanica internaformale, ma col rispetto di quei legami dialettici.

Ad un certo tempo nell'Internazionale comunista i rap-porti si capovolsero: lo Stato russo comandava sul partitorusso, il partito sull'Internazionale. La sinistra chiese chesi rovesciasse questa piramide.

Non seguimmo i trotskisti e gli anarcoidi quando fece-ro della lotta contro la degenerazione della rivoluzionerussa una questione di consultazione di basi, di democra-zia operaia o operaio-contadina, di democrazia di partito.Quest formule rimpicciolivano il problema.

Sulla questione dell'Autorità generale cui il comuni-smo rivoluzionario deve fare capo, noi ritorniamo a trovarei criteri nell'analisi economica, sociale e storica. Non è pos-sibile far votare morti e vivi e non ancora nati. Mentre,nella originale dialettica dell'organo partito di classe, unasimile operazione diviene possibile, reale e feconda, se purein una dura, lunga strada di prove e di lotte tremende.

30. Le meschine comunità perifericheSulla sua possente strada che cerca e scopre la via

unitaria delle forme di vita di relazione della specie umanain un corso grandioso e mondiale, più e più volte il socia-lismo si è trovato e si trova davanti lo stesso nemico: laframmentazione, la melecolarizzazione, la rottura in picco-le isole dei complessi sociali e della loro vita. Questi tenta-tivi si sono scritti in controsenso alla stessa grandezzadella rivoluzione capitalistica borghese, che nell'epica suabattaglia contro la minutaglia salita dal medioevo costruìle macchine storiche unitarie che si chiamarono Stati na-zionali.

Il marxismo denunziò la pretesa universalità di questeformazioni della storia, e la loro menzognera conquista di

questa distinzione è mortale non solo per il corpo del par-tito, ma anche in riguardo a un singolo militante. Il sensodell'unitarismo e del centralismo organico è che il partitosviluppa in sé gli organi atti a varie funzioni, che noi chia-miamo propaganda, proselitismo, organizzazione proleta-ria, lavoro sindacale ecc. fino, domani, all'organizzazionearmata, ma nulla si deve concludere dal numero dei com-pagni che si pensa addetti a tali funzioni, perché in princi-pio nessun compagno deve essere estraneo a nessuna diesse.

E' un incidente storico che in questa fase possanosembrare troppi i compagni dediti alla teoria o alla storiadel movimento, e pochi quelli già pronti all'azione, Soprat-tutto insensata sarebbe la ricerca del numero dei deditiall'una e all'altra manifestazione di energia. Tutti sappiamoche, quando la situazione si radicalizzerà, elementi innumerisi schiereranno con noi, in una via immediata, istintiva esenza il menomo corso di studio che possa scimmiottarequalificazioni scolastiche.

(...)

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di rifiutato le infiltrazioni non solo delle forze dominate daposizioni di tipo nazionale, parlamentare e democratico,ma anche in quelle (italice, massimalismo) che si lasciaro-no influenzare dal rivoluzionarismo piccoloborgheseanarco-sindacalista. Questa corrente di sinistra lottò par-ticolarmente perché fossero rigide le condizioni di ammis-sione (costruzione della nuova struttura formale), le ap-plicò in Italia, e quando esse dettero risultati non perfettiin Francia, Germania ecc., fu la prima ad avvertire un peri-colo per tutta la Internazionale.

La situazione storica, per cui in un solo paese si eracostituito lo Stato proletario, mentre negli altri non si eragiunti a conquistare il potere, rendeva difficile la chiarasoluzione organica di mantenere il timone della organiz-zazione mondiale alla sezione russa.

La Sinistra fu la prima ad avvertire che, qualora il com-portamento dello Stato russo, nella economia interna comenei rapporti internazionali, cominciasse ad accusare de-viazioni, si sarebbe stabilito un divario tra la politica delpartito storico, ossia di tutti i comunisti rivoluzionari delmondo, e la politica di un partito formale che difendessegli interessi dello Stato russo contingente.

14. Questo abisso si è da allora scavato tanto profon-damente che le sezioni «apparenti», che sono alla dipen-denza del partito-guida russo, fanno nel senso effimerouna volgare politica di collaborazione colla borghesia, nonmigliore di quella tradizionale dei partiti corrotti della IIInternazionale.

Ciò dà la possibilità, non diremo il diritto, ai gruppi chederivano dalla lotta della Sinistra italiana contro la dege-nerazione di Mosca, di intendere meglio di ogni altro perquale strada il partito vero, attivo, e quindi formale, possarimanere in tutta aderenza ai caratteri del partito storicorivoluzionario, che in linea potenziale esiste per lo menodal 1847, mentre in linea di prassi si è affermato a grandisquarci storici attraverso la serie tragica delle sconfittedella rivoluzione.

La trasmissione di questa tradizione non deformatadagli sforzi per rendere reale una nuova organizzazione dipartito internazionale senza pause storiche,organizzativamente non si può basare su scelta di uominimolto qualificati o molto informati della dottrina storica,ma organicamente non può che utilizzare nel modo piùfedele la linea tra l'azione del gruppo con cui essa si mani-festava 40 anni addietro [cioè nel 1926, all'epoca delle Tesidi Lione, NdR] e la linea attuale. Il nuovo movimento nonpuò attendere superuomini né avere Messia, ma si devebasare sul ravvisarsi di quanto può essere stato conser-vato attraverso il lungo tempo, e la conservazione nonpuò limitarsi all'insegnamento di tesi e alla ricerca di docu-menti, ma si serve anche di utensili vivi che formino unavecchia guardia e che confidino di dare una consegnaincorrotta e possente ad una giovane guardia. Questa sislancia verso nuove rivoluzioni che forse non debbonoattendere più di un decennio da ora [qui si ribadisce unaprevisione già fatta nel 1955 sulla crisi capitalistica mon-diale che sarebbe scoppiata nel 1975, cosa che avvenne, esulla crisi rivoluzionaria che malauguratamente non av-venne se non in termini di moti nazionalrivoluzionari bor-ghesi negli ultimi paesi africani, Angola, Mozambico, chesi liberarono finalmente e con estremo ritardo storico delpeso dell'ultima potenza colonialista europea, il Portogal-lo, NdR] per l'azione sul primo piano della scena storica;nulla interessando al partito e alla rivoluzione i nomi degli

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11. Le violente scintille che scoccarono tra i refori del-la nostra dialettica ci hanno appreso che è compagno mi-litante comunista e rivoluzionario chi ha saputo dimenti-care, rinnegre, strapparsi dalla mente e dal cuore la classi-ficazione in cui lo iscrisse l'anagrafe di questa società inputrefazione, e vede e confonde se stesso in tutto l'arcomillenario che lega l'ancestrale uomo tribale lottatore conle belve al membro della comunità futura, fraterna nellaarmonia gioiosa dell'uomo sociale.

12. Partito storico e partito formale. Questa distin-zione sta in Marx ed Engels, ed essi ebbero il diritto didedurne che, stando con la loro opera sulla linea del par-tito storico, disprezzavano di appartenere ad ogni partitoformale. Da ciò nessun militante odierno può inferire ildiritto ad una scelta: di avere le carte in regola col «partitostorico», e infischiarsi del partito formale. Ciò non perchéMarx ed Engels fossero superuomini di un tipo o razzadiversa da tutti, ma proprioper la sana intelligenza di quellaloro proposizioone che ha senso dialettico e storico.

Marx dice: partito nella sua accezione storica, nelsenso storico, e partito formale od effimero. Nel primoconcetto è la continuità, e da esso abbiamo derivato lanostra caratteristica della invarianza della dottrina da quan-do Marx la formulò non come una invenzione di genio, macome scoperta di un risultato della evoluzione umana. Mai due concetti non sono in opposizione metafica, e sareb-be sciocco esprimerli con la dottrinetta: volgo le spalle alpartito formale e vado verso quello storico.

Quando dalla invariante dottrina facciamo sorgere laconclusione che la vittoria rivoluzionaria della classe la-voratrice non può ottenersi che con il partito di classe e ladittatura di esso, e sulla scorta di parole di Marx affermia-mo che prima del partito rivoluzionario e comunista il pro-letariato è una classe, forse per la scienza borghese, manon per Marx e per noi; la conclusione da dedurne è cheper la vittoria sarà necessario avere un partito che meriti altempo stesso la qualifica di partito storico e di partitoformale, ossia che si sia risolta nella realtà dell'azione edella storia la contraddizione apparente - e che ha domi-nato un lungo e difficile passato - tra partito storico, dun-que quanto al contenuto (programma storico, invariante),e partito contingente, dunque quanto alla forma, che agi-sce come forza e prassi fisica di una parte decisiva delproletariato in lotta.

(...)

13. (...)Il sorgere della III Internazionale, dopo il fallimento

disastroso del 1914 nel puro democratismo e nazionali-smo di quasi tutte le sezioni, fu da noi visto nei primi annidopo il 1919 come il ricongiungimento pieno del partitostorico nel partito formale. La nuova Internazionale sorsedichiaratamente centralista ed antidemocratica, ma la prassistorica del passaggio in essa delle sezioni federate nellaInternazionale fallita fu particolarmente difficile, e affret-tata dalla preoccupazione che fosse immediato il trapassotra la conquista del potere in Russia e quella negli altripaesi europei.

Se la sezione sorta in Italia dalle rovine del vecchiopartito di II Internazionale fu particolarmente portata, nonper virtù di persone certamente, ma per derivazioni stori-che, ad avvertire la esigenza della saldatura tra il movi-mento storico e la sua forma attuale, fu per avere sostenu-to particolari lotte contro le forme degenerate ed aver quin-

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Da «Tesi sul compito storico, l'azione e la strutturadel partito comunista mondiale» (1965)

(...)5. Il lavoro svolto per ricostituire ovunque il parti-

to di classe dopo la fine della seconda guerra mondialeha trovato una situazione estremamente sfavorevole,dopo che le vicende internazionali e sociali del tremen-do periodo storico hanno favorito in tutti i sensi il pia-no opportunista di obliterare tutte le linee del conflittofra le classi, e portare in evidenza davanti agli occhiaccecati del proletariato la necessità di assecondare ilripristino per tutta la terra dei costituzionalismi parla-mentari-democratici.

In questa posizione spietata di controcorrente, ag-gravata dal tuffarsi di larghe masse proletarie nella pra-tica pestifera dell'elezionismo, apologizzata dai falsi ri-voluzionari molto più spudoratamente di quanto nonavessero fatto i revisionisti di oltre mezzo secolo pri-ma, il nostro movimento non potette rispondere chefacendo leva su tutto il patrimonio che gli derivava dallalunga e sfavorevole vicenda storica. Adottata la vec-chia consegna che risponde alla frase: «sul filo del tem-po», il nostro movimento si dette a riportare davanti agliocchi e alle menti del proletariato il valore dei risultatistorici che si erano iscritti nel lungo corso della dolo-rosa ritirata. Non si trattava di ridursi ad una funzionedi diffusione culturale o di propaganda di dottrinette,ma di dimostrare che teoria ed azione sono campidialetticamente inseparabili e che gli insegnamenti nonsono libreschi o professorali, ma derivano (per evitarela parola, oggi preda dei filistei, di esperienze) da bi-lanci dinamici di scontri avvenuti tra forze reali di no-tevole grandezza ed estensione, utilizzando anche i casiin cui il bilancio finale si è risolto in una disfatta delleforze rivoluzionarie. E' ciò che noi abbiamo chiamato convecchio criterio marxista classico: «lezioni dellecontrorivoluzioni».

(...)

7. Trattandosi di un trapasso e di una consegnastorica da una generazione che aveva vissute le lottegloriose del primo dopoguerra e della scissione di Li-vorno alla nuova generazione proletaria che si trattavadi liberare dalla folle felicità della caduta del fascismoper ricondurla alla coscienza della azione autonoma delpartito rivoluzionario contro tutti gli altri, e soprattuttocontro il partito socialdemocratico, per ricostituire for-ze consacrate alla prospettiva della dittatura e del ter-rore proletari contro la grande borghesia come controtutti i suoi esosi strumenti, il nuovo movimento trovòper via organica e spontanea una forma strutturale del-la sua attività che è stata sottoposta ad una prova

uni come degli altri.(...)Oggi si è ricominciato in una situazione oggettiva

torpida e sorda, in mezzo ad un proletariato infetto didemocratismo piccoloborghese fino alle midolla; ma ilnascente organismo, utilizzando tutta la tradizionedottrinale e di prassi ribadita dalla verifica storica di tem-pestive previsioni, la applica anche alla sua quotidiana

quindecennale. Il partito attuò aspirazioni che eranomanifeste nella Sinistra comunista fin dal tempo dellaII Internazionale, e successivamente durante la lottastorica contro le prime manifestazioni di pericoli oppor-tunistici nella III. Questa aspirazione secolare è la lottacontro la democrazia ed ogni influenza di questo turpemito borghese; essa pone le radici nella critica marxista,nei testi fondamentali e nei primi documenti delle orga-nizzazioni proletarie, dal Manifesto dei Comunisti inpoi. (...)

Questa aspirazione della Sinistra [...se il patrimoniodella Sinistra comunista si era eretto su questo bilan-cio di oppressione di sfruttamento e di tradimento, lavia da percorrere era solo quella che nel processo sto-rico ci avesse sempre più liberati del letale meccanismodemocratico, non solo nella società e nei vari corpi chesi organizzano in seno a questa, ma nel seno della stessaclasse rivoluzionaria e soprattutto in quello del suopartito politico], che non si opuò ricondurre ad unaintuizione miracolosa o ad un illuminismo razionale dipensatori, ma che si è contessuta negli effetti di unacatena di lotte reali violente sanguinose e spietate, hale sue tracce storiche in tutta la serie delle manifesta-zioni della Sinistra, da quando lottava contro i blocchielettorali e le influenze delle ideologie massoniche, con-tro le suggestioni belliche prima di guerre coloniali epoi della gigantesca prima guerra europea, la qualetrionfò della aspirazione proletaria a disertare dalle di-vise militari e a capovolgere le armi contro chi le avevafatte impugnare, soprattutto agitando lo spettro lubri-co di conquiste di libertà e di democrazia; da quandoinfine in tutti i paesi d'Europa e sotto la guida del pro-letariato rivoluzionario russo essa si gettò nella lottaper abbattere il primo e diretto nemico e bersaglio checopriva il cuore della borghesia capitalistica, contro ladestra socialdemocratica e contro l'ancor più ignobilecentro, il quale, diffamando noi come diffamava ilbolscevismo, il leninismo e la dittatura sovietica russa,poggiò tutte le sue leva sul tentativo di gettare di nuo-vo il ponte-trabocchetto tra l'avanzata proletaria e lecriminose idealità democratiche. Nello stesso tempo taleaspirazione a liberarsi di ogni influenza anche della stes-sa parola di democrazia si trova consacrata in testi in-numerevoli della Sinistra che all'inizio di queste tesi ab-biamo rapidamente elencati.

8. La struttura di lavoro del nuovo movimento, con-vinto della grandezza della durezza e della lunghezzastorica della propria opera, che non poteva incoraggia-re elementi dubbi e desiderosi di rapida carriera perché

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azione perseguendo la ripresa di un contatto sempre piùampio con le masse sfruttate, ed elimina dalla propria strut-tura uno degli errori di partenza della Internazionale diMosca, liquidando la tesi del centralismo democratico e laapplicazione di ogni macchina di voto, come ha eliminatodalla ideologia anche dell'ultimo aderente ogni conces-sione ad indirizzi democratoidi, pacifisti, autonomisti elibertari.

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non prometteva, anzi escludeva successi storici a di-stanza visibile, si basò su incontri frequenti di inviatidi tutta la periferia organizzata, nei quali non si pianifi-cano dibattiti, contraddittori e polemiche fra tesi incontrasto, o che comunque potessero sporadicamenteaffiorare dalle nostalgie del morbo antifascista, e nellequali nulla vi era da votare e nulla da deliberare, ma viera soltanto la continuazione organica del grave lavo-ro di consegna storica delle lezioni feconde del passa-to alle generazioni presenti e future, alle nuove avan-guardie che si andranno delineando nelle file delle mas-se proletarie, dieci e cento volte percosse ingannate edeluse, e che finalmente insorgeranno contro il feno-meno doloroso della decomposizione purulenta dellasocietà capitalistica, e finalmente sentiranno nel vivodelle loro carni come la forma estrema e più velenosasiano le schiere dell'opportunismo popolaresco, deiburocrati dei grandi sindacati e dei grandi partiti e ditutta la ridicola pleiade dei pretesi cerebrali intellettualied artisti, «impegnati» o «ingaggiati» a guadagnarequalche pagnotta alla loro deteriore attività, mettendo-si per il tramite dei partiti traditori al servizio da ruffianirecato alle classi ricche, e all'anima borghese e capita-listica nel senso peggiore delle classi intermedie edatteggiate a popolo.

Questa opera e questa dinamica si ispirano ad inse-gnamenti classici di Marx e di Lenin, che dettero la formadi tesi alla loro presentazione delle grandi verità stori-che rivoluzionarie; e queste tesi e relazioni, lige nellaloro preparazione alle grandi tradizioni marxiste di oltreun secolo, venivano riverberate da tutti i presenti, gra-zie anche alle comunicazioni della nostra stampa, intutte le riunioni di periferia di gruppi locali e di convo-cazioni regionali, ove tale materiale storico veniva tra-sportato a contatto di tutto il partito. Non avrebbe al-cun senso la obiezione che si tratti di testi perfetti ir-revocabili e immodificabili, perché lungo tutti questi annisi è sempre dichiarato nel nostro seno che si trattavadi materiali in continua elaborazione e destinati a per-venire ad una forma sempre migliore e più completa;tanto che da tutte le fila del partito, ed anche da ele-menti giovanissimi, si è sempre verificato con frequen-za crescente l'apporto di contributi ammirevoli e perfet-tamente intonati alle linee classiche proprie della Sini-stra.

E' solo nello sviluppo in questa direzione del lavo-ro, che abbiamo tratteggiato, che noi attendiamo il di-latarsi quantitativo delle nostre file e delle spontaneeadesioni che al partito pervengono e che ne farannoun giorno una forza sociale più grande.

9. Prima di lasciare l'argomento della formazione delpartito dopo la seconda grande guerra, è beneriaffermare alcuni risultati che da oggi valgono comepunti caratteristici per il partito, in quanto sono risul-tati storici di fatto, malgrado la limitata estensionequantitativa del movimento, e non scoperte di inutiligeni o solenni risoluzioni di congressi «sovrani».

Il partito riconobbe ben presto che, anche in unasituazione estremamente sfavorevole ed anche nei luo-ghi in cui la sterilità di questa è massima, va scongiu-rato il pericolo di concepire il movimento come una meraattività di stampa propagandistica e di proselitismopolitico. La vita del partito si deve integrare ovunque esempre e senza eccezioni in uno sforzo incessante di

inserirsi nella vita delle masse ed anche nelle sue mani-festazioni influenzate dalle direttive contrastanti con lenostre. E' antica tesi del marxismo di sinistra che si deveaccettare di lavorare nei sindacati di destra ove glioperai sono presenti, ed il partito aborre dalle posizio-ni individualistiche di chi mostri di sdegnare di metterepiede in quegli ambienti giungendo perfino a teorizzarela rottura dei pochi e flebili scioperi a cui i sindacatiodierni si spingono. In molte regioni il partito ha ormaidietro di sé una attività notevole in questo senso, seb-bene debba sempre affrontare difficoltà gravi e forzecontrarie, superiori almeno statisticamente. E' importantestabilire che, anche dove questo lavoro non ha ancoraraggiunto un apprezzabile avvio va respinta la posizio-ne per cui il piccolo partito si riduca a circoli chiusisenza collegamento coll'esterno, o limitati a cercareadesioni nel solo mondo delle opinioni, che per ilmarxista è un mondo falso quando non sia trattato comesovrastruttura del mondo dei conflitti economici. Altret-tanto erroneo sarebbe suddividere il partito o i suoiaggruppamenti locali in compartimenti stagni che sia-no attivi solo in uno dei campi di teoria, di studio, diricerca storica, di propaganda, di proselitismo e di atti-vità sindacale, che nello spirito della nostra teoria e dellanostra storia sono assolutamente inseparabili e in prin-cipio accessibili a tutti e a qualunque compagno.

Altro punto che il partito ha conquistato storicamen-te e da cui mai potrà decampare, è la netta ripulsa a tuttele proposte di ingrandire i suoi effettivi e le sue basiattraverso convocazioni di congressi costituenti comu-ni ad infiniti altri circoli e gruppetti, che pullulano ovun-que dalla fine della guerra elaborando teorie sconnes-se e deformi, o affermando come unico dato positivo lacondanna dello stalinismo russo e di tutte le sue localiderivazioni.

(...)

11. (...)Su un'altra tesi fondamentale di Marx e di Lenin la

Sinistra è fermissima, ossia che un rimedio alle alterna-tive e alle crisi storiche a cui il partito proletario nonpuò non essere soggetto, non può trovarsi in una for-mula costituzionale o di organizzazione, che abbia la virtùmagica di salvarlo dalle degenerazioni. Questa illusio-ne si iscrive tra quelle piccolo-borghesi che risalgonoa Proudhon, e attraverso una lunga catena sfocianonell'ordinovismo italiano, ossia che il problema socialepossa essere sciolto da una formula di organizzazionedei produttori economici. Indubbiamente, nella evolu-zione che i partiti seguono, può contrapporsi il cammi-no dei partiti formali, che presenta continue inversionied alti e bassi, anche con precipizi rovinosi, al cammi-no ascendente del partito storico. Questa è una posi-zione di principio, ma è puerile volerla trasformare inricette di organizzazione. Secondo la linea storica noiutilizziamo non solo la conoscenza del passato e delpresente della umanità, della classe capitalistica edanche della classe proletaria, ma altresì una conoscen-za diretta e sicura del futuro della società e della uma-nità, come è tracciata nella certezza della nostra dottri-na che culmina nella società senza classi e senza Stato,che forse in un certo senso sarà una società senzapartito, a meno che non si intenda come partito un or-gano che non lotta contro altri partiti, ma che svolge ladifesa della specie umana contro i pericoli della natura

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Da «Tesi supplementari sul compito storico, l'azione ela struttura del partito comunista mondiale» (1966)

(...)5. Una fondamentale caratteristica del fenomeno che

Lenin con termine ammesso da Marx ed Engels chiamò,trattandolo a ferro rovente, opportunismo, sta nel prefe-rire una via più breve più comoda e meno ardua a quellapiù lunga più disagiata ed irta d'asprezze sulla quale solasi può attuare il pieno incontro tra l'affermazione dei no-stri principi e programmi, ossia dei nostri massimi scopi,e lo svolgersi dell'azione pratica immediata e diretta nellareale situazione del momento. (...) La potente e generosaposizione di Lenin sull'azione in parlamento per collabo-rare alla distruzione violenta del sistema borghese e del-la stessa impalcatura democratica, sostituendovi la dit-tatura di classe, doveva dar luogo sotto i nostri occhiall'assoggettamento dei deputati proletari alle peggiorisuggestioni delle debolezze piccoloborghesi, che sfocia-no nel rinnegamento del comunismo e nel tradimentoperfino venale al servizio del nemico.

Questa verifica ottenuta nell'arco di un'immensa sca-la storica (anche se la generalizzazione così ampia puòsembrare non essere precisamente contenuta nell'inse-gnamento di Lenin, allievo come noi della storia) ci con-duce al monito che il partito eviti ogni decisione o sceltache possa essere dettata da desiderio di ottenere buonirisultati con minore lavoro o sacrificio. Un simile impul-so può sembrare innocente, ma traduce l'animo infingar-do dei piccoloborghesi ed ubbidisce alla suggestionedella norma basilare capitalistica di ottenere il massimoprofitto con minimi costi.

6. Un altro aspetto regolare e costante del fenomenoopportunista, come si generò nella II Internazionale ecome oggi trionfa dopo la rovina ancora peggiore dellaIII, è quello di appaiare il peggiore tralignamento dai prin-cipi del partito ad una ostentata ammirazione per i testiclassici, per il dettato e l'opera dei grandi maestri e deigrandi capi. Costante caratteristica dell'ipocrisia del pic-

fisica e dei suoi processi evolutivi e probabilmenteanche catastrofici. (...).

13. (...)Che nel partito si possa tendere a dare vita ad un

ambiente ferocemente antiborghese, che anticipi larga-mente i caratteri della società comunista, è una anticaenunciazione, ad esempio dei giovani comunisti italia-ni fin dal 1912.

Ma questa degna aspirazione non potrà essere ri-dotta a considerare il partito ideale come un falansteriocircondato da invalicabili mura.

Nella concezione del centralismo organico la garan-zia della selezione dei suoi componenti è quella chesempre proclamammo contro i centristi di Mosca. Ilpartito persevera nello scolpire i lineamenti della suadottrina, della sua azione e della sua tattica con unaunicità di metodo al di sopra dello spazio e del tempo.Tutti coloro che dinanzi a queste delineazioni si trova-no a disagio hanno a loro disposizione la ovvia via diabbandonare le file del partito. Nemmeno dopo avve-

coloborghese è l'applauso servile alla potenza delcondottiero vittoriso, alla grandezza dei testi d'illustriautori, alla eloquenza dell'oratore facondo, dopo di chenell'applicazione si scende alle più spregevoli e alle piùcontraddittorie degenerazioni. Perciò a nulla vale un corpodi tesi se quelli che lo accolgono con entusiasmo di tipoletterario non riescono poi nella pratica azione ad affer-rarne lo spirito e a rispettarlo, e vogliono mascherare latrasgressione con una pù accentuata ma platonica ade-sione al testo teorico.

7. Altra lezione che sorge da episodi della vita della IIIInternazionale(nella nostradocumentazione ripetutamentericordati attraversole coevedenunzie della Sinsitra) è quel-la della vanità del «terrore ideologico», metodo disgrazia-to col quale si volle sostituire il naturale processo delladiffusione della nostra dottrina attraverso l'incontro conle realtà bollenti nell'ambiente sociale, con unacatechizzazione forzata di elementi recalcitranti e smarriti,per ragioni o più forti degli uomini e del partito o inerentiad una imperfetta evoluzione del partito stesso, umilian-doli e mortificandoli in congressi pubblici anche al nemi-co, se pure fossero stati esponenti e dirigenti della nostraazione in episodi di portata politica e storica. Si costumòdi costringere tali elementi (per lo più ponendo a loro scel-ta il riavere o meno posizioni importanti nell'ingranaggiodella organizzazione) ad una pubblica confessione deipriopri errori, imitandocosì il metodofideisticoe pietisticodella penitenza e del mea culpa. Per tale via veramentefilistea e degna della morale borghese, mai nessun mem-bro del partito diventò migliore né il partito pose rimedioalla minaccia della sua decadenza. Nel partito rivoluziona-rio, in pieno sviluppo verso la vittoria, le ubbidienze sonospontanee e totali ma non cieche e forzate, e la disciplinacentrale, comeillustrato nelle tesi e nella documentazioneche le appoggia, vale un'armonia perfetta delle funzioni edella azione della base e del centro, né può essere sostitu-

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nuta la conquista del potere possiamo concepire la iscri-zione forzata nelle nostre file; è perciò che restano fuo-ri dalla giusta accezione del centralismo organico lecompressioni terroristiche nel campo disciplinare, chenon possono non copiare il loro stesso vocabolario daabusate forme costituzionali borghesi, come la facoltàdel potere esecutivo di sciogliere e di ricomporre leformazioni elettive, - tutte forme che da molto tempo siconsiderano superate non diremo per lo stesso partitoproletario, ma perfino per lo Stato rivoluzionario e tem-poraneo del proletariato vittorioso. Il partito non ha dapresentare a chi vuole aderirvi piani costituzionali egiuridici della società futura, in quanto tali forme sonoproprie solo delle società di classe. Chi vedendo il par-tito proseguire per la sua chiara strada, che si è tentatodi riassumere in queste tesi da esporre alla riunionegenerale di Napoli, luglio 1965, non si sente ancora atale altezza storica, sa benissimo che può prendere qua-lunque altra direzione che dalla nostra diverga. Nonabbiamo da adottare nella materia nessun altro provve-dimento.

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Da «Circolare del Centro, n. 15 del 21/9/1972»Cari compagni

la riunione generale del 16-17 u.s. si è svolta e con-clusa nel segno della riaffermazione di quel nesso dia-lettico fra dottrina-fini-principi.programma-tattica-orga-nizzazione, intesi come anelli diversi ma inseparabili diuna sola catena, che costituisce la condizione stessa diesistenza del partito formale, piccolo o grande che sia;e del richiamo alla coscienza di tutti i militanti che questianelli stanno o cadono tutti insieme, nessuno potendomai sganciarsi dagli altri sotto pena di distruggere nonsoltanto se stesso ma l'intera catena.

Mentre è chiaro per tutti, ed è ribadito in tutti i nostritesti, che nella situazione eminentemente controrivolu-zionaria di oggi la difesa della teoria e del programmanella sua accezione storica rimane per noi il compitopreminente, è altrettanto esplicito in tutta la nostra tra-dizione che questa stessa difesa sarebbe vana (perchési ridurrebbe al compito di una cerchia non di militanti,ma di «pensatori» poggianti sulla propria testa e quindi,inevitabilmente, sulla propria pretesa alla «libertà dicritica»), ove non si traducesse in un'azione, per quantocircoscritta, ma sempre illuminata dai principi, e in orga-nizzazione corrispondente alle necessità inderogabili dellalotta rivoluzionaria e oggi della sua preparazione. Tatticae organizzazione sono dialetticamente gli ultimi anellidella grande catena ricordata più sopra, ma, come è veroche l'una e l'altra traggono la loro giustificazione dallastretta aderenza alla teoria, al programma e ai principi,

ita da esercitazioni burocratiche di un volontarismoantimarxista.

L'importanza di questo punto nella giusta compren-sione del centralismo organico si rileva dal tremendo ri-cordo delle confessioni cui furono ridotti grandi capi ri-voluzionari, poi uccisi nelle purghe di Stalin, e delle inutiliautocritiche cui furono piegati sotto il ricatto di essereespulsi dal partito ed infamati come venduti ai suoi nemi-ci; infamie ed assurdità mai sanate dal metodo non menobigotto e non menoborghese delle «riabilitazioni». L'abu-so progressivo di tali metodi non fa che segnare la scia-gurata strada del trionfo dell'ultima ondata dell'opportu-nismo.

8. Per la necessità della sua azione organica, e perriuscire ad avere una funzione collettiva che superi e di-mentichi ogni personalismo edogni individualismo, il par-tito deve distribuire i suoi membri fra le varie funzioni edattività che formano la sua vita. L'avvicendarsi dei com-pagni in tali mansioni è un fatto naturale che non puòessere guidato con regole analoghe a quelle delle carrieredelle burocrazie borghesi. Nel partito non vi sono concor-si nei quali si lotti per raggiungere posizioni più o menobrillanti o più in vista, ma si deve tendere a raggiungereorganicamente quelloche non è unoscimmiottamentodellaborghese divisione del lavoro, ma è un naturale adegua-mento del complesso ed articolato organo-partito alla suafunzione.

Ben sappiamo che la dialettica storica conduce ogniorganismo di lotta a perfezionare i suoi mezzi di offesaimpiegando le tecniche in possesso del nemico. Da que-

sto si deduce che nella fase del combattimento armato icomunisti avrannoun inquadramento militare con precisischemi di gerarchie a percorsi unitari che assicureranno ilmigliore successo dell'azione comune. Questa verità nondeve essere inutilmente scimmiottata in ogni attività an-che non combattente del partito. Le vie di trasmissionedelle operazioni devono essere univoche, ma questa le-zione della burocrazia borghese non ci deve far dimenti-care per quali vie si corrompe e degenera, anche quandoviene adottata nelle file di associazioni operaie. Laorganicità del partito non esige affatto che ogni compa-gno veda la personificazione della forza partito in un altrocompagno specificamente designato a trasmettere dispo-sizioni che vengono dall'alto. Questa trasmissione tra lemolecole checompongono l'organopartito ha sempre con-temporaneamente ladoppia direzione;e la dinamica di ogniunità si integra nella dinamica storica del tutto. Abusaredei formalismi di organizzazione senza una ragione vitaleè stato e sarà sempre un difetto ed un pericolo sospetto estupido.

9. (...)Lo sforzo attuale del nostro partito nel suo tanto diffi-

cile compitoè di liberarsi per sempre dalla spinta traditriceche sembrava emanare da uomini illustri, e dalla funzionespregevole di fabbricare, per raggiungere i suoi scopi e lesue vittorie, una stupida notorietà e pubblicità per altrinomi personali. Al partito non devono mancare in nessu-no dei suoi meandri la decisione ed il coraggiodi combat-tere per un simile risultato, vera anticipazione della storiae della società di domani.

altrettanto è vero che la ferma e rigorosa applicazionedella tattica ancorata ai principi e il rafforzamento diun'organizzazione non abbandonata al caso ma collega-ta in modo diretto agli obiettivi da raggiungere, rappre-sentano a loro volta la condizione indispensabile delpieno sviluppo delle attività che più che mai oggi assor-bono e devono assorbire il meglio delle nostre energie.

Allo stesso modo, non v'è parte ed elemento diquella struttura piramidale che è il Partito, che possaisolarsi dalle altre anziché convergere verso gli obiettiviprimari comuni all'insieme del Partito. La condizioneperché il nostro lavoro, di cui durante la riunione gene-rale si è fatto un bilancio consuntivo e preventivo, sisvolga nel modo più efficace ed organico, è che ogniabitudine individualistica, autonomistica, federalistica o,per dir tutto, soggettivistica, sia sradicata; e lo puòsoltanto attraverso un impegno politico collettivo di cuitutti i compagni (ed è il minimo che si possa chiedere adessi come militanti) devono avere chiara coscienza.

Il Centro dedicherà tutte le sue energie al compito direndere sempre più serrata, in un senso non formale masostanziale, l'organizzazione del partito nella esplicazionedel complesso delle sue attività, ma tutte le sezioni etutti i compagni devono aver presente che questo com-pito non può essere condotto a termine dal solo iorganocentrale, ma implica per il suo espletamento l'apportocostante di tutti sulla traccia di direttive universalmentevalide ed impegnative.

(...)

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Da «Circolare del Centro», del 7/4/1976Cari compagniLo svolgimento di una recente riunione regionale ha

fatto sorgere la necessità per il partito di ribadire alcunipunti in modo chiaroe coerente con tutta la sua tradizione,a prescindere dalla reale consistenza e pericolosità di certisbandamenti oggi.

Lo sforzo che il partito sta facendo da qualche annoper meglio definire il suo stadio attuale di sviluppo, fuoridalla retorica nella presentazione di se stesso come forzareale, da un lato, e dalla faciloneria nel giudizio sulle pro-spettive di ampliamento dal suo raggio di influenza sullaclasse, dall'altro, non autorizza nessuno a derivare dallaparticolare formulazione che si dà della nostra attuale con-sistenza - «il partito», «il nucleo», «l'embrione», o che al-tro -particolari orientamenti tattici, chediscendono invecedai principi nella loro applicazione alla situazione ge-nerale. Quello sforzo è consistito e consiste nel propor-zionare le nostre pretese, oltre che ai principi generali etattici, alla realtà dei rapporti di forza: esso ha senso soloa patto di non scambiarlo con la scoperta, veramente nuo-va, che l'esiguità delle nostre forze giustifichi o addiritturaimponga un atteggiamento più accomodante, dal puntodivista tattico e dei compiti esclusivi che i nostri principi cidettano, di fronte a qualsivoglia altro organismo politico -e perfino sindacale.

E' vero che nessuno ha proposto particolari accordicon chicchessia, ma, quando si dice che il partito è unpunto di arrivo dimenticando che è anche un ben precisopunto di partenza (che, anzi, non potrebbe essere quellosenza essere questo), si finisce direttamente o indiretta-mente per «concluderne» che a tale puntodi arrivosi giun-gerà grazieall'apporto teorico, programmatico, tattico, quin-di ancheorganizzativo, dialtri movimenti in un futuro«cro-giuolo di formazione del partito rivoluzionario». Questatesi aberrante riduce il partito (o nucleo di partito) di oggial «bilancio di Amadeo Bordiga» da confrontarsi con altribilanci veri o possibili, e così svaluta e deforma quellostesso che si continua a nominare facendogli tanto di cap-pello: il bilanciodel lavorocompiutonon daAmadeo comesingolo, ma da Amadeo con, per e dentro il partito, indi-pendentemente dalla forza, grandezza, consistenza mate-riale e capacità operativa contingenti di esso. Si dimenticache:

«La teoria marxista in tutto il suo completo insieme,come economia scientifica, come interpretazione delcosrso storico umano, come programma di azione rivolu-zionaria e definizione della rivendicazione della societàcomunista, non può pescarsi come dato di una collettivaconsapevolezza di gruppi di uomini, e nemmenodi proleta-ri. Essa ha per portatore una collettività ben limitata, anchequando i precisi confini ne divengono non facilmenteidentificabili, ossia il partito, nel quale al di sopra di spa-zio e tempo, frontiere e generazioni, si raccolgono e si col-legano i militanti rivoluzionari» (Vulcano della produzio-ne o palude del mercato?).

Si dimentica, osi trascura, il fattoche, se il ristabilimen-tosullesue fondamentadel marxismonell'unità inscindibiledei quattro aspetti qui indicati, dopo il diluvio universaledellostalinismoaggiuntoa quellodella socialdemocrazia eallo sviluppo del capitalismo imperialistico, è stato possi-bile soltanto sulla linea storica da cui siamocontraddistinti,è tanto vero che ciò non risolve ancora i difficili problemiulteriori della nostra crescita come forza reale, quanto (e

più) che ne è il presupposto necessario e, allo stato deifatti, il solo vero.

Può essere giusto combattere la pretesa«soggettivistica» che il nostro partito o nucleo di partitosia «predestinato» ad essere sempre e in ogni circostanza«l'unico» a rappresentare l'unica (questa sì) linea marxistarivoluzionaria; ma solo a condizione: 1) che non si sminu-isca il compitodi potenziamentodella nostra organizzazio-ne come l'unica, nella fase attuale, che possa orientare cor-rettamente nel suo svolgimento generale la prospettivarivoluzionaria; 2) che non ci si aspetti dagli attuali movi-menti politici, nessuno escluso, quello che per costituzio-ne non possono dare, facendosi delle illusioni sulla forma-zione nel loro seno di «correnti di sinistra» in grado nonsolo di ottenere la prevalenza sull'insieme dell'organizza-zione ma di trascinarla sul veroterrenomarxista senza rom-pere con la matrice dalla quale derivano, e quindi senzacessare d'essere se stesse. Il problema è, se mai, di studia-re attentamente le vicende e le contraddizioni interne dicerti gruppi ai fini di una critica più tagliente - la solafeconda - delle loroposizioni equindi anche della possibi-le acquisizionedi unostrato anche piccolo di loromilitantiai principidel marxismorivoluzionario. Ma è unaltroe bendiverso problema.

Non si può non rilevare chel'ultima crisi avvenuta nel-le sezioni (...) ha trattoorigine propriodalla trasposizionedella giusta (e ancora attuale) esigenza di «ridimensiona-re» le proporzioni storiche del movimento rispettoa perio-di e «modelli» gloriosi - esigenza d'altronde ribadita anchenei nostri testi, o non avrebbe senso il bilancio dellacontrorivoluzione staliniana - nella conclusione del tuttoerrata e suicida di svalutare completamente sia la nostraspecifica tradizione, sia la nostra pur microscopica esi-stenza; cioè i due fattori che salvaguardano nel presente,in modo fin che si vuole imperfetto ma non per questomeno reale, il futurodel movimento.

In questa visione distorta, la validità del nostro lavorodi ieri e di oggi si riduceva, come era logico che si riduces-se, allo «studio» della società contemporanea, della terzaondata opportunistica, della controrivoluzione ecc., damettere a confronto con analoghe «esperienze» altrui perintegrarle a vicenda o«scegliere» tra esse, salvopoi, avendorotto col partito, stabilire che neppure i risultati di questo«studio» sono in minima parte recuperabili ai fini della fu-tura costruzione del partito, opera alla quale si dovrebbe-rochiamarea contribuirealtri indirizzi, inparticolare trotski-sti. Così, la necessità di usciredall'idiozia di ritenere «mer-da» tutto ciò che non porta la nostra etichetta (idiozia cheignora totalmente il rapporto dialettico fra il movimentooggettivo e la sua rappresentazione ideologica, politicaecc. e che ha trovato per qualche tempo fin troppa ospita-lità nelle nostre file), si converte nell'idiozia opposta dianticipare un'evoluzione favorevole di gruppi che merdanon saranno, ma che affondano radici ben individuabilinel passato del movimento operaio e non possono nonprolungarle nel presente, più spesso che no esasperan-dole.

Va detto qui esplicitamente che - ipotesi soggettivema del tutto astratte o gratuite a parte - mettersi oggi sulterreno della preparazione del partitoall'eventualità di unafutura, anche se imprecisata, immersione in un presunto«crogiuolo», significa porre il partito sulla strada che i re-centi transfughi volevano già allora percorrere. Nè vale a

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giustificare un simile corsol'esigenza -da tutti noi condivi-sa - di seguire con vigile attenzione ogni fenomenodi crisio anche solo di travaglio interno della società borghesecol quale, lo vogliamo o no, dobbiamo fare i conti ognigiorno, e nel cui agitarsi convulso potremo aiutare la clas-se adorientarsi solo trattandoli non con diplomazia né conarroganza, ma con la massima chiarezza.

D'altronde, sullo stesso terreno sindacale il nostro do-vere di cercare ciò che può unire nella lotta gli operai diqualunque affiliazione politica non può non accompagnar-si, oggi, alla coscienza - e alla denunzia - di ciò che cisepara dalle organizzazioni anche a noi più vicine cui essiappartengono (come quelli della cosiddetta «areainternazionalista»), e la cui linea costituisce un ostacolotutt'altro chesecondario alla riappropriazione da parte deiproletari dei mezzi e dei metodi della lotta di classe.

La prospettiva del partito è ben altra da quella più omeno chiaramente prospettata da alcuni compagni e danoi qui categoricamente respinta: essa non esclude che vipossano essere o che vi saranno altri gruppi, oltre al no-stro, che in date fasi critiche si porranno l'obiettivo ditrarre seriamente le lezioni che noi abbiamo già tratto, néche ciò possa avvenire anche in paesi in cui «non siamonessuno» e quindi non possiamo fungere in nessun mododa puntodi riferimento (benché sia assai difficile ipotizza-re un simile e davvero provvidenziale incontro in assenzadi una tradizione coerentementemarxista, o là dove il filodiuna tradizione esistente si è da temnpo rotto; quindi senzauna «importazione» dall'esterno). Se così avverrà, il pro-blema dell'«adesione individuale» anziché «per gruppi»potrà apparire una misura pleonastica, trattandosi in real-tà di gruppi omogenei convergenti in pieno con le nostretesi (1). Se d'altra parte la storia ci volesse riservare «lo

scherzo maligno-benigno» di far nascere altre formazioniche meglio di noi rappresentinogli interessi generali dellaclassse per aver tratto meglio di noi le lezioni del passato,ebbene, si facciano avanti e si misurino con noi.

Resta per il nostro partito il compito permanente, di làdei salti nel regno della speculazione metastorica, di com-battere la sua battaglia fino in fondo, che è il solo modo direcare un serio contributo, qualunque «miracolo» abbia ingrembo l'avvenire, all'emancipazione della classe operaia.Come scriveva Lenin negli anni di dura ma vitale formazio-ne del partito, come forza obiettivamente operante sullesue basi di partenza:

«Nessun partito politico può, senza caderenell'avventurismo, impostare la sua attività facendo asse-gnamento su esplosioni. Noi dobbiamo seguire la nostrastrada, svolgere instancabilmente il nostro lavoro siste-matico, e quanto meno faremo affidamento sugli imprevi-sti, tanto maggiori saranno le probabilità di non lasciarsiprendere alla sprovvista da nessuna svolta storica»(Lenin,Da che cosacominciare?,1901, Opere,Editori Riu-niti, volumeV, p. 16).

(1) Val la pena di ricordare che il nostro Appello per lariorganizzazione internazionale del movimento rivolu-zionario marxista (1950) partiva bensì da un'attenta con-siderazione dei «primi sintoni di reazione controlo stalini-smo», ma, consapevole dell'enorme confusione in cui essasi verificava, si proponeva (come si legge nella Sinopsipubblicata nel n. 19 del 1957 di «programma comunista»)la «riorganizzazioneinternazionale di genuine, autonomeomogenee forze [il termine è alternativamente «forze» e«gruppi»] rivoluzionarie».

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Da «Il problema organizzativoal III° Congresso dell’Internazionale Comunista» (1981)(...)

Il dovere di lavoro dei comunistiL’Internazionale Comunista doveva combattere un at-

teggiamento, ancora assai diffuso nei partiti d’Occidentee mutuato dalla II° Internazionale, per cui si riteneva cheper aderire al partito bastasse un certo convincimentopolitico, senza che fosse necessario impegnarsi quotidia-namente al servizio del partito. Non era dunque sufficien-te chiedere ad ogni partito di gettare alle ortiche il vecchioprogramma socialdemocratico e sostituirlo con quello co-munista; occorreva far sì che ogni militante dedicasse alpartito le forze migliori, occorreva giungere ad una razio-nale divisione del lavoro. Il termine può ingenerare dubbiin chi ha ben presente che il comunismo mira fra l’altro alsuperamento della divisione capitalistica del lavoro. Manon vi è subordinazione meccanica dei mezzi ai fini; ilrapporto è dialettico, mediato; come il marxismo usa loStato proletario al fine di superare, col suo dissolvimento,ogni forma di Stato, così il partito comunista non può farea meno di un grado più o meno elevato di specializzazio-ne, cui dovrà fungere da correttivo la partecipazione -obbligatoria per ogni iscritto ad una sezione, anche se ingrado diverso a seconda delle capacità e disponibilità diciascuno - a tutte le attività proprie del partito in ognisituazione. A questo modo si potranno anche utilizzareindividui per altri versi incapaci di essere o divenire «ri-

voluzionari professionali»: si pensi al «Che fare?», dovesi parla dei cosiddetti «ausiliari». E’ un errore, diceLenin,trascinare nelle organizzazioni illegali più gente pos-sibile; «molti studenti potrebbero essere ben più utili alpartito come funzionari ‘ausiliari’ che come rivoluzionari‘di breve durata’». C’è chi è istintivamente vicino al parti-to, ma non si sente di assumersi un impegno totale; nonconfrondiamolo col candidato, cioè con chi intende en-trare nel partito a tutti gli effetti, ma ha bisogno di unperiodo di preparazione. Questo ausiliario può darci unnotevole aiuto svolgendo attività di tipo sindacale, rac-cogliendo dati, preparando traduzioni ecc. Le sue capaci-tà possono essere utilizzate senza che gli si porga la falsaalternativa: o rivoluzionario di professione, o nulla.

(...)

Propaganda e agitazioneIl compito più importante, prima del periodo della sol-

levazione rivoluzionaria, è lo sviluppo della propaganda edell’agitazione.

Per chiarire la differenza tra questi due aspetti riapria-mo il «Che fare?». Lenin cita la definizione di Plechanov:«Il propagandista inculca molte idee ad una sola perso-na o a un piccolissimo numero di persone; l’agitatoreinculca una sola idea o un piccolo numero di idee a unamassa di persone», e spiega: «se il propagandista tratta,per esempio, della disoccupazione, deve spiegare la na-

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tura capitalistica delle crisi, dimostrare perchè esse sonoinevitabili nella società moderna, provare la necessitàdella trasformazione di questa società nella società so-cialista». «L’agitatore all’opposto, trattando la stessaquestione, prende l’esempio più noto (...), per es. unafamiglia di disoccupati morti di fame (...) e si sforza didare alle ‘masse’ una sola idea: quella dell’assurdo con-trasto tra l’aumento della ricchezza e l’aumento dellamiseria, si sforza di suscitare il malcontento, l’indigna-zione delle masse contro questa stridente ingiustizia elascia al propagandista il compito di dare una completaspiegazione di questo contrasto. Ecco perché il propa-gandista agisce soprattutto con gli scritti e l’agitatorecoi discorsi».

Le Tesi si scagliano contro la prassi consistente nellosvolgere queste attività in modo formalistico: la propa-ganda e l’agitazione devono prendere spunto dagli inte-ressi degli operai. Si badi: non si tratta di adeguarsi a ciòche gli operai pensano (sarebbe codismo), ma di cono-scere esattamente quali ne sono i problemi per poterli col-legare a quelli generali della classe. Non si tratta dipsicologismo o di qualcosa di analogo a una... inchiestasulle opinioni. Ma, se si vule trasmettere una forma siapure tenue di coscienza di classe, occorre trovare un pun-to di inserzione, altrimenti la cinghia non trasmette nulla.Il pericolo non è tanto quello del distacco aristocratico dichi parla senza curarsi di essere compreso se non da po-chi eletti (atteggiamento non comunista) quanto quello dinon rendersi conto che certi concetti e certe terminologie,per noi pane quotidiano, o non sono capiti, o sono intesiin accezioni diverse da quelle in uso fra i comunisti. Persuperare questi limiti e sviluppare tutte le capacità neces-sarie, le Tesi propugnano «un corso, lungo e completo,non soltanto ai propagandisti e agitatori di professio-ne, ma anche a tutti gli altri membri». Nessuno, speria-mo, interpreterà questa indicazione nel senso dellascuoletta che copia gli istituti borghesi.

Le forme principali di propaganda e agitazione sonogli incontri personali di discussione, la partecipazione allelotte operaie, l’azione attraverso la stampa e le pubblica-zioni di partito. Le Tesi danno istruzioni anche minute sulmodo di condurre l’agitazione. In questa sede non è pos-sibile vedere tutto ciò punto per punto; è sempre utile perun comunista, studiare le tesi anche in quanto miniera diindicazioni pratiche, purché, è ovvio, si tenga presenteche sono state scritte in un periodo in cui fervevano gran-di lotte ed era in piedi l’Internazionale; in cui quindi lepossibilità d’azione erano ben più vaste delle attuali.

Non si può conseguire un’influenza reale sul proleta-riato senza partecipare alle sue lotte: «I comunisti devonooccuparsi energicamente delle questioni concrete dellavita degli operai, aiutarli ad affrontare tutti i problemiche hanno, attirare la loro attenzione sui più clamorosiabusi, aiutarli a formulare esattamente, in forma prati-ca, le loro rivendicazioni ai capitalisti».

Questo è il solo tipo di lotta che, agli occhi degli ope-rai, distingua i partiti comunisti dai partiti socialisti «pu-ramente propagandisti e reclutatori», che esaurisconola loro attività in discussioni sulle riforme e le lotte parla-mentari. Se si vuole dirigere il proletariato nelle lotte poli-tiche, bisogna cominciare a dirigerlo nelle lotte economi-che, per modeste che siano le rivendicazioni.

Perciò è sbagliato limitarsi a predicare i principi o tra-sformare ogni movimento in un pretesto di propagandapuramente generale o accontentarsi di un sindacalismoda quattro soldi. Se i contratti di lavoro mirano a legare lemani agli operai per un lungo periodo, la soluzione non

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consisterà nella pura opposizione generale e «per princi-pio» ad essi ma nel proporre accordi che non vincolino ilavoratori. Non basta rinfacciare ai dirigenti sindacali diessere «gialli» o traditori, ma si deve fornire ai proletari lachiara dimostrazione delle loro malefatte accanto all’indi-cazione di iniziative concrete per contrastarle o addirittu-ra vanificarle.

E’ compito dei comunisti cercare di estendere l’influenzadel partito anche tra gli operai non coscienti e non orga-nizzati. Lo strumento principale qui resta il giornale delpartito (...). La controrivoluzione ha distrutto anchel’associazionismo operaio, autonomo rispetto allo Stato eall’opportunismo, ma deve rimanere aspirazione e compi-to dei comunisti il suscitare negli operai l’interesse per lavita organizzata, per la costituzione di un ambiente in cuici si abitui a sottrarsi alle abitudini piccoloborghesi. (...)

Strettamente legata alla propaganda e all’agitazione èla questione del giornale: esso non deve divenire unaimpresa di tipo capitalistico, deve evitare di farsi finanzia-re da istituzioni creditizie capitalistiche, e non deve cade-re sotto l’influenza delle imprese pubblicitarie, anche sepuò accettare della pubblicità. Non è ammissibile alcunaconcessione al gusto della sensazione o al virtuosismogiornalistico. Il giornale è il nostro migliore propagandi-sta e agitatore, il propagandista che dirige la rivoluzioneproletaria (anche ai giorni nostri, l’uso eventuale di radioo televisione potrebbe affiancare, però non sostituire, ilgiornale). Il giornale collega le esperienze acquisite da tuttii militanti; non si può, senza un coordinamento dell’attivi-tà di stampa, mettere in pratica il centralismo.

I comunisti devono considerare il giornale come un’ar-ma quotidiana, affrontare sacrifici per finanziarlo, conside-rarsene i collaboratori, rifornirlo di notizie in tutti i campi, apartire da quelli della vita immediata, incidenti di lavoro,decisioni e comportamenti sindacali ecc. Queste informa-zioni saranno utilizzate dalla redazione per rendere piùcomprensibili agli operai gli insegnamenti del comunismo.(...)

Struttura del partitoLe divisioni territoriali del partito non devono obbedi-

re a criteri puramente geografici, ma tener conto delle strut-ture economiche e politiche. Vano è, con poche forze, cer-car di sviluppare dovunque il partito; occorre invece darela precedenza alle capitali e ai grandi centri industriali;solo quando il partito sarà forte, ci si potrà occupare dellecittà minori e delle campagne. Anche da questo punto divista il criterio resta centralista, perché il partito si costru-isce dall’alto al basso. Le sue strutture territoriali non pos-sono essere determinate dall’estensione geografica dellaregione: se non vi è la possibilità effettiva di «dirigereconcentricamente tutte le organizzazioni locali della re-gione», è meglio dividerle. Nessuno può riposare sugliallori: «Un’organizzazione locale del partito che, in con-dizioni legali, non sia più capace di tenere riunioni ge-nerali dei suoi membri, deve essere dissolta o smembra-ta».

Si ribadisce poi che il partito è sotto la direzione dell’In-ternazionale, le cui direttive sono anche valide per ognisingolo militante. Nel caso di divergenze, si raccomanda dichiarirle prima che si concretino nei fatti; ma anche chiritiene che la decisione è sbagliata non deve mai dimenti-care che «la peggiore infrazione disciplinare e l’errorepiù grave che si possa commettere durante la lotta è lospezzare l’unità del fronte comune, o anche solo indebo-lirla». E chi attacca pubblicamente il partito o l’Internazio-nale, deve essere trattato da «avversario del partito».

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Da «Necessità del partito centralizzatodella rivoluzione comunista» (1982)

Basi materiali e organizzativedel centralismo comunista(...)

La centralizzazione presuppone la massima informazio-ne concentrata nelle mani della direzione: non si puòorien-tare e dirigere effettivamente l’attività dell’insieme del par-tito senza conoscere le situazioni in cui esso agisce, leforze in gioco e i mezzi a sua disposizione, senza conosce-re nei particolari la sua attività locale, settoriale, regionale,nazionale e, infine, internazionale. E Lenin continua (nelfamoso articolo Lettera a un compagno sui nostri compitiorganizzativi, Opere complete, VI, pp. 228-229):

«Ora che ci dedichiamo interamente (...) alla creazionedi un vero centro dirigente, dobbiamo non dimenticare chequesto centro sarà impotente se nello stesso tempo nonprocederemo alla massima decentralizzazione sia dellaresponsabilità dinanzi ad esso, sia del lavoro di informa-zione che gli deve far conoscere tutti gli ingranaggi, grandie piccoli, della macchina del partito. Questadecentralizzazione non è che l’altra facca di quella divisio-ne del lavoro che, per riconoscimento generale, costitui-sce una delle esigenze pratiche più importanti del nostromovimento».

Più ancora: «Nessun riconoscimento ufficiale di unadeterminata organizzazione come organo dirigente, nessu-na costituzione di un CC formale potrà rendere il nostromovimento effettivamente unito, né creerà un saldo parti-to combattivo, se il centro sarà, come prima, separato dauna barriera dal lavoro pratico immediato dei comitati lo-cali e se questi conserveranno il loro vecchio tipo (cioè serimarranno dei ‘circoli’)... Perché il centro possa non soloconsigliare, convincere, discutere (come si è fatto finora,ma per dirigere effettivamente l’orchestra, è necessario sisappia con esattezza chi suona il violino, dove lo suona equale violino suona, dove e come e quando ciascuno haimparato o impara a suonare il suo strumento, chi stona edove e perché stona (quando la musica comincia a strazia-re l’orecchio) e come, dove e chi si deve spostare per cor-reggere le dissonanze».

La trasmissione dell’informazione presuppone i rap-porti regolari di cui Lenin parla nel paragrafo precedente,così come la creazione di una «rete di fiduciari esecutivi»che colleghi il centro a tutte le ramificazioni dell’organo-partito per «fornire al centro un quadro preciso dell’interomeccanismo del lavoro».

La centralizzazione presuppone a sua volta non solouna informazione ed una responsabilità puntuali quantopiù possibile decentralizzate rispetto al centro, ma ancheun’effettiva divisione del lavoro e gli strumenti tecnici edumani in grado di concretare le suddette funzioni, renden-do possibile al centro di dir igere effettivamentel’«orchestra» invece di limitarsi a «consigliare, convinceree discutere».

Quanto all’organicità di questa centralizzazione, essanon è il prodotto di una formula organizzativa, ma dellarispondenza delle direttive centrali alle esigenze della lottarivoluzionaria e del fatto che tali appaiano alla base delpartito.

L’arte della direzione consiste appunto nell’emanareordini e direttive che - nel quadro generale dei principi -

rispondano a tali esigenze, e nel preparare il partito nel suoinsieme, in base agli insegnamenti pratici della lotta diclasse, a riceverli. E ciò implica una serie di bilanci gene-rali e particolari dell’azione del partito e della lotta fra leclassi che giustifichino agli occhi di tutto il partito le deci-sioni degli organi dirigenti.

In questo senso si può dire che, dalla nostra costitu-zione in partito nel 1952, il problema ha assunto forme sem-pre più complesse. Il periodo che possiamo, grosso modo,delimitare come quello che dal 1952 va fino al 1966, fu ca-ratterizzato in modo predominante dalla ricostruzione teo-rica (non per nostra «espressa volontà», ma per la situa-zione generale delle lotte di classe, che non offriva se nonpossibilità minime ad un ampio e differenziato lavoro dipropaganda, di partecipazione alle lotte operaie e, infine,di organizzazione); si trattava di trasmettere alle nuovegenerazioni di militanti, insieme alla restaurazione delle basiprogrammatiche e dottrinali del movimento, le «lezioni del-le controrivoluzioni», cioè un bilancio esauriente dellegrandi lotte del proletariato nel primodopoguerra, che con-fermasse gli orientamenti tattici difesi dalla Sinistra comu-nista in Italia in tutto il periodo 1920-1926 e consideraticome le pietre angolari del partito nel suo insieme.

A partire dagli anni 1964-68, cominciòad offrirsi la pos-sibilità di allargare il raggio della propaganda e di un siapur limitato intervento nelle lotte operaie come conseguen-za diretta dell’evolversi della situazione sociale, mentrel’estensione internazionale del partito e la ramificazionedelle sue attività di proselitismo e di intervento praticoponevano sempre più imperiosamente, oltre ai problemidel lavoro teorico e politico in relazione a nuove aree geo-storiche, con particolare riguardo alle aree ex coloniali osemicoloniali in pieno sviluppo borghese, la questioneorganizzativa.

Ora, in tutti questi campi non si trattava soltanto diestrarre dei bilanci storici dal passato (compito che, tutta-via, non abbandonammo, facendone anzi il tema centraledelle nostre riunioni generali, in particolare con lo studioapprofondito del II e III congresso dell’Internazionale Co-munista, che pongono fondamentali questioni di tatticarivoluzionaria), ma anche di adeguare l’azione - e per con-seguenza le decisioni centrali - del partito alle necessitàattuali della lotta di classe. Si trattava e si tratta di compierei primi passi in quanto organo non solo di propaganda deiprincipi programmatici e di conferma della teoria marxista,ma di intervento pratico nelle lotte politiche immediate.

Ora, se gli orientamenti tattici generali comuni all’insie-me del partito costituiscono il quadro di riferimento ditutta la sua azione, essi non dettano meccanicamente agliorgani centrali le decisioni opportune. Su questo terreno,per rispondere alle esigenze dell’azione rivoluzionaria edapparire come tali alla base, le indicazioni centrali devonobasarsi sugli insegnamenti pratici, sul riconoscimento deisuccessi conseguiti, sulla individuazione e la rettifica de-gli errori compiuti, sulle valutazioni e le analisi della situa-zione fatte dal partito e dai suoi organi locali e centrali.

In altre parole, ci si trova qui nella situazione di unoStato Maggiore al quale, per stabilire l’azione praticxa dacondurre a termine, non basta un manuale per quantoesau-riente di regole tattiche.

Gli organi centrali non offrono a priori nessuna garan-

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zia di risolvere adeguatamente i problemi dell’azione (sia incampo politico, di propaganda, di intervento nelle lotte,sia in campo organizzativo). Ma il partito può e deve inte-grare l’insieme delle sue esperienze e permettere di tradur-le in adeguate decisioni di lavoro e di azione. In ciò, laselezione degli organi centrali e i bilanci dell’azione delpartito hanno un ruolo essenziale.

La composizione degli organi dirigenti è il frutto di unprocesso complesso e dialettico, di una selezione di mili-tanti che danno prova in date circostanze della capacità dicentralizzare, orientare e dirigere sotto la loro responsabi-lità l’attività del partito. Ma neppure questo è dato «unavolta per tutte», fra le altre cose perchè il partito deve agirein fasi storiche successive e diverse, deve affrontare com-piti che variano quantitativamente e, soprattutto,qualitativamente.

Nel processo di adeguamento dell’azione del partitoalle necessità della lotta rivoluzionaria, i bilanci di attivitàassumono un’importanza capitale. Questi bilanci non pos-sono nascere che dall’informazione - fornita da tutta larete organizzativa ed «elaborata» centralmente - sullaanalisi delle situazioni, sulla valutazione delle forze politi-che e sociali (incluso lo stesso partito) e, quindi, sullepossibilità di influenzare dati settori della classe operaia,sui rapporti di forza in seno alla classe e fra le classi, sullaricettività di questo o quel settore operaio a determinateparole d’ordine di agitazione e di mobilitazione, sui risul-tati pratici del modo di agire del partito, sul confronto tragli obiettivi che ci si è posti e i risultati che si sono ottenu-ti, ecc.

Sono questi bilanci regolari e collettivi che devonopermettere all’insieme dell’organizzazione di capitalizzaree potenziare gli indirizzi efficaci e positivi, correggendo orettificando nello stesso tempo le analisi e le decisioniinefficaci, insufficienti o decisamente erronee. La comuni-cazione sistematica di tali bilanci all’insieme del partito neconsente l’omogeneizzazione interna e la predisposizione

a ricevere dal centro gli ordini e le indicazioni in cui siesprime l’esperienza collettiva dell’organizzazione.

Ma tutto ciò presuppone l’esecuzione disciplinata del-le decisioni centrali (che devono sempre restare entro ilimiti comuni e conosciuti dei principi programmatici e de-gli orientamenti tattici generali del partito); presupponecioè l’impossibilità di rifiutare di eseguirli in base a giudizipersonali dei militanti o delle organizzazioni periferiche, ilche non solo renderebbe impossibile l’azione unitaria del-l’organizzazione, ma impedirebbe anche di trarne dei bi-lanci collettivi e quindi di omogeneizzare il partito.

Il fatto che i militanti e le organizzazioni perifericheeseguano rigorosamente le indicazioni centrali è appuntociò che permette di redigere un bilancio esatto, positivo onegativo, delle istruzioni, delle analisi e degli orientamen-ti emananti dal centro. Se ogni militante, sezione o gruppoapplicasse o non applicasse a piacer suo le decisioni cen-trali, ogni bilancio delle stesse disposizioni contestate riu-scirebbe impossibile e renderebbe a sua volta impossibilel’omogeneizzazione interna dell’organizzazione. Se è veroche il centro non è garantito a priori contro gli errori, èaltrettanto vero che una garanzia relativa contro la perma-nenza e la ripetizione di decisioni e orientamenti erroneiesiste, e risiede nella loro applicazione disciplinata e nellavalutazione collettiva dei loro risultati.

Solo così si può forgiare un’esperienza collettiva, uncorpo comune di esperienze che costituiscano un baga-glio su cui poggiare la continuità e l’unità organica del-l’azione del partito; insomma quella centralizzazione chenon è un formalismo burocratico, ma un’esigenza dell’azio-ne rivoluzionaria e la sintesi dialettica dell’attività colletti-va dell’organo-partito. Solo così il centro può recepire glistimoli della periferia, potenziare l’esperienza del passato,precisare i suoi orientamenti e le sue istruzioni, rettificarei passi falsi e trasmettere a tutti i membri e le strutture delpartito gli impulsi e le indicazioni corrispondenti alle ne-cessità della lotta comunista.

Da «Che cosa significa fare il bilancio delle crisi di partito?»(1986)

(...)Prevedere le crisi interne e prepararsi ad esse

Una lunga battaglia politica interna fra tendenze con-trastanti segna la vita del partito fino alla crisi generale del1982. Se il partito in questo periodo ha conosciuto moltecrisi interne c’è un preciso perché: è la sua dinamica disviluppo legata ad un periodo storico che tende a cambia-re di segno - da profondamente controrivoluzionario adiniziale risalita della curva sociale - ma che non ha ancorasviluppato gli elementi favorevoli alla ripresa classista nonepisodica.

E’ un partito che non intende aspettare il fulgido do-mani rivoluzionario cullandosi sulla restaurazione teoricae sul bilancio della controrivoluzione staliniana di cui èsempre andato giustamente orgoglioso, ma che nelcontempo deve lottare contro una tendenza interna chesostiene questa attesa e che resiste sull’onda di un’iner-zia derivata dal lungo periodo di isolamento.

E’ un partito che non intende demandare ad un ipoteti-co proletariato puro e neutro, di per sé impermeabile al-l’opportunismo, la sorte della ripresa rivoluzionaria di clas-

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se, ma che contemporaneamente deve lottare contro posi-zioni che sostengono la necessità di rivolgersi solo a«quel» proletariato; è un partito che non intende metterein disparte i suoi principi e il suo programma per mimetiz-zarsi nella realtà contingente allo scopo di ottenere unqualche successo immediato, ma che nello stesso tempodeve lottare contro una tendenza che aspira a radicarsinella classe attraverso espedienti tattici e organizzativi.

E’ un partito che non intende rompere con la continui-tà programmatica e organizzativa ma che nello stesso tem-po deve lottare contro una tendenza che aspira al raffor-zamento organizzativo e al suo allargamento attraverso lacombinazione di forze e di programmi diversi e contra-stanti.

E’ un partito che cerca di integrare le proprie forze nonsoltanto sul livello della preparazione teorica e program-matica ma anche attraverso la sua attività concreta e lasua azione, ma che deve nel contempo lottare contro po-sizioni che spingono il partito sul pianodell’immediatismoe del velleitarismo.

E’ un partito che cerca di sviluppare la sua attività pra-tica e la sua iniziativa politica non soltanto sul piano della

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propaganda comunista ma anche su quello dell’agitazionee dell’organizzazione proletaria, nonostante la sua micro-scopica compagine organizzata e i debolissimi legami colproletariato.

Come ci si è avvicinati alla crisi capitalistica del 1975 esi è entrati in quello che i più illusi credevano fosse effetti-vamente «il decennio della pedata», nell’organizzazione dipartito si è prodotto un fermento di attività pratica maivisto prima; con una sequenza a raffica continua, il partitoè stato investito da una quantità di problemi pratici e dauna cospicua quantità di problemi politici immediati tali damettere a dura prova la preparazione complessiva del par-tito e le sue modeste forze.

Il partito non poteva, d’altronde, non porsi i compitiche si stava ponendo, anche se i compiti nel lungo periododi incubazione della lotta classista e rivoluzionaria sononecessariamente di più difficile attuazione dato che la lorocompleta attuazione non dipende dalla sola volontà edazione del partito, né dalla sola coscienza della loro neces-sità, ma anche dal livello di tensione sociale, di riconquistadelle armi classiste di lotta da parte del proletariato e neisuoi strati d’avanguardia in forma non episodica, e diriorganizzazione indipendente quindi del proletariato sulterreno della lotta immediata.

I compiti prevedevano il piano della propaganda co-munista e quellodell’elaborazione politica, il piano dell’as-similazione teorica e quello dell’attività sul terreno imme-diato, il piano della lotta contro l’opportunismo e tutte lesue varianti e quello della riorganizzazione classista delproletariato, il piano dell’autodifesa proletaria e quello del-la solidarietà internazionalista, il piano del rafforzamentoorganizzativo interno e della propria omogeneità politica epratica. In sintesi, i compiti che riguardano non solo losviluppo del partito rivoluzionario ma anche lo sviluppodella lotta di classe.

Il partito poteva non porseli, data la situazione ogget-tiva ancora sfavorevole e le modestissime forze su cui po-teva contare, o porsene soltanto alcuni - quelli ad esempiorelativi alla sua formazione teorica e al suo rafforzamentoorganizzativo, come sosteneva una certa tendenza, oppu-re quelli relativi soprattutto all’azione pratica fra le masse,dando per scontato il lavoro di formazione e di assimilazio-ne teorica, come sosteneva una tendenza contraria. Maqueste tendenze vennero combattute, anche se alla finecon una sconfitta.

La vera difficoltà stava nel porseli tutti insieme con-temporaneamente. Può d’altra parte un partito che si dicerivoluzionario sfuggire ai problemi e ai compiti che riguar-dano la lotta proletaria e la ripresa della lotta di classe?

No, non può sfuggire, anche se essi si presentano erisultano più grandi di lui.

Quei compiti derivavano dall’analisi del periodo stori-co e delle tendenze obiettive della società e delle sue clas-si, e derivavano dalla stessa attività che il partito svolge-va nel tentativo costante di prendere contatto stabile conla classe. Esso non poteva d’altra parte sfuggire alla pres-sione delle situazioni contingenti e specifiche in cui agi-va, e alla pressione in generale delle tendenze sociali epolitiche che si agitavano in una realtà sociale scossa sìda crisi economiche, ma non ancora matura alla ripresadella lotta di classe e nella quale il collaborazionismo e lesue molteplici varianti «di sinistra» tenevano - e in buonaparte tengono ancora - avvinta la stragrande maggioran-za del proletariato al carro della produttività, del buonandamento dell’economia aziendale e nazionale e della

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democrazia pacifista.Secondo il quadro tracciato non è ora difficile com-

prendere che il partitoera destinato, prima opoi, ad entrarein crisi di generale attivismo. Ora non è difficile.

Ma nel corso degli anni che precedono il 1982 il partitonel suo complesso era come cieco, non si accorgeva diquale esplosione stava maturando nel suo grembo.

L’elemento negativo più pesante rispetto alla crisi del1982 - e che ha contribuito in gran parte al suo carattereesplosivo - è stata senza dubbio la sua impreparazione.Ecco un’altra lezione delle controrivoluzioni.

Il partito, freneticamente attivo nel campo delle pubbli-cazioni, delle riunioni, degli interventi immediati e comun-que attento alle linee generali dello sviluppo della situazio-ne mondiale e delle condizioni del movimento proletario,si adagiava però su di «una prassi che si consolidava inforza della semplice riproduzione di se stessa», prassi chead un certo momento faceva da base alla propriateorizzazione favorita dall’assenza di una puntuale, conti-nua, scrupolosa, oggettiva analisi dell’attività di partito. E,nella misura in cui persisteva il localismo, ogni sezionenazionale se non addirittura ogni sezione territoriale,teorizzava la propria particolare prassi, la propria esperien-za locale, la propria attività. Da questo punto di vista sispiega anche la «centralizzazione fittizia» di cui il partitoha sofferto molto prima della crisi del 1982, e si può com-prendere come gli sforzi fatti per favorire un’organicaomogeneizzazione dell’organizzazione si trasformavanoobiettivamente, ad un certo punto, in basi d’appoggio perschieramenti più o meno temporanei di gruppi di compagnio sezioni intorno ad un particolare aspetto, piuttosto cheal suo contrario, dell’attività complessiva del partito.

Il democratismo cacciato dalla porta rientrava dalla fi-nestra.

E’ proprio l’impreparazione alla lotta contro l’attivismo,sul piano politico come su quello organizzativo, che hagettato, in fasi rapidamente successive, l’insieme del parti-to nel disorientamento e nella demoralizzazione.

Quando, con la riunione generale del luglio 1982 il par-tito fa finalmente un’analisi critica di se stesso e del suopercorso, è già troppo tardi.

E nemmeno questa riunione però riesce a focalizzarebene il pericolo in cui sta per cadere il partito. Sarebbefuorviante però addossare tutte le cause della crisi esplo-siva ad una piuttosto che ad un’altra tendenza sbagliata;nel casospecifico all’attivismo oal movimentismo. La cau-sa più profonda sta nel fatto che il partito non ha avuto laforza - nonostante esistessero gli elementi per un’analisicorretta del proprio sviluppo e della direzione in cui stavaandando - di prepararsi a fronteggiare la crisi interna ditipo attivistico che lo avrebbe scosso profondamente. E’una lezione da non dimenticare. Per questo è ancora piùimportante fare il bilancio politico delle crisi interne, poi-ché è certo basilare la preparazione rivoluzionaria dei mili-tanti organizzati nel partito rispetto all’attività che svolgo-no verso la classe; ma è altrettanto importante la prepara-zione dei militanti rispetto alle deformazioni e alledegenerazioni che si possono sviluppare nel partito stes-so. L’analisi corretta del proprio sviluppo e della direzionein cui va l’attività complessiva del partito deve diventareun compito permanente.

Negli anni Settanta la rete del partito si è estesa geo-graficamente, in Europa e fuori di essa. Aderivano al parti-to militanti politici provenineti da esperienze del tutto di-verse dalle generazioni precedenti. Queste ultime erano

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più legate alla lotta specificamente antistalinista, negli anniin cui denunciare la Russia come un paese capitalisticonegandole anche solo una briciola di socialismo era comevenir presi per pazzi, per gente strana e fuori della realtà,votata all’isolamento; negli anni in cui denunciare i partitistalinizzati come partiti traditori della rivoluzione e dellaclasse operaia voleva dire essere accusati di fare il giocodei fascisti, se non addirittura essere dei fascisti, e a qual-che nostro compagno è costata anche la vita non per manofascista ma per mano stalinista anche dopo la fine dellaguerra (come successe a Mario Acquaviva e Fausto Atti).

Erano generazioni più legate alla forzata emigrazionepolitica durante il ventennio fascista, e più legate alla duraopera di resistenza alla degenerazione stalinista e all’operasuccessiva di restaurazione dottrinaria e della formazionedel partito, unico allora a ricostituire le basi teoriche eprogrammatiche autenticamente marxiste.

I militanti più recenti invece provenivano da esperien-ze pratiche e politiche enormemente lontane dalle grandibattaglie teoriche e molto lontane dall’epopea della lottarivoluzionaria degli anni Venti e della lotta antistalinista.Esse erano più legate alla vita pratica e contingente dellavittoria democratica, alla quale i movimenti del ‘68 aveva-no apportato una ventata ideologica sedicentemente sov-versiva, ma in realtà molto legata ai miti della libertà, delprogresso, del benessere, della «vera democrazia», delpopolo «sovrano», intrisa di pregiudizi piccoloborghesisulla libertà individuale e sull’affermazione personale.

Il logoramento e il crollo di questi miti avevano poigettato molti militanti giovani dell’estrema sinistra (non acaso definitasi extraparlamentare e non antiborghese oantidemocratica) nel disorientamento, nella delusione enella disperazione; al riflusso nel «privato» faceva dacontraltare la disperazione rivoluzionaria tipica del terrori-smo.

Ma, fra i tanti «bisogni» che nella prima metà degli anni‘70 vennero in superficie ci fu quello della solidità teorica agaranzia del superamento delle fasi di riflusso. In generalesi può dire che buona parte dei militanti che aderirono alpartito in quegli anni cercavano soprattutto stabilità eautorità teorico-programmatica e supporto organizzati-vo all’attività pratica quotidiana e immediata. Cercava-no risposte politiche e indicazioni pratiche capaci di colle-gare le battaglie teoriche del passato con l’azione rivolu-zionaria del futuro. E questo coincideva con ciò che lostesso partito si chiedeva e si poneva come compito nuo-vo.

Poteva il partito rispondere in modo soddisfascente aqueste attese, e fondare quindi il suo rafforzamento e losviluppo omogeneo della sua attività sulla capacità di darequeste risposte?

Il partito avrebbe potuto rispondere in modo soddisfa-cente a queste attese in forza non soltanto degli orienta-menti politici e programmatici generali, ma anche diun’esperienza radicata sul piano della lotta proletaria im-mediata e di una situazione della lotta proletaria classistaeffettivamente apprezzabile ed estesa. Ma queste condi-zioni mancavano, e mancano purtroppo ancora.

Dal punto di vista oggettivo, non esisteva una situa-zione favorevole allo sviluppo della ripresa classista nelbreve o medio periodo. Il proletariatodei paesi imperialisti,ed europeo in particolare, non aveva ancora spezzato iforti lacci che lo legano tuttora alla democrazia e ai suoipiccoli ma persistenti benefici dell’economia imperialisti-ca, le famose «garanzie», gli ammortizzatori sociali, per

quanto ridotti dagli effetti della recessione economica. E,per quanto combattivo, il proletariato dei paesi perifericidell’imperialismo non era ancora in grado di assumersi ilcompito storico di guidare la riscossa classista del proleta-riato mondiale come fece il proletariato russo nel 1917; enon lo è tuttora.

Dal punto di vista soggettivo, non esisteva un partitoeffettivamente temprato sul piano della lotta politica sulterreno immediatoe radicatonelle file proletarie in tal mododa porsi realmente l’obiettivo di modificare le situazioni infavore della ripresa della lotta classista e rivoluzionaria.Non poteva, e non può mai esistere, d’altra parte, un parti-to in grado di «suscitare» la ripresa di classe e della lottarivoluzionaria. Esisteva un partito che stava facendo i pri-missimi passi pratici in direzione della ripresa classistaanticipandone l’esigenza e in parte i problemi. Già questoera un aspetto importantissimo, che mai si poteva e si puòsaltare, ma che non era sufficiente a fortificare il partitorispetto all’assalto da tutti i lati dei problemi inerenti la suaattività nel campo immediato e il suo atteggiamento con-creto nelle diverse situazioni.

Il passaggio dalla fase dell’attività rivoluzionaria insituazione fortemente controrivoluzionaria (fase della par-tecipazione attiva del proletariato allo sviluppo economi-co e alla conservazione borghese, e del dominio incontra-stato su di lui del collaborazionismo), alla fase dell’attivitàrivoluzionaria in situazione che tende a risalire dal bara-tro profondo della controrivoluzione (come è l’attualesituazione del proletariato di tutto il mondo e in particola-re dei paesi imperialisti), è un passaggio delicatissimoperché l’organizzazione rivoluzionaria si espone necessa-riamente al rischio di venire risucchiata nella attività quo-tidiana, immediata, e infine nell’opportunismo. Ma è unrischio che non si può evitare, pena l’atrofizzazione. Esolo nella preparazione teorica, politica e pratica coe-rente solida ed omogenea è possibile trovare la forzache può far superare al partito le sue diverse e delicatefasi di sviluppo. Diverse, perché non sarà esattamente lostesso «partito» come organizzazione formale - dal primoembrione al partito d’azione rivoluzionaria e al partitodiri-gente la dittatura proletaria -, come se si trattasse dellostesso individuo, a passare dalla fase embrionale a partitocompatto e potente senza soluzione di continuità.

Una preparazione che è errato credere possibile attra-verso una assimilazione scolastica dei testi fondamentali,per quanto dura sia comunque questa assimilazione; e cheè del tutto fuorviante credere possibile attraverso una pra-tica di tipo specialistico con la suddivisione delle forze dipartito in settori separati (il settore teorico, il settore pro-paganda, il settore sindacale, il settore femminile, il settoreorganizzativo ecc.) affidati a supposti «esperti» in teoria,esperti in propaganda e via dicendo.

Una preparazione che deve prevedere invece l’inte-grazione reale di tutte le forze del partito nel complessodei campi di attività e nel lavoro comune; che prevedenon la delega a sedicenti esperti o ad organi interni parti-colari per la soluzione dei problemi che pone l’attività dipartito, ma la partecipazione attiva a tutte le questioni chesi agitano nell’organizzazione. Questa preparazione non èil risultato di un corso particolare o di una cosidetta scuo-la-quadri, e non è abbandonata all’interesse individualedi ogni singolo militante. E’ e deve essere il risultato orga-nicodell’insieme delle attività di partito, dell’effettiva omo-geneità politica e di prassi supportata da un’organizzazio-ne del lavoro fortemente centralizzata e disciplinata ma

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nel contempo voluto coscientemente e accettata comeunico sistema organizzativo.

Questo risultato è il più difficile da ottenere poichénon dipende da alcuna ricetta organizzativa, da alcunatrovata geniale in campo propagandistico o tattico, daalcun carisma di capi o personaggi storici: è un risultatomateriale, coscientemente perseguito e voluto, ma pursempre materiale. Dipende perciò da due ordini di fattori,uno relativo alla saldezza teorico-programmatica e di omo-geneità politico-organizzativa, e uno relativo allo svilup-po in senso classista e rivoluzionario del movimento pro-letario.

E’ chiaro, per noi, che il partito, e quindi la sua prepa-razione rivoluzionaria, è insieme prodotto e fattore di sto-ria; e perché possa diventare un efficace fattore di storiadeve essere prima un coerente prodotto del movimentostorico rivoluzionario sul piano del programma come suquello dell’azione.

La preparazione rivoluzionaria quindi ha come primocompito quello di favorire le condizioni soggettive - divolontà e di coscienza - affinché l’attività di partito neilunghi periodi di controrivoluzione e in generale sfavore-voli alla lotta di classe e rivoluzionaria possa svilupparsicoerentemente - anche se attraverso rotture organizzative- con ciò che il partito dovrà diventare, fattore di storia,cioé quella forza dirigente il movimento sociale proletariocapace di capovolgere la situazione a favore della vittoriarivoluzionaria mondiale.

Le diverse fasi di sviluppo del partito anticipano, in uncerto senso, le diverse fasi di sviluppo della lotta di classee rivoluzionaria. Queste ultime si presentano sulla scenastorica con un andamento contraddittorio, a sbalzi, confratture, riflussi e dispersione di forze, con improvvise

fiammate e qualche successo e con molte sconfitte; per ilpartito si assiste in parte a fenomeni simili. E l’andamentocontraddittorio e a rotture concerne il partito formale, cioèl’organizzazione fisica di militanti, non il partito storico,cioè la teoria marxista e il programma comunista.

Imparare dalle sconfitte, imparare dalle crisi del movi-mento rivoluzionario marxista, imparare dalle crisi del no-stro pur piccolo partito. fare il bilancio dell’attività e dellecrisi del partito diventa un punto irrinunciabile se si vuolelavorare effettivamente alla ricostituzione del partito co-munista internazionale.

Come è stato del tutto sbagliato credere di poter fareun serio bilancio cominciando con il mettere in discussio-ne tutto ciò che caratterizzava il partito di ieri, (dalle sueradici storiche al suo programma alla sua attività comples-siva, come hanno fatto le diverse tendenze liquidatrici chehanno attraversato il partito), così è altrettanto sbagliatocredere di poterlo fare sospendendo ogni attività (dallapubblicazione del giornale all’attività verso la classe) perdedicarsi interamente allo «studio delle crisi di partito»(...). Il risultato di uno studio del genere non sarebbe utilea nessuno perché del tutto svincolato dalla vita reale emilitante del partito e della stessa classe.

Un bilancio che abbia un significato e una utilità politi-ca deve rifarsi ad un metodo, ad una impostazione coeren-te con le linee programmatiche e politiche generali che han-no distinto nel corso degli anni il partito, e alla sua tradizio-ne storica.

Non può limitarsi a rilevare le cose dette dal partito madeve affrontare anche le cose fatte. Poiché ha grande im-portanza l’aspetto dell’atteggiamento pratico in quanto iproletari, alla fin fine, guardano soprattutto che cosa fa, ecome lo fa, il partito che si dice di classe. (...)

Materiali

Da «Materiali sul bilancio politicodelle crisi interne di partito» (1995)

(...)

I bilanci non si rimandano, si fanno anche se il lavoro dimessa a punto dura decenni

(...)Dall’esperienza delle crisi sofferte nel partito di ieri,

fino alla crisi generale del 1982-84, possiamo indicare dueelementi che segnalano inequivocabilmente che nel parti-to si stava alzando una barriera tra prassi e teoria, e perciòsi stavano accumulando potenti fattori di crisi, il principaledei quali fu il localismo.

Il localismo ha per conseguenza inevitabile la trasfor-mazione della centralizzazione politica e organizzativa inuna centralizzazione fittizia, ossia tutta l’attività centraledel partito viene considerata non più la effettiva direzionealla quale tutta le rete del partito risponde attuando le di-rettive emanate e agendo in modo politicamente discipli-nato nei diversi campi di attività, ma viene consideratacome un’attività di semplice coordinamento delle varie at-tività svolte localmente dalle sezioni; in questa attività dicoordinamento sono naturalmente previste le circolari diinformazione, la raccolta di fondi per l’attività editoriale,l’organizzazione di riunioni allargate e generali, la prepara-zione di rapporti da esporre come la redazione degli articoli

per i giornali e le riviste ecc. In questo modo è l’attività disezione, o del gruppo di lavoro specifico, che diventaprioritaria, che assume centralità; mentre l’attività genera-le del partito viene di fatto considerata come la somma ditante attività di sezione e l’attività del Centro del partitocome un supporto, per quanto importante e alle volte an-che determinante, ma sempre supporto, all’attività di se-zione, all’attività locale.

Localismo significa anche agire nei diversi campi diattività con una visione locale, sottoponendo le decisionitattiche e organizzative all’esame delle esperienze matura-te sul posto; così per l’attività politica di carattere generalecome per l’attività in campo sindacale e di fabbrica o sulterreno immediato più ampio. Localismo significa dunquescorporare l’attività della sezione, o del gruppo di lavorospecifico, dall’attività generale del partito organicamentecentralizzata, togliendola dai vincoli dell’attività collettiva,parcellizzandola, limitandola allo stretto ambito del cono-sciuto e del vissuto diretto dei componenti la sezione o ilgruppo. Esso è dunque il vettore principale non solo delmeccanismo democratico all’interno del partito, ma dellostesso principio democratico grazie al quale è possibileteorizzare che ogni iniziativa, ogni direttiva emanata dalCentro del partito perché sia applicata deve passare al va-glio della sezione locale la quale, se non si trova in accordo

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con quella determinata direttiva sarà moralmente e di fattoautorizzata a non applicarla o ad applicarla in parte modifi-candone gli aspetti non convincenti.

In campo internazionale, è certo che il problema di es-sere ed agire come organizzazione internazionale omoge-nea e centralisticamente organizzata è molto arduo, so-prattutto se non ci si affida a meccanismi formali di tipodemocratico; ed è quasi «naturale» che le difficoltà di diri-gere internazionalmente il partito secondo metodicentralistici e politicamente organici portino, se manca lasalda coerenza di prassi interna, ad adottare metodi e mec-canismi di tipo formalistico e, alla fine, personalistico. Lamancata risposta felice e organica ai problemi della centra-lizzazione lascia spazio a tendenze di tipo democratico equindi, in ultima analisi, anticentralistiche e antiorganiche.La crisi internazionale del partito non è di certo stata pro-vocata da una esagerata centralizzazione, è stata caso maiprovocata e approfondita dal fatto di avere una centraliz-zazione fittizia, formalistica, mentre in realtà nel partito siera sviluppata in modo serio e profondo la tendenza allocalismo, anche al centro del partito stesso che finì peroperare come se fosse una sezione staccata da tutte lealtre.

E’ indiscutibile che le difficoltà principali per il Centrointernazionale stavano nel passare dalle direttive moltogenerali e generiche alla direttive più specifiche e calibrateper le diverse realtà in cui la rete del partito agiva; e questedifficoltà si manifestavano in genere in attitudini a faresoprattutto la propaganda dei principi e a diffondere nelpartito l’esigenza, la necessità di intervenire, di «fare» chenon la direttiva vera e propria.

Il localismo, d’altra parte, ha fatto da base sia alla con-cezione attivistica e contigentista, sia alla concezione con-traria, attendista e indifferentista; l’orizzonte reale nel qua-le ci si limita localmente condiziona pesantemente l’azionee gli obiettivi dell’attività della sezione tanto che si finisceper assorbire gli effetti movimentistici di un contingentefermento sociale oppure gli effetti paralizzanti e deprimentise la situazione locale perdura del tutto piatta e grigia.

Ecco allora che alla tendenza «movimentista», o attivi-sta come si diceva un tempo, si va a contrapporre unareazione di tipo attendista, e cioé la tendenza a rifuggiredalla realtà concreta con tutti i suoi pericoli di cadute nel-l’opportunismo per rifugiarsi nel più protetto campo dellateoria, delle congetture di tipo teorico rimandando nel tem-po i problemi dell’attività concreta di intervento nelle si-tuazioni presenti con la dichiarata speranza che «allora» lasituazione oggettiva sarà finalmente favorevole alla lottadi classe e quindi al partito di classe.

La concezione attivista consegna ai militanti del parti-to un modo di resistere alla pressione della società bor-ghese, e alle condizioni sfavorevoli della lotta di classe,basato sull’accrescere continuo di attività immediate; in-somma il «fare molto e sempre di più» per modificare lasituazione sfavorevole in situazione favorevole. La conce-zione attendista consegna, invece, ai militanti del partitoun modo di resistere alla pressione della società borghese,e alle condizioni sfavorevoli della lotta di classe, basatosul disinteresse della realtà immediata e delle contingentisituazioni per dedicare le proprie energie allo studio dellateoria e della storia passata in attesa che la situazione realesi modifichi in favore delle forze proletarie rivoluzionarie.

Nel nostro partito di ieri queste due tendenze, pur pren-dendo di volta in volta aspetti diversi, hanno continuatoad agire in modo simultaneo o alternativamente a seconda

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delle situazioni. ed è logico che siano state queste due inparticolare le tendenze deviazioniste, perché in un’orga-nizzazione che aveva fondato le sue radici in un grandelavoro di bilancio politico e storico e di restaurazione teo-rica del marxismo, i problemi inerenti alla valutazione dellesituazioni e alle direttive tattiche e pratiche esprimevanonaturalmente il grado di contraddizioni e di difficoltà in cuiil partito nel suo insieme viveva. E sono staste queste duetendenze principalmente che, scontrandosi violentemen-te, hanno provocato la crisi esplosiva; due tendenze chepur con concezioni diverse e atteggiamenti diversi fra diloro, condividono sostanzialmente un vero codismo versoil movimento operaio, verso la spontaneità operaia.

L’attivismo è codista verso la classe operaia perchéabbandona l’organica e integrata attività del partito di clas-se - che rappresenta l’avanguardia rivoluzionaria del pro-letariato organizzata nel partito di classe e che prevede diutilizzare le proprie forze nei diversi campi dell’attività com-plessiva del partito, teorico politico ed economico-pratico- per inseguire spasmodicamente i vari sussulti proletarinelle loro caratteristiche contingenti con l’idea di approfit-tarne per radicarsi nel proletariatoe accelerarne così il motoclassista e rivoluzionario. L’attivismo è codista perché ten-de a cavalcare il movimento operaio per quello che è e conl’illusione di politicizzarlo e di influenzarlo dal punto divista rivoluzionario senza che il proletariato se ne accorga,«dal di dentro», attuando una specie di gradualismo alcontrario portandolo pian piano, di lotta in lotta, di comita-to in comitato, sul terreno di classe. L’attivismo riduce ilpartito di classe a stimolatore della lotta operaia, a suppor-to organizzativo e tecnico, a fiancheggiatore, togliendogliil compito principale che è quello di dirigere la lotta di clas-se e, domani, la rivoluzione e la dittatura proletaria.

L’attendismo è anch’esso codista verso la classe ope-raia perché limita la sua attività a manifestare al proletaria-to le condizioni di schiavitù salariale e di abbrutimentocapitalistico in cui si trova, e nel fare questo esso ricorda alproletariato che se non vuole continuare a vivere in quellecondizioni deve alzarsi dal fango, ribellarsi, mettersi in cam-mino verso i suoi compiti storici rivoluzionari. L’attendismochiede al proletariato di fare tutto il percorso di classe erivoluzionario senza l’appoggio e le direttive del partito diclasse, il quale partito si deve limitare a ricordare che iproletari per fare la rivoluzione devono scrollarsi di dossoil peso dell’opportunismo, del collaborazionismo interclas-sista. L’attendismo riduce il partito di classe ad un club diamici del comunismo che non si assumono alcuna respon-sabilità né contingente né storica rispetto alla ripresa dellalotta di classe e alla rivoluzione di domani.

Sulla via della ricostituzione del partito di classe

(...) Il lavoro di bilancio che abbiamo svolto finora, eche continua, ha portato ad un primo risultato: ha indivi-duato gli errori pratici, e teorici, in cui il partito di ieri èinciampato e nello stesso tempo ha riconsegnato la prassidel partito, il suo atteggiamento pratico nella realtà pre-sente e in continuità con il filo delle tradizioni classiste erivoluzionarie dei partiti comunisti dei primi anni Venti, allanecessaria analisi e verifica. Predicare bene e razzolare maleè un vecchio detto contadino, ma è un errore in cui si cadecon grade facilità. Non sentiamo alcuna vergogna per ilfatto che il partito di ieri ha fatto degli errori, anche grossi,a causa dei quali è alla fine esploso in mille pezzi; e noncerchiamo nel bilancio delle crisi alcun effetto esorcistico

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rispetto agli errori del passato. Siamo convinti che nonaffrontare questi aspetti della vita reale del partito nonserve a superarli, anzi, consegna di fatto le forze che inten-dono fare un’attività a carattere di partito alla contingenza,alla semplice consistenza numerica e a metodi politici ed

Da «Appunti sulla questione della formazione del partitodopo la crisi esplosiva del 1982-84» (1998)

(...)13. (...)L’accidente storico che ha portato il partito di classe

mondiale ad una formazione frazionata, e derivante da par-titi proletari nazionali degenerati da cui ci si dovette scin-dere drasticamente per poi riunire i partiti comunisti cosìformati in una Internazionale Comunista, nata a sua voltasulle ceneri della Seconda Internazionale miseramente fal-lita di fronte alla guerra imperialistica, potrebbe un domanianche ripresentarsi se la situazione favorevole alla rivolu-zione proletaria dovesse ripresentare condizioni simili aquelle che caratterizzarono la situazione che abbiamo orabrevissimamente ricordato. Ciò non toglie che, sulla basedelle lezioni storiche tratte dalle vicende che portaronoalla sconfitta dell’Internazionale Comunista e dei partiticomunisti che la formavano, il compito dei comunisti rivo-luzionari debba essere quello di tendere alla formazionenon di partiti comunisti territorialmente «nazionali», perpoi verificarne la possibilità di riunirli in una prossima uni-ca Internazionale, dotata di unica teoria, unicoprogramma,unica direzione centralizzata, ma di un partito comunista inpartenza internazionale, dotato fin dall’inizio di program-ma unico, di tesi valide internazionalmente, di piano tatticoprevisto e valido internazionalmente, perché internaziona-le è la visione comunista, è il programma comunista, è larivoluzione comunista. E dunque, la formazioneorganizzativa del partito comunista non potrà che esserefin dall’inizio internazionale, al di là degli effettivi presentinei diversi paesi. La formazione del partito di classe avvie-ne dall’alto, abbiamo ricordato sopra, ma dall’alto non del-la singola categoria, professione, nazionalità, bensì dal-l’alto della teoria rivoluzionaria e del programma che nediscende organicamente, teoria e programma validi nellospazio e nel tempo, internazionalmente e per tutto il perio-do storico che porterà i gruppi umani al comunismopienamernte sviluppato.

14. La conta numerica è sempre stata la bestia nera deicomunisti rivoluzionari perché dall’ideologia borghese edalla prassi democratica borghese il movimento operaioha ereditato teorie e meccanismi pratici legati alla contadelle teste, affidando alla quantità numerica bruta una im-mediata qualità invece di affidare la qualità del movimentodi classe e del percorso di classe all’organica unità di teo-ria e d’azione, di programma e di attività partica, di tattica edi organizzazione. Molti gruppi sedicenti rivoluzionari emarxisti sono scivolati e continuano a scivolare sulla que-stione del numero: quanti militanti, quante sezioni, in quantipaesi ecc., e anche nel corso degenerativo del nostro par-tito di ieri insorsero gli adoratori delle statistiche e dellepercentuali: siamo troppo pochi per essere veramente unpartito capace di spostare sul terreno della lotta classistaimportanti reparti proletari, dunque avremmo dovuto ab-bandonare il nome e l’organizzazione di partito per infilarci

nei non meglio precisati «movimenti reali». Essere in tantidà la sensazione di contare di più, di poter fare di più, dipoter cambiare qualcosa nei rapporti di forza fra le classi:ma il vero problema non è essere in tanti, ma essere omo-geneamente e organicamente uniti in una collettività dicombattimento, disciplinata, salda dal punto di vista teori-co, capace di coerente prassi interna e di coerente azionenelle situazioni concrete.

Se l’aumento numerico dell’organizzazione politicapuò essere rincorso attraverso espedienti tattici e orga-nizzativi - e quindi necessariamente programmatici e teo-rici -, e molte battaglie sono state condotte dai marxisti disinistra e in particolare dalla Sinistra comunista contro lapratica dell’espedientismo, l’organica omogeneità che ca-ratterizza i militanti che formano il partito non èperseguibile con espedienti: può essere solo il risultatodi un lungo lavoro di preparazione e assimilazione teori-ca del marxismo, di coerente attività teorica e pratica le-gata alla migliore tradizione del movimento comunistainternazionale, ai bilanci storici e politici e alle lezionitratte dalle rivoluzioni e soprattutto dallecontrorivoluzioni, alle battaglie di classe che hanno ca-ratterizzato la lotta del marxismo rivoluzionario controogni tipo di opportunismo e di revisionismo. E’ questoun risultato che non giunge spontaneamente dall’attivi-tà dei militanti, né può essere raggiunto attraverso unaserie più o meno lunga di «corsi di marxismo», né tanto-meno è patrimonio individuale di qualche speciale lea-der: è il risultato di una «selezione naturale» prodotta,nel tempo e nello spazio, dall’attività stessa del partito diclasse e dai riflessi che su di esso ha la sua azione.

Nelle condizioni di grave e profonda controrivoluzio-ne, come quelle che stiamo ancora attraversando oggi eche purtroppo per i prossimi anni non accennano a inter-rompersi cambiando tendenza, il già minuscolo partito diclasse che rappresentavamo ieri ha comunque subito unapesante crisi dovuta essenzialmente alle illusioni che particonsistenti dell’organizzazione si erano fatte sulla possi-bile accelerazione dell’uscita dal periodo più nero dellacontrorivoluzione e del conseguente sviluppo numericodel partito, attraverso l’adozione di impercettibili, all’ini-zio, e poi sempre più evidenti espedienti di carattere tatticoe organizzativo, fino ad abbracciare la visione democraticasecondo la quale se la «maggioranza» dei compagni era diopinione diversa e contraria rispetto al «centro» - al di làdelle posizioni sostenute da una parte e dall’altra - era«giusto» liquidare il centro sostituendolo burocraticamentecon un più «adeguato» strumento democratico, ad esem-pio un comitato centrale composto dai delegati delle sin-gole sezioni. L’organica omogeneità di teoria e prassi, l’unitàdi programma e di azione venivano così liquidate insiemeal centralismo.

(...).

Materiali

organizzativi antidialettici, incapaci di prevedere le diversefasi di sviluppo del movimento della classe e del partitostesso e incapaci perciò di prepararsi effettivamente alladirezione del movimento di classe sulla via della rivoluzio-ne comunista. (...).

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No 108, Aprile 2008Crisi economica capitalistica e lotta di classe / La nauseantecompetizione elettorale torna ad intossicare le masse proletarieitaliane / Contratto dei metalmeccanici: un altro contratto cape-stro! / Aldo Moro ? Doveva morire... / Fra gli sbiaditi mitipiccoloborghesi eccelle il mito del Sessantotto / La donna e ilsocialismo / Fisiologia e patologia del capitalismo / Al lavorocome in guerra ! (nostro volantino) / Ancora elezioni ? Cadaveriche continuano a chiedere voti ! (nostro volantino) / Il sitointernet del Partito Comunista Internazionale - www.pcint.org- / Nuovo Policlinico di Napoli. Umiliante irruzione poliziescaper colpire la legge 194

No 107, Dicembre 2007 / Gennaio 2008Italia, paese delle emergenze / La dura lotta contro l’uso antiso-ciale che il capitalismo fa della spazzatura / Contro il capitalismoche rende precaria la vita e sicura la morte sul lavoro, Lotta diclasse per resistere, per vivere, per cambiare la società / Contrattometalmeccanici: grazie ai sindacati tricolore i vantaggi vanno soloal padronato / Squarci sulla società comunista - Brani dal«Capitale» di Karl Marx / Basta con le morti sul lavoro! Bastacon gli assassini legalizzati! (nostro volantino) / Sulla«questione nazionale palestinese»: sfumature chenascondono abissi. / La spudorata politica deipartiti opportunisti e delle centrali sindacali è la causa prima deilicenziamenti e del blocco dei salari. / Metalmeccanici: Basta coni miseri aumenti in cambio di maggiori sacrifici, Basta con imetodi di lotta del collaborazionismo sindacale! (nostrovolantino) /Altroche lottaall’evasionefiscale, sonoi lavoratori chepagano le tasse anche per i borghesi! / Venezuela: Cronaca di unaborghesissima «rivoluzione bolivariana» (1).No 105-106, Luglio / Ottobre 2007L’unicaalternativa storica:guerracapitalistica mondialeo rivoluz-ione proletaria e comunista / Globalizzazione e crack finan-ziari, due fattori dello stesso processo di crisi del capital-ismo. / Referendum sull’accordo sindacati-confindustria-gov-erno: il solito modo per far passare accordi già sottoscritti sullapelle dei proletari / La prospettiva del comunismo trovanell’Ottobre bolscevico una formidabile conferma: lezione stor-ica e internazionale della rivoluzione proletaria e della con-trorivoluzione borghese / Una sola via d’uscita al calvario dellemasse palestinesi: la lotta proletaria di classe! / «Aushwitz o ilgrande alibi» indigesto a Lutte Ouvrière / Il Partito Democratico,tentativo di unificare le forze di conservazione sociale borghese«di sinistra»/ Ma quali pensioni?- sull’accordo del 23 luglio 2007tra governo-sindacati tricolore-padronato / Napoli: il SLL-per ilsindacato di classe, deve superare le vecchie metodologie at-traverso un’azione sincrona e concorde espressa da una piatta-forma di lotta unitaria / Operaio si uccide perchè non riusciva apagare il mutuo per la casa / Infortunio mortalealla 3b di Salgareda(TV) / Per difendersi ci vuole: lotta ad oltranza, scioperoimmediato, allargare la lotta a tutti i posti di lavoro, manifestandoin piazza contro lo sfruttamento e la morte sul lavoro, (nostrovolantino) / Rigettiamo l’accordo tra padroni-sindacati tricolore-governo riprendiamoci la lotta dura e intransigente! (nostrovolantino) / Iacorossi, volantino SLL: contro la cassa integrazi-one, mobilitiamoci e lottiamo!

No 104, Giugno 2007I proletari sono pagati sempre meno, contro un sempre crescentesfruttamento del lavoro salariato e della produttività. La viad’uscita è nella ripresa della lotta di classe! / 18 marzo - 21 maggio1871. La Comune di Parigi, secondoMarx / Triennalizzazionedelcontratto nel pubblico impiego: i padroni del privato cantanovittoria! Che lezione tirare dal rinnovo del contratto del pubblicoimpiego / La teoria del plusvalore di Carlo Marx base viva e vitale

del comunismo / Cina 1927: la controrivoluzione staliniana, dopoaver soffocato la rivoluzione socialista in Russia, fa massacrareil proletariato rivoluzionario in Cina / Non dimentichiamo ildemocraticomassacro dei30 milacomunardi: 21-28maggio1871/ A proposito della banda di Salvatore Giuliano e della primastrage di Stato: Portella della Ginestra / L’arte del «distinguersi»a parole ma non coi fatti / E’ morto per un infortunio sul lavoro...dicono le cronache... E’ stato assassinato, dice l’atroce realtà!(volantino) / Primo Maggio internazionalistae di lotta! (volantino)/ I crimini del capitale assassino... / Uomini e tonni / Pellestrina:infortuni sul lavoro / Ricordando il compagno François

No 103, Marzo 2007Kabul, imperialisti vecchi e nuovi all’opera / Politica sociale dellaChiesa di Roma / TFR dei lavoratori salariati. Governo, Sinda-cati tricolore, Padronato, Banche e Assicurazioni si spartisconoil bottino. I proletari, oltre ad aver subito il taglio della pensionefutura, vedranno scomparire anche la vecchia liquidazione / Ilgoverno borghese, anche se di «sinistra», risponde solo alleesigenze del capitale e della lotta di concorrenza capitalisticamondiale: per i proletari solo sacrifici e condizioni di vita piùinsopportabili! / Rigurgiti brigatisti e lotta preventiva contro lariorganizzazione classista del proletariato / La «minaccia terro-rista», pretesto per criminalizzare ogni movimento di ribellionee di intolleranza verso condizioni di vita e di lavoro sempre piùprecarie e misere / Le schede elettorali? nel fango, a disposizionedei topi / Il centralismo organico: sulla linea delle battaglie diclasse della Sinistra comunista / Capitalismo in salsa cinese /Tsunami, due anni dopo / Strage da uranio impoverito / Scioperogenerale in GuineaNo 102, Dicembre 2006La nostra rotta è tracciata dal comunismo rivoluzionario, sullalinea storica del marxismo non adulterato / A proposito dei motid’Ungheria e di Polonia del 1956. Con la tresca immonda fracomunismo e democrazia tutto hanno sfasciato, i cani rinnegati/ SLL a congresso. La difficile gestazione degli organismi proletaridi lotta indipendenti dal collaborazionismo e dal corporativismo/ I compiti multiformi ma inscindibili del partito di classe / Larivolta di Oaxaca in Messico / La finanziaria del centro-sinistra?E’ il lavoro sporco di una coalizione che si dichiara amica deilavoratori / Dàgli al macchinista / Marcinelle. A cinquant’annidalla strage di minatori / Ribolla, la morte differenziale / Note dilettura. David Riazanov / Ciao Giovanni

No 101, Settembre 2006La guerra futura come crociata antitotalitaria / Libano 2006.Un’ennesima missione di pace che nasconde mire imperialiste /Palestina, Libano: Israele al servizio dell’imperialismo mondiale/ Lestragidel mare sono stragi diunaborghesiadivoratrice di forzalavoro / La sbornia euforica dei mondiali di calcio. All’oppioreligioso, la borghesia aggiunge il potente narcotico dello sport /Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale. AndreaDoria / Isola di Giava: arriva uno tsunami, ma l’allarme nonfunziona. Ancora morti e dispersi. / Le battaglie della Sinistracomunista (Fine) 1923. Il processo ai comunisti in Italia / Chedice il nuovo «programma comunista» dei nuovi concorsi perdiventare «dottore in bordighismo» indetto dalla FondazioneAmadeo Bordiga? / Siberia: si schianta al suolo un Airbus - 140morti, 60 sopravvissuti

No 100, maggio 2006Il futuro del capitalismo: benessere e prosperità? No: crisieconomiche e miseria crescente per un proletariato sempre piùnumeroso e oppresso nel mondo / Elezioni ieri, oggi e domani: laricetta democratica prevede un’overdose di cretinismo parla-mentare / L’Iran nel mirino americano / I proletari devono averefiducia solo nella ripresa della lotta di classe! / No alle schedeelettorali! Si alla lotta di classe! / I proletari nella morsa degliantagonismi sociali e dell’interclassismo / Distingue il nostropartito. Introduzione / Le battaglie della Sinistra comunista (5)1923. Il processo ai comunisti in Italia / Primo Maggio. Giornatadi lotta internazionale e internazionalista e non di festa piccolo-borghese! / Il made in Italy / Contro il CPE / Aviaria: allarmismifinalizzati a distrarre i proletari dalla loro lotta classista

« il comunista »Giornale bimestrale

Sommari e articoli

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«il comunista»Giornale bimestrale - La copia: 1 € / 5FS / £ 1,5 - Abbonamento annuale: 6,5€ / 25 FS / £ 6 - Abonnement di soste-gno: 15 € / 50 FS / £ 12

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« le prolétaire »Giornale bimestrale in lingua fran-cese - La copia: 1,5 € / 3 FS / £ 1 / 350CFA - annuale (5 copie): 8 € / 30 FS / £10 / 1500 CFA - Abonnement di soste-gno: 16 € / 60 FS / £ 20 / 3000 CFA

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ORGANI DEL PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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Il Partito Comunista Internazionale è costituito sullabase dei seguenti principi stabiliti a Livorno nel 1921 allafondazione del Partito Comunista d'Italia (Sezione dellaInternazionale Comunista):

1.Nell'attuale regime sociale capitalistico si sviluppa unsemprecrescentecontrasto tra leforzeproduttiveei rapporti diproduzione, dandoluogoall'antitesi di interessi ed alla lottadiclasse fraproletariatoeborghesiadominante.

2.Gli odierni rapporti di produzionesonoprotettidal poteredello Stato borghese che, qualunque sia la forma del sistemarappresentativoel'impiegodellademocraziaelettiva,costituiscel'organoper ladifesadegli interessi dellaclassecapitalistica.

3.Ilproletariatononpuò infrangerenèmodificareil sistemadei rapporti capitalistici di produzione da cui deriva il suosfruttamentosenzal'abbattimentoviolentodel potere borghese.

4.L'organoindispensabiledella lottarivoluzionariadelpro-letariatoèil partitodiclasse. Ilpartitocomunista, riunendoinsèlapartepiù avanzataedecisa del proletariato, unificagli sforzidelle masse lavoratrici volgendoli dalle lotte per interessi digruppieperrisultaticontingentiallalottageneraleper l'emanci-pazione rivoluzionariadel proletariato. Il partitoha il compitodidiffonderenellemasselateoriarivoluzionaria,diorganizzareimezzimaterialid'azione,didirigerenellosvolgimentodellalottala classe lavoratrice assicurando la continuità storica e l'unitàinternazionaledelmovimento.

5.Dopol'abbattimentodelpoterecapitalisticoilproletariatononpotràorganizzarsi inclassedominantecheconladistruzionedel vecchio apparato statale e la instaurazione della propriadittatura, ossiaescludendodaognidirittoe funzionepoliticalaclasseborgheseeisuoiindividui finchèsocialmentesopravvivo-no, e basando gli organi del nuovo regime sulla sola classeproduttiva. Ilpartitocomunista, lacuicaratteristicaprogramma-ticaconsisteinquesta fondamentalerealizzazione, rappresentaorganizzaedirigeunitariamenteladittaturaproletaria.Laneces-saria difesa dello Stato proletario contro tutti i tentativicontrorivoluzionari può essereassicurata solocol togliereallaborghesiaedaipartitiavversialladittaturaproletariaognimezzodi agitazionee di propaganda politica e con la organizzazionearmata del proletariato per respingere gli attacchi interni edesterni.

6.SololaforzadelloStatoproletariopotràsistematicamenteattuare tutte le successive misure di intervento nei rapportidell'economiasociale,con lequalisieffettueràla sostituzionealsistemacapitalisticodellagestionecollettivadellaproduzioneedelladistribuzione.

7.Per effetto di questa trasformazione economica e delleconseguenti trasformazioni di tutte leattivitàdellavita sociale,andràeliminandosi lanecessitàdelloStatopolitico, ilcui ingra-naggio si ridurrà progressivamente a quello della razionaleamministrazionedelleattivitàumane.

* * * * *La posizione del partito dinanzi alla situazione del

mondocapitalisticoedel movimentooperaiodopolasecon-da guerra mondiale si fonda sui punti seguenti:

8.Nelcorsodellaprimametàdelsecoloventesimoilsistemasocialecapitalisticoèandatosvolgendosi in campoeconomicocon l'introduzionedeisindacati padronali tra idatoridi lavoroafine monopolistico e i tentativi di controllare e dirigere la

Il Programma del Partito Comunista Internazionaleproduzioneegliscambisecondopianicentrali, finoallagestionestataledi interi settoridellaproduzione; incampopoliticoconl'aumentodel potenzilaledi poliziaemilitare delloStato ed iltotalitarismo di governo. Tutti questi non sono tipi nuovi diorganizzazionesocialeconcaratteredi transizionefracapitalis-mo e socialismo, nè tanto meno ritorni a regimi politicipre-borghesi: sonoinvecepreciseformediancorapiùdirettaedesclusivagestionedelpotereedelloStatodapartedelleforzepiùsviluppatedel capitale.

Questo processo esclude le interpretazioni pacificheevoluzionisteeprogressivedel divenire del regimeborgheseeconferma laprevisionedel concentramento edelloschiera-mento antagonistico delle forze di classe. Perchè possanorafforzarsi e concentrarsi con potenziale corrispondente leenergierivoluzionariedelproletariato,questodeve respingerecome sua rivendicazione e mezzo di agitazione il ritorno alliberalismodemocratico elarichiestadi garanzie legalitarie,edeve liquidare storicamente il metodo delle alleanze a finitransitori del partito rivoluzionario di classe sia con partitiborghesi e di ceto medio che con partiti pseudo-operai aprogramma riformistico.

9.Leguerre imperialistiche mondiali dimostrano chelacrisidi disgregazione del capitalismo è inevitabile per il decisivoaprirsi del periodo in cui il suo espandersi non esalta piùl'incrementodelleforzeproduttive,manecondizional'accumu-lazione ad una distruzione alterna e maggiore. Queste guerrehanno arrecato crisi profondee ripetute nella organizzazionemondiale dei lavoratori, avendo le classi dominanti potutoimporre ad essi la solidarietà nazionale e militare con l'uno ol'altroschieramentodiguerra.

La solaalternativa storica daopporre a questa situazioneè ilriaccendersi dellalotta interna di classefinoallaguerra civiledellemasselavoratrici per rovesciare il potere di tutti gli Statiborghesi e delle coalizioni mondiali, con la ricostituzionedelpartitocomunista internazionalecomeforzaautonomada tuttii poteri politici emilitari organizzati.

10.LoStatoproletario, inquantoil suoapparatoèun mezzoe un'arma di lotta in un periodostorico di trapasso, non trae lasua forza organizzativa da canoni costituzionali e da schemirappresentativi. La massima esplicazione storica del suoorganamento è stata finora quella dei Consigli dei lavoratoriapparsa nella rivoluzione russa dell'Ottobre1917, nelperiododellaorganizzazionearmatadellaclasseoperaiasottolaguidadelpartito bolscevico, della conquista totalitaria del potere, delladispersionedell'assembleacostituente,della lottaper ributtaregliattacchi esternideigoverniborghesieperschiacciareall'in-ternolaribellionedelleclassiabbattute,dei ceti medi epiccoloborghesi edei partiti dell'opportunismo, immancabili alleatidellacontrorivoluzione nelle fasidecisive.

11.Ladifesadelregimeproletariodaipericolididegenerazio-ne insiti nei possibili insuccessi e ripiegamenti dell'opera ditrasformazioneeconomicaesociale, lacui integraleattuazionenon è concepibile all'interno dei confini di un solopaese, puòessere assicurata solo da un continuo coordinamento dellapoliticadelloStatooperaiocon la lotta unitaria internazionaledelproletariatodi ognipaesecontrolapropriaborghesiaeil suoapparatostataleemilitare, lotta incessante inqualunquesitua-zione di pace o di guerra, e mediante il controllo politico eprogrammatico del partito comunista mondiale sugli apparatidello Stato in cui la classe operaia ha raggiunto il potere.

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«Il criterio democratico è finora pernoi un accidente materiale per lacostruzione della nostra organizzazioneinterna e per la formulazione degli statutidi partito: esso non è l'indispensabilepiattaforma.

Ecco perché noi non eleveremmo aprincipio la nota formula organizzativadel "centralismo democratico". Lademocrazia non può essere per noi unprincipio; il centralismo lo èindubbiamente, poiché i caratteriessenziali dell'organizzazione del partitodevono essere l'unità di struttura e dimovimento.

Per segnare la continuità nello spaziodella struttura di partito è sufficiente iltermine centralismo, e per introdurre ilconcetto essenziale di continuità neltempo, ossia nello scopo a cui si tendee nella direzione in cui si procede versosuccessivi ostacoli da superare,collegando anzi questi due essenzialiconcetti di unità, noi proporremmo di direche il partito comunista fonda la suaorganizzazione sul "centralismoorganico".

Così, conservando quel tantodell'accidentale meccanismodemocratico che ci potrà servire,elimineremmo l'uso di un termine caroai peggiori demagoghi e impastato diironia per tutti gli sfruttati, gli oppressi, egli ingannati, quale quello di"democrazia", che è consigliabileregalare per esclusivo loro uso aiborghesi e ai campioni del liberalismovariamente paludato, talvolta in pose

estremiste».

(«Il principio democratico», A.Bordiga, «Rassegna comunista», annoII, n. 18 del 28 febbraio 1922)