Sul referendum Renzi ci ripensa · 2016-06-23 · Sul referendum Renzi ci ripensa ... bugie che si...

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delle Libertà P O L I T I C A P I L L I T T E R I A P A G I N A 2 Post amministrative: chi ha perso davvero? E S T E R I P U N Z I A P A G I N A 5 Trump e Brexit: ribellione contro il politicamente corretto P R I M O P I A N O L E T I Z I A A P A G I N A 3 “Global Peace Index”, l’intervista a Giulio Terzi C U L T U R A B O N A N N I A P A G I N A 7 Renzi, Ross e il futuro che verrà E C O N O M I A R O M I T I A P A G I N A 4 Dalle urne a 5 Stelle non esce la ricchezza Un Italicum corretto non può fare miracoli A desso che si è avuta la dimostra- zione inequivocabile che al bal- lottaggio i voti del centrodestra senza rappresentanza vanno al Movimento Cinque Stelle e non al Partito Demo- cratico mentre quelli dei grillini fini- scono nell’astensione, molti pensano che l’unica strada per impedire a Beppe Grillo e compagnia bella di conquistare il governo del Paese sia la modifica della legge elettorale. Matteo Renzi afferma che la corre- zione dell’Italicum non è all’ordine del giorno. Ma la sua non è una chiusura affatto perentoria. Al con- trario, appare una sorta di apertura S i sa, il comico dice spesso la ve- rità, anzi, spiattella proprio quelle verità che altri non osa dire seria- mente. Parlo di quel tipo di comico che punge vicende, situazioni, perso- naggi reali, insomma il comico che fa satira. È un personaggio letterario e teatrale noto fin dall’antichità. I ro- mani di uno cosi dicevano: “Castigat ridendo mores”: sferza, ridendo, i (cattivi) costumi. In questa simpatica specialità Beppe Grillo fu bravis- simo, sia in televisione che sui palco- scenici di mezz’Italia. Anche la sua carriera politica cominciò con l’eser- cizio di una sferzante e implacabile satira sociale e politica su platee e palcoscenici. Oggi che fa il politico a tempo pieno dice più o meno quel Toh! Forse la Raggi è una vera renziana implicita ad una iniziativa di modi- fica della legge proveniente dal Par- lamento ed a cui il Governo non possa in alcun modo opporsi. Si tratta, in sostanza, di cambiare l’Italicum eliminando il premio... Sul referendum Renzi ci ripensa che diceva da comico: attacca, sferza, aggredisce quelli che ritiene i siano i mali del Paese, a partire da quella ingombrante casta di privilegiati che sono i politici professionisti. Le folle lo applaudivano come comico sati- reggiante, perhé non dovrebbero votare per lui, il politico moraleg- giante? La satira, ribadiamolo an- cora, dice verità scomode, ma che piacciono alla gente. C’è ora il rischio che i grillini di- venuti sindaci provino a mettere in pratica le battute al vetriolo del loro maestro e leader. Così apprendiamo, per esempio, che le tirate e gli sber- leffi contro la speculazione edilizia che ha arricchito, specialmente a Roma, generazioni di palazzinari e infiniti Consigli di amministrazione di grandi immobiliari potrebbero di- ventare i temi di una decisa politica urbanistica. Il nuovo assessore, Paolo Berdini, è da tempo noto e qualifi- cato esponente delle tesi più radical- mente ostili ad una indiscriminata crescita edilizia. Vuoi vedere che questa volta a Roma...

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delle Libertà

POLITICA

PILLITTERI A PAGINA 2

Post amministrative:chi ha perso davvero?

ESTERI

PUNZI A PAGINA 5

Trump e Brexit:ribellione contro

il politicamente corretto

PRIMO PIANO

LETIZIA A PAGINA 3

“Global Peace Index”, l’intervista

a Giulio Terzi

CULTURA

BONANNI A PAGINA 7

Renzi, Ross e il futuro che verrà

ECONOMIA

ROMITI A PAGINA 4

Dalle urne a 5 Stellenon esce la ricchezza

Un Italicum corretto non può fare miracoli

Adesso che si è avuta la dimostra-zione inequivocabile che al bal-

lottaggio i voti del centrodestra senzarappresentanza vanno al MovimentoCinque Stelle e non al Partito Demo-cratico mentre quelli dei grillini fini-scono nell’astensione, molti pensanoche l’unica strada per impedire aBeppe Grillo e compagnia bella diconquistare il governo del Paese siala modifica della legge elettorale.Matteo Renzi afferma che la corre-zione dell’Italicum non è all’ordinedel giorno. Ma la sua non è unachiusura affatto perentoria. Al con-trario, appare una sorta di apertura

Si sa, il comico dice spesso la ve-rità, anzi, spiattella proprio quelle

verità che altri non osa dire seria-mente. Parlo di quel tipo di comicoche punge vicende, situazioni, perso-naggi reali, insomma il comico chefa satira. È un personaggio letterarioe teatrale noto fin dall’antichità. I ro-mani di uno cosi dicevano: “Castigatridendo mores”: sferza, ridendo, i(cattivi) costumi. In questa simpaticaspecialità Beppe Grillo fu bravis-simo, sia in televisione che sui palco-scenici di mezz’Italia. Anche la suacarriera politica cominciò con l’eser-cizio di una sferzante e implacabilesatira sociale e politica su platee epalcoscenici. Oggi che fa il politico atempo pieno dice più o meno quel

Toh! Forse la Raggi è una vera renziana

implicita ad una iniziativa di modi-fica della legge proveniente dal Par-lamento ed a cui il Governo nonpossa in alcun modo opporsi.

Si tratta, in sostanza, di cambiarel’Italicum eliminando il premio...

Sul referendum Renzi ci ripensa

che diceva da comico: attacca, sferza,aggredisce quelli che ritiene i siano imali del Paese, a partire da quellaingombrante casta di privilegiati chesono i politici professionisti. Le follelo applaudivano come comico sati-reggiante, perhé non dovrebberovotare per lui, il politico moraleg-giante? La satira, ribadiamolo an-

cora, dice verità scomode, ma chepiacciono alla gente.

C’è ora il rischio che i grillini di-venuti sindaci provino a mettere inpratica le battute al vetriolo del loromaestro e leader. Così apprendiamo,per esempio, che le tirate e gli sber-leffi contro la speculazione ediliziache ha arricchito, specialmente aRoma, generazioni di palazzinari einfiniti Consigli di amministrazionedi grandi immobiliari potrebbero di-ventare i temi di una decisa politicaurbanistica. Il nuovo assessore, PaoloBerdini, è da tempo noto e qualifi-cato esponente delle tesi più radical-mente ostili ad una indiscriminatacrescita edilizia. Vuoi vedere chequesta volta a Roma...

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In un Paese nel quale, all’indomanidi ogni elezione, non si trova nes-

sun leader che ammetta la propriasconfitta ma, al contrario, insiemeagli altri dichiara di avere vinto, ilcompito dell’osservatore è, a untempo, divertente e drammatico,proprio in funzione delle mille verità-bugie che si espandono nell’etere.

Forse è più facile spiegare i perchédi una sconfitta, ma anche in questocaso, prendiamo ad esempio la Lega,il suo leader Matteo Salvini non è vo-tato per nulla all’autocritica, semmaialla critica altrui. Non si dimentichi,infatti, che poche ore dopo la vittoriadi Beppe Sala a Milano, e riferendosia Stefano Parisi, Salvini ne parlavacome di una “minestra riscaldata”,omettendo il punto più significativodella performance di Parisi che haportato l’alleanza di centrodestra,dai disastri dei mesi scorsi a un bril-lante risultato quasi alla pari conSala, la cui vittoria finale è dovutadavvero ad un pugno di voti. Votiche al ballottaggio sono arrivati alcandidato del centrosinistra mentresono venuti meno a quello del cen-trodestra. E qui sta il problema senon addirittura la risposta al man-cante pugno di voti.

Analizzando attentamente i flussidel secondo turno, a parte che unelettore milanese su due, in tuttocirca 500mila, ha disertato le urne, sinota subito che la diminuzione divoti per Parisi rispetto al primoturno è dovuta ovviamente all’asten-sione, ma con una targa precisa,quella della Lega Nord. E chi so-stiene che a Milano non ha vintoSala ma ha perso Parisi, omette didire che questa diserzione leghista al

seggio è stata decisiva per abbassareil risultato di Parisi, peraltro giàmesso in crisi dopo la decisione diRizzo di Sel e di Cappato dei Radi-cali di convergere su Sala. La di-stanza fra costui e Parisi, al primoturno, era di circa cinquemila voti, alballottaggio è stata invece di 17milavoti, dovuti alla decrescita delleastensioni e, soprattutto, agli endor-sement di cui sopra, con qualche vo-terello dei pentastellati, in generale

rimasti a casa. Purtroppo sono rimasti a casa, in-

vece di correre a votare Parisi, di-versi elettori della Lega, il che hafatto la differenza. Non c’entrano néle minestre riscaldate di salvinianaespressione e neppure le critiche diBobo Maroni a Parisi di avere volu-tamente dimenticato nel ballottaggioi partiti della sua alleanza, a comin-ciare dalla Lega, il che corrispondeal mettere le mani avanti, più che aspiegare i fatti. I quali parlano fintroppo chiaro, anche per lo stessoMaroni che nella sua città, Varese,non soltanto ha ottenuto poche pre-ferenze, ma, soprattutto, ha assistitoalla vittoria del centrosinistra, dopooltre vent’anni di leghismo gover-nante. Aggiungiamo, per comple-tezza di informazione, che per ilsindaco varesino leghista, il correttoAttilio Fontana, la sconfitta non eraaffatto prevedibile, cosicché l’iden-tica sorte l’ha accomunato col buonPiero Fassino.

Sono cose che capitano, soprat-tutto quando non si è più in sintoniacon la realtà effettuale che è segnata,più che dal mitico “cambiamento”(Renzi dixit) da una forte presenzadi protesta, di rabbia, di rancore, dirisentimenti, di disuguaglianze. Frale cause la disattenzione se non l’ab-

bandono delle periferie, lasciatespesso in balia degli immigrati vec-chi e nuovi, della piccola criminalitàdiffusa, sullo sfondo di una crisi so-ciale mondiale. Renzi si è illuso e hailluso a proposito della crescita, chepure denota qualche punticino inpiù, ma non è percepita affatto cometale, e infatti la gente non spende, iconsumi sono fermi, le pensionisono basse e il lavoro latita. Renzidoveva ascoltare di più il suo senti-mento da “sindaco” che fidarsi delleindagini di mercato, compiendo ilmassimo sforzo per far stare megliola sua gente, che lavora o che è inpensione. Se si hanno in tasca piùsoldi da spendere la qualità dellavita migliora, diceva un antico ada-gio. E il merito, in questo caso, va achi governa non a chi contesta aforza di slogan giustizialisti, dema-gogici, populisti con contorno dipromesse fantascientifiche.

Sta di fatto che Renzi non havinto. Ci rendiamo conto che questaè un’analisi sommaria e schematica.Ma è il voto che è stato schematico,premiando l’unica opposizione delgrillismo contro tutto e contro tutti.La vedremo presto all’opera questaopposizione diventata governo diimportanti città. Alla quale nessunofarà sconti. Ma intanto sta lì.

problema di classe dirigente che se non riescead emergere in forma nuova e credibile trascinaa picco l’intera area condannandola alla mar-ginalizzazione definitiva.

Al momento la forza del Movimento CinqueStelle è data dalla debolezza estrema dei suoiavversari e competitori. Modificare l’Italicumpuò essere utile, ma non sarà una nuova leggeelettorale a ridare vita agli zombi!

...davvero verranno tagliate le unghie ai grandi epiccoli speculatori, palazzinari o immobiliari chesiano? Ma la battaglia contro la speculazionesulle aree fabbricabili non era un cavallo di bat-taglia delle sinistre, dei democratici e dei loro ur-banisti? Altroché, però raramente, e in modoapprossimatico e cauteloso, diventavano oggettodi una seria attenzione dei loro assessori e am-ministratori: i cassetti delle loro scrivanie rigur-gitavano di progetti messi nel dimenticatoio, oquasi.

Almeno a una prima vista, i programmi dellegiunte grilline di Roma e Torino contengonoidee e progetti un tempo cari alle sinistre, com-preso il Partito Democratico (magari con qual-che eccesso di zelo, come la riluttanza a mettere

Politica

segue dalla prima

...alla lista ed il ballottaggio. In pratica dare vitaad una legge elettorale che renda impossibile alMovimento Cinque Stelle di vincere le elezionied entrare a bandiere spiegate dentro la stanzadei bottoni di Palazzo Chigi.

Ma chi pensa che basti ritornare al premio dimaggioranza alla coalizione per relegare i gril-lini in un condizione di perenne opposizionecompie un errore grossolano. Perché un Itali-cum corretto può aiutare ma non può risultaredeterminante se le forze politiche tradizionalinon riescono a strappare ai grillini l’iniziativapolitica e non riescono a rigenerarsi fino a tor-nare credibili ed affidabili agli occhi dell’opi-nione pubblica del Paese.

L’osservazione vale per il Partito Democra-tico, che registra oggi come il renzismo sia laparte terminale della propria crisi e non la so-luzione capace di assicurare la sopravvivenzaed un futuro sicuro. Vale ancora di più per tuttii “cespugli” di un centro che ha completamenteesaurito ogni residuo di ruolo politico ed è con-dannato ad auspicare il ritorno ad un bipolari-smo tradizionale destinato a polverizzarlodefinitivamente. E vale infine, ed a maggior ra-gione, per un centrodestra che non ha solo unproblema di leadership ma ha soprattutto un

di immaginare che fosse possibile vivere di ren-dita, pressoché immobili nel tumulto dei tempi”.

Già, il “tumulto dei tempi”: quello che – di-ciamolo – non viene colto né da Renzi né tanto-meno dalle sue inconsapevoli ma zelanti seguacicon tessera grillina.

Chi ha perso davvero?

in vendita i carrozzoni degli enti municipalizzatie malgestiti). Dunque, non ha torto Renziquando si complimenta con i grillini per quellache riconosce come una loro vittoria giusta e le-gittima, perché loro hanno “dato voce al cam-biamento”, quel cambiamento che il suo partito,o la sua minoranza interna, ha negato a lui. Sì, incerto modo e, si intenda, con tutti i limiti, il gril-lismo può essere visto, in controluce, come unavariante del renzismo. Renzi ha perso non per-ché è stato troppo Renzi, come lo accusano i suoicompagni (si fa per dire) delle sinistre interne,ma perché è stato “poco “ Renzi, perché non loè stato fino in fondo come rottamatore e pro-motore del cambiamento tante volte promessoa parole. E credo sia chiaro che molta della in-soddisfazione da cui è scaturito il voto protesta-tario nasca dalla rabbia per le troppe promesserimaste inevase.

In un suo recente commento, l’ottimo StefanoFolli ha potuto tranquillamente sostenere chetutto potrebbe “risolversi individuando unaChiara Appendino o una Virginia Raggi ren-ziana (in fondo il retropensiero è che entrambesarebbero renziane se solo le circostanze tempo-rali avessero incrociato diversamente i destinipersonali)”. Se questa (non troppo balzana) ipo-tesi non si è fatta realtà è perché “la dimensionerenziana... si è trovata a convivere con una tra-dizione dedita a coltivare le proprie radici nelterritorio. Radici all’improvviso perdute, certoanche per gli errori compiuti: ad esempio, quello

Che Beppe Grillo esulti e canti vit-toria è giusto e scontato, forse

nemmeno lui sperava di ritrovarsicontro un Premier che, in due anni emezzo, a forza di sbagli, sbrasate espavalderie sciocche, lo portasse avincere senza il minimo sforzo. Perchésia chiaro, a questo punto se le duestelle su cinque, Torino e Roma, do-vessero brillare a sufficienza, alleprossime elezioni politiche per Grillopotrebbe essere un vero trionfo.

Del resto i grillini sono stati gliunici a continuare il loro percorso diopposizione, mentre sia a destra chea sinistra succedeva di tutto. Liti, tra-dimenti, transfughi, scissioni, inciuci,che hanno condotto da una parte edall’altra ad uno sfaldamento tale dafar apparire i grillini come unica e ul-tima spiaggia del Paese.

Oltretutto il delirio di onnipotenzadi Matteo Renzi e la catena di erroriassurdi nei provvedimenti di questidue anni e mezzo di governo, nullahanno prodotto se non un’esaspera-zione popolare che Grillo ha saputo

accogliere a braccia aperte. Insomma,mentre Renzi si preoccupava di acco-gliere profughi di mezzo mondo, con-vinto di potergli offrire il bengodi,Grillo apriva le porte a tutti quei cit-tadini imbestialiti con il Premier e conil Governo.

Un gioco da ragazzi per il fantasi-sta genovese e per la sua squadra, gliè bastato tirare dritto e raccoglierelungo il percorso gli imbestialiti conEquitalia, con la Legge Fornero, conl’Europa, con i bonus elettorali, con iprivilegi della casta. Come se non ba-stasse va riconosciuto a Grillo l’in-tuito nella scelta di giovani bravi etalentuosi che, a partire da Luigi DiMaio, hanno condotto un impegnoparlamentare all’insegna della so-brietà, umiltà, capacità e coerenza. Vada sé che qualità simili, che nel Parla-mento e nella politica italiana sono invia d’estinzione, abbiano rafforzato ilgiusto e motivato plauso di tanti ita-liani verso di loro. In buona sostanza,

il combinato disposto delle virtù gril-line e delle altrui demenzialità ha ge-nerato un vastissimo consenso, logico,prevedibile e conseguente. Ecco per-ché i risultati di Torino e Roma nonsolo non sorprendono, ma potrebberoessere l’inizio di un filotto talmenteovvio da sfiorare l’elementarità.

Del resto con Equitalia che ha ter-rorizzato ed esasperato mezzomondo, con gli esodati della LeggeFornero, i truffati dalle banche, i di-soccupati, gli esclusi dagli 80 Euro, gliscandali della casta, chi poteva averebuon gioco se non i pentastellati?Dunque, oggi c’è poco da essere pre-

occupati se per Renzi l’esito dei bal-lottaggi è andato come è andato, anzi,meno male per lui che Milano se la siaaggiudicata Sala, altrimenti chi lo sa...Troppe cose sono mancate in questidue anni e mezzo, a partire da unaopposizione alternativa ai grillini, cheper primo il centrodestra non è statocapace di mettere in piedi e di pro-porre agli italiani. Per questo lasomma di errori, da una parte e dal-l’altra, non poteva che finire con unconato di reazione a favore dell’unicasponda coesa e credibile, quella pen-tastellata.

Ad ottobre ci sarà il referendum econ l’auspicabile vittoria del no, con-tro una riforma rozza e pasticciata,Renzi finalmente farà le valigie edentro la primavera del 2017 si torneràa votare. Manca dunque meno di unanno per proporre agli italiani un mo-vimento che possa competere e vin-cere i grillini, altrimenti anche quella,di strada, è già bella che tracciata e ilcomico genovese non aspetta altro. Echi lo sa che magari alla fine non siaproprio lui a proporsi per PalazzoChigi?

La strada per vincere facile

Un Italicum corretto non può fare miracoli

Toh! Forse la Raggi è una vera renziana

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Primo Piano

Il Rapporto 2016 “Global PeaceIndex” rileva che il 2015 è stato un

anno dai risultati non positivi per lapace e la sicurezza internazionale. Ilrapporto rileva che l’impatto econo-mico della violenza sull’economiaglobale è stato di 13,6 miliardi di dol-lari nel solo 2015. Per comprendereal meglio la realtà transnazionale, in-terpelliamo l’Ambasciatore, già mini-stro degli Esteri, Giulio Terzi,Presidente del “Global Committeefor the Rule of Law” dedicato aMarco Pannella.

Nel 2015, secondo il Rapporto“Global Peace Index”, sono statespesi 13,6 miliardi di dollari in sicu-rezza e armamenti, il 13,3 per centodel Pil mondiale. Invece, le spese dimantenimento della pace, attraversole Nazioni Unite, sono state pari asolo l’1,1 per cento dei circa 742 mi-liardi di dollari di perdite economi-che di un conflitto armato. Comemodificare tale tendenza?

Il rapporto ha un considerevole in-teresse non soltanto per aver quanti-ficato – con effetto mediatico –l’impatto macro-economico dei con-flitti, con una perdita equivalentequasi all’intero Pil annuale del-l’Unione europea. Lo studio ponel’accento sulla necessità di ri-orien-tare e dotare di ben maggiori risorsela prevenzione dei conflitti. Se sipensa che nell’intero bilancio delleNazioni Unite solo il 3 per cento deifinanziamenti complessivi viene de-stinato a programmi per la tutela e lapromozione dello Stato di Diritto, deiDiritti Umani e delle Libertà fonda-mentali, che costituiscono l’area prio-ritaria per prevenire conflitti tra gliStati e all’interno degli Stati, risultaevidente come la Comunità interna-zionale ignori quasi completamentela prevenzione; per poi doversi con-centrare invece sullo spegnimento diincendi, dove è spesso inevitabilel’impiego della forza, l’utilizzo distrumenti militari e il rischio di ulte-riori propagazioni della violenza. Ciònon significa che le operazioni dipace dell’Onu, pur costando unacifra ingente, pari a 8 miliardi di dol-lari, rispondano in misura adeguataall’esigenza di tamponare conflitti re-gionali e situazioni di crisi. Se il pea-cekeeping Onu fosse più incisivo enon si limitasse soltanto a riflettereequilibri contrapposti tra i 5 membripermanenti del Consiglio di Sicu-rezza, una parte considerevole diquella enorme cifra stimata dal rap-porto, di 742 miliardi di danni cau-sati da conflitti armati, potrebbeessere considerevolmente ridotta.

Fondamentale per il futuro del-l’umanità all’insegna della pace è unmaggiore investimento nella costru-zione e nel mantenimento della coo-perazione umanitaria. Le operazionidi pace sono misure volte a rispon-dere ad un conflitto e una carenza diinvestimenti nelle attività di costru-zione della pace dimostra che la co-munità internazionale sta spendendotroppo nel generare conflitti e troppopoco in azioni per il mantenimento ditregue. Che azione può svolgere lacomunità diplomatica nel tentativo di

invertire tale tendenza?In generale, si deve constatare che

la gestione delle crisi in questi ultimi5 anni caratterizzati dal post “Pri-mavere Arabe”, dal riacutizzarsi dellacompetizione Est-Ovest con toni daGuerra Fredda, dalla frammenta-zione politica tra Paesi occidentali,dall’insofferenza delle opinioni pub-bliche nei confronti di malaffare emal governo, abbia trascurato e,sotto diversi profili, fatto arretrare lestrategie di “soft power” e la reali-stica affermazione di comuni principie interessi dell’Unione europea e dellaComunità Atlantica. Si avverte un ri-piegamento, in Europa, su misureemergenziali e contingenti: con ri-sposte di breve termine a sfide epo-cali, come migrazioni e terrorismo;con “appeasement” verso politichedel fatto compiuto; con acquiescenzesupine ad un arbitrario impiego dellaforza. È mancato il quotidiano impe-gno politico nell’esigere in ogni pos-sibile sede multilaterale e bilaterale ilrispetto dello Stato di Diritto e dellalegalità. Così come sono stati assentimessaggi precisi : sull’affermazioneche tutti gli Stati Membri dell’Unioneeuropea e l’Unione stessa devono ri-servare all’attuazione scrupolosa ditrattati, convenzioni, intese ratificatedai Paesi delle Nazioni Unite. Ab-biamo invece troppe volte assistitoalla dimostrazione che l’articolo 2 delTrattato di Lisbona sulla promozionedello Stato di Diritto e dei DirittiUmani viene completamente igno-rato. Nella illusione di alcuni Governieuropei e delle Istituzioni Comunita-rie di poter concludere imprudenti af-fari con Paesi che pur avendoratificato le principali convenzioni suiDiritti dell’Uomo sembrano oggi nonvoler più sentirne parlare.

In una recente conferenza, svoltasialla Biblioteca del Senato, sul con-flitto del Nagorno-Karabakh ha evi-denziato di come “il diritto allaconoscenza”, possa essere utile percomprendere le responsabilità e leproblematiche legate a tale conflitto.La creazione di situazioni di con-fronto e di dialogo sull’essenzialità

del “diritto alla conoscenza nei con-flitti” potrebbe rappresentare unostrumento politico di argine ai risul-tati negativi ben descritti dal GlobalPeace Index?

Le crisi provocate da terrorismo,repressioni, ricorso alla forza per af-fermare spazi di influenza, stannoscardinando una legalità faticosa-mente costruita nel tempo e hannomarcato il presente decennio. I mas-sacri avvenuti durante le PrimavereArabe proseguono in una guerra ci-vile che ormai molti considerano una“pulizia etnica” degli oppositori sun-niti di Assad. La minaccia terroristicadello Stato Islamico in MedioOriente e in Libia, le destabilizzazioniprovocate da Stati falliti dimostranoche conflitti e violenze sempre piùcolpiscono le popolazioni civili e leloro componenti più deboli: bambini,donne, minoranze etniche e religiose.È nelle fasi critiche della transizioneche le Istituzioni devono consolidarsiattraverso il “Diritto alla Cono-scenza”. Su di esso è basata la Giu-stizia Transizionale: dimensione cheha impegnato e continuerà a impe-gnare la dottrina giuridica, la diplo-mazia, le organizzazioni multilaterali;se ne devono cogliere la rilevanza po-litica, le ulteriori potenzialità e gli in-terrogativi irrisolti. La premessaineludibile è il radicarsi a livello glo-bale del “Diritto alla Conoscenza”.Ciò vale, come ho avuto modo di os-servare alla Conferenza svoltasi allabiblioteca del Senato, per i criminicommessi durante il conflitto in Na-gorno-Karabakh. Ma lo esemplificaanche la storia della Truth and Re-conciliation Commission Sud Afri-cana che ha discusso una miriade dicasi per amnistiare quanti contribuis-sero al pieno accertamento della Ve-rità, rendendo giustizia alle vittime.Da anni interferenze politiche bloc-cavano indagini e condanne. Ci sonovoluti 33 anni perché sulla orribilemorte di una giovanissima attivistaanti-Apartheid, Nokuthula Simelane,si potesse finalmente fare giustizia etradurre i carnefici dinanzi a un tri-bunale Sudafricano. Ci sono voluti

23 anni per portare Hissène Habrè,accusato di numerosi crimini control’umanità, dinanzi alle Camere Stra-ordinarie Africane. Un processo che,dopo quelli avviati contro Milosevic,Charles Taylor, il presidente Sudaneseal-Bashir, quello del Kenya UhuruKenyatta e altri indiziati africani, èstato considerato di grande impor-tanza per la credibilità del sistema digiustizia internazionale. La condannadi Habrè ristabilisce due principi: ilprimo, che i capi di Stato Africanipossono essere chiamati a risponderedi crimini contro l’umanità da istanzesovrannazionali poste anche al difuori del proprio Paese; il secondo,che esiste sempre una giurisdizionecompetente a stabilire la Verità e laGiustizia. Questi precedenti sono difondamentale importanza per l’affer-mazione dello Stato di Diritto e delDiritto alla Conoscenza. Per i criminicommessi in Nagorno-Karabakh conil massacro di Khojaly l’accertamentodelle responsabilità è ancora incom-piuto. Dobbiamo evitare che ciòabbia a ripetersi per analoghi e assaipiù estesi crimini in Siria. Nessunaimpunità può essere tollerata per imassacri di civili, per gli ospedali e lescuole bombardate ad Aleppo, per letorture ed eliminazioni di massa do-cumentate da Cesar e pubblicate daHuman Rights Watch. L’occulta-mento della verità su Khojaly dimo-stra le gravi carenze della comunitàinternazionale nel sanzionare indivi-dui, organizzazioni, gruppi, governi,spesso coinvolti in “proxy wars”, at-traverso fazioni sostenute da potentialleati esterni; in pulizie etniche al-l’insegna della “guerra al terrore”;con bombardamenti di intere cittànel palese scopo di creare milioni dirifugiati per destabilizzare Paesi dellaNato e dell’Unione europea. Un veroradicamento del Diritto alla Cono-scenza nella comunità internazionalerappresenta la scelta vincente, e puòcosì contribuire a prevenire anche glienormi danni economici stigmatizzatidal Rapporto “Global Peace Index”.

Quali sono le azioni contempora-nee del “Global Committee for theRule of Law-Marco Pannella” nelprogetto transnazionale di afferma-zione dello stato di Diritto in contra-sto alle ragioni di stato?

Che Stato di diritto e DirittiUmani siano minacciati, e lo siano inuna sorta di inversione di tendenzarispetto all’inizio di questo XXI se-colo, è sotto gli occhi di tutti noi; benpochi lo negano. L’inversione di ten-denza è generalizzata. Riguarda laComunità internazionale: le NazioniUnite riservano un mero 3% dei pro-pri fondi a programmi e iniziative de-stinati alla tutela e promozione deiDiritti Umani e dello Stato di Diritto.L’inversione di tendenza riguardal’Europa: con violazioni perpetrateda Stati che usano la forza militare

per annettere parti di Stati sovrani,con il pretesto di proteggere mino-ranze che sarebbero invece tutelabiliperfettamente attraverso i rodati edefficaci strumenti giuridici di cui l’Eu-ropa dispone; riguarda l’Europaanche per le vicende delle migrazioni,della lotta alla povertà, della giusti-zia; e riguarda l’Italia, nel diniego delgiusto processo, nell’abuso della pre-scrizione, nella situazione delle car-ceri, nel mancato recepimento disentenze della Corte europea dei Di-ritti dell’Uomo, nel degrado della li-bertà d’informazione che condizionala politica e le libertà fondamentalinel nostro Paese. La campagna per loStato di Diritto e per i Diritti Umanipuò e deve essere globale; ma a con-dizione di essere al tempo stesso na-zionale. Non si tratta di impegnidiversi. Non possono esserci compar-timenti stagni tra il “nazionale” e il“trasnazionale” quando si affermanodiritti e libertà che o sono universalied esistono solo in quanto universali,o non sono. La pulizia va fatta incasa nostra così come in strada. Lavisione che ha guidato Marco e gliamici radicali a rilanciare con vigoreil principio dello Stato del Diritto edel Diritto alla conoscenza sul pianouniversale, ci ha consentito di preci-sare il percorso del Global Commit-tee. Lo abbiamo fatto con MatteoAngioli, Elisabetta Zamparutti,Laura Hart a Ginevra al Palais desNations, a Sofia alla convention dellaWorld League for Freedom and De-mocracy insieme a Matteo. Ho conti-nuato a parlarne a Parigi a unconvegno con Kofi Annan, Komo-rowski, e Jack Straw. Proseguiremo il9 luglio a Parigi, insieme a Matteo,Laura, Elisabetta, Sergio D’Elia eMaurizio Turco, con diversi incontribilaterali a margine della Conventiondell’opposizione iraniana. Abbiamoconstatato molto interesse anchenegli incontri delle ultime settimanea Roma con personalità delle Na-zioni Unite, del mondo politico e ac-cademico francese, britannico,polacco, bulgaro, macedone e koso-varo. L’interesse nasce dalla consta-tazione condivisa da tutti i nostriinterlocutori che stia arretrando e in-debolendosi l’intero “acquis” di Trat-tati, dichiarazioni, iniziative cheall’inizio degli anni 2000 e dalla di-chiarazione del Millennio delle Na-zioni Unite in poi avevanoriconosciuto Diritti Umani e Stato diDiritto quali pilastri essenziali perpace, sviluppo e democrazia. Solopochi giorni fa in un lungo editorialel’Economist ha scritto che la libertàdi parola e di espressione è “sotto at-tacco” in tutto il mondo. Un fatto in-negabile che dovrebbe ancor piùmotivare i sostenitori della campagnalanciata da Marco Pannella per l’af-fermazione dello Stato di Diritto e del“Diritto alla conoscenza”.

“Il Global Peace Index”, il futuro dei conflitti e la costruzione della pace

“Hai voluto la bicicletta? E mo’pedala!”. Si potrebbe riassu-

mere così la costante attenzione chesin da prima delle elezioni il sito“Roma fa schifo” sta dedicando allaneo sindaca Virginia Raggi e ai nomiipotetici della sua per ora fantoma-tica giunta.

Incentrato sul cinismo tutto ro-mano che osserva come da GiulioCesare a oggi questa città sia di fattoingovernabile, una vera trappola perchiunque si cimenti a farlo, ieri il blogin questione prendeva di mira unadelle papabili all’assessorato al Com-mercio: Alberta Parissi. Negoziante

del Tufello, etichettata come “banca-rellara”, nell’immaginario di chi hascritto l’articolo veniva descrittacome la prova provata che nella Ca-pitale tutto cambia perché nullacambi. La Parissi nell’attacco delpezzo viene così presentata: “… Unasignora che si occupa di commercio,dapprincipio di commercio ambu-lante (per questo l'abbiamo simpati-camente definita bancarellara), findagli anni Settanta, che fa attività disindacalista da oltre 40 anni, che fa

politica prima con il Pci e poi con ilPd fin dagli anni Ottanta. Dopo Ber-dini (e ci è andata malissimo) e Ber-gamo (e ci è andata benissimo),l'ennesima azione di riciclaggio delMovimento 5 Stelle romano. Altroche Rifiuti Zero, qui siamo alla diffe-renziata spinta, al recycling centerche manco a San Francisco...”.

Il video su YouTube (https://www.you-tube.com/watch?v=upa2-mik560) in ef-fetti vale più di tanti editoriali ed ètutto un programma. Va detto e sot-

tolineato come non sia affatto certoche la scelta della Raggi cada pro-prio su questa signora che in pas-sato ha portato voti al vecchioentourage del Pd romano. Ancheperché la neo sindaca, caso mai, hagià dimostrato una certa propen-sione a scegliere le persone piutto-sto nel sottobosco politico eimprenditoriale un tempo vicino al-l’ex sindaco Gianni Alemanno. Peril quale la stessa Raggi aveva indi-rettamente svolto attività legali di

recupero crediti come è notorio. Siacome sia, adesso gli occhi e i fucilipuntati addosso da tutti i catalizza-tori dello scontento capitolino sonosu di lei e sul parto quasi mistericodi questa giunta, che, sempre se-condo “Roma fa schifo”, deve te-nere conto delle già non pochecorrenti che si sono formate all’in-terno della galassia a Cinque Stelle.Andrà a finire, magari, che anchechi “di populismo ferisce di populi-smo perisce”?

“Roma fa schifo” prende di mira la Raggi

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Economia

La grande avanzata elettorale gril-lina, con ben 19 ballottaggi vinti

su 20, è stata interpretata da moltiosservatori come una sorta di voxpopuli, vox dei. Secondo costoro ilpopolo ha parlato fin troppo chiara-mente e, pertanto, sbagliano coloro iquali considerano con preoccupa-zione la possibilità, a questo puntomolto plausibile, di un futuro go-verno nazionale a Cinque Stelle. So-prattutto per chi crede in una sortadi assolutismo democratico, appa-rente ossimoro secondo cui attra-verso il voto popolare tutto sarebbepossibile, la sanzione delle urne rap-presenta la migliore garanzia di cre-scita civile e di prosperità economica.Tutto ciò partendo dal presupposto,che il grande Hayek ha chiamato co-struttivismo, che solo attraverso attideliberati della sfera politica sia pos-

sibile lo sviluppo dellasocietà. Nella fatti-specie, l’idea che ilM5S possa cambiarele cose portando nellasuprema stanza deibottoni la presuntaonestà del cittadinocomune sta comin-ciando ad entusia-smare molti scetticidella prima ora, risve-gliando in alcuni resi-duati bellici del 1968antiche nostalgie rivo-luzionarie, sul tipodella fantasia al po-tere.

Ora, come mi sforzo

di scrivere da tempo, so-prattutto in un Paesecome il nostro, deva-stato da decenni diassistenzialismo e disoffocante tassazione, civorrebbe ben altro che ilconfuso velleitarismodei grillini per, come sisuol dire, raddrizzare labaracca. Con i penta-stellati siamo semprefermi, con in più al-cune pericolose propo-ste come quella di usciredall’Euro, all’idea del

cosiddetto Governo migliore. Idea ri-proposta con gli esisti fallimentariche sono sotto gli occhi di tutti dalgenio della lampada che ancora oc-cupa Palazzo Chigi. Un Governo mi-gliore degli onesti che, in questocaso, si proporrebbe di aumentareulteriormente l’intervento pubblicocon altre nefaste azioni di carattereredistributivo, come il tanto sbandie-rato reddito di cittadinanza.

D’altro canto, all’interno di una so-cietà drogata di spesa pubblica e so-stenuta finanziariamente dalla“cattiva” Europa attraverso la Bancacentrale europea, la consapevolezza

molto liberale di ciò che andrebbe ve-ramente fatto nell’interesse dell’Italiae, principalmente, delle nuove genera-zioni è sempre più rara.

Tuttavia, ricordando ai soloni diquell’opinionismo sempre pronto a sa-lire sul carro del vincitore che la ric-chezza delle nazioni non scaturiscedalle urne, bensì dalla libertà d’inizia-tiva economica, con l’ultima versionedi assistenzialismo burocratico inter-pretata dagli onesti a Cinque Stelle ri-schiamo di schiantarci contro un trenodi illusioni ancor più potenti rispetto aquelle del renzismo declinante. Po-tenza delle poche e confuse idee.

Dalle urne non esce la ricchezza

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Esteri

Una rabbia cieca verso l’establishmentpolitico e una paura irrazionale del-

l’immigrazione. Sarebbero questi, se-condo la maggior parte degli osservatori,i due fattori che più alimentano feno-meni definiti populistici come la candi-datura di Donald Trump alla CasaBianca, al di là dell’Atlantico, e al di qual’ampio consenso all’uscita della GranBretagna dall’Unione europea, su cui icittadini britannici decideranno il pros-simo 23 giugno.

Prima dell’assassinio della deputatalaburista Jo Cox i sondaggi registravanouna maggioranza di favorevoli alla co-siddetta Brexit, con vantaggi anche su-periori ai 7 punti percentuali, ma ancheoggi il consenso è ampio tanto da ren-dere l’esito del referendum ancora in-certo. Il 41% degli intervistati indical’immigrazione tra i temi più importantiper la sua decisione di voto e circa lametà ritiene che il problema sarebbe ge-stito meglio dalla Gran Bretagna fuoridall’Ue. Fondati o meno, gli argomentiallarmistici della campagna pro Ue po-trebbero aver sortito l’effetto opposto.Qualche giorno fa il presidente dell’Eu-rogruppo, e ministro delle finanze olan-dese Dijsselbloem metteva in guardia:“In Olanda di referendum sull’Ue ne ab-biamo avuti due, e la mia esperienza èche una cosa che sicuramente non fun-ziona è quella di minacciare gli elettoricon conseguenze terribili: non è un buonapproccio”.

Ma c’è qualcos’altro, oltre la paura?L’editorialista del New York Times Tho-mas B. Edsall ha cercato di indagare ilmeccanismo psicologico alla base del ri-sentimento che sembra animare i sosteni-tori di Trump, giungendo alla conclusioneche è in atto una vera e propria ribellionenei confronti delle norme del politica-mente corretto – che si tratti di immigra-zione e minoranze, di parità di genere,religioni, o di qualsiasi altro tema.

In molti elettori bianchi, osserva Ed-

sall, è radicata la convinzione che il mul-ticulturalismo imposto per legge, quellarete di leggi e direttive antidiscriminatoriea livello statale, locale e federale, e altri attiregolatori volti a implementare politichedi discriminazione positiva, siano statiprogettati “per portare gli americani allasottomissione”, e che il politicamente cor-retto sia un mezzo censorio e coercitivoper silenziare la loro opposizione, peresempio all’immigrazione legale e illegale.E il rifiuto dei Democratici e in generaledella sinistra americana di ascoltare, diconcedere una qualche legittimità al mal-contento dell’America bianca per la per-dita di potere e status a vantaggio diminoranze e ondate di immigrati da tuttoil mondo non farebbe altro che gettarebenzina sul fuoco.

Per comprendere questa rivolta diampi settori dell’opinione pubblica con-tro tutto ciò che suona politicamentecorretto, Jonathan Haidt, professorepresso la New York University, suggeri-sce di ricorrere al concetto di “reattanzapsicologica”, descritta come “la sensa-zione che si prova quando cercano di im-pedirti di fare qualcosa che hai semprefatto, e percepisci che non hanno alcundiritto o giustificazione per fermarti. Cosìraddoppi i tuoi sforzi e lo fai ancora dipiù, solo per dimostrare che non accettiil loro dominio. E gli uomini, in partico-lare, sono preoccupati di dimostrare chenon accettano il dominio”. “Questa rea-zione – scriveva nel 1966 Jack W. Brehm,il primo a sviluppare questa teoria – èparticolarmente comune quando gli in-

dividui si sentono obbligati ad adottareuna particolare opinione o ad impe-gnarsi in un comportamento specifico. Inparticolare, una diminuzione percepitanella libertà accende uno stato emotivo,chiamato reattanza psicologica, che su-scita comportamenti volti a ripristinarequesta autonomia”.

Tradotto al fenomeno Trump, se-condo Jonathan Haidt “decenni di poli-ticamente corretto, teso a rappresentaregli uomini bianchi eterosessuali come cat-tivi e oppressori, ha causato un certogrado di reattanza in molti, forse nellamaggior parte di loro”. Sia nei luoghi dilavoro che nel mondo accademico, Haidtsostiene che l’approccio accusatorio evendicativo di molti attivisti per la giusti-zia sociale e sostenitori del multicultura-lismo potrebbe in realtà aver accresciutoin molti il desiderio e la volontà di dire efare cose non politicamente corrette. Dauna ricerca di Simon Hedlin e Cass Sun-stein, emerge che alcune persone respin-gono una politica o un’azione, anche sechiaramente nel loro vantaggio, quandosi sentono spinte o costrette a prendere ladecisione “giusta”.

Trump, che prende a pugni il politi-camente corretto, e per questo viene san-zionato moralmente, demonizzato daisuoi avversari e dai media, rappresentaun riscatto per quanti non ne possonopiù di sentirsi istruiti su come “non stabene” pensare, parlare o comportarsi, equindi si immedesimano in lui. Non sitratta di condividere questa o quella suaproposta, o l’intero suo programma. Inpolitica non c’è legame più difficile daspezzare dell’immedesimazione, dell’em-patia, tra un leader e i suoi elettori. Ladichiarazione del presidente Obamasulla strage a Orlando, in Florida, epu-rata da ogni riferimento alla matrice isla-mista dell’attacco, è il tipico esempio delpoliticamente corretto contro il quale siribellano Trump e suoi sostenitori.

Tornando al di qua dell’Atlantico, sulconsenso alla Brexit, e in generale sulsuccesso dei movimenti euroscettici, non

c’è solo la paura. Anche l’europeismonegli anni è diventato un tabù del politi-camente corretto, tanto da suscitare re-pulsione viscerale in un numero sempremaggiore di cittadini europei, a prescin-dere dai singoli problemi e Paesi. Emble-matiche dell’atteggiamento miope delleelite europeiste sono le parole di MarioMonti, che bolla il referendum britan-nico come “abuso di democrazia”.

La sensazione di perdita di identità,culturale e socio-economica, di fronte agrandi cambiamenti sia demografici cheeconomici alimenta, anche in modo esa-gerato, paure e insicurezze dei ceti medi emedio-bassi. Ma bisogna chiedersi senzapregiudizi se sono totalmente ingiustifi-cate, irrazionali, o se invece trovano unqualche riscontro nella realtà. E se c’è del-l’altro, oltre la paura, ossia una legittimaresistenza culturale e politica, sebbeneistintiva. Si tratta di fantasmi, oppure è incorso da decenni una ridefinizione, daparte delle élite dominanti, di linguaggi ecomportamenti, un processo di imposi-zione di narrazioni, agende, legislazioni,sostenute ricorrendo al politicamentecorretto, sempre più spesso anche a di-spetto di qualsiasi dato di realtà?

Conquistata la piena eguaglianzaformale di fronte alla legge, estirpandoodiose discriminazioni di genere e raz-ziali, è iniziata sia al di là dell’Atlantico,sia al di qua (sebbene con qualche ri-tardo), una lunga fase di politiche risar-citorie, di discriminazione positiva, voltea garantire un’eguaglianza anche so-stanziale. Una legislazione di favore so-stenuta facendo leva sul politicamentecorretto e sui sensi di colpa del restodella popolazione. Che si tratti di mino-ranze o di parità di genere, il sistemadelle quote protette in tutti gli ambiti,dai posti nelle scuole alle liste elettorali,fino ai Cda delle aziende, ne è il tipicoesempio.

Poi c’è il fenomeno della nuova im-migrazione che, sempre per “correttezzapolitica”, viene gestito nel mito del mul-ticulturalismo, dell’apertura delle fron-

tiere e dell’accoglienza umanitaria comeassoluto morale, nell’illusione che un sa-lario o un sussidio, un permesso di sog-giorno o un facile accesso allacittadinanza, magari chiudendo un oc-chio su qualche “intemperanza” da tol-lerare in nome del relativismo culturale,possano bastare a raggiungere una pienae vera integrazione. Queste politichesono o fallite, o ritenute ormai ingiusti-ficate e ingiuste da un numero semprecrescente di cittadini. Vengono vistecome una forzatura delle “regole delgioco”, dei favoritismi o, peggio, comeun tentativo di ristrutturare dall’alto lasocietà.

Nel gioco di tutele e risarcimenti daconcedere alle varie minoranze a colpidi politicamente corretto, risentimenti erivendicazioni reciproche si sono ampli-ficate, anziché placarsi, innescando unprocesso di destrutturazione delle nostresocietà, che rischiano di non essere piùcomunità di individui portatori di ugualidiritti e doveri, ma un insieme di gruppie minoranze non solo “disintegrati”, main competizione tra loro per ricevere pri-vilegi e sussidi dal potere pubblico. Tal-mente tanti gruppi e minoranze a cui èstato riconosciuto un trattamento di fa-vore, o di cui si sono tollerate forme diillegalità, anche gravi, che chi è rimastofuori dal giro dei “favoritismi” si sente asua volta una minoranza, e come talenutre il suo risentimento. Uomini, bian-chi, cristiani ed eterosessuali fanno partedi questa nuova “minoranza”, che nonha bisogno di particolari protezioni, maessendo da decenni additata come re-sponsabile delle peggiori discrimina-zioni, è ora alla ricerca di riscatto,innanzitutto ribellandosi al politica-mente corretto sotto qualsiasi forma sipresenti. Oltre a bollare come populisticicerti fenomeni, e liquidarli come figli diuna paura irrazionale, dovremmo inter-rogarci sui danni arrecati dai professio-nisti del politicamente corretto e dallapigrizia intellettuale della classe politicae del mondo mediatico.

Trump e Brexit: ribellione contro il politicamente corretto

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Cultura

Per il Premier Matteo Renzi, qual è ilfuturo che verrà? Si parte da quello

indicato nel libro del consulente diObama e consigliere di Hillary Clinton,Alec Ross, “Il nostro futuro”, che la Fel-trinelli Editrice ha presentato al PiccoloEliseo, con ospite d’onore il Presidentedel Consiglio, in presenza dell’autore,entrambi moderati dal direttore de “IlFoglio”, Claudio Cerasa. Il libro do-vrebbe rappresentare un’utile chiave dilettura per capire il business della poli-tica e dell’economia e rispondere, in par-ticolare, al quesito: “Quali sono le sfidenel mondo che la politica attuale nonriesce a risolvere?”. Ovviamente, nonpoteva che essere la Silicon Valley il“locus”, la matrice e la pietra di para-gone per un modello di sviluppo dellaquarta generazione industriale dell’Erainformatica.

Abbiamo registrato un Renzi diverso,a suo agio in un confronto intellettuale

impegnativo (impressionante notarecome i tre sul palco sembrassero stu-denti universitari di fine corso, più chepersonalità “arrivate” in politica, gior-nalismo e saggistica!), attento a fare datestimonial più che da Premier, mal-grado le non poche trappole tesigli daCerasa stesso!

Per Renzi, dunque, il libro di Rossemana uno straordinario fascino versoil domani. Con alcune sottolineature po-litiche, da parte sua. In primo luogo, os-serva come nella Ue ci sia un chiarotimore del futuro. Ross, invece, prova atracciare alcuni ambiti futuribili di in-novazione, delineando i nuovi “vincentie perdenti” in questa sfida da lontano,dove i processi produttivi sono globa-lizzati ed a sempre più a bassa o nulladensità di mano d’opera, a causa del-

l’avanzare della robotica industriale. Par-lando dei cambiamenti epocali, Renzinota come oggi - al contrario di ieri -ognuno di noi venga costantemente trac-ciato, a causa dell’espansione dei “bigdata” che comportano sorprendentiaccelerazioni in tutti i campi della co-noscenza. Ma, ci dice in modo consola-torio, che: “Se il mondo che verrà èquello di Ross allora quel futuro è fattoper l’Italia, purché ci si faccia trovarepronti. Noi, infatti, possiamo essere unluogo molto interessante per il mondo didomani. Il discrimine sarà tra chi chiudee chi apre. Vedi il drammatico confrontodi novembre 2016 Hillary-Trump...”.

Renzi, quindi, sostiene che: “Nono-stante i perdenti, e saranno tanti, biso-gna continuare a spingere verso lascommessa dell’innovazione, che rap-presenta il mondo di domani. Alternati-vamente, il futuro sarà fatto di murianziché di piazze... È vero: la classemedia sarà decimata, ma si recupere-ranno immense risorse innovando inmodo da creare nuova occupazione. Ildomani è potenziale opportunità. Leg-gete il capitolo sui robot: troverete unmondo che fra dieci anni è già qui!”. Ce-rasa mette l’accento sulla rivoluzione di-gitale delle “App” (prodotte da singoliche si avvalgono di capitale di rischiodegli investitori e che ne fanno la loro ela propria fortuna!), che rivoluziona il

settore “mondiale” dei servizi, comequello del trasporto individuale privato(“Uber”, per esempio), o l’affitto di case-vacanza per periodi variabili, che solo inGermania ha reso benestanti parecchiemigliaia di piccoli proprietari. Ma Rossnon condivide il parallelo che fa Cerasa(citando Uber e il taxi tradizionale) nelchiedere “Chi, tra i politici moderni,svolge il ruolo innovatore di Uber e chi,viceversa, quello del vecchio tassista?”.

Perché, spiega Ross, un leader è soloun pilota: o finisce fuori strada schian-tandosi contro un albero, o conduce ilsuo Paese nella giusta direzione. Tra iconducenti “virtuosi” l’autore collocaRenzi, Obama e Cameron. Tra gli altri,gli sfascisti, cita Trump e Corbyn. Inte-ressante, peraltro, è la posizione di Renzisul futuro che verrà: “Il lavoro più im-portante è quello del genitore. La poli-tica si deve impegnare per garantire atutti un’opportunità, anziché false cer-tezze come il reddito di cittadinanza.Non si danno garanzie a chiunque,tranne nei casi di vera sofferenza e disa-gio. Il futuro non può essere fatto digrande tranquillità”.

E aggiunge come il suo Governoabbia fatto riforme necessarie per rimet-tere in moto il Paese, per far funzionarela macchina e dirigerla laddove più si in-veste sul capitale umano. “Perché si sgo-mita per entrare ad Harvard? Perché

noi, per esempio, non siamo capaci dioffrire grandi opportunità e attrarre imigliori. Dove vogliamo posizionarel’Italia in un mondo dell’innovazione neiprossimi venti anni? E se fosse Amazona offrire una piattaforma mondiale ainostri artigiani per gli scambi imprendi-toriali? Io non ho un obiettivo numericoper l’occupazione. Contano i risultati,anche se non bastano a compensarel’ansia. Il vero problema dell’Ue è lamancanza di crescita demografica... Lapolitica deve dare una visione per il fu-turo. Per ogni euro messo sulla sicurezzaio dico che ne occorre mettere un altrosulla cultura, perché nel mondo di do-mani la nostra identità si forma dandoalla Ue un senso più profondo della suastoria e delle radici culturali che la ca-ratterizzano”.

Chiudo con la risposta di Ross a Ce-rasa, su “quale tipo di leader sia Renzi”.Un uomo nel Colosseo, un gladiatore, ri-sponde l’autore, partendo dalla sua teo-ria del “Crespuscolo grigio”, dovealligna il limbo rooseveltiano del “Notvictory nor defeat”. Bisogna, ci dice,avere il coraggio di azzardare e assapo-rare un tripudio dopo un fallimento.“Renzi vuole cambiare le cose ed esserenell’arena. E da qui ci sono tante inizia-tive che funzioneranno o potranno fal-lire! L’importante è rimettersi in piedi eripartire”. E vale per tutti!

Renzi, Ross e il futuro che verrà

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