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WWW.DEMOCRATICA.COM F inalmente oggi il Parlamento, dopo che l’avete anticipata a tutti, ha ascoltato i punti della strategia europea multilivello per le migrazioni. Meglio tardi che mai, anche se la realtà è che sono anni, come ricordava l’onorevole Fassino, che l’Italia chiede il superamento del Regolamento di Dublino e di preservare la libertà di movimento dentro lo spazio Schengen, rendendo i nostri confini esterni finalmente una responsabilità europea. Eppure voi avete definito tutto questo una svolta radicale. Mi dispiace deludervi, ma per questo Parlamento non è una svolta radicale, perché ha votato negli anni passati proposte simili a questi dieci punti. PAGINA 3 SEGUE A PAGINA 2 Un’Italia isolata e senza idee va a Bruxelles IMMIGRAZIONE PAGINA 2 La battaglia disarmata di Federica IL LIBRO PAGINA 4 Ora si aprono le cataratte del Dibattito PARTITO DEMOCRATICO PAGINA 5 CON I SOLDI DEGLI ALTRI Reddito di cittadinanza Il premier batte cassa in Europa per finanziare la misura-spot di Di Maio: ma è un trucco. Ecco perché L’avversario di Conte? Si chiama Salvini EDITORIALE/1 Lia Quartapelle n. 216 Mercoledì 27 giugno 2018 “Aprite i porti. Save is not a crime” (sul palco dei Pearl Jam ieri a Roma) I l governo del cambiamento decide di tornare indietro e comincia a farlo proprio dalla scuola che, invece, avrebbe bisogno di guardare avanti, voltando le spalle al passato. Il primo atto, infatti, è stato quello di rinunciare alla chiamata per competenze che era lo strumento per realizzare un’autonomia più forte ed efficace e per rimettere al centro gli studenti e la qualità dell’offerta formativa. Il 40% dei Paesi europei ha sistemi che consentono alle scuole una piena autonomia nella selezione dei nuovi insegnanti. Sono sistemi scolastici che funzionano. Speravamo che il governo del buon senso avesse il coraggio di portare a compimento un processo di riforma che avrebbe fatto bene alle nostre scuole. SEGUE A PAGINA 6 La Restaurazione comincia a scuola EDITORIALE/2 Simona Malpezzi

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Finalmente oggi il Parlamento, dopo che l’avete anticipata a tutti, ha ascoltato i punti della strategia europea multilivello per le

migrazioni. Meglio tardi che mai, anche se la realtà è che sono anni, come ricordava l’onorevole Fassino, che l’Italia chiede il superamento del Regolamento di Dublino e di preservare la libertà di movimento dentro lo spazio Schengen, rendendo i nostri confini esterni finalmente una responsabilità europea. Eppure voi avete definito tutto questo una svolta radicale. Mi dispiace deludervi, ma per questo Parlamento non è una svolta radicale, perché ha votato negli anni passati proposte simili a questi dieci punti.

PAGINA 3

SEGUE A PAGINA 2

Un’Italia isolata e senza idee va a Bruxelles

IMMIGRAZIONE

PAGINA 2

La battaglia disarmatadi Federica

IL LIBRO

PAGINA 4

Ora si aprono le cataratte del Dibattito

PARTITO DEMOCRATICO

PAGINA 5

CON I SOLDI DEGLI ALTRI

Reddito di cittadinanza Il premier batte cassa in Europa per finanziare la misura-spot di Di Maio: ma è un trucco. Ecco perché

“L’avversario di Conte?Si chiama Salvini

EDITORIALE/1

Lia Quartapelle

n. 216Mercoledì27 giugno

2018

“Aprite i porti. Save is not a crime”(sul palco dei Pearl Jam ieri a Roma)

Il governo del cambiamento decide di tornare indietro e comincia a farlo proprio dalla scuola che, invece, avrebbe bisogno di guardare avanti,

voltando le spalle al passato. Il primo atto, infatti, è stato quello di rinunciare alla chiamata per competenze che era lo strumento per realizzare un’autonomia più forte ed efficace e per rimettere al centro gli studenti e la qualità dell’offerta formativa. Il 40% dei Paesi europei ha sistemi che consentono alle scuole una piena autonomia nella selezione dei nuovi insegnanti. Sono sistemi scolastici che funzionano. Speravamo che il governo del buon senso avesse il coraggio di portare a compimento un processo di riforma che avrebbe fatto bene alle nostre scuole. SEGUE A PAGINA 6

“La Restaurazione comincia a scuola

EDITORIALE/2

Simona Malpezzi

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2 mercoledì 27 giugno 2018

A Bruxelles va un’Italia isolata e senza idee

Dunque ci siamo. Domani prenderà il via a Bruxelles un Consiglio europeo che, nelle premesse, si annuncia come decisivo. Sul tavolo dei 28, oltre al bilancio della Ue

e al punto sui negoziati sulla Brexit, anche la questione diventata ormai scottante del-la gestione dei flussi migratori.

L’Italia, che le decisioni muscolari del ministro Salvini in tema di immigrazione hanno reso il centro della bufera – oltre che di pesanti crisi diplomatiche, come quella con la Francia di Macron – si presenterà in Europa con il volto “buono” e i sorrisi af-fabili del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che oggi ha riferito in Aula, come da prassi, sull’importante appuntamento di domani.

L’intervento di Conte ha ricalcato per toni e contenuti quanto già detto al prever-tice a 16 di domenica scorsa, con l’annun-cio roboante di un appuntamento che “può diventare uno spartiacque”. A ben guarda-re la sostanza però, nonostante l’abile con-fezione comunicativa che lo staff mandato da M5S ha cucito addosso al premier, il pac-chetto di proposte che l’Italia si appresta a presentare in Europa appare come un col-

lage improvvisato di cose già viste e sentite, mentre in patria Salvini continua, al con-trario, a usare pugno duro e voce grossa. Un’ambiguità che rischia di esporre l’Italia a una perdita di credibilità e, dunque, a un pericoloso isolamento.

Un esempio su tutti è la richiesta, nel giorno in cui Malta ha dato il via libera allo sbarco della nave Lifeline , di “revisione del Regolamento di Dublino”, perché “le coste italiane sono coste europee” e “il cri-terio del Paese di primo arrivo va rivisto e superato”. Una posizione che appare quan-tomeno curiosa alla luce delle scelte com-piute in Europa solo qualche mese fa da chi oggi è maggioranza di governo, con il voto contrario di M5S e l’astensione della Lega alla proposta di riforma proprio del Rego-lamento di Dublino votata dal Parlamento europeo e che già sancisce, esattamente, le proposte declamate oggi da Conte. L’im-pressione dunque, come rimarcato in Aula da Andrea Romano, è che il governo stia “mettendo in scena un gioco delle parti” e, come rimarcato dal deputato dem, l’assen-za oggi Aula di Luigi Di Maio e Matteo Sal-vini ne è “il segno più chiaro”.

Per dirla con Piero Fassino, anche lui in-tervenuto in Aula per il Pd, “non basta dire ‘prendetevi un po’ di migranti perché noi ne abbiamo troppi’. Bisogna essere asserto-ri di una vera strategia europea”.

Immigrazione

Carla Attianese CONDIVIDI SU

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Il nemico di Conte?Si chiama Salvini

Forse chiamate questo piano una svolta radicale perché lo è per voi, perché voi, lo scorso anno, al Parla-mento europeo, quando si votava la

proposta di riforma del Regolamento di Du-blino, avete votato contro o vi siete astenuti. L’approccio del premier è fatto di negozia-zioni ai tavoli europei, è fatto di obiettivi, è un approccio in sostanziale continuità, ap-punto, con quanto fatto negli anni passati. Il ministro Salvini è un’altra cosa; ama fare la faccia feroce, ama litigare con tutti e poi, quando deve rifarsi di un’autorevolezza morale, non esita a gloriarsi di risultati che non sono suoi, ma dei governi del Pd, che hanno salvato e accolto più di 450 mila mi-granti. Il primo ministro ha dovuto, da su-bito, conformarsi al fatto che il suo ministro dell’Interno ha deciso che in Italia è tornata l’emergenza migranti. Gli sbarchi in Italia dalla Libia, nel 2018, sono diminuiti dell’80 per cento rispetto all’anno precedente, ma a Salvini questo non interessa. Per calcoli di consenso, il ministro ha deciso di raccontare ancora che l’Italia è nel mezzo di un’emer-genza immigrazione, ha deciso di mostrare la faccia inutilmente cattiva del nostro pae-se, ha rimesso l’Italia sul banco degli accu-sati di una crisi internazionale, che non c’è. Ci ha fatto rompere con i nostri alleati tradi-zionali, ha pure avuto delle scaramucce con l’Olanda, quando invece l’Italia, in questi anni, aveva guadagnato il rispetto interna-zionale, in Europa e in Africa, perché aveva tenuto alto l’onore dell’Europa, salvando vite in mare. Finora che cosa ha ottenuto questo Governo? Avete ottenuto la riforma di Dublino? Avete ottenuto che i Paesi euro-pei considerino i confini italiani come con-fini europei? Avete ottenuto che un Paese europeo si è preso un migrante secondo il piano di ricollocamento europeo? Avete ot-tenuto gli hotspot in Libia o la disponibilità di altri Paesi africani a ospitarli? No. L’uni-ca cosa che avete ottenuto è stata di divide-re l’Unione europea, e questa è una respon-sabilità storica. Avete rafforzato quei Paesi, a cui si è aggiunta l’Austria, che chiedono la sospensione di Schengen, che è contrario ai nostri interessi nazionali. Noi chiediamo al Presidente del Consiglio di alzare la voce contro questi Paesi, a Bruxelles, non qui in Aula, come ha fatto stamattina. Vogliamo sentirlo dire, chiaramente, davanti ai suoi colleghi, che, se il gruppo Visegard conti-nua a non accogliere neanche un rifugiato dall’Italia non avranno più risorse europee. Quella del prossimo Consiglio europeo sarà per voi una grande prova, è una prima vol-ta di questo Governo; avete alzato le aspet-tative e verrete misurati su queste aspetta-tive che avete generato. La centralità di un Paese al tavolo europeo non si giudica da quanto urla, si giudica dai risultati che por-ta a casa. Da questi risultati sapremo se voi siete davvero l’avvocato difensore del po-polo italiano o se siete solo capaci di alzare i toni per il dibattito interno, ma sul piano europeo ci avete allontanato da quello che serve all’Italia.

Il presidente del Consiglio in Parlamento ancora generico

Lia QuartapelleSegue dalla prima

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Il governo di Angela Merkel potrebbe cadere sui migranti. Lo scontro tra la

Cancelliera e ministro dell’Interno, e uomo forte della Csu, Horst Seehofer potrebbe portare in breve tempo la Germania a nuove elezioni. A confermare che la situazione è seria è la leader dei socialdemocratici Andrea Nahles, che “non esclude” nuove elezioni. Ma, secondo le accuse rivolte al ministro dell’Interno tedesco dal portavoce di Lifeline, Horst Seehofer starebbe condizionando pesantemente le politiche tedesche. Infatti sembrerebbe che sia proprio lui a bloccare l’accordo, che al momento vede otto paesi

disponibili a dividere i profughi, ma non la Germania. Anche se non ci sono conferme ufficiali, le parole dello stesso Seehofer e del portavoce della Merkel sembrerebbero confermarlo. Il ministro sarebbe favorevole alla accoglienza dei profughi della Lifeline, ad una serie di condizioni, prima fra tutte che la nave non venga più usata successivamente. Mentre il portavoce della Merkel ha confermato che c’è una discussione in corso nel governo tedesco. È chiaro che il ministro dell’Interno, e uomo forte della Csu, Horst Seehofer continua a virare sempre più sulle posizioni di Salvini e del blocco di Visegrad.

E sui migranti la Merkel può saltare

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3 mercoledì 27 giugno 2018

Il primo atto che il governo gialloverde approverà stasera ha tutta l’aria di essere un decreto che cerca di accontentare tutte le categorie. In primo luogo si rimanda la fatturazione elettronica per contrastare il nero dei carburanti, in pratica un regalo ai benzinai che avevano parlato di sciopero. C’è poi la reintroduzione dei vincoli per i contratti a termine, con la Confesercenti che parla di passo indietro e di assenza di dibattito con le associazioni di categoria, al punto da chiedere di stralciare dal decreto le parti relative al lavoro per aprire invece un tavolo di confronto col governo. Di assenza di dibattito parla anche Confindustria che a proposito della parte sul lavoro rivendica l’assenza di “democrazia diretta” nella misura pensata dal governo per la mancanza di un confronto. C’è poi il divieto della pubblicità del gioco d’azzardo, l’eliminazione di una serie di strumenti previsti per contrastare l’evasione e l’elusione fiscale. Che poi, come fanno notare alcuni commentatori, cosa centri tutto questo con la parola dignità non è dato sapere.

Se il dl dignità non parla di dignità

Il trucco di Di Maio. Ecco perché l’Ue non finanzierà la misura M5S

I Cinque Stelle tornano alla carica sul reddito di cittadinanza annuncian-do che si farà entro l’anno e intanto oggi il premier Conte ha fatto inten-dere, nel suo discorso al Parlamen-to, che la misura verrà finanziata

soprattutto attraverso i Fondi europei. È davvero una strada possibile? Ne abbia-mo parlato con l’assessore alla Regione to-scana Cristina Grieco, coordinatrice della commissione Lavoro della Conferenza del-le Regioni, che oggi si trovava a Bruxelles per alcune riunioni legate proprio al tema delle risorse comunitarie.

Assessore, i Cinque stelle sembrano impegnati nel gioco delle tre carte parlando di Fondi europei, dicono che finanzieranno il reddito di cittadinanza quando in realtà quei fondi sono già stati pensati per altri capitoli. Come stanno esattamente le cose?È bene innanzitutto precisare che i fondi comunitari non possono finanziare le poli-tiche passive, ovvero non possono erogare direttamente i soldi ai cittadini come han-no promesso i Cinque stelle in campagna elettorale.

Li useranno quindi solo per aiutare a trovare lavoro?Si, anche se in questo caso è bene sottoline-are come questo già avvenga attraverso il lavoro delle Regioni, che lavorano in stret-to contatto con l’Anpal, l’Agenzia naziona-

le per le politiche attive sul lavoro. Quindi bisogna essere ben chiari quando si dice di voler finanziare il Reddito di cittadinan-za con i fondi europei. Per come l’hanno pensata in campagna elettorale non si può. Pensare inoltre che l’Italia prenderà una quota maggiore del fondo sociale europeo rispetto a quella che ha preso l’anno scorso è abbastanza fantasioso.

Quindi l’Italia non avrà di più, come dice oggi Conte?No, perché il riparto è stabilito su parame-tri oggettivi. Per il momento siamo anco-ra in una fase di programmazione, ma sul Fondo sociale già sappiamo che l’Italia non avrà maggiori risorse a disposizione. I criteri di riparto delle quote sono stati già stabiliti e non sono certo sulla base di quel-lo che chiede Di Maio. Si basano piuttosto sul Pil, a cui saranno aggiunti altre varia-bili come la disoccupazione giovanile. Do-podiché il governo dovrà fare delle scelte politiche: vedremo, ad esempio, se Di Maio avrà la forza nei confronti di Salvini per to-gliere risorse al Viminale aggiungendole al capitolo sociale.

Anche perché la coperta è sempre la stessa visto che bisogna rispettare i parametri europei, come dice di voler fare il ministro Tria.Esatto e per questo il rischio denunciato anche da Catiuscia Marini (coordinatri-ce della commissione Affari Europei della Conferenza delle Regioni, ndr.) è quello di depauperare le regioni togliendo risor-se alle attività che già vengono finanziate, come i centri per l’accompagnamento o quelli per l’impiego. Quanto pensato finora

per il Fondo sociale europeo è infatti lega-to a politiche attive del lavoro, formazione professionale, lotta alla povertà, potenzia-mento dei servizi territoriali, tutte politi-che di competenza Regionale. Se l’intento è di rafforzare e consolidare questi aspetti ben venga, ma bisogna dare il giusto nome alle cose. E non si pensi piuttosto di sposta-re quelle risorse sul reddito di cittadinanza così come è stato immaginato dai grillini in campagna elettorale. A questo proposito oggi sembra che il reddito di cittadinanza si stia allineando alle politiche sul lavoro che sono state già fatte, penso alla Naspi piuttosto che al Rei.Questo è tanto vero al punto che qui a Bru-xelles mi hanno confermato che Di Maio, nei giorni scorsi, ha rassicurato la commis-saria europea per l’occupazione Thyssen sul fatto che le loro politiche avranno una certa continuità con il precedente gover-no. Il punto è che per chi perde lavoro gli strumenti già ci sono. Se poi si vuole dare il nome Reddito di cit-tadinanza a una serie di strumenti come la Naspi, l’assegno di ricollocazione, le po-litiche attive sulla formazione (che già ci sono), è certamente tutta un’altra storia rispetto a quello che è stato presentato an-che in campagna elettorale (vedi i 780 euro a membro per ogni membo di una fami-glia). Insomma, se si vuole rafforzare quanto è stato sulle politiche di inclusione sociale e sostegno al reddito dei disoccupati, in par-ticolare dei più giovani, ben venga. Ma è un cambio di rotta che va sottolineato.

Lavoro

Stefano Minnucci

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Parla Cristina Grieco, coordinatrice della commissione Lavoro della Conferenza delle Regioni

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4 mercoledì 27 giugno 2018

L’allarme Istat e i puntini sulle “i”

Sono dati da analizzare con atten-zione e non da lanciare come un sasso nello stagno. Sono allarmi che suonano in modo strano so-prattutto se diffusi all’indomani delle dichiarazioni del ministro

Castelli sulla sinergia tra governo e Istat. Eppure tutti, ma proprio tutti, dal Corriere della Sera a Repubblica fino al Sole 24 Ore e persino l’Istat, li hanno presentati così. Cor-rendo il rischio di rappresentare una noti-zia molto seria comeuna tragedia.

I dati sulla povertà diffusi e “racontati” ieri come i più alti dal 2005 mostrano ap-parentemente un quadro preoccupante con oltre 5 milioni di persone in povertà assolu-ta nel 2017. A leggere i titoli la peggior cata-strofe degli ultimi 13 anni.

Intanto è necessario spiegare cosa signi-fichi il termine “povertà assoluta” in stati-stica.

La sua incidenza, spiega l’Istituto di sta-tistica, è calcolata sulla base di una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una famiglia con determinate caratteristiche, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile.

Sono classificate come assolutamente po-vere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia (che si dif-ferenzia per dimensione e composizione per età della famiglia, per ripartizione geo-grafica e per tipo di comune di residenza). Gli indicatori vengono inoltre forniti a livel-lo di famiglie e caratteristiche della persona

di riferimento all’interno della famiglia, e a livello di individui, classificati come poveri se appartenenti a famiglie povere.

Tornando ai numeri, in pochi si sono pre-si la briga di analizzarli più nel dettaglio, confrontando effettivamente quella che l’I-stat definisce serie storica e sulla base della quale l’Istituto di statistica è arrivata a con-cludere che nel 2017 si è raggiunto il nume-ro di persone in povertà assoluta più alto da 13 anni a questa parte.

In questo contesto di allarmismo e di pro-paganda quotidiani ci sono poche voci con-trocorrente che anziché sbandierare nu-meri come slogan, li analizzano. Questi numeri ce li spiega in modo impeccabile Luca So-fri: in un lungo articolo il direttore del Post ha mes-so a confronto i dati dif-fusi ieri dall’Istituto di statistica con quelli del-la serie storica, a partire dal 2005. Un confron-to dal quale emergono dettagli rilevanti. Intanto perché si tratta di differen-ze percentuali molto ridotte e che sono necessariamente sensibili di un certo margine di er-rore e approssimazione. Queste piccole differenze calcolate negli anni con metodi diversi sono però state usate per “definire macrofenomeni e tendenze”.

È interessante notare che mentre nel 2017 la percentuale di famiglie in povertà assoluta era del 6,9 (da 6,3 nel 2019), nel 2013 la percentuale era pari al 7,9% (6,8% nel 2012). “La ragione per cui oggi l’Istat dice che quella del 2017 (6,9%) è più alta, è che nel 2014 l’Istat decise di cambiare i me-

todi di rilevazione, ritenendo di averne in-dividuati di più accurati. Campioni diversi, registrazioni diverse dei dati, periodi diver-si”. Una serie storica che però ha dei valori che in sostanza non possono essere compa-rati perché il risultato di modelli statistici differenti, anche se l’Istat ha allineato - non senza ovvie approssimazioni e margine di errore - questi dati rispetto a quelli prece-denti al 2014.

Tutti dati, questi, che sono stati estrapola-ti da un campione di famiglie, un campione certamente ampio ma che non rappresenta

nel suo insieme necessariamente la real-tà del Paese. È da qui che sono sta-

ti estrapolati i “valori record” diffusi ieri, valori più precisi

rispetto al passato, quando si usava il vecchio meto-do di rilevazione - come ha evidenziato Sofri - e forse meno precisi ri-spetto al futuro.

Un altro dato interes-sante che emerge dal

rapporto è che rispetto alla media la percentuale

di povertà assoluta è molto alta tra le famiglie di stranie-

ri residenti in Italia (29,2%). Le famiglie straniere in Italia rappresen-

tano circa un quindicesimo delle famiglie italiane ma la percentuale delle famiglie straniere povere è salita negli anni passan-do dal 23,4% al 28,3% delle passate rileva-zioni. Quindi se la povertà in Italia aumen-ta è perché ad aumentare sono le famiglie straniere povere. Un dettaglio non da poco per un governo che punta tutto sullo slogan “prima gli italiani”.

Povertà

Cosa significa

“povertà assoluta”?Un pezzo di Sofri

fa chiarezza

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Il problema è molto serio ma certi titoli traggono in inganno. Proviamo a dare una spiegazione

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5 mercoledì 27 giugno 2018

Si aprono le cateratte del Dibattito

Dentro e fuori il Pd, si apre e si intensifica un dibattito impor-tante sulle prospettive e sulla natura del partito: dopo l’ul-teriore sconfitta elettorale dei ballottaggi non poteva non es-

sere così. E mentre si attendono indicazioni su cosa dovrà decidere l’Assemblea naziona-le del 7 luglio - l’ipotesi più gettonata sembra l’elezione di Maurizio martina a segreterio a tutti gli effetti e l’indicazione del congresso al più tardi ai primi mesi del 2019 - politici e in-tellettuali si cimentano sul “che fare”.

Carlo Calenda, sul Foglio, ha lancia-to un Manifesto ricco di spunti subi-to elogiato da Pier Carlo Padoan (“E un messaggio forte per il futuro dei

progressisti). L’euro (e l’Europa), la sicurezza, il sostegno ai più deboli, la conoscenza (“Un piano shock contro analfabetismo funziona-le”), la difesa del ruolo dell’Italia nel contesto europeo: sono solo titoli di un programma di quello che per l’ex ministro dovrà essere un Fronte repubblicano i grado di competere con i sovranisti e i populisti. In particolare, sulle misure di sostegno, Calenda afferma che si tratta di “rafforzare gli strumenti come il red-dito di inclusione, nuovi ammortizzatori so-ciali, le politiche attive e l’apparato di gestio-ne delle crisi aziendali in particolare quanto causate dalla concorrenza sleale di paesi che usano fondi europei e i vantaggi derivanti da un diverso grado di sviluppo per sottrarci posti di lavoro. Approvare il salario minimo per chi non è protetto da contratti nazionali o aziendali”.

Di respiro diverso lo scritto di un intellet-tuale esterno e mai tenero con il Pd come

Ernesto Galli della Loggia che sul Corriere della Sera stila un elenco di proposte molto varie e non stretta-mente riconducibili al tradizionale

profilo di sinistra: “Non so, e in fin dei conti m’interessa assai poco, se i suggerimenti fin qui dati possono essere considerati di sinistra. Almeno storicamente alcuni di essi di certo non lo sono. Di una cosa però mi sembra di essere sicuro: che oggi - come del resto forse sempre - per essere di sinistra non bisogna es-sere solo di sinistra”. D’altra parte - sostiene lo storico - c’è poco da fare: la sconfitta di dome-nica disegna “qualcosa di molto vicino a una autentica espulsione dalla storia che significa anche la fine di una storia”. E dunque riparti-re si può ma abbandonando i lidi storici della sinistra e finanche del “progressismo” per co-struire “il partito della nuova opposizione di domani, lontano parente del Pd di oggi”

Arturo Parisi, uno dei padri dell’U-livo e sempre in posizione critica ma vicina al Pd, interpellato da LaPres-se esprime una importante riflessio-

ne (fra l’altro molto apprezzata da Maurizio Martina), premettendo che “i democratici possono salvarsi, dare ognuno cioè un senso alla propria cittadinanza solamente pensan-do al Paese: ricominciando dal chiederci qua-le Italia vogliamo. Veramente. Non per stilare qualche carta dei valori e dei principi da met-tere in premessa a un affrettato regolamento di conti. Non è il Pd che deve essere salvato ma l’Italia e la nostra Repubblica”.

Indirettamente, Parisi replica a chi, come Calenda, vorrebbe andare “oltre” il Pd. Mentre il problema è diverso e forse più complicato. Spiega Parisi: “Se dopo tre decenni dall’inizio

di quella immaginammo come una transizio-ne, il partito è, come oggi ho letto, ancora visto come la continuazione del Pci o giù di lì, se a prostrarci è il mutamento apparentemente improvviso di colore rosso di territori che fu-rono un tempo garanzia di rendite sicure, se i voti che si sono spostati vengono rivendicati e inseguiti in nome di appartenenze senza più fondamento - sottolinea lo stratega dell’Ulivo -, questo vuol dire che il Pd è nato tardi e vec-chio e il ritardo è diventato enorme. Il ritardo sul mondo che ci è cambiato attorno e da noi troppo a lungo ignorato. Le crepe che l’Ulivo cercò di sanare sono nel frattempo diventate voragini”. “Non è ‘oltre’ in una superficie che immaginiamo nota che dobbiamo andare ma è ‘in profondità’ che dobbiamo scavare. Alla ricerca dell’origine delle ansie degli italia-ni per offrire ad esse una alternativa reale a quella reazionaria che sembra ora l’unica in campo”.

Infine, va segnalato lo scritto del di-rettore della rivista Il Mulino Mario Ricciardi, un denso saggio ricco di spunti. Qui ne riportiamo solo uno, critico verso l’ultimo Pd:

“Parlare solo ai vincenti, in una società in cui, molti sono o temono di diventare perdenti si-stematici, è stato un suicidio politico. Un fal-limento che si spiega soltanto con l’incapaci-tà di leggere il reale, di cogliere i segnali che sempre più forti venivano dal Paese. Invece di provare a comprendere le passioni che ani-mavano lo scontento di una parte sempre più ampia della popolazione, la sinistra riformista ha messo in atto un meccanismo di rimozio-ne, ammantando di moralità il proprio rifiu-to”. Il dibattito, ovviamente, continuerà fino al Congresso. Quando sarà.

Partito democratico

Mario Lavia CONDIVIDI SU

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In campo le idee di Calenda. Parlano anche Galli della Loggia, Parisi e Ricciardi

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6 mercoledì 27 giugno 2018

La Restaurazione è cominciata a scuola

Invece ha ceduto su tutta la linea, deci-dendo di riproporre un modello vec-chio dove merito e valorizzazione sono parole inutili che scompaiono dall’a-

genda. Pensano in questo modo di costru-ire opportunità per i giovani? Gliele stanno togliendo.

Per farlo hanno raccontato delle bugie. Hanno detto che la chiamata era diretta e dava ai dirigenti scolastici la possibilità di fare il bello e il cattivo tempo. Non è mai stato così! La chiamata, in realtà, era per competenze e rappresentava uno strumen-to nelle mani dei docenti e non certo dei

presidi per scegliere la scuola più adatta alle proprie capacità e attitudini professionali. Inoltre, la chiamata per competenze era an-che un modo per offrire agli studenti docen-ti motivati e non quelli assegnati attraverso una graduatoria.

Il governo del rinnovamento si è trasfor-mato nel governo dell’invecchiamento per-ché ha deciso di rimettere in piedi un siste-ma nel quale si dà valore esclusivamente ai punteggi, alla anzianità di servizio e alle assegnazioni automatiche alle scuole, sen-za tenere conto delle loro necessità . Hanno deciso di togliere la spinta propulsiva all’au-tonomia e di rinunciare alla valorizzazione dei docenti, penalizzando, soprattutto, quel-li più giovani. Quale strada per loro? Quale strada per il futuro per l’istruzione italiana?

Noi, al contrario, crediamo nella scuola che si fonda sul merito, sul potenziamento e lo sviluppo delle competenze. Il gover-no no e guarda a un tempo passato che ci porta lontano da un mondo che va veloce e che chiede agli studenti di essere sempre piùformati, preparati e aggiornati. Noi ab-biamo scelto la strada dell’innovazione, loro hanno scelto quella della restaurazione. Noi abbiamo scelto le riforme, loro hanno scelto il consenso. Queste decisioni le pagheranno i ragazzi, le famiglie e i docenti più giovani che resteranno ai margini di una realtà che si rivoluziona ogni giorno e che impone di investire su scuola, formazione e innovazio-ne.

La Restaurazione è cominciata a scuola.

Simona MalpezziSegue dalla prima

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Il libro

“Un libro che si divora. Un libro che fon-de conoscenza ed esperienza sul cam-po. Un libro che illumina la realtà, per-ché Federica ha fatto questo: ha portato luce, dove luce non c’era.” Così Luciano Nobili, ha aperto la presentazione del li-

bro “A mano disarmata” (BaldiniCastoldi) di Federica Angeli, che ha organizzato alla Camera, a Palazzo San Macuto, insie-me a Stefano Costantini, ad Alfonso Sabella e a Marco Minniti. “Una promessa è una promessa ha raccontato “L’avevo fatta a Fe-derica quando aveva partecipato ad una mia inaizativa in campa-gna elettorale: se mi avessero eletto l’avremmo presentato insieme proprio qui, accanto alla commissione Antimafia. Perché Federica ha fatto domande che tutti si erano dimenticati di fare. E ha avuto il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Ha chiamato mafia quello che era mafia”.“Un titolo folgorante, disarmante, in contrasto ad un una realtà che vorrebbe che tutti rispondessero a mano armata” - per Marco Minni-ti - “la sfida di Federica Angeli è stata quella di raccontare una storia umana”.“Nella democrazia dei governi anonimi, guidati oggi da un anonimo esecutore, Federica diventa protagonista di un romanzo che raccon-ta il professionismo di eccellenza che oggi rappresenta l’eccezione - rivendicando la normalità - imbattendosi in un racconto, decisivo per la sua vita, che comincia con un impegno civile e morale che ri-schia di diventare un vero e proprio incubo”.Federica è una professionista e nulla vuole avere a che fare con l’es-sere un’eroina, quella che nell’immaginario collettivo sta al di sopra, che si distacca dal resto. Lei no. E lo si nota da uno dei dialoghi col marito riportati nel libro, che Nobili decide di leggere. Il marito le dice che forse è il caso di fermarsi. Che ci sono i loro figli di mezzo. E in quel momento Federica gli risponde: “Amore guarda-mi bene negli occhi. Ci sono stati degli spari. Immagina questa scena tra dieci anni, con i nostri cuccioli ormai grandi. Loro rientrano dopo una serata con gli amici e sentono gli spari sotto casa. Ci pensi se un

proiettile dovesse ferire uno di loro? Cosa gli diciamo poi? Guardate che siccome dieci anni fa la mamma sapeva che con-tro di loro non si vinceva, si è rimessa a dormire? Questo gli raccontiamo? No, io non sono così. Ora scendo, vado a pren-dere informazioni e scrivo un articolo per denunciare tutto quello che ho visto. Voglio scegliere. Devo poter scegliere di non essere come loro. E’ per i nostri figli che dobbiamo farlo, lo capisci?”.Lei rassicura i suoi bambini, che vedono gli Spada sotto casa e pensano siano suoi spasimanti, racconta loro che i ragazzi della scorta sono autisti in palio al giorna-le per il pezzo più bello.Tra gli applausi per le parole che ha rivol-to ai suoi figli, Nobili la ringrazia anche perché in questo libro racconta cosa vuol dire vivere sotto scorta. Racconta che non è un premio, come vergognosamente di-chiara un Ministro dell’Interno come Sal-vini che soffia sulla paura e si permette di ipotizzarne la revoca a uomini che si

sono esposti nel coraggio della denuncia del malaffare, come Savia-no, a cui la sala rivolge un caloroso saluto.“Eppure è di sorprendente coraggio, perché impatta, all’inizio - con-ferma Sabella, ex sostituto procuratore del pool antimafia di Paler-mo ed ex Assessore alla legalità del Comune di Roma con delega su Ostia - “con quello che viene considerato un tema totalmente nuovo: la Mafia nel “mare di Roma”. Che sì, viene fuori per via di una testa-ta, quella che ricordiamo tutti, a Daniele Piervincenzi, e che sfocia in una aggravante - considerata dai più arrogante - di associazione di stampo mafioso. Ma ecco la Procura, che “gioca in attacco”, e fa Stato”.Ed è lì che finalmente si riconosce anche il ruolo del Partito Democra-tico. É la stessa Federica ad ammetterlo: “Per quanto io non sia mai stata tenera con il PD, gli esponenti del Partito Democratico, a parti-re da quello qui oggi ci sono stati e non mi hanno mai lasciata sola. Come una carezza nel buio”.

Isabella Montagna

“Ai miei figli ho detto: io non sono come loro”. La sfida di Federica

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