Sul Concetto Di Simbolo

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Il simbolo un elemento della comunicazione, rappresentante un concetto o una quantit (come ad esempio un'idea, un oggetto, una qualit). Il simbolo un segno che pu essere di due tipi: convenzionale, in virt di una convenzione sociale; analogico, capace di evocare una relazione tra un oggetto concreto e un'immagine mentale. Ad esempio, il linguaggio parlato consiste di distinti elementi uditivi adoperati per rappresentare concetti simbolici (parole) e disposti in un ordine che precisa ulteriormente il loro significato. I simboli possiedono un forte carattere intersoggettivo, in quanto sono condivisi da un gruppo sociale. I simboli sono diversi dai segnali, poich questi ultimi hanno un puro valore informativo e non evocativo. I simboli si differenziano anche dai marchi, che hanno un valore solamente soggettivo. Etimologia [modifica] La parola "simbolo" deriva dal latino symbolum ed a sua volta dal greco smbolon dalle radici - (sym-, "insieme") e (bol, "un lancio"), avente il significato approssimativo di "mettere insieme" due parti distinte. In greco antico, il termine simbolo () aveva il significato di "tessera di riconoscimento" o "tessera ospitale", secondo l'usanza per cui due individui, due famiglie o anche due citt, spezzavano una tessera, di solito di terracotta, e ne conservavano ognuno una delle due parti a conclusione di un accordo o di un'alleanza, da cui anche il significato di "patto" o di "accordo" che il termine greco assume per traslato. Il perfetto combaciare delle due parti della tessera provava l'esistenza dell'accordo. Nel XVI secolo, il simbolo nella Repubblica di Venezia era in uso come abbreviazione dell'anfora. Differenza tra simbolo e allegoria [modifica] Un simbolo qualcosa di pi concreto, statico, assoluto rispetto all'allegoria. Per esempio, un'aquila pu essere simbolo di regalit, di forza, ecc. Anche un'aquila in volo o in un'altra azione generica spesso ha valenza di simbolo, indipendente dal contesto entro il quale viene posta. Quando invece il contesto basilare nell'interpretazione si parla di allegoria; un'aquila che, all'interno di una narrazione, scenda dal cielo e faccia una serie di azioni significative pu rappresentare un'immagine pi complessa (ad esempio simboleggiava il Sacro Romano Impero e in base alle azioni che pu compiere nello specifico si pu estrapolare una situazione politica specifica). Spesso l'allegoria, nella sua complessit maggiore, ha un'interpretazione "soggettiva", cio legata al tipo di lettura che se ne fa. Il legame tra oggetto significato e immagine significante nell'allegoria arbitrario e intenzionale, a differenza del simbolo in cui piuttosto convenzionale; nell'allegoria non pu essere decodificato in maniera intuitiva e immediata, ma necessita di un'elaborazione intellettuale. L'allegoria comunque sempre "relativa" (al contrario di "assoluta"), ovvero suscettibile di una discussione critica nella fase di interpretazione. Simbolo e significato tradizionale [modifica]

Il simbolo runico Algiz adottato da vari gruppi neopagani Se, come sostiene Ren Alleau,[1] una societ senza simboli non pu evitare di cadere al livello delle societ infraumane, poich la funzione simbolica un modo di relazione tra l'umano ed il sovraumano, sulla interpretazione dei simboli e sul loro impiego da sempre gli uomini sono divisi. Tale atteggiamento spesso dovuto al fatto che spesso l'uomo tenta di trovare un significato ad un simbolo anche se questo non ne ha; pu evocare e focalizzare, riunire e concentrare, in modo analogicamente polivalente, una molteplicit di

sensi che non si riducono a un unico significato e neppure ad alcuni significati soltanto[2]. All'interno del medesimo simbolo vi sono evocazioni simboliche molteplici e gerarchicamente sovrapposte che non si escludono reciprocamente, ma sono anzi concordanti tra loro, perch in realt esprimono le applicazioni di uno stesso principio a ordini diversi[3] , ed in tal modo si completano e si corroborano, integrandosi nell'armonia della sintesi totale. Questo che rende il simbolismo un linguaggio meno limitato del linguaggio comune ed adatto per l'espressione e la comunicazione di certe verit, facendone il linguaggio iniziatico per eccellenza ed il veicolo indispensabile di ogni insegnamento tradizionale[4]. Teorie del simbolo. Studio sulla sociologia fenomenologica, FrancoAngeli, Milano, 2005. Il simbolo tra mito e segno. Statuto ambiguo di una nozione nella cultura greca, in idem, Ermeneutica e metodica. Studi sulla metodologia del comprendere, Marietti, Genova, 1996. ^ Ren Alleau, La scienza dei simboli, Sansoni Editore 1983, Firenze

Simbolo

Simbolo, termine (dal greco symbll, metto insieme) designante in origine le due met di un oggetto che, spezzato, pu essere ricomposto avvicinandole: in tal modo ogni met diviene un segno di riconoscimento. Da questa primitiva funzione pratica il termine ha poi derivato una funzione rappresentativa (uno stare in luogo di), per cui il simbolo si avvicina strettamente al segno, sino talora a confondersi con esso, come accade in particolare nella tradizione filosofica anglosassone da Hobbes a Peirce e poi nella logica simbolica dei neopositivisti o positivisti logici. Il carattere semantico del simbolo per esempio definito da Ch. Morris un segno di pi alta convenzionalit rispetto ai segnali, poich esso prodotto dal suo interprete come sostituto di altri segni di cui sinonimo. In linea generale per il simbolo si distingue nettamente dal segno. Secondo la definizione di Hegel, il segno rappresenta un contenuto del tutto diverso da quello che ha per s, cio tra il segno e ci che esso significa vi un rapporto di reciproca indifferenza e convenzionalit; il simbolo invece pi o meno il contenuto che esso esprime come simbolo: qui infatti il contenuto non indifferente, poich tra simbolo e oggetto simbolizzato si pongono relazioni di somiglianza o analogia (per esempio la bilancia per simboleggiare la giustizia e simili). Nell'uso filosofico il simbolo ha trovato una sua rilevante funzione nel neoplatonismo e nel cristianesimo, secondo le prospettive della teologia mistica. Ogni grado dell'emanatismo plotiniano infatti immagine simbolica del grado superiore. Entro tale contesto si pone anche la differenza capitale tra simbolo e allegoria, differenza che ha influenzato la storia del concetto sino a oggi. Mentre l'allegoria appartiene alla sfera del dire (Lgos) e abbisogna pertanto della convenzionalit linguistica, nel simbolo il significato gi contenuto nella sua mera immediatezza sensibile. Nella dimensione del simbolo pertanto racchiuso uno sfondo metafisico che presuppone segrete affinit, quasi una mistica compenetrazione reciproca, tra il mondo visibile e il divino invisibile. Nella tradizione cristiana il rapporto del simbolo con l'allegoria cosi determinato dal peso volta a volta assunto nella coscienza teologica dall'esperienza della storia. L dove pi forte stata la sua influenza, sia come urgenza della realizzazione messianica (cristianesimo delle origini), sia come coscienza di un'abissale frattura tra l'umano e il divino (mondo barocco, et moderna), il simbolo ha generalmente lasciato il posto all'allegoria, come nell'esegesi biblica figurale (H. de Lubac, Esegesi medioevale, 1959) oppure nell'arbitrariet del significato allegorico barocco (Walter Benjamin, Origine del dramma barocco tedesco, 1928). Il simbolo invece nettamente prevalso negli indirizzi teologici di derivazione neoplatonica, meno inclini a porre al centro dell'incontro fra l'uomo e Dio il problema della storia e della mediazione mondana (tipica la scuola di Alessandria, da Filone a Clemente e Origene, ma poi ancora sant'Agostino, ove il simbolo un mezzo atto a penetrare l'infinita ricchezza dell'unit divina).

Il simbolo nel pensiero moderno. In epoca moderna la tematica teologica trapassa nella riflessione estetica, resasi ormai autonoma. In generale la differenza tra simbolo e allegoria rispecchia la differenza tra estetiche di impostazione classicistica (da Hegel a Lukacs), che nel simbolo vedono realizzata la conchiusa organicit dell'opera, ed estetiche di

derivazione romantica (da F. von Schlegel a Benjamin), che riscoprono l'allegoria, non come freddo e intellettualistico strumento retorico, ma come espressione dell'inconciliabile frattura tra forma e contenuto, arte e realt: tensione che rimanda, come gi nel barocco, a una persistente e non redenta scissione tra storia ed eternit. Alla radice di tale impostazione estetica sta peraltro anche la scoperta vichiana del simbolismo delle umanit primitive, che ha poi trovato ampi sviluppi nell'antropologia moderna (per esempio nella simbolica naturale di M. Douglas), nello studio romantico del mito (J.J Bachofen) e infine nella psicoanalisi di Freud, e nella psicologia del profondo di Jung, in relazione al simbolismo onirico. L'analisi filosofica pi generale del problema del simbolo, anche in relazione ai campi sopra ricordati, stata elaborata da E. Cassirer mediante il concetto di funzione simbolica. Lo spirito umano si caratterizza infatti per la sua capacit di unificare e dar senso al molteplice sensibile in virt di funzioni simboliche originarie quali il linguaggio, il mito, la conoscenza concettuale (Filosofia delle forme simboliche, 1923-29). Pi direttamente riferita all'ambito della logica e del linguaggio comune l'analisi fenomenologica e poi ermeneutica del simbolo, inteso come segno speciale, pluristratificato, contraddistinto cio da un pi di senso rispetto al nudo segno e quindi da una sua irriducibilit alle regole formali e astratte della logica (H. Corbin, M. Eliade, P. Ricoeur, H.G. Gadamer). Il Simbolo nellArte. Mito, segno, arte di Silvia Pegoraro

Quello di simbolo uno dei concetti pi dibattuti nella storia della cultura occidentale. Una delle molte definizioni quella di Paul Ricoeur, che identifica i simboli con espressioni a doppio senso che le culture tradizionali hanno aggiunto alla nominazione degli "elementi" del cosmo... alle sue "dimensioni"... ai suoi "aspetti". (1) Esiste un simbolismo rigorosamente mitico e religioso, esiste un simbolismo onirico, ed esiste un simbolismo poetico, che tuttavia s'intersecano profondamente. Anche senza arrivare, come i romantici, a formulare l'identit di simbolo e arte, non si pu negare che l'arte sia sempre stata, nella tradizione occidentale, un luogo privilegiato per il simbolo. L'essenzialit del simbolo rispetto all'arte dimostrata da tutta la storia delle arti e della letteratura, ma anche da quella dell'interpretazione delle opere: basti pensare all'iconologia di Erwin Panofsky. In realt, l'arte non n produzione di puri segni come quelli della matematica, n semplice riproduzione funzionale di una immagine. L'opera esibisce forme sensibili e significative che sono figure a duplice o a molteplice senso, cio simboli. La pi forte valorizzazione del simbolo nella storia della filosofia si avuta con l'idealismo tedesco, che gli attribuisce uno statuto privilegiato. Lo stesso Kant pu essere considerato un precursore del nuovo concetto di simbolo: nella Critica del giudizio, tale concetto compare in molti passi importanti. Anzitutto nel capitolo 59, intitolato Della bellezza come simbolo della moralit. Il punto di partenza decisivo della riflessione kantiana il discorso sulla rappresentazione ("ipotiposi"). Il concetto di rappresentazione simbolica , secondo Georg Gadamer (2), uno dei pi brillanti risultati del pensiero kantiano. La differenza tra simbolo e immagine qui ricondotta alla differenza tra rimandare e rappresentare: il simbolo non un puro rimandare ad altro; non ha come il segno una funzione indicativa, ma ha una funzione rappresentativa. L'essenza del simbolo puro rappresentare. Ci che il simbolo rappresenta infinito, inesprimibile, seppur comprensibile per evidenza. Nel simbolo ha luogo la coincidenza di sensibile e non sensibile, l'inseparabilit di intuizione visibile e significato invisibile. Esso ha una funzione anagogica e una funzione gnostica in virt della quale giunge nelle vicinanze del geroglifico. L'interpretazione stessa come de-cifrazione fa parte del processo di simbolizzazione. Ma con Schelling che giunge a compimento la conversione del concetto di simbolo in principio estetico universale, attraverso l'istituzione di un nuovo rapporto, di un rapporto privilegiato tra mito e simbolo. Schelling pensa l'arte come "rivelazione, filosofia, religione, mito", e le riconosce un posto nel mondo spirituale che non pu essere paragonato a quello di nessun'altra attivit umana. Egli convinto che ogni autentica opera d'arte nasca quando "si toglie quella muraglia invisibile che divide il mondo reale dall'ideale" e che l'arte non sia se non "l'apertura attraverso la quale appaiono nel loro pieno rilievo le forme e le ragioni di quel mondo della fantasia il quale traluce solo imperfettamente attraverso quello reale". (3) Il testo pi importante per il concetto di simbolo in Schelling quello delle Lezioni di filosofia, tenute a Jena nel 1802-1803, e successivamente a Wrzburg nel 1804-1805. Qui la teoria schellinghiana risulta

compiutamente circoscritta nella misura in cui, per Schelling, la rappresentazione dell'assoluto, che comporta l'assoluta indifferenza dell'universale e del particolare nel particolare, possibile soltanto in termini simbolici. Nella Filosofia dell'arte di Schelling, le determinazioni di mitologico e di simbolico finiscono per trapassare l'una nell'altra. Uno dei caratteri essenziali della modernit assai spesso individuato nella "demitologizzazione" e nella secolarizzazione: in quanto "oblio delle ierofanie (rivelazioni del sacro ndr), oblio dei segni del sacro", essa significherebbe anche, secondo Paul Ricoeur, una cancellazione del simbolo, dato che quest'ultimo va inteso anche come un "segno originario del sacro" (4). Questa de-simbolizzazione sarebbe, secondo Ricoeur, tanto pi irrimediabile se si ammettesse che la modernit significa anche uno sradicamento tendente a far scomparire nell'uomo il sentimento di appartenenza cosmica di cui si nutrono tanti simboli: l'uomo moderno, soggetto a una catena infinita di mediazioni, perde sempre di pi il suo rapporto intimo con la realt e i suoi elementi. In effetti, l'arte del XX secolo percepita essenzialmente come iconoclasta, dunque distruttrice di simboli, poich questi non si concepiscono se non radicati in immagini, come dice molto bene il termine tedesco per "simbolo": Sinnbild. Ma le rivoluzioni estetiche della modernit, se hanno innegabilmente potuto comportare un momento decisivo di de-simbolizzazione, non hanno tuttavia abolito la dimensione simbolica dell'arte. Da una parte, la distruzione dei simboli tradizionali non esclude la possibilit che appaia un nuovo paesaggio simbolico, alla guisa di quella "nuova mitologia" che i primi romantici intendevano creare (5). D'altra parte, la cancellazione dei simboli tradizionali non rimette in causa la simbolicit innata dell'arte, nonostante le molteplici "sdefinizioni" alla quale essa stata sottoposta durante il secolo appena terminato: la dimensione simbolica, lungi dall'essere storicamente circoscritta e definita, forse una dimensione inerente all'essere-nel-mondo, cos come l'invenzione di forme utopiche inerente all'esistenza come progetto, come spiegamento critico di possibilit praticabili per l'uomo. Il simbolo, nell'arte, presenta una struttura ambivalente, che mescola il disvelamento con l'occultamento. Da un lato, dunque, rinvia proprio a qualche cosa che esso disvela; dall'altro, questa transitivit sempre trattenuta nell'immanenza della materia e delle forme. Si pu, a questo proposito, risalire a uno dei significati etimologici di "simbolo", quello di tessera hospitalis: ciascuna delle parti di un oggetto spezzato in due e conservato come pegno dell'ospitalit data o ricevuta, nell'antica Roma. L'ospite poteva cos perennemente ricordare chi l'aveva ospitato, guardando il suo frammento e pensando alla parte mancante di esso. E viceversa, chi l'aveva ospitato, poteva ricordarsi di lui. L'opera d'arte, in quanto fondamentalmente simbolica, unisce una presenza e un'assenza; presenta un'assenza direttamente nella propria presenza, come il frammento nelle mani di ciascuno dei due evoca il suo complemento assente, e, attraverso ci, un'impossibile completezza, una finitudine insuperabile, e un indomabile senso di nostalgia e di mistero. L'ambiguit dell'essere, quale la descrive Merleau-Ponty, indica che esso possiede la struttura del simbolo quale tessera hospitalis: "l'essenza propria del visibile di avere un doppio invisibile in senso stretto, (...) rende presente, per cos dire, una certa assenza" (6). Questi simboli sarebbero allora una sorta di testimonianza di una sacra appartenenza tellurica della materia, del fatto che l'essere, sin nella sua corporeit pi elementare, pervaso da quello che sempre Merleau-Ponty definisce "un logos selvaggio": il sentimento di un legame sacro con la terra e con tutti gli elementi naturali. Mito Platone il primo a designare il mythos come favola e il logos come verit, ma nello stesso tempo, proprio i 16 miti che forgia per illustrare i concetti della propria filosofia costituiscono un esempio di come sia possibile costruire un testo mitico nonostante l'avvenuta perdita della coscienza mitica, sostituita da una disincantata coscienza logica. Nonostante la condanna platonica del mito come "favola", menzogna, si ha l'impressione, leggendo i testi platonici, di avvertire nell'autore la propensione a credere che il mito abbia in comune col logos l'intento di conoscere e spiegare il mondo, per cui il passaggio dall'uno all'altro non sia tanto il passaggio dalla favola alla verit, ma da un modo a un altro di perseguire la verit. L'essenza del mito consiste nella sua tendenza a rappresentare narrativamente il mondo, nel momento stesso in cui si esprime la volont di spiegarlo. Questa spiegazione a cui il mito aspira, al tempo stesso una creazione artistica. Non ancora sorta alcuna barriera tra verit e bellezza, tra scienza e arte, e il mito, in

origine, nasce proprio come sintesi di esse. Ma oggi la creazione artistica, non potendo pi accettare una spiegazione estetica del mondo, tende spesso a rievocare il mito proprio in quanto "menzogna", situandolo su un piano puramente "letterario", assimilandolo alla sfera del fittizio, ed eleggendolo cos a emblema della propria natura dichiaratamente "menzognera" e simulatoria. Segno Nella cultura occidentale moderna la distanza tra segno verbale e segno iconico quasi sempre stata avvertita come irriducibile. Ma forse proprio questo ha reso possibile la continua ricerca di una sorta di Luogo Mitico in cui il visibile e la parola potessero fondersi. Si pensi al sogno di Linneo, di cui il grande naturalista parla nella sua Philosophia Botanica: il sogno di un testo perfettamente, mimeticamente adeguato ed aderente all'articolazione sensibile, visibile dell'albero, pianta, al suo immediato darsi percettivo. Nel XX secolo, il rapporto parola-immagine segnato soprattutto dalla convinzione dell'arbitrariet del segno: questa, intesa nel senso di Saussure, sposta la questione del legame tra segno e referente a quello tra significante e significato, facendo slittare definitivamente il problema della significazione e del linguaggio dalla rappresentazione alla forma. Il linguaggio viene infatti inteso ora come forma di unit differenziali, il cui valore determinato dalla posizione, in particolare sui due assi del paradigma e del sintagma. Tale arbitrariet la stessa che Foucault chiama in causa per Magritte, ed alla base della perdita dello "spazio comune" tra le parole e le cose, che d origine ad una associazione orizzontale delle parole tra loro e delle immagini tra loro, e che gi Duchamp aveva condotto al limite estremo con la trovata del ready-made, legando arbitrariet e indeterminazione fino a dar vita a un nuovo nominalismo: l'arte come nome con cui l'artista battezza l'immagine o l'oggetto. L'arbitrariet del segno, peraltro, si accompagna subito al senso di un divergere della parola dall'immagine, nonch di un divergere di entrambe dal significato stesso. Nel mito, come nell'arte, il concetto si identifica quasi completamente con l'immagine, come sosterr anche Schelling nella sua Filosofia della mitologia. Arte Secondo Giordano Bruno, la vera creazione artistica si fonda proprio su questo procedimento analogico: Per conseguire dunque un'arte perfetta e compiuta, bisogna che tu ti unisca all'anima del mondo e viva unito con essa che, piena di princip razionali per naturale fecondit, genera un mondo pieno di simili princip. E questi principi, (come anche Plotino comprese) plasmano e dan forma a tutte le cose nei semi, come se fossero piccoli mondi. Dal momento che l'anima presente ovunque, (...) per questo in base alla conformazione della materia tu potresti scorgere in ogni cosa, bench piccola e incompleta, il mondo, e a maggior ragione il simulacro del mondo, s che non senza motivo possiamo affermare con Anassagora che tutto in tutto. (7) Il fatto di conferire alla parola uno statuto simile a quello dell'immagine, serve anche a rafforzare la negazione di quest'ultima quale semplice ri-produzione e copia: l'immagine non rinvia tanto a un'equivalenza o rassomiglianza rispetto a un oggetto della realt o della memoria, quanto al prodursi del puro apparire: il luogo di ci che Kant chiama "immaginazione", facolt di far sorgere alla vista, cogliere visivamente una presenza. Riflessioni sulla Simbologia di Sebastiano B. Brocchi La manifestazione pi alta di ogni religione e dottrina, come anche delleredit lasciataci da un sapiente, risiede nella sua simbologia, poich allimmagine allegorica e metaforica vengono affidate le verit pi incomunicabili. Il legame profondo che viene ad instaurarsi tra significato e significante per mezzo del simbolo come un filo doro che unisce la nostra realt a quella iperuranica, il tempo alleternit. Il compito dellermeneuta snocciolare poco a poco, come con i grani di un interminabile rosario di immagini, pensieri, parole, intuizioni e lumi, lonnipresente catena di simboli che riporta le manifestazioni sensibili al loro valore universale, poich ogni cosa, fra quelle che vediamo, simbolo di unaltra, e cos fino a quando si sono abbandonati i significati momentanei, secondari, irrilevanti, le

interpretazioni limitate e limitanti, giungendo ad una comprensione che abbraccia lassoluto. Il simbolo crea un rapporto tra la sorgente originale delluomo e la sua finalit, ossia conduce luomo dalla sua origine al suo termine. Questa origine e questo termine sono entrambi divini (M. M. Davy). http://www.riflessioni.it/simbologia/ Il simbolo nella genesi della mente umana di Gaetano Benedetti

Questo articolo cerca di riassumere in poche pagine lenorme problema della genesi della mente umana. Facilmente leggibile nella sua argomentazione, presuppone tuttavia nella sua intenzione la conoscenza della psicosi e della sua psicoterapia. Presuppone cio il concetto basilare che la schizofrenia origina da un disturbo della simbolizzazione del mondo, e che, a sua volta, la simbolizzazione consensuale del mondo fondata sulla formazione di un simbolo unico e univoco, il simbolo del S; che questultimo sta alla base dellontogenesi umana, come anche, nella variante psicopatologica, della relazione terapeutica. Tale esperienza terapeutica viene riflessa in questo articolo alla finestra della storia e filosofia del simbolo. In questa prospettiva la psicosi appare coma la malattia specificamente antropologica, ove la struttura stessa dellesistenza, e non le funzioni psichiche elementari, viene compromessa. Non ci pu essere nel paziente una vera attivit simbolica senza che si costituisca il simbolo del S: questa nel corso degli ultimi centomila anni di ominizzazione stata la conquista maggiore dellevoluzione biologica e contemporaneamente il grande salto nella dualit della vita psichica. Tale simbolo del S si sviluppa nella storia delluomo, come nel microcosmo della psicoterapia, entro una realt relazionale non ancora interpersonale, ma intersoggettiva, in quanto il simbolo del S nasce nella mente dellAltro, del genitore#,1 del terapeuta, il quale rappresenta nella sua coscienza i fantasmi proiettivi (e anche irrappresentabili) del paziente. Il simbolo nella genesi della mente e nelle psicosi. 1. nota lipotesi secondo cui la stazione eretta, propria degli antropoidi, sia stata la premessa del divenire umano, avendo essa liberato gli arti anteriori dal compito della locomozione e permesso ad essi la manipolazione delle cose; manipolazione culminata, nellepoca paleolitica, nellinvenzione degli strumenti di pietra, il cui uso avrebbe nel corso delle generazioni incrementato sempre pi le funzioni e lo sviluppo del cervello anteriore. Mentre la manipolazione concreta del mondo rimaneva nella preistoria delluomo, dellhomo erectus e habilis, ad un livello modesto corrispondente alla creazione delle prime abitazioni, alluso del fuoco, alla prassi della caccia, si sviluppava nelluomo la simbolizzazione del mondo. Tale simbolizzazione, di portata evolutiva ancora maggiore della manipolazione concreta delle cose, era fondata sulla scoperta della figurazione. Attraverso luso degli strumenti luomo scopriva la possibilit di raffigurare, e non solo manipolare, le cose; di raffigurare se stesso e gli animali come ci mostrano i documenti paleoartistici delle prime culture umane, incisioni sulla roccia, fino poi alluso dei colori nelle splendide raffigurazioni animali da parte delluomo di Cromagnon. Accanto alla raffigurazione visiva si sviluppava, forse ancora pi antica di quella, la raffigurazione verbale, ossia la denominazione delle cose usate e necessarie alla vita, mediante caratteristici suoni gutturali, sfocianti infine nei nomi delle cose. Raffigurazioni visive e raffigurazioni verbali ponevano luomo in una simmetria figurativa ed espressiva con il mondo. Sembra che tale esperienza abbia moltiplicato il senso umano del potere, gi fondato dalla manipolazione delle cose. Ora lutile non era pi costituito dal godimento della cosa costruita o predata, ma lesperienza psichica di poter influenzare qualsiasi cosa rappresentandone la figura (Modell 1968). Cos, secondo gli antichi egizi, la seconda creazione avvenne (da parte del Dio Ptah) dando nomi alle cose . E noi vediamo, gi nei bimbi di tre anni, come essi si indentifichino con le figure adulte pi varie ( il pirata , il poliziotto, il bandito etc.) per sviluppare la propria identit, per scoprire il proprio S proiettandolo sulle possibilit dellesistenza.

Il simbolo, allorigine, era legato allidentit magica della figura creata dalluomo con la figura delloggetto osservato, e in tal modo posseduto dallintelletto artistico. Per identit magica intendo la consapevolezza che fra la figura simbolica e quella obbiettiva esistesse un nesso misterioso di potere. Non credo, ad es., che lantico egizio fosse cos ingenuo da ritenere che la sua barca del sole, costruita e sotterrata per condurre lanima del defunto nellal di l, potesse navigare sul Nilo, ma ho motivo di credere che quella figura assicurasse la realt del viaggio . Allo stesso modo, i cibi offerti per garantire la vita postmortale del defunto era ovvio che non fossero effettivamente utilizzati dalla mummia; essi, in un secondo tempo, non furono pi reali, ma solo raffigurati nella lapide. Tuttavia essi assicuravano la sopravvivenza del defunto, che non era quella strettamente materiale, ma non era tuttavia concepibile senza la conservazione del cadavere attraverso la mummificazione. Il legame misterioso che trasformava la figura nellanima stessa della cosa era il protosimbolo (Werner e Kaplan 1984), la capacit tutta umana di forgiare il mondo intero a propria immagine e somiglianza, che viene proiettata anche nella funzione del Dio. Ecco la prima indiazione delluomo, lavvento dello spirito nel simbolo, la nascita dellHomo Simbolicus, che da pi di un antropologo viene considerato quale la prerogativa essenziale delluomo. 2. Luomo, stato detto pi volte in questo secolo, non solo lHomo Erectus, lHomo Habilis, ma anche lHomo Simbolicus e perci Sapiens. Gi lantica filosofia indiana (nei detti della Rigveda) diceva che la natura delluomo di tipo simbolico: Luomo lunico che sacrifica . Ma cos il simbolo, questo fenomeno psichico meraviglioso, che trasforma nel percorso evolutivo lanimale in una forma storica di esistenza, quella appunto umana? anzitutto il passo successivo alla creazione dellimmagine da parte dellessere vivente. La capacit di creare immagini (visive, acustiche, tattili, olfattive), delle cose-immagini che ripetono le percezioni, da cui esse hanno origine, ma che permettono la sopravvivenza delle cose nella mente, anche quando le percezioni sono scomparse, e costituiscono cos la costanza spazio-temporale degli oggetti, corrisponde al vero inizio di una vita psichica. Senza di esse non potrebbe esserci un mondo interiore; le percezioni esplorano quello esterno, ma esse non costituiscono ancora un soggetto. nel mondo dellimmaginario, del mentale che ci, che altrimenti sarebbe solo un meccanismo neurofisiologico, si configura come un soggetto autonomo. possibile e verosimile che anche gli animali abbiano immagini. Il cane, che dopo una lunga assenza riconosce festosamente il suo padrone, il favoloso Argo, che presso a morire per vecchiaia scodinzola di gioia al ritorno di Ulisse in patria, conserva nel silenzio e nellabbandono la vivida immagine di un partner e sta ad attenderlo fino alla morte. Solo luomo, tuttavia, sviluppa simboli. Ossia la capacit di usare immagini o rappresentazioni come rimando ad altre. Gi nella sfera animale, in quella pi differenziata, come nel cane e nella scimmia, compare il simbolo pi elementare, limmagine di unaltra immagine concreta nel noto riflesso condizionato di Pavlov. Ma solo luomo parla. proprio, attraverso il linguaggio verbale, che unimmagine sonora o grafica, la parola, serve a connotare un tutto, anche ci che non visibile, udibile, palpabile. Nellevoluzione delluomo, i simboli pi complessi sono immagini che rimandano ad immagini molto pi grandi di loro, a complesse esperienze esistenziali, non pi percepibili direttamente nellimmaginario, ma solo nel rimando simbolico: Dio, lUniverso, lAmore. Das ist die wahre Symbolik. dice Goethe, wo das Besondere das Allgemeine repraesentiert. Ci ha una premessa gi nella struttura del tempo vissuto, ove lattimo del presente pu richiamare simbolicamente il passato e il futuro. Fermati, sei bello! dice Faust allattimo fuggente, riassumendo in esso, nel particolare, tutta la visione feconda di un avvenire che da esso emana e che in esso viene anticipata. Nellanimale ci non pu accadere. Lanimale ha una nozione del tempo, come in parte crediamo di sapere, atemporale; esso non indaga il suo passato, non se lo rappresenta; non interroga n prevede il suo futuro; vive in un presente illimitato. La morte una rappresentazione specifica delluomo. Luomo lunico essere vivente che la natura ha privato del vissuto di eternit. Ma la capacit di trasformare unimmagine nellaltra, la creazione del simbolo, ha dato alluomo una eternit pi vasta, come concetto della Trascendenza. Il fatto che nellUomo ciascuna immagine possibile rimanda ad unaltra, diviene simbolo di unaltra (come la rosa diviene il simbolo della donna amata, questa diviene il simbolo della madre, da cui scaturisce la vita, e la madre pu divenire, a sua volta, il simbolo della madre Celeste) rende impossibile alluomo di acquietarsi in un simbolo qualsiasi. Il simbolo, come dice Lacan, ci separa per sempre dallesaudimento completo del desiderio. Se il segno, come afferma Susanne Langer

(1967) si riferisce ad una Presenza, il simbolo si riferisce ad una Assenza. Il simbolo, che rimanda alla cosa, priva luomo della cosa stessa, svestita del suo abito simbolico e non d accesso a quel che Kant chiamava il noumeno: cos linsaziabilit umana, che si distingue dalla fame di ogni altro animale, fonda anche, assieme ad essa, la perenne, cosciente o inconscia nostalgia umana dellesaudimento completo dellideale in Dio. E perci nascono qui le due grandi dimensioni metafisiche delluomo: il Male e il Dolore come conseguenza dellinsaziabilit, come ebbero ben a riconoscere Buddha e Schopenhauer, e lideale irraggiungibile, il quale, come ci dice S. Gregorio Magno, pu essere toccato solo per attimi ( furtim et tenuiter. Non solide sed raptim ). Questa vita spirituale delluomo non comprensibile nei limiti della materia. Ma la materia ne una base: lasimmetria cerebrale sembra stare alla base della nascita del simbolo, nel senso che permette un paragone tra due tracce diverse. Lemergere del simbolo nella mente delluomo primitivo, quale esso appare nelle pitture rupestri, ha permesso la creazione di un mondo interiore, ove le immagini appaiono come risvolti di altre. Bisogna, per valutare limportanza psicologica e culturale di tale processo, riflettere sul fatto, che i nessi simbolici risultanti dallaccostamento e dalla sovrapposizione delle immagini pi diverse, non rappresentano pi, come la percezione, una copia delluniverso, ma la creazione di un secondo universo esistente soltanto nella nostra mente. questa la dimensione fantasmatica del simbolo. A questa si aggiunge quella pi propriamente cognitiva: lemergere del simbolo nella preistoria umana, nella mente ancora povera di una conoscenza scientifica delle concatenazioni causali degli eventi, equivaleva al loro legarsi mentale in certe corrispondenze figurative: fenomeno questo cos essenziale per la strutturazione di uno spazio psichico interno, che certi autori, come C.G. Jung, arrivano a dire che certe rappresentazioni mentali, errate se interpretate come corrispondenti a fatti reali, sono tuttavia vere dal punto di vista di una realt psichica. Lo specchio analogico di nessi simbolici delle cose, delle loro consonanze e somiglianze, forniva la prima chiave per una comprensione olistica, magica delluniverso: chi ne era in possesso aveva gi una funzione sacerdotale; i primordi della scienza stanno, come nellantico Egitto, nelle mani dei sacerdoti. La terza dimensione del simbolo era infine di natura affettiva. Io vedo questultima soprattutto nella possibilit di elaborare il dolore dellesistenza, sempre in aumento con lo sviluppo delle strutture nervose e la differenziazione delle civilt. La simbolizzazione ci aiuta ad osservare eventi che ci turbano o ci avviliscono allo specchio dei simboli di essi, i quali con le loro pi vaste risonanze, che arrivano alle grandi cifre dellesistenza umana, ci permettono di trascenderci. Qualsiasi religione per sua natura simbolica; nessuno vede Dio, in nessuna sabbia impressa la sua orma fuor che nel simbolo. Il fatto fondamentale, comune alle tre dimensioni del simbolo, sempre lo stesso: il simbolo, che pone una successione di immagini in relazione semantica le une con le altre, che collega segmenti semantici a rappresentazioni diverse organizzandole cos in nessi di significati, creando limmagine dellimmagine, innalza e approfondisce lo spazio psichico entro cui si configura lesperienza della vita, aggiunge alla percezione e alla memoria la metafora, lallegoria, la similitudine, la rappresentazione di cose che non si vedono; aggiunge al mondo esterno, introiettato percettivamente e ripetibile nel ricordo di esso, un mondo interno irripetibile senza tale creazione mentale. Qui sta il vero grande salto evolutivo che separa luomo dallanimale, cui sono proprie figurazioni psichiche ancora elementari (il riflesso condizionato pu essere considerato come orimento del simbolo, come una sua primissima e ancora rozza anticipazione) Se a ci aggiungiamo che il simbolo anche un rispecchiarsi di s nellaltro e dellaltro in s; che il S alle origini della vita non preesiste a tale movimento, ma si crea in esso, nello spazio fra madre e bimbo, cosicch lo spazio, il biologico, diviene nellidentificazione storia, tempo; cos il neonato acquista unanima nel pensiero della madre: possiamo allora dire che il simbolo sta alla base del modo di essere dellUomo. 3. Lantichit piena di simboli. Il mito , come il sogno, un grande simbolo, un simbolo che nasce nella veglia. Vediamone un esempio. Il mito racconta che Europa, la giovane figlia del Re di Tiro, Fenice, giocava sulla spiaggia, allorch un toro, in cui Giove, innamoratosi della giovine, si era trasformato, la rap e la port attraverso i flutti del mare sullisola di Creta; nacque a Creta la cultura europea. Gli antichi credevano nella realt concreta dei miti. Eppure ci doveva essere, dietro questa loro ingenua coscienza, il pensiero inconscio che animava il mito; pensiero che noi oggi potremmo formulare come la consapevolezza che un grande movimento culturale nato sulle sponde dellAsia minore e dellEgitto, per duemila anni si era sviluppato verso il nord, verso Creta, Cipro, le isole dellEgeo, le coste dellAnatolia, il mondo miceneo e greco. Perch il bisogno delluomo di raffigurare in simboli i pensieri astratti, le esperienze della storia e anche gli

avvenimenti quotidiani? Gi il sogno ci mostra questa continua traduzione di informazioni, formulabili razionalmente, in immagini e ci sono prove che la traduzione avviene anche in senso contrario, dalle emozioni, alle immagini, ai pensieri (Bucci 1997). Le immagini che nascono dalle immagini emanano da un sistema analogico proprio della struttura della nostra psiche e del nostro sistema cerebrale: il sistema analogico ha la propriet di duplicare le immagini cos come in origine il neurone si duplicava in senso biologico attraverso la mitosi. Il duplicato psichico, che sostituisce quello fisico (Jouvet 1994), linizio della vita psichica, la quale ha forse la sua culla proprio nel sogno. Sebbene non conosciamo un uomo presimbolico, possiamo tuttavia speculare sulla genesi evolutiva del simbolo, intravedendo tre grandi direzioni di sviluppo filogenetico della mente umana: Luomo preistorico sta ancora agli albori della coscienza razionale, cos come luomo che sogna. Non comprende razionalmente ci che noi comprendiamo. Crede nella realt concreta dei miti. Non scorge dietro ad essi ci che noi oggi chiameremmo il loro significato. Il significato tutto dentro limmagine stessa, la quale allora lunica espressione possibile del significato. Questultimo deve essere anche presente nellInconscio. Cos come nei sogni. La verit appariva anzitutto, nel corso dellevoluzione, traverso limmagine, e ancor oggi un detto del Talmud ci dice che essa non venuta nuda nel mondo, ma vestita del velo del simbolo. Cos noi abbiamo appreso a pensare da piccoli: per immagini, accanto alle rivelazioni sensoriali, da cui, pensando, non potevamo allontanarci. In questa fucina di immagini, prima fra tutte il viso della madre che ci amava, ci chiamava per nome, ci immetteva nel suo mondo simbolico. Attraverso di lei il nostro S sviluppava il suo primo simbolo, limmagine del S, limmagine di tutte le immagini del S che si andavano creando traverso le prime interazioni sociali. Ladesione della psiche primitiva al mondo delle immagini, che pu apparire al pensiero razionale come una limitazione del pensiero stesso, era tuttavia un atto di liberazione: perch sostitutiva alla concatenazione causale dei segni, quali essi vengono percepiti gi dagli animali superiori, il regno del possibile, della fantasia, della creazione della mente umana. Luomo costruisce il suo mondo, non solo lo percepisce. Il simbolo rappresenta cos la possibilit del S di moltiplicare le immagini di se stesso e del mondo attraverso le sue variazioni pressoch infinite. Vediamo questo nei sogni, ove ad esempio un qualsiasi contenuto mentale, ad esempio una miseria esistenziale di qualsiasi genere, pu apparire come prigione, muro invalicabile, fosso, pantano, tomba etc. La sempre maggiore strutturazione della psiche nel corso dellevoluzione ha permesso il costituirsi del sistema analogico come modo di auto-costruzione ed auto-riflessione. Il dolore della vita, che aumenta in profondit di pari passo con la complessizzazione dellanimo umano, trova cos nellopera della simbolizzazione una maggiore possibilit di elaborazione, non solo perch esso, attraverso i grandi simboli dellesistenza, viene trasmutato, ma anche perch esso nelle immagini oniriche della vita quotidiana viene riflesso, guardato dallIo dormiente che nello stesso atto del guardare si pone al di fuori. Origine del simbolo Esiste una situazione fondamentale, in cui vedo originarsi il simbolo: il sogno e lallucinazione nellincontro psicoterapeutico. Prima di sviluppare questo pensiero e riconoscerne il suo germe nellontogenesi umana, desidero dare qualche immagine immediata del mio discorso. Tre esempi. Un paziente, che si sente perseguitato da voci estranee, che sembrano erompere dalle viscere della terra e dagli angoli pi remoti del cielo, ascolta improvvisamente la voce del suo terapeuta, che nel sogno gli dice: non temere; va nel giardino e odi le voci degli uccelli; sono la voce di Dio. Egli non sa distinguere: il suo terapeuta che gli parla oppure il suo nuovo S, che, nato nellincontro psicoterapeutico, si afferma vittoriosamente nella lotta contro la psicosi e trasforma la persecuzione in una benedizione? Un altro paziente sogna che uninterpretazione del suo terapeuta, la quale gli mostra la sua vera identit, altrimenti contraffatta dalla psicosi, un raggio di sole, che penetra la sua abitazione non da una finestra, ma dal tetto in gi fino al sottosuolo. Egli si sveglia con la domanda: Era il messaggio del mio terapeuta o il mio nuovo S, che venuto ad annunciarsi come un raggio di sole? . Un terzo paziente sogna di un agnello incatenato, presso a morire di fame e di sete. Egli lo slega, gli d da bere e da mangiare; improvvisamente non sa: lui lagnello o il salvatore di questi? E chi questa persona che slega lagnello e lo nutre: lui o il suo terapeuta? Vediamo in questi sogni come il soggetto del sognatore si apprende nello specchio delloggetto terapeutico: anzitutto si identifica con esso e trae da tale identificazione la sua virt essenziale, la sua forza di vivere; in

seguito si distingue da esso, si delimita come persona proprio nellincontro che lo fa divenir persona. Noi abbiamo chiamato soggetto transizionale tale immagine del S che anche immagine di un Tu, nel cui viso il S si riconosce e si crea; abbiamo anche detto, nelle nostre opere, come il soggetto transizionale in un primo stadio, ancora pre-simbolico, non pienamente cosciente di s, non si pone ancora la domanda chi sono io?, ma anzitutto esiste prima di riflettere sulla propria esistenza. poi nellavvento della piena guarigione che la relazione inter-soggettiva diviene interpersonale, nel momento in cui non c solo lidentificazione, la fusione, la simbiosi, ma anche la distinzione, la differenziazione, la personazione. il simbolo del S che qui nasce, quel simbolo che permette al S di riconoscersi, di essere Soggetto, e di creare quindi, con la riflessione, il proprio S-Oggetto.#2 Ho denominato con diverse metafore tale processo, parlando di simmetria dualizzante, che trasforma la confusione psicotica, fonte di sofferenza, perch senza possibile ricezione sociale, di simbiosi terapeutica, in cui il terapeuta col suo Inconscio si identifica col suo paziente, attraversa nei suoi sogni i paesaggi psicotici del suo paziente, veste i suoi vestiti, porta i suoi carichi, viene chiamato col suo nome. A differenza del paziente, che allinizio costruisce inconsciamente la sua identit nella nicchia dellidentit altrui, il terapeuta lo precede nella creazione del simbolo, in quanto si riconosce come il vicario del suo paziente, il suo compagno di viaggio e realizza cos sin da principio la complementarit soggetto-oggetto Si tratta di una complementarit in cui loggetto non solo il contenuto percettivo, ma la base stessa della percezione. Questo dunque il simbolo: una simmetria che si costituisce nella asimmetria e che permette quella distinzione, che nellontogenesi umana anche individuazione. La nascita del S e precisamente del simbolo del S nellincontro psicoterapeutico, in quella fase cruciale, che il ponte fra la dissoluzione psicotica del S e la sua ricostituzione nella dualit, mi permette di ipotizzare quanto segue. Primo: non esiste distinzione fra nascita del S e nascita del simbolo. Il nostro concetto di simbolo del S abbraccia ambedue, nel senso che il S non emerge alla coscienza se non come simbolo del S, ossia come capacit egoica. un fatto che la rifondazione dellIo e del simbolo del S equivale nella psicoterapia della psicosi schizofrenica alla ricostituzione dellattivit simbolica del soggetto. Mentre nello stadio di confusione psicotica, il legame tra le cose e le parole, fra gli oggetti e le loro rappresentazioni verbali, va perduto (per cui le parole vengono confuse con le cose), si instaura, con la rifondazione del S, anche la normale attivit simbolica. Mentre, cio, i cosidetti simboli schizofrenici non sono altro che protosimboli, non permettono cio quella distinzione fra limmagine simbolizzante e la cosa simbolizzata, viceversa lemergere del simbolo del S va di pari passo con la ricostruzione simbolica del mondo; di un mondo, che non pi penetra, scinde, dissolve il soggetto, ma viene invece posseduto cognitivamente. Secondo punto: possibile dedurre da ci qualcosa di fondamentale, che riguarda tutta lontogenesi umana? Sappiamo ben poco della vita interiore del neonato, che non pu verbalizzarla, ma una cosa mi sembra emergere con chiarezza da tutte quelle ricerche, che da Margaret Mahler (1975) vanno fino a Daniel Stern (1985): quella integrazione di simbiosi postnatale e di individuazione, che permette di osservare i fenomeni sia dal punto di vista della simbiosi, come ha fatto la Mahler, sia dal punto di vista della precoce emersione del S, su cui si sono appuntate le ricerche e le osservazioni di Stern. Simbiosi e distinzione: ecco la natura, la struttura del simbolo. Nel momento in cui il bimbo si percepisce nel viso, nel sorriso, nel gesto della madre, abbiamo quella identificazione con il mondo che mai cos completa, felice, indubitabile come nella esperienza post-natale (a cui forse, secondo la teoria di Rank, regredisce lartista, il quale esperisce la sua opera darte contemporaneamente come espressione di s e rivelazione del mondo). Ma nel momento stesso in cui questo bimbo percepisce la gratificazione dei suoi bisogni vitali come dipendente da un altro (ed esperisce tale dipendenza in modo cos totale come mai negli anni successivi), egli apprende in modo fondamentale la distinzione fra S e Non-S. Il S buono, accettato, amato non dunque la madre, ma il suo simbolo, il simbolo dellamore materno, che contemporaneamente il simbolo positivo del S. Ecco come dunque abbiamo la nascita del simbolo umano nel primo e fondamentale rapporto duale, che struttura lintera esistenza. Lorigine ultima del S, che ci appare nei sogni e nellincontro psicoterapeutico come fucina di simboli, in ultima analisi ha la sua base nella strutturazione psichica delluomo, nella relazione, nella dualit. Conclusione Da qui limportanza della partecipazione del terapeuta al mondo psichico, presimbolico del sofferente

psicotico. in tale partecipazione, fatta di tempo, pazienza, ascolto, interesse, simpatia, proposta, messaggio, interpretazione, fantasia, arte, che il protosimbolo psicotico viene trasformato nel simbolo comune, e che in questo modo si crea nel paziente il simbolo del S, il ritrovamento di s stesso, la scoperta della propria identit, e cos la trasformazione dellintersoggettivit (ove la relazione ancora intrapsichica, fantasmatica, affidata ad immagini che precedono la consapevolezza della propria persona e di quella terapeutica) nella interpersonalit. IL SIMBOLO

Il termine "simbolo" offre notevoli spunti di riflessione sia dal punto di vista semantico che dal punto di vista contenutistico. E l'inizio di uno studio - che del resto si basa per gran parte sulla steganografia - non pu in alcun modo prescindere n dall'uno, n dall'altro. IL SIMBOLO COME SEGNO Il primo approccio alle problematiche dell'esoterismo costituito dalla individuazione e definizione dell'oggetto della ricerca. Mi sono accorto, per, che si possono individuare modi diversi di definire la tematica della quale mi vado ad occupare:

Il primo concerne la mancanza di univocit. Nel senso che viviamo praticamente immersi nei simboli; il concetto di simbolo viene normalmente utilizzato in una vastissima gamma di sfumature e campi (dalla matematica all'astronomia, dalla chimica alla fisica, dalla religione alla magia e cos via); tuttavia esistono solo definizioni descrittive o storico-descrittive.

Ne costituisce un esempio la definizione classica di un'enciclopedia la quale mi dice che la parola "simbolo" deriva dal greco (sun-bolon) e ci parla "della riunione di due parti di un oggetto spezzato, ciascuna delle quali ha la capacit di ricordarci l'oggetto originale". Ad esempio il Gabrielli (nel "Grande dizionario illustrato della lingua italiana", Milano, 1980) ci dice che "...nell'antica Grecia il simbolo indicava ciascuna delle due parti spezzate in un oggetto che due contraenti si cambiavano e che, ricongiunte, consentivano la perfetta ricostruzione dell'oggetto e quindi il riconoscimento dei due possessori. Nelle religioni misteriche costituiva la formula grazie alla quale gli adepti si riconoscevano." Ne ho ricavato l'impressione che servirsi di una siffatta definizione, ha senz'altro un valore storico. Ma, in sostanza, si risolva in una tautologia: il "simbolo" ci che "simbolo"! E questo mi sembra assolutamente abnorme. Chiaramente non sono qui a contestare in assoluto la validit sia dell'aspetto storico che di quello descrittivo: intendo unicamente sottolineare la loro scarsa utilit relativa al fatto che debbano essere assunti come elementi esteriori di primo approccio ad un problema che non solo di semantica. Tuttavia possiamo tentare un primo approfondimento, ma solo partendo proprio dalla semantica a patto di renderci conto che la "parola", il "suono" sono essi stessi "simbolo" di un diverso livello di realt. Il discorso, in questo senso, va riportato nell'ambito generale del simbolismo, per cui la parola deve cessare di essere unicamente il prodotto di una "convenzione" che ha utilizzato quel suono, in luogo di un qualsiasi altro. E ci al di l della valutazione di un suo significato intrinseco. Se riteniamo valida questa premessa, possiamo cominciare a pensare alla nostra parola in termini steganografici. Con il tempo mi sono infatti convinto questa proposta sia l'unica che si adegui perfettamente al pensiero esoterico ispirato al suo principio fondamentale del "Cos in alto, cos in basso", dove il microcosmo lo specchio del macrocosmo e dove la "parola" specchio del "Logos". SEMANTICA DEL SIMBOLO Ci posto, mi sembra evidente la parola "simbolo" sia esso stesso "segno" di un livello di realt superiore. Sotto questo profilo mi sembra abbastanza secondario il fatto che la parola derivi dal greco (sumbol-on) e che ci sia arrivata attraverso il latino ("symbol-us" o "symbol-um"), perch questo aspetto non mi sembra esaustivo rispetto alla realt che rappresenta.

Preferisco allora procedere a ritroso nell'analisi strutturale risalendo alle radici e fonemi elementari ritenendo la parola una "scrittura misteriosa" (steganogramma). Mi accorgo allora, che il termine - frettolosamente incapsulato in una definizione - assume quella ricchezza di significati che fanno del "simbolo" il "Simbolo" per eccellenza. Nei due termini che compongono il sum-bol-(on) e cio il sun e bol (da bal-lw, con le sue radici bla, bal e bol) noto innanzi tutto la presenza di due fonemi (sun e bol) a carattere ternario che sono di per s indicativi (segni) di una realt superiore, rafforzato dalla reiterazione. Ma non basta. Infatti il primo termine (sun) comprende tre segni apparentemente diversi ma identici nella sostanza. Essi sono:

il segno del sigma S (S) = che indica unione, aggregazione (sommatoria); il segno dell'ipsilon U (Y) = che indica la dualit che si unisce nell'unit (la matrice il triangolo equilatero capovolto); il segno del N (ni) che, coricato, indica la relazione tra due realt diseguali al contrario dell'H (eta) che indica relazione di due realt uguali.

Il secondo termine (bol), che ho affermato corrispondere alla radice "BLA" o "VLA" (1) ancor pi intenso e drastico nella sua concisione. In esso infatti ritrovo:

il segno dell'ipsilon U ripetuto: una volta diritto nella forma del = digamma (= doppio lambda) ed una volta capovolto nella forma del lambda: L; il segno dell'A (greco alfa) o (ebraico aleph, arabo alif) che , al tempo stesso, U capovolto e A, cio inizio, principio, che suggella la parola e la conclude.

D'altra parte la doppia ripetizione del carattere triadico mi induce a tentare una rappresentazione grafica che, meglio di tutte, rappresenta e riassume il concetto. Essa consiste del segno geometrico, tipico dell'esoterismo, del doppio triangolo equilatero, unito per le basi, che riproduce ai due estremi (A-A) i simboli della creazione e della conoscibilit:

Ne traggo l'impressione che il termine simbolo, nella sua ossessiva ripetitivit strutturale di unione alla divinit, voglia suggerire all'adepto che esso costituisce l'unico veicolo di percezione dell'Assoluto il quale, fuori dell'adepto, resta inesprimibile e inconoscibile. Queste notazioni si completano con alcune riflessioni:

La prima quella della rottura dell'unit originaria e dell'avvenuta separazione del microcosmo dal macrocosmo. questa separazione che ha dato origine al caos (o mancanza di luce) primordiale. Il caos costituisce l'ante di ogni cosmogonia e da esso sgorga la creazione, come prodotto del Logos. Il caos , quindi la prima manifestazione dell'oggettivizzazione dell'Assoluto, dell'alterit del macrocosco rispetto al microcosmo. Un'immagine del fenomeno pu essere ottenuta, piuttosto che leggendo sumbol, compitandolo come s-u-m-b-o-l, dove ogni "segno" (= lettera e suono) mantiene i caratteri del logos originario, del "fiat" iniziale.

Ne seguir la riunione, la ricostituzione del microcosmo nella complessa realt del macrocosmo. Il grafico sopra riportato, sembra suggerirci che il "simbolo" nell'esoterismo un segno, oggetto di

percezione capace di introdurre l'adepto in un livello di realt a cui il simbolo stesso legato da un nesso ontologico, ma tale che agli altri appaia unicamente convenzionale (2). Ma ne consegue ancora che, sotto un profilo teleologico, al simbolo sia assegnata una funzione suppletiva perch rappresentativo (= fa le veci) di una realt altrimenti inconoscibile ed inesprimibile. E, in sintesi esso costituisce, cos come stato affermato dal neoplatonismo plotiniano, l'unico modo possibile di considerare l'Assoluto ed il rapporto che lega il Creatore al creato, il Pensiero al pensato, il Logos alla parola. , in conclusione, evidente il motivo per il quale mi sono rifiutato di considerare il simbolo limitato in una definizione descrittiva, limitativa e tautologica. Il simbolo che amo concepire mi sembra destinato ad operare su un "rapporto" e, per sua natura, deve essere dinamico (non statico come nell'allegoria) (3) s da assumere quella enorme ricchezza di contenuti che lo fanno diventare il mezzo pi appropriato di espressione dell'esoterismo. Paradossalmente potremmo dire che il "simbolo" del "Simbolo" il geroglifico dell'acqua espressione stessa della vita e del mutamento.

La combinazione del predetto geroglifico e del triangolo equilatero mi sembra che vada ad indicare l'ordine che emerge dal caos informale, l'atto della creazione. E non un caso che il triangolo (ossia il monte) abbia una particolare collocazione in tutte le religioni (sia misteriche che non): difatti il monte, come parte pi alta, il punto fisico pi vicino all'alto esoterico e corrisponde ad un vero e proprio collegamento tra Creazione e Creato (4). Questo rapporto, tra alto e basso, si svolge ed opera a due livelli:

il primo quello necessario tra assoluto e contingente, tra alto e basso, tra macrocosmo e microcosmo, che consente la percezione dell'Assoluto altrimenti inesprimibile; di questo il simbolo svolge, come gi detto, una funzione vicaria e in un certo senso suppletiva (basti pensare alla collocazione del Bodhisattva induista, ma soprattutto al simbolismo della scala di Giacobbe, del carro di Ezechiele ecc.). il secondo quello eventuale, legato agli esseri del mondo sensibile.

Il simbolo non per questo muta nelle sue caratteristiche. Tuttavia, nella sfera del sensibile, quando manca la comprensione immediata della realt rappresentata o quando si rende necessaria una riflessione per conoscerla, il segno assume piuttosto i caratteri della allegoria. L'allegoria presuppone, al contrario del simbolo, l'eterogeneit dei soggetti che utilizzano il segno ( questo il campo proprio di operativit del mito anche se pure nel mito avvenimenti e personaggi possono assumere il significato del "segno-simbolo" di una diversa realt). Nel primo caso il simbolo svolge un ruolo essenziale consentendo la trasmissione e l'accesso ad una profondit spirituale non altrimenti rappresentabile, ma permette anche di parlare a diversi livelli di percettibilit a una pluralit di soggetti pi o meno eterogenei. Nel suo contingente il simbolo assume la duplice veste di mezzo di trasmissione di una conoscenza (rapporto "esoterico-iniziatico") o di vero e proprio "segno" di identificazione nel senso etimologico del termine. Non un caso, quindi, che nell'antica Grecia, il simbolo indicasse quella riunioni di parti spezzate che, ricostituendo l'identit oggettiva originaria consentisse il riconoscimento dei due possessori: questo coincide con il "segno" o "formula" di riconoscimento degli adepti delle religioni misteriche e dei sistemi esoterici. Ho con questo posto l'accento sui meccanismi secondo i quali opera il rapporto simbolico che si svolge su un piano puramente istintivo (avvalendosi solo dei "segni") perch consente la percezione del "simbolizzato" senza la mediazione dell'intelletto (che necessita di mezzi e strumenti). POSSIBILE UNA RAPPRESENTAZIONE GRAFICA Ho pensato pi volte ci poter tentare una rappresentazione grafica di quando sono andato osservando in precedenza; ma vi ho rinunciato perch qualsiasi rappresentazione potessi elaborare, mi sarebbe impossibile essere esaustivo rispetto ad un'analisi che invece si pu tentare sui singoli simboli. Ritengo, in sostanza, sia corretto dire che il mondo sensibile (microcosmo) sia un prodotto dell'Assoluto

(macrocosmo) attraverso un processo discendente che Plotino definiva "di emanazione" (ma io preferisco il termine di "obiettivizzazione"): esso prende inizio dal Logos primordiale, passa, perdendo progressivamente parte di autocoscienza sempre, attraverso una prima fase di percettivit, una seconda di razionalit, e scende via via fino al microcosmo. Correlativamente si possono individuare tre aree che, dall'alto verso il basso, comprendono:

la percezione ovvero la conoscenza iniziatica; la conoscenza allegorica (mito), area di operativit della ragione; l'azione del pensiero che fa s che il movimento sia da considerare circolare (come evidenzia proprio il simbolo del cerchio), sicch alla fine del movimento discendente ne inizi uno ascendente che, ripercorrendo a ritroso la fase di oggettivizzazione dell'Assoluto, consente attraverso una quantit sempre maggiore di riassunzione della coscienza e dell'identit originaria, il ricongiungimento nell'assoluto.

Il "simbolo" , pertanto una immagine (icona) dell'intima unione che lega il microcosmo al macrocosmo (vale a dire con una realt di ordine superiore indipendentemente dall'apparente molteplicit dell'essere. Mi viene spontaneo pormi alcune domande consequenziali perch evidente che il simbolo opera nel mondo del molteplice (microcosmo):

il simbolo opera anche sul mondo della realt oggettiva? e come opera? perch il "simbolo" riveste una cos grande importanza nella storia del sapere umano? di quali strumenti si avvale?

Soffermiamoci innanzi tutto sulla prima domanda che riflette il rapporto tra il simbolo e la realt: si tratta di un problema al quale sembra di poter dare una risposta abbastanza facile. Se, infatti, diciamo che un oggetto (segno, immagine od altro) sia la rappresentazione ideale di una realt altrimenti tanto complessa da sfuggire ad ogni tentativo di definizione sostanzialmente diciamo che il "segno" rappresenta la "realt" nella sua interezza e ci sentiamo esonerati dal bisogno di definirla. In altri termini il segno pu essere il sostituto steganografico dell'indefinibile (si pensi al simbolo di Dio, ad Amon, al segno egiziano dell'ariete). Per comprendere come esso possa operare proviamo a spostare il ragionamento sul piano della pi moderna filosofia matematica. Indicando con S il "simbolo" e con R la "realt" che il simbolo rappresenta, possiamo scrivere: S = f(R) nel quale leggiamo che il valore di S (= simbolo) determinato in funzione della realt alla quale ci riferiamo indipendentemente dal nome che ad essa attribuiamo. E possiamo anche dire che il simbolo, in maniera assiomatica, deve necessariamente essere sempre la rappresentazione immutabile di una stessa realt. Ma vale anche il contrario nel senso che, se unica la realt rappresentata, unico sar anche il simbolo capace di descriverla e rappresentarla. Questo modo di concepire il rapporto tra "simbolo" e "realt" ci spiega un "modo" di funzionare in senso verticale tra l'oggetto della rappresentazione (Realt oggettiva = macrocosmo) e l'oggetto soggettivo del rappresentare (realt fenomeniche = microcosmo). E Credo che questo sia il significato cui allude il primo presupposto della "Tabula smaragdina" quando afferma il massimo principio dell'esoterismo: "Cos in alto, cos in basso". Ma ci implica anche che l'oggetto rappresentativo (microcosmo) debba avere un significato unico rispetto a coloro che lo utilizzano in quanto rappresentativo dell'universale (macrocosmo). Ch, altrimenti, il rappresentato finisce con il non costituire pi la Realt, ma si confonde con una molteplicit di "realt" o molteplicit effettuale (ovvero l'identificarsi con il microcosmo). Ritengo che sia questo il motivo per il quale l'esoterismo pitagorico, prima, e quello Cabalistico, poi, sono stati indotti a concepire un universo non gi fatto di numeri (quasi che Dio avesse operato la creazione recitando la tabellina pitagorica), ma la "realt esprimibile" mediante numeri. Perch il numero in s una realt storico-culturale, vale a dire, la rappresentazione quantitativa di una

molteplicit tutta riconducibile all'Unit della Creazione. La possibilit concreta che ci avvenga per tutti i soggetti pensanti una possibilit finalistica (teleologica), vuoi perch gli utilizzatori non costituiscono (di fatto) una unit omogenea (si pensi alla tripartizione pitagorica tra neofiti, adepti, iniziati), vuoi per le pi svariate condizioni storico-socio-culturali (intendendo questo termine nella sua pi vasta delle accezioni). Ne consegue che, mentre per taluni il simbolo mantiene i caratteri propri della rappresentazione della Realt, vi una larga parte per la quale esso rappresenta una sotto-realt, vi poi una larghissima parte per la quale il simbolo opera, come abbiamo gi detto, come metafora. E, in questo senso, parlo di relativit del Simbolo: il B per gli egizi, era rappresentativo della Divinit creatrice indefinibile (equivaleva ad Amun, il Dio sconosciuto; ma anche a Khnum, il Dio del Creato). Allo stesso modo: per gli esoterici iniziati era il simbolo del creato, per gli adepti era "il doppio etereo" (cio la parte eterea dell'anima), per il non adepto era probabilmente solo uno dei tanti nomi con i quali veniva chiamata la divinit, probabilmente sinonimo dell'ebraico EL (al plurale Elohim), o El Shaddai senza una particolare qualificazione. Ne consegue che, a fianco del rapporto di tipo verticale del quale ho appena parlato, siano individuabili anche molteplici rapporti di tipo orizzontale ognuno dei quali sia funzione della relativit del segno e della qualit dei soggetti che, a parit di condizioni soggettive, leggono quel segno in una maniera diversa e soggettiva. Questo secondo modo di leggere il rapporto simbolo-realt (contingenti) in grado di spiegare come, con il passare del tempo, smarritasi la consuetudine di esprimersi per simboli, si finito col perdere la comprensione del pi intimo significato del simbolo stesso: cosa che talvolta accaduta con la complessa simbologia rituale cristiana). Nell'ambito della orizzontalit del rapporto potr cos accadere che, se esempio se tracciamo il segno del triangolo: . . . uno studioso di geometria vi trover i tre punti che sono necessari per individuare un piano o uno spazio (vale a dire un luogo geometrico), un matematico legger la relazione A = (B + C) Per l'esoterico sar la rappresentazione dell'Assoluto. Date queste premesse, mi sembra logico dedurne che:

sul piano del rapporto verticale (vale a dire sul piano del rapporto microcosmo - macrocosmo) il simbolo operi elusivamente come icona che richiama alla mente del soggetto pensante una ed una sola Realt (valore geroglifico o valore assiomatico del simbolo); sul piano del rapporto orizzontale il valore di icona viene assunto solo nell'ambito di soggetti che hanno pari grado di conoscenza; il che significa che al massimo livello di questa il simbolo funziona come se si trattasse di rapporto verticale; a livelli subordinati assumer il valore di metafora: esso costituisce una sorta di carta di identit ed il rapporto si svolger sul piano tipico di quel livello, restando precluso agli altri dei livelli inferiori (valore elitario) che operano su livelli intellettuali o su piani di percezione diversi.

LINGUAGGI E METALINGUAGGI Le considerazioni prima svolte, mi inducono a trarne le dovute conseguenze anche in ordine ad un'altra domanda che mi sono posto fin dall'inizio: quali sono le ragioni della "fortuna" del discorso simbolico dagli albori dell'umanit? A mio sommesso avviso il problema dell'espressione si posto ancor prima dell'introduzione di un linguaggio come insieme organizzato intorno ad una simbologia fonetica. All'essere pensante era necessario comunicare le proprie esperienze della vita quotidiana. E tanto dovette essere sufficiente per l'ominide a servirsi del "suono" come mezzo di comunicazione diretto (non a caso Platone parl di "suono primordiale"

come espressione dell'atto della creazione: il fiat iniziale). La conseguenza fu l'introduzione della parola come suono articolato. Ma ben presto l'uomo si rese conto della necessit di comunicare al di l dei limiti di spazio e di tempo e quindi il simbolo fonetico dovette divenire divenne simbolo grafico (pittogramma). Si pensi alla rappresentazione dell'animale cacciato per indicare la bont di una zona di caccia. Esempi di simboli pittografici sono quelli del cosiddetto alfabeto sacro egiziano individuati da Athenase Kirkher: il punto, il cerchio, il serpente. Ma si pensi anche alla loro evoluzione: la svastica, il labirinto, la spirale ecc. Successive stilizzazioni del primo pittogramma certamente portarono alla introduzione dell'ideogramma, del geroglifico e poi del segno alfabetico. Naturalmente non tutti gli esoterici sono d'accordo, Ad esempio il Di Gennaro. I tre valori individuati (ideogramma, geroglifico, segno alfabetico) non si esclusero a vicenda ma sono sopravvissuti: sar sufficiente pensare alle lettere dell'alfabeto greco e latino che di volta in volta erano numeri non posizionali, suoni (note musicali?) o componenti autonome di suoni complessi (parole). Ma si pensi anche al triplice valore che assumevano ed assumono i segni degli alfabeti del ceppo semitico (ebraico ed arabo) e sopravvivono tuttora in particolari aree geografico-culturali coesistendo e dando vita ad un corpus simbolico molto complesso. Non deve meravigliare come, fin dai primordi del pensiero filosofico, questa combinazione non sia sfuggita agli esoteristi. Le loro intuizioni hanno fatto s che, col tempo, ideogramma - geroglifico - segno alfabetico sono, insieme, divenuti simbolo della Divinit creatrice, inesprimibile ed indefinibile, ed hanno dato vita a quelle che impropriamente vengono definite religioni politeiste. Thoth-Ermete (definito dai Greci Trismegisto = tre volte grandissimo) probabilmente il primo e pi antico esponente delle "divinit" alla quale si attribuiva, non a caso, la paternit del linguaggio e della scrittura (che i Greci attribuirono al Cadmo). Traducendo il concetto in termini pi accessibili potremmo dire che a Thoth - come a Cadmo - veniva riconosciuto il merito di aver penetrato e diffuso tra gli uomini la rivelazione del Logos divino attraverso la parola e lo scritto (cio attraverso il suono primordiale ed il simbolismo grafico). Thoth-Ermete Trismegisto fu, in sostanza, una sorta di Bodhisattwa che, rinunci ad immedesimazione in Amun per restare in una sfera a met strada tra Dio e gli Uomini allo scopo di aiutare questi ultimi a ricostruire l'unit originaria attualizzano il compito della risalita a Dio (5). Ebbene questo processo era espresso proprio nel simbolo di Amun (il geroglifico dell'ariete) perch non esisteva altro che potesse esprimerne il concetto (6). Col tempo successo che questa prima, antichissima, simbologia abbia generato una proliferazione e stratificazione di simboli generando quel problema che siamo abituati a chiamare "politeismo". Di fatto il fenomeno dell'unico simbolo originario ha di fatto seguito il continuo spostamento in avanti delle frontiere del sapere umano che tentava di ridurre ad uno una Realt divenuta multidimensionale (7). Ma v' di pi: in ogni strato successivo si annidava il grado precedente. La conoscenza esoterica era divenuta una sorta di scatola cinese con tanti livelli, almeno quanti erano i livelli di conoscenza, ognuno riservato ad un livello di iniziazione. Cos Ra era divenuto il simbolo di Thoth ma conteneva il simbolo di Knuhm che a sua volta conteneva quello di Amun (8). All'iniziato era destinato a sostituirsi il Grande Iniziato. Di conseguenza "Grande Iniziato" colui che capace di possedere la Realt completa: cio il Mahatma della tradizione ind ed il profeta della tradizione giudaico-cristiana. Cos, conoscere il "nome di Dio", nella tradizione Talmudica, equivale ad essere Dio perch il concetto, che si sostanzia nella relazione parola = simbolo di Dio = indicibile, deriva dalla tradizione egizia, alla quale sono ispirate tutte le formule rituali del Libro dei Morti, del Libro dell'apertura delle Porte, dell'Apertura della Bocca e cos via. Il soggetto senziente con la conoscenza del nome (che equivaleva ad un superiore livello di conoscenza) si integrava con l'oggetto della rappresentazione: equivaleva ad acquisirne le caratteristiche e le capacit (secondo le affermazioni del Talmud e della Kabalah) di compiere miracoli e prodigi. Orbene, tale affermazione molto meno campata in aria di quanto si possa pensare e si basa su una pluralit concorde di argomenti testuali. Ad esempio la Bibbia riferisce che a Mos, esule sul Sinai, Dio si manifesta sotto forma di roveto ardente. E Mos chiede al roveto "Chi sei?".

In questa domanda, dove lecito leggere la legittima curiosit per una manifestazione di realt che supera quella dell'iniziato Egiziano, facile intravedere anche una punta di malizia nella domanda che chiede una autentica rivelazione. Ma la malizia di Mos viene aggirata dalla risposta "Io sono colui che " (9). Insistere sul tema del possesso della parola - come possesso della Realt - come dire possedere la divinit, e non casuale. Un'analisi pi accurata degli strumenti utilizzati nel simbolismo attraverso i secoli, mi induce a ritenere che lo strumento principe risieda proprio nella parola sia nella sua espressione grafica che fonetica. Per una esemplificazione pratica del simbolo grafico consideriamo il simbolo costituito dai due triangoli equilateri intrecciati (la cosiddetta "Stella di Davide"). Potremo subito rilevare che in questo segno un araldico vedrebbe lo stemma dello Stato di Israele, lo storico vi vedr il segno del sovrano saggio di Israele Davide; lo studioso di esoterismo vi legger la circolarit della creazione negli aspetti del trascendente e dell'immanente. Eppure evidente che questa polivalenza dell'interpretazione del simbolo giustifica altri tipi di considerazioni. Infatti, premesso che il simbolismo, nasca pure in relazione ad esigenze della vita pratica, diviene immediatamente patrimonio delle religioni. di tutta evidenza che l'evoluzione del simbolo rimanda, indissolubilmente legata, all'evoluzione del pensiero. Ne consegue che il problema dell'interpretazione attuale del simbolismo originario, sia legato all'evoluzione della lettura dei cosiddetti "Testi sacri". Purtroppo, per quasi tutte le religioni, non abbiamo testi originari; Quelli di cui siamo in possesso sono frutto, prima di una trasmissione orale, e poi, di trascrizioni, traduzioni e si sovrapposizioni. Ed il processo evolutivo del testo continua abbastanza a lungo, almeno fino alla formazione di un "canone" che fissa quale sia il testo ufficiale espellendone tutto ci che non concorda con il pensiero religioso di quel momento. Si formano, in successione, due "corpora": quello "canonico" che si contrapposto a quello "apocrifo". E questo fenomeno tipico del Testo biblico (si del Vecchio che del Nuovo Testamento). Ebbene, proprio nel contrasto tra le due serie riscontrabile una serie di contraddizioni nelle quali il critico trova collegamenti tra le due serie (10). Una tale situazione comporta gi notevoli confusioni e difficolt di rinvenimento del carattere simbolico originario delle scritture. Ma il fenomeno della "canonizzazione" equivale, in effetti, ad una cristallizzazione del testo a quel particolare momento storico-filologico ed a quella particolare lettura del testo. E il compito del ricercatore diventa immane almeno quanto il risultato dubbio. Il risultato , infatti, legato, da un lato alle parole di cui siamo in possesso e dall'altro al senso complessivo che il lettore dell'epoca ha loro dato. In un caso come nell'altro si tratta del "ritmo" che l'autore originale, ispirato dalla divinit, aveva loro impresso (11). Riassumendo questo concetto in termini accessibili mi sentirei di dire che i testi sacri originali erano dei "metalinguaggi" con cui il trascendente divinit comunicava con l'immanente. I testi che noi oggi possediamo sono, di fatto, metalinguaggi di metalinguaggi (12). Il che comporta la necessit (e la difficolt) di ricostruire un testo che riproduca la multiformit dell'originale allo stesso modo in cui per intendere un testo dantesco occorre leggerlo nel significato che ne avrebbe dedotto un lettore medievale cosciente dei principi delle arti del "Trivio" e del "quadrivio" (13). Quello che intendo dire questo. Qualche anno fa ho avuto modo di vedere la iscrizione di Grtina a Creta (la famosa "Regina delle iscrizioni"). Orbene anche ad un osservatore disattento salta agli occhi un particolare: non esistono segni di divisione delle parole; ad un osservatore un tantino pi attento diviene evidente che, nella maggior parte dei casi, sono omesse le desinenze delle parole (ad esempio QEMISQOKLES EPOIESE. Ebbene pu essere variamente compitato (cio scomposto in fonemi elementari) e variamente letto e interpretato). Il che significa che la ritmazione delle parole (cio l'inserimento delle cesure equivalenti alla distanziazione delle parole) e l'eventuale aggiunta delle desinenze rimaneva a discrezione del lettore comune, mentre la "Lettura" rimaneva esclusiva dell'iniziato che ne conosceva intuitivamente il significato pi profondo. Il fenomeno diviene ancor pi complesso ove dalla lingue indoariane si passi alle lingue ed alle scritture di tipo semitico (arabo e, pi in antico, egiziano e, solo da ultimo, nel cosiddetto ebraico quadrato) perch queste mancavano di vocalizzazione (l'inserimento della vocalizzazione stata effettuata, per l'egiziano, ex post sulla base della lingua copta): tenendo presente tra l'altro che nelle scritture semitiche i segni

(geroglifici) non hanno, sempre un andamento uniforme. Le teorie anteriori a Champollion sostenevano che la disposizione dei geroglifici e l'andamento della scrittura rispondesse ad esigenze estetiche. Chiaramente un tale modo di pensare era errato perch la elaborazione grafica della scrittura dava luogo a calligrafismi (si pensi alla scrittura cufica rispetto all'arabo) ma non a differenziazioni nella disposizione dei geroglifici. La diversa disposizione dei geroglifici evidentemente d luogo a diversi fonemi, a diverse, cifre, a diverse parole: ritengo quindi che il modo di disporre i segni non fosse n arbitrario n casuale ma rispondesse a veri e propri criteri jeratici che avevano senso solo agli iniziati (14). Ne un buon esempio la Bibbia dei jaivisti che a tali criteri risponde, costituendo essa stessa un testo jeratico a diversi livelli di lettura. Ad esempio, al sostantivo utilizzato per denominare la divinit in ebraico quadrato (tipica lingua jeratica = metalinguaggio), corrisponde il simbolo del Tethragrammaton ed costituito dai segni Jod, H, Vau, H e i sintesi: JHVH Esso viene letto normalmente Jahv o Jehovah. Ebbene della sua complessit simbolica ci rendiamo conto quando ci riferiamo ad analoghe radici contenute in altre lingue come ASHER HEJEJEH o con l'arcadico EVOE': in tutte queste presente la locuzione "Egli colui che ". Ma pensiamo anche al nome Adamo che in ebraico costituito dalle lettere Aleph, Daleth, Meth: ADM (= vita, umanit). Con una semplice metatesi diviene: D M '[a] (= morte) (15). E non dimentichiamo la "parola" greco-arcadica "EVOE" (che in greco suonava: ieuoi). Tenuto conto che nel dialetto arcadico la "u" sostituisce la "o" l'EVOE' con lo jotacismo il grido delle baccanti pu essere sillabato come [i] - E - O - O - E che ripropone la frase del libro dei morti e quello mosaico di "egli colui che " (16). di tutta evidenza come il ruolo del sacerdote-sciamano (cio l'Iniziato) assuma una rilevanza tutta particolare proprio come tramite tra l'umano e il divino: egli non solo colui che sa, ma soprattutto sa come parlare alla divinit per esserne inteso. Ed anche chiaro come si possa creare l'illusione di poter possedere il divino, di generare magia e, spesso, magia nera (Goetia secondo Elipas Levi). Ma forse l'esempio pi significativo ci viene dal suono, dal canto Gregoriano. Le sue caratteristiche salienti, a parte alcuni pochissimi requisiti di carattere formale (come l'assenza di accompagnamento strumentale: il cosiddetto canto a cappella che influisce direttamente sull'ascoltatore), sono essenzialmente tre e riguardano, rispettivamente: l'interprete, il modo e l'animus. Non un caso che l'interprete debba essere preferibilmente un chierico ( l'iniziato, colui che sa), n che il canto sia monodico e non corale (tutti cantano la stessa cosa, allo stesso modo e secondo certe cadenze di tipo metrico con alternanza di brevi e lunghe = cesure). Il terzo requisito quello che mi ha dato pi da pensare, almeno considerando il problema dal lato dell'ascoltatore che difficilmente riesce a comprendere come un canto di tipo ripetitivo (17) possa essere intonato in modo tale che ogni volta il chierico si comporta come se lo intonasse per la prima volta. In effetti il canto Gregoriano era l'erede naturale della primitiva "cantillazione", pure riservata ai chierici. Non ho trovato tracce di cosa fosse e con quali modalit si svolgesse. Ma il termine mi induce a ritenere che si trattasse del canto su un testo sillabato dove le cesure (alternanza di sillabe lunghe e brevi) determinassero il luogo ove da una parola si passava alla successiva realizzando parole dal significato diverso da quelle del testo: simbolo di diverso esoterico significato rivolto essenzialmente da un chierico ad un altro e da tutti alla divinit non all'ascoltatore. Un discorso analogo dovr essere svolto per il simbolismo grafico, ma credo che dovremo rinviarlo ad una

prossima occasione. Note: 1. Notare anche l'equivalenza con BR(a) o BR(o) che indica la "rottura". 2. In tal caso il simbolo, per il fatto stesso di non essere oggetto di percezione ma di ragionamento, degrada ad allegoria che opera tra soggetti di natura non omogenea (non adepti) e diviene il terreno in cui opera normalmente il mito. 3. Come potrebbe essere nel rapporto tra diseguali: si pensi al rapporto tra i due frammenti che danno luogo alla definizione, o meglio al rapporto tra un adepto e un non adepto. D'altra parte a questa conclusione ci conduce la riflessione sul grafico che ho tracciato: il simbolo della staticit il punto che si realizza solo nell'Assoluto; il nostro simbolo invece il triangolo. 4. Si pensi in senso fisico al Monte Ararat, al Glgota, al Monte Mehru della simbologia vedica, allo Ziggurath mesopotamico, alla piramide centro-americana, al Monte Fuji dello shintoismo, al Rapa-Nui delle tradizioni delle terre dell'Oceano Pacifico, al Walhalla delle tradizioni nordiche, allo stesso "cranio" dell'uomo, al Lingam di Shiva e cos via. 5. Si tratta, in sostanza di quel procedimento che, secoli o millenni dopo, diverr il nocciolo del pensiero plotiniano. 6. Amun era per questo motivo quello che la cultura greca definiva "il Dio sconosciuto" e che visivamente rappresentato nella cella del Tempio di Abu Simbel tra Ra ed Osiride. 7. Si erano confusi con altrettante ipostasi della divinit quelle che, in effetto, erano solo attributi della stessa. 8. In tal senso vanno lette le cosmogonie delle varie scuole egiziane successivamente formatesi nel tempo e nello spazio dei diversi distretti. Nello stesso senso stato di recente risolto il problema del Santo Graal nel quale stato ravvisato (e il testo de "La quete du San Graal" sembra confermarlo) un simbolo dell'Arca dell'Alleanza nel quale potrebbe essere annidato il simbolo della Maest e della potenza Divina. 9. In effetti la risposta riportata nel testo Biblico molto pi antica della stessa Bibbia e riproduce i testi del Libro dei Morti della IV dinastia: corrisponde infatti alla formula della cerimonia dell'apertura della Bocca e viene pronunciata da Osiride-Amun-Ra nei confronti di Thoth. Ma l'espressione ambivalente perch, dalla lettura della LXX apprendiamo corrisponde alla rivelazione della Trinit dell'Essere: Dio, essenza, esistenza. Si veda Padre Vincenzo M. Romano "Dissequestrate la Bibbia". 10. Si pensi al tipico il caso dell'incontro tra le figlie degli uomini e dei figli di Dio che non trova alcuna spiegazione logica a meno di non interpolare il testo biblico canonico con l'episodio di Lilith del testo apocrifo. 11. Facciamo un esempio sulla base di un noto e controverso verso dantesco: "Pap Satan, Pap Satan aleppe". Comunemente ci si dice che il verso non ha significato, ma noi non sappiamo se Dante, che non aveva certo l'abitudine di scrivere cose inutili, non si fosse limitato a trascrivere foneticamente, con ritmo cambiato, l'espressione francese "Pas paix Satan, pas paix Satan, l'pe" che ha lo stesso suono e gli stessi accenti del verso volgare. 12. Si vedano sul punto i quaderni di Padre Vincenzo M. Romano e la sua proposta di rilettura dei Libri Testamentari. Ad esempio per la Bibbia, non gi il testo ebraico (come ne "La langue braique restitu") che, a mio parere, per svariati motivi storico-filologici non mai esistita indipendentemente dai testi di Qum'ram che sono di epoca di gran lunga posteriore (I-II secolo d.C.), n a quello di una ipotetica lingua "sinaitica", ma alla traduzione in greco dei LXX (melius dei LXXII) che, per le circostanze ed i risultati cui pervennero pu essere considerato il testo pi vicino all'originale. Ma il problema consiste nel fatto che esso era un metalinguaggio e la sua cristallizzazione divenuta un altro metalinguaggio. 13. Si noti il 3, il 4 e il 7 che, graficamente, riproducono il simbolo del Tethragrammaton: il quadrato sormontato dal Triangolo equilatero. 14. Cos, ad esempio, a seconda della disposizione dei geroglifici, il nome del Faraone Thutankamon pu essere letto come "Thoth [Thuth o Thoth] anima [ankh] di Amun [Amon o Amun]" oppure come "Signore della stella del Sud". Ne risulta evidente che il modo di intonarlo, come la scansione (ritmo) del Sacerdote (iniziato) aveva un senso che non era sempre lo stesso. 15. Da essa deriva la leggenda del Golem che poteva essere distrutto cancellando l'Aleph. 16. Del resto questo parlar nascosto caratteristico della poetica di molte letterature compresa quella italiana almeno fino a tutto l'800: basti pensare a Dante, Petrarca e Boccaccio, ai rimatori del Dolce Stil Novo. 17. Tale cio che riesca a riprodurre le condizioni dell'estasi. Non a caso originariamente il canto si accompagnava alla danza che, nei suoi movimenti vorticosi, unita al suono, induceva una sorta di trance. Ne sono un esempio, nella religione islamica, i rituali dei sufi seguaci di Mevlana.

Il Simbolo appartiene all'uomo ed sicuramente il frutto della mente mitica che rappresenta lo strato pi antico della nostra psiche, ovvero di quella che ha preceduto la mente logico - razionale, sviluppatosi solamente in un secondo tempo con l'incremento e l'evoluzione della corteccia cerebrale. La coscienza umana, prima di diventare quella che conosciamo oggi ha avuto una sua precedente organizzazione ed passata attraverso lo stadio mitico psichico' , stadio in cui l'uomo era molto pi attrezzato per leggere i simboli di quanto non lo sia oggi; questa stata anche la fase in cui tutto era scritto e compreso in forma mitica, quella che noi oggi leggiamo come mitologia che, verr comunque affrontata in questa sezione del sito. La grande crisi del nostro tempo forse anche dovuta alla forma di pensiero imperante che si sviluppa unicamente in forma lineare e causale e che, perci, restringe e riduce tutto ci che invece appartiene prettamente alla natura e all'uomo. La radice della parola simbolo racchiusa in quella (synmbllein) che significa letteralmente tenere insieme , congiungere' ; in effetti nell'antica Grecia quando ci si doveva separare, si spezzava una moneta, oppure un oggetto di terracotta o un anello ed ognuna delle due persone ne teneva una met: quando uno dei due faceva ritorno doveva mostrare la sua met e se le due combaciavano la persona che la portava veniva riconosciuta come amica' e riceveva ospitalit. Questo significa che la parola simbolo' indica qualcosa di diverso da ci che appare; nel caso su esposto, simboleggiava l'amicizia e il diritto all'ospitalit. Il simbolo dunque la parte visibile di qualcosa che non presente e dunque invisibile o, meglio ancora, un qualcosa che si vede nel mondo della materia in cui per racchiuso un significato spirituale ed interiore. Quando cerchiamo di interpretare il simbolo cerchiamo infatti di collegare due cose tra di loro, ovvero cerchiamo la realt invisibile nascosta dietro a quella visibile e cerchiamo il collegamento analogico tra le due. Infatti, il simbolo e ci che rappresenta, hanno un legame intimo e non possono essere in alcun modo separati. Per questo i simboli condividono qualcosa con i segni , ma nel segno non si presenta nulla di nascosto, si basa su convenzioni comuni, da tutti pi o meno accettate. Il segno ha una funzione sostitutiva (ad esempio, noi indichiamo con una casetta fatta in un certo modo un campeggio, o con forchetta e coltello il ristorante, ma in questo non c' nulla di nascosto). I segni possono essere cambiati: se io metto una tenda al posto della casetta, o se metto un piatto e un cucchiaio e mi convenziono su questo posso lo stesso indicare un campeggio e un ristorante. Non possiamo invece convenzionarci con il mondo sul significato di un simbolo , perch in esso il significato legato in modo indissolubile all'immagine ed immediato, non possiamo fare un ragionamento razionale per comprendere un simbolo, mentre lo dobbiamo fare per tradurre l'informazione che implicita nel segno. Jung sosteneva che il simbolo non pu mai rivelare interamente il suo significato, vi dunque sempre un'eccedenza di significato che diventa personale e che si lega all'emozione che suscita la vista dell'immagine. Mentre un simbolo non pu essere ridotto a segno , pu invece accadere il contrario: il segno pu diventare un simbolo nel momento in cui noi gli attribuiamo un significato nascosto, non immediatamente visibile. Ad esempio, ai nn. 13 e 17 molte persone hanno legato delle qualit: fortuna, positivit oppure sfortuna e negativit. Esistono tre tipi di simboli:

- Convenzionali per lo pi si tratta di segni e sono quelli che usiamo pi frequentemente e di cui non possiamo fare a meno: sono i numeri, le lettere che formano le parole e le note musicali. Come ho gi detto sopra si basano su convenzioni e sono condivisi da tutti, per cui sono anche universali. - Universali sono quelli che tutti comprendono poich c' una stretta relazione tra il simbolo e quello che rappresentano : la croce ad esempio un simbolo universale; tutti, credenti o meno, sanno che cosa significa. Accidentali sono quelli che hanno un esclusivo significato personale perch si legano a precisi fatti vissuti. Il simbolo permette un rapidissimo collegamento tra il segno o l'oggetto e il significato nascosto e questo perch permette anche un collegamento immediato tra i due emisferi: il sinistro percepisce il simbolo, lo registra nella mente il destro gli d significato, lo interpreta e lo comprende'. Questa immediatezza e questa potenzialit dovuta al fatto che nella nostra psiche sono assiepati gli strati che appartengono alle