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Su la soglia del nuovo Impero mediterraneo Mediterraneo, piccolo e grande mare, sede di vita propria e insieme tramite fra continenti e oceani, quanta storia ti grava addosso e nel tempo stesso ti fa vivo e animato e quanta varietà di genti si è specchiata da millenni e tuttora si specchia su le tue acque, pur nella tua unità; quanta alterna vicenda di gran- dezze e decadenze hai visto, tu e ognuno dei tuoi popoli! Da tutti i continenti at- torno sono calati su di te, entro di te, uomini di ogni razza e da te hanno preso qualche elemento comune, e ora più gli uni ora più gli altri ti hanno signoreggia- to, ora più gli uni ora più gli altri hanno messo il loro segno su di te. N avigatori e mercanti quasi tutti, cominciando dai Cretesi e Fenici e Cartaginesi e Greci: chè tali li ha sempre fatti il contatto im- mediato col liquido elemento, la varietà dei paesi attorno e dei loro prodotti, la ristrettezza e povertà delle terre che si allungano tra le catene costiere e il mare. Ma anche duri contadini, bonificatori, creatori di zolle, piantatori di viti e uli- vi e mandorli e agrumi, che sono albéri o arbusti da paese secco e assolato, lenti a crescere ma ricchi di essenze vitali. Forse in nessun altro paese del mondo l'agricoltura è tanto faticosa quanto nelle terre che ti fanno corona e tanto rivela la volontà dell'uomo, la lotta dell'uomo con le forze prepotenti della natura. E guai se l'uomo un momento ristà, chè il torrente rompe e dilaga, la vena d'acqua tratta di sotterra si perde, le terrazze Costruite sui pendii a sostegno della terra vegetale crollano, i venti inaridiscono e bruciano le piante, le sabbie del mare o del deserto invadono le case e i solchi. N ella storia di questo mare, che pure ha conosciuto Fenici e Cartaginesi e Gre- ci, e poi Arabi e Turchi, Provenzali e Ca- talani, gli abitatori dell'Italia sono prota- gonisti, chi guardi alla vastità dell'opera loro, all'orma profonda che vi hanno la- sciato, alla loro virtù di ripresa dopo ogni decadenza o rallentamento, come che questo sia non altro che riposo: Etru- schi del centro della penisola, Liguri del Nord, Italo-Greci di Sicilia e Calabria e Campania; Romani e Latini e Italici con Celti e Liguri e Greci romanizzati; Ita- liani delle città dall' XI al XV secolo; Veneziani fino al XVIII secolo. pel resto nessuna meraviglia. L'Italia è tutta tuf- fata nel Mediterraneo, mentre le Alpi, separandola dall'Europa continentale, ne determinano ancor meglio il carattere es- senzialmente mediterraneo. Perciò, come la civiltà prima le era venuta da paesi del Mediterraneo, cosi verso il Mediter- raneo essa ha sempre orientato la sua attività politica economica e guerriera. Roma non era ancora giunta alla valle del Po e già aveva preso terra in Sicilia, in Sardegna e Corsica, nell'Illiria, in Spa- gna, a Cartagine, in Asia Minore. La conquista delle Alpi fu tarda opera di Augusto, quasi per proteggersi alle spalle. Il titolo maggiore della grandezza di Ro- ma è l'aver dato unità, politica e spiri- tuale, alle genti del Mediterraneo. Vanto di Roma e degli Italiani più tardi è di aver concorso, più forse di ogni altro po- polo, a consel'vare il carattere di mare europeo al Mediterraneo, contro i semiti di Cartagine, i semiasiatici di Bisanzio, gli Arabi e Turchi d'Asia e d'Mrica. Na- vigatori e mercanti anche essi, come già Fenici e Cartaginesi e Greci: ma anche contadini, dissodatori e bonificatori, crea- tori di zolle, costruttori di città e orga- nizzatori di Stati. ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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Su la soglia del nuovo Impero mediterraneo

Mediterraneo, piccolo e grande mare, sede di vita propria e insieme tramite fra continenti e oceani, quanta storia ti grava addosso e nel tempo stesso ti fa vivo e animato e uma~o; quanta varietà di genti si è specchiata da millenni e tuttora si specchia su le tue acque, pur nella tua unità; quanta alterna vicenda di gran­dezze e decadenze hai visto, tu e ognuno dei tuoi popoli! Da tutti i continenti at­torno sono calati su di te, entro di te, uomini di ogni razza e da te hanno preso qualche elemento comune, e ora più gli uni ora più gli altri ti hanno signoreggia­to, ora più gli uni ora più gli altri hanno messo il loro segno su di te. N avigatori e mercanti quasi tutti, cominciando dai Cretesi e Fenici e Cartaginesi e Greci: chè tali li ha sempre fatti il contatto im­mediato col liquido elemento, la varietà dei paesi attorno e dei loro prodotti, la ristrettezza e povertà delle terre che si allungano tra le catene costiere e il mare. Ma anche duri contadini, bonificatori, creatori di zolle, piantatori di viti e uli­vi e mandorli e agrumi, che sono albéri o arbusti da paese secco e assolato, lenti a crescere ma ricchi di essenze vitali. Forse in nessun altro paese del mondo l'agricoltura è tanto faticosa quanto nelle terre che ti fanno corona e tanto rivela la volontà dell'uomo, la lotta dell'uomo con le forze prepotenti della natura. E guai se l'uomo un momento ristà, chè il torrente rompe e dilaga, la vena d'acqua tratta di sotterra si perde, le terrazze Costruite sui pendii a sostegno della terra vegetale crollano, i venti inaridiscono e bruciano le piante, le sabbie del mare o del deserto invadono le case e i solchi.

N ella storia di questo mare, che pure ha conosciuto Fenici e Cartaginesi e Gre-

ci, e poi Arabi e Turchi, Provenzali e Ca­talani, gli abitatori dell'Italia sono prota­gonisti, chi guardi alla vastità dell'opera loro, all'orma profonda che vi hanno la­sciato, alla loro virtù di ripresa dopo ogni decadenza o rallentamento, come che questo sia non altro che riposo: Etru­schi del centro della penisola, Liguri del Nord, Italo-Greci di Sicilia e Calabria e Campania; Romani e Latini e Italici con Celti e Liguri e Greci romanizzati; Ita­liani delle città dall' XI al XV secolo; Veneziani fino al XVIII secolo. pel resto nessuna meraviglia. L'Italia è tutta tuf­fata nel Mediterraneo, mentre le Alpi, separandola dall'Europa continentale, ne determinano ancor meglio il carattere es­senzialmente mediterraneo. Perciò, come la civiltà prima le era venuta da paesi del Mediterraneo, cosi verso il Mediter­raneo essa ha sempre orientato la sua attività politica economica e guerriera. Roma non era ancora giunta alla valle del Po e già aveva preso terra in Sicilia, in Sardegna e Corsica, nell'Illiria, in Spa­gna, a Cartagine, in Asia Minore. La conquista delle Alpi fu tarda opera di Augusto, quasi per proteggersi alle spalle. Il titolo maggiore della grandezza di Ro­ma è l'aver dato unità, politica e spiri­tuale, alle genti del Mediterraneo. Vanto di Roma e degli Italiani più tardi è di aver concorso, più forse di ogni altro po­polo, a consel'vare il carattere di mare europeo al Mediterraneo, contro i semiti di Cartagine, i semiasiatici di Bisanzio, gli Arabi e Turchi d'Asia e d'Mrica. Na­vigatori e mercanti anche essi, come già Fenici e Cartaginesi e Greci: ma anche contadini, dissodatori e bonificatori, crea­tori di zolle, costruttori di città e orga­nizzatori di Stati.

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Chi toccò l'apice in questa moltepli­cità, organicità, armonia di attitudini fu Roma. Dove i Romani giunsero, qui essi si radicarono, si identificarono col paese, lo trasformarono, vi instaurarono la vita o una nuova e più piena vita. Con la loro inesauribile e metod~ca energia espan­siva e costruttiva, essi fondarono colonie in tutto il bacino del Mediterraneo ed oltre; ripopolarono di loro gente e abbel­lirono di nuova bellezza città antiche e illustri ma distrutte o decadute (Corin­to l), o accanto a città e centri abitati indigeni fecero sorgere pagi di cittadini romani che poi si fusero con quelli e di­vennero municipi e colonie, come Tugga e Cirta nel Nord-Africa; crearono vaste zone agricole dove non era se non gramo commercio carovaniero e pastorizia semi­nomade, diffondendovi la piccola proprie­tà coltivatrice o ordinandovi la grande azienda a coltura estensiva. Quindi, an­che, edificare, fortemente e monumental­mente edificare, ma in rispondenza a con­creti bisogni della società politica. E da per tutto, accanto alla casa o villa o fat­toria campestre, con le sue fontane e i suoi mosaici, come quelli di cui è piena, ad esempio, l'Africa romana, l'opera di grande mole, di nobile materiale, traver­tini, marmi, conglomerati dai più vari colori, di cui i paesi mediterranei sono particolarmente ricchi. E si sa quale passione e ambizione di edificare ebbero Augusto e il suo collaboratore Marco Agrippa, edile oltre che soldato e mari­naio, a cui son dovuti il famoso acque­dotto detto Pont du Gard nella Gallia, i templi di Nimes, l'Odeon di Atene ecc. E dopo di loro, Traiano che tanto rifece della rovinata Alessandria; Adriano che procurò ad Efeso una posizione di prima­to fra le città d'Asia e d'Africa, insieme con Antiochia ed Alessandria; Settimio Severo che molto costruÌ nella provincia di N umidia e nella provincia d 'Africa e quasi riedificò con insuperabile magnifi-

cenza Leptis Magna.... Tutto il mondo romano, e specialmente tutto il cerchio dei paesi mediterranei si ricoprÌ cosÌ di archi trionfali e di porte di città che spesso erano anche esse archi trionfali, tipica ideazione di Roma antica; di pa­lazzi e ville, di monumenti onorari e di tombe, di circhi e di basiliche, di teatri e anfiteatri, di portici e di terme, talvolta colossali. E da per tutto, motivi decora­tivi in scultura, pitture parietali, mosaici a figure umane e animali, a fiori e piant e, a scene varie di vita, a linee geometriche. Caratteri salienti di questa arte: solidità, razionalità, praticità. U so di stili locali dove essi erano, o loro influsso su le nuove costruzioni, da principio: ma an­che, forme tipiche dell'architettura roma­na, come l'arco e la cupola; e in tutto, poi, una sempre più evidente impronta romana, uno svolgimento obbediente a proprie e intrinseche esigenze e non a estranei influssi.

Fra le regioni più segnate di Roma tut­ti conoscono la Siria che ebbe ville e case grandiose e ricche, e città come Eliopoli, con il suo ciclopico tempio di Giove, ope­ra di Antonino Pio e Caracalla, e Palmira, oasi verdeggiante nel deserto fra Mediter­raneo ed Eufrate, sviluppatasi fortemente nel I e II secolo dell'Impero, divenuta con Settimio Severo base delle operazioni di guerra contro i Parti, bella delle sue mille colonne. Ma più della Siria, non meno della Gallia e Spagna, è davanti ai nostri occhi l'Africa del Nord, l 'Africa romana, sempre più vasta attorno al pri­mo e più antico nucleo che fu il territorio di Cartagine, fino a comprendere t utta la regione dalla grande Sirti fino all'Oceano. Sviluppo economico, culturale, artistico del paese, sotto l'Impero, quale esso non aveva mai avuto e per un pezzo non avrà mai più, specialmente nella sua zona intermedia, fra la Tunisia e l'Algeria at­tuali. Ricchezza agricola, più che al~ro! non ostante le poco favorevoli condiZIonI

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-ARTE ROMANA A NIZZA T v. C II.

LA TunlllA: Trofeo del tempo di Aug usto (ril'ostrl/ziol/c).

LA T BRIA: Trofeo elcI leJ~'pO di AuguSlO (stato llttl/llle dopo rest.lIltri).

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ARTE ITALIANA A NIZZA

N IZZA: Museo Massetla. S. G~\)"aru>i. ~'-\!;"'-- .... ""'~~

Proviene dalla Parrocchiale di Lucerauo (Nizzardo). Opera certa di IACOPO DURANTI, che ha firmato un poHttico (5. Margherita e Santi) nella P arrocchiale di Freyus. Un pittore Iacopo

Duranti risulta operante a Taggia, per conto della Rep. di Genova, nel 1443.

"N IZZA: Chiesa di Cimiez. Crocifissione.

Proviene dal Convento della Croce, dei Minori Osservanti, nella stessa città. Eseguita nel 1512 da LUDOVICO BREA : è un'opera del periodo matnro, pos teriore a lunghi sog­giorni in Liguria e alla collahorazione col Foppa nella Pala di S. Maria di Castello a

Savona (1 ~90)

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ARTE ITALIANA IN CORSICA TAV. CXV.

EBBIO (Corsica): Cattedrale.

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MURATO (Corsica): Chiesa di S. Michele.

(LJal volullte < La COl'sica nella SUCl italiani/ci »).

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di clima e di suolo. Ma esse furono affron­tate e vinte con risoluta energia, regola­rizzando e utilizzando ogni sorgente e ogni corso d'acqua, tracciando una fitta rete stradale, portando laggiù nuclei di coloni-proprietari. Specialmente Cesare e Augusto fecero una vera politica di co­lonizzazione e nel t empo stesso avviarono la costituzione di grandi aziende, rima­nendo la piccola coltura limitata ai punti dove la terra era migliore e le esigenze militari richiedevano maggior numero di uomini interessati alla difesa. Comunque, un po' i coloni romani un po' i romaniz­zati, il paese si popolò molto, città e campagne insieme. Di centri urbani - co­lonie e municipi - furono ricche le pendici settentrionali dell'Aurasius, il grande mas­siccio pullulante di acque, caposaldo di­fensivo contro le popolazioni del deserto, dove sorgevano Theveste, sede della terza legione fino ai tempi di Vespasiano, Lam­besi che poi ne divenne essa sede, Thamu­gadi fondata al tempo di Traiano e dive­nuta il centro maggiore della N umidia. E più a nord e più ad est, Cirta, Cui­cuI, Sufetula, Tubursico, Tugga, Cartagi­ne ecc., tutte ricche di monumentalità. Sviluppo di vita municipale. Formazione di un agiatQ ceto medio rurale. Vita in­tellettuale assai progredita e vivo senso di latinità che poi si manifesta come at­taccamento dell'episcopato africano alla Chiesa di Roma contro l'Oriente; come preferenza data alla lingua latina sulla greca per gli usi religiosi, già nel tempo che la Chiesa di Roma usava ancora il greco; come alto riconoscimento della provvidenzialità dell'Impero. Basti ricor­dare Agostino.

* * *

Col tempo, queste opere, questi segni, queste voci di romanità si interruppero, si cancellarono o attenuarono, si spensero o affiochirono, dove più' dove meno. Quel

patrimonio di arte costruttiva e figurativa, quelle moli di pietra e di marmo o muta­rono volto (e palazzi imperiali divennero fortezze e rifugio di profughi, come a Sa­lona, templi pagani divennero chiese cri­stiane o fornirono mate.riali a costruirne); oppure si consunsero nell'abbandono e nello squallore. Via via che dall'Italia non irradiava più la forza d'impulso e la ener­gia coordinatrice che aveva sorretto la grande costruzione; via via che la vita si impoveriva e la popolazione si diradava e si disperdeva; le acque deviavano o straripavano, i nomadi dell'interno avan­zavano verso la fascia costiera, le sabbie l'acquitrino la boscaglia, come invadeva­no e sommergevano i campi e le fattorie, cosÌ anche i templi e i teatri e le terme. Insomma, anche l'ossatura marmorea del grande organismo si disarticolava e si di­sfaceva.

Poi, un po' per volta il flusso degli uomini dall'Italia, fattasi nuovàmente cen­tro di irradiazione, essa prima e più d'ogni altro paese della nuova Europa romana germanica e cristiana, ricominciò. Pelle­grini, mercanti, marinai, artigiani, cava­lieri e uomini di guerra e di chiesa riap­p.arvero, specialmente nei porti e scali del Levante, e ripresero, pietra su pietra, la loro fatica di costruttori; ordinarono una lor vita municipale a somiglianza della madre patria; si conquistarono in ogni isola una signoria; penetrarono o tenta­rono di penetrare sino ai paesi delle fa­volose ricchezze, spinti tanto dal deside­rio di allargare i loro traffici, quanto, a un certo momento, da passione di nuovi paesi e genti e costumi. Erano non cento e mille, ma diecine e diecine di migliaia, forza propulsiva di prim'ordine di quella vita assai intensa che dopo le Crociate si instaurò per qualche secolo laggiù, dalle coste della Dalmazia e dell'Illiria, ora det­ta Albania, lungo tutto l'arco di cerchio, a Salonicco, primo sbocco della via Egna­zia col suo grande arco romano, a Co-

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stantinopoli, rigurgitante di latini, al Mar N ero è a Caffa capitale del genovese «Im­perium Gazariae », a Trebisonda, con i suoi due castelli genovese e veneziano l'un contro l'altro armati, alle città dell'Ana­tolia costiera e di Siria e Palestina, a Cipro e Candia ed isole dell'Egeo, ad Ales­sandria d'Egitto, quasi .dsorta nel '300 al­l'antica sua prosperità commerciale per opera specialmente di Genovesi e Vene­ziani. Poichè, nei paesi del Mediterraneo, Genovesi e Veneziani furono essi, come i Fiorentini altrove, il quinto elemento. Lo dimostrano le stesse opere murarie disse­minate da per tutto, specialmente mura di città, fortezze e castelli, oltre acque­dotti, fontane, chiese e conventi, logge adorne, case di città e di campagna, qua e là anche campi e fattorie e grandi oliveti. I Veneziani più forse dei Genovesi, con più continuità, attitudini di governo, sen­so di grandezza, quasi da eredi e prose­cutori di Roma. Opera complessa la loro, da conquistatori, colonizzatori, instaura­tori di una civiltà fl'a italiana e orienta­le: una civiltà di cui l'arte non era una delle ultime manifestazioni.

Più fuggevole e superficiale fu la ri­comparsa degli Italiani - di Sicilia e Na­poli e Toscana e Liguria - nell'Africa del Nord, e quasi solo in funzione com­merciale, o come pescatori di corallo a Tabarca, o come cercatori d'oro, nei punti della Costa dove le vie carovaniere sboc­cavano dall'interno sul mare o risalivano dal mare verso l'interno. Ma vi fu anche nel Mediterraneo occidentale un campo in cui Pisani e Genovesi operarono da pio­nieri, ripresero, con le nuove città e bor­gate, con le opere architettonich~, con l'avvaloramento agricolo, il complesso la­voro di Roma, riallacciarono all'Italia ter­re che, un po' il dominio bizantino, un po' le scorrerie saracene, un po' l'istinto isolano, se :r;te stavano allont.anando: Sar­degna e Corsica. I Pisani specialmente. Mossero di lì i primi maestri e lapicidi

che cominciarono a popolare di belle chie­se policrome le due isole. Architettura pisana e architettura romanica, quasi si­nonimi: sebbene poi quello stile, per vir­tù di maestri e costruttori locali, assu­messe atteggiamenti propri, sardi o còrsi. Grandi e monumentali, alcune di queste chiese, in Sardegna. Più modeste in ge­nere quelle della Corsica: ma portano an­che esse i loro segni di nobiltà, comin­ciando da quella S. Maria Assunta di N eb­bio, che nel 1119 l'arcivescovo di Pisa, metropolita, .consacrò: la prima o una delle prime chiese romaniche, e potremmo dire preromaniche, della Corsica, in una regione che diventerà poi architettonica­mente la più ricca dell'isola. Ma ricca di­verrà anche la vallata del Tavignano, èentro e culla della storia còrsa. Poichè quella vallata è chiusa a monte della cit­tà di Corte, tutta risonante di memorie del tempo delle lotte per l'indipendenza e di ricordi paolini, ed ha poi allo sbocco Aleria, l'Alalia degli antichi, famosa per le lotte che lì attorno combatterono Fo­cesi Cartaginesi Etruschi per il possesso dell'Isola e quindi per il dominio del Tir­reno, fino a che non vi si insediò Roma, e Silla vi mandò una colonia di cittadini romani. Decaduta poi, e quasi annegata fra gli stagni, risorse con Pisa a vita nuova. Lungo il Tavignano apparve quel­la chiesa di S. Pietro di Giuncaggio che era una delle più interessanti dell'Isola fino a pochi anni addietro, quando, rima­sta ormai senza popolo, fu ridotta a edi­ficio privato. Venne poi il pieno dominio di Genova: e con esso, vennero le belle chiese di barocco genovese, derivazione dell'Ales si, le quadrate fortezze e citta­delle di Calvi Bastia Bonifacio Ajaccio, le diecine di torri litoranee, quadre o ro­tonde, a difesa dalla pirateria turca o bar­baresc.a, i castelli dell'interno restaurati, tutte opere di . guerra, ma non prive di elementi artistici; documenti importanti di quella nuova architettura militare che

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ebbe negli Italiani maestri famosi e ricer­cat issimi, spirito artistico e spirito scienti­fico fusi insieme. Il XV, XVI, XVII sec. furono la loro età dell'oro. E come lavora­rono in Francla e Fiandre, in Portogallo e Spagn a, in Germania e Ungheria, cosi nelle B alcani, nel Mar N ero, in Anatolia, in Si­ria e Palestina, nel Nord-Mrica, nell'Egeo, a Malta. Non serve ricordare il grande Giulio Savorgnan, il cui nome è legato alle fortificazioni di Cipro, nel '500, e quelli di Evangelista Menga, di Francesco Lapar elli, di Nicola Bellovanti, di Bar­tolomeo Genga, che si applicarono a ren­dere inespugnabile, come realmente di­venne, Malta: prima che Mattia Preti, maestro calabrese di gran forza e fanta­sia, si applicasse lungamente a restaurare e dipingere le chiese di Malta, molte delle moltissime chiese di Malta che gli archi­tetti italiani vi avevano costruito e vi costruivano, e arricchire di sue tele le isole maltesi.

Poi, anche per questa specie di secon­do impero degli Italiani, in cui attività pratiche e attività artistiche si fondeva­no sino a raggiungere in taluni punti una insuperabile armonia, declinò, illanguidi, si sfaldò'. La Sardegna se la prese Spagna e quasi se la assimilò. Furono distrutti o lasciati nell'abbandono e rovinati dal tem­po, con la conquista turca in Oriente e nell'Egeo, le chiese e i fondaci delle an­tiche comunità italiane, i palazzi e for­t ezze e rocche che le famiglie genovesi e veneziane avevano costruito nelle isole di loro dominio, le grandi mura, a duplice o t riplice cerchio, di che le due repubbli­che avevano recinto tante città. Gli Slavi invasero sempre più la Dalmazia, accam­pandosi anche nelle città romane e vene­ziane, ma rimanendo estranei a quella vita, a quei costumi, a quella monumen­tale grandezza. I Francesi si impadroni­rono ' della Corsica: e, un po' indifferenza e t rascuratezza, un po' proposito, affret­tarono il rovinoso declino delle chiese

còrse. Gli Inglesi SI piazzarono a Malta, come guarnigione a guardia di una for­tezza: e anche qui, altra distruzione di memorie e monumenti romani, per incu­ria e spirito utilitario, dopo quella che s'era fatta al tempo dei Cavalieri per la costruzione delle fortezze, mentre i gran­di palazzi o alberghi delle varie lingue dell'Ordine diventavano Uffici e Coman­di inglesi. Ma anche ora dopo questo nuovo arresto o dispersione, come dopo il 1000, c'è in vista un ritorno degli Ita­liani su la scena di questo loro piccolo e grande mare. Anzi, esso è già in atto, da un secolo e più: da quando gli Ita­liani, con Galiani e Genovesi e Palmieri e Verri e i migliori del '700, ripresero a sentire il Mediterraneo come campo ne­cessario della loro espansione; da quando il Re di Sardegna, erede della Repubblica di Genova, cominciò con la sua minuscola flotta a far atto di presenza a Tunisi e Tripoli, e i suoi Consoli riattizzarono di sotto la cenere quel che ancora rimaneva acceso delle vecchie comunità italiane del Levante; da quando gli Italiani che emi­grarono per ragioni politiche e poi gli ar­tigiani e contadini tornarono a riversarsi a Malta e Alessandria, a Tunisi e Algeri, e si misero ad esercitarvi professioni li­berali e commercio, a far la guerra nella Legione straniera francese e ad assumere uffici dello Stato egiziano, a travagliarsi per trovare le sorgenti del Nilo e per dissodare la terra, piantare aziende agri­cole, lavorare alle miniere di fosfati e ad ogni mestiere; da quando Crispi si arro­vellò per Tunisi e Biserta e tenne d'occhio il Marocco, e Caneva e Cagni e Ameglio sbarcarono nel 1911 a Tripoli e a Rodi; da quando il Fascismo ha riaddidato con nuova e più energica coscienza il Medi­terraneo e l'Mrica agli Italiani e ricon­quistato la Libia che era andata perduta e creatovi porti e strade, bonificato e rin­novato le città, riportato alla luce Sa­brahata e Leptis e Cirene; da quando

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Balho ha tracciato laggiù la grande strada litoranea, dedotto migliaia di iamiglie co­loniche, creato diecine di villaggi, italiani e indigeni, tri,:ellato la terra e impianta­to poderi irrigui dove era steppa e quasi sahhia, creato la hella architettura delle piantagioni e quasi rinnovato il paesag­gio, messi o rimessi su di esso i segni del­l'uomo italiano; da quando fanti e Cami­cie Nerè han dehellato il Negus d'Etiopia e conquistato l'Impero, potenzialmente Impero mediterraneo, e i Legionari han combattuto in Spagna e aiutato la riscos­sa della nazione spagnuola; da quando Mussolini ha tenuto testa agli inglesi e la Home fleet è tornata ai suoi porti donde si era mossa con la solita orgogliosa pre­sunzione di sè e la non meno solita di­sistima degli Italiani; da quando infine, spuntato il gran giorno della riscossa, animi e armi sono tesi verso Corsica e Tunisi e Nizza e Malta ed Egitto.

Grande lavoro, anche questo 'dell'ulti­mo secolo. Lavoro nuovo che si somma con l'antico, due volte compiuto. E il lavoro antico riappare sempre più nella sua giusta luce non di episodio dovuto a favo­revoli e momentanee contingenze esterne,

non di acqua passata che non macina più, ma di fatto organico e quasi necessario della vita mediterranea ed europea; e il la­voro nuovo si illumina della gran luce di quello antico, che è luce di Roma e delle città italiane della rinascenza, luce di 'poli­tici e guerrieri, di dissodatori di terre e di creatori di opere d'arte; e il lavoro an­tico e nuovo additano il lavoro di do­mani. Ci sarà molto da fare per. gli Italiani di domani. Le opere dei padri, se conferi­scono ad essi una specie di diritto, impon­gono anche dei doveri. E il nuovo impero del Mediterraneo sarà veramente formato solo quando saranno formati gli uomini capaci di sentirlo nella sua pienezza, di governarlo, di avvalorarlo anche nella sua ricchezza archeologica e storica e quindi nella sua continuità, dai padri romani ad oggi, di dargli in ogni sua parte l'impronta nostra, come impronta romana, venezia­na o genovese diedero Romani Veneziani e Genovesi a tante terre del Mediterraneo che erano p ,arte del loro Impero, fossero esse Mrica o Malta, Corsica o isole del Levante o Dalmazia.

GIOACCHINO VOLPE

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