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IL GIOCO DEGLI ATTANTI Studio semiotico sul disagio scolastico e sul bullismo Domenico Di Chiara Docente di Lettere Palermo RIASSUNTO – Le categorie narrative, riconosciute da Vladimir J. Propp e da Algirdas J. Greimas sul piano semio-narrativo, si ripresentano sul versante filosofico e psicopedagogico nelle teorie di Paul Ricoeur e di Jerome Bruner e confluiscono nel concetto di personalità narratomorfica, i cui indicatori si ritrovano in tutte le opere della narrativa mondiale: l’auto-narrazione si presenta come il principio-guida del processo di costruzione dell’identità di ogni essere umano. Il lavoro espone uno studio semiotico del disagio esistenziale, e di quello scolastico in particolare, la costruzione di modelli semiotici e la loro sperimentazione a scuola. Gli esiti dimostrano che il disagio e il bullismo hanno la loro vera origine nella perdita o nella mancanza o nella difficoltà di recuperare la propria identità, nella fascia d’età più cruciale nel processo di formazione della persona (la preadolescenza). Lo studio propone la prevenzione dei fenomeni di disagio attraverso il sistema didattico-educativo attanziale, che fa propri i princìpi della semiotica e della psicologia investigativa e ne mostra il perno nella figura del docente, quella richiesta dalle aspettative sociali e delineata dal nostro attuale ordinamento giuridico in materia. PAROLE CHIAVE: Motivazione ed Emozione, Linguistica, Comportamento antisociale, Spazio vitale, Identità. 1. Presupposti teorici – 2. Ipotesi metodologica: la psicologia investigativa e la semiotica delle passioni – 3. Analisi semiotica del disagio e del bullismo: le figure attanziali in gioco – 4. Il gruppo e il branco – 5. Le sperimentazioni: risultati e inferenze – 6. Conclusioni INTRODUZIONE Questo articolo, sintesi di un più ampio saggio, presenta gli esiti di un lavoro di ricerca e di sperimentazione a scuola sul fenomeno del disagio scolastico e del bullismo, affrontato sul piano semiotico al fine di scoprirne le cause profonde, più difficilmente rilevabili con i sistemi tradizionali di indagine, e per attuare più autentiche ed efficaci misure di prevenzione. L’attuale stato della ricerca sul fenomeno non sembra ancora indirizzato a uno studio sotto l’aspetto semiotico né pare, altresì, che la formazione dei docenti e degli educatori in questa direzione sia stata mai promossa né programmata né, in qualche modo, “sentita” dagli stessi addetti ai lavori. Gli osservatori scientifici e le riviste specialistiche in materia evidenziano come, sul piano istituzionale, continui la propensione a contrastare il fenomeno accentuando le misure repressive 1

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IL GIOCO DEGLI ATTANTI Studio semiotico sul disagio scolastico e sul bullismo

Domenico Di Chiara

Docente di Lettere

Palermo

RIASSUNTO – Le categorie narrative, riconosciute da Vladimir J. Propp e da Algirdas J. Greimas sul piano semio-narrativo, si ripresentano sul versante filosofico e psicopedagogico nelle teorie di Paul Ricoeur e di Jerome Bruner e confluiscono nel concetto di personalità narratomorfica, i cui indicatori si ritrovano in tutte le opere della narrativa mondiale: l’auto-narrazione si presenta come il principio-guida del processo di costruzione dell’identità di ogni essere umano. Il lavoro espone uno studio semiotico del disagio esistenziale, e di quello scolastico in particolare, la costruzione di modelli semiotici e la loro sperimentazione a scuola. Gli esiti dimostrano che il disagio e il bullismo hanno la loro vera origine nella perdita o nella mancanza o nella difficoltà di recuperare la propria identità, nella fascia d’età più cruciale nel processo di formazione della persona (la preadolescenza). Lo studio propone la prevenzione dei fenomeni di disagio attraverso il sistema didattico-educativo attanziale, che fa propri i princìpi della semiotica e della psicologia investigativa e ne mostra il perno nella figura del docente, quella richiesta dalle aspettative sociali e delineata dal nostro attuale ordinamento giuridico in materia. PAROLE CHIAVE: Motivazione ed Emozione, Linguistica, Comportamento antisociale, Spazio vitale, Identità.

1. Presupposti teorici – 2. Ipotesi metodologica: la psicologia investigativa e la semiotica delle passioni – 3. Analisi

semiotica del disagio e del bullismo: le figure attanziali in gioco – 4. Il gruppo e il branco – 5. Le sperimentazioni:

risultati e inferenze – 6. Conclusioni

INTRODUZIONE

Questo articolo, sintesi di un più ampio saggio, presenta gli esiti di un lavoro di ricerca e di

sperimentazione a scuola sul fenomeno del disagio scolastico e del bullismo, affrontato sul piano

semiotico al fine di scoprirne le cause profonde, più difficilmente rilevabili con i sistemi

tradizionali di indagine, e per attuare più autentiche ed efficaci misure di prevenzione.

L’attuale stato della ricerca sul fenomeno non sembra ancora indirizzato a uno studio sotto

l’aspetto semiotico né pare, altresì, che la formazione dei docenti e degli educatori in questa

direzione sia stata mai promossa né programmata né, in qualche modo, “sentita” dagli stessi addetti

ai lavori. Gli osservatori scientifici e le riviste specialistiche in materia evidenziano come, sul piano

istituzionale, continui la propensione a contrastare il fenomeno accentuando le misure repressive

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nei confronti degli autori di atti di bullismo. Gli interventi per il loro recupero, altresì, e quelli di

assistenza psicologica alle vittime non pare possano rientrare nell’ambito di vere e proprie misure

preventive perché si tratta di interventi riparatori successivi. Il fenomeno, infatti, permane ed anzi è

in crescita. È necessario, pertanto, andare alla ricerca di ciò che sta oltre la superficie manifesta ed

empiricamente osservabile dei comportamenti umani per arrivare a cogliere gli elementi che

sfuggono all’osservazione immediata, ma che “giocano” nella “struttura profonda” della

personalità. Uno studio in tale direzione richiede necessariamente l’ausilio della Semiotica, la

scienza che studia il senso «così come lo percepiamo attraverso le forme del linguaggio e, ancor più

concretamente, attraverso i discorsi che lo manifestano, rendendolo comunicabile e garantendone una qualche

condivisione» (Bertrand, tr. it., 2002, 11).

Il presente lavoro propone un’ipotesi di ricerca e di metodo per conoscere e prevedere i moventi

dei comportamenti e per individuare efficaci percorsi di prevenzione di fenomeni antisociali, come

il bullismo in ambiente scolastico.

1. Presupposti teorici.

Lo studio parte dal concetto di narratomorfismo, dimensione costitutiva della personalità, che

corrisponde all’innata predisposizione della mente umana a razionalizzare i dati della conoscenza e

dell’esperienza di sé e del mondo, strutturandoli secondo un modello narrativo innato, che è quello

studiato e ricostruito dal narratologo Vladimir J. Propp (Propp, ed. 1985) e dal semiologo Algirdas

J. Greimas (Greimas, 1970, 1974, 1985, 2000; Greimas, Fontanille, tr. it. 1996; Greimas, Courtés,

tr. it. 2007). In ogni storia, reale o ri-costruita, vera o inventata, vissuta o immaginata, scritta o

raccontata oralmente o rappresentata dal vivo o anche trasmessa per immagini (grafiche,

fotografiche, cinematografiche, televisive, virtuali, ecc.), si riscontra sempre non solo la presenza di

figure, di personaggi e di attori descritti nel modello attanziale di Greimas, ma anche uno sviluppo

narrativo secondo lo schema di Propp. Sul versante filosofico e psicopedagogico, le contemporanee

teorie di Paul Ricoeur (Ricoeur, 1981, 1986) e di Jerome Bruner (Bruner, 1984, 2003) sull’auto-

narrazione, quale strumento per la costruzione dell’identità personale, permettono la formazione di

un quadro generale, che si può sintetizzare nella seguente proposizione: l’essere umano costruisce

la propria identità auto-narrandosi secondo schemi e modelli narrativi innati, universali, necessari

e invaranti.

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Lo schema narrativo di Propp mostra che una storia si sviluppa secondo una sequenza logica e

temporale di azioni e di fatti legati alle sfere d’azione dei personaggi (= funzioni); il modello

attanziale di Greimas evidenzia che le azioni dei personaggi sono determinate dai ruoli tematici

degli attanti, cioè di quelle figure o posizioni formali che nella grammatica narrativa superficiale

si presentano come “sintagmi nominali o sostantivi che nell’enunciato narrativo sono collegati da

una funzione” (Tesnière, 1959). Gli attanti, portatori di un ruolo tematico pertinente al proprio

stato, necessario e invariante, e posti a un livello più profondo rispetto ai personaggi, i quali stanno

a un livello più superficiale, stabiliscono a priori, attraverso contratti (espressi dalle operazioni di

giunzione [S ∩ O e S O, in cui ∩ = congiunzione e = disgiunzione]), relazioni di stato e

relazioni di fare tra un Soggetto e un Oggetto (Greimas, 1985), che determinano lo sviluppo della

storia proprio secondo lo schema di Propp e si relazionano secondo il modello di Greimas:

Complicazione o movente Evoluzione (trauma funzionale) della vicenda Ristabilimento Situazione iniziale Funzioni straordinarie (prove) dell’equilibrio (calma apparente) dell’eroe protagonista Ripristino della Rottura dell’equilibrio situazione iniziale (trauma narrativo) Situazione finale Fig. 1: Le funzioni di Vladimir J. Propp raggruppate in situazioni narrative. Aiutante Destinante Soggetto Funzioni straordinarie Oggetto Oppositore Destinatario

Fig. 2: Il modello attanziale di Algirdas J. Greimas.

I due modelli mostrano che il soggetto esercita funzioni straordinarie (= azioni insolite) quando si

verifica una rottura del contratto instaurato con l’oggetto, quasi sempre provocata da un anti-

soggetto che vuole ottenere per sé l’oggetto di valore. Il soggetto, per riottenere l’oggetto che gli è

stato sottratto, instaura altri contratti con altri attanti che possano offrirgli le modalità utili al

conseguimento del suo scopo.

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Sul piano semiotico, il contratto, tacito o esplicito che sia, instaura una relazione di stato tra i

contraenti, che solitamente stabilisce le gerarchie attanziali e che tuttavia non determina, per se

stessa, uno sviluppo della storia; occorre, infatti, che la relazione di stato si trasformi in relazione di

fare, e ciò avviene attraverso una negoziazione, in cui gli attanti figurativizzano un nuovo sviluppo

della loro storia e, dunque, si scambiano (= negoziano) le modalità di cui dispongono (= volere,

dovere, potere, sapere…), nel tentativo di ricavare il massimo vantaggio: qualcuno di essi accetterà

di essere modalizzato nel suo fare e/o nel suo essere e qualcun altro, viceversa, sarà riconosciuto

come soggetto modalizzatore. Si tratta, sostanzialmente, della formula contrattualista, secondo la

quale i contraenti rinunziano a qualcosa in cambio di vantaggi certi, altrimenti inottenibili.

Nei fenomeni di disagio e di bullismo la negoziazione, da parte della vittima, assume le

caratteristiche della costrizione semiotica: «Dal punto di vista modale, si può dire […] che le costrizioni

semiotiche non rilevano né del voler-fare né del dover-fare del soggetto, ma piuttosto di un voler-dover-essere» (Greimas, Courtés, 2007, 65). La condizione della vittima, sul piano modale, è quella di un soggetto

che “sente” se stesso come un oggetto, obbligato ad essere “altro” da ciò che “sente” di essere;

privato delle modalità che gli appartenevano come soggetto, non ha più certezze sul suo ruolo e la

sua identità è compromessa. Il bullo, al contrario, omologabile all’aggressore di Propp e all’anti-

soggetto di Greimas e «la cui sfera d’azione comprende il misfatto, il combattimento e le altre forme di lotta contro

l’eroe […], ha per funzione essenziale quella di instaurare la mancanza e, di qui, innescare ciò che Propp chiama il

“movimento del racconto”: la trasformazione negativa richiede infatti, per equilibrio, una trasformazione positiva»

(ibid., 3). L’aspetto negoziale del suo contratto con la vittima si configura come imposizione

semiotica, che rileva della categoria modale del poter fare, sovradeterminata (= modalizzata) dal

saper fare. Le articolazioni modali del saper fare (saper fare persuasivo e saper fare impositivo)

dipendono dal valore (= investimento timico) che l’anti-soggetto riversa sull’oggetto e che deve

essere di grandezza maggiore di quello della sua vittima. Il bullo, dunque, si riconosce nella figura

attanziale (anti-soggetto) che detiene le modalità fattitive del saper far fare, del poter far fare, del

voler far fare e del dover far fare (= manipolazione).

Greimas desume le sue osservazioni semiotiche dallo studio della narratività, cioè dall’analisi dei

giochi di linguaggio insiti nel discorso, vale a dire dallo studio della grammatica narrativa e della

sintassi narrativa degli enunciati scritti, letti, parlati, ascoltati, dove ha luogo la produzione della

significazione e, dunque, la generazione del senso. Egli lega, così, indissolubilmente il linguaggio

alla personalità, stabilendo un nesso tra l’essere e la sua manifestazione linguistica. La teoria

semiotica delle modalità di Greimas rivela l’immenso potere di queste categorie linguistiche, che le

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nostre grammatiche classificano come verbi modali. Le modalità, infatti, sono predicati modali che

sovradeterminano e modificano predicati descrittivi, determinando la modalizzazione dello status

degli attanti e/o del loro fare, in un gioco linguistico, grammaticale e di sintassi, strettamente legato

alla personalità dell’autore della storia e che produce significazione e genera senso. Il processo

semiotico che, a livello profondo attanziale, genera il senso dei comportamenti umani, mostra che

gli attanti, attraverso la figurativizzazione, attualizzano un fare pertinente al loro stato, indicato

come ruolo tematico e, con la narrativizzazione, lo realizzano in un comportamento, che assume

senso per via dell’investimento timico (o di valore o etico) sulle categorie semiotiche che giocano

nella storia. Le categorie semiotiche, descritte nel quadrato semiotico di Greimas, possono essere,

così, assiologizzate «in base alla proiezione, sul quadrato che l’articola, della categoria timica i cui termini contrari

sono denominati /euforia/ vs /disforia/. Si tratta di una categoria “primitiva” […] poiché con il suo aiuto si cerca di

descrivere […] il modo in cui ogni essere vivente, inscritto in un ambiente e considerato come “un sistema di attrazioni

e repulsioni”, “sente” se stesso e reagisce a ciò che lo circonda. […] Saranno allora detti assiologizzati sia il quadrato

che la categoria di cui il quadrato è la rappresentazione tassonomica. […] Si dirà dunque che l’applicazione del

“timico” al “descrittivo” trasforma le tassonomie in assiologie» (Greimas, 1985, 89):

---------------- S2 S1

S2 S1

dove : relazione di contraddizione _ _ _ : relazione di contrarietà : relazione di complementarietà

S1 - S2 : asse dei contrari S2 - S1 : asse dei subcontrari

S1 - S1 : schema positivo S2 - S2 : schema negativo

S1 - S2 : deissi positiva S2 - S1 : deissi negativa

in cui S1 (soggetto positivo), S2 (soggetto negativo), S1 (soggetto non-positivo), S2 (soggetto non-negativo) sono nella relazione (asse, schema o deissi) determinata dal contratto che vanno a stipulare.

Fig. 3: Il quadrato semiotico e le relazioni attanziali.

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La valorizzazione o investimento timico appare, dunque, il momento topico della realizzazione del

transfert. Si pensi al conflitto interiore dell’Achille omerico nel suo aspro diverbio con

Agamennone (Iliade, canto I), risolto col ricorso all’aiuto divino quale effetto di senso che

conferisce all’evento una dimensione culturale antropologica. Sul piano semio-narrativo, questo

episodio mostra l’entrata in scena di un attante (= aiutante), che si pone in relazione di stato col

soggetto (una sorta di posizione d’attesa), fino a quando la sua presenza assume senso con la

trasformazione della relazione di stato in relazione di fare, ossia con l’esercizio della funzione

propria dell’aiutante: attraverso il fare la figura attanziale si realizza nel personaggio (= la dea

Atena), costituendosi come attore e assumendo la precisa funzione di risolvere lo stato conflittuale

di Achille (= soggetto), indeciso se obbedire (rinunciando, così, alla propria libertà) o ribellarsi ad

Agamennone (perdendo in tal modo l’onore per aver infranto il codice del gruppo). È il momento

della negoziazione e dello scambio delle modalità: lo aiuta, infatti, fornendogli il /potere/ (=

donazione, funzione n. 14 dello schema di Propp), una modalità che l’eroe non possiede e che lo

modalizza nel suo fare (= poter fare). Ad Achille, infatti, viene indicato un cammino da seguire (=

funzione n. 15) che, attraverso una contesa verbale col suo antagonista (= lotta, funzione n. 16), fa

crescere la sua autostima (= marchiatura, funzione n. 17) e gli permette di salvare (= vittoria,

funzione n. 18) sia l’onore che la libertà, valori che l’eroe investe sulle categorie semiotiche in

gioco e che ricadono nell’orizzonte culturale della società omerica. Il fare del nuovo personaggio è,

dunque, un far fare, modalità fattitiva propria dell’aiutante.

La narrazione, che appariva senza sviluppo e prossima a una tragica conclusione per via della

mancanza di alternative onorevoli per Achille, può così continuare a svilupparsi secondo un nuovo

programma narrativo. L’analisi semiotica del racconto omerico mostra un sistema attanziale privo

della figura dell’aiutante, che l’autore si premura a far entrare in scena come deus ex machina per

continuare la storia secondo l’orizzonte d’attesa dei destinatari.

Anche in molte fiction pirandelliane l’epilogo delle drammatiche storie mostra sostanzialmente tre

modalità conclusive che ruotano attorno a tale figura attanziale:

1. Lo stato polemico del soggetto scompare sempre quando interviene una figura attanziale

esterna, che entra nella storia come elemento risolutore.

2. Il conflitto è risolto talvolta dallo stesso soggetto, che crea in sé una figura attanziale

risolutrice interna.

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3. Lo stato polemico del soggetto permane sempre e non trova soluzione quando manca la

figura attanziale risolutrice, sia interna che esterna.

Un esempio di figura attanziale risolutrice esterna è nella novella Il treno ha fischiato

(Pirandello, ed. 1957), dove il drammaturgo presenta una classica situazione di mobbing (Leymann,

1993). L’autore introduce nella storia una figura amica, che conosce la vita del protagonista e che

valuta da un livello superiore le sue situazioni drammatiche, decidendo di fare qualcosa per aiutare

l’amico. Il suo intervento provvidenziale provoca un cambiamento delle relazioni attanziali fra i

personaggi, dal momento che tutti gli riconoscono i ruoli attanziali del destinante e dell’aiutante: il

fare del nuovo personaggio è, infatti, un far sapere a tutti la verità sulla vita del suo amico (=

comunicazione/mediazione, funzione n. 9), dotando, così, gli altri personaggi di una competenza (=

donazione, funzione n. 14) necessaria per comprendere, interpretare, spiegare (= marchiatura,

funzione n. 17 [il soggetto possiede i dati per essere identificato]) e, infine, giudicare i suoi

comportamenti antisociali inspiegabili (= riconoscimento e identificazione, funzione n. 27).

Nel romanzo L’esclusa (Pirandello, 1994), invece, è presentata una situazione persecutoria nei

confronti di una donna, ritenuta infedele dal marito. Il “normale” sviluppo della storia conduce la

protagonista alla solitudine e all’emarginazione, dalle quali riesce a venir fuori con la costruzione

all’interno di sé, nella sua personalità, di un gioco di attanti in cui compare quella figura attanziale

risolutrice, assente nella narrazione, risolvendo, così, il suo dramma esistenziale. Sarà lo stesso

soggetto ad attualizzare in sé quella figura e, infine, a realizzarla in una nuova storia, dove otterrà

la vittoria finale sui suoi persecutori.

C’è, infine, il terzo aspetto, dove lo stato polemico del soggetto rimane senza soluzione, come nel

Fu Mattia Pascal (Pirandello, 1993). La condizione del protagonista è uno stato di disagio dovuto

all’insoddisfazione per il suo ruolo subordinato e per le persecuzioni psicologiche alle quali non sa

reagire. La mancanza dell’attante risolutore e la mediocre personalità del soggetto lasciano

insoluto ogni possibile sviluppo narrativo alternativo: il soggetto ha, infatti, delegato sempre al

“Caso” (= pseudo-destinante) ogni sua performanza, accettando che tutto gli cascasse addosso per

cogliere al volo e senza fatica il male ritenuto minore. Sul piano semiotico la delega è il contratto di

congiunzione tra il Soggetto e il Destinante (S ∩ D). Mattia Pascal delega all’attante sbagliato (o

all’attante che non c’è) la modalità fattitiva del far fare, attribuendo al “Caso” competenze e

modalità che esso non ha e, comunque, non compatibili col ruolo attanziale di pertinenza. La

conclusione della storia presenterà un soggetto totalmente annullato.

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La narratività, da un lato, e il comportamento, dall’altro, sono, dunque, manifestazioni a livello

superficiale della personalità, di cui l’analisi semiotica mette in luce il senso, prodotto a livello

profondo attanziale. Il senso è da Greimas inteso «sia come ciò che permette le operazioni di parafrasi o di

trascodifica, sia come ciò che fonda l’attività umana in quanto intenzionalità» (Greimas, Courtés, 2007, 313). Il

senso, proprio perché legato all’intenzionalità, è necessariamente legato anche alla corrispondenza

tra il finalismo di ogni azione umana e quello delle parole e dei discorsi che la raccontano. Si tratta,

in buona sostanza, della questione della corrispondenza tra realtà narrata o narratività e realtà

fattuale. La Semiotica, dunque, indica dove e come cogliere il senso dei comportamenti umani e, di

conseguenza, presuppone che in qualunque intervento sociale finalizzato a correggere

comportamenti antisociali o in-sensati è necessario avere la conoscenza preventiva dei “perché” e

dei “come” di tali comportamenti.

2. Ipotesi metodologica: la psicologia investigativa e la semiotica delle passioni.

L’analisi semiotica delle fiction pirandelliane mostra che spesso i comportamenti antisociali,

quelli devianti o quelli più genericamente in-sensati di molti personaggi (e non solamente

pirandelliani) sono associati a stati conflittuali interiori, in un quadro attanziale dove il soggetto

spesso appare come anti-soggetto, l’anti-destinante come destinante, l’oppositore come aiutante

(come se una maschera ne velasse la vera identità) e, quindi, l’anti-storia come storia (ma anche

viceversa). Il quadro generale di riferimento, sul piano della narratività, è offerto dal quadrato

della veridizione di Greimas:

verità ------------------ essere sembrare

segreto menzogna

non-sembrare non-essere

falsità

Fig. 4: Il quadrato semiotico della veridizione secondo Algirdas J. Greimas.

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dove sono descritte le categorie semiotiche attorno alle quali ruota la questione della verità.

Precursore, ante litteram, di una disciplina modernissima, la psicologia investigativa, Pirandello

affronta le problematiche veridittive in Così è (se vi pare), commedia teatrale tratta dalla novella La

signora Frola e il signor Ponza, suo genero (Pirandello, ed. 1957). I due soggetti presentano due

verità perfettamente logiche e razionalmente convincenti, ma diametralmente opposte, tanto da

escludersi a vicenda e che producono dubbi e incertezze tra la gente del paese. L’analisi semiotica

evidenzia un oggetto, che i due protagonisti presentano in modo differente, tanto da sdoppiarlo in

due oggetti, uno per ciascuno, sui quali i rispettivi soggetti operano due differenti investimenti

timici che, pur continuando a produrre confusione, fanno emergere, tuttavia, una certezza: tra i due

soggetti è in atto una sfida personale, apparentemente rivestita di complicità (una sorta di fronte

comune) nei confronti del vero oppositore, la gente curiosa. La posta in gioco è allora, più ancora

che l’accertamento della verità, la difesa ad oltranza della propria autostima e del concetto di sé,

che costituiscono per i due protagonisti/antagonisti gli oggetti di valore da salvaguardare e da

conseguire. La verità, infatti, diventa un mero oggetto di valore sociale fine a se stesso, agognato

solo dagli oppositori e che si identifica con la morbosa curiosità della gente, finalizzata non

all’aiuto e alla solidarietà, bensì a un giudizio sociale inevitabilmente negativo.

Ma nel sistema attanziale che la storia presenta, altri rapporti si intrecciano tra le figure attanziali.

L’evento mostra due soggetti, l’uno anti-soggetto rispetto all’altro, che sono allo stesso tempo auto-

destinanti e auto-aiutanti all’interno delle rispettive storie, in perfetto equilibrio fra loro perché

dotati delle medesime competenze e possessori delle medesime modalità, autori di due storie, l’una

anti-storia rispetto all’altra e, perciò anti-autori l’uno rispetto all’altro. Il surreale sistema attanziale

mostra, dunque, due anti-autori che instaurano con i loro interlocutori due contratti di veridizione,

l’uno opposto all’altro, ma perfettamente in equilibrio fra loro e che dividono i destinatari in due

opposti movimenti d’opinione fra loro antitetici.

La novella è il sintomo dell’enorme potere di un anti-soggetto verso tutti gli attanti coi quali si

relaziona. È questa la prova che la modalità fattitiva del far credere, su cui ogni attante investe il

massimo valore, è spesso prerogativa di chi, nel sistema, riveste la figura dell’anti-soggetto. In un

sistema attanziale del genere non si potrà mai venire a capo della verità, almeno seguendo il criterio

della narratività, come fa Pirandello. L’analisi letteraria, infatti, non presenta un Giudice legittimato

a tale funzione, ma una Società che vuole conoscere la verità, sostituendosi, senza averne le

prerogative, ad un Giudice legittimo. Sul piano semiotico si assiste ad una vera e propria invasione

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di campo fra ruoli e relazioni attanziali. La società, attante/destinatario, gerarchicamente

subordinato, non possiede le modalità e le competenze del potere, del sapere e del volere,

compatibili solo col ruolo attanziale del destinante, gerarchicamente superiore. L’assunzione di un

ruolo non pertinente alla propria figura attanziale non produce né relazioni funzionali né effetti

risolutivi di situazioni problematiche. Basta osservare le cronache giudiziarie più recenti, come

quella riguardante il delitto di Avetrana, per riconoscere in differenti contesti il medesimo schema

attanziale. Lo stesso schema attanziale si riscontra spesso a scuola in situazioni di dubbio o

incertezza, quando si richiedono riscontri oggettivi per smascherare i veri autori di atti di

prevaricazione o di bullismo.

Un percorso, tuttavia, che può condurre ad una soluzione della questione veridittiva è suggerito

dall’episodio del Giudizio di Salomone (Bibbia, 1 Re, 3, 16-28), dove il Re d’Israele interpreta le

due opposte verità che gli vengono raccontate focalizzando il punto di vista sull’oggetto (il

bambino), distraendolo dai due soggetti. Questi ultimi, infatti, mostrando di operare sull’oggetto un

investimento timico apparentemente analogo, generano una confusione che Salomone risolve “alla

radice”, ossia facendo emergere la vera passione (= il movente) di entrambe le donne. Egli adotta

una strategia empatica con l’obiettivo di ottenere il coinvolgimento emotivo delle donne, le quali

non potranno non svelare la passione che le ha mosse: il Giudice le priva delle modalità utili al

segreto, alla menzogna e alla falsità, “costringendole” a giocare l’unica modalità che resta e che

deve condurre allo svelamento della verità (vedi fig. 4). L’operato di Salomone, sul piano

semiotico, rivela l’adozione della strategia attanziale “canonica”, il cui punto di partenza è proprio

l’analisi semiotica delle passioni. I valori investiti dalle due madri sono, infatti, mossi proprio da

due moventi passionali diversi, i quali non possono che essere generati da due differenti sistemi

assiologici, quelli delle rispettive indagate e che si traducono in due opposti codici di

comportamento: l’una (la vera madre), accettando la disgiunzione dall’oggetto di valore (S → Ov)

per farlo restare in vita, assume un comportamento dotato di senso e mostra di avere investito sul

bambino un amore materno totale e autentico, che per il Re è sintomo certo di verità e, dunque, di

incolpevolezza; l’altra, a cui non interessa la sorte del bambino ed incolpa del delitto la rivale

(anche in maniera molto circostanziata!), accettando una congiunzione con un falso oggetto di

valore (S → ∩ ≠ Ov), senza vita, assume un comportamento privo di senso e fornisce la prova

incontrovertibile che il bambino non è suo, mostrando, così, di essere stata mossa da un dis-valore,

l’invidia e/o la gelosia, passioni che sono sintomi di falsità e di colpevolezza.

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Le due storie qui analizzate mostrano due differenti modalità investigative:

1. La novella pirandelliana sembra seguire modalità d’indagine secondo i criteri della

moderna Psicologia investigativa (Canter, 1995), disciplina di ultima generazione

nell’ambito della Psicologia giuridica, perché l’indagine si sviluppa sull’analisi delle

informazioni disponibili che consentono di estrapolare il profilo comportamentale degli

autori degli atti sotto inchiesta; inoltre Pirandello presenta una sorta di analisi

vittimologica quando mette in evidenza le caratteristiche della vittima (la moglie/nuora) e

dei processi interattivi che la legano agli autori delle due opposte storie (il marito e la

suocera/madre). C’è infine il tema della Psicologia della Testimonianza, che chiama in

causa, in qualche modo, la gente del paese a sancire la veridicità delle azioni dei due

protagonisti. Tuttavia, questa modalità investigativa non porta, ipso facto, alla verità

(almeno nella novella) perché manca di una verifica oggettiva dei fatti, che può venire

solo da riscontri oggettivi o da deduzioni incontrovertibili.

2. La storia biblica mostra un sistema di indagine che alla Psicologia investigativa canonica

aggiunge un’Analisi semiotica delle passioni (Greimas, Fontanille, 1991), senza la quale

è impossibile risalire al vero movente e chiudere così, con una deduzione

incontrovertibile, il cerchio attorno al responsabile dell’atto criminoso.

Questi ragionamenti teorici, suffragati dalle sperimentazioni attanziali nell’ambito del disagio e

del bullismo (vedi sotto, par. 5), sono anche avvertiti da Canter (1995) quando propone una chiave

di lettura degli atti criminosi centrata sullo studio delle narratives che informano il comportamento

di soggetti criminali, e possono aprire nuovi panorami su metodologie investigative connesse con

discipline scientifiche, come la Semiotica, oggi in rapidissima evoluzione.

L’utilizzo delle modalità nel quadro di un gioco di attanti, che si presenta in tutte le opere della

narrativa mondiale, autorizza un parallelismo tra le teorie di Propp e di Greimas e i risultati clinici

ottenuti in questi ultimi anni dagli psicologi dell’Università di Filadelfia (Kahana, 2006) su soggetti

mirati (per lo più affetti da patologie della sfera cognitiva) i quali, sottoposti a stimoli di natura

comportamentale (= il perseguimento di una mèta desiderabile e/o nuova e/o utile e/o piacevole),

mostrano a livello cerebrale uno spiccato aumento della produzione di dopamina, il

neurotrasmettitore che, in qualche modo, è ritenuto responsabile della ri-messa in moto di

comportamenti e, quindi, di processi d’apprendimento, apparentemente interrotti. Le inferenze della

comunità scientifica internazionale concordano su un punto: i risultati clinici, correlati alle recenti

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teorie cognitiviste dell’apprendimento, dimostrano in maniera inequivocabile che la motivazione

all’apprendimento è strettamente legata all’emozione suscitata non solo da ciò che si apprende ma

anche da come si apprende, vale a dire dalle modalità dell’apprendimento stesso. I modelli narrativi

di cui si parla, infatti, mostrano che tutte le volte che ad una situazione narrativa di normalità e di

equilibrio subentra una situazione di rottura (= trauma narrativo), a questa corrisponde un trauma

funzionale, vale a dire un cambiamento nel comportamento del soggetto (= le funzioni straordinarie

dell’eroe protagonista, secondo la terminologia narratologica). Gli psicologi clinici di Filadelfia

dimostrano che proprio in reali situazioni del genere le oscillazioni del cervello umano mostrano

una maggiore attività del sistema dopaminergico, con conseguente maggior produzione di

dopamina. La psicologia del comportamento attribuisce all’emozione tale maggiore attività e lega

questi fattori al transfert d’apprendimento.

È su tali premesse che nasce questo studio semiotico del disagio. Esso, muovendo

dall’osservazione dei comportamenti, ne indaga i segni sulla base di quanto ci sta offrendo la

moderna semiotica sulla produzione della significazione e sulla generazione del senso. Il sistema

che ne scaturisce propone, attraverso modelli, il conseguimento degli obiettivi didattici ed educativi

per il tramite di mète intermedie, desiderabili o ritenute utili dagli allievi, costruite secondo i criteri

del cognitivismo costruttivista e della semiotica, tassonomizzabli secondo l’ordine e il grado

d’istruzione e l’età dei soggetti e capaci di suscitare emozioni, al fine dell’ottenimento del transfert

dell’apprendimento. Il sistema educativo e didattico attanziale, così come si sviluppa nei suoi

aspetti teorici e nelle fasi concrete della sua applicazione, è, pertanto, la risultante di una sorta di

sincretismo delle teorie cognitiviste di ultima generazione, ivi compreso il costruttivismo che,

considerando gli allievi come organismi che ricercano attivamente dei significati, si basa

sull’assunto che essi siano i protagonisti della costruzione della conoscenza, nel tentativo di

aggiungere senso alle loro esperienze. Le sperimentazioni sono state effettuate in situazioni

modellate su soggetti “a rischio” nella scuola dell’obbligo e con la principale finalità di prevenire il

disagio scolastico e il bullismo, visti come effetto di crisi di identità in età preadolescenziale. Esse

mostrano quanto siano diffuse, nel mondo della scuola, le relazioni dis-funzionali tra i soggetti della

comunicazione e perchè i fenomeni del disagio e del bullismo stiano diventando una vera piaga

sociale. La dis-funzione relazionale, sul piano semiotico, è lo stato di non-funzione, o di fuori-ruolo,

tra i soggetti della comunicazione, vale a dire che nel sistema attanziale di contesto gli attanti non

hanno rispettato la funzione pertinente al proprio ruolo attanziale, o perchè l’hanno confusa con

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un’altra o perchè si sono volontariamente appropriati di un ruolo attanziale non pertinente,

scardinando, così, il sistema relazionale e provocando un riordino dei ruoli e, quindi, un nuovo

sistema attanziale, non più rispondente al contesto originario. Nel nuovo sistema gli attanti non si

riconoscono più e perdono la loro identità e, con essa, le competenze e le modalità acquisite e i

valori investiti nel precedente sistema.

3. Analisi semiotica del disagio e del bullismo: le figure attanziali in gioco.

Il bullismo a scuola e il disagio scolastico sono fenomeni che si manifestano nell’ambiente

circoscritto della scuola, dove sono presenti figure attanziali che esercitano la funzione docente,

specifica di un ruolo condiviso e riconosciuto socialmente, che è possibile ritrovare nel modello di

Greimas e nello schema di Propp. Almeno dodici delle trentuno funzioni di Propp (2 – 9 – 12 – 14

– 15 – 17 – 19 – 20 – 25 – 27 – 28 – 30) presentano sfere d’azione compatibili con i ruoli attanziali

di due figure del modello di Greimas (destinante e aiutante), le quali detengono le medesime

competenze richieste e previste dalla normativa che disciplina la funzione docente. Tali norme sono

raccolte nel Testo Unico D.P.R. n. 297/94, agli artt. dal 395 al 541, e provengono dal D.P.R. n.

417/74, dove erano state trasferite dall’originario D.P.R. n. 3/57. A tali norme si aggiungono quelle

previste dal C.C.N.L. del 4/8/1995 e successivi. Queste norme, infine, coordinate con la L. n.

59/1997, che all’art. 21 introduce l’Autonomia scolastica, descrivono il profilo professionale del

docente tanto sul piano istituzionale quanto su quello delle aspettative sociali. L’analisi semio-

narrativa del fenomeno mostra, altresì, che almeno sette funzioni di Propp (3 – 4 – 5 – 6 – 8 – 16 –

24) sono compatibili con i comportamenti del bullo e che le funzioni 1 – 3 – 7 – 21 – 22 – 23 – 27 –

29 riguardano quelli della vittima. Sotto questo aspetto, l’analisi mette in luce le strutture semio-

narrative del fenomeno e le relazioni che lo governano, dalle quali è possibile prevedere i

comportamenti e risalirne ai processi di generazione del senso. L’analisi semio-narrativa, infatti,

mostra tre figure attanziali in relazione gerarchica, attualizzate in tre personaggi (docente, bullo,

vittima), che interagiscono in una storia nel tentativo di ciascuno di realizzare le proprie

intenzionalità, i propri valori, il proprio sentire, ossia il proprio senso (Greimas, Courtés, 2007,

313): senso di libertà (= senso comune?), senso di dominio, senso di riscatto.

Il fenomeno del bullismo e del disagio in ambiente scolastico ha un impatto sociale rilevante

rispetto agli analoghi fenomeni che si verificano in altri ambienti, come la strada o il quartiere; il

contesto socio-ambientale della scuola infatti è, nelle aspettative sociali, un contesto sicuro,

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preordinato all’istruzione e alla formazione morale e civile dei giovani, con personale qualificato e

competente fornito dalle istituzioni, e dove la devianza e il disagio non dovrebbero proprio

manifestarsi. Tuttavia la scuola offre uno spaccato della società in cui funzionano le medesime

dinamiche attanziali ma dove i soggetti sono dei minori, cioè delle figure attanziali deboli, ancora

prive delle modalità che dovranno acquisire attraverso l’opera educativa di altri attanti,

gerarchicamente preordinati a tale funzione. Nel trasferimento (= allontanamento, funzione n. 1

dello schema di Propp) dal contesto familiare noto al contesto scolastico nuovo e ignoto, il soggetto

tende a ri-costruire il sistema attanziale noto, con le figure che conosce e che gli danno sicurezza

(destinante e aiutante). Secondo lo schema narrativo di Propp, è questo il momento di massimo

pericolo per il soggetto, ancora privo di modalità e, dunque, facile preda di anti-soggetti e di

oppositori che lo ingannano per ottenere qualche vantaggio. Osservando ancora la sequenza

proppiana, le funzioni n. 2 e n. 3 sembrano descrivere il fenomeno della devianza, tipica dell’anti-

soggetto, ma in cui può cadere anche un soggetto debole. La devianza, sul piano semio-narrativo, è

la risultante di un divieto o ordine (funzione n. 2), corrispondente alla sfera d’azione di un

destinante che ha posto delle regole di convivenza, e di un’infrazione (funzione n. 3), che

corrisponde alla sfera d’azione di un soggetto debole, che non ha la capacità di prevedere le

conseguenze, oppure di un soggetto totalmente sicuro di sé, tanto da non rispettare le regole. La

sicurezza, nei suoi aspetti sociale e personale, è «1. Condizione oggettiva di uno Stato [= di una

Società o di una Comunità sociale come la Scuola, o di un Gruppo] in cui sia garantito ai singoli il

tranquillo svolgimento delle proprie attività. […] 2. Modo che dimostra l’ormai piena acquisizione

di una capacità o la consapevolezza di una superiorità» (Devoto, Oli, alla voce “sicurezza”). Essa

indica, da un lato, uno stato di equilibrio personale e sociale, in un contesto conosciuto e

circoscritto, scandito da ritmi consueti e disciplinato da regole condivise (= la situazione iniziale

dello schema di Propp in fig. 1). Tuttavia, nel suo aspetto individuale, la sicurezza facilmente porta

alla pienezza di sé e ad un senso di superiorità. Con l’infrazione che segue al divieto, sul piano

semiotico il soggetto rompe il contratto col suo destinante, o perché non lo riconosce o perché

vuole appropriarsi del suo ruolo attanziale, ma senza averne le prerogative.

4. Il gruppo e il branco.

Nella fenomenologia del gruppo le relazioni attanziali evidenziano il loro carattere gerarchico

dal momento che il gruppo fornisce protezione e sicurezza a chi, da solo, non è in grado di

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procurarsele. Il senso del legame di gruppo (il “sentire” e il “sentirsi” di ciascun membro) è senso

di appartenenza e interdipendenza e rispetto delle gerarchie: il senso di appartenenza al gruppo è

sovradeterminato dal senso di appartenenza al Capo; a questi viene infatti riservato il ruolo del

comando perché la sua forza e la sua intelligenza non sono soltanto riconosciute da tutti i membri

ma anche considerate come fattore di unità del gruppo stesso. Un esempio tratto dall’Iliade omerica

mostra la totale adesione dei Mirmidoni alla ferma decisione di Achille di abbandonare la lotta

contro i Troiani. È evidente che il /dover-essere/ e il /dover-fare/ del gruppo coincidono col senso

dell’onore e col codice d’onore di Achille. La latente riluttanza che qua e là traspare nei sudditi di

Achille è tacitamente soffocata dalla forza fisica e carismatica del Capo. Il racconto omerico

presenta un senso di appartenenza al gruppo totalmente subordinato a quello di appartenenza al

Capo, come se la figura di Achille avesse in sé il potere di fare del gruppo un branco ai suoi ordini.

La storia, tuttavia, presenta una situazione di rottura di tale “equilibrio”, e si sviluppa diversamente

dalle aspettative, quando nella narrazione si determina una focalizzazione su un Valore, presentato

come superiore a quello di Achille. Si tratta dell’episodio di Patroclo, il quale disobbedendo agli

ordini del suo Capo mostra di non condividerne più il codice di comportamento: è il segno di un

nuovo investimento timico da parte di Patroclo e di un differente sistema assiologico che ne

consegue, che si traduce in un codice d’onore più ampio e condivisibile, superiore a quello

d’Achille e, quindi, in un nuovo codice di comportamento: il branco torna così ad essere gruppo,

perché l’investimento timico di Patroclo è stata scelta libera di giocare lo stesso valore “sentito” dai

suoi compagni. L’estremo sacrificio di Patroclo, infine, è il chiaro segno dell’appropriazione

indebita da parte del giovane Mirmidone di un ruolo attanziale gerarchicamente superiore, non

compatibile con la sua figura attanziale subordinata: il nuovo programma narrativo costruito da

Patroclo, infatti, mostra un sistema attanziale privo del destinante e dell’aiutante, figure attanziali

che il giovane amico di Achille, indebitamente, non esita ad assumere nella sua figura.

Nella fenomenologia del branco, gli attanti/anti-aiutanti (= i gregari), che sono costretti ad

aderire al programma di veridizione dell’anti-soggetto assumendo il ruolo di complici, sono di

solito vittime delle sue azioni, legate a lui da una relazione di sottomissione alimentata dalla

passione della paura e/o dalla sua forza carismatica o, ancora, da un senso dell’onore che li lega

forzatamente ad un codice di comportamento ormai passivamente accettato ma, comunque,

condiviso e la cui assiologia è evidenziata più sotto, nel quadrato di Greimas (fig. 5). Il loro

comportamento è un /non poter-non fare/, determinato proprio dal vincolo che li lega all’anti-

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soggetto; quest’ultimo, sul piano relazionale, esercita le funzioni di un soggetto manipolatore,

detentore delle modalità del volere, del sapere e del potere e, dunque, dotato delle competenze

dell’attante/destinante. Proiettando sul quadrato le categorie semiotiche che competono al

destinante (la libertà e l’indipendenza) e le corrispondenti modalità del /poter-fare/ e del /poter-non

fare/, scaturisce un codice di comportamento ascrivibile alla sovranità; allo stesso modo il codice di

comportamento della vittima è quello della sottomissione (= categorie dell’obbedienza e

dell’impotenza e modalità del /non poter-non fare/ e del /non poter-fare/). Ma, come spesso

succede, gli anti-aiutanti possono essere anche gli stessi familiari, mossi dall’amore egoistico e dal

senso dell’onore di famiglia (si consideri che nella cultura del branco l’onore è legato alla

vergogna), passioni che diventano il movente di un comportamento attanziale descritto nella deissi

negativa del quadrato della veridizione. In sostanza, di solito la famiglia del bullo “mette in gioco”

le due modalità di cui dispone (/poter-non fare/ e /non poter-fare/), che nel quadrato corrispondono

all’indipendenza e all’impotenza, determinando la ricaduta dei comportamenti nel codice

dell’umiltà. Questo succede quando scuola e famiglia collaborano nell’educazione. Quando ciò non

avviene, i familiari di un bullo, ancorché smascherato, assumono le funzioni di attanti/anti-

destinanti, pronti a costruire e a sostenere un nuovo programma di veridizione credibile e a

suggerire ed omologare le mosse dell’anti-soggetto per il perseguimento dell’oggetto di valore

posto in gioco. Il loro comportamento ricade nella deissi positiva del quadrato e rientra nel codice

della fierezza. Un oggetto di valore da conquistare subito attraverso un tranello o un

danneggiamento, diretto o trasversale, (funzioni 6 e 8 dello schema di Propp) è il coinvolgimento

del soggetto manipolato nel codice d’onore del soggetto manipolatore, all’interno del quale

quest’ultimo sa di avere le competenze per ottenere la vittoria sul rivale. Greimas propone una

possibile articolazione del codice d’onore proiettando sul quadrato le articolazioni della modalità

del /poter fare/, dove sono descritte le relazioni di gerarchia (Greimas, 1985, 212):

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codice della sovranità libertà pf pf indipendenza codice della fierezza codice dell’umiltà obbedienza pf pf impotenza

codice della libertà codice dell’obbedienza

codice della sottomissione

Legenda: - pf = modalità del /poter fare/ (libertà)

- pf = modalità del /poter non fare (indipendenza)

- pf = modalità del /non poter non fare/ (obbedienza)

- pf = modalità del /non poter fare/ (impotenza)

Fig. 5: Assiologia del codice d’onore e sottocodici dell’onore nel quadrato semiotico.

La lettura di questo modello evidenzia che ciascun asse, schema o deissi costituisce un

sottocodice d’onore suscettibile di svilupparsi in sistema assiologico autonomo. Si vede bene come

il codice d’onore costituisca uno spartiacque nella risposta che il soggetto manipolato è obbligato a

dare all’anti-soggetto: se il comportamento del soggetto manipolato non rientra nel programma del

soggetto manipolatore, cambia il sistema assiologico ed entra in crisi il movente passionale che lo

sostiene; ne consegue il fallimento del programma e la perdita delle certezze, delle motivazioni e

delle competenze dell’anti-soggetto. Greimas si serve di un esempio concreto nel contesto

dell’analisi della sfida: «Se lo schiaffo [a Gesù] di cui parlano i Vangeli è una provocazione e una sfida, non ci

sono apparentemente che due risposte possibili: o agire rendendo lo schiaffo (e affermare così un poter-fare), o non fare

niente (e accettare così una constatazione di impotenza). Ora, Gesù adotta una soluzione deviante: presenta la guancia

sinistra. Si tratta non solamente di un rifiuto a “giocare lo stesso gioco” ma, al tempo stesso, della proposta di un altro

codice d’onore» (Greimas, 1985, 211), il cui movente passionale appartiene, chiaramente, ad un

sistema assiologico diverso.

5. Le sperimentazioni: risultati e inferenze.

Gli individui, oggetto delle sperimentazioni, sono gli alunni preadolescenti delle scuole medie, tra

gli 11 e i 14 anni, in stato di disagio, verificato attraverso gli indicatori e secondo i protocolli

riconosciuti dalla vasta letteratura scientifica sul fenomeno (per tutti, Olweus, 1980; id., tr. it.,

1996).

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Le sperimentazioni attanziali mettono in luce alcuni elementi nuovi perché affrontano i processi

educativi e di apprendimento a scuola in situazione modellata. La ripetizione empirica attraverso i

modelli rende possibile l’osservazione e il controllo delle diverse variabili che entrano in gioco,

permettendo di selezionarle secondo uno schema e un processo di stile comportamentista: 1)

prendere atto degli antecedenti del comportamento (variabili indipendenti); 2) registrare le variabili

intermedie che entrano nella dinamica del processo; 3) studiare i prodotti o le risultanti associate a

queste condizioni, come loro conseguenze (variabili dipendenti). Le sperimentazioni tengono conto

di queste macrovariabili e delle microvariabili ad esse connesse, nella logica della teoria S-R

(Stimolo-Risposta) che intende per stimolo una situazione totale antecedente e per risposta la

risultante di un insieme di comportamenti piuttosto complessi, che coinvolgono il soggetto nella sua

totalità. Nelle situazioni modellate, inoltre, è sempre presente la figura dell’insegnante, che ha un

ruolo importante nell’influenzare il gioco degli attanti, perché si pone nei processi intermedi fra gli

antecedenti osservati e le conseguenze misurate, condizionando queste ultime in maniera decisiva.

Il modello di lezione attanziale è un modello semio-narrativo strutturato secondo lo schema

narrativo “canonico” di Propp e di Greimas; si presenta, infatti, come lo schema della

sceneggiatura di un testo teatrale o cinematografico, in cui gli attanti si attualizzano nei

personaggi e si realizzano negli attori; i ruoli attanziali degli uni e le sfere d’azione degli altri

confluiscono nelle azioni degli attori, che si sviluppano secondo la sequenza delle funzioni di

Propp, creando il “movimento del racconto” e determinando le relazioni attanziali; gli ambienti,

infine, sono costituiti dalle scenografie (eventuali), mentre i linguaggi stabiliscono i modi propri

della comunicazione e dell’espressione, esclusivi del modello scelto. L’aspetto semiotico del

modello è costituito dalle categorie semiotiche, dalle modalità e dalle passioni che giocano nella

storia costruita dal docente e dalle quali deve scaturire l’investimento timico progettato e

programmato.

Nelle sperimentazioni il gruppo sperimentale è costituito dall’intero gruppo-classe, distribuito in

due sottogruppi (gruppo “S”, formato da alunni con scarso rendimento scolastico, e gruppo “B”,

formato da alunni con un buon rendimento scolastico). L’assegnazione dei compiti è fatta sulla

base delle osservazioni sui singoli soggetti. Il gruppo di controllo è formato sia da alunni con

scarso rendimento scolastico (gruppo “S”) che da alunni con un buon rendimento scolastico

(gruppo “B”), appartenenti ad altre classi parallele e “trattati” secondo i sistemi tradizionali

d’insegnamento. Quando non è possibile il coinvolgimento di altre classi la variabile determinante

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sarà costituita dal sistema didattico attanziale, che verrà applicato sul gruppo-classe come fase

sperimentale; i sistemi didattici tradizionali costituiranno la fase di controllo. I due grafici seguenti

mostrano i risultati delle sperimentazioni:

10 - 10 -

5 - 5 -

0 0 (fig. 6/a) (fig. 6/b)

Gruppo sperimentale “B” Fase sperimentale

Gruppo di controllo “B” Fase di controllo

Gruppo sperimentale “S”

Gruppo di controllo “S”

Fig. 6/a: Rendimento scolastico per classi parallele.

Fig. 6/b: Rendimento scolastico dello stesso gruppo-classe per fasi.

I grafici mostrano un successo scolastico mediamente superiore negli alunni del gruppo

sperimentale rispetto a quelli del gruppo di controllo (fig. 6/a). La fig. 6/b evidenzia il maggior

rendimento scolastico degli alunni dello stesso gruppo-classe nella fase sperimentale.

Con riguardo ai ragazzi “S” dei due gruppi (sperimentale e di controllo), è nettamente evidente la

ricaduta positiva dei risultati sui gruppi sperimentali; per gli alunni dello stesso gruppo-classe i

risultati sono positivi non soltanto nella fase sperimentale ma pure nella fase di controllo; questi

alunni, infatti, tendono ad impegnarsi maggiormente nello studio perché già abituati al sistema

attanziale, dal quale non vogliono, in nessun caso e per nessun motivo, essere più esclusi o tagliati

fuori; essi mostrano una motivazione all’apprendimento in cui non risulta estranea la figura

dell’insegnante, su cui riversano un investimento timico alla stregua di quanto avviene nei riguardi

delle categorie semiotiche rappresentate in un quadrato: sul piano semiotico, infatti, si tratta

dell’instaurazione di un legame contrattuale fra l’oggetto (“O”) e il destinante (“D”), che Greimas

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indica con i segni di giunzione (∩ = congiunzione e = disgiunzione); essi stabiliscono la direzione

verso cui è attratto l’oggetto e indicano l’investimento timico in atto: «O → ∩ D».

6. Conclusioni

Le riflessioni semiotiche, sviluppate in questo studio a livelli diversi d’analisi, mettono in luce il

nesso tra i fenomeni linguistici e quelli comportamentali; questi fenomeni sono ciò che appare a

livello superficiale antropomorfico e informano che il loro senso è generato a livello profondo della

personalità. È quanto, in verità, afferma anche Pirandello (1908) a proposito delle sue riflessioni su

apparenza e sostanza. La narratività, il raccontare e il raccontarsi da un lato, e le manifestazioni

comportamentali dall’altro, sono dunque segni di un’unica realtà significata, che può essere

decriptata attraverso l’analisi semiotica, che ne studia il senso «così come lo percepiamo attraverso le

forme del linguaggio e, ancor più concretamente, attraverso i discorsi che lo manifestano, rendendolo comunicabile e

garantendone una qualche condivisione.» (Bertrand, tr. it., 2002, 11).

Gli assunti della Semiotica, ormai ampiamente condivisi dal mondo scientifico, non possono,

pertanto, che costituire dottrina ai fini giurisprudenziali in ordine al riconoscimento di valenza

giuridica a sistemi investigativi associati a indagini semiotiche.

Nell’ambiente scolastico e nel contesto della classe, dove il governo dei fenomeni linguistici e di

quelli comportamentali rientra nella funzione didattica ed educativa del docente, il sistema

attanziale e l’utilizzo dei diversi modelli di lezione attanziale consentono di programmare le

situazioni di apprendimento, specialmente nei casi di disagio e di svantaggio, finalizzandole al

recupero degli alunni “a rischio” e alla prevenzione del fenomeno del bullismo. Attraverso i modelli

è possibile ri-creare contesti ed esperienze in continua interazione con realtà al di fuori delle mura

scolastiche, attualizzare e narrativizzare le esperienze scolastiche in funzione delle esperienze

personali e viceversa. Viene così a crearsi un gioco di attanti interattivo, dove nuove esperienze e

nuove conoscenze diventano apprendimento motivato e realizzano un transfert. Tutto ciò è in

aderenza e continuità con molti assunti del pragmatismo di John Dewey (1938), per il quale

l’educazione è attività che si svolge dal gioco al lavoro, ove allo stadio iniziale sta l’esperienza

intesa come attività impulsiva. È il fare che suscita i problemi e mette in movimento il pensiero.

Così il metodo scolastico, secondo il Dewey, non è più risolto in formule generiche ed astratte, ma

si pone concretamente come guida dell’azione e si riveste di caratteri morali come la franchezza,

l’aderenza alle situazioni, la volontà di imparare, l’onestà e il senso di responsabilità. In quest’ottica

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la scuola diventa una forma di vita sociale, una comunità in miniatura, in continua interazione con

altri metodi d’esperienza associata al di fuori delle mura della scuola. Dewey pone alla base del

sistema didattico ed educativo il metodo attivo, che tiene conto dello sviluppo delle capacità e degli

interessi nell’allievo e dove l’aspetto attivo precede l’aspetto recettivo.

Tutto ciò è illustrato nelle sperimentazioni, esposte in dettaglio nel saggio da cui è tratto

quest’articolo. Una di esse in particolare (anno scolastico 1998/99) mostra il movente di un

comportamento antisociale di un allievo nel difficile, complicato ed imperfetto rapporto col padre,

vissuto dal ragazzo come una sorta di in-sensata punizione (= pena inflitta, “sentita” come

negazione d’amore), dalla quale riscattarsi e affrancarsi attraverso un’azione di ri-valsa (= dal

verbo ri-valere, ri-dare-valore), proiettata alla ri-conquista dell’oggetto d’amore. Il modello

attanziale applicato (modello mimetico: sceneggiatura di una fiction con testo e personaggi mirati) e

l’analisi semiotica, sia preventiva che in itinere, hanno prodotto un transfert attanziale nel ragazzo

(attore) e un transfert affettivo nel padre (spettatore). Il classico spettacolo di fine anno, che si fa in

tutte le scuole, è stato così piegato e finalizzato al recupero di un allievo in stato di grave disagio

esistenziale e scolastico.

Ciò che si nota nella scuola di oggi, soprattutto nella scuola secondaria, è sicuramente l’aderenza

formale a tali sistemi educativi ma non la loro applicazione sostanziale. L’aderenza formale,

eminentemente istituzionale e normativa, presuppone che tutto il personale docente delle scuole di

ogni ordine e grado possieda i prerequisiti, la formazione e la preparazione adeguate al ruolo

rivestito. Ma tutti sanno che non è così: la formazione universitaria dei docenti della scuola

secondaria è carente in materia di Scienze pedagogiche, a differenza degli insegnanti della scuola

dell’infanzia e di quella primaria. A ciò si aggiunge la deficienza degli Organi Istituzionali in

materia di erogazione di risorse per colmare tale deficit formativo.

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