Studi e ricerche Socialisti o missili dello Stato e la sua dottrina militare, il futuro...

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Studi e ricerche Socialisti o missili L’Italia nella politica estera kennediana Leopoldo Nuti Dopo aver ampiamente delineato le principali componenti della politica estera statunitense sot- to la presidenza di Kennedy, il saggio prende in considerazione la linea a quel tempo perseguita dagli Stati Uniti nei confronti dell’Italia. La prima parte dell’articolo è incentrata sul di- battito sviluppatosi all’interno dell’amministra- zione Kennedy sulla questione chiave della poli- tica italiana nei primi anni sessanta, vale a dire l’“apertura a sinistra”, con l’inclusione del parti- to socialista di Pietro Nenni nella coalizione di governo. La seconda parte prende invece in esa- me le relazioni italoamericane nel contesto della diplomazia euroatlantica e descrive i vari livelli di cooperazione tra i due paesi in settori quali la compartecipazione nucleare, gli orientamenti strategici dello Stato e la sua dottrina militare, il futuro dell’integrazione europea. Infine, l’ultima parte cerca di valutare l’intera- zione tra i diversi fattori costitutivi della politica estera americana e il loro effetto combinato sul sistema politico italiano. La conclusione è che, a partire dal 1963, sia l’evoluzione del sistema in- ternazionale verso una moderata distensione, sia la vaga simpatia dimostrata da taluni intellettua- li progressisti vicini alla Casa Bianca nei con- fronti dell’“apertura a sinistra” ebbero un ruolo importante nel preparare la strada alla ridisloca- zione delle forze nella politica italiana. After a broad outline of the main components of US foreign policy under President Kennedy, the paper looks at US policy toward Italy during the years o f his administration. A first section focuses on the debate within the Kennedy administration about the key issue of Italian politics in the early 1960s, namely the “opening to the L eft’’by the in- clusion of Pietro Nenni’s socialist party in the go- vernment coalition. A second section looks at US- Italian relations in the context of Euro-Atlantic diplomacy, and describes the various degrees o f cooperation between the two countries in areas such as nuclear sharing, the strategic posture of NATO and its military doctrine, and the future o f European integration. Finally, the last part o f the essay attempts to as- sess the combined effect on the Italian political system of different aspects o f US foreign policy, and o f their interplay. It concludes that by 1963 both the evolution of the international system to- ward a moderate detente and the vague sympathy shown by some liberal intellectuals in the White House toward the “opening to the Left” played an important role in paving the way to a new align- ment offorces in Italian politics. Italia contemporanea”, settembre 1996, n. 204

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Studi e ricerche

Socialisti o missiliL’Italia nella politica estera kennediana

Leopoldo Nuti

Dopo aver ampiamente delineato le principali componenti della politica estera statunitense sot­to la presidenza di Kennedy, il saggio prende in considerazione la linea a quel tempo perseguita dagli Stati Uniti nei confronti dell’Italia.La prima parte dell’articolo è incentrata sul di­battito sviluppatosi all’interno dell’amministra­zione Kennedy sulla questione chiave della poli­tica italiana nei primi anni sessanta, vale a dire l’“apertura a sinistra” , con l’inclusione del parti­to socialista di Pietro Nenni nella coalizione di governo. La seconda parte prende invece in esa­me le relazioni italoamericane nel contesto della diplomazia euroatlantica e descrive i vari livelli di cooperazione tra i due paesi in settori quali la compartecipazione nucleare, gli orientamenti strategici dello Stato e la sua dottrina militare, il futuro dell’integrazione europea.Infine, l’ultima parte cerca di valutare l’intera­zione tra i diversi fattori costitutivi della politica estera americana e il loro effetto combinato sul sistema politico italiano. La conclusione è che, a partire dal 1963, sia l’evoluzione del sistema in­ternazionale verso una moderata distensione, sia la vaga simpatia dimostrata da taluni intellettua­li progressisti vicini alla Casa Bianca nei con­fronti dell’“apertura a sinistra” ebbero un ruolo importante nel preparare la strada alla ridisloca­zione delle forze nella politica italiana.

After a broad outline o f the main components o f US foreign policy under President Kennedy, the paper looks at US policy toward Italy during the years o f his administration. A first section focuses on the debate within the Kennedy administration about the key issue o f Italian politics in the early 1960s, namely the “opening to the L e ft’’by the in­clusion o f Pietro Nenni’s socialist party in the go­vernment coalition. A second section looks at US- Italian relations in the context o f Euro-Atlantic diplomacy, and describes the various degrees o f cooperation between the two countries in areas such as nuclear sharing, the strategic posture o f NATO and its military doctrine, and the future o f European integration.Finally, the last part o f the essay attempts to as­sess the combined effect on the Italian political system o f different aspects o f US foreign policy, and o f their interplay. It concludes that by 1963 both the evolution o f the international system to­ward a moderate detente and the vague sympathy shown by some liberal intellectuals in the White House toward the “opening to the L e ft” played an important role in paving the way to a new align­ment o f forces in Italian politics.

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Introduzione

“Fu una lotta che sembrava non avere mai fine” , scrisse Arthur Schlesinger nel 1965 a proposito delle difficoltà incontrate dall’am­ministrazione Kennedy nel modificare la po­sizione del Dipartimento di Stato verso la politica italiana: “Sembrava di essere intrap­polati in un romanzo di Kafka. Era molto peggio [...] che portare un materasso matri­moniale su per una stretta rampa di scale ri­pide” 1; e qualche anno dopo Robert Kenne­dy ricordò sorridendo a Leo Wollemborg che all’interno dell’esecutivo guidato da suo fratello c’era stata una vera e propria “battaglia” in merito alla linea da tenere verso l’Italia2.

Per gli esponenti dell’amministrazione Kennedy che vi furono coinvolti, in effetti, la definizione della linea politica da tenere nei confronti dei problemi italiani fu un’e­sperienza particolarmente aspra e frustrante. Sarebbe però errato desumere dai loro giudi­zi che quei problemi costituissero all’epoca una delle principali preoccupazioni del presi­dente degli Stati Uniti. Tra il 1961 e il 1963, infatti, i problemi relativi all’Italia non furo­no quasi mai oggetto di particolari preoccu­pazioni da parte della Casa Bianca, che in Europa dovette concentrare la propria at­tenzione su situazioni molto più critiche, quali le iniziative della Francia gollista e le tensioni relative all’assetto di Berlino o su questioni minori quali, ad esempio, i contra­

sti tra lo State Department e il regime di Sa­lazar sulle colonie portoghesi in Africa. Tut­tavia, per quanto la politica dell’amministra­zione Kennedy nei confronti dell’Italia possa sembrare adatta solo a un case study di im­portanza secondaria, essa risulta di partico­lare interesse non solo, ovviamente, dal pun­to di vista italiano, ma anche da quello più generale dello studio della politica estera americana, perché nei rapporti italoamerica- ni dei primi anni sessanta si intersecano in modo singolare gran parte delle tematiche kennediane.

Per evidenziare tutte le varie componenti di tale intreccio, questo saggio è stato diviso in due parti. La prima è dedicata all’esame delle componenti della politica estera kenne- diana che più influenzarono i rapporti con l’Italia, cioè sia la strategia “riformista” con­cepita per il Terzo mondo sia quella elabora­ta per le relazioni con i paesi alleati all’inter­no del blocco atlantico. Nella seconda parte si analizzano invece le relazioni tra gli Stati Uniti e l’Italia alla luce di queste strategie, prima esaminando come l’amministrazione Kennedy affrontò il problema dell’apertura a sinistra, e poi soffermandosi sui rapporti tra Roma e Washington nel quadro comples­sivo delle relazioni internazionali e della poli­tica di sicurezza. Nelle considerazioni conclu­sive, infine, si valuta quali conseguenze ab­biano avuto sul sistema politico italiano sia l’intreccio tra le varie linee della politica este­ra kennediana sia l’evoluzione del quadro in-

Questo lavoro costituisce un approfondimento della relazione (The Italian Policy o f thè Kennedy Administration) presen­tata da chi scrive al convegno “Kennedy and Europe”, organizzato all’Istituto universitario europeo nell’autunno del 1992, e riprende alcuni spunti di un successivo articolo L'administration Kennedy et sa politique italienne: un ‘test case’ du processus de décision dans la politique étrangère des Etats-Unis, “Relations Internationales”, 1995, n. 84, pp. 485-500. Entrambi anticipano alcune delle conclusioni di uno studio più ampio su Gli Stati Uniti e le origini del centrosinistra, 1955-1964, che dovrebbe essere pubblicato nel 1997.1 Arthur M. Schlesinger Jr., A Thousand Days. John F. Kennedy in thè White House, New York, Ballantine Books, 1971, p. 804 (prima edizione 1965). Schlesinger prese in prestito la metafora del materasso doppio dall’ex sottosegretario di Stato Chester Bowles, che la usava per sottolineare quanto fosse difficile costringere una burocrazia a cambiare un pun­to di vista consolidato.

Leo Wollemborg, Nenni was not thè devii: una copia dell’articolo si trova in Wayne State University, Detroit, Michi­gan (d’ora in poi WSU), Walter P. Reuther Library, Archives of Labor and Urban Affairs (d’ora in poi WSU, WRLA- LUA), Victor Reuther Papers (d’ora in poi V. Reuther), box 35, f. 25.

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ternazionale, per concludere che entrambi questi fattori ebbero un ruolo rilevante nel favorire la nascita di un governo di centrosi­nistra.

“To steal thè thunder from thè left” : l’ideologia della politica estera della nuova amministrazione

La progressiva evoluzione della rivoluzione cubana in senso comunista e il conseguente avvicinamento aH’Urss del regime instaurato da Fidel Castro ebbero un effetto profondo sulla politica estera americana e contribuiro­no a stimolare il processo di riformulazione delle linee di fondo con le quali gli Stati Uni­ti avevano cercato di contenere la penetra­zione politico-strategica deH’Unione Sovieti­ca nel Terzo mondo. I primi sviluppi di tale processo si erano avuti fin dagli ultimi tempi di Eisenhower, ma l’incertezza che aveva ca­ratterizzato la fase finale della leadership dell’anziano presidente era prevalsa su ogni tentativo di dar vita ad un nuovo corso3. Spettò dunque all’amministrazione Kennedy cercare una risposta alla minaccia di una progressiva erosione delle posizioni america­ne nei paesi in via di sviluppo o da poco usciti dall’esperienza coloniale. Nella formu­lazione di questa nuova politica ebbe un ruolo decisivo l’orientamento degli intellet­tuali chiamati da Kennedy a far parte della

sua amministrazione, secondo i quali gli Sta­ti Uniti dovevano abbandonare il rigido an­ticomunismo degli anni cinquanta e incorag­giare riforme che, migliorando le condizioni di vita delle popolazioni dei paesi di nuova indipendenza, vi rendessero difficile la pene- trazione della propaganda comunista. Que­st’impostazione era in particolare sostenuta da quel gruppo di economisti e politologi di Harvard e del Mit, quali Walt Rostow e Max Millikan, che negli anni precedenti era giunto alla conclusione che solo riforme economico-sociali su larga scala avrebbero condotto alla creazione di democrazie stabili nel Terzo mondo4. L'entourage intellettuale di cui Kennedy amava circondarsi racco­mandava quindi caldamente un nuovo orientamento nella politica estera americana che facesse degli Stati Uniti l’alfiere di una serie di rivoluzioni democratiche e distrug­gesse l’immagine diffusa dalla propaganda sovietica di una superpotenza americana ba­luardo della reazione mondiale. Si trattava, in parte, di riprendere quella linea di “espor­tazione del New deal” che aveva caratteriz­zato la politica estera americana dell’imme­diato dopoguerra e che era stata applicata con successo nell’Europa occidentale con il Piano Marshall. Quest’atteggiamento si ac­compagnava poi a una critica severa della politica seguita daH’amministrazione Eisen­hower, giudicata passiva e incerta e accusata di aver “nascosto i problemi sotto il tappeto

3 Sull’impatto della rivoluzione cubana, cfr. Richard E. Welch Jr., The Response to Revolution: The United States and the Cuban Revolution, 1959-1961, Chapel Hill, North Carolina University Press, 1985; Stephen Rabe, Eisenhower and Latin America, Chapel Hill, North Carolina U. Press, 1988; Thomas G. Paterson, Contesting Castro: the United States and the Triumph o f the Cuban Revolution, New York, Oxford University Press, 1994. Per un’analisi dei fermenti degli ultimi anni dell’amministrazione Eisenhower e, in particolare, del rapporto del Committee on Foreign Relations diretto dal senatore Fulbright, cfr. Mario Margiocco, Stati Uniti e Pei, 1943-1980, Roma-Bari, Laterza, 1981, pp. 67-72.4 Tony Smith, Exporting Democracy to Latin America: the Case o f the Alliance for Progress, in Abraham Lowentahl (a cura di), Exporting Democracy: the United States and Latin America, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1991; T. Smith, America’s Mission. The United States and the Worldwide Struggle for Democracy in the Twentieth Century Princeton, Princeton University Oress, 1994. Sulla Charles River school di Rostow e Millikan, cfr. Robert Packenham, Liberal America and the Third World: Political Development Ideas in Foreign Aid and Social Science, Princeton, Prince­ton University Press, 1973 e, più in generale, Arthur Schlesinger Jr., A Thousand Days, cit.. Sono particolarmente rico­noscente al professor Tony Smith per avermi permesso di consultare il dattiloscritto del suo contributo al volume di Lowenthal quando era ancora in corso di preparazione.

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per 8 anni”5, e ad una radicata convinzione di disporre dei mezzi intellettuali e materiali idonei ad affrontare in modo più energico e sofisticato i tremendi compiti posti dalla sfi­da con l’Urss6.

La ricerca di una nuova politica per op­porsi alla crescita dell’influenza comunista era però destinata a scontrarsi con una serie di ostacoli. In primo luogo, la nuova politica volta a “esportare democrazia” doveva esse­re inserita nel contesto globale del confronto con l’Urss e, quindi, essere bilanciata con le molteplici esigenze del quadro strategico ge­nerale. Combattere la guerra fredda con un più attivo programma di riforme significava infatti decidere fino a che punto abbandona­re o modificare i vecchi metodi per far posto ai nuovi; significava trovare un equilibrio, per esempio, tra i programmi di assistenza militare e quelli economici o di assistenza allo sviluppo, dal momento che non sarebbe stato possibile espanderli entrambi. Gli intellettua­li della Nuova frontiera, del resto, non erano dei pacifisti disposti a liquidare tout court ogni impegno militare, ché anzi alcuni di loro mostravano uno spiccato interesse nell’ela- borare programmi militari che permettessero l’applicazione della nuova linea politica al si­curo da ogni minaccia di sovversione7.

Equilibrare vecchi e nuovi metodi non era però semplicemente un problema di ammini­strazione delle risorse degli Stati Uniti: si trattava anche, e soprattutto, di rendere com­patibile la speranza che il nuovo corso desse

vita a democrazie più solide e, perciò, meno vulnerabili all’influenza comunista, con il ti­more che le misure adottate a questo scopo alienassero i gruppi dirigenti dei paesi alleati, che fino a quel momento avevano garantito agli Stati Uniti la propria disponibilità a re­stare al loro fianco ma che non sembravano particolarmente propensi né a mettere in di­scussione il proprio ruolo né ad adattarsi al nuovo corso. Anche se i paesi in via di svilup­po annoveravano molte forze disposte ad ac­cogliere i nuovi programmi riformisti, infatti, i gruppi che rappresentavano gli interessi consolidatisi negli anni precedenti attorno al­l’alleanza con Washington non potevano che accogliere con molto sospetto ogni proposta di cambiamento che sembrasse intaccare i lo­ro privilegi e il loro status.

Neppure all’interno della stessa ammini­strazione Kennedy mancavano sfiducia e dif­fidenza. Diplomatici e burocrati formatisi in un clima di rigido anticomunismo non sem­pre accolsero con entusiasmo un atteggia­mento di aperto sostegno ai programmi rifor­misti, per l’attuazione dei quali occorreva aprire un dialogo con forze politiche alle qua­li fino a poco tempo prima si era guardato con sospetto se non con aperta ostilità. Lo scontro tra innovatori e tradizionalisti costi­tuì perciò uno dei temi dominanti di tutta l’amministrazione Kennedy e forti divergen­ze caratterizzarono l’elaborazione e l’appli­cazione della politica americana sia nel caso dell’Alleanza per il progresso, che del nuovo

5 John Kenneth Galbraith, Ambassador's Journal. A Personal Account o f the Kennedy Years, Boston, Houghton Mifflin, 1969, p. 8.6 Sull’attivismo di Kennedy e del suo entourage, cfr. T. G. Paterson, Introduction, John F. Kennedy’s Quest for Victory and Global Crises, (a cura di), in T. G. Paterson Kennedy’s Quest for Victory. American Foreign Policy 1961-1963, New York, Oxford University Press, 1989.7 Arthur M. Schlesinger, Jr., (Robert Kennedy and his Times, New York, Bailamme Books, 1979, pp. 495-503) spiega in maniera molto efficace il fascino esercitato sull’amministrazione Kennedy dalle teorie di counterinsurgency. Per un ul­teriore approfondimento, cfr. Douglas S. Blaufarb, The Counterinsurgency Era: U.S. Doctrine and Performance, 1950 to the Present, New York, Free Press, 1977; Larry E. Cable, Conflict o f Myths: the Development o f American Counterin­surgency Doctrine and the Vietnam War, New York, New York University Press, 1986; Michael McClintock, Instru­ments o f Statecraft: U.S. Guerrilla Warfare, Counterinsurgency, and Counter-terrorism, 1940-1990, New York, Pantheon Books, 1992; Theodore Shackley, The Third Option: an American View o f Counterinsurgency Operations, New York, Reader’s Digest Press, McGraw-Hill, 1981).

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corso costituì l’esempio più importante, sia negli altri casi nei quali un maggiore impegno riformista venne a scontrarsi con l’imposta­zione precedente. Il contrasto tra le due linee politiche fu inoltre accentuato dall’ambiguo comportamento del presidente, le cui simpa­tie potevano sì essere rivolte verso il gruppo degli intellettuali progressisti, ma il cui istinto politico lo portava a coprirsi le spalle schie­randosi spesso con i settori più tradizionali­sti. I programmi di riforme ebbero perciò un iter travagliato sia nei paesi nei quali si sa­rebbero dovuti realizzare sia all’interno del­l’amministrazione Kennedy e suscitarono reazioni che andavano dalla piena adesione allo scetticismo o anche al netto rifiuto: dal­l’Africa all’Iran all’America Latina, la pola­rizzazione reazione-innovazione si ripetè sia in loco sia all’interno dell’amministrazione americana, con il risultato che gran parte del­le scelte politiche operate non furono altro che compromessi, molto meno innovativi di quanto inizialmente auspicato8.

L’amministrazione Kennedy e l’Europa

In Europa la politica estera della nuova am­ministrazione doveva muoversi entro spazi e secondo coordinate molto diversi da quelli individuati per il Terzo mondo. L’Europa oc­cidentale restava il fulcro principale della po­litica estera americana, il terreno dove si gio­cavano le sorti dello scontro con l’Unione Sovietica, ma, con la parziale eccezione lega­

ta allo sviluppo e al culmine della crisi di Ber­lino, in Europa l’amministrazione non perce­piva quella sensazione di drammaticità, quel­la necessità di agire in fretta e con tempismo per evitare una vittoria dell’avversario, che caratterizzava invece il confronto con l’Urss nei territori extraeuropei. L’Europa occiden­tale sembrava ormai saldamente legata agli Stati Uniti con l’Alleanza atlantica e il com­pito principale che la diplomazia americana si prefiggeva era, perciò, quello di mantenere la coesione della Nato e di evitare che tra gli alleati si diffondesse una sensazione di sfidu­cia di fronte al nuovo dinamismo della politi­ca estera di Chruscèv.

Questo compito, con tutte le conseguenze che ne derivavano, si rivelò però col passare del tempo una potenziale fonte di contrasto con un’altra delle scelte fondamentali della nuova amministrazione. Fin dai primi mesi del 1961, infatti, apparve chiaro che il princi­pale orientamento strategico dell’ammini­strazione Kennedy consisteva nel cercare di invertire la crescita esponenziale delle armi nucleari che aveva caratterizzato il periodo precedente, o perlomeno di ridurre il più pos­sibile il rischio di una guerra atomica. Una volta che la teoria della rappresaglia massic­cia ebbe perso la propria credibilità dopo che anche il territorio degli Stati Uniti si trovò ad essere esposto al pericolo di un attacco nu­cleare sovietico, la strategia americana co­minciò infatti a prefiggersi lo scopo di mante­nere sotto controllo una possibile escalation nucleare, piuttosto che persistere con la mi-

8 Sul tentativo di avviare l’Iran verso una democratizzazione, cfr. James Goode, Reforming Iran during the Kennedy Years, “Diplomatic History” , 1991, n. 1, pp. 13-30; James A. Bill, The Eagle and the Lion: the Tragedy o f American- Iranian Relations, New Haven, Yale University Press, 1988; Barry M. Rubin, Paved with Good Intentions: the American Experience and Iran, New York, Oxford University Press, 1980. Sull’Africa, Richard D. Mahoney, JFK: Ordeal in Afri­ca, New York, Oxford University Press, 1983 e Thomas J. Noer, New Frontiers and Old Priorities in Africa, in T. G. Paterson (a cura di), Kennedy’s Quest for Victory, cit., pp. 253-283. Sulle colonie portoghesi, George Ball, The Past has Another Pattern. Memoirs, New York, Norton, 1982, pp. 274-282 e José Freire Antunes, Kennedy e Salazar. O lead e a raposa, Lisboa, Difusäo Cultural, 1991. Su Alleanza per il progresso, oltre alle opere di T. Smith, citate, cfr. Richard Goodwin, Remembering America. A voice from the Sixties, New York, Harper and Row, 1988; Jerome Levinson, Juan de Onis (a cura di), The Alliance that Lost its Way, New York, Quadrangle, 1970; Stephen G. Rabe, Controlling Revo­lution: Latin America. The Alliance for Progress and Cold War Anti-communism, in T. Paterson, Kennedy’s Quest for Victory, cit, pp. 195-122.

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naccia di contenere immediatamente e con ogni mezzo, compresa la rappresaglia atomi­ca, ogni mossa aggressiva da parte sovietica. In questo contesto vanno considerate le scel­te strategico-politiche della nuova ammini­strazione: l’insistenza sulla teoria della rispo­sta flessibile, e quindi di una reazione ade­guata al livello dell’aggressione scatenata dall’avversario; le pressioni sugli alleati euro­pei perché aumentassero la potenza delle loro forze convenzionali, in modo da non costrin­gere l’alleanza atlantica a rispondere quasi automaticamente a un’aggressione conven­zionale con il fuoco atomico; e, infine, i ten­tativi del nuovo segretario della difesa, Ro­bert McNamara, di accentrare quanto più possibile il controllo sull’impiego delle armi atomiche, sia riducendone la disseminazione presso gli alleati, sia introducendo meccani­smi elettronici di autorizzazione al loro im­piego che ne impedissero l’uso senza il con­senso del presidente9. In sostanza, la nuova amministrazione si prefiggeva il compito di rendere “il protettorato americano più con­vincente per i sovietici e gli europei e meno pericoloso per gli americani” 10 11.

Implicita in questa linea strategico-politica era una sorta di tacita intesa con la contropar­te sovietica che una guerra nucleare sarebbe stata disastrosa per entrambi i contendenti e che la proliferazione delle armi atomiche co­stituiva un rischio altrettanto grave per tutte e due le superpotenze. Ovviamente tale intesa non sarebbe stata sviluppata apertamente e chiaramente formalizzata che di lì a qualche anno, ma le sue premesse erano in qualche modo già individuabili nella ricerca e nella formulazione di una alternativa al concetto

di deterrenza basato pressoché esclusivamente sulla minaccia dell’arma nucleare che l’Al­leanza atlantica aveva seguito fino a quel mo­mento. E proprio nella ricerca di tale alterna­tiva risiedeva la potenziale fonte di contrasto con gli alleati europei, i quali avevano del pari subito lo shock provocato dall’acquisizione da parte sovietica di una capacità balistica in­tercontinentale che aveva posto fine all’invio­labilità del territorio americano. La reazione europea, tuttavia, si era progressivamente in­dirizzata in senso opposto a quello americano nel tentativo di bilanciare le nuove capacità strategiche dell’Urss con l’acquisizione di un maggior controllo sul deterrente nucleare del­la Nato: fin dall’autunno del 1957, infatti, l’Alleanza aveva dato chiari segni di nervosi­smo e di incertezza al riguardo e un po’ tutte le principali potenze europee avevano mostra­to chiaramente di volere una qualche forma di assicurazione che andasse oltre il testo del trattato istitutivo dell’Alleanza e che confer­masse la volontà degli Stati Uniti di rischiare un conflitto nucleare pur di fermare un’ag­gressione sovietica in Europa. Nel caso fran­cese, questa pretesa di una controassicurazio­ne, coniugata alla volontà gollista di consoli­dare la posizione di potenza della Francia, si era spinta fino alla decisione di completare le iniziative avviate dalla Quarta repubblica e di costituire per la Francia un deterrente nu­cleare nazionale autonomo rispetto a quello dell’Alleanza; nel caso delle altre potenze eu­ropee, si cercò invece di dar vita a una forza nucleare sotto controllo comune ma collocata all’intemo della Nato, in cui anche gli stati eu­ropei potessero avere un ruolo ben definito circa l’impiego delle armi atomiche". Queste

9 Su McNamara e la strategia della risposta flessibile, cfr. Deborah Shapley, Promise and Power. The Life and Times of Robert McNamara, Boston, Little Brown, 1992); Jane E. Stromseth, The Origins o f Flexible Response. Nato’s Debate over Strategy in the 1960s, New York, St. Martin’s Press, 1988.10 David Calleo, Beyond American Hegemony. The Future o f the Western Alliance, New York, Basic Books, 1987, p. 45.11 Per un primo, ambiguo tentativo di dar vita a una possibile produzione trilaterale italo-franco-tedesca di armi nu­cleari, cfr. gli studi di Colette Barbier, Eckart Conze, Leopoldo Nuti su “Histoire Diplomatique” , 1990, n. 1-2; Geor­ges-Henri Soutou, Les accords de 1957 et 1958: vers une communauté stratégique et nucléaire entre la France, l'Allemagne et l'Italie?, “Matériaux pour l’histoire de notre temps” , 1993, n. 31, pp. 1-12.

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spinte e queste tensioni avevano dato vita ne­gli ultimi anni dell’amministrazione Eisenho- wer a due progetti, il primo allestito dal co­mandante supremo dell’Alleanza in Europa il generale Lauris Norstad, e il secondo, dive­nuto poi noto con il nome di Forza multilate­rale, dall’ex direttore del Policy Planning Staff del Dipartimento di Stato Robert Bowie12. Entrambe le proposte si muovevano, sia pure con qualche differenza, nella direzione deside­rata dagli alleati europei e l’amministrazione Kennedy, una volta insediata, si trovò a dover proseguire lungo la strada indicata daH’ammi- nistrazione Eisenhower se non voleva correre il rischio di un progressivo deterioramento dei rapporti aH’interno della Nato. Tuttavia il contrasto tra queste iniziative e la scelta stra­tegica di fondo di ridurre i rischi di una guerra nucleare era palese e ben presto all’interno della stessa amministrazione cominciò a ma­nifestarsi una pluralità di opinioni circa le priorità da assegnare all’una o all’altra linea politica13. Doveva prevalere la logica del so­stegno dell’Alleanza a ogni costo, quella del progressivo accentramento del controllo delle armi nucleari nelle mani del presidente, o qualche altra soluzione intermedia ? La politi­ca europea-atlantica deH’amministrazione Kennedy fu quindi influenzata da spinte e ten­denze molto diverse, talora apertamente con­trapposte, e oscillò ripetutamente tra l’una o l’altra direzione: né esisteva una soluzione im­mediata che permettesse di conciliare e bilan­ciare le aspirazioni nucleari francesi con il mantenimento degli equilibri all’interno della Nato e con la ricerca di una strategia che con­sentisse di innalzare la soglia del conflitto ato­mico. Di fronte ai marcati contrasti esistenti

all’interno della sua amministrazione e alla di­versità di opinioni riscontrata tra gli alleati eu­ropei, lo stesso presidente Kennedy finì per adottare un atteggiamento molto pragmatico e flessibile, esitando a prendere decisioni dra­stiche e definitive e ritornando spesso sui pro­pri passi: solo dopo la conferenza di Nassau del dicembre 1962 e la crisi aperta da De Gaul- le in seno alla Nato, con la conferenza stampa del 14 gennaio 1963 e la firma del trattato del- l’Eliseo il 22, sembrò che la politica atlantica degli Stati Uniti cominciasse ad orientarsi in una direzione più precisa, ma anche in quel periodo non mancarono ripensamenti e incer­tezze.

La politica europea dell’amministrazione Kennedy ebbe perciò un programma molto meno dettagliato e meno influenzato dall’i­deologia euroatlantica di quanto spesso la sto­riografia successiva abbia ritenuto: se con l’e­spressione grand design si intende infatti indi­care un programma mirante a costituire una stretta comunità atlantica costituita da due poli — gli Usa e la Comunità europea — di pari peso e di pari importanza politico-strate­gica, non sembra che le iniziative deH’ammini- strazione Kennedy si possano differenziare sostanzialmente, per dinamismo, intensità o originalità delle proposte, dalla linea generale seguita dagli Stati Uniti verso l’Europa a par­tire dalla seconda metà degli anni quaranta. In effetti, se si eccettuano alcune fasi particolari, non sembra appropriato parlare di un grand design kennediano contrapposto al progetto gollista di Europa delle patrie, se non come semplice abbozzo di una linea politica piutto­sto che come progetto compiuto14. Nessuna delle strutture che avrebbero dovuto costituire

12 Per la genesi del piano Norstad, cfr. David N. Schwarz, Nato's Nuclear Dilemmas, Washington, Brookings, 1983, e John Steinbruner, The Cybernetic Theory o f Decision-Making Princeton, Princeton University Press, 1974; per la pro­posta di Robert Bowie, cfr. R. Bowie, The North Atlantic Nations. Tasks for the 1960s. A Report to the Secretary of State, August 1960, pubblicato come occasional paper dal Nuclear History Program e messo a disposizione della III Re­view Conference del Nhp, Ebenhausen, giugno 1991.13 Alla domanda se nell’amministrazione Kennedy vi fossero due posizioni diverse sul controllo delle armi nucleari, McGeorge Bundy rispose sorridendo “Come minimo!” (Intervista con l’autore, marzo 1991).14 Frank Costigliela ritiene invece che “la comunità atlantica” fosse un obiettivo prioritario della politica estera di Ken-

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le basi del grand design — la creazione di una forza nucleare multilaterale, la riduzione delle tariffe doganali all’interno della comunità atlantica, l’allargamento della Comunità eu­ropea alla Gran Bretagna — fu infatti oggetto di una costante attenzione o di una politica al­trettanto coerente quanto quella elaborata per la riduzione dei rischi nucleari. La forza mul­tilaterale restò un esperimento cui solo in qualche momento particolare si ritenne di da­re un’importanza maggiore, e quasi sempre per fini di carattere strettamente contingente; i negoziati per la riduzione delle tariffe inizia­rono con ritardo e si svolsero con notevole lentezza e in mezzo a mille difficoltà; l’ingres­so della Gran Bretagna nella Comunità euro­pea fu si sostenuto daU’amministrazione, ma risentì dello stesso dilemma che aveva caratte­rizzato la politica europea degli Stati Uniti fin dal fallimento della Ced (Comunità europea di difesa) e, cioè, che una dimostrazione di ec­cessivo interesse da parte americana avrebbe potuto provocare effetti controproducenti, consigliando perciò l’adozione di una linea politica di appoggio discreto e non troppo evi­dente. Il grand design sembra perciò ridursi più a uno slogan propagandistico, coniato da alcuni giornalisti e dai settori più accanita- mente europeisti del Dipartimento di Stato, che non indicare una politica coerentemente svolta da tutta l’amministrazione e in partico­lare dal presidente Kennedy: nei confronti del­l’Europa occidentale, l’amministrazione non sviluppò infatti nessuna politica coerente se non a livello di abbozzo15.

C’è un episodio che, al di là delle dichiara­zioni ufficiali e delle posizioni dei vari diparti­

menti, serve a riassumere il senso di quanto si è cercato di dimostrare e a esemplificare in maniera chiarissima l’effettivo ordine di prio­rità tra i vari obiettivi di politica estera del pre­sidente Kennedy e, in particolare, tra il conse­guimento di un primo passo verso un’intesa con l’Urss in merito al controllo degli arma­menti e il cosiddetto grand design: alla fine di luglio del 1963, alla vigilia della loro partenza per Mosca dove dovevano concludere il nego­ziato per la firma del Limited Test Ban Treaty, Walter Averell Harriman e Cari Kaysen ebbe­ro un colloquio con Kennedy nel corso del quale il presidente dette loro ampia libertà di manovra per raggiungere un’intesa per la limi­tazione dei test nucleari con Mosca che com­prendesse anche la Cina. Harriman chiese co­me avrebbe dovuto comportarsi per rendere la proposta più accettabile per i sovietici, accen­nando alla possibilità di rinunciare, da parte americana, alla Forza multilaterale. La rispo­sta di Kennedy fu “Va bene, gettala nel muc­chio se può servire a raggiungere un’intesa sul­la Cina” , e i suoi interlocutori “ebbero l’im­pressione che fosse disposto a scambiare la Mlf per un trattato che vietasse tutti gli espe­rimenti nucleari e permettesse un numero ac­cettabile di ispezioni di verifica” 16.

I rapporti tra gli Stati Uniti e l’Italia negli anni di Kennedy

La politica italiana delFamministrazione Ken­nedy si trovò ad essere influenzata tanto dalla dimensione ideologica volta a promuovere il riformismo come arma per combattere il co-

nedy: F. Costigliola, The Failed Disegn: Kennedy, De Gaulle and the Struggle for Europe, “Diplomatic History”, estate 1984, pp. 227-251; Id., The Pursuit o f Atlantic Community: Nuclear Arms, Dollars and Berlin, in T. Paterson (a cura di), Kennedy’s Quest, cit.15 Joseph Kraft, The Grand Design: from Common Market to Atlantic Partnership, New York, Harper, 1962.16 L’episodio è raccontato da Arthur M. Schlesinger nella versione originale de 1 mille giorni, ma, forse perché non cor­risponde del tutto all’iconografia ufficiale del Kennedy “europeista” , è stato espunto dalla versione pubblicata, cfr. “A Thousand Days — Manuscript” , 1st draft, in JFK Library (d’ora in poi JFK) Papers of Arthur M. Schlesinger Jr. (d’ora in poi A.M. Schlesinger Jr.), Writings, box W18, f. 23, pp. 1410-1411. Il racconto di Schlesinger, secondo le note con­tenute nel manoscritto, si basa su un appunto del suo diario alla data del 28 luglio 1963 e su due successive conversa­zioni con Harriman e Kaysen.

Socialisti o missili 451

munismo, quanto dal dibattito circa l’elabora­zione di una nuova strategia euroatlantica. Per comprendere appieno l’effetto dell’interse­zione di queste due componenti della politica estera americana sulle relazioni tra Roma e Washington, i due aspetti saranno analizzati prima separatamente, per poi cercare di defi­nire il risultato del loro intreccio.

Negli anni cinquanta il problema dell’evo­luzione del partito socialista italiano verso una posizione politica simile a quella della socialdemocrazia occidentale era stato segui­to con particolare attenzione dall’ammini­strazione Eisenhower; tuttavia, fino alle crisi provocate dalla pubblicazione del rapporto Chruscév e dalla rivolta ungherese, a Wa­shington si guardò con estremo scetticismo alle manovre di Nenni, considerate in sostan­za come un modo per dar vita a un fronte po­polare malamente camuffato sotto il tentati­vo di sganciare il Psi dal suo rapporto di di­pendenza dal Pei. Come ha scritto al riguar­do William Colby, all’epoca responsabile delle covert operations presso la stazione ro­mana della Cia, “gli avversari [del Psi] ricor­davano l’ambiguità delle dichiarazioni e delle prese di posizione dei socialisti, ed esigevano che rompessero chiaramente con i loro alleati prima di venire accettati come membri rispet­tabili della democrazia occidentale” 17. La strategia aggressiva seguita dall’amministra- zione Eisenhower durante i suoi primi quat­tro anni nei confronti dell’Unione Sovietica prevedeva, inoltre, che fosse necessario tene­re l’avversario sotto costante pressione per costringerlo a muoversi quanto più possibile nella direzione auspicata e questa stessa logi­ca era stata seguita nei confronti della situa­

zione politica italiana e del Psi. Per citare le parole della grintosa ambasciatrice america­na, la celeberrima signora Luce:

Nenni si sposterà verso il centro più di quanto Sa- ragat si sposterà a sinistra [....] Comunque il m atri­monio sarà tanto più ricco di significato se il suo movimento verso il centro non gli sarà reso tanto facile18.

La situazione cominciò a cambiare negli anni successivi al 1956, quando il nuovo amba­sciatore David Zellerbach lasciò maggiore spazio alle iniziative dei suoi subordinati e, in particolare, al primo segretario d’amba­sciata George Lister. Questi, arrivato all’am­basciata di Roma nel dicembre del 1957, ini­ziò con il consenso di Zellerbach un lento processo di avvicinamento agli autonomisti del Psi tramite una serie di incontri nel corso dei quali le due parti si scambiarono le rispet­tive opinioni sulla situazione politica interna e internazionale, dapprima in modo cauto e guardingo e poi, con il passare del tempo, in toni sempre più amichevoli e confidenzia­li19. Alla fine dell’amministrazione Eisenho­wer, tuttavia, le conversazioni tra Lister e gli autonomisti erano riuscite a spezzare par­te della diffidenza iniziale che il Dipartimen­to di Stato nutriva nei confronti di Nenni, ma non a convincere gli americani che l’apertura a sinistra avrebbe contribuito a stabilizzare la situazione politica italiana.

L’attenzione di alcuni esponenti liberal dell’amministrazione Kennedy fu immedia­tamente attratta dal problema dello stallo nell’attuazione dell’apertura a sinistra, sia in relazione alla naturale tendenza a simpa­tizzare per i problemi di quelle forze politiche

17 William Colby, Peter Forboth, La mia vita nella Cia, Milano, Mursia, 1996, pp. 93-94 (ed. or. My life in the Cia, London, Hutchinson & Co., 1978).18 Claire Booth Luce, Italy and the European Situation, January 8, 1957, in Archives of the Council for Foreign Re­lations, New York, Minutes of meetings.19 Intervista con George Lister, Washington, giugno 1991. Il primo incontro con un esponente del Psi Lister lo ebbe con Riccardo Lombardi: “Memorandum of Conversation with Psi Leader Riccardo Lombardi” , February 3, 1958, in Na­tional Archives and Records Service (d’ora in poi NAW), Foreign Service Despatch n. 956, RG 59, CD Files 1955-1959, b. 3608, 765.00/2-358.

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che, al pari loro, intendevano attuare una po­litica di vigoroso riformismo; sia per il tipico attivismo che caratterizzava lo spirito della nuova amministrazione e spingeva i suoi membri ad affrontare i problemi in maniera diretta ed esplicita. In particolare la proble­matica italiana attirò l’attenzione di tre per­sonalità vicine alla Casa Bianca e che aveva­no tutte particolare interesse per le vicende italiane. Il principale esponente della Nuova frontiera che si occupò delle vicende italiane fu Arthur M. Schlesinger Jr., lo storico dell’e­ra rooseveltiana che Kennedy aveva chiama­to alla Casa Bianca con l’incarico di scrivere la storia ufficiale della sua amministrazione e con il compito imprecisato di essere il suo “consigliere speciale” : nel suo nuovo incari­co, Schlesinger rinnovò il suo interesse per la politica italiana a lui familiare fin dall’ado­lescenza, dal momento che suo padre, anch’e­gli storico ad Harvard, era stato tra coloro che erano riusciti a portare Gaetano Salvemi­ni a insegnare nel prestigioso ateneo america­no, e aveva fatto dell’esule italiano un abitua­le frequentatore di casa Schlesinger20. La di­mestichezza con la storia italiana e con la vi­sione critica ereditata da Salvemini, la sua personale posizione politica progressista, il suo interesse per tutti quei movimenti intel­lettuali e politici che in qualche modo rie­cheggiassero le posizioni espresse dalla Nuo­va frontiera, finirono per fare di Schlesinger un elemento centrale nella formulazione di una diversa politica americana nei confronti dell’Italia e, in particolare, lo portarono a caldeggiare fin dai primi mesi del 1961 l’at­tuazione dell’apertura a sinistra nella speran­za che l’ingresso del Psi al governo consentis­

se l’attuazione delle riforme necessarie a mo­dernizzare la società italiana.

Il principale interlocutore di Schlesinger nell’elaborazione di una nuova strategia per l’Italia fu Robert W. Komer, un altro mem­bro dello staff della Casa Bianca. L’interesse di Komer per la politica italiana era sorto du­rante la seconda guerra mondiale, quando da tenente aveva partecipato alla campagna d’I­talia presso il Quartier generale delle forze al­leate compilando anche una storia ufficiale del governo militare alleato nel teatro Medi- terraneo21. Dopo la guerra, Komer era entra­to a far parte della Cia praticamente fin dalla sua creazione, lavorando presso il Board of Intelligence Estimates come capo della sezio­ne europea, compito, questo, che lo aveva mantenuto a stretto contatto con la proble­matica italiana e gli aveva permesso altresì di studiare le operazioni clandestine condotte dall’intelligence americana all’interno della sinistra sia in Francia sia in Giappone; di­staccato nel 1956 come funzionario di colle­gamento tra la Cia e il National Security Council sotto l’amministrazione Eisenhower, Komer rimase a far parte dello staff della Ca­sa Bianca durante l’amministrazione Kenne­dy con il compito di occuparsi soprattutto di problemi dell’area medio-orientale e del Ter­zo mondo, il che non gli impedì di sollevare questioni non strettamente attinenti alla sua sfera di competenza specifica22. La conoscen­za della situazione italiana, il carattere risolu­to e impaziente e l’abilità con la quale in pas­sato aveva risolto situazioni complesse e in­garbugliate ne fecero un alleato quasi natura­le per Arthur M. Schlesinger nella lunga con­tesa che si sviluppò nei mesi seguenti tra lo

20 Intervista con A.M. Schlesinger Jr., New York 1991.21 Intervista con Robert W. Komer, Rand Corporation, Washington D.C., 23 maggio 1991; per un riferimento alla sto­ria scritta da Komer sul governo militare alleato, cfr. Harry L. Coles, Albert K. Weinberg, Civil Affairs: Soldiers B i­corne Governors, Washington, D.C., Office of thè Chief of Military History, 1964, p. 755.

Il National Security Council (d’ora in poi Nsc), secondo Komer, non funzionava in maniera tale da assegnare cia­scuno dei suoi funzionari a un ristretto campo specifico: Komer ricorda di aver scritto uno dei suoi primi memorandum per il presidente Kennedy sulla necessità di cambiare la politica dell’amministrazione precedente sulla Cina (Intervista con Robert W. Komer, cit.).

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special assistant del presidente e il Diparti­mento di Stato23.

L’alleato più influente che Schlesinger e Komer riuscirono a coinvolgere nei loro sfor­zi fu Walter Averell Harriman, ex ambascia­tore americano in Unione Sovietica, gover­natore dello Stato di New York ed esponente di spicco del partito democratico. A 69 anni, Harriman godeva di un grande prestigio, do­vuto all’esperienza diplomatica accumulata nel corso di una lunga carriera che lo aveva spesso visto al centro di eventi di importanza cruciale, ed era stato per breve tempo consi­derato uno dei possibili candidati alla carica di segretario di Stato anche in virtù del suo notevole contributo alla campagna elettorale di Kennedy. Tuttavia entrambi i fratelli Ken­nedy sembravano inizialmente considerarlo troppo anziano per poter svolgere un ruolo importante nella nuova amministrazione e Harriman stesso nutriva ancora qualche dub­bio sulle qualità del nuovo presidente, di cui era divenuto sostenitore solo in tempi relati­vamente recenti. Fu perciò soprattutto in vir­tù delle pressioni di molti intellettuali della Nuova frontiera, che di Harriman ammira­vano la grande apertura mentale e lo spirito progressista, che gli fu assegnata la posizione di roving ambassador, un incarico dai contor­ni molto sfumati, ritenuto una posizione più onorifica che di sostanza. Tuttavia con il pas­sare del tempo le relazioni personali tra Har-

riman e Kennedy migliorarono tanto che l’anziano diplomatico divenne intimo amico della famiglia del presidente ed ebbe un ruolo di primo piano nella politica estera della nuo­va amministrazione. Tra i grandi statisti della sua generazione, Harriman si rivelò anzi for­se il più duttile e flessibile, capace, anche in età avanzata, di cambiare opinione e adattar­si a nuove circostanze, e, come si vedrà in se­guito, ebbe anche un’influenza notevole nel determinare la politica dell’amministrazione nei confronti dell’Italia24.

Schlesinger, Harriman e Komer giunsero presto alla conclusione che l’apertura a sini­stra costituiva un passaggio obbligato per la modernizzazione della società italiana e per ridurre l’importanza del Pei nella scena poli­tica italiana. Secondo questa logica era negli interessi degli Stati Uniti abbandonare la po­litica di diffidenza nei confronti di Nenni e degli autonomisti del Psi e incoraggiare inve­ce i loro sforzi e quelli della sinistra De per at­tuare un vasto programma di riforme politi­che e sociali. La storia delle loro iniziative è stata raccontata più di una volta, seppure non senza numerose imprecisioni e significa­tive omissioni: ai fini di questo saggio sarà comunque sufficiente ricapitolarne breve­mente gli aspetti principali, per poi soffer­marsi un po’ più dettagliatamente sulle lacu­ne che caratterizzano le ricostruzioni esisten­ti25. Come in numerosi casi analoghi verifica-

23 Sul carattere e le attività di Komer, cfr. anche John Prados, Keepers o f the Keys. A History o f the National Se­curity Council from Truman to Bush, New York, Morrow and Company, 1991, pp. 118-122. Si dovrebbe forse aggiun­gere che nel ricordare quel periodo e l’intera problematica dell’apertura a sinistra Komer sottolinea più l’aspetto an­ticomunista di quello “progressista-riformista” messo in evidenza da Schlesinger (intervista con Robert W. Komer, cit.).24 Per i rapporti tra Kennedy e Harriman agli inizi dell’amministrazione cfr. A.M. Schlesinger, A Thousand Days, cit., pp. 143-144, e Walter Isaacson, Evan Thomas, The Wise Man. Six Friends and the World They Made, London, Faber, 1986, pp. 601-604; per il carattere di Harriman, cfr. W. Isaacson, E. Thomas, The Wise Man, cit., in particolare alle pp. 584-586. Più in generale, su Harriman, cfr. Rudy Abramson, Spanning the Century: the Life of W. Averell Harriman 1891-1986, New York, W. Morrow, 1992 e l’autobiografia degli anni di guerra, W. Averell Harriman, Special Envoy to Churchill and Stalin, 1941-1946, New York, Random House, 1975.25 A. Schlesinger, Jr., A Thousand Days, cit.; Alan Arthur Platt, US Policy toward the “Opening to the Left" in Italy, New York, Columbia University, Ph.D. Dissertation 1973 [pubblicata da University Microfilm International, Ann Ar­bor, Michigan 1974]; Mario Margiocco, Stati Uniti e Pci, 1943-1980, Roma-Bari, Laterza, 1981; Leo Wollemborg, Stel­le, strisce e tricolore. Trent'anni di vicende politiche tra Roma e Washington, Milano, Mondadori, 1983; Spencer M. Di

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tisi durante l’amministrazione Kennedy, le iniziative degli attivisti della Casa Bianca si scontrarono con le resistenze di altri settori, in particolare l’Italian Desk del Dipartimen­to di Stato e l’ambasciata di Roma, che non avevano ancora superato lo scetticismo nei confronti del Psi, considerato il cavallo di Troia costruito dal Pei per penetrare nella cit­tadella del governo o giudicato non sufficien­temente maturo per agire come forza di go­verno. Sta di fatto che numerosi funzionari del Dipartimento tennero un atteggiamento decisamente ostile a qualsivoglia apertura nei confronti di Nenni e nei primi mesi del 1961 si scontrarono ripetutamente con Schle­singer e Komer, senza che nessuna delle due parti riuscisse a persuadere l’altra26. Quando i loro disegni vennero frustrati da un com­portamento che appariva ai loro occhi come un misto di miopia burocratica e bieco con­servatorismo, gli innovatori si rivolsero natu­ralmente alla più alta autorità, e cioè allo stesso presidente Kennedy. La storia a que­sto punto si fa più ingarbugliata e più difficile da decifrare: secondo la versione dello stesso Schlesinger, e i successivi resoconti di Leo Wollemborg e di Spencer Di Scala, Kennedy avrebbe preso posizione a favore dell’apertu­ra, tanto che fin dal suo primo incontro con

Fanfani del giugno del 1961 gli avrebbe espresso l’approvazione del suo governo nei confronti dell’esperimento del centrosinistra. Una tesi in parte contrastante è fornita invece da Alan Platt, che nella sua tesi di dottorato ritiene l’atteggiamento di Kennedy molto più ambiguo e cauto nei confronti dei suggeri­menti dei suoi consiglieri liberal e decisamente non così apertamente schierato dalla parte dell’apertura a sinistra. Platt avanza l’ipotesi che Kennedy in realtà abbia dato la sua impli­cita approvazione alle iniziative caldeggiate dai membri del suo staff, ma non il suo appog­gio formale; e questo al fine di evitare uno scontro diretto con il Dipartimento di Stato, con il quale erano già numerosi i motivi di ten­sione in merito a un problema quale quello italiano che in quel momento sembrava deci­samente di secondo piano. Né la documenta­zione dei National Archives né quella dellaJ.F. Kennedy Library forniscono alcuna indi­cazione in merito a questo punto: il volume delle “Foreign Relations of thè United States” dedicato all’Europa occidentale, tuttavia, sembra confermare la tesi che il presidente ini­zialmente avesse rifiutato di prendere posizio­ne per una delle parti in causa27.

Da questo momento in poi, come in molti altri casi che si verificarono nel corso dell’am-

Scala, Renewing Italian Socialism. Nenni to Craxi, New York-Oxford, Oxford University Press, 1989. Una ricostruzione assai romanzata in Roberto Faenza, Il malaffare. Dall’America di Kennedy all'Italia, a Cuba, al Vietnam, Milano, Mon­dadori, 1979.26 Secondo il racconto di uno dei protagonisti, lo scontro si sarebbe ripetuto anche all’interno della Cia, dove gli analisti si sarebbero pronunciati in senso favorevole all’apertura e gli “operativi” in senso contrario: Oral History Interview with William Knight, in JFK, pp. 8-11; cfr. anche R. Faenza, Il malaffare, cit, p. 64. Per un’ulteriore analisi dell’atteg­giamento della Cia, cfr. anche S.M. Di Scala, Renewing, cit., pp. 122-123. Il direttore della Cia John McCone sembra aver preso posizione a favore dell’apertura, o per lo meno asserì di esservi interessato, quando si incontrò con Vittorio Vailetta nella primavera del 1962 (Piero Bairati, Valletta, Torino, Utet, 1983, pp. 311 sg.). Il capo del controspionaggio all’interno della Cia, James J. Angleton, era invece del tutto ostile al centrosinistra e secondo un resoconto si spinse fino a sospettare che Arthur Schlesinger fosse un agente sovietico: David C. Martin, A Wilderness o f Mirrors, New York, Harper and Row, 1980, pp. 183-184.27 In particolare, la documentazione riprodotta nel volume delle Foreign Relations of the United States (Frus) non con­ferma la tesi di Schlesinger che il presidente Kennedy avrebbe espresso apertamente la sua simpatia per l’apertura a si­nistra al presidente del Consiglio Fanfani quando questi si recò Washington nel giugno del 1961: cfr. Editorial Note, in Department of State, Frus, 1961-1963, West Europe and Canada, Voi. XIII, pp. 810-811 e Letter from William Tyler to O. Horsey, December 28, 1961, footnote 3, in Department of State, Frus, 1961-1963, cit., p. 823; cfr. anche Oral History Interview with W. Knight, in JFK. Schlesinger, peraltro, sostiene in The Thousand Days che la dichiarazione di Kennedy era stata rilasciata in una conversazione privata e off-the-record tra i due uomini politici.

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ministrazione Kennedy, cominciò a prendere piede una vera e propria “doppia politica” , mentre continuava lo scontro tra fautori e op­positori dell’apertura a sinistra. Dopo le pri­me frustrazioni, infatti, i sostenitori americani del centrosinistra si impegnarono a mobilitare altre fonti di sostegno alla loro linea politica, trascurando completamente le istituzioni uffi­ciali. Schlesinger coinvolse perciò nella mi­schia il fratello del presidente, il ministro della Giustizia Robert Kennedy, alcune figure di primo piano del sindacalismo americano e in­ternazionale, quali i fratelli Walter e Victor Reuther e l’influente senatore democratico Hubert Humphrey. Di questo coinvolgimento viene fatta menzione in tutte le ricostruzioni dei rapporti tra l’amministrazione Kennedy e le origini del centrosinistra, mentre nessuno degli autori che si sono occupati del problema fa il minimo riferimento al ruolo concreto svolto dai personaggi che vennero coinvolti in questa vicenda28. Studiando le iniziative prese dai fratelli Reuther, tuttavia, è possibile accertare che questi, oltre a far pesare a favore dell’apertura a sinistra il prestigio della loro personalità, cercarono di assicurare il soste­gno economico di una parte dei sindacati ame­ricani a favore di un partito socialista le cui fi­nanze si trovavano particolarmente male in arnese. Il Psi infatti era stato sostenuto dal fi­nanziamento del Pei fino a quando era rima­sto su posizioni filosovietiche, ma, una volta

che i suoi rapporti con il Pei avevano comin­ciato a deteriorarsi, non era stato capace di procurarsi una fonte sicura di sostentamento alternativa a quella comunista29. Se il Psi do­veva svolgere un ruolo analogo a quello svolto dalla De negli anni cinquanta quando si era trattato di stabilizzare il sistema politico ita­liano, diventava indispensabile aiutare Nenni e i suoi a vincere la loro battaglia all’interno del partito e assicurare loro un flusso regolare di finanziamenti analogo a quello di cui aveva goduto, allora, la De tramite l’appoggio della Cia. Schlesinger, in particolare, sottolineava come il Pei stesse facendo di tutto per ostaco­lare la manovra di Nenni volta a portare il Psi al governo e come fosse ben noto che mentre gli autonomisti si muovevano in mezzo a mille ristrettezze la corrente carrista disponeva di fondi apparentemente molto abbondanti30. Walter Reuther, inoltre, si preoccupava di tro­vare il modo per completare l’apertura a sini­stra sul piano sindacale, e in particolare di far pervenire aiuti concreti a quei sindacalisti so­cialisti che si fossero sganciati dalla Cgil31.

È estremamente difficile ricostruire i fatti in tutti i loro risvolti dal momento che molti documenti sono tuttora riservati e altri, quali quelli del vecchio amico di Nenni, Augusto Bellanca, leader del sindacato dell’Amalga- mated Clothing Workers, sono andati com­pletamente distrutti32. Ciononostante è pos­sibile arrivare alla conclusione che, forse sin

28 Solo Leo Wollemborg accenna rapidamente al problema dell’assistenza finanziaria per il Psi nell’edizione italiana del suo volume, molto più lunga di quella americana: L. Wollemborg, Stelle, strisce e tricolore, cit., pp. 149-150.29 Di volta in volta un certo sostegno economico per gli autonomisti era venuto da fonti molto diverse, quali ad esempio l’Eni di Enrico Mattei, la Società Adriatica di Cini, L’Alleanza socialista dei lavoratori jugoslavi, il Labour Party in­glese: cfr. Gaston Palewski à Son Excellence Monsieur le Ministre des Affaires Etrangeres, “Le Parti Socialiste Italien trois mois après le Congrès de Naples” , le 30 avril 1959, in Archives Historique du Ministere des Affaires Etrangeres, Parigi, Europe 1944-1960, Italie 1955-1960, voi. 280; Foreign Service Despatch n. 1477, “Memorandum of conversation with Antigono Donati”, June 18, 1959, in NAW, RG 59, CDF 1955-59, b. 3610, 765.00/9-1859; Bureau of Intelligence and Research, Intelligence Report n. 7870, The Outlook for Italy, December 10, 1958, p. 12, in NAW, INR files.30 Memorandum for William Tyler, 30 ottobre 1961, “Italian Situation”, in JFK, White House files, Subject File 1961- 1964, box WH 12, folder Italy 9/1/61-10/31/61.31 Memorandum from A. Schlesinger, Jr., “Talk with Walter and Victor Reuther on Italian Affairs”, 28 maggio 1962, in JFK, A.M. Schlesinger Jr., White House Files, Subject File, box WH 12, f. Italy 5/1/62-5/31/62.32 Intervista con Richard Strassberg, archivista del Labor-Management Documentation Center, M.P. Catherwood Li­brary, Cornell University.

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dalla fine del 1961, e comunque nel corso del 1962, gli autonomisti del Psi ricevettero un certo sostegno finanziario da parte di alcune delle correnti più progressiste del sindacali­smo americano33. I risultati di tale rilevante iniziativa nell’ambito sindacale si dovettero al costante interessamento dei fratelli Reu- ther e tutto questo era conosciuto, e perciò tacitamente approvato, anche dalla Casa Bianca. Una serie di incontri fu, infatti, orga­nizzata nel giugno del 1962 tra i fratelli Reu- ther e alcuni importanti membri delFammini- strazione Kennedy per discutere le possibili iniziative per far uscire gli autonomisti del Psi dalle ristrettezze finanziarie che ne para­lizzavano le attività: se la Casa Bianca non avesse approvato l’operazione, certamente

ne avrebbe impedito la realizzazione nei mesi seguenti34.

La consistenza dell’aiuto fornito ai sociali­sti autonomisti non è facile da quantificare, ma sembra lecito supporre che si sia trattato di cifre notevolmente inferiori a quelle messe a disposizione della Democrazia cristiana nel decennio precedente, anche perché, almeno secondo quanto scrive Colby, all’inizio degli anni sessanta i massicci finanziamenti politici del decennio precedente furono drasticamen­te ridotti35. Da un punto di vista puramente simbolico, tuttavia, l’iniziativa di fornire un aiuto anche modesto al Psi assumeva partico­lare rilievo, dal momento che serviva a mi­gliorare le relazioni tra Nenni e la Casa Bian­ca. Nel frattempo, mentre questo progetto

33 Un memorandum di Fabio Luca Cavazza del gruppo di studio de II Mulino indirizzato a A.M. Schlesinger Jr. afferma che Nenni aveva detto allo stesso Cavazza di essere “in grado [...] di dichiarare pubblicamente il fatto che i sindacati americani hanno aiutato il Partito” (Undated Memo for AS Jr. [ma in realtà la data c’è, alla fine del documento: December 12, 1961], in JFK, A.M. Schlesinger, Subject File: Italy, f. 2/1/64-2/29/64 and undated). Tra il settembre del 1962 e il dicembre del 1964, inoltre, l’Amalgamated Clothing Workers e l’Uaw fornirono un to­tale complessivo di 82.790 dollari alla Uil e alla componente socialista della Cgil nel tentativo di addestrare i quadri sindacali e rafforzare quei sindacalisti socialisti che sostenevano l’apertura: Adolphe Graedel to W.P. Reuther, May 25, 1964, in WSU, WPR, ALUA, Walter P. Reuther Papers (d’ora in poi W. P. Reuther) box 444, folder 5; 16 June 1962, Lunch Saturday, Discussion of Italian situation with A.M. Schlesinger Jr., Special Assistant to President Ken­nedy, Attorney General Kennedy, and Arthur Goldberg [appunto di Victor Reuther], in WSU, WPR, ALUA, V. Reuther, Series VIII, Draft of manuscripts and Research Notes for the brothers Reuther, box 77, f. 25; 21 June 1962, 2.00 p.m., Meeting between W.P. Reuther and Bob Kennedy at general Maxwell Taylor’s office, room 300, Executive Office Building, in WSU, WPR, ALVA, W.P. Reuther, Series XVIII, Appointments and Invitations, box 202 “Schedules” , f. 9.34 A.M. Schlesinger Jr., Special Assistant to President Kennedy, Attorney General Robert Kennedy, and Arthur Goldberg [appunto di Victor Reuther], in WSU WRL, ALUA, V. Reuther, loc. cit. a nota 33. Nella sua autobiogra­fia, The Brothers Reuther, Victor Reuther racconta che nel corso di un meeting lui e suo fratello cercarono di per­suadere il Nsc ad appoggiare l’apertura a sinistra e i giorno successivo a quella riunione un giornalista di destra, esperto di questioni sindacali e ostile a lui e a suo fratello Walter, pubblicò un articolo in cui non solo criticava la loro proposta ma li accusava anche di aver chiesto al Nsc e alla Cia di fornire il sostegno finanziario necessario per “infiltrarsi all’interno della Cgil e attirare dalla propria parte i leader sindacali” : Victor Reuther, The Brothers Reuther and the Story o f the UAW, Boston, Houghton Mifflin, 1976, p. 352. Nell’intervista con l’autore di questo saggio, Victor Reuther negò le accuse rivoltegli da Reisel, ma confermò che più tardi una modesta assistenza finan­ziaria fu fornita al Psi dall’Uaw e da altri sindacati italoamericani. Aggiunse comunque che si trattava di somme quasi irrisorie se paragonate alla quantità di fondi affidati alla De dalla Cia negli anni cinquanta. La versione fornita nella biografia presenta comunque almeno un’inesattezza, perché l’articolo di cui V. Reuther parla non fu pubblicato nel giugno del 1962 ma molto più tardi: Victor Riesel, Reuther-Meany Bout, “World Journal Tribune”, 8 marzo, 1967. L’articolo si trova anche in WSU, WPR, ALUA, box 36, folder 25. Che la possibilità di fornire assistenza fi­nanziaria al Psi fosse stata discussa è stato confermato all’autore anche da McGeorge Bundy e Ray Cline (all’epoca deputy director for Intelligence della Cia), che nel suo libro (Secrets, Spies and Scholars. Blueprint o f the Essential Cia, Washington, Acropolis Books, 1976) si era espresso in maniera molto critica nei confronti di quell’iniziativa. Sulla figura di W. Reuther cfr. anche Nelson Liechtenstein, The Most Dangerous Man in Detroit: Walter Reuther and the Fate o f American Labor, New York, Basic Books, 1996.35 W. Colby, La mia vita nella Cia, cit., pp. 103, 139.

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veniva segretamente attuato, la linea politica ufficiale degli Stati Uniti nei confronti dell’I­talia cominciò lentamente a perdere alcune delle consuete punte polemiche nei confronti del Psi, anche se il Dipartimento di Stato non dette mai apertamente il suo incoraggiamen­to all’apertura a sinistra come invece i suoi fautori avrebbero auspicato. Persuaso dai suoi consiglieri più liberal, lo stesso Kennedy aggiunse alla fine il suo tocco personale al so­stegno per l’apertura quando, in occasione del ricevimento ufficiale offerto nei giardini del Quirinale durante la sua breve visita in Italia all’inizio del luglio 1963, trascorse un ampio lasso di tempo insieme a Nenni, lonta­no da tutti gli altri politici italiani36. Il sem­plice fatto che un presidente degli Stati Uniti dedicasse tanto tempo a un colloquio a quat­tr ’occhi con il leader di un partito politico che fino a poco tempo prima era stato consi­derato un nemico dei valori occidentali fu in­terpretato come un’approvazione quasi uffi­ciale, da parte degli Stati Uniti, del nuovo corso della politica italiana. Sembra chiaro, perciò, che da un certo momento in poi il ve­ro oggetto della discordia tra i fautori e gli oppositori dell’apertura a sinistra all’interno dell’amministrazione non fosse se opporvisi o meno, ma, per citare quanto scritto all’epo­ca dal consigliere per la sicurezza nazionale di Kennedy, McGeorge Bundy, “quanto [fosse necessario] sostenere i socialisti nelle prossime elezioni”37.

È opportuno, comunque, valutare nel con­testo generale delle relazioni tra l’Italia e gli Stati Uniti lo svolgimento di questa operazio­ne diretta a legittimare il Psi38. Mentre i liberal dello staff della Casa Bianca potevano anche avere avuto successo nel trovare aiuti per la loro causa, la posizione ufficiale del Diparti­mento di Stato rimase ancora per qualche tempo molto cauta, se non proprio ostile, nei confronti dell’apertura a sinistra, e altre iniziative prese dall’amministrazione sembra­vano addirittura andare in direzione opposta, o comunque contraddire parzialmente la linea politica seguita fino ad allora. Risultò abba­stanza sorprendente, ad esempio, che all’inizio del 1963 la Casa Bianca acconsentisse alla de­cisione della Cia di inviare a Roma, come ca­po della locale stazione, William Harvey, il di­rettore della Task Force W della operazione “Mongoose”39. Harvey, certamente uno dei più famosi agenti segreti americani del tempo, ma altrettanto certamente una personalità non in grado di adattarsi alle sfumature e alle sottigliezze della politica italiana, era così no­to per il suo comportamento irregolare — co­stellato occasionalmente, a detta delle crona­che, da sbornie solenni — che la sua presenza a Roma difficilmente avrebbe potuto giocare un ruolo positivo nel complesso tentativo di sponsorizzare l’apertura a sinistra senza darlo troppo a vedere40.

In sostanza, come già Alan Platt aveva no­tato alcuni anni or sono senza peraltro ap-

36 La migliore ricostruzione dell’episodio è quella di William Fraleigh: Oral History Interview with William Fraleigh, in JFK. Per la versione del colloquio data da Nenni cfr. Gli anni del centrosinistra. Diari 1957-1966, Milano, Sugarco, 1982, alla data del 1Q luglio 1963. Cfr. anche lo scarno resoconto ufficiale dell’incontro in Frus, 1961-1963, Western Europe and Canada, cit., pp. 888-889.37 McGeorge Bundy to the President, Weekend Reading, January 12-13, 1963, in JFK, National Security Files (d’ora in poi NSF), b. 318, f. Index of Weekend Papers, 1/63-3/63.38 Sarebbe interessante sapere se gli Stati Uniti presero in considerazione il suggerimento dato al presidente Kennedy e a John McCone dal presidente della Fiat Valletta e, cioè, di fornire un sostegno finanziario al Psi attraverso la De, in modo da tenere quest’ultimo sotto stretto controllo (cfr. P. Bairati, Valletta, cit., p. 328).39 L’operazione Mongoose era il piano approvato da Kennedy alla fine del novembre 1961 per sovvertire il regime ca­strista a Cuba e la Task Force W era l’unità operativa che guidava le operazioni di sabotaggio all’interno dell’isola: cfr. L. Nuti (a cura di) I missili di ottobre. La storiografia americana e la crisi cubana del 1962, Milano, Led, 1994.40 A proposito della rimozione di Harvey dalla Task Force W cfr. D. Martin, A Wilderness o f Mirrors, pp. 181-189; Thomas Powers, The Man who Kept the Secrets: Richard Helms and the Cia, New York, Knopf, 1979, pp. 141-142; John

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profondire la sua intuizione, per qualche tempo gli Stati Uniti ebbero due politiche pa­rallele nei confronti dell’Italia41. Il presidente Kennedy lasciò che i suoi consiglieri pianifi­cassero le loro iniziative clandestine ma, fino all’estate del 1963, non impartì loro la sua be­nedizione ufficiale e, anche quando lo fece, preferì una sorta di beneplacito informale, come la lunga chiacchierata con Nenni nei giardini del Quirinale, piuttosto che una di­rettiva ufficiale al Dipartimento di Stato per­ché approvasse il nuovo corso. Allo stesso tempo il Dipartimento di Stato si rifiutò di accettare un rovesciamento della propria li­nea politica e continuò a guardare con caute­la — anche se con sempre minore ostilità — all’ipotesi di un’inclusione del Psi nella mag­gioranza di governo. L’ambiguità derivante dalla sovrapposizione di queste iniziative contrastanti rese possibile a ognuna delle due parti sostenere che la sua era la vera po­sizione degli Stati Uniti e il risentimento, ge­nerato dal contrasto di questi punti di vista, ha caratterizzato le opinioni espresse in meri­to dai protagonisti anche quando gli echi di quegli eventi si erano spenti da tempo42.

Se gli studi sulla politica italiana dell’am- ministrazione Kennedy registrano abbastan­za fedelmente questi contrasti, tuttavia pre­sentano anche alcune importanti lacune. In­nanzitutto, come si è cercato di mettere in evidenza, non hanno posto in risalto quale sia stato l’effettivo contributo dato alla rea­lizzazione del centrosinistra da parte di quan­ti non solo ne auspicavano l’attuazione, ma volevano anche concretamente adoperarsi per favorirla. Altra zona d’ombra è costituita

dal fatto che, con la parziale eccezione del racconto di Arthur Schlesinger, tutti gli altri resoconti analizzano la politica americana nei confronti dell’Italia come un caso isolato, senza che i vari autori si rendano conto che il divario esistente tra le due fazioni contrappo­ste alfinterno dell’amministrazione era in realtà il riflesso di un contrasto molto più va­sto, derivante dal tentativo di attuare quella politica estera “progressista” di cui si è de­scritta la genesi nella prima parte di questo saggio. Le varie versioni non sembrano ren­dersi chiaramente conto di tale contrasto e, pertanto, non lo inquadrano nel contesto del­la dinamica interna all’amministrazione Kennedy e ciò, a sua volta, porta a interpre­tare il “caso italiano” come una semplice lot­ta tra burocrazie contrapposte piuttosto che come un altro esempio delle difficoltà incon­trate dall’amministrazione Kennedy nel suo tentativo di invertire la linea politica seguita dai suoi predecessori e di affinare gli stru­menti adatti a combattere la guerra fredda. Che il caso italiano fosse solo un episodio di uno scontro molto più ampio risulta chia­ramente dal fatto che gli stessi fautori del centrosinistra erano anche i sostenitori di ap­procci riformisti in altri settori: Arthur Schle­singer, ad esempio, era profondamente coin­volto nella genesi dell’Alleanza per il progres­so, mentre Robert Komer era un membro della Task Force incaricata di occuparsi del­l’Iran e in questa veste raccomandava di fare pressioni sullo scià per un rinnovamento ge­nerale della politica iraniana43.

La terza e ultima lacuna è costituita dall’o­missione quasi totale dell’analisi relativa al-

Ranelagh, The Agency.L The Rise and Decline of the Cia, New York, Simon and Schuster, 1987, p. 388; intervista del­l’autore con Ray Cline, Washington, 1991. In ogni caso, l’invio di Harvey a Roma sembra indicare come la politica italiana, e l’operazione del centrosinistra in particolare, avessero una importanza molto relativa per la Casa Bianca.41 A. A. Platt, US Policy toward the "Opening to the Left", cit.4" Cfr. ad esempio lo scambio di accuse e recriminazioni nelle interviste raccolte dalle Oral History Interviews with Ar­thur Schlesinger Jr.; Frederick Reinhardt; William Knight; Outerbridge Horsey; William Tyler, in JFK.43 Come esempio dell’attivismo di Komer negli affari iraniani, cfr. Memorandum for the President from Robert W. Ko­mer, Subject: Iranian Task Force Report, May 18, 1961, in JFK, NSF, Meetings and Memoranda, Staff Memoranda, Robert Komer, f. 5/16/61-6/14/61, b. 321.

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l’intreccio tra l’apertura a sinistra e il conte­sto internazionale del momento, sebbene da parte americana le principali remore alla rea­lizzazione dell’apertura fossero costituite, di fatto, proprio dalla sfiducia nei confronti del­la politica estera che un governo di centrosi­nistra avrebbe potuto svolgere44. Su molte questioni di politica estera, infatti, la posizio­ne del Psi era ancora molto lontana da quella degli altri partiti socialisti occidentali, carat­terizzata com’era da un misto di neutralismo e di antiamericanismo. Il punto cruciale su cui si giocava la partecipazione socialista al governo era infatti quale sarebbe stata la po­sizione che il Psi avrebbe cercato di far assu­mere all’Italia in seno all’alleanza atlantica45; come notava una relazione dello State De­partment in cui si legge:

la democrazia italiana (e gli interessi americani in Italia) potrebbero trovarsi a dover scegliere tra una coalizione di governo che sembra offrire mag­giori opportunità di ridurre la forza del Pei e un’al­tra che si dimostrerrebbe più incline ad appoggiare gli Stati Uniti nella N ato e in generale sulle que­stioni di politica estera46.

Gradualmente, tuttavia, la distanza tra que­ste due alternative cominciò a ridursi e, già alla fine del 1962, un diplomatico molto cau­to come l’ambasciatore americano in Italia Frederick Reinhardt, che certamente non condivideva l’entusiasmo per l’apertura a si­nistra evidenziato da Schlesinger e Komer,

dimostrava di rendersi conto che una nuova coalizione Dc-Psi poteva rivelarsi più capace di assecondare il nuovo corso di politica in­ternazionale che l’amministrazione Kennedy intendeva svolgere47. È opportuno quindi soffermarsi brevemente sul ruolo che l’Italia giocava nella strategia americana e sugli inte­ressi relativi alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti che avrebbero potuto essere dan­neggiati dall’apertura a sinistra. E opportuno cioè analizzare adesso quella che all’inizio del saggio è stata definita come la dimensione eu­ro-atlantica delle relazioni tra l’Italia e gli Stati Uniti.

Quali erano, all’inizio degli anni sessanta, i principali interessi della politica estera americana in Italia ? Al di là dell’ovvia con­siderazione che a Washington si auspicava che il governo di Roma rimanesse un alleato quanto più saldo possibile, una risposta più esauriente deve prendere in esame in manie­ra sufficientemente dettagliata i principali problemi allora sul tappeto, relativi ai due pilastri del sistema atlantico e, cioè, il pro­cesso di integrazione europeo e l’elaborazio­ne di una nuova strategia per l’alleanza. Per quanto attiene al tradizionale rapporto di collaborazione tra Italia e Stati Uniti per promuovere e incoraggiare il processo di in­tegrazione, l’amministrazione Kennedy e il governo Fanfani si trovarono su posizioni molto vicine. Alla fine degli anni cinquanta, infatti, la tradizionale tendenza della politi-

44 Solo Arthur Schlesinger e Leo Wollemborg, il primo nei limiti consentitigli dalla brevità della sua analisi della pro­blematica italiana, il secondo un po’ più in dettaglio, dedicano una certa attenzione alla dimensione internazionale del­l’apertura a sinistra.45 Per un giudizio molto equilibrato sulla politica estera del Psi, cfr. Research memorandum REU-40, Italian Socialist Foreign Policy, April 27, 1962, in JFK, A.M. Schlesinger, WH Files, Subject File Italy, box WH 12, f. 4/27/62-4/30/62. Sono molto grato a John Orme per l’aiuto fornito nell’ottenere la consultazione di questo documento riservato e a Mrs. Forbes della Kennedy Library per avermene inviato copia giusto in tempo per presentarlo in occasione della conferenza "Kennedy and Europe’’ dell’ottobre 1992.46 Italy. Department of State Guidelines for Policy and Operations, January 1962, in JFK, NSF, CO, Italy General, f. State Guidelines, b.120.47 “Il governo italiano di centrosinistra e i suoi sostenitori politici sulla stampa sembrano avvicinarsi ai punti di vista degli Stati Uniti per quanto riguarda certi aspetti della politica estera più di quanto non stiano facendo il centro anti­comunista e quelle forze conservatrici che tradizionalmente qua sono nostre alleate”: Telegram from the Embassy in Italy to the Department of State, January 12, 1963, in Frus, 1961-1963, West Europe and Canada, cit., p. 855.

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ca estera italiana a ricercare una stretta col­laborazione con gli Stati Uniti era stata par­ticolarmente rinforzata da alcuni fatti, quali il ritorno al potere del generale De Gaulle in Francia e l’esclusione delPItalia dal gruppo di lavoro quadripartito che si occupava del­la questione di Berlino. Le proposte golliste di dar vita a un direttorato anglo-franco- americano alfinterno dell’alleanza atlantica, in particolare, avevano generato risentimen­ti e ostilità nella diplomazia italiana, facen­done una convinta sostenitrice del potenzia­mento della Nato e del rilancio della costru­zione europea per porre un freno alle spinte potenzialmente dirompenti che provenivano da Parigi48.

Naturalmente il risentimento contro certe iniziative francesi era temperato dal desiderio di mantenere buone relazioni con il governo di Parigi, che restava pur sempre uno degli interlocutori privilegiati della politica estera italiana. Si spiega così l’atteggiamento tenuto dal governo italiano a proposito delle due principali iniziative discusse in merito all’in­tegrazione europea nei primi anni sessanta e, cioè, il progetto di creazione di un’Unione politica (Piano Fouchet) e la domanda di adesione alla Comunità economica europea da parte del governo britannico: così, appun­to per prevenire una rottura aperta nel cam­po occidentale, la politica estera seguita dal governo di Roma prese una posizione di no­tevole interesse e disponibilità nei confronti

di queste iniziative, impegnandosi attivamen­te perché entrambe giungessero a buon fine.

Per tutta la durata dei negoziati sul Piano Fouchet, quindi, il governo Fanfani cercò in tutti i modi di soddisfare le proposte fran­cesi in merito alla creazione di un’unione po­litica, adoperandosi al contempo perché le più radicali tra quelle proposte non finissero per fare assumere alla futura Unione un ca­rattere antiamericano49. Lo stesso governo Fanfani, inoltre, guardava con favore agli sforzi inglesi diretti ad evitare che la rottura tra i Sei della Cee e i Sette dell’ Efta (Euro­pean Free Trade Association) travalicasse la dimensione puramente economica e assumes­se una valenza politica e, perciò, accolse di buon grado la domanda inglese di adesione alla Cee50. La maggior parte dei partiti poli­tici italiani, inoltre, era del tutto contraria al­la formazione di un asse franco-tedesco, mentre mostrava interesse per l’adesione in­glese alla Comunità, proprio perché si aspet­tava che il peso di Londra potesse bilanciare quello di Parigi.

Questa posizione italiana rispecchiava ab­bastanza fedelmente quella dell’amministra- zione Kennedy, interessata a promuovere la massima coesione all’interno del blocco occi­dentale. Washington vedeva infatti con favo­re la decisione inglese di cercare una formula che consentisse a Londra di entrare nella Cee, purché ciò non comportasse una diluizione dell’impegno dei Sei a lavorare per rafforzare

48 Position Paper on Atlantic Area Problems, in JFK, NSF, CO, f. Italy subjects: Fanfani Briefing Book 1/6/63-1/17/63, box 121. Per un esempio della reazione italiana aile proposte di De Gaulle per la creazione di una direzione tripartita all’interno dell’alleanza, cfr. Memorandum of Conversation [the President, the Acting Secretary, the Italian Ambassa­dor, Mr. Jandrey], October 6, 1958, in NAW, Record Group 59, 740.5/10-758, box 3155.49 Gavin (Paris) to the Secretary of State, April 6, 1962, in JFK, NSF,CO, France General, box 71, f. 4/1/62 — 4/12/62. Per quanto riguarda l’ltalia e il Piano Fouchet, cfr. L. Nuti, 'The Richest and Farthest Master Is Always the Best': Italy, the British Application to the EEC, and the January Debacle, in Richard Griffiths, Stuart Ward (a cura di), Courting the Common Market: The First Attempt to Enlarge the European Community, 1962-1963, London, The Lothian Foundation, 1995, e Maurice Vaïsse, De Gaulle, l’Italie et le projet d’Union Politique Européenne, 1958-1963. Chronique d’un échec annoncé, “Revue d’Histoire Moderne et Contemporaine”, 1995, n. 4, pp. 658-669.

Mémoire of a conversation between Mr. Godber [Minister of State] and Italian Amb. Quaroni, August 18, 1961, in Pubblic Record Office, London (d’ora in poi PRO), Foreign Office (d’ora in poi FO), 371/160670/CJ 1051/7; Record of a conversation between the Rt. Hon. John Hare, O.B.E., M.P. and On. Prof. A. Fanfani, Italian Prime Minister, on September 19, 1961, in PRO, FO, 371/160671/CJ 1051.

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i legami comuni51; e riteneva altresì che la creazione di un blocco politico, quale quello che sarebbe potuto uscire dai negoziati sul Piano Fouchet, fosse una prospettiva da in­coraggiare purché la futura Unione restasse saldamente ancorata all’alleanza atlantica52: appunto per questo la politica estera italiana, come notava l’ambasciatore Reinhardt alla fine del 1962, era perciò “molto vicina alle posizioni americane”53. Lo stesso Kennedy era consapevole che il clima di tensione inne­scato dal generale De Gaulle all’interno del­l’alleanza accresceva il valore delle relazioni con Roma e, già nel marzo del 1962, faceva notare all’ambasciatore Reinhardt che l’Ita­lia era destinata ad essere

sempre più im portante per gli Stati Uniti a causa delle prevedibili difficoltà con la Francia e del fat­to che Olanda e Belgio [erano] profondamente ir­ritati con noi a causa del nostro atteggiamento sui problemi coloniali54.

Quando poi il generale De Gaulle, con la sua famosa conferenza stampa del 14 gennaio 1963, fece effettivamente saltare il negoziato per l’adesione britannica alla Cee, la reazione italiana fu improntata a una grande pruden­za proprio per evitare che da quel gesto deri­vasse una reazione a catena in grado di sman­tellare quanto era stato costruito in Europa fino a quel momento; al tempo stesso, tutta­via, il governo Fanfani manifestò anche la

propria simpatia per il governo MacMillan e mantenne una posizione nettamente con­traria all’asse franco-tedesco, dimostrando agli Stati Uniti che l’Italia non solo non era affatto disposta a seguire l’esempio di De Gaulle e Adenauer, ma che anzi, in caso di crisi, Washington sarebbe rimasta senz’altro il punto di riferimento cardinale della diplo­mazia italiana55.

Il mantenimento di uno stretto rapporto di cooperazione e fiducia con il governo di Roma nel momento in cui l’Europa occiden­tale veniva turbata dalle iniziative franco-te­desche costituiva dunque un obiettivo im­portante per la politica estera americana. Ancora più importante, per Washington, era che tale allineamento fosse mantenuto anche nel campo della politica di difesa e di sicurezza dal momento che, in questo set­tore, si era sviluppato un rapporto di stret­tissima cooperazione che, a partire dalla se­conda metà degli anni cinquanta, si era este­so anche all’impiego delle armi nucleari. L’accordo di maggiore rilievo tra i governi di Roma e Washington, da questo punto di vista, era stato raggiunto il 26 marzo 1959 per consentire lo schieramento in Italia di 30 missili balistici a raggio intermedio Jupi­ter, successivamente inquadrati nella 363 ae­robrigata intercettori strategici, all’interno della quale provvedevano al loro funziona­mento reparti misti dell’aviazione italiana e

51 Pascaline Winand, Eisenhower, Kennedy and thè United States o f Europe, New York, Winand, 1993; Corso Paolo Boccia, The Kennedy Administration and the First Attempt to Enlarge the European Communities, in Richard Griffiths Stuart Ward (a cura di), Courting the Common Market. The First Attempt to Enlarge the European Community, 1962- 1963, London, The Lothian Foundation, 1996.52 Non esiste nessuno studio particolareggiato sulla posizione degli Stati Uniti nei confronti del Piano Fouchet. L’unico documento relativo a questo problema pubblicato nel volume XIII delle Frus, 1961-1963 citato lascia trasparire un mo­derato interesse da parte americana (vedi ad esempio Circular telegram from the Department of State to Certain Mis­sions, November 3, 1961, pp. 48-49; cfr. anche il parere espresso da Theodore C. Achilles all’ambasciatore italiano Ser­gio Fenoaltea: Memorandum of Conversation, S. Fenoaltea, T. C. Achilles, Subject: Italian Politics, UN, Berlin, Common Market, November 9, 1961, in NAW, RG 59, Central decimal file 1960-1963, box 1918, f. 765.00/11-361).53 Rome (Rheinardt) to State Department, December 7, 1962, in JFK, NSF, CO, Italy General, f. 12/1/62-12/31/62, box 120.

54 Memorandum of Conversation (The President, Amd. Reinhardt, Bundy), March 22, 1962, in JFK, NSF, CO, Italy General, f. 3/1/62-3-30/62, b. 120.55 L. Nuti, ‘The Richest and Farthest Master Is Always the Best’, cit.

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di quella americana con il sistema detto della “doppia chiave”, che prevedeva l’assenso di entrambi i governi per la loro utilizzazione56. Quell’intesa rifletteva gli interessi di entram­bi i firmatari. Se da parte americana si rite­neva opportuno, almeno temporaneamente, installare i missili balistici a raggio interme­dio per bilanciare la presunta crescita del po­tenziale balistico sovietico e per mantenere la coesione dell’alleanza dopo lo shock dello Sputnik, da parte italiana si riteneva utile ac­cettarne l’installazione come una scorciatoia per acquisire una qualche forma di status nu­cleare. Nel momento in cui le armi atomiche erano divenute il pilastro della strategia occi­dentale e il problema di come controllare il loro impiego il tema centrale dei rapporti in­terni all’alleanza atlantica, il governo italia­no era infatti giunto alla conclusione che avrebbe raggiunto lo status di potenza nu­cleare solo in maniera indiretta, vale a dire attraverso una stretta cooperazione con gli Stati Uniti in ambito Nato. Una simile stra­tegia fu per qualche tempo speculare, e quin­di del tutto compatibile, con le iniziative e le proposte avanzate in materia di armi nuclea­ri dall’amministrazione Eisenhower: come è stato sottolineato da Marc Trachtenberg, in­fatti, tutti i progetti realizzati o abbozzati ne­gli ultimi tempi dell’amministrazione Eisen­hower in materia nucleare avevano una fun­zione che poteva anche essere interpretata come “un ponte verso l’acquisizione da parte degli europei di una capacità nucleare sotto il loro proprio controllo”57.

Al tempo stesso, in Italia queste iniziative assumevano indubbiamente una forte valen­za in politica interna: come era apparso chia­ramente più volte nel corso degli anni cin­quanta, la possibilità che i rapporti tra le su­

perpotenze passassero dal confronto diretto ad una moderata distensione costituiva, a un tempo, motivo di speranza per quanti pa­trocinavano la causa dell’apertura a sinistra e di grande preoccupazione per tutte quelle forze politiche che vi si opponevano. Nel cor­so del 1959, quando l’amministrazione Eisen­hower sembrò per qualche tempo incline a procedere verso una cauta detente nei rap­porti con Mosca, il governo italiano di cen­trodestra guidato da Antonio Segni si mostrò particolarmente preoccupato da quest’ipote­si58, e utilizzò appieno il dibattito interno sul­l’installazione dei missili Jupiter per allonta­nare il Psi da tutte le forze di centro e sospin­gerlo di nuovo verso l’alleanza con il Pei. Se gli autonomisti di Nenni potevano infatti spingere il Psi fino ad accettare la Nato, pur­ché se ne desse un’interpretazione stretta- mente difensiva, questo non significava che il partito fosse pronto ad accettare misure quali lo schieramento di missili a testata nu­cleare sul territorio italiano.

L’arrivo dell’amministrazione Kennedy alla Casa Bianca modificò, in maniera dap­prima impercettibile e poi sempre più eviden­te, il rapporto tra l’amministrazione Eisenho­wer e i governi italiani in merito alla coopera­zione nell’ambito delle armi atomiche. La presenza all’interno dell’amministrazione di posizioni molto diverse e, in qualche caso, diametralmente opposte in merito alla parte­cipazione degli alleati al controllo dell’arse­nale nucleare americano, tuttavia, rese molto difficile agli alleati degli Stati Uniti capire da che parte sarebbe spirato il vento. I primi passi compiuti dallo staff di Kennedy in que­sto settore furono comunque tali da generare subito una certa preoccupazione in quegli ambienti governativi italiani che auspicava­

56 Sullo schieramento dei missili Jupiter in Italia, cfr. L. Nuti, L ’Italie et le missiles Jupiter, in Maurice Vai'sse (a cura di), L'Europe et la Crise de Cuba, Paris, Armand Colin, 1993.57 Marc Trachtenberg, Hislory and Strategy, Princeton, Princeton University Press, 1991, p. 188.

Per i timori di Segni a proposito della distensione, cfr. le conversazioni tenute durante la sua visita a Washington: Frus, 1958-1960, Western Europe, voi. VII, Part 2, pp. 537-571.

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no una continuazione della linea seguita da Eisenhower: l’importanza che la nuova am­ministrazione dimostrò di attribuire a una di­fesa basata sulle armi convenzionali, così co­me i suggerimenti per una revisione della strategia atlantica, che portasse ad un gra­duale abbandono della dottrina della rappre­saglia massiccia, furono interpretati in Italia nel senso che la Casa Bianca si stesse orien­tando verso una riduzione del ruolo centrale svolto fino a quel momento nella strategia atlantica dalle armi nucleari59.

Questi segnali ambigui furono però con­traddetti da altri di natura opposta, con il ri­sultato che da parte italiana ci si aspettò co­munque che la politica precedente sarebbe continuata. In seno all’alleanza atlantica si discuteva in quel momento della possibilità di sostituire in un prossimo futuro i missili di prima generazione come gli Jupiter, che potevano essere lanciati solo da postazioni fisse e che quindi costituivano un facile ber­saglio per un possibile attacco preventivo da parte sovietica, con i missili Polaris, che go­devano di maggiore mobilità in quanto pote­vano essere lanciati dal mare, sia da un sot­tomarino sia da una nave di superficie60. Da parte italiana si riteneva probabile che la

formula con la quale questa sostituzione sa­rebbe avvenuta avrebbe ricalcato quella pre­cedente e che, per la dislocazione dei Polaris, Italia e Stati Uniti avrebbero concluso un accordo bilaterale come quello del 1959: a questo fine la marina italiana aveva comin­ciato fin dal 1961 a modificare l’incrociatore lanciamissili Garibaldi secondo un progetto che prevedeva l’allestimento a poppa di quattro tubi di lancio per i missili Polaris; poi nel 1962 cominciò a sperimentare il mec­canismo di lancio con la collaborazione del­la marina americana61.

La crisi dei missili a Cuba, tuttavia, rap­presentò un punto di svolta nell’ambito delle relazioni nucleari tra l’Italia e gli Stati Uniti. Per risolvere la crisi Kennedy infatti fece sa­pere a Chruscév che entro breve tempo avrebbe completato il ritiro degli Jupiter in­stallati in Turchia, e per facilitarne la rimo­zione decise di togliere anche quelli installati in Italia62; quando poi a Washington, per rendere meno vistoso il ritiro dei missili dal­l’Italia e dalla Turchia, venne discussa la pos­sibilità di dar vita a una piccola forza multi­laterale “mediterranea” basata sull’incrocia­tore Garibaldi, gli avversari dell’iniziativa al­l’interno dell’amministrazione riuscirono a

59 Commentando le notizie giunte dagli Stati Uniti nei mesi precedenti, nel giugno 1961 lo Stato maggiore della difesa esprimeva già le proprie preoccupazioni sulle possibili ripercussioni del nuovo corso sulla strategia atlantica: Relazione sulle attività del I reparto, giugno 1961, in Archivio deH’ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito (d’ora in poi AUSSME), DS SMD; cfr. anche Memo of Conversation [The President, Ambassador Manlio Brosio, Mr. McBride], April 11, 1961, in JFK, NSF, CO: Italy-General, f. 1/20/61-4/30/61, box 120. Lo stesso Fanfani confessò a Kennedy di temere che l’innalzamento della soglia nucleare comportasse una maggiore esitazione da parte degli Stati Uniti a ser­virsi delle armi nucleari in caso di aggressione sovietica: Memorandum of Conversation [The President, PM Fanfani, et al.] “Nato Strategy”, June 12, 1961, in Frus, 1961-1963, West Europe and Canada, cit., pp. 807-808.60 Già nel 1960 i diplomatici italiani, nelle conversazioni con i loro colleghi occidentali, dichiaravano che “l’Italia era molto favorevole alle basi [missilistiche] mobili come strumento per tenere i missili fuori dall’Italia e dalla politica ita­liana”, e al fatto che il governo italiano stava “pensando a prendere in considerazione il programma dei Polaris come alternativa al piano che prevedeva lo schieramento in Italia degli MRBMs [Medium Range Ballistic Missiles]” : Minute by Lord Home about a meeting with Count Zoppi, October 31, 1960, in PRO, FO 371/153314/RT 1051/11; Sir Evelyn Shuckburgh to Sir F. Hoyer Millar, October 20, 1960, in PRO, FO 371/153314/RT 1051/10.61 Giorgio Giorgerini, Augusto Nani, Incrociatori Italiani, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1964, pp. 675- 685.62 Robert F. Kennedy, Thirteen Days. A Memoir of the Cuban Missile Crisis, New York, W.W. Norton, 1969, pp. 108- 109. Sull’impegno preso dagli Stati Uniti a ritirare i missili Jupiter, e sul successivo dibattito storiografico, cfr. James Hershberg, Anatomy o f a Controversy. Anatoly Dobrynin’s Meeting With Robert F. Kennedy, Saturday, 27 October 1962, “Cold War International History Project Bulletin”, 1995, n. 5, pp. 75-80.

464 Leopoldo Nuti

farla fallire63. Il vertice angloamericano di Nassau del dicembre 1962, infine, sancì la fi­ne di ogni progetto di assistenza bilaterale americana ai deterrenti nucleari nazionali, eliminando in tal modo gran parte delle spe­ranze alimentate dalle ambigue formule degli anni di Eisenhower e rendendo impossibile la continuazione della cooperazione nucleare italoamericana lungo le linee preesistenti. I missili Jupiter furono perciò sostituiti non con altri missili soggetti al controllo di en­trambi gli alleati, come si era sperato da parte italiana, ma con l’invio nel Mediterraneo di alcuni sottomarini americani muniti di Pola­ris: il ritiro degli Jupiter segnò perciò un bru­sco ridimensionamento delle speranze di quelle forze politiche italiane che avevano vi­sto nel loro dislocamento sul suolo nazionale un primo passo verso l’acquisizione di uno status privilegiato all’interno della Nato da parte dell’Italia.

La rimozione degli Jupiter ebbe in conclu­sione il significato di un simbolico spartiac­que tra la fase più acuta della guerra fredda, culminata con i drammatici giorni della crisi di Cuba, e l’avvio dei primi passi verso la di­stensione, che di lì a qualche mese avrebbe colto un importante successo con la firma del trattato per la limitazione parziale degli esperimenti nucleari. Il significato di questi avvenimenti non sfuggì alle forze politiche italiane, ma, mentre tutti i politici accettaro­no il ritiro dei missili senza opporvisi aperta­mente, da parte della destra non mancarono chiari segni di disapprovazione nei confronti della decisione americana sia per il modo in cui era stata presa, senza praticamente con­sultare il governo italiano in merito alla sua

opportunità, sia perché la rimozione dei mis­sili costituiva una prova tangibile dell’allen­tamento della tensione internazionale che, fa­vorendo il processo di distensione, avrebbe inevitabilmente rafforzato la politica estera del centrosinistra64 65. Non per niente, quando Henry Kissinger si recò in Italia agli inizi del 1963 in una missione informale per racco­gliere le impressioni dei politici italiani sul vertice di Nassau e sulla rimozione degli Jú­piter, la sinistra moderata e i vertici del Psi mostrarono tutto il loro apprezzamento nei confronti di quella decisione, fornendo cosi uno dei primi esempi della nuova possibile cooperazione tra la politica estera della Nuo­va frontiera e il centrosinistra in alternativa alla precedente cooperazione italoamericana basata sugli scenari della guerra fredda63. In sostanza la disponibilità mostrata di fronte al ritiro dei missili Júpiter costituiva, per il nuovo corso di politica estera che l’ammini­strazione Kennedy intendeva attuare, una prova di affidabilità altrettanto significativa di quella mostrata dai governi precedenti al momento in cui quei missili era stato necessa­rio installarli.

L’ambiguità con la quale l’amministrazio­ne Kennedy procedeva lungo il cammino ver­so la distensione, tuttavia, rese difficile per le forze politiche italiane individuare con preci­sione i contorni del nuovo scenario interna­zionale che si stava delineando. La proposta lanciata dalla Casa Bianca all’inizio del 1963 di dar vita a una Forza nucleare multilaterale (Mlf) in seno all’alleanza atlantica, in parti­colare, rese evidenti tutte le incertezze di un periodo in bilico tra la continuazione della guerra fredda e l’inizio della distensione. Pro-

63 Memorandum. Subject: Turkish IRBM’s [sic], October 30, 1962, in JFK, NSF, RS, Nato, box 226, f. NATO-Wea- pons Cables-Turkey. Per un’analisi più ampia del ruolo dei Jupiter italiani durante la crisi di Cuba, cfr. L. Nuti, L'ilalie et les missiles Jupiters, cit. Per il fallimento di una Mlf mediterranea, cfr. John Steinbruner, The Cybernetic Theory, cit., pp. 233-234.64 Memo of Conversation with Segni in Rome, January 16, 1963, in JFK, NSF, M & M, Staff Memos, f. H. Kissinger 1/ 63, b. 321.65 Rome (Ainsworth) to the Secretary of State, January 17, 1963, in JFK, A.M. Schlesinger, Classified Subject File: Ita­ly 1/14/63-1/31/63, box WH-12a.

Socialisti o missili 465

posta da Kennedy con molta riluttanza e probabilmente con la segreta speranza di non doverla mai attuare, la Mlf fu concepita solamente come misura temporanea per vivi­ficare un’alleanza scossa dalle turbolenze golliste e godette, all’interno dell’ammini­strazione, solamente dell’appoggio di un gruppo ristretto di convinti europeisti del Di­partimento di Stato. Per gli alleati europei, a loro volta, risultò estremamente difficile ca­pire quanto seriamente a Washington si in­tendesse appoggiare l’attuazione di questo progetto e ciò dette vita a un susseguirsi di equivoci e fraintendimenti che si protrassero per circa due anni, fino a quando la Mlf fu definitivamente accantonata.

In Italia, in particolare, la proposta ebbe inizialmente un’accoglienza piuttosto fred­da, dal momento che fu vista come un me­diocre sostituto di una possibile continua­zione della precedente collaborazione bilate­rale. Tuttavia in seno alla Farnesina l’idea della Mlf fu accolta con un certo interesse, dal momento che si condivideva l’intenzione americana di servirsene per tonificare l’al­leanza atlantica e, soprattutto, perché si rite­neva che fosse possibile utilizzarla come strumento per rilanciare l’integrazione euro­pea; tanto che, di fronte ai sondaggi ameri­cani, alcuni funzionari del ministero si spin­sero sino ad affermare che l’Italia avrebbe

potuto partecipare al progetto anche da so­la66. Da un punto di vista più strettamente politico, la proposta della Mlf fu interpreta­ta dagli avversari del centrosinistra come lo strumento tanto atteso con il quale ostacola­re l’apertura al Psi: chiedendo ai socialisti di accettarla per mettere alla prova la loro affi­dabilità atlantica, infatti, si pensava di otte­nere sicuramente un rifiuto e spingere cosi nuovamente il Psi al di fuori dell’area di go­verno67.

Quanto ai socialisti, questi a loro volta cer­carono soprattutto di evitare di prendere po­sizione, sperando che alla fine il problema si risolvesse da solo con il fallimento dell’inizia­tiva, anche se alcuni autonomisti si lasciaro­no andare a caute dichiarazioni nelle quali manifestarono un certo interesse per una for­mula che aveva il pregio di circoscrivere la proliferazione delle armi atomiche e, soprat­tutto, poteva prevenire l’allestimento di un arsenale nucleare autonomo da parte della Germania federale68. Ciò che agli autonomi­sti premeva effettivamente era sapere, in real­tà, quanta importanza l’amministrazione Kennedy attribuisse all’attuazione della Mlf, per poter adottare al riguardo una linea di condotta che risultasse accettabile anche a Washington: attraverso vari canali confiden­ziali, alla fine, la Casa Bianca riuscì a far ca­pire a Nenni che il problema non aveva nes-

66 Appunti del direttore generale aggiunto degli Affari politici (Roberto Ducei), 27 agosto 1963, in Archivio storico del ministero degli Affari Esteri, Roma (d’ora in poi ASMAE), Roberto Ducei, pp. 59-61; Rome Embassy to Secretary of State, 4 March 1963, in JFK, NSF, box 217, f. MLF Cables, 3/1/63-3/10/63.67 Durante una visita a Washington nell’estate del 1963, ad esempio, il consigliere diplomatico del presidente Segni Fe­derico Sensi cercò di ottenere ad ogni costo una dichiarazione sulla Mlf dal Dipartimento di Stato, e “quando ebbe tro­vato ciò che voleva” telefonò al presidente per riferirgli che gli “Stati Uniti volevano un’adesione ferma e immediata dal nuovo governo italiano sulla MLF”: Segni, a sua volta, cercò di utilizzare queH’informazione per bloccare la costruzio­ne del governo di centrosinistra: Memorandum for Gov. Harriman from George Lister, “Recommendations for Action in Italian Affairs”, December 5, 1963, in Library of Congress Manuscript Division (d’ora in poi LCMD) W. A. Harri­man Papers (d’ora in poi W.A. Harriman), box 15 cl.; Memorandum to Gov. Harriman from George Lister, “Visit of Segni and Saragat” , January 9, 1964, LCMD, W.A. Harriman, Subject File, box 484, f. Lister, George. Sono molto gra­to alla signora Audrey A. Walker della Library of Congress per avermi aiutato ad ottenere la declassificazione del primo di questi due documenti.68 Fraleigh (Rome) to the Secretary of State, June 24, 1963, “Recent conversations with Psi leaders”, in JFK, A.M. Schlesinger, Subject FileTtaly, f.6/1/63-6/30/63; Fraleigh (Rome) to the State Dept., April 6, 1963, “ ’ll Punto’ Round-Table on 'Europe today and Tomorrow’”, in JFK, A.M. Schlesinger, Subject FileTtaly, f. 3/1/63-4/30/63.

466 Leopoldo Nuti

suna urgenza immediata, facilitando in tal modo la conclusione positiva delle trattative che portarono alla creazione del primo go­verno MoroIl 69.

Anche in merito ai problemi dell’alleanza atlantica, dunque, così come in merito ai problemi dell’integrazione europea, il cen­trosinistra sembrava qualificarsi, sia pure gradatamente, come interlocutore affidabile dal punto di vista americano. Dal momento che i timori di Washington nei confronti di un’alleanza di centrosinistra erano motivati dalle possibili scelte in materia di politica estera, fu su questo piano, ancor più che su quello della politica interna, che l’apertura a sinistra superò il test della sua accettazione da parte dell’amministrazione Kennedy.

Conclusioni: un nuovo allineamento di forze?

Il punto di svolta che dimostrò l’affidabilità del centrosinistra fu probabilmente la crisi cubana dell’ottobre 1962. La risposta del governo italiano al discorso con cui Kenne­dy aveva dichiarato il blocco navale di Cu­ba costituì una manifestazione di solidarie­tà con la posizione americana molto più de­bole di quelle mostrate in passato. Proba­bilmente sulla cautela m ostrata dal governo italiano in quell’occasione pesò la necessità per Fanfani di non rischiare resi­stenza della sua instabile maggioranza irri­tando i socialisti con una netta dichiarazio­ne di sostegno nei confronti delle decisioni

americane. Il Dipartimento di Stato notò come questa preoccupazione di Fanfani per la situazione politica interna potesse co­stituire motivo di perplessità per gli Stati Uniti, dal momento che

in una eventuale crisi futura [era] probabile che l’Italia esibisce] di nuovo una solidarietà meno palese con noi rispetto al passato, almeno fin quando il governo italiano dipendeva] da un’al­leanza con il Psi, dal momento che [era] dubbio che il Psi [riuscisse] a muoversi rapidamente verso una posizione di sostegno attivo della solidarietà dell’alleanza.

Lo stesso documento, tuttavia, concludeva che “il fatto che fosse desiderabile attirare il Psi nella coalizione democratica, e perciò raf­forzare l’Italia politicamente, socialmente e economicamente potrebbe rendere tollerabile qualche sacrificio della solidarietà italiana con noi in materia di politica estera purché si possa contare fino in fondo sulla perma­nenza dell’Italia all’interno dell’Alleanza atlantica”70. Altri osservatori americani face­vano altresì notare come in occasione della crisi cubana molti socialisti, “per quanto cri­tici dell’iniziativa americana e scettici nei confronti tanto della sua necessità quanto dei risultati che potevano derivarne, assicura­rono ai funzionari dell’ambasciata che non c’era nessun dubbio di come si sarebbe collo­cato il Psi nel caso di un confronto tra Est e Ovest a causa della controversia cubana” , e sottolineavano che “ i socialisti di Nenni [....] si erano rifiutati di unirsi ai comunisti in un’azione congiunta per le strade e in Par-

69 A proposito dell’interesse, e delle difficoltà, del Psi ad appurare la posizione deH’amministrazione Kennedy sulla Mlf, cfr. le lettere di Riccardo Lombardi a Pietro Nenni, 2 novembre 1963, in Archivio centrale dello Stato, Roma, Archivio Pietro Nenni (d’ora in poi ACS, Nenni), Serie C., 1944-1979, b. 30, f. lettere di Lombardi, Riccardo; Giovanni Pieraccini a P. Nenni, 15 novembre 1963, in ACS, Nenni, b. 36, fase.1731, lettere di Pieraccini, Giovanni. Nella prima lettera si escludeva che la Casa Bianca potesse rinviare ulteriormente la questione della Mlf, nella seconda si affermava esatta­mente il contrario. Cfr. anche le due lettere di Altiero Spinelli a Pietro Nenni, 8 novembre e 14 novembre 1963. in Ar­chivio storico della Comunità europea, Firenze, Fondo Spinelli, DEP-I-58. Sui contatti con Washington a questo ri­guardo, cfr. anche L. Wollemborg, Stelle, strisce e tricolore, cit., pp. 175-176.70 Memo for Arthur Schlesinger Jr. “The Italian Center-Left Government and thè Cuban Crisis: Lessons for American Foreign Policy” , November 30, 1962, in JFK, NSF, Co, Cuba-General, box 37, f. 11/21/62-11/30/62.

Socialisti o missili 467

lamento”71. La National Intelligence Estima­te preparata dalla Cia per il 1963 concludeva che “il sostegno dei socialisti per la coalizione pone[va] effettivamente dei problemi” e che le loro opinioni di politica estera “suggeriva­no] in effetti un allineamento molto minore rispetto a quello dei passati governi italiani con alcuni importanti punti di vista politici dell’Occidente” ; lo stesso documento tutta­via notava anche come la coalizione di cen­trosinistra avesse aderito strettamente alle tradizionali linee di fondo della politica este­ra italiana (la Nato e la Cee) e che “se c’[era] stato qualche cambiamento di politica da quando la coalizione [era] stata formata, [era] stato più nel tono che nella sostanza, più negli accenti che nel contenuto”72. In bre­ve, la crisi cubana sembrò dimostrare che in fin dei conti i rischi impliciti nell’apertura a sinistra erano abbastanza limitati e che per il momento erano abbondantemente com­pensati dalla prospettiva di isolare ulterior­mente il partito comunista73.

Dopo la crisi cubana, nel corso della pri­mavera e dell’estate del 1963 all’interno del­l’amministrazione Kennedy cominciò perciò a consolidarsi il consenso relativo al ruolo che il centrosinistra avrebbe potuto svolgere nella politica italiana. Sebbene il primo go­verno, basato sull’appoggio esterno del Psi, non avesse realizzato tutte le riforme che i suoi sostenitori si aspettavano e le elezioni

politiche del maggio 1963 avessero generato non pochi dubbi circa l’effettiva consistenza delle forze politiche impegnate nel promuo­vere il centrosinistra, vari settori dell’ammi­nistrazione giunsero alla conclusione che so­lo il centrosinistra sarebbe stato in grado di stabilizzare il sistema politico italiano74. Co­sì, nei memorandum con cui analizzava la si­tuazione politica italiana nell’estate del 1963, la Central Intelligence Agency dichiarava ri­petutamente che il centrosinistra rappresen­tava in quel momento la meta più auspicabile per l’evoluzione della politica italiana75.

A partire dalla primavera-estate del 1963, inoltre, l’utilità del centrosinistra cominciò ad essere apprezzata non solo in riferimento ad un contesto strettamente italiano e, da più parti, si cominciò a sottolineare i possibili effetti positivi del nuovo corso della politica italiana anche in campo internazionale: Ar­thur Schlesinger, ad esempio, descrisse a Kennedy più di una volta quali avrebbero potuto essere gli aspetti positivi del rafforza­mento delle sinistre moderate in tutta l’Euro­pa occidentale allo scopo di contrastare la sfida gollista all’alleanza atlantica76. Che il centrosinistra costituisse una sorta di stru­mento indiretto per contenere la Francia gol­lista, del resto, veniva sostenuto anche all’e­sterno dell’amministrazione da altri fautori dell’apertura quali Victor Reuther o da figu­re di spicco del mondo dei media quali Wal-

71 Research Memorandum REU 75, November 3, 1962: “Our Major European Allies and the Cuban Crisis”, in JFK, NSF, Co, Cuba, box 50, f. Subjects-INR Material.72 National Intelligence Estimate Number 24-63, “Implications of the Center-Left Experiment in Italy”, January 3, 1963, in JFK, A.M. Schlesinger, White House Files, Subjects: Italy, f. Italy Cia Reports 1/3/63, bow WH-12.73 Ennio Di Nolfo, L ’Italie et la crise de Cuba en 1962, in Maurice Vai'sse (a cura di), L ’Europe et la Crise de Cuba, cit.74 Un fattore importante nel ridurre l’ostilità del Dipartimento di Stato nei confronti dell’apertura a sinistra, come sot­tolinea Schlesinger in The Thousand Days, fu la nomina di Harriman a undersecretary of State for Political Affairs, il 14 Aprile 1963. Per un esempio dei giudizi sul centrosinistra, cfr. il briefing book per il viaggio di Kennedy in Italia The President’s European Trip, June 1963, Part.III, The Current Situation in Italy, in Declassified Documents Research Sy­stem (d’ora in poi DDRS), 1977/276B.75 The Current Situation in Italy, Cia Special Report, 26 July 1963; Organized Labor and Italian Politics, Cia Special Report, 4 October 1963; Riccardo Lombardi of the Italian Socialist Party, Cia Special Report, 18 October 1963: tutti e tre questi documenti sono stati ottenuti tramite il Freedom of Information Act.76 Memorandum for the President: How to Deal with the Popular Front Threat, by Arthur Schlesinger Jr., June 22, 1963, in DDRS, 1983/2218.

468 Leopoldo Nuti

ter Lippmann77. È vero certamente che la po­litica estera americana non fu mai influenzata da questo approccio concettuale-ideologico in maniera così netta come avrebbe desiderato Schlesinger quando auspicava lo sviluppo di una Europa progressista che rispecchiasse nel vecchio continente le idealità della Nuova frontiera e, al tempo stesso, contenesse l’in­fluenza della Francia gollista78. E anche vero, però, che i partiti politici che sostenevano il centrosinistra temevano non solo la politica estera di De Gaulle ma anche la possibilità che l’esperienza gollista rinvigorisse la destra italiana, come è vero altresì che, con il crescere della sfida francese nel corso del 1963, anche i socialisti italiani cominciarono ad auspicare apertamente che gli Stati Uniti riprendessero saldamente in mano la leadership dell’alleanza atlantica, in modo da bloccare ogni ulteriore sviluppo dell’asse Parigi-Bonn.

Contemporaneamente la nuova atmosfera di distensione nelle relazioni tra gli Stati Uni­ti e l’Unione Sovietica sviluppatasi dopo la crisi dei missili a Cuba ebbe un effetto pro­fondo sulla scena politica italiana. Quando la tendenza al disarmo e al controllo degli ar­mamenti cominciò a prendere effettiva consi­stenza e si giunse alla firma del trattato che limitava parzialmente gli esperimenti nuclea­ri, la sinistra moderata italiana si mostrò sempre più disposta a condividere le respon­sabilità di governo e ad appoggiare la politica estera americana. Conseguentemente, il di­lemma prospettato dal Dipartimento di Stato nel 1961 di una “democrazia italiana posta di fronte all’alternativa di una coalizione di go­verno che avrebbe potuto offrire maggiori opportunità per ridurre la forza del Pei e di un’altra che sarebbe stata un’alleata degli

Stati Uniti più disposta a cooperare all’inter­no della Nato e nelle questioni di politica in­ternazionale79” , stava gradualmente scom­parendo grazie ai cambiamenti complessivi in corso nel sistema internazionale. Durante il 1963 la crescente importanza attribuita dal­la politica estera americana alla distensione con l’Unione Sovietica, da un lato, e la neces­sità di attuare una forma di “contenimento” di De Gaulle, dall’altra, contribuirono sensi­bilmente a ridurre la contraddizione più volte rimarcata tra i due obiettivi della politica ita­liana di Washington; e questo, a sua volta, fe­ce del centrosinistra una formula di governo che dal punto di vista americano era interes­sante non solo come strumento per ridurre l’influenza del Pei, ma anche come ulteriore garanzia deH’allineamento dell’Italia su posi­zioni filoamericane per tutto ciò che atteneva alle relazioni atlantiche. Se la politica estera era stata il problema sul quale si erano regi­strate le maggiori divergenze, l’ostacolo più difficile sulla strada della conclusione di un accordo tra la De e il Psi — “una delle mag­giori difficoltà al raggiungimento dell’accor­do su un programma politico tra la Demo­crazia cristiana e il Partito socialista”, secon­do le parole dell’ambasciatore inglese Sir Ashley Clarke80— sembra probabile che un cambiamento nello scenario internazionale, anche se di portata quantomai limitata, pos­sa aver contribuito a eliminare alcune di que­ste difficoltà e quindi a rendere più facile per i due partiti il raggiungimento di un’intesa. In­cidentalmente, questa era anche l’opinione di alcuni analisti americani, dal momento che già nel 1958 uno studio del Bureau of Intelli­gence and Research (Inr) del Dipartimento di Stato aveva concluso:

77 Victor G. Reuther to Willy Brandt, April 3, WSU, WPR, ALUA, V. Reuther, box 27, folder 26. Per il parere di Lipp­mann sul centrosinistra, cfr. Wollemborg, Stars and Stripes, cit, p. 83, e 1’editoriale di Lippmann sul “New York Herald Tribune” del 28 dicembre 1962.78 A. Schlesinger Jr., A Thousand Days, cit., pp. 804-811.79 Italy. Department of State Guidelines for Policy and Operations, January 1962, in JFK, loc. cit. a nota 46.80 Sir Ashley Clarke to the Earl of Home, 11 December 1962, PRO, FO 371/160662/CJ1015/11.

Socialisti o missili 469

un’apertura a sinistra dipenderà anche dal clima internazionale. Un rilassamento della tensione in­ternazionale molto probabilmente incoraggerà un rapprochement tra i partiti di centro e i socialisti di Nenni81.

Questo nesso tra politica interna e sistema in­ternazionale era molto chiaro anche per gli avversari irriducibili del centrosinistra come la signora Luce, che all’inizio del 1963 mette­va in guardia il presidente Kennedy contro i rischi di una politica troppo severa nei con­fronti di De Gaulle. Per l’ex ambasciatrice americana a Roma una simile politica era ca­rica di pericoli, perché

il governo italiano [....] non può sopravvivere a una débàcle del centro in Francia, e l’Italia potrebbe an­che anticipare una tale débàcle portando al potere i socialisti filocomunisti. Incidentalmente, Mr. Presi­dent, dia un’occhiata molto attenta ai Suoi piani per la visita in Italia. Nel clima attuale, c’è una pos­sibilità molto concreta che possa trovarsi in imba­razzo a causa dell’accoglienza entusiastica che rice­verà dai comunisti! Posso già immaginarmi gli stri­scioni: “Vivo [sic] Kennedy e Chruscev! Abbasso De Gaulle e Mao Tse Tung”82.

Lungi dall’essere un problema di stretta per­tinenza della politica interna italiana come i politici italiani hanno dichiarato all’epoca e in seguito, l’apertura a sinistra può quindi essere vista come un aspetto della più ampia sequenza di eventi determinati dall’evoluzio­ne della politica internazionale tra la fine del 1962 e il 1963. Le nuove caratteristiche del sistema internazionale che cominciarono a delinearsi nel 1963, in altre parole, prepara­rono la strada a quel nuovo allineamento di forze all’interno del sistema politico italiano che molti anni di discussioni tra sostenitori e oppositori dell’apertura a sinistra di qua e di

là dell’Atlantico non erano riusciti a realiz­zare.

Questo risultato era perciò strettamente correlato alla generale atmosfera di disten­sione e a quel processo che Marc Trachten­berg ha definito la messa alla prova e la chia­rificazione della “struttura di base del potere mondiale” attraverso le gravi crisi degli anni di Kennedy83. In altre parole sia la conclusio­ne — per quanto informale, graduale e mai riconosciuta come tale — di una sorta di ac­cordo per la stabilizzazione postbellica, sia il conseguente parziale miglioramento delle re­lazioni tra le superpotenze contribuirono no­tevolmente, insieme al timido impegno della amministrazione Kennedy per l’attuazione delle riforme sociali e il rafforzamento della democrazia, a promuovere un impercettibile spostamento deH’equilibrio tra le forze politi­che italiane. Al tempo stesso la nuova coali­zione moderatamente orientata a sinistra che cominciò a prendere forma in Italia era ben disposta a sostenere il processo di disten­sione, a incoraggiare il dialogo tra le super- potenze e a promuovere varie misure di disar­mo e di controllo degli armamenti, creando così un circolo virtuoso in grado di aiutare gli Stati Uniti a mettere in pratica la politica di distensione verso l’Urss. Questa interpre­tazione non è esente da una certa semplifica­zione degli eventi, che negli anni presi in esa­me seguirono certamente un corso tutt’altro che netto e lineare. La politica americana ver­so l’Italia negli anni di Kennedy, infatti, può essere raffigurata nella maniera più appro­priata come la ricerca di un delicato equili­brio tra approcci vecchi e nuovi, dal momen­to che tra il 1961 e il 1963 le relazioni tra l’I­talia e gli Stati Uniti presentarono un anda­mento stop-and-go, ricco di contraddizioni

81 The Outlook for Italy, Intelligence report n.7870 (originally prepared as the IRA contribution to NIE 24-58), Decem­ber 10, 1958, in NAW, INR reports.82 Claire Boothe Luce to J.F. Kennedy, February 5, 1963, in JFK, Presidential Office Files, Special Correspondence, box 31, f. Luce, Henry R. and Claire Boothe 1/22/63 — 8/23/63.83 Marc Trachtenberg, History and Strategy, cit., Chapter 4, Making Sense of the Nuclear Age.

470 Leopoldo Nuti

che rendono difficile identificare una direzio­ne precisa: e tuttavia, all’interno di questo apparente labirinto, è possibile individuare con una certa sicurezza un lento e graduale

processo di cambiamento e i primi segni di un nuovo allineamento tra le diverse forze politiche.

Leopoldo Nuti

Leopoldo Nuti (Siena 1958) è professore associato di Storia delle relazioni internazionali al dipartimento di Studi politici deirUniversità di Catania. È stato ricercatore incaricato alla Nato, borsista Jean Mon- net all’Istituto universitario europeo, ricercatore presso lo Csia della Harvard University e ha lavorato per il Nuclear History Program. Ha pubblicato L ’esercito italiano nel secondo dopoguerra, 1945-1950. La sua ricostruzione e l ’assistenza militare alleata (Roma, Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, 1989) e curato il volume I missili di ottobre: La storiografia americana e la crisi cubana del 1962 (Milano, Led, 1994). Ha scritto numerosi articoli sulla sicurezza italiana e la politica estera durante la guerra fred­da e attualmente sta terminando una monografia sugli Stati Uniti e le origini dell’“apertura a sinistra” in Italia tra il 1956 e il 1964.

ABRUZZO CONTEMPORANEOAmbienti e risorse sull’Appennino abruzzese: percorsi di ecostoria

Sommario del n. 2, 1996

Studi e ricerche

M arco Armiero, Il tesoro degli Appennini: uomini e miniere nell'Abruzzo preunitario-, Maurizio Gangemi, Il paese dei boschi: alcune considerazioni sull'Abruzzo del 1789\ Luigi Piccioni, Il dono dell'orso. Abitanti e plantigradi nell’Alta vai di Sangro tra Otto e Novecento-, Gaetano Sabatini, Note sulla creazione del sistema ferroviario in un'area marginale: l'Abruzzo tra Otto e Novecento-, Marcello Benegiamo, Paolo Nunziato, Gli elettrocommerciali abruzzesi in età giolittiana: la società Zecca-Cauli-, Alessandro Clementi, Alle origini del Parco nazionale d'Abruzzo

Osservatorio

Loretta Bonifaci Di Marzio, Scienze naturali e storia dell’ambiente: un confronto possibile?

Fonti e testimonianze

Mario Setta, Quella "strana alleanza": libri inglesi sulla resistenza abruzzese-, Carmine Viggiani, Nicola Fiorentino, In terra casularum... Regesti, voli. I-V

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