STUDI DI STORIA DELLE ARTI . 11, 2004-2010IL BASILISCO IN ARTE TRA STORIA NATURALE, MITO E FEDE...

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STUDI DI STORIA DELLE ARTI N. 11, ANNI 2004-2010

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  • STUDI DI STORIA DELLE ARTI

    N. 11, ANNI 2004-2010

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    «Basiliscus habet caudam ut coluber, resi-duum vero corporis ut gallus»1, con questeparole Vincent de Beauvais descrive, nelXIII secolo, l’aspetto ibrido del basilisco,che, a partire dal Medioevo, diviene costan-te nella maggior parte delle fonti iconografi-che e testuali.

    Come è noto, la diffusione di un partico-lare tipo iconografico attraverso i secoli èstrettamente vincolato ai testi letterari, cheinfluenzano l’immaginario comune e forni-scono agli artisti gli strumenti necessari aprodurre immagini adeguate; tuttavia la for-ma medievale del basilisco galliforme nontrova un parallelo nelle fonti di epoca clas-sica, dove la descrizione fisica di questo esse-re non si discosta da quella di un normaleserpente velenoso, senza alcun accenno aduna forma mostruosa.

    Nel testo greco dei Theriaca di Nicandrodi Colofone2, databile al II secolo a. C., siriscontra il primo accenno al basilisco comeserpente di dimensioni ridotte, dalla testaaguzza e dal colore rosseggiante; in contrastocon il suo aspetto fisico piuttosto inoffensi-vo, tuttavia, il basilisco viene definito rexserpentium, epiteto frequentissimo anchenelle descrizioni cronologicamente più tar-de e connesso alla stessa origine del termine,dal greco Basileus (re).

    L’etimologia regale del basilisco, inoltre,viene legittimata da un particolare del suoaspetto fisico: secondo quanto affermano lefonti, a partire dalla Naturalis Historia di Pli-

    nio3, la natura lo ha voluto contraddistin-guere con una macchia bianca a forma dicorona, emblema evidente della sua indi-scussa superiorità sugli altri serpenti.

    Sebbene le prime illustrazioni del basiliscorisalgano all’età medievale, quando si compiela metamorfosi del basilisco da serpente vele-noso a mostro galliforme, autorevoli naturali-sti seicenteschi, come Topsell e Aldrovandi,si sforzarono di inserire, nei loro trattati, inte-ressanti raffigurazioni del re dei serpenti,basate piuttosto sulle descrizioni contenutenei testi di età classica. (Fig. 1)

    In accordo alle teorie pliniane, il basili-sco serpentiforme viene in queste immaginiconnotato dall’evidente corona, attributoche lo identifica immediatamente come «rede gl’animai che van serpendo»4, associatoad una freccia che parte minacciosamentedalla sua bocca, a simboleggiare la straordi-naria potenza del suo veleno5.

    L’eccezionale forza venefica del basilisco ètale che «s’egli non truova altro da potere atto-scare, si attosca gli àlbori pure con uno sufolo chefa e l’erbe che gli sono intorno fa seccare per lofiato che gli esce di corpo, ch’è così rio6».

    Alla spaventosa capacità di distruggere lanatura e corrompere l’aria con un semplicesoffio7, si accompagna, già nei testi antichi,la convinzione che, in quanto re delle serpi,il basilisco sia temuto da tutti gli animali,che evitano di avvicinarsi alle sue prede, oall’acqua dove lui ha bevuto, per non restar-ne immediatamente avvelenati.

    “REX SERPENTIUM”: IL BASILISCO IN ARTE TRA STORIA NATURALE, MITO E FEDE

    VALENTINA BORNIOTTO

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    Infatti, come testimonia la triste storia diMurro8 - citata, con alcune varianti, sia daPlinio che da Lucano - l’azione malefica delbasilisco non ha soltanto un effetto imme-diato, ma si prolunga nel tempo, restandoletale anche dopo la sua stessa morte e cau-sando vere e proprie epidemie; non è uncaso, quindi, che in epoca rinascimentale ilbasilisco diventi attributo del contagio, pre-sente in alcune edizioni dell’Iconologia diCesare Ripa9.

    La Contagione del Ripa è una «donnagiovane estenuata et pallida» che sorreggecon la mano destra un ramo di noce, mentrecon la sinistra accarezza un basilisco «in attofiero et sguardo atroce»; al suo fianco èposto un ragazzo in fin di vita, consumatodalle molteplici malattie contagiose, che,secondo la concezione del tempo, colpisco-no soprattuto i giovani a causa dei «lorodisordini e poca cura della vita»10. (Fig. 2)

    Il ramo di noce, nella mano destra delladonna, richiama la credenza popolare -sostenuta anche da fonti autorevoli comePlinio11 - secondo la quale l’ombra di talealbero causa all’uomo problemi di salute;tale convinzione dipende probabilmente dalfatto che le foglie di noce cadute dall’alberocontengono una sostanza, che, a contattocon il terreno umido, si rivela tossica perl’erba e le piante limitrofe.

    Il basilisco, infine, è «una specie de ser-penti de’ quali non solo il fiato, ma il guardoet il fischo sono contagiosi», tanto che «lianimali che sono morti per la loro contagio-ne non vogliono essere tocchi da altri anima-li ancor che voracissimi, e se sforzati dallafame li tocca, subito morono anche loro»12.

    L’eccezionalità dell’ attività venefica,così fermamente sottolineata dalle fonti,trova la sua spiegazione nel concetto classi-co della genesi del basilisco, che si fa deriva-re proprio da una goccia di veleno.

    Secondo le parole di Lucano, l’eroicoPerseo, vincitore sulla Gorgone, si innalzòin volo con i suoi calzari alati, tenendo tra lesue mani la testa di Medusa che grondavasangue, misto al veleno prodotto dalle serpiche formavano la sua capigliatura.

    Consapevole del pericolo e preoccupataper la salute della terra greca, Atena inter-venne dirottando il figlio di Zeus sul desertolibico, ma «quella terra sterile e i campi infe-condi s’imbevono del veleno che stilla dal putre-scente capo di Medusa e la triste rugiada del fie-ro sangue vien fermentata dalle aride zolle disabbia che riscaldano con il loro calore»13.

    Da ciascuna goccia del velenifero sanguedella Gorgone si crea, quindi, una diversatipologia di serpe e proprio dall’ultima, che èquella più tossica, viene generato il basilisco.

    La connessione al mito di Perseo e Medusa,inoltre, è causa dell’ affascinante capacità delre dei serpenti di uccidere con il suo sguardo:così come Medusa pietrificava i nemici guar-dandoli, allo stesso modo il basilisco - nato dauna goccia del suo sangue - è in grado diannientare uomini e animali, anche se posti adistanze notevoli, con una semplice occhiata14.

    Nonostante le fonti classiche attribuisca-no al basilisco queste straodinarie capacitàoffensive, che lo rendono monarca incon-trastato di tutte le serpi, è solo a partire dalMedioevo - come precedentemente accen-nato - che il suo aspetto subisce una comple-ta trasformazione nella nuova forma ibridadi gallo-serpente, in maggior aderenza algusto medievale per gli aspetti leggendari esovrannaturali legati a presenze mostruose.

    Questa nuova iconografia, diffusa a parti-re dai testi dei bestiari, dipende da differen-ti teorie riguardo alla sua genesi, che si faderivare non più da una goccia di veleno,bensì da un uovo.

    È stato ipotizzato15 che l’origine dellaconnessione tra il re dei serpenti e l’ uovo

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    sia da ricercare in un passo della Bibbia:«Dischiudono uova di serpenti velenosi, tes-sono tele di ragno; chi mangia quelle uovamorirà e dall’uovo schiacciato esce un basi-lisco»16; non si hanno certezze che la fonteprimaria sia davvero questa, ma in epocamedievale la teoria della nascita del basili-sco dall’uovo viene data per certa.

    In un primo momento - in accordo all’ori-gine africana del re delle serpi, sulla qualeconcordano tutte le fonti classiche17 - il basili-sco viene fatto nascere dalle uova di ibis18; taliuccelli, secondo le teorie di Antistene citatenelle Quaestiones physicae di Teofilatto Simo-catta, si nutrono di serpenti e scorpioni vele-nosi, ma l’enorme quantità di veleno cheinghiottono causa un’infezione alle loro uova,dalle quali vengono generati i basilischi19.

    L’ibis avrebbe così un ruolo contradditto-rio, poichè l’utilità che deriva dalla sua eli-minazione degli animali velenosi, vieneannullata dalla conseguente genesi del redei serpenti, flagello per ogni essere vivente.

    A questo riguardo esiste un emblema del-l’umanista ungherese Johannes Sambucus(1531-1584), storiografo della corte asburgi-ca e autore dell’Emblemata et aliquot nummiantiqui operis, pubblicato per la prima voltanel 1564, con numerose ristampe.

    L’ambiguità dell’azione dell’ibis diventapretesto per un insegnamento morale: nonesiste nulla di assolutamente sicuro, il malee il bene convivono in ogni aspetto dellavita terrena, poichè l’unica vera salvezza sitrova soltanto nel Regno dei Cieli20.

    Tale concetto è tradotto fedelmente inimmagine dall’interessante xilografia: sullasinistra l’ibis ad ali spiegate contrasta la per-niciosità del serpente alato, ma sulla destrain basso si sta schiudendo l’uovo da cui giàsi scorge la testa del terribile basilisco, pron-to a seminare terrore e morte all’intera uma-nità. (Fig. 3)

    Con la caduta dell’Impero Romano, l’Eu-ropa perde progressivamente i contatti conle provincie d’Africa, per cui i racconti lega-ti a quelle terre lontane diventano semprepiù leggendari e favolosi; paradossalmente,però, il basilisco inizia ad essere consideratonon più solo come un esotico abitante del-l’Africa, ma come un pericolo concreto ediffuso ovunque, come attesteranno le testi-monianze di presunti avvistamenti in diver-se zone d’Europa, delle quali si parlerà inseguito.

    Nel momento in cui il basilisco si trasfor-ma in animale “nostrano”, anche la metodo-logia della sua genesi deve necessariamentetrovare una rispondenza con animali noti ediffusi nel nostro continente, per questaragione il comune gallo sostituisce l’ibis egi-ziano.

    La prima attestazione nota del tema del-l’uovo di gallo risale all’inglese Beda, detto“Il Venerabile” (672-735), monaco e Dotto-re della Chiesa, autore di testi storici, teolo-gici e scientifici e considerato fra le persona-lità culturali di maggior rilievo dell’ VIIIsecolo; secondo la sua opinione può accade-re che un gallo vecchio deponga un uovo,dal quale - nel caso sia covato da un serpen-te velenoso nei giorni di canicola21 - nasce ilbasilisco.

    Il fatto che un individuo di sesso maschi-le come il gallo potesse deporre delle uovanon era affatto ritenuto inverosimile, anzi, siattestano diverse teorie che si sforzano dispiegare come ciò potesse verificarsi.

    Di grande interesse è, ad esempio, la testi-monianza trecentesca di Teofilo, il qualedescrive minuziosamente il metodo per gene-rare il basilisco, all’interno della ricetta per lafabbricazione del cosiddetto “oro spagnolo” 22.

    Teofilo suggerisce di rinchiudere due gal-li maschi dai dodici ai quindici anni all’in-terno di una cella sotterranea, nutrendoli in

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    abbondanza attraverso piccole feritoie.Secondo la concezione dell’autore, i duepennuti vecchi e grassi, a causa dell’eccessi-vo calore, sono spinti a copulare e a produr-re perciò delle uova, che vengono fattecovare da rospi o da serpenti velenosi.Quando le uova si schiudono ne escono deipulcini inizialmente identici a quelli dellegalline, ma ai quali, trascorsa una settimana,cresce una coda di serpente che li connotacome basilischi.

    La descrizione di Teofilo ricalca piena-mente il nuovo aspetto del basilisco, rappre-sentato con corpo di gallo e coda di serpen-te, quindi con attributi iconografici derivatida entrambi i genitori. (Figg. 4 - 5)

    Alla fine del XII secolo la scuola medicasalernitana propone la teoria della genera-zione dei rettili, causata dal calore esterno:si dice che le temperature elevate del perio-do estivo siano propizie alla nascita dei ser-penti, che escono dalle loro tane per river-sarsi sulla superficie terrestre.

    L’associazione del caldo asfissiante con iserpenti causerà «un’inversione della catenacausale dei fenomeni»23, per cui i rettili, natidal caldo torrido e malsano, diventano essistessi i responsabili della corruzione dell’ariae dell’imputridimento delle acque.

    In quanto re dei serpenti, il basilisco era,a maggior ragione, considerato - come si èvisto - capace di bruciare l’erba, infettare leacque e spezzare le pietre al suo semplicepassaggio; l’isolato racconto di Beda sulleorigini canicolari del basilisco trova quindiuna spiegazione più comprensibile: i serpen-ti, dei quali il basilisco è sovrano, nasconodal caldo eccessivo, ma, come sostiene Teo-filo, tale calore può causare anche l’unionecontro natura di due galli maschi, dalle uovadei quali esso viene generato.

    La connessione di tali teorie non può checontribuire alla trasformazione del basilisco

    nel suo nuovo aspetto galliforme, indissolu-bilmente legato alla sua origine dall’uovo,che sarà considerata una verità inconfutabi-le per molti secoli.

    Se il Medioevo fu, nello stesso tempo,attratto e ossessionato dal basilisco, tanto datrasformarlo in un animale reale dal qualedifendersi, è significativo che, ancora in pie-na età moderna, la maggior parte degli stu-diosi più autorevoli non riuscì - per diversimotivi - a classificare il re dei serpenti comeuna totale invenzione, cosa che avverrà sol-tanto alla fine del Settecento con il raziona-lismo illuminista e l’esaurimento del cosid-detto collezionismo enciclopedico del XVI eXVII secolo, che raccoglieva ed esponevaqualunque tipologia di oggetti bizzarri, conuna predilezione per gli animali ibridi emostruosi, tra i quali il basilisco faceva dasovrano.

    In effetti, la diffusa presenza di basilischiposticci (cosiddetti “Jenny-Hanivers”24)assemblati con parti di animali differenti, alloscopo di essere mostrati al popolo o collezio-nati dagli intellettuali rinascimentali per iloro studioli, non era certamente d’aiuto allavittoria sulla superstizione25. (Fig. 6)

    Ulisse Aldrovandi raccomandò ai suoilettori di non lasciarsi ingannare da questifalsi basilischi, che - secondo la sua testimo-nianza, corredata anche da immagini espli-cative (Fig. 7) - venivano costruiti con par-ti del pesce razza, sistemate in modo dasimulare le ali del gallo26. Ciononostante,seppure pieno di dubbi in proposito, ancheil grande naturalista bolognese non esclude-va totalmente la reale esistenza del basilisco.

    Il nuovo approccio scientifico baroccotentava di offrire spiegazioni razionali alleleggende di origine medievale: nel caso delbasilisco si puntava l’attenzione soprattuttosulla genesi dall’uovo di gallo, che risultavaormai poco verosimile.

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    Secondo l’opinione di Edward Topsell27,ripresa poi dallo stesso Aldrovandi, nei gallianziani si forma un secrezione dura, dovutaalla prolungata inattività del seme, la qualesi solidifica in una forma rotonda simile aquella di un uovo.

    Queste finte uova vengono spesso attac-cate da parassiti che, secondo la teoria di SirThomas Browne28, potrebbero essere statiscambiati per piccoli serpenti a causa dellafantasia del popolo medievale.

    Se gli autori moderni si dimostrano istin-tivamente più scettici rispetto ai loro prede-cessori, la nuova passione per l’egittologia -diffusa nel Rinascimento in seguito alla sco-perta del manoscritto attribuito ad Orapol-lo29 - contribuisce, tuttavia, a restituire cre-dibilità al basilisco.

    Attraverso la mediazione rinascimentaledei testi “egizi”, si scoprì, infatti, che ilpopolo dei faraoni - ritenuto saggio edattendibile - credeva fermamente nel re deiserpenti, tanto da venerarlo come emblemadell’eternità, in quanto unico animale “sem-per invictus”.

    Negli Hieroglyphica di Giovanni PierioValeriano, viene riportata la notizia che«gl’egittiani hebbero in tanta veneratione ilbasilisco, che gli facevano e consacravano lestatue d’oro» (Fig. 8); queste sculture auree,a detta del Valeriano, erano costruite con unartificio che permetteva di poter aprire ochiudere gli occhi.

    Se le statue venivano esposte con gliocchi aperti, tutto il popolo egizio facevafesta poichè significava che gli dei eranobenevoli, ma se - al contrario - gli occhi era-no chiusi, si riteneva fosse un segnale di pre-sagio infausto e di imminenti sofferenze pertutto l’Egitto.

    Questo particolare, contaminato conl’associazione egiziana del basilisco all’eter-nità, ispirò l’interessante emblema rinasci-

    mentale di Principio Fabricii30, nel quale lastatua del re dei serpenti - connotata dal-l’iscrizione “aeternitas” sul piedistallo - èaccompagnata dal motto “inconniventibusoculis”31: se il basilisco ad occhi chiusi cau-sava all’ Egitto dolore e morte, ne consegueche il simbolo dell’eternità debba tenere gliocchi sempre aperti. (Fig. 9)

    Il Rinascimento - carico di ammirazione perla riscoperta saggezza del popolo egizio - adottòfrequentemente il nuovo significato allegoricodel basilisco come simbolo di eternità, citato innumerosi testi emblematici, oltre che nell’Ico-nologia del Ripa; tuttavia, questo va a contra-stare con i precedenti letterari, che in talunicasi avevano proposto dei rimedi efficaciall’azione pestilenziale del re delle serpi.

    In posizione di rilievo tra gli antidotinaturali al basilisco si colloca la donnola, unpiccolo mammifero dall’aspetto tutt’altroche spaventoso, ma che, già nelle fonti clas-siche, viene descritto come in grado di ucci-dere il re dei serpenti con il suo odore, sep-pure a costo di perdere la sua stessa vita.

    Secondo Plinio - poi ripreso da numerosefonti successive - le tane dei basilischi,caratterizzate dalla totale assenza di vegeta-zione, distrutta dall’azione pestilenziale delloro veleno, sono facilmente identificabilidagli uomini, che vi introducono le donno-le, allo scopo di eliminare ogni pericolo32.

    Il concetto sotteso a questa invenzione èche Madre Natura nelle fonti classiche, o laDivina Provvidenza in ambito cristiano,non crea mai nulla senza il suo rimedio, percui la donnola avrebbe l’ingrato compito disacrificarsi per uccidere il basilisco e salvarel’umanità.

    In epoca medievale si riflette però sul fat-to che, proprio perchè non esiste nulla sen-za il suo rimedio, Dio deve aver lasciato unapossibilità di scampo anche alla donnola, laquale, infatti, può sopravvivere all’incontro

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    con il re dei serpenti se si è precedentemen-te nutrita di ruta33.

    Nel 1476 viene per la prima volta pubblica-to il testo trecentesco dell’Acerba, dell’astrolo-go Francesco Stabili da Ascoli, meglio cono-sciuto come Cecco d’Ascoli, il quale confermala teoria della ruta nei suoi versi:

    «La donola, trovando della ruta,combatte con costui e sì l’accidechè ‘l tosco con costei si atuta»34.

    La ruta, quindi, non elimina totalmenteil veleno del basilisco, ma lo attutisce, limi-tandone l’efficacia e donando alla donnolala possibilità di salvezza.

    All’interno delle miniature dei bestiarinon è infrequente la raffigurazione della lottafra il basilisco e la donnola; quest’ultima -secondo una sorta di prospettiva gerarchica -viene rappresentata quasi sempre di dimen-sioni inferiori rispetto al re dei serpenti, che“sulla carta” sarebbe molto più potente. Tutta-via, nonostante la sua condizione fisica sfavo-revole, la donnola ha sempre un atteggiamen-to aggressivo, sia quando affronta disarmata ilsuo nemico (con la consapevolezza di dovermorire), sia quando è protetta dall’azione sal-vifica della ruta. (Figg. 10,11)

    Il fatto che il terribile e pestilenzialebasilisco fosse ritenuto per secoli un ani-male reale ha conseguentemente stimola-to, nell’immaginario collettivo, la rifles-sione sulle possibilità di salvezza per chiavesse avuto la sfortuna di imbattervisi.Nello sventurato caso di un incontro conil re dei serpenti, però, non era affattoscontata la presenza di una donnola nelleimmediate vicinanze.

    La tradizione letteraria, quindi, ha tra-mandato un altro efficace rimedio all’azionemortifera del basilisco, molto più sempliceda procurare: lo specchio, in grado di riflet-

    tere lo sguardo omicida del re dei serpenti,restituendolo al suo autore.

    Basterebbe quindi munirsi di uno spec-chio, o semplicemente di un materialeriflettente35, per annullare la pericolositàdello sguardo del basilisco, uccidendoloaddirittura con la sua stessa arma.

    Una lunga e interessante menzione diquesto stratagemma si ritrova all’interno diuna rara leggenda che ha come protagonistaAlessandro Magno, contenuta nella cosid-detta redazione J3 dell’ Historia de preliis36.Secondo la narrazione di questo testomedievale, l’esercito macedone veniva deci-mato da una morte inspiegabile e misteriosa,si scoprì poi dovuta alla presenza di un basi-lisco nascosto tra le colline, che uccidevasubdolamente qualunque soldato gli passas-se accanto.

    Il coraggioso Alessandro decise quindi diaffrontare da solo il mostro, facendosicostruire un grande scudo riflettente, con ilquale riuscì a far specchiare il basilisco eperciò ad ucciderlo37.

    La redazione J3 fu poi rielaborata e rias-sunta in alcuni versi alliterativi delle Guer-re di Alessandro, composte alla metà delQuattrocento da un anonimo chiericoinglese38; un’altra versione della leggenda,con alcune varianti, si può leggere, inoltre,nella raccolta anedottica dei Gesta Romano-rum, databile tra la fine del XIII e l’inizio delXIV secolo, nella quale il ruolo di Alessan-dro viene ridimensionato: l’eroe macedonenon è più l’unico artefice della vittoria sulbasilisco, ma si limita a mettere in pratica iconsigli dei saggi e dei filosofi, i quali gli sug-geriscono di uccidere il mostro servendosidello specchio39.

    Secondo la tradizione, in effetti, l’espe-diente di far rispecchiare il basilisco nonsarebbe frutto dell’ingegno del condottieromacedone, bensì di Aristotele, che si diceva

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    avesse insegnato questo segreto al piccoloAlessandro quando era suo discepolo40.

    A questo riguardo Roger Bacon inseriràall’interno di due opere la citazione di unleggendario evento nel quale Alessandro,memore degli insegnamenti di Aristotelesulle proprietà degli specchi, avrebbe rifles-so il veleno di un basilisco contro una cittàassediata: «venenum basilisci, erecti supermurum civitatis contra exercitum, deduxitin ipsam civitatem»41.

    Nell’ampio panorama della letteratura suAlessandro, comunque, il basilisco fa una fuga-ce apparizione soltanto in pochi testi, oltretut-to spesso privi di illustrazioni42, a differenza del-la ben più ampia tradizione di altre leggende;per questo motivo, la raffigurazione dello scon-tro tra Alessandro e il re dei serpenti ha unadiffusione molto limitata nell’arte.

    Stupisce particolarmente, quindi, la pre-senza di questa scena negli affreschi cinque-centeschi di Ottavio Semino del palazzogenovese di Agostino Pallavicino in StradaNuova, per il resto connotati iconografica-mente in senso classico43.

    Se il Medioevo prediligeva la componen-te leggendaria della vita di Alessandro, con-siderando verosimili «imprese che l’eroe hasolo sognato di fare»44, in età rinascimentalele narrazioni si fanno più concrete, privile-giando una lettura in chiave storica.

    All’interno del ciclo dedicato ad Ales-sandro, compaiono, infatti, episodi emble-matici della carriera militare dell’eroe, trattiprobabilmente dalla Storia di AlessandroMagno di Curzio Rufo, tra i quali sembrereb-be stonare l’episodio leggendario del basili-sco, che ha, come si è detto, fonti completa-mente diverse.

    Probabilmente, in terra ligure, la vicendadel re delle serpi non poteva essere conside-rata una «storia inventata da uomini igno-ranti»45 - come scrisse Vasco da Lucena46, a

    proposito delle innumerevoli e meraviglioseimprese attribuite ad Alessandro - a causadella grande importanza che assumeva ilbasilisco nella vita di san Siro, vescovo diGenova nel IV secolo, di cui si parlerà inseguito.

    Sulla sinistra dell’affresco genovese -palesemente ispirato al testo dell’Historia depreliis - si scorge il basilisco in piedi su unaroccia, colpevole di aver già ucciso, con ilproprio sguardo, alcuni soldati macedoniche giacciono a terra esangui.

    In accordo alla fonte testuale, l’esercitosegue l’ordine di Alessandro e si ferma allespalle dell’eroe, senza superare i limiti da luistabiliti; il coraggioso condottiero, invece,completamente nascosto dall’immenso scu-do riflettente, affronta da solo il terribilemostro facendolo specchiare. (Fig. 12)

    A prescindere dalla presenza di Alessan-dro, l’associazione tra specchio e basiliscoviene trasmessa in modo trasversale danumerosi testi leggendari, poetici ed emble-matici, che attribuiscono all’oggetto com-plessi significati allegorici.

    Nelle poesie duecentesche, ad esempio,lo sguardo femminile viene spesso paragona-to alla potenza dello specchio, in grado disconfiggere il mortale basilisco, allo stessomodo in cui la donna amata uccide d’amoreil poeta47.

    Nella letteratura emblematica rinasci-mentale, invece, il basilisco che si specchiaacquista una nuova valenza simbolica: losguardo del re dei serpenti causa la morte dichiunque vi si imbatta, ma, se viene riflessodallo specchio, è cagione della propria rovi-na. Parimenti gli uomini che compionoazioni malvagie danneggiano soprattuttoloro stessi.

    Gli emblemi che trasmettono questoinsegnamento morale sono molteplici e tut-ti di grande interesse, ma uno dei più signi-

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    ficativi - soprattutto per l’immediata com-prensibilità del messaggio, espresso attraver-so il suo motto latino - è quello contenutonel testo manoscritto dei Symbola et emble-mata tam moralia quam sacra di JoachimCamerarius, risalente al 158748. (Fig. 13)

    Il basilisco allo specchio, accompagnatodal motto “Poena sibi improbitas”, è, infatti,un palese avvertimento per chi decidesse diagire in modo scorretto49.

    Talvolta lo specchio acquista anche unaconnotazione religiosa, come dimostra ilMundus Symbolicus di Filippo Picinelli50,dove si trova un’assimilazione tra lo spec-chio del re dei serpenti e la Vergine Maria:così come il terribile basilisco viene sconfit-to dal riflesso di uno specchio, così l’uomodovrà porre davanti alle tentazioni immora-li la Vergine in quanto “Speculum sinemacula”51; solo in questo modo tutto il male,distrutto dalla sua potenza, verrà elimina-to52. (Fig. 14)

    La straordinaria importanza dello spec-chio - presenza costante nella tradizione let-teraria e iconografica legata al basilisco - èulteriormente amplificata da una presunta“apparizione” del re dei serpenti a Varsavianel 1587, quando, secondo quanto traman-dato dalle fonti, si riuscì ad uccidere ilmostro grazie alla proprietà riflettente del-l’oggetto.

    La cronaca dell’evento, di certo derivatada una tradizione orale, si può leggere nelbreve trattato sul basilisco di GeorgeCaspard Kirchmayer, professore di retoricaall’Università di Wittenberg in Sassonia53.

    Rispetto ad altri presunti avvistamenti diepoca medievale54, questo racconto è parti-colarmente interessante proprio per la suacollocazione cronologica al tardo Rinasci-mento, alle soglie della rivoluzione scientifi-ca; ciò conferma quanto detto in preceden-za circa la difficoltà, per tutto il Seicento, di

    considerare il basilisco come un animaleimmaginario.

    Secondo la narrazione, due bambinefurono ritrovate morte nei pressi di una casadiroccata, ma appena la loro domestica siavvicinò ai loro corpi, cadde anch’essa a ter-ra senza vita.

    L’aspetto dei cadaveri era orribile: i lorocorpi e le loro lingue erano gonfie, la pellescura e gli occhi sporgenti; da questi segni,un medico di nome Benedictus, le identificòcome vittime dell’azione pestilenziale di unbasilisco, nascosto all’interno della casa.

    Il Senato, quindi, cercò un volontarioche affrontasse il mostro, ma nessun uomotra popolo, esercito e polizia fu abbastanzacoraggioso; l’impresa fu allora propostaall’ergastolano John Faurer, il quale si espo-se all’immenso pericolo, in cambio di untotale condono della sua pena.

    Faurer indossò una veste di pelle nera,invisibile al buio, ricoperta da centinaia dispecchi che potessero riflettere lo sguardoletale del basilisco in ogni direzione; conquesto equipaggiamento entrò nella casa eriuscì effettivamente ad uccidere il basiliscofacendolo specchiare.

    Il mostro fu poi portato fuori dalla casa,dove si dice sia stato visto da una gran folla,che lo descrisse con i suoi attributi tradizio-nali: testa di gallo, cresta simile ad una coro-na e coda di serpente55.

    Lo specchio e la donnola sono dunque learmi a disposizione dell’uomo per sconfigge-re il mortale basilisco.

    Se la natura umana necessita dell’ausiliodell’ingegno e di alcuni stratagemmi, c’èperò una via molto più efficace per sconfig-gere il basilisco, ovvero la fede in Dio.

    A Genova, nel IV secolo, si colloca,secondo la tradizione, la più importante“apparizione” di un basilisco, fondamenta-le per il coinvolgimento di San Siro, figura

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    di grande rilievo nella tradizione cultualelocale.

    Si narra che il re dei serpenti si fossenascosto all’interno del pozzo sito presso lachiesa dei Ss. Apostoli - oggi dedicata a sanSiro - per appestare la cittadinanza con ilsuo fiato e il suo sguardo mortifero.

    Tale terribile catastrofe fece sì che i geno-vesi riponessero le loro speranze di salvezza inSiro, eletto da poco vescovo della città peracclamazione popolare, in seguito ai numero-si miracoli compiuti durante la sua vita.

    Il santo genovese, dopo un triduo di pre-ghiera incessante, si avvicinò coraggiosa-mente al pozzo infestato dal basilisco, ordi-nando al mostro di uscire allo scoperto, nelnome del Signore Gesù Cristo; udito ciò, ilre delle serpi - tradizionalmente descrittodalle fonti pagane come un animale perico-loso e terrificante - si fece subitaneamentemansueto e obbedì a Siro, il quale gli ordinòpoi di gettarsi in mare, liberando definitiva-mente la città56.

    Secondo la tradizione, per raggiungere ilmare, il mostro avrebbe percorso un vicolo,che fu per questo denominato vico del basi-lisco. Questa stradina, che attraversava dia-gonalmente via Fossatello, fu chiusa nel1798 dalla costruzione di nuovi edifici, mala sua esistenza è accertata dall’abitazionedel poeta genovese del XV secolo Bartolo-meo Gentile Falamonica, che risultava sitaproprio in questo luogo57.

    Anche il pozzo, dal quale si diceva fossestato estratto il basilisco, esisteva realmentenell’area antistante all’attuale portale late-rale barocco della chiesa; documentato pertutto il Medioevo, fu chiuso per ragioni disicurezza, presumibilmente alla metà delCinquecento58.

    Nel luogo dove si trovava il pozzo si con-serva tuttora una lapide memoriale muratasulla facciata del palazzo ad angolo tra via

    Fossatello e via san Siro e databile, su basestilistica, agli ultimi decenni del XIV secolo.

    Data l’eccezionalità del valore iconogra-fico di tale bassorilievo, ritengo più efficaceposticiparne l’analisi, ponendo invece pri-mariamente la mia attenzione su opere cro-nologicamente più tarde, ma che rappresen-tano la leggenda del basilisco in aderenzaalle fonti letterarie.

    Fondamentale a riguardo è l’affresco diGiovanni Battista Carlone, realizzato, entroil 165259, nel catino absidale della chiesa diS. Siro a Genova, sede del presunto eventomiracoloso, nel quale il santo genovese -connotato da abiti vescovili e mitra pastora-le - è raffigurato nel momento in cui «mettein fuga un basilisco testè estratto da un poz-zo, con gran sbigottimento degli astanti»60.(Figg. 15 - 16)

    Degno di attenzione è il forte contrastotra il turbamento della folla dei genovesi e lafredda compostezza di san Siro, il quale, conun semplice gesto, indica al basilisco la dire-zione del mare.

    Del resto, la calma del santo è giustifica-ta dalla presenza divina che, in forma ange-lica, appare sopra la figura di Siro, perdonargli la forza di compiere la sua eccezio-nale impresa.

    Un evento straordinario, come l’appari-zione di un basilisco, suscita nel cuore dellagente di Genova una molteplicità di emo-zioni, che vengono magistralmente rappre-sentate dal Carlone: le reazioni della follavariano in base alla caratterizzazione psico-logica di ciascun personaggio, ma anche allaloro distanza dal pericoloso basilisco; chi èpiù in prossimità del pozzo fugge terrorizzatoin ogni direzione, al contrario dei personag-gi più lontani, che osservano l’evento conmaggiore tranquillità.

    I due personaggi armati sulla destra,situati vicino alle scale della chiesa, discuto-

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    no tra loro indicando il mostro, pronti asguainare la spada in caso di necessità;all’estremità opposta un ragazzo, protettodalla sicurezza della sua casa, si affacciaincuriosito alla finestra per osservare quantosta accadendo.

    Ancora di notevole potenza espressiva è laresa di entrambe le madri - una sull’estremasinistra, l’altra a destra in prossimità della chie-sa - le quali, prudentemente, frenano a faticala curiosità innata dei loro bambini, trattenen-doli dall’avvicinarsi al re dei serpenti.

    Al centro della folla, san Siro si ergeimmobile vicino al pozzo, presso cui si scor-gono ancora le corde usate per estrarre ilbasilisco, il quale è rappresentato in bassocon le sembianze galliformi.

    Interessante, inoltre, è il tentativo di unaresa approssimativamente documentale delluogo del miracolo, realizzata in un’epoca incui l’aspetto della zona si era già notevol-mente modificato.

    La chiesa dipinta da G. B. Carlone corri-sponde alla sua presunta fisionomia di epocaromanica, il portale con leoni stilofori61 ven-ne poi sostituito dall’ingresso barocco che siconserva tuttora.

    La leggenda di san Siro e del basilisco -splendidamente raffigurata dall’opera delCarlone - trova, all’interno della decorazio-ne monumentale, un solo altro caso di rap-presentazione, nel presbiterio della chiesaplebana di S. Siro di Nervi, affrescato daCarlo Giuseppe Ratti tra 1788 e 179062.(Fig. 17)

    A livello strutturale l’impostazione del-l’opera è simile all’affresco seicentesco delCarlone: Siro, in vesti vescovili, è posto alcentro della scena, ancora una volta sovra-stato da una schiera di angeli e circondatodalla folla dei genovesi.

    Nonostante l’apparente somiglianza delsoggetto, però, i due affreschi raffigurano,

    probabilmente, due momenti diversi del-l’episodio leggendario.

    Come si è visto, l’opera del Carlone rap-presenta la conclusione della leggenda,quando Siro, rivolgendosi al basilisco già aipiedi del pozzo, gli ordina di gettarsi inmare, indicando con un gesto della mano ladirezione da seguire.

    L’affresco di Nervi, invece, raffigura ilmomento immediatamente precedente: Siroha appena estratto il basilisco dal pozzo, cometestimonia la sua mano destra che impugnaancora la corda e il mostro si trova ancoraappoggiato all’imboccatura del pozzo.

    Probabilmente il Ratti, forse su suggeri-mento della committenza, ha scelto di rap-presentare il momento in cui Siro pronunciala frase «La salvezza vi viene non da me, madalla provvidenza divina»63, come risultaevidente dal fatto che il santo non è rivoltoverso il re dei serpenti, ma verso la folla deicittadini; la sua mano sinistra, inoltre, sem-bra indicare ai genovesi il colpevole dellenumerose morti che decimavano la città pri-ma del suo intervento salvifico.

    A prescindere dalla raffigurazione del-l’evento leggendario che connota gli affreschianalizzati, il basilisco è presente anche in palecinquecentesche, come semplice attributoiconografico di san Siro, spesso in associazio-ne ad un piccolo merlo, simbolo del primomiracolo del santo, compiuto in tenera età64.

    La casistica dell’impostazione strutturaledi queste opere è eterogenea: il santo - sem-pre raffigurato in vesti vescovili - si ritrovatalora seduto in cattedra benedicente, tal-volta in piedi, solo, oppure circondato daaltri Santi; un tratto comune, tuttavia, è iltotale disinteresse verso l’aspetto narrativo,che contraddistingue invece gli affreschivisti in precedenza.

    Una parziale eccezione si riscontra nelPolittico di Struppa, attribuito a Pietro France-

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    sco Sacchi65, nel quale, allo scomparto centra-le con Siro bendicente e il basilisco - in ade-renza alla tradizione - sono accostati otto pic-coli riquadri (oltre una Madonna con Bambi-no), che rappresentano i momenti salientidella vita miracolosa del santo genovese, dal-la sua infanzia al momento della morte, conl’inserzione, quindi, anche della vittoria sul redei serpenti66. (Fig. 18)

    Nelle illustrazioni cinquecentesche, cosìcome negli affreschi cronologicamente piùavanzati, non si trova traccia di alcuna azio-ne violenta di Siro nei confronti del basili-sco, che in effetti, così come affermato dallefonti, si getta spontaneamente in mare,obbedendo alle parole del santo.

    In totale disaccordo con la tradizione siatestuale che iconografica, si colloca, comecaso isolato, il bassorilievo trecentesco delquale si è precedentemente accennato, doveil basilisco viene trafitto dal bastone pastoraledi Siro e schiacciato dai suoi piedi67. (Fig. 19)

    La scelta di un’iconografia di questo tipopuò essere spiegata con la lettura cristiana delbasilisco come emblema diabolico; sant’Ago-stino scriveva «Rex est serpentium basili-scum, sicut diabolus rex est daemoniorum»68,l’accostamento al diavolo è quasi scontatovista la secolare dimensione satanica dei ser-penti, di cui il basilisco è sovrano.

    Il gesto che Siro compie nel calpestare ilmostro - oltre ad aderire al consueto toposiconografico che simboleggia la totale vitto-ria sul nemico - si può collegare alle paroledi un salmo biblico: «Camminerai su aspidie basilischi, schiaccerai leoni e draghi»69:così come profetizzato dalle Sacre Scritture,san Siro, come novello Cristo, calpesta ilbasilisco, simbolo del male e del peccato.

    In ambito specificatamente ligure, inoltre,il re dei serpenti acquista un ulteriore signifi-cato allegorico, come simbolo dell’arianesi-

    mo, in connessione all’attività di Siro comestrenuo combattente delle dottrine eretiche.

    Secondo alcune teorie, il basilisco di Geno-va allegorice non sarebbe stato altro che unseguace di Ario70, il quale «in qualche angoloappiattato col pestilenziale suo fiato e i modiingannevoli dell’eresia ariana il popolo infet-tava71», ma Siro «zelantissimo della pura dot-trina, l’avrà scoperto, confutato, ed astretto afuggirsene per mare nelle parti di levante»72.

    L’episodio del basilisco, dunque, non sareb-be una semplice leggenda, bensì una «locuzio-ne simbolica, che vela un fatto storico»73; ilfatto che anche nelle fonti testuali che narra-no la leggenda il basilisco venisse connotatodall’epiteto di deceptor animarum74 sembradare un’ulteriore conferma alla lettura del-l’evento miracoloso in chiave simbolica.

    Come il basilisco “attosca” l’aria circo-stante con la sua forza venefica, così il pre-dicatore ariano «avvelena le anime conl’eretica parola»75, risultando egualmentedannoso per la salute in questo caso spiritua-le della popolazione genovese.

    Che si voglia interpretare il basiliscocome simbolo del diavolo, o si propenda perconsiderarlo un’allegoria dell’arianesimo,tuttavia, è indubbio che la vittoria di Sirosul re dei serpenti sia un elemento fonda-mentale per la connotazione del santo geno-vese e per la sua immediata riconoscibilità.

    Rispetto alle fonti pagane, si sottolineacome la forza della fede sia sufficiente adaffrontare e sconfiggere il nemico senzabisogno di alcuno stratagemma; attraversola protezione del nome di Cristo, infatti,Siro riesce a cacciare il re dei serpenti, ren-dendolo oltretutto inoffensivo, come testi-moniato dal fatto che - secondo quanto tra-mandato dalle fonti - esso potè essere vistodalla folla dei genovesi, senza che nessunone venisse appestato.76

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    Desidero sentitamente ringraziare Laura Stagno e Lau-ro Magnani, per la loro cortese disponibilità e utilissi-ma collaborazione.

    1 DE BEAUVAIS V., Speculum Quadruplex, Naturale, Doc-trinale, Morale, Historiale, Duaci, Baltazaris Belleri,1624, p. 1474.

    2 NICANDRO DI COLOFONE, Theriaca. Id est De Bestiarumvenenis eorumque remediis(...), Lipsia, 1816.

    3 PLINIO, Naturalis Historia, VIII, 33: «Candida in capitemacula ut quondam diademata insignem».

    4 Cfr. VALERIANO G. P., I ieroglifici overo commentarii del-le occulte significationi de gl’Egittij, et altre nationi, Vene-zia, 1602. Prima edizione in volgare, basata sull’editioprinceps latina (Basilea, 1556).

    5 Per la potenza venefica del basilisco si veda BORNIOT-TO V., “Halitus mortis”: il basilisco come serpente veleno-so, in “Anthropos & Iatria”, 2, XV, maggio-agosto2011, pp. 9-13.

    6 Fiore di virtù, a cura di Gelli A., Firenze, Le Monnier,1856, pp. 37-38. Il testo è un florilegio di contenutomoraleggiante redatto nei primi anni del XIV secolo,da un certo frate Tommaso.

    7 Cfr. ad esempio PLINIO, Nat. Hist., VII. 33: «Necat fru-tices, non contactos modo, verum et adflatos, exurit her-bas, rumpit saxa: talis vis malo est» ; SOLINO, Collectanearerum memorabilium, XXVIII : «Exstinguit herbas, necatarbores, ipsas etiam corrumpit auras, ita ut aera nulla ali-tum impune transvolet, infectum spiritum pestilenti».

    8 Si narra che il cavaliere Murro avesse ucciso un basili-sco trapassandolo con un’asta, ma la terribile azionevenefica del re dei serpenti sopravvisse alla sua morte,per cui l’asta si impregnò di veleno e raggiunse rapida-mente la mano di Murro, il quale morì avvelenato.Secondo la versione di Lucano, invece, il cavaliere riu-scì a sopravvivere troncandosi di netto la mano infet-tata. Cfr. PLINIO, Nat. Hist. VII. 33 e LUCANO, Farsa-lia, IX, 828-833.

    9 La prima edizione dell’Iconologia, priva di immagini, fupubblicata a Roma nel 1593, ad essa fece seguito unanuova edizione illustrata (Roma, 1603), con alcune inci-sioni tratte dai disegni di Cavalier d’Arpino. A questaversione seguirono numerose revisioni ed ampliamenti acura dell’autore, tuttavia - parallelamente a ciò - si svi-luppò un filone alternativo, ma decisivo per la memoriadivulgativa del testo, ad opera del libraio padovano Pie-tro Paolo Tozzi. Ad una sua edizione del 1611, pubblica-ta all’oscuro del Ripa e fatta oggetto di pesanti critiche,seguì la Novissima Iconologia, a cura di Giovanni Zarati-no Castellini, ampliata di trecento immagini e approva-ta dall’autore, ma pubblicata postuma a Padova nel1625. In questa edizione compare, per la prima volta,l’allegoria della “Contagione”. Cfr. BOTTA M., L’”Icono-logia” del Ripa: da testo di consultazione a progetto per unanuova composizione figurativa, in “Studi di storia dellearti. Rivista dell’Istituto di Storia dell’arte dell’Universi-tà di Genova”, 8 (1995/1996), Genova, De Ferrari Edi-tore, 1997, pp. 97-116.

    10 RIPA C., Della novissima Iconologia, Padova, 1625, Pie-tro Paolo Tozzi, tomo I, p. 126.

    11 Cfr. PLINIO, Nat. Hist., XVII. 18: «Juglandium gravis etnoxia, etiam capiti humano, omnibusque juxta satis».

    12 Cfr. nota 10. 13 LUCANO, Farsalia, a cura di Carelli L., in Classici latini,

    Torino, Utet, 1954, IX, vv. 724-726, p. 282. 14 La potenza assassina del suo sguardo viene talora para-

    gonata agli atomi della peste, che si propagano veloce-mente per regioni sconfinate, causando innumerevolimorti. Cfr. BROWNE T., Pseudodoxia epidemica: or enqui-res into very many received tenents and commonly presu-med truths, Londra, 1672 [prima ed. 1646], III. 8, pp.130-134.

    15 Cfr. ROBIN A., Animal lore in English literature, Londra,1932, J. Murray, p. 136.

    16 Isaia, LIX, 5. Il passo, di difficile comprensione, è unammonimento al popolo di Israele per il suo comporta-mento irresponsabile: quando gli uomini agiscono conmalvagità, le loro azioni nuocciono anche a loro stessi.

    17 Per l’origine africana del basilisco si veda ad esempioPLINIO, Nat. Hist., VIII, 33; SOLINO, Collect. RerumMemorab., XXVIII, 50; AMMIANO MARCELLINO, Hist.,XXII, 15. 27.

    18 La prima citazione a riguardo si trova nel De Incarnatio-ne Christi di S. Giovanni Cassiano, che si dimostraassolutamente certo della genesi del basilisco dall’ibis:«Ex ovis volucrum, quas in Aegypto ibis vocant, basi-liscos serpentes gigni indubitabile est». Cfr. CASSIANOG., De Incarnatione Christi contra Nestorium, Parigi,David Nutt, 1876, VII, 5, p. 210.

    19 TEOFILATTO SIMOCATTA, Quaestiones physicae et episto-las, Parigi, J. A. Mercklein, 1835, XIV, p. 105.

    20 «Aligeros Ibis colubros avertit ab oris, tetrior ex ovosed basiliscus adest. Hanc adeò Aegyptus coluit, sibipraesidiumque delegit contra lethifera Aethyopum. Nilest perpetuum, nil omne parte beatum: et venit utilitasconcomitata malo. Si prohibet longe’ quae tristia fataminantur adijcit è proprio non leviora sinu. Vera saluscaelo: hic nullius et integer usus. Istic non cessat ver,viget omne decus». (sic) Cfr. SAMBUCUS J., Emblemataet aliquot nummi antiqui operis (...), Anversa, C. Planti-ni, 1566, p. 18.

    21 Il periodo della canicola, considerato come il momen-to più caldo dell’anno, inizia con il sorgere di Sirio nel-la costellazione del Cane il 25 luglio, concludendosicon il tramonto della medesima stella il 24 agosto.Questo breve periodo, in cui il caldo afoso era forierodi acque malsane, viene considerato da Beda comel’unico adatto alla nascita del basilisco.

    22 Cfr. TEOFILO, De diversis artibus: seu diversarum artiumschedula, Londra, J. Murray, 1847. L’ “Auro hyspanico”è un materiale simile all’oro, realizzato con procedi-menti alchemici. Secondo Teofilo, identificato con ilmonaco benedettino Ruggero di Helmarshausen, i dueprincipali ingredienti sono la cenere del basilisco e ilsangue di un uomo dai capelli rossi, che vengonomescolati con aceto e stesi su foglie di rame; il compo-sto, poi, consuma progressivamente il rame, acquistan-do peso e colore dell’oro.

    23 GALLONI P., Il sacro artefice. Mitologie degli artigianimedievali, Bari, Editori Laterza, 1998, p. 125.

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    24 Il termine “Jenny-Hanivers” deriva dai nomi delle cit-tà dove venivano più spesso prodotti (o esportati) que-sti manufatti: Jenny è Genova in linguaggio marinare-sco, Hanivers è Anversa.

    25 La diffusione di oggetti di questo tipo era sterminata,tanto che si trovano spesso citati anche in testi lettera-ri (si veda ad esempio GOLDONI C., La famiglia dell’an-tiquario, Atto III).

    26 Cfr. ALDROVANDI U., Historiae serpentum et draconum,Bologna, Clemente Ferroni, 1640, p. 364: «Verum ani-madvertendum est, quod impostores saepe saepius exparvis rais exsiccatis feram effigiunt».

    27 TOPSELL E., The historie of Serpents, Londra, WilliamJaggard, 1608, p. 677.

    28 Cfr. BROWNE T., 1672, cit., p. 132. 29 Nel 1419 il monaco fiorentino Cristoforo Buondel-

    monti rinvenne un manoscritto greco nell’isola diAndros, nell’Egeo, identificato come una traduzionedell’antico testo egizio degli Hieroglyphica di Orapollo.Acquistato da Cosimo de’ Medici, il manoscritto fu poipubblicato in greco dal Manuzio (Venezia, 1505) e,successivamente, tradotto in latino e nelle principalilingue volgari europee. Questi testi aprirono la via ad un nuovo interesse ver-so gli studi di egittologia, alla quale si dedicheranno gliintellettuali del XVI e XVII, convinti, a torto, di ave-re trovato la chiave per decrittare i geroglifici.

    30 Cfr. FABRICII P., Delle allusioni, imprese et emblemi del sig.Principio Fabricii da Teramo sopra la vita, opere et attionidi Gregorio XIII Pontefice Massimo, Roma, BartolomeoGrassi, 1588, p. 343.

    31 Colui che non chiude mai gli occhi. 32 Cfr. PLINIO, Nat. Hist., VIII, 33: «Atque huic tali mon-

    stro (...) mustellarum virus exitio est: adeo naturaenihil placuit esse sine pare. Inferciunt has cavernisfacile cognitis soli tabe,. necant illae simul odoremoriunturque et naturae pugna conficitur».

    33 Alcune cronache trecentesche intendono dare ulterio-re credibilità a questa leggenda; ad esempio, secondo leparole di Bernardo Provinciale, l’arcivescovo Alfano,già monaco di Montecassino, riuscì ad uccidere unbasilisco servendosi della donnola e della pianta diruta. Cfr. GALLONI P., 1998, cit., p. 128.

    34 CECCO D’ASCOLI, L’Acerba, a cura di Albertazzi M.,Lavis (Tn), La Finestra Editrice, 2002.

    35 Ad esempio nel Bestiario di Pierre da Beauvais (1245-1268ca.), si parla di un vaso traslucido di cristallo: «Qui cestebeste voldroit tuer, il li covenroit avoir i cler vaisel de cri-stal ou de voire, par coi il peüst veïr la beste parmi la clar-té. Que quant il aroit la teste el voire ou el cristal, que il nepeüst celui aperchoivre qui dedens seroit, et que li regars dela beste arestast al cristal ou al voire, que la beste a tel natu-re, quant ele gete son venin per les ex et s’il areste encon-tre alcune cose, qu’il resorst sor lui ariere; et si l’en covientmorir». Cit. in ZAMBON F., Il bestiario igneo di Giacomo daLentini, in La poesia di Giacomo da Lentini. Scienza e filosofianel XIII secolo in Sicilia e nel Mediterraneo Occidentale, attidel convegno (Barcellona 16-18, 23-24 ottobre 1997), acura di Arquès R., Palermo, Centro di studi filologici e lin-guistici siciliani, 2000, p. 136.

    36 Il testo si basa sulla traduzione latina del Romanzo diAlessandro ellenistico dello Pseudo-Callistene, amplia-ta da nuovi episodi leggendari. La sua redazione origi-naria, ancora priva dell’episodio del basilisco, risalepresumibilmente al 950 d. C; da tale testo vennerotratte, con interpolazioni varie e successive, almeno treredazioni (J1, J2 e J3), soltanto nell’ultima di queste,nota come J3 , si riscontra la leggenda del basilisco. Cfr.WITTKOWER R., Allegoria e migrazione dei simboli, Tori-no, Einaudi, 1987.

    37 Per la consultazione del testo si veda Die Historia depreliis Alexandri Magni. Rezension J3 a cura di SteffensK., Meisenheim, 1975, pp. 152-154.

    38 Cfr. Le guerre di Alessandro, XII, vv. 4961-4984, in Ales-sandro nel Medioevo occidentale, a cura di Liborio M.,Milano, Fondazione Lorenzo Valla - Arnoldo Monda-dori Editore, 1997, pp. 295-297.

    39 «Ait Alexander: quale remedium est contra basili-scum? Cui dixerunt: ponatur speculum elevatum interexercitum et murum, ubi est basiliscus, et cum in spe-culum respexerit, reflexus eius intuitu ad se ipsum reditet sic morietur». Cfr. Gesta Romanorum, CXXXIX, inZAMBON F., 2000, cit., p. 140.

    40 Secondo Zambon (Cfr. ZAMBON F., 2000, cit.) l’originedi questo insegnamento sarebbe da ricercare nel testoorientale del Secretum Secretorum, per secoli ritenutoautografo di Aristotele, ma in realtà di epoca medievale.La tradizione secolare del Secretum si incrocia con unaltro testo falsamente attribuito ad Aristotele, ovvero ilDe lapidibus, di provenienza siriana (VIII secolo), maspesso pubblicato insieme al Secretum, perchè ritenutodello stesso autore (Cfr. STONEMAN R., Alexander theGreat. A life in legend, New Heaven, Yale UniversityPress, 2010, p. 86). Nel De lapidibus si trova un passo incui Alessandro, su consiglio di Aristotele, sconfigge imostruosi serpenti del Caragian facendoli specchiare;nonostante non si citi direttamente il basilisco, è ipotiz-zabile che questa sia la fonte primaria per una successivarielaborazione della leggenda. Cfr. ARECCO D., BOR-NIOTTO V., Segretezza esoterica e simbolismo animale traMedioevo e Rinascimento: il basilisco nel Secretum secreto-rum, in Secretum secretorum. saperi e pratiche all’alba dellascienza sperimentale, atti del convegno (Genova, 30 mag-gio 2011), pp. 16-23. Cfr. RUSKA J., Das Steinbuch desAristoteles, Heildelberg, 1912, p. 195: «Alexander (...)fecit deportare speculum in vallem horum serpentumtaliter quod ipsi serpentes possent videre corpora sua inspeculo. Et statim dum corpora sua in eo cernebantmoriebantur».

    41 La leggenda si trova citata nell’ Epistola de secretis ope-ribus artis et naturae et de nullitate magiae, in Opera hac-tenus inedita, a cura di Brewer J. S., Londra, Longman,Green, Longman and Roberts, 1859, p. 535: «Possentetiam sic figurari corpora, ut species et influentiaevenenosae et infective ducerentur quo vellet homo;nam sic Aristoteles fertur docuisse Alexandrum; quodocumento venenum basilisci, erecti super murumcivitatis contra exercitum, deduxit in ipsam civita-tem»; così come nell’Opus Majus. Cfr. BELLE BURKE R.,The Opus Majus of Roger Bacon, Whitefish (Usa), Kes-

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    singer Publishing, 2002, p. 164: «So Alexander,instructed by Aristotle, as the histories state, by meansof large polished bodies bent back upon a city the poi-sonous species of a basilisk placed on the wall to slaythe army, so that it was destroyed by its own venom».

    42 Tra i numerosi manoscritti della redazione J3 dell’ Histo-ria de preliis che si sono conservati, soltanto uno (ilCodex Augiensis LXIII, della Badische Landesbiblio-thek di Karlsruhe) è illustrato, sebbene la maggior par-te delle illustrazioni sia puramente decorativa. Cfr.ROSS D. J. A., Alexander Historiatus: a guide to MedievalIllustrated Alexander Literature, Londra, The WarburgInsitute, 1963, p. 61.

    43 STAGNO L., “Imago Alexandri” nella grande decorazionegenovese (XVI-XVII secolo), in Biografia dipinta e ritrat-to dal barocco al neoclassicismo, atti del convegno (26-27Ottobre 2007), Monteriggioni (Siena), Editrice Il Lec-cio, 2008, pp. 77-78.

    44 Il romanzo di Alessandro, a cura di Stoneman R., trad.it.Gargiulo T., Milano, Fondazione Lorenzo Valla -Arnoldo Mondadori Editore, 2007.

    45 Cfr. STAGNO L., 2008, cit. 46 Vasco Fernandez, Conte di Lucena, nobile portoghese

    alla corte Borgognona, fu autore del Faits et gestesd’Alexandre, libera traduzione in prosa francese del Derebus gestis Alexandri Magni di Curzio Rufo. L’opera fupubblicata nel 1468 per Carlo I di Borgogna, detto IlTemerario. Cfr. BLONDEAU C., Un conquérant pour qua-tre ducs. Alexandre le Grand à la cour de Bourgogne, Pari-gi, CTHS and Institut national d’histoire de l’art,2009, pp. 40-43.

    47 A questo riguardo si veda ZAMBON F., 2000, cit., pp.139-141.

    48 CAMERARIUS J., Symbola et emblemata tam moralia quamsacra: die handschriftlichen Embleme von 1587, a cura diHarms W., Hess G., Tubingen, Max Niemeyer, 2009, p.234. Il manoscritto del 1587 è conservato presso laStadtbibliothek di Magonza.

    49 Ibidem: «Basiliscus non solum contactu et afflatu, sedvisu quoque animalia reliqua interimit, tamen si in spe-culo se ipsum aliquando forte intueatur, ab eo conspec-tu interimitur. Sic mali et improbi homines aliis qui-dem plurimum nocent, sed iisdem tamen suis artibus setandem conficere solent».

    50 PICINELLI F., Mundus Symbolicus, in emblematum univer-sitate formatus, explicatus et tam sacris, quam profanisEruditionibus ac Sententiis illustratus, Colonia, H.Demen, 1678, p. 480. L’associazione dello specchio delbasilisco alla Vergine Maria, assente nella prima edizio-ne milanese del Mondo Simbolico del 1653, è inserita,per la prima volta, in questa edizione.

    51 Il motto “Speculum sine macula” (specchio immacola-to) è tratto da un versetto del Libro della Sapienza(Sap. 7, 26: «[La Sapienza] è riflesso della luce peren-ne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio eimmagine della sua bontà») , con riferimento anche alCantico dei Cantici (Ct. 4. 7: «Tota pulchra es amicamea, et macula non est in te. »). L’immagine divennemetafora della purezza di Maria e confluì, insieme adaltri, nella raccolta delle Litanie Lauretane, codificata

    da papa Sisto V nel 1587. Cfr. STAGNO L., Modelli ico-nografici per l’Immacolata a Genova nel Cinquecento, inL’Immacolata nei rapporti tra l’Italia e la Spagna, a cura diAnselmi A., Roma, De Luca Editori, 2008, p. 306.

    52 PICINELLI F., 1678, cit., p. 480: «Basiliscum venenum spar-git adeo lethale, ut solo visu enecet hominem: quod sivero speculum occurrenti bestiae objiciatur, mox conci-dente Basilisco, incolumis evadit homo. (...) Mariam Vir-ginem, ceu speculum sine macula, haec imago concernit;quot enim in mundo sunt creaturae, tot sunt nociva ani-malia, quae aspectu suo hominem ad desideria illicitaprovocant, interimuntque: ne igitur inter tot discriminaquidquam detrimenti capias, speculum illud purissimum,Mariam Virginem, objicto, et noxia omnia concident,vel solo eius aspectu enecata» . (sic)

    53 KIRCHMAYER G. C., On the basilisk (1691), in GOL-DSMID E., Un-Natural History, or Myths of AncientScience, Edimburgo, 1886, vol. 1, p. 23.

    54 Ad esempio, si tramanda di un basilisco apparso a Vien-na nel 1212, all’interno di un pozzo presso la casa del for-naio Martin Garhibl; ivi nascostosi, il re dei serpenti por-tava la morte alla cittadinanza a causa del suo odorepestilenziale e del suo sguardo assassino. Il mostro fuquindi sconfitto con un metodo molto semplice: il pozzofu riempito di pietre finché esso non ne rimase schiaccia-to. Cfr. FEDERMANN R., Die königliche Kunst, Vienna,1964, in BUENO SÀNCHEZ G., Ontogenia y filogenia delbasilisco, in “El basilisco. Revista di filosofia, cienciashumanas, teoria de la ciencia y de la cultura”, 1, n. 1,Oviedo, Fundaciòn Gustavo Bueno, 1978, pp. 7-8.

    55 Cfr. BORNIOTTO V., 2011, cit. 56 La leggenda di san Siro e del basilisco è narrata in due

    fonti antiche. La prima, contenuta negli Acta Sancto-rum, viene datata dai Bollandisti al XI secolo, sotto ilvescovato di Oberto (Cfr. De Sancto Syro EpiscopoGenuensi in Liguria, in Acta Sanctorum, Tomo V, Giu-gno, Anversa, 1709, pp. 478-483.); essa sarebbe, secon-do il Ferretto, da antedatare al V secolo, sotto il vesco-vo Pascasio. (Cfr. FERRETTO A., I primordi e lo sviluppodel Cristianesimo in Liguria ed in particolare a Genova,“Atti della Società Ligure di Storia Patria” XXXIX,Genova, 1907, p. 226: «Autore, o per meglio dire, ispi-ratore della predetta leggenda di S. Siro, crediamo siail vescovo Pascasio»). La seconda e più ampia fonte, invece, è la Legenda seuvita Sancti Syri episcopi Ianuensis, scritta da Jacopo daVaragine nel 1293. (Cfr. DA VARAGINE J., Legenda seuvita sancti Syri episcopi Ianuensis, in PROMIS V., Leggen-da e inni di S. Siro Vescovo in Genova, “Atti della Socie-tà Ligure di Storia Patria”, vol. X, fasc. IV, Genova,1874, pp. 363-380).

    57 Cfr. UBERTIS L., Uomini, uomini di fede e Santi a Geno-va, Genova, Grafiche Fassicomo, 1987, p. 27.

    58 Cfr. DA PRATO C., Genova: Chiesa di san Siro. Storia edescrizioni, Genova, Tipografia della Gioventù, 1900, p.255; FERRETTO A., 1907, cit., p. 266.

    59 BOGGERO F., Chiesa di san Siro, Genova, Sagep, 1977, p.16; CASTELNOVI G. V., La prima metà del Seicento: dal-l’Ansaldo a Orazio De Ferrari, in La pittura a Genova e inLiguria, Vol. II, Genova, Sagep, 1998 [prima ed. 1970],

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    p. 103; GAVAZZA E., Lo spazio dipinto. Il grande affrescogenovese nel ‘600, Genova, Sagep, 1989, p. 78.

    60 Descrizione della città di Genova: da un anonimo del 1818,a cura di Poleggi E. e Poleggi F., Genova, Sagep, 1974,p. 134.

    61 Cesare da Prato identificò il leone affrescato dal Carlo-ne come uno dei leoni stilofori ora conservati presso ilMuseo di Sant’Agostino, ma provenienti, per l’ appun-to, dalla chiesa di S. Siro e databili tra XII e XIII seco-lo, quando furono scolpiti da un anonimo artista lom-bardo. (Cfr. DA PRATO C., 1900, cit., pp. 142-143).Secondo Ceschi, nonostante le deformazioni prospetti-che dovute all’interpretazione pittorica, tutti i partico-lari si presentano identici, specialmente il motivodecorativo a rosette nella fascia inferiore della base del-la colonna. (Cfr. CESCHI C., Architettura romanica geno-vese, Milano, Luigi Alfieri Editore, 1954, p. 65).

    62 Cfr. TONCINI CABELLA A., Chiesa di san Siro. Plebana diNervi, Genova, Sagep, 1996, pp. 10-12 e ROSSI L.,scheda su C. G. Ratti in GAVAZZA E., MAGNANI L., Pit-tura e decorazione a Genova e in Liguria nel Settecento,Banca Carige - Fondazione Cassa di Risparmio diGenova e Imperia, Genova, Sagep, 2000, p. 432.

    63 Cfr. PROMIS V., 1874, cit., p. 374: «Salus ista vobis nona me, sed a Dei est bonitate concessa».

    64 Si dice che il giovane Siro avesse un merlo come ani-male da compagnia, il quale un giorno morì. Siro, quin-di, dopo aver pregato Dio, bagnò con la sua saliva ilbecco del merlo, che riprese subito vita. Cfr. MONLEO-NE G., Iacopo da Varagine e la sua Cronaca di Genova dal-le origini al MCCXCVII, in Fonti per la storia d’Italia,Roma, Tipografia del Senato, 1941, p. 265.

    65 Cfr. MAGNANI L., Struppa: Abbazia di san Siro, Genova,Sagep, 1978, p. 10.

    66 Per la descrizione dei singoli riquadri si veda LUXARDOP. F., san Siro Vescovo di Genova, in “La Liguria”, annoII, vol. V, Genova, G. Caorsi, 1862, pp. 137-138.

    67 La lapide presenta l’iscrizione HIC EST PUTEUSILLE QUO BEATISSIMUS SYRUS EPISCOPUSQUONDAM IANUENSIS EXTHRASIT DYRUMSERPENTEM NOMINE BAXILISCUM M.CCCCCLXXX (sic). Escludendo una datazione al1580, del tutto inapproppriata sia per il linguaggio delrilievo, che per lo stile dell’epigrafe, Mario Labò ipotiz-za che la prima M stia per “in memoria” e il 580 si rife-risca all’anno in cui, secondo l’opinione di Jacopo daVaragine (che pare tuttavia non coincidere con lascansione cronologica della vita di san Siro), si sarebbesvolto l’evento miracoloso. Cfr. LABÒ’ M., san Siro (iXII Apostoli), Genova, Buona Stampa, 1943, p. 13. Subase stilistica il bassorilievo viene datato agli ultimidecenni del XIV secolo. (DI FABIO C., comunicazionescritta, 25/1/2011).

    68 S. AGOSTINO, Esposizione sui Salmi, 90, II, 9. 69 Sal. 90. 13. 70 Si veda ad esempio GIUSTINIANI A., Annali della Repub-

    blica di Genova con note del Prof. Cav. G. B. Spotorno,vol. 1, Genova, Canepa, 1854, p. 540 [prima ed. 1537]:«Con zelo grandissimo si oppose agli errori degli Aria-ni e perciò simbolicamente fu detto che avesse tolto dimezzo un basilisco».

    71 LUXARDO P. F., 1862, cit., p. 107. 72 CASALIS G., Dizionario geografico-storico-statistico-com-

    merciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, vol. VII,Torino, G. Maspero Cassone e Marzorati, 1840, p. 635.

    73 Ibidem. 74 Cfr. ACTA SANCTORUM, 1709, cit., p. 481. 75 DA PRATO C., 1900, cit., p. 29. 76 Cfr. PROMIS V., 1874, cit., p. 374: «(...) Servus Dei tra-

    xit serpentem in vase conclusum eduxit et in populodemostravit. Erat autem aspectu terribilis, crista instargalli in capite insignitus. Quem populus videns obstu-puit et, neminem ledere posse considerans, in Deifamulo dominum benedixit».

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    Fig. 1. Il basilisco nell’ Historia serpentum et draconum di Ulisse Aldrovandi (Bologna, 1640).

    Fig. 2. “Contagione” dalla Nuovissima Iconologia di Cesare Ripa (Padova, 1625).

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    Fig. 3. NIL OMNI PARTE SECURUM. Emblema da J. Sambucus, Emblemata et aliquot nummi antiqui operis (...), (Anversa, 1564).

    Fig. 4. Bestiario francese del 1450 (ca). Museo Meermanno, Aia, Olanda, MMW 10 B 25 folio 39v.

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    Fig. 5. Il basilisco predomina sugli altri animali velenosi. Dalla traduzione tedesca della Naturalis Historia di Plinio, a cura di Johann Heiden,

    con illustrazioni di Jost Amman (Francoforte, 1584).

    Fig. 6. Il finto basilisco del museo veronese di Francesco Calceolari, successivamente acquistato da Ludovico Moscardo.

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    Fig. 7. “Basiliscus ex raia effictus prone et supine pictus”. Il basilisco posticcio realizzato dalla razza, secondo la xilografia di Ulisse Aldrovandi (1640).

    Fig. 8. Il basilisco su un piedistallo, dagli Hieroglyphica di G. P. Valeriano (Venezia, 1625).

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    Fig. 9. INCONNIVENTIBUS OCULIS. Emblema da P. Fabricii, Delle allusioni, imprese et emblemi (...) (Roma, 1588).

    Fig. 10. Basilisco dal Bestiarius (Bestiario di Anne Walsh), Inghilterra, XV secolo. Gl. kgl. S. 1633 4º 51r, Kongelige Bibliotek, Copenaghen.

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    Fig. 11. W. Hollar, Il basilisco e la donnola, XVII secolo.

    Fig. 12. Ottavio Semino, Alessandro sconfigge il basilisco, Genova, palazzo Agostino Pallavicino, 1565 ca.

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    Fig. 13. POENA SIBI IMPROBITAS. Emblema da J. Camerarius, Symbola et emblemata tam moralia quam sacra (manoscritto del 1587).

    Fig. 14. IPSE PERIBIT. Emblema da F. Picinelli, Mundus Symbolicus (Colonia, 1678).

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    Fig. 15. G. B. Carlone, Miracolo del basilisco, Genova, chiesa di S. Siro, 1652 ca.

    Fig. 16. G. B. Carlone, Miracolo del basilisco (bozzetto per l’affresco della chiesa di S. Siro), Genova, museo di Palazzo Bianco.

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    Fig. 17. C. G. Ratti, San Siro scaccia il basilisco, Genova Nervi, chiesa plebana di S. Siro, 1788-1790.

    Fig. 18. Pier Francesco Sacchi (attr.) Polittico di San Siro, Genova Struppa, abbazia di S. Siro, 1516.

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    Fig. 19. Lapide memoriale con San Siro che trafigge il basilisco, Genova, via Fossatello, fine XIV sec.

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