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Strumenti musicali tradizionali Schede a cura di Silvia De Marco La collezione comprende i principali strumenti tradizionalmente impiegati in Friuli per accompagnare balli e canti, ma anche riti, cerimonie, liturgie. La maggior parte degli esemplari, di fattura artigianale, proviene dall’area friulana e appartiene ad un’epoca compresa tra il XIX e il XX secolo; fanno eccezione il clarinetto che porta il marchio della ditta cecoslovacca Schöllnast Pressburg; la fisarmonica prodotta a Castelfidardo, centro italiano specializzato e la cetra austriaca con decorazione di rose. Seguono un violino, la cui etichetta ormai sbiadita datata 1727 non permette di risalire al nome del liutaio, la pianola e l’organetto, meccanici, per i quali la mancanza di riferimenti impedisce una collocazione manifatturiera dal punto di vista geografico, anche se si ha notizia di una produzione locale analoga nella zona delle Valli del Torre. Sia l’Ostermann, che scrive alla fine dell’800, che Perusini, la cui testimonianza si riferisce alla metà del ‘900, citano nell’apparato strumentale più in voga in Friuli innanzitutto il liròn (contrabbasso) e l’armoniche (la fisarmonica) e in secondo luogo il clarinetto e il violino. Bruno Rossi, sull’ Agenda Friulana del 1978, afferma che prima del ‘700 la formazione tipica che accompagnava le danze in Friuli, era composta da pivadôrs (suonatori di piva), piferârs (suonatori di piffero), e da tintinadôrs (suonatori di tintine, lo scacciapensieri), poi sostituiti da una formazione comprendente due violini, un clarinetto, più raramente un flauto, e un liròn. Alla fine dell’800, è stata aggiunta la fisarmonica che, per il volume del suono prodotto, ben si adattava ad essere impiegata all’aperto, finendo in parte col soppiantare gli altri strumenti, progressivamente esclusi, ad eccezione del liròn. Le tipologie annoverate dagli studiosi figurano nella raccolta Ciceri ove troviamo una fisarmonica, un clarinetto, un violino, e due contrabbassi. Questi ultimi, nonostante il mediocre stato di conservazione, meritano di essere menzionati soprattutto per il ruolo rivestito nel contesto della musica tradizionale friulana (il Nuovo Pirona definisce il liròn, lo “strumento forse più caratteristico nelle musiche popolari di danza” in Friuli), ma anche per la fattura di questi esemplari, che ne rivela pienamente l’origine e l’uso popolari. Infatti i due contrabbassi riportano i segni dei rimaneggiamenti che i “suonatori” di liròn erano soliti realizzare per adattare i loro strumenti alle esigenze richieste dal repertorio musicale popolare, in primis l’esclusione di una delle quattro corde, con la conseguente sostituzione del cavigliere, come esemplificato nei due pezzi della collezione, da un ingegnoso sistema di viti e rotelle dentellate in luogo dei consueti piroli in legno. Se usualmente la definizione degli strumenti musicali è associata a chi li ha costruiti, tanto che normalmente si parla di violini Stradivari o di pianoforti Steinway; per quelli popolari non è così; spesso privi di etichette, frutto del lavoro di anonimi artigiani, essi tendono a rovesciare questa prospettiva, dando maggior risalto ai “segni” di chi per un certo periodo li ha posseduti, suonandoli e modificandoli o lasciando traccia attraverso l’incisione di spontanee scritte. In questo senso sembra di poter affermare che, a differenza di quanto accade per gli esemplari “colti”, gli strumenti popolari trovino la loro giusta valorizzazione non tanto nella loro specificità storica e musicologica, quanto piuttosto come parte di un tutto culturale, “citazione” del contesto culturale e sociale da cui sono stati tratti. Gli strumenti musicali collezionati dai Ciceri (cui si aggiungono la nutrita serie di raganelle e fischietti) in quanto “popolari” nel senso di “usati” dal e per il “popolo”, rientrano fra gli oggetti rituali e culturali che vanno analizzati come espressione di cultura tradizionale, prima che come semplici “produttori di suono”. Domenico da Pesaro, 1563 Spinetta Cipresso, bosso, noce/ 160x45 cm/ Inv. 597 Strumento a testiera, diffuso tra il XVII e XVII secolo, utilizzato nella produzione di musica domestica sia come solista che d’accompagnamento al canto, ballo e strumenti a fiato e arco. La tavola armonica e i due ponticelli sono realizzate in legno di cipresso; sulla tavola è presente una rosetta traforata. La tastiera è composta da cinquanta tasti in legno di bosso e di noce tinto. Al tardo Settecento risale la decorazione pittorica della cassa: strumenti musicali all’esterno e il mito di Narciso all’interno. La supposizione che la spinetta provenga dal castello di Artegna sembra essere confermata dalla raffigurazione del maniero del paese collinare friulano sullo sfondo del paesaggio agreste. La cassa levatoia e stata restaurata nel 1994 da Domenico Ruma di Udine Il pregevole strumento è stato oggetto di studi ed analisi scientifiche.

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S t rumen t i mus i c a l i t r ad i z i ona l i

Schede a cura di Silvia De Marco

La collezione comprende i principali strumenti tradizionalmente impiegati in Friuli per accompagnare balli e canti, ma anche riti, cerimonie, liturgie. La maggior parte degli esemplari, di fattura artigianale, proviene dall’area friulana e appartiene ad un’epoca compresa tra il XIX e il XX secolo; fanno eccezione il clarinetto che porta il marchio della ditta cecoslovacca Schöllnast Pressburg; la fisarmonica prodotta a Castelfidardo, centro italiano specializzato e la cetra austriaca con decorazione di rose. Seguono un violino, la cui etichetta ormai sbiadita datata 1727 non permette di risalire al nome del liutaio, la pianola e l’organetto, meccanici, per i quali la mancanza di riferimenti impedisce una collocazione manifatturiera dal punto di vista geografico, anche se si ha notizia di una produzione locale analoga nella zona delle Valli del Torre. Sia l’Ostermann, che scrive alla fine dell’800, che Perusini, la cui testimonianza si riferisce alla metà del ‘900, citano nell’apparato strumentale più in voga in Friuli innanzitutto il liròn (contrabbasso) e l’armoniche (la fisarmonica) e in secondo luogo il clarinetto e il violino. Bruno Rossi, sull’ Agenda Friulana del 1978, afferma che prima del ‘700 la formazione tipica che accompagnava le danze in Friuli, era composta da pivadôrs (suonatori di piva), piferârs (suonatori di piffero), e da tintinadôrs (suonatori di tintine, lo scacciapensieri), poi sostituiti da una formazione comprendente due violini, un clarinetto, più raramente un flauto, e un liròn. Alla fine dell’800, è stata aggiunta la fisarmonica che, per il volume del suono prodotto, ben si adattava ad essere impiegata all’aperto, finendo in parte col soppiantare gli altri strumenti, progressivamente esclusi, ad eccezione del liròn. Le tipologie annoverate dagli studiosi figurano nella raccolta Ciceri ove troviamo una fisarmonica, un clarinetto, un violino, e due contrabbassi. Questi ultimi, nonostante il mediocre stato di conservazione, meritano di essere menzionati soprattutto per il ruolo rivestito nel contesto della musica tradizionale friulana (il Nuovo Pirona definisce il liròn, lo “strumento forse più caratteristico nelle musiche popolari di danza” in Friuli), ma anche per la fattura di questi esemplari, che ne rivela pienamente l’origine e l’uso popolari. Infatti i due contrabbassi riportano i segni dei rimaneggiamenti che i “suonatori” di liròn erano soliti realizzare per adattare i loro strumenti alle esigenze richieste dal repertorio musicale popolare, in primis l’esclusione di una delle quattro corde, con la conseguente sostituzione del cavigliere, come esemplificato nei due pezzi della collezione, da un ingegnoso sistema di viti e rotelle dentellate in luogo dei consueti piroli in legno. Se usualmente la definizione degli strumenti musicali è associata a chi li ha costruiti, tanto che normalmente si parla di violini Stradivari o di pianoforti Steinway; per quelli popolari non è così; spesso privi di etichette, frutto del lavoro di anonimi artigiani, essi tendono a rovesciare questa prospettiva, dando maggior risalto ai “segni” di chi per un certo periodo li ha posseduti, suonandoli e modificandoli o lasciando traccia attraverso l’incisione di spontanee scritte. In questo senso sembra di poter affermare che, a differenza di quanto accade per gli esemplari “colti”, gli strumenti popolari trovino la loro giusta valorizzazione non tanto nella loro specificità storica e musicologica, quanto piuttosto come parte di un tutto culturale, “citazione” del contesto culturale e sociale da cui sono stati tratti. Gli strumenti musicali collezionati dai Ciceri (cui si aggiungono la nutrita serie di raganelle e fischietti) in quanto “popolari” nel senso di “usati” dal e per il “popolo”, rientrano fra gli oggetti rituali e culturali che vanno analizzati come espressione di cultura tradizionale, prima che come semplici “produttori di suono”.

Domenico da Pesaro, 1563 Spinetta Cipresso, bosso, noce/ 160x45 cm/ Inv. 597 Strumento a testiera, diffuso tra il XVII e XVII secolo, utilizzato nella produzione di musica domestica sia come solista che d’accompagnamento al canto, ballo e strumenti a fiato e arco. La tavola armonica e i due ponticelli sono realizzate in legno di cipresso; sulla tavola è presente una rosetta traforata. La tastiera è composta da cinquanta tasti in legno di bosso e di noce tinto. Al tardo Settecento risale la decorazione pittorica della cassa: strumenti musicali all’esterno e il mito di Narciso all’interno. La supposizione che la spinetta provenga dal castello di Artegna sembra essere confermata dalla raffigurazione del maniero del paese collinare friulano sullo sfondo del paesaggio agreste. La cassa levatoia e stata restaurata nel 1994 da Domenico Ruma di Udine Il pregevole strumento è stato oggetto di studi ed analisi scientifiche.

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Violino con custodia Sec. XVIII (?)/ Legno/ 61x20,7 cm/ Inv. 1501 Strumento in mediocre stato di conservazione, mutilo della cordiera, ormai completamente staccata, ma su cui sono ancora innestati i tiracantini per le corde di La e di Mi, di uno dei piroli e della mentoniera, della cui originaria presenza rimane però traccia sulla tavola armonica, in corrispondenza della “macchia” chiara in basso a sinistra, dovuta all’assenza della vernice. Si notano diversi segni di usura, come la crepa di cm 9 ca. sulla tavola armonica, le fratture lungo i bordi, di cui una, di cm 1 ca., in corrispondenza del filetto in alto a sinistra, e la scollatura delle fasce in corrispondenza del bottone. I danni dell’umidità sul fondo e la consunzione della vernice riscontrabile in più punti, conferiscono allo strumento un colore non uniforme. Il dorso e le parte superiore delle fasce sono decorati da intagli a fogliame, in corrispondenza dei quali la vernice è completamente assente, tanto da far pensare ad una decorazione posteriore alla verniciatura dello strumento. All’interno, un’etichetta scritta a mano, ormai sbiadita, su cui sembra però di poter leggere una data, 1727. Al violino sono abbinati un archetto, privo dei crini e di dimensioni inferiori alla norma, e una custodia che conserva nell’apposito cassettino interno, la pece per ungere i crini dell’archetto, di marca francese, e, entro un contenitore metallico, una serie di corde di marca SCHLOSSER’S. La custodia in legno ricoperto di cuoio, lacero in più punti, e foderata all’interno in panno rosso, non pare adattarsi alle dimensioni dello strumento.

Organetto meccanico Sec. XIX/ Legno/ 14,5x26,5x20 cm./ Inv. 145 Organetto a funzionamento meccanico, a scatola lignea con coperchio apribile. All’interno della cassa, oltre al mantice e alle canne, un cilindro munito di punte metalliche, ciascuna delle quali, girando una manovella esterna, apre una valvola corrispondente a una determinata canna, producendo il suono. La manovella non si è conservata, mentre le altre parti appaiono in discrete condizioni, nonostante sia riscontrabile una diffusa tarlatura. Gli strumenti musicali meccanici ebbero grande diffusione nel corso del XIX secolo, per essere poi in parte soppiantati dall’invenzione dei sistemi di registrazione del suono, il fonografo prima e il grammofono poi. Cetra Sec. XIX/ Legno/ 49,2x30,7 cm./ Inv. 899

Cetra di tipo salisburghese, dalla caratteristica sagoma panciuta, con curvatura verso l’esterno dal lato opposto alla tastiera, tipologia che si è andata sviluppando a patire dal XVIII secolo nell’Europa centro-settentrionale, diffondendosi anche nelle zone alpine dell’Italia. Le corde, che non si sono conservate ma di cui permangono in alcuni casi le parti iniziali e finali rimaste attaccate alle caviglie metalliche del somiere o alle punte del blocco d’attacco, erano fissate al fondo della cassa e fatte passare attraverso una sorta di ponticello, ora quasi completamente staccato. Sopra la tastiera, incollata alla tavola armonica, correvano 5 corde melodiche, che solitamente venivano intonate LA3- RE3-SOL3-SOL2-DO2, accanto alle quali ne erano posizionate altre di accompagnamento, in numero maggiore alle prime, tese sopra il foro sferico di risonanza: mentre la mano sinistra tastava le corde della melodia, la destra, solitamente con un plettro ad anello infilato nel pollice, le pizzicava, e con l’indice, medio ed anulare, eseguiva l’accompagnamento. Lo strumento, che per essere suonato veniva tenuto sulle ginocchia dell’esecutore o appoggiato su un tavolo (comune infatti è la dicitura cetra da tavolo), conserva sul dorso uno dei tre piedini che permettevano di tenere la cetra sollevata dalla superficie d’appoggio. Nel complesso lo strumento si presenta in discreto stato di conservazione, ma sulla parte inferiore della tavola armonica e sul dorso si rilevino importanti fratture.

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Clarinetto Sec. XIX/ Legno e ottone/ h. 51cm./ Inv. 975 Iscrizioni: SCHÖLNAST.PRESBURG Strumento a 7+2 fori per le dita e quattro chiavi, costruito da segmenti di tre differenti essenze. Perduta l’ancia e sprovvisto di copriancia. Alla sommità e al fondo si ripete una scritta impressa a fuoco sopra la quale si intravede uno stemma ormai illeggibile, sul cui cimiero un fiore. L’iscrizione riporta il marchio SCHÖLNAST.PRESBURG attestato, anche nella versione SCHÖLLNAST.PRESBURG, dal 1810 al 1882, e riferito alla ditta di costruttori di strumenti musicali fondata a Bratislava da Franz Schöllnast (1775-1844), al quale poi succedette il figlio Johann (1810-1882). Dalla stessa iscrizione si apprende che lo strumento è nella tonalità di DO (C), tonalità tipica degli strumenti per banda, e quindi non è da escludersi un utilizzo di questo strumento nel contesto di qualche banda paesana [complesso paesano], dove solitamente ai clarinetti è affidata la parte che in orchestra spetta ai violini. Nel pezzo inferiore, su cui si innesta la campana, una scritta fanciullesca, proprio sotto il rigonfiamento, riporta un nome femminile, “Maria”. Lo strumento appare in buone condizioni, nonostante alcune mutilazioni e fratture. (sdm)

Pianola meccanica Sec. XIX/ Legno e metallo/ 101x113x58 cm/ Inv. 1145 Il piano a cilindro o pianola, nasce alla fine dell’800 e si sviluppa soprattutto ad opera dei suonatori ambulanti che trasportavano questi strumenti di paese in paese su carretti trainati a mano o da cavalli. Dotato di un dispositivo azionato meccanicamente per mezzo di una manovella esterna, permetteva la riproduzione di determinate composizioni, per lo più celebri arie d’opera, mediante rotoli di carta opportunamente forati che, svolgendosi, mettevano in moto tasti e martelletti. Questo esemplare presenta tutte le parti meccaniche ancora funzionanti, ma la manovella esterna non è più adattabile al perno di carica. Lo strumento poggia su gambe in legno, alle cui estremità, delle ruote che ne facilitavano lo spostamento. Lo stato di conservazione appare decisamente buono, eccetto che per una diffusa tarlatura, tuttavia non rilevante.

Cetra con decorazione di rose Sec. XIX/ Legno/ 55x35 cm./ Inv. 1146 Iscrizioni: "SCHUTZ D.R.GM. NEUBER’S – VIOLIN – ZITHER. MARKE 903152 KLIGENTHAL i-sa". Strumento dal profilo mistilineo, con il lato superiore ondulato e restringimenti sui fianchi. La forma sagomata è sottolineata da un bordino che delinea i contorni dello strumento. Le fasce e il dorso sono di colore più scuro rispetto alla tavola armonica, decorata con un disegno floreale applicato in decalcomania. Accanto al foro di risonanza circolare, un intaglio con al centro un cuore, in corrispondenza del quale, sul fondo, il legno è colorato di rosso, pare con cera lacca. Non esiste tastiera; le corde melodiche sono singolarmente attaccate a caviglie di ferro disposte lungo linee oblique rispetto alla fascia delle corde d’accompagnamento, tutte conservate, che corrono sopra il foro di risonanza e sono intervallate da corde di spessore più grosso, con funzione di bordone. Sul dorso, un supporto in ferro permette di tener sollevato lo strumento dal lato del somiere, al quale corrispondono, sul lato opposto, due piedini di dimensioni minori. All’interno della cassa è visibile un’etichetta con il marchio della casa costruttrice: SCHUTZ D.R.GM. NEUBER’S – VIOLIN – ZITHER. MARKE 903152 KLIGENTHAL i-sa. Le uniche notizie possedute su questa ditta provengono proprio dal cartiglio in questione, dal quale si apprende che essa aveva sede in Austria ed era specializzata nella costruzione di violini e cetre. Lo stato conservativo appare buono: si notano solo alcune fratture sul fondo, di non rilevante estensione.

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Ditta Comm. Paolo Soprani&Figli di Castelfidardo Fisarmonica con decorazioni ad intaglio Sec. XIX/ Legno/ 16x27,7x32/ Inv. 1502 Iscrizioni: COMM. PAOLO SOPRANI FIGLI CASTELFIDARDO ITALIA Fisarmonica con tastiera a bottoni, decorata ad intaglio sul lato adiacente alla pulsantiera, con la raffigurazione di una lira e motivi vegetali. Cornici ad intarsio corrono lungo tutti gli angoli. Sulla parte soprastante l’apertura del mantice, una scritta in smalto bianco con il marchio della ditta costruttrice, COMM. PAOLO SOPRANI & FIGLI CASTELFIDARDO ITALIA, la prima azienda fondata in Italia per la produzione in serie di questi strumenti (1864). La scritta è divisa in due parti da una decorazione, sempre in smalto, che ha al centro una lira da cui dipartono tralci vegetali che terminano con inflorescenze colorate, ed è in parte occultata dalla sovrapposizione dei ganci per la chiusura del mantice, due dei quali si sono conservati, uno è stato sostituito da un chiodo, mentre l’ultimo è andato perduto. La fisarmonica è in discreto stato di conservazione; si notano solo un parziale distacco della cornicetta della pulsantiera e l’assenza di un pulsante [tasto] nella sezione degli accompagnamenti. Lamina a forma di violino Sec. XIX (?)/ Ferro/ 44x29,7 cm./ Inv. 1674 Stampo in ferro per violino ad uso di liutai. Il metallo è completamente intaccato dalla ruggine. (sdm) Ditta Giovanni Racca di Bologna, sec. XIX Premiato stabilimento musicale Luigi Stoppa di Milano, sec. XIX

Libri di opere musicali per pianola meccanica Carta/31x16,2x7 cm. ca./Inv. 1804 Libri allegati alla pianola meccanica (Inv. 1145), costituiti dai cartoni forati destinati ad essere inseriti nello strumento, per produrre la musica. Tra i titoli riconoscibili, Lucia di Lamermoor , Tosca, I Lombardi, Trovatore, Boheme, Parrucche Bianche, Faust, Sonnambula, Che bel musin, Charki Tèlat Ecc. (Musica orientale), Ideale, Promessi Sposi, Mefistofele, Preludio e Barcarola, Risurrezione di Lazzaro, Valzer Les Matineurs. Riscontrabili segni di umidità e lesioni. (sdm)

Contrabbasso (liron) in legno chiaro Sec. XX/ Legno/ 171x60x17 cm./ Inv. 1690 Strumento di fattura popolaresca, privo dell’etichetta interna con l’indicazione del nome del liutaio e dell’anno di esecuzione, e realizzato mediante assi inchiodate l’una accanto all’altra escludendo l’utilizzo delle usuali colle e resine, come si può notare dall’analisi del dorso privo di bombatura. Il poderoso cavigliere in ferro si compone di un ingegnoso sistema di viti e rotelle dentellate che sostituiscono i consueti piroli in legno. Le corde, in budello, sono solo tre, caratteristica che ad esempio ritroviamo anche nei piccoli contrabbassi in uso a Resia, che accompagnano il violino, fungendo da sostegno armonico della melodia, nelle tipiche composizioni della Valle. Caratteristici i due fori che compaiono in corrispondenza dell’attaccatura del manico alla cassa, attraverso i quali è fatto passare uno spago che facilita il trasporto dello strumento. I fori che invece compaiono accanto alle due f , asimmetriche, della tavola armonica, hanno probabilmente la funzione di amplificare la risonanza dello strumento. La superficie della tavola armonica sembra essere stata dipinta con del colore, che adesso in più parti va scrostandosi, forse per conferire allo strumento il caratteristico colore rossiccio solitamente ottenuto con la verniciatura. Lo strumento presenta numerose lesioni e fratture sulla superficie lignea, che si fanno

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particolarmente gravi nella parte sinistra della tavola armonica, che si sta staccando dalle fasce, in corrispondenza del ricciolo terminale della f.

Contrabbasso-liron in legno scuro Sec. XX/ Legno/ 181x66x16 cm./ Inv. 1691 Contrabbasso dalla sagoma tozza, con spalle spioventi e restringimento minimo sui fianchi. Rispetto al precedente (Inv. 1690), presenta un tipo di legno più scuro, mentre ritroviamo anche in questo caso tre sole corde, di cui una, la più grave, è spezzata a metà. Il manico, particolarmente sporgente, tiene molto sollevata la tastiera dalla tavola armonica. Particolare il prolungamento del riccio che sovrasta il somiere, che ricorda nella forma la testa di un ariete. Dei tasselli di legno dalle forme arrotondate sono applicati agli spigoli in corrispondenza delle giunture delle fasce. Uno spago allacciato attorno al manico facilitava il trasporto dello strumento. Sono riscontrabili alcune fratture sulla parte frontale e la scomparsa della rifinitura in corrispondenza dello spigolo laterale destro.

Ragane l l e Schede a cura di Dania Nobile

Scaràzzule, Scràzzule, Cràzzule e le varianti Batècul, Scarazzolòn, Scrazzolò, sono solo alcuni dei termini utilizzati dalla lingua friulana per definire le raganelle, ossia dei particolari strumenti in legno legati ai riti religiosi della Settimana Santa. Quello che veniva prodotto da questi apparecchi era un assordante, e a volte irritante, frastuono che suppliva alla mancanza delle campane che venivano fatte tacere dopo il suono del Gloria del Giovedì Santo. Nel tempo della morte di Cristo tutto era immerso nel silenzio e le campane, simbolo di festa per eccellenza, non potevano essere slegate se non nel momento della Resurrezione. Lo schiamazzo prodotto dalle raganelle fungeva da richiamo per le varie cerimonie religiose, accompagnava la processione del Venerdì Santo, ma soprattutto ricopriva l’ufficio rituale di ricordare il frastuono che scosse la terra nell’istante in cui Gesù morì sulla croce. Al di là dell’indubbio valore religioso e apotropaico questi oggetti rappresentavano anche degli strumenti che davano prestigio, o divertimento nel caso dei bambini, a chi li suonava. Adoperati esclusivamente dagli uomini e solo durante la Settimana Santa le raganelle potevano assumere diverse grandezze e forme a seconda della loro funzione. Issato sulla cella campanaria (feràl dal tor) il scarazzolòn grazie alla sua ampia cassa di risonanza era in grado di produrre un suono assordante, che ben rispondeva all’esigenza di trasmettere da quel luogo l’avviso a tutto il paese. In alcune località, però, con lo stesso termine si indica una grande raganella, a volte a carriola (chiamata in questo caso sgrisul ), che veniva portata per le vie della campagna al fine di raggiungere tutte le famiglie. Con scarazzolòn si individuano anche quelle raganelle che venivano azionate poggiandole a terra, oppure quelle a spalla che erano puntate sul fianco del suonatore. Gli esemplari più piccoli sono chiamati scaràzzulis e sono utilizzati imprimendo un moto rotatorio al corpo su cui è incastonata una linguella e un cilindro a dentelli. L’attrito tra queste due parti produce il caratteristico frastuono. Questo naturalmente varia a seconda della grandezza della raganella, del numero delle lamelle e dei svariati congegni inseriti per accrescere il rumore. Particolare quanto ambito strumento di percussione era il cosiddetto batècul, una tabella su cui erano fissati dei martelletti che battevano su un piano mosso dalle mani del “musicista”. La collezione Ciceri raccoglie dunque alcune tra le più comuni raganelle provenienti da certe località friulane e che condividono con gli analoghi esemplari nazionali forme e soprattutto funzioni.

Raganelle (scaràzzulis) Sec. XIX – XX/ Legno trattato/ 29,5x21x4,5 cm.(Inv. 689); 24x21,5x4 cm.(Inv. 1610)/ Inv. 689; 1610 Coppia di raganelle a lamella singola e corpo a parallelepipedo, con essenziale impugnatura costituita da un bastone non lavorato. L’aspetto conservativo e l’essenza lignea utilizzata indicano una manifattura artigianale della fine del XIX secolo. Sulla superficie della scaràzzula (Inv. 689) vi è la scritta “Topolò” che consente di riconoscere quel paese quale luogo di origine dell’oggetto. Nell’altro caso, invece, si

trova un cartiglio con l’iscrizione “COSTNE / ((TARLIZA))” elemento che presuppone una provenienza da qualche località di confine.

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Raganelle (scarazzolòns) Sec. XIX – XX/ Legno trattato/ 31x68x19,5 cm. (Inv. 721); 19x37x11 cm. (Inv. 722); 21x50,2x24,5 cm.(Inv. 723); 22x39,5x15,5 cm. (Inv. 724)/ Inv. 721; 722; 723; 724 Bibliografia: CICERI 1980, p. 110. Serie di quattro grandi raganelle accomunate dalla medesima forma del corpo. Particolarmente interessante appare l’esemplare di scarazzolòns a doppia lamella (Inv. 721) risalente al 1832 ,come testimonia l’incisione “18 ZBM 32 / 19K GO1”. Questa non è la sola a caratterizzare l’oggetto: sulla lamella si legge “19 – 02”, da risolvere in 1902, mentre sul retro è inciso “19 / K I” accanto ad altri segni non decifrabili. Sulla parte posteriore si trova manoscritto “Collina”, un elemento che indica senza dubbio la provenienza del manufatto che va dunque classificato col nome di ràccola, termine con cui in quella zona sono chiamate le raganelle. Proveniente da Tercimonte è invece il pezzo (Inv. 722) che condivide con l’esemplare precedente la forma, ma si differenzia da questo nella fattura, molto più artigianale, e nel numero di linguette sostituite da un’unica larga lamella. La provenienza è chiarita da un’iscrizione che compare sulla superficie e che riporta appunto la scritta “Tercimonte”. Leggermente differenti sono invece le restanti raganelle (Inv. 723 – 724) che appaiono quale connubio tra una scaràzzule e un batècul in quanto da queste tipologie riprendono le parti caratterizzanti che vengono unite per creare un congegno che produca un maggior frastuono. L’esemplare (Inv. 723) fornisce gli elementi utili per comprendere l’originale forma della raganella (Inv. 724) proveniente da Tarcento, come indica l’iscrizione, che doveva anch’essa rappresentare una sorta di sintesi tra scaràzzule e batècul. Lo stato di conservazione varia da un grado buono (Inv. 721 – 722) ad uno mediocre (Inv. 723 – 724) reso tale dal trascorrere del tempo oppure dal materiale utilizzato, non sempre di qualità. Anche la datazione varia dagli esemplari più antichi (Inv. 721 – 724) sino a quelli senza dubbio più recenti (Inv. 723). Raganelle (scaràzzulis) Sec. XX/ Legno trattato/ 12x13x3 cm. (Inv. 305); 11,5x9x2,5 cm.(Inv. 306)/ Inv. 305; 306 Bibliografia: NICOLOSO CICERI 1992, p. 756. Coppia di semplici raganelle a lamella singola battente su un ingranaggio incastonato in un parallelepipedo (inv. 305), oppure entro una forma arrotondata (inv. 306). La maniglia tornita è simile in entrambi i casi, mentre il corpo delle scaràzzulis si differenzia per la presenza di un semplice decoro a strisce rosse posto su uno dei due esemplari (inv. 306). L’aspetto conservativo è nel complesso discreto. La manifattura è senza dubbio artigianale anche se nel caso della raganella (inv. 305) si può riscontrare una maggiore competenza tecnica, che sembra invece mancare all’artefice dell’altro manufatto (inv. 306).

Raganelle (scaràzzulis)

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Seconda metà sec. XX/ Legno neutro/ 16,7x15x3,2 cm./ Inv. 690 Seconda metà sec. XX/ Legno trattato/ 12,6x15,5x3,5 cm./ Inv. 691 Bibliografia: A. Nicoloso Ciceri 1992, p. 756. (inv. 691) Questa coppia di raganelle è caratterizzata da un aspetto perfettamente squadrato del corpo. Esso è delineato da una forma piramidale più accentuata in un caso (Inv. 690) rispetto all’altro (Inv. 691). Il congegno musicale è simile ad altri esemplari della collezione Ciceri (Inv. 305 – 306 – 689 – 1610) e come questi è costituito da un’unica lamella. Lo stato di conservazione è discreto considerando che il legno utilizzato per intagliare la raganella (Inv. 690) non è stato trattato con alcuna vernice o prodotto simile. Tempella (batècul) Sec. XX/ Legno neutro/ 25x21x9,5 cm./ Inv. 694 Bibliografia: CICERI 1980, p. 107; NICOLOSO CICERI 1992, p. 762. Questo esemplare di batècul è composto da tre martelletti mobili fissati a un’asse centrale e battenti su un piano dalla singolare forma a otto. L’impugnatura è costituita da un semplice bastone privo di alcun decoro, come è usuale per questo genere di manufatti. Sulla superficie è apposta una scritta fanciullesca di difficile comprensione. Lo stato di conservazione è discreto considerata l’assenza di qualsiasi tipo di trattamento del legno che appare dunque neutro e, in alcune parti, addirittura ancora provvisto di corteccia. Manifattura locale, XX sec. Raganelle a tracolla (scarazzolòns) Legno trattato, ferro/ 15x29,5x28 cm. (Inv. 725); 12x27x15 cm. (Inv. 726)/ Inv. 725; 726 Coppia di scarazzolòns formati da un corpo a parallelepipedo che funge da cassa di risonanza ed entro cui sono poste le lamelle e i martelli messi in moto dal rullo dentellato. Quest’ultimo è a sua volta azionato dalla maniglia che in entrambi i casi è in ferro. Le raganelle proposte riportano il luogo di provenienza, Biliris (Billerio) in un caso (Inv. 725) e Frisanco nell’altro (Inv. 726). Per quest’ultimo oggetto può dunque essere utilizzato il termine gràzala, nome col quale vengono chiamate le raganelle in quella località. La cinghia che serviva per sostenere a spalla i scarazzolòns è costituita da una fettuccia in tessuto grezzo (Inv.725), oppure da una corda di spago (Inv. 726). Nello stato di conservazione non si possono non rilevare i segni propri dell’usura, ma tuttavia l’aspetto complessivo dei manufatti è buono. Raganelle (scaràzzulis) Sec. XX/ Legno trattato/ 34x6,8 cm./ Inv. 688 Sec. XX/ Legno dipinto a smalto/ 16x17x10 cm./ Inv. 907 Questi esemplari della collezione Ciceri sono tra i modelli maggiormente usati per la costruzione di caratteristiche raganelle, che venivano adoperate poggiandole sul fianco della persona che ne azionava la manovella. Un caso particolare è rappresentato dal burlòn (Inv. 688), una raganella a ruota sulla cui superficie sono intagliati otto fori a petalo, quattro per lato, che permettono di canalizzare il suono e farlo fuoriuscire all’esterno. Al centro è posta la leva girando la quale si mette in azione una serie di ingranaggi che producono il frastuono caratteristico di questi oggetti. Analoga per uso, ma non per forma è invece la raganella (Inv. 907) che si distingue dalle altre della collezione per i colori sgargianti coi quali è stata dipinta. Anche in questo caso vi è una sorta di unione tra scaràzzule e batècul, ma ciò che

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negli altri esemplari appare quale ingenua e artigianale sperimentazione, qui si mostra come una studiata e consapevole elaborazione di un prodotto quasi industriale, anche se realizzato sempre manualmente. Nell’esecuzione di questo oggetto è infatti venuta meno la spontaneità sacrificata a favore di un elaborato che si potrebbe definire meccanizzato, in quanto in esso compaiono anche delle inusuali leve che fungono da silenziatore. La scritta che compare sul retro,”MOD. DEP:” potrebbe essere risolta in “modello depositato”. Se così fosse, l’oggetto in questione sarebbe un brevetto per un’ingegnosa e moderna raganella. Raganella (scarazzolòn) Sec. XX/ Legno trattato, ferro/ 92x37x19,5 cm./ Inv. 1608 Particolare tipo di raganella a banco caratterizzata da una larga linguetta sopra cui è fissata una maniglia in ferro. Quest’ultima è a sua volta collegata a una molla la cui estremità è fermata a una delle assi inferiori dei piedi. La manovella, atta ad azionare il cilindro dentellato, è composta da un’anima in ferro su cui è applicata l’impugnatura lignea. Alcune piccole lesioni sui piedistalli e segni di ruggine nelle parti ferrose sono gli unici elementi che deturpano l’oggetto il cui stato conservativo può essere considerato buono. Raganella a carriola (sgrisul) Sec. XX/ Legno trattato/ 98,5x44x5 cm./ Inv. 1614 Questa particolare tipologia di raganella multilamellare è costruita seguendo la foggia di una carriola e come tale è anche condotta per azionarne le lamelle che battono sul rullo dentellato. Sulla superficie sono apposte alcune figurine fanciullesche con vari disegni. Lo stato conservativo è buono fatta eccezione per le ruote su cui sono visibili i segni dell’usura. (dn)

F i s ch i e t t i Schede a cura di Silvia De Marco

I fischietti possono essere considerati forme elementari di flauto, rispetto al quale sono generalmente più corti e privi di fori digitali per la modulazione del suono. Sono diffusi in tutti i continenti, ed in Europa sono presenti fin dal Paleolitico superiore come strumenti di richiamo ed esche per animali. I materiali con cui possono essere realizzati sono i più disparati: osso, legno, argilla, metallo, plastica. A quelli in terracotta era riconosciuto un importante valore simbolico, essendo impiegati negli antichi riti primaverili di fecondazione e rinnovamento della terra: il suono emesso, che ricorda il canto dell’usignolo o del cuculo, aveva la funzione di propiziare il ritorno di questi uccelli, e con loro, quello della fertile stagione primaverile. Questa funzione ha influenzato anche la forma di questi strumenti: ben presto, infatti, la primitiva forma ovale (flauto globulare), fu sostituita da figure di animali, di uccelli soprattutto. Una volta persa la sua funzione “rituale”, il fischietto ha comunque conservato una funzione ludica e di oggetto portafortuna, diventando un tipico regalo infantile acquistato sulle bancarelle in occasione di fiere o feste particolari. Dell’uso del fischietto in Friuli riferiscono sia l’Ostermann che li descrive come strumenti suonati dai fanciulli, che il Perusini (PERUSINI G., cit., p. 258), che testimonia come alla metà del secolo scorso l’usanza di vendere i siviloz di terracotta nelle sagre si fosse già persa. I fischietti presenti nella collezione Ciceri sono 13, caratterizzati da un’evidente uniformità iconografica e stilistica, anche se una distinzione può essere compiuta in riferimento alle dimensioni degli oggetti; sono tutti a cavità globulare, ad eccezione dell’inv. 478, l’unico esempio di fischietto vascolare ad acqua, e degli esemplari Inv. 1034 e 1039, che invece sono a cavità tubolare. I soggetti rappresentati sono quelli tipici della produzione italiana: volatili innanzitutto, ma anche cavalli, asini e strumenti musicali. Mancano invece esempi di fischietti antropomorfi. Le forme alquanto stilizzate, in alcuni casi non permettono un’identificazione certa dei soggetti, come nei casi dei fischietti Inv. 410, 1033, 1036 e 1041. I colori più ricorrenti sono il verde, il rosso, il giallo, mentre nell’esemplare Inv. 1041, la terracotta è lasciata al naturale. Le decorazioni, quando presenti, sono assai semplici: spicca in questo senso l’esemplare Inv. 412, arricchito da ali in terracotta minuziosamente lavorate, ed applicate al corpo del volatile, a cui fa pendant una sorta di “copricapo” che campeggia sulla testa dell’animale.

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Fischietto di forma vagamente zoomorfa, color verde Sec. XIX/ Terracotta dipinta/ 4,5x6,4cm./ Inv. 1033 Fischietto che ricorda, nelle forme, la figura di un volatile in posizione eretta, modellato piuttosto sommariamente, con il corpo molto arrotondato e privo degli arti e della testa. Il dispositivo sonoro è a cavità globulare con foro d’insufflazione collocato alla sommità del collo del volatile e foro digitale per la modulazione del suono praticato in corrispondenza del petto. La finestra si apre direttamente sulla parete del globo, all’altezza del collo dell’animale. Nel repertorio iconografico dei fischietti di terracotta, l’immagine di gran lunga più diffusa, in tutta l’area italiana, è sicuramente quella dell’uccello, al quale era legato un significato propiziatorio e benaugurante connesso alla primavera e ai riti di fecondazione e rinnovamento della terra: imitare il canto dell’usignolo o del cuculo durante i riti propiziatori primaverili significava propiziare il loro ritorno e conseguentemente quello della fertile stagione primaverile. Proprio CUCO, CUCÙ o CUCCÙ sono le denominazioni più largamente usate in Italia per definire i fischietti bi-tonali, ovvero i fischietti globulari dotati di un foro digitale che permette di modulare il suono ed imitare il verso del cuculo. Il fischietto è colorato di verde, ma cadute di colore si notano soprattutto in corrispondenza del foro di insufflazione.

Fischietto di color verde a forma di flauto Sec. XIX/ Terracotta dipinta/ 10 cm. lungh./ Inv. 1034 Fischietto dalla struttura tubolare con foro d’insufflazione collocato alla sommità del tubo [della canna], finestra aperta anteriormente, e due fori digitali per variare l’altezza del suono. I fischietti possono essere considerati la forma più elementare di flauto, rispetto al quale sono generalmente più corti e spesso privi di fori digitali. Allo stesso modo, più che veri e propri strumenti musicali, i fischietti possono essere definiti oggetti sonori riconducibili a quella categoria di oggetti produttori di strepito utilizzati durante i cerimoniali di allontanamento del maligno, dove il caos rappresenta un momento necessario per il passaggio ad un nuovo ordine. Questo esemplare è colorato di verde, ma il colore è caduto nella zona dell’imboccatura. Fischietto a forma di cavallo Sec. XIX/ Terracotta dipinta/ 8,5x8,5 cm./ Inv. 1035 Fischietto di forma equina, con dispositivo sonoro tubolare applicato alla base e privo di fori digitali. La terracotta è dipinta con un leggero strato di colore verde, mentre pois di diverse dimensioni, di un verde più chiaro, compaiono sul dorso, ai lati e in corrispondenza delle orecchie del cavallo. Il colore è del tutto assente sull’imboccatura a becco. Quello dei cavallini è un soggetto tipico del repertorio iconografico veneto, che sembra richiamare la giostra dei cavalli, tipico divertimento popolare nelle fiere paesane. Nonostante alcune cadute di colore, il fischietto si presenta in ottime condizioni. Fischietto a forma di( volatile) di color rosso (coppia) Sec XIX/ Terracotta dipinta/ 5,5x4,2 cm ca./ Inv. 1036; 1036b Coppia di fischietti di forma zoomorfa, non facilmente identificabile: il corpo, modellato a tutto tondo, sembra rimandare alla figura di un volatile, mentre il muso pare avvicinarsi a quello degli esemplari in forma equina. Alla sommità del capo, una sporgenza, particolarmente visibile nell’esemplare corrispondente all’Inv. 1036. Il dispositivo sonoro è a cavità globulare con il canale di insufflazione ottenuto nella coda e fori digitali aperti in corrispondenza del petto dell’animale. I due fischietti sono tinti di rosso, colore scaramantico per eccellenza, caratteristica che rimanderebbe alla funzione apotropaica riconosciuta

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a questi oggetti. Il colore è assente in corrispondenza del beccuccio per l’insufflazione. Fischietto a forma di oca Sec. XIX/ Terracotta dipinta/ 6,5x4,8cm./ Inv. 1037 Fischietto a forma di oca, di cui sono riconoscibili il becco appuntito e il lungo collo modellato con i polpastrelli delle dita in modo da ottenere una lieve increspatura del profilo. Il dispositivo sonoro è a cavità globulare, con foro digitale al centro del petto del volatile, e canale di insufflazione ricavato nella coda. Sviluppo tutto italiano dei fischietti globulari a forma di piccola oca, particolarmente diffusi nell’Italia settentrionale del XIX secolo, sono le ocarine, che derivano il loro nome proprio dalla forma di testa e becco d’oca, strumenti di uso popolare, inventati nel 1867 a Budrio (Emilia Romagna), da G. Donati. Il fischietto è colorato con un bianco ocra e presenta diffuse impurità di colore verde. Fischietto a forma di asino color verde scuro Sec. XIX/ Terracotta dipinta/ 10x5cm./Inv. 1038 Fischietto a forma di asino, avvicinabile all’esemplare corrispondente all’Inv. 410, di cui sembra rappresentare una versione di dimensioni ridotte. Il dispositivo sonoro è a struttura globulare con due fori digitali posizionati ai lati del petto dell’animale e con canale di insufflazione collocato sul retro della figura. Il corpo, modellato piuttosto sommariamente, non poggia su zampe, sostituite da una sorta di piedistallo circolare. L’esemplare è tinto in una tonalità scura di verde, mentre la parte posteriore, in corrispondenza del canale di insufflazione, è lasciata al naturale. Fischietto a forma di tuba Sec. XIX/ Terracotta dipinta/ 8,5cm. lungh./ Inv. 1039 Fischietto a forma di tuba, con il dispositivo sonoro tubolare applicato come bocchino. L’esemplare, in buono stato di conservazione, non è colorato, ma la terracotta è resa lucida da una vernice trasparente, mentre dei pois bianchi decorano l’intera superficie. Alcune impurità in gesso sono riscontrabili nella parte interna del padiglione della tuba. Fischietto color marrone a forma di oca Sec. XIX/ Terracotta dipinta/ cm 6,5x5/ Inv. 1040 Fischietto a forma di oca, con dispositivo sonoro a struttura globulare, un foro digitale per la modulazione del suono aperto sul petto del volatile, e beccuccio per l’insufflazione ricavato nella coda dell’animale. La figura è colorata di marrone, mentre le ali sono individuate da due marcati segni neri. Fischietto a forma zoomorfa non identificabile Sec. XIX/ Terracotta dipinta/ 5x4 cm./ Inv. 1041 Fischietto che ripropone i medesimi problemi di identificazione della coppia di fischietti Inv. 1036/1036b; anche in questo caso, il corpo, modellato a tutto tondo, sembra evocare la figura di un volatile, mentre il muso pare adattarsi meglio ad una figura equina. In quest’esemplare, però, i due segni di colore rosso scuro che compaiono sul dorso della figura, potrebbero accennare ad un paio di ali. Altre “macchie” dello stesso colore decorano la terracotta, lasciata al naturale, in corrispondenza della testa, del becco e sul petto dell’animale.

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Fischietto di forma zoomorfa Sec. XX/ Terracotta dipinta/ h 10cm./ Inv. 410 Fischietto di forma zoomorfa, che sembra evocare la figura di un asino, di cui si riconoscono il muso e le orecchie, mentre il corpo è modellato sommariamente, a tutto tondo, ed è privo di zampe, poggiando invece su una sorta di piedistallo circolare e rialzato. Il dispositivo sonoro è a struttura globulare con due fori digitali posizionati ai lati del petto dell’animale e con canale di insufflazione collocato sul retro della figura. Il fischietto è colorato di verde, vivacizzato da “pennellate” di colore rosso scuro. Il colore è completamente caduto in corrispondenza del canale di insufflazione. La testa, staccata dal collo, è stata rincollata. Fischietto di forma equina Sec. XX/ Terracotta dipinta/ 7x10cm ca/ Inv. 411 Fischietto in terracotta con dispositivo sonoro tubolare del tutto autonomo dalla figura equina a cui è applicato: la figura, quindi, da un punto di vista organologico non ha alcuna rilevanza sul suono. Non vi sono fori digitali per la modulazione sonora. L’esemplare è colorato di verde ed è mutilo dell’orecchia destra. Fischietto in forma di volatile Sec. XX/ Terracotta dipinta/ 8x7 cm. ca./ Inv. 412 Fischietto in forma di volatile, con dispositivo sonoro a cavità globulare, canale di insufflazione ricavato nella coda dell’animale e due fori digitali ai lati del petto. Il corpo del volatile è tinto di giallo con striature verdi sulla coda e sulla parte anteriore del petto. Due ali, riccamente intagliate, di colore marroncino, sono applicate al dorso dell’animale, mentre un tondino dello stesso colore campeggia sulla testa del volatile. Una vernice trasparente rende la superficie lucida. La figura poggia su una sorta di piedistallo, circolare e rialzato. La testa, staccata dal corpo all’altezza della base del collo, è stata rincollata. Fischietto a forma di brocca Sec. XX/ Terracotta dipinta/ h 7,8 x ø brocca 5,8 cm./ Inv. 478 Varietà di fischietto a fessura interna ad acqua, costituito da un corpo vascolare in cui penetra il tubo del dispositivo sonoro con l’estremità inferiore aperta. Riempiendo la brocca d’acqua e soffiando nel beccuccio, l’aria viene spinta all’interno del recipiente generando una sorta di gorgoglio. Il fischietto è colorato con un marroncino brillante, mentre la parte in cui si innesta il tubo di insufflazione è lasciata al naturale.