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STRUMENTI 72 NUOVO TESTAMENTO

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S T R U M E N T I

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NUovo TESTaMENTo

Collana Strumenti - Commentari - Nuovo Testamento

10. Fred B. CraddoCk, Luca12. Charles Cousar, Galati13. William H. Willimon, Atti degli apostoli17. Lamar Williamson Jr, Marco20. Thomas G. long, Ebrei26. Douglas R.a. Hare, Matteo38. Gerard sloyan, Giovanni 43. M.E. Boring, Apocalisse47. D. moody smitH, Le lettere di Giovanni48. E. Best, II Corinzi62. Beverly roBerts gaventa, I e II Tessalonicesi63. Richard B. Hays, I Corinzi64. Ralph P. martin, Efesini, Colossesi, Filemone66. Paul J. aCHtemeier, Romani67. Fred B. CraddoCk, Filippesi69. Pheme Perkins, I e II Pietro, Giacomo e Giuda70. Thomas C. oden, I e II Timoteo, Tito

Jean Zumstein

Il Vangelo secondo gIoVannI

volume 1(1,1 - 12,50)

Claudiana - Torinowww.claudiana.it - [email protected]

Titolo originale: Das Johannesevangelium 2016, vandenhoeck & Ruprecht GmbH & Co. KG, Theaterstrae

13, 37073 Gttingen vandenhoeck & Ruprecht LLC, Bristol, CT, U.S.a. www.v-r.de

Per la traduzione italiana: Claudiana srl, 2017 via San Pio v 15 - 10125 Torino Tel. 011.668.98.04 [email protected] www.claudiana.it Tutti i diritti riservati - Printed in ItalyRistampe:

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Traduzione: Riccardo LariniCopertina: vanessa CuccoStampa: Stampatre, Torino

Jean Zumstein professore emerito di Teologia del Nuovo Testamento, Esegesi ed

Ermeneutica presso lUniversit di Zurigo.

Questo volume stato pubblicato con il contributo dell8 della Chiesa evangelica valdese (Unione delle chiese valdesi e metodiste) cui va il nostro ringraziamento.

Scheda bibliografica CIP

Zumstein, JeanIl vangelo secondo Giovanni / Jean ZumsteinTorino : Claudiana, 20172 volumi ; 24 cmvol. 1: (1,1 - 12,50) 568 p. ; 24 cm. - (Strumenti ; 72)ISBN 978-88-6898-070-2

1. Bibbia. Nuovo Testamento. vangelo Secondo Giovanni - Commenti226.507 (ed. 22) - Nuovo Testamento. vangelo di Giovanni. Commenti

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Sommario dellopera

Introduzione al quarto vangelo 27

la rivelazione della gloria di cristo al mondo giovanni 1 - 12 61

1. Il prologo (Giovanni 1,1-18) 632. Lintroduzione del vangelo (Giovanni 1,19-51) 933. La presentazione del Ges giovanneo (Giovanni 2,1-21) 1254. Il colloquio con Nicodemo (Giovanni 2,23 - 3,21 ) 1455. Giovanni Battista e lInviato di Dio (Giovanni 3,22-36) 1696. Post-scriptum sul battesimo di Ges e di Giovanni

(Giovanni 4,1-3) 1837. La rivelazione di Ges in Samaria (Giovanni 4,4-42) 1878. Il ritorno in Galilea (Giovanni 4,43-45) 2239. Il secondo segno di Cana (Giovanni 4,46-54) 22710. Lautorit escatologica di Ges (Giovanni 5,1-47) 23511. Il pane di vita (Giovanni 6,1-71) 27712. La festa delle Tende (Giovanni 7,1-52) 32913. Ladultera (Giovanni 7,53 - 8,11) 37114. La grande controversia: Ges, abramo e Dio

(Giovanni 8,12-59) 379

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15. La guarigione del cieco nato (Giovanni 9,1-41) 41916. Il buon pastore (Giovanni 10,1-21) 45117. alla festa della Dedicazione (Giovanni 10,21-42) 47118. Il ritorno alla vita di Lazzaro (Giovanni 11,1-54) 48719. LafinedellattivitpubblicadiGeselasua

valutazione (Giovanni 11,55 - 12,50) 51920. alle soglie della Passione (Giovanni 12,1-50) 521

Volume 2

la rivelazione della gloria di cristo davanti ai suoi (giovanni 13 - 20) 589

1. La lavanda dei piedi e la relativa spiegazione (Giovanni 13,1-20) 593

2. La designazione del traditore (Giovanni 13,21-30) 6173. Il primo discorso di addio (Giovanni 13,31 - 14,31) 6274. Il secondo discorso di addio (Giovanni 15,1 - 16,33) 6895. La preghiera di addio di Ges (Giovanni 17,1-26) 7796. Il racconto della Passione (Giovanni 18 - 19) 8237. Il ciclo pasquale (Giovanni 20,1-29) 9178. La conclusione del vangelo (Giovanni 20,30-31) 9539. Lepilogo (Giovanni 21) 95910. Il titolo del vangelo 983

Indice dei nomi 985Indice dei testi citati 997

alla Facolt teologica dellUniversit di Zurigo in segno di riconoscenza

(1990-2010)

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Premessa

Leggendo questo testo, il lettore scoprir un racconto della vita di Ge-s prima della Passione caratterizzato da una notevole variet narrativa e da una sorprendente complessit argomentativa. Gli eventi selezionati dal narratore non sono molti, ma, come in un caleidoscopio, sono di volta in volta chiariti a partire da una diversa prospettiva.

Per fare buon uso di questo commentario, sar bene prestare attenzione ai punti che seguono. La traduzione dei vari brani non dettata da unam-bizione di tipo letterario; mia unica preoccupazione offrire una traduzio-ne il pi possibile fedele al testo greco1. Ci consentir a quanti leggono il greco di accostarsi agevolmente alloriginale, mentre a quelli che non lo leggono offrir un calco della versione greca. ogni termine greco citato nel corso dellesegesi peraltro tradotto in maniera sistematica. La bibliogra-fiageneralecitasololeopereimpiegateecitatenelcommentario,enonhaalcuna pretesa di risultare esauriente.

Il commento propriamente detto si dipana su due livelli, chiaramente identificabili.Ilcorpodeltestosiconcentrasullinterpretazionecursiva dei brani evangelici nella loro forma canonica. Per contro, nellapparato critico, il lettore potr reperire informazioni complementari di ogni ordine (critica testuale, informazioni storiche, letterarie ecc.) assieme a una presentazione delle diverse posizioni sostenute dalla letteratura secondaria. Le bibliogra-fieselettivepostealliniziodiognisezioneediogniparagrafosegnalanoi contributi che mi sono parsi importanti e che potranno alimentare lulte-riore ricerca del lettore. al termine di ogni pericope una conclusione cerca di presentare in forma sintetica i risultati dellesegesi, in modo tale che il

1 Nella traduzione, il segno () indica che le parole poste tra parentesi sono incerte nella tradizione manoscritta, mentre il segno [] segnala che le parole sono state aggiun-te per motivi di chiarezza nella traduzione.

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Il Vangelo secondo Giovanni (1,1 - 12,50)

lettore possa passare liberamente dallanalisi esegetica alla parte sintetica o viceversa.

La stesura di questo volume ha rappresentato unimpresa di ampio re-spiro,nelcorsodellaqualehoavutoilprivilegiodibeneficiaredelsostegnodi molti collaboratori. Uta Poplutz, matresse-assistantefinoal2009,GeorginaFischer,miasegretariafinoal2010,MarionMosereBenjaminWildberger,miei collaboratori nellambito di un progetto del Fondo nazionale svizzero perlaricercascientifica(2009-2012),hannosostenutoilmiolavoroindiversimodi. andreas Dettwiler, direttore della collana in cui questo commentario viene pubblicato in francese da Labor et Fides, ha riletto con grande atten-zione le bozze ed stato prodigo di preziosi consigli. Tutte e tutti si sono dedicati a questa causa con generosit e competenza. Hanno perci diritto alla mia profonda riconoscenza.

Il vangelo secondo Giovanni un testo di grande intensit teologica. Nonconfidaisuoisegretialettorichevannodifretta,maesigeunaletturaattenta e una continua ripresa del testo. a chi si concede il tempo necessario per accostarsi a questo monumento della letteratura cristiana primitiva, dato di scoprire uninterpretazione di Ges di Nazareth di una profondit, sagacia e originalit straordinarie.

Jean Zumstein

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Il colloquio con Nicodemo Giovanni 2,23 - 3,21

La sequenza 2,23 - 3,36 forma un grande dittico a due ante, strutturate in modo similare1. La prima dedicata al colloquio tra Ges e Nicodemo (2,23 - 3,21) e comprende tre parti: lesposizione della situazione in forma di sommario2 (2,23-25) seguita da un dialogo tra i due protagonisti (3,1-12) e quindi da un monologo del Ges giovanneo (3,13-21). La seconda an-ta dedicata allultima testimonianza di Giovanni costruita seguendo lo stesso schema: una breve esposizione situa la scena (3,22-24); a essa segue uncolloquiotraGiovannieisuoidiscepoli(3,25-30);infine,inunultimomonologo (3,31-36), Giovanni rende unultima testimonianza a Ges. Lar-ticolazione tra le due ante chiara: mentre il colloquio con Nicodemo co-stituisce la prima grande esposizione della rivelazione del Ges giovanneo, lintervento di Giovanni (il primo testimone) formula la risposta credente alla rivelazione che ha appena avuto luogo3.

traduzione 2,23 Siccome era a Gerusalemme durante la festa della Pasqua, molti

credettero nel suo nome vedendo i segni che faceva. 24 Ma ges non si

1 Cfr. Y. iBuki, Gedankenaufbau und Hintergrund des 3. Kapitels des Johannesevangeliums, BSU 14 (1978), pp. 9-33 (qui p. 11), seguito da Frey, Eschatologie III, pp. 241-243; lon-duFour I, pp. 380-381; sCHnelle, pp. 93-94, e tHeoBald, p. 238.

2 Sullo statuto dei vv. 23-25, che introducono la sequenza del cap. 3 pi che conclu-dere il cap. 2, cfr. tHyen, p. 180.

3 Cfr. lon-duFour I, pp. 430: Questo breve racconto ha soprattutto la funzione di far pronunciare al primo testimone di Ges la confessione di fede necessaria sia alle-quilibriodellacomposizionesiaalsuosignificatopipieno.[...]AlpostodiNicodemo,il quale [...] scomparso dalla scena, ecco il Battista che proclama la sua fede in Ges.

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fidava di loro perch li conosceva tutti 25 e perch non aveva bisogno che qualcuno testimoniasse riguardo alluomo; egli stesso infatti conosceva ci che era nelluomo.

3,1 Cera tra i farisei un uomo di nome Nicodemo, un capo dei Giudei. 2 Costui venne verso di lui la notte e gli disse: Rabbi, noi sappiamo che, come maestro, vieni4 da Dio; nessuno infatti pu fare quei segni che fai tu se dio non con lui. 3 Ges rispose e disse: Amen, amen io ti dico, nessuno, salvo rinasca dallalto, pu vedere il regno di Dio. 4 nicodemo gli dice: Come potrebbe rinascere un uomo se un vecchio? Pu rientrare nel ventre di sua madre e nascere?. 5 Ges rispose: Amen, amen io ti di-co, nessuno, salvo nasca dallacqua e dallo Spirito, pu entrare nel regno di dio. 6 Ci che nato dalla carne carne, e ci che nato dallo Spirito spirito. 7 Non stupirti se ti ho detto: bisogna che rinasciate dallalto. 8 Il vento soffia dove vuole e tu odi la sua voce, ma non sai n da dove viene n dove va; cos di chiunque nato dallo Spirito. 9 Nicodemo rispose e gli disse: Come pu accadere questo?. 10 Ges rispose e gli disse: Tu sei il maestro dIsraele e non conosci queste cose? 11 amen, amen io ti di-co: noi parliamo di ci che sappiamo e testimoniamo ci che abbiamo vi-sto, e voi non accogliete la nostra testimonianza. 12 Se non credete quan-do vi dico le cose della terra, come crederete se vi dico le cose del cielo?

13 e nessuno salito al cielo eccetto colui che disceso dal cielo, il Fi-glio delluomo. 14 E come Mos ha innalzato il serpente nel deserto, cos bisogna che il Figlio delluomo sia innalzato 15 affinch chiunque crede abbia la vita eterna (in lui)5. 16 Poich Dio ha tanto amato il mondo che ha dato suo Figlio, lunigenito, affinch chiunque crede in lui non perisca ma abbia la vita eterna. 17 Poich Dio non ha inviato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perch il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non giudicato; chi non crede gi giudicato, perch non ha creduto nel nome del Figlio unigenito di dio. 19 Questo il giu-dizio: la luce venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito loscurit alla luce, poich le loro opere erano malvagie. 20 Infatti, chiunque fa il male odia la luce e non viene alla luce, per paura che le sue opere siano svelate. 21 Ma chi fa la verit viene alla luce, perch le sue opere siano manifestate, dato che sono state compiute in Dio.

4 Il perfetto (seivenuto)significachetalevenuta,occorsanelpassato,determina il presente.

5 La variante attestata per la precisione in P75, B; il suo caratte-re ambiguo potrebbe aver suscitato le numerose varianti attestate dalla tradizione ma-noscritta (cfr. metzger, Textual Commentary, p. 204). Il verbo (credere) non mai costruito, eccezion fatta per il nostro passo, con la preposizione , ma sempre con (34 volte). Di conseguenza in lui ( ) non va unito a credere, ma a vita eterna (con Barrett, p. 214).

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4. Il colloquio con Nicodemo (Giov. 2,23 - 3,21)

BiBliograFia BeCker J., Joh 3,1-21 als Reflex johanneischer Schuldiskussion, in Das Wort und die

Wrter (FS G. Friedrich), a cura di H. Balz e S. Schulz, Kohlhammer, Stuttgart 1973, pp. 85-95; Bergmeier R., Gottesherrschaft, Taufe und Geist. Zur Tauftra-dition in Joh 3, ZNW 86 (1995), pp. 53-73; Blank, Krisis, pp. 53-108; Frey J., Wie Mose die Schlange in der Wste erhht hat..., in Schriftauslegung im antiken Judentum und im Urchristentum, a cura di M. Hengel e H. Lhr, WUNT 73, Mohr Siebeck, Tbingen 1994, pp. 153-205; id., Eschatologie III, pp. 242-309; graPPe C., Les nuits de Nicodme (Jn 3,1-21; 19,39) la lumire de la symbolique baptismale et pascale du quatrime vangile, RHPR 87 (2007), pp. 267-288; HoFius o., Das Wunder der Wiedergeburt, in Johannesstudien, pp. 33-80; Hoegen-roHls, Johannes, pp. 275-281 (per il v. 11); Julian P., Jesus and Nicodemus: A Literary and Narrative Exegesis of John 2,23-3,36, Peter Lang, New York-Frankfurt am Mein 2000; lee, Symbolic Narratives, pp. 36-63; merklein H., Gott und Welt. Eine exemplarische Interpretation von Joh 2,233,21 und 12,20-36 zur theologi-schen Bestimmung des johanneischen Dualismus, in Der lebendige Gott. Studien zur Theologie des Neuen Testaments (FS W. Thsing), a cura di Th. Sding, NTa 31, aschendorff, Mnster 1996, pp. 287-305; moloney, Son of Man, pp. 42-67; morgen M., Afin que le monde soit sauv, LeDiv 154, Cerf, Paris 1993, pp. 29-158; PoPP, Grammatik des Geistes, pp. 81-255; PorsCH, Pneuma, pp. 86-135; reBell W., Gemeinde als Gegenwelt. Zur soziologischen und didaktischen Funktion des Johannesevangeliums, BET 20, Peter Lang, Frankfurt am Mein 1987, pp. 134-176; sCHmidl M., Jesus und Nikodemus. Gesprch zur johannei-scher Christologie. Joh 3 in schichtenspezifischer Sicht, BU N.F. 28, Pustet, Re-gensburg 1998; sCHnelle, Antidoketische Christologie, pp. 196-213; sevrin J.M., The Nicodemus Enigma: The Characterization and Function of an Ambiguous Ac-tor of the Fourth Gospel, in Anti-Judaism, pp. 357-369; sding T., Wiedergeburt aus Wasser und Geist. Anmerkungen zur Symbolsprache des Johannesevangeliums am Beispiel des Nikodemusgesprchs (Joh 3,1-21), in Metaphorik und Mythos im Neuen Testament, a cura di K. Kerlelge, QD 126, Herder, Freiburg et al. 1990, pp. 168-219; stimPFle, Blinde sehen, pp. 7-73; Weder H., Lasymtrie du salut. Rflexions sur Jean 3,14-21 dans le cadre de la thologie johannique, in Commu-naut, pp. 155-184; vouga, Cadre, pp. 16-24.

analisi 1. Il macrocontesto. Il colloquio con Nicodemo si svolge nel quadro del

primo viaggio a Gerusalemme (2,13 - 3,36). Nel corso di questo dialogo il Ges giovanneo sviluppa per la prima volta in maniera dettagliata il suo messaggio, facendo scoprire al lettore, anche qui per la prima volta, i gran-di temi della teologia giovannea. Lo scontro con le autorit gerosolimita-ne (cfr. 2,13-22) prosegue nella misura in cui un eminente maestro fariseo, membro del sinedrio, entra in contatto con il Nazareno.

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2. Il sommario (2,23-25) che introduce la sequenza dedicata a Nicodemo opera dellevangelista6. Esso evoca in maniera generale lattivit tauma-turgica di Ges a Gerusalemme e leffetto da essa suscitato. Comprende due parti, legate luna allaltra dal verbo credere (): (a) la reazio-ne dei pellegrini alla vista dei segni operati da Ges (v. 23), (b) la valuta-zione di tale reazione da parte di Ges (vv. 24-25). Il sommario ha funzione di esposizione:inscenandolafededeficitariadiquantisonosoggiogatidaimiracoli di Ges prepara la comparsa di Nicodemo, che palesa una mede-sima convinzione (si confrontino 2,23 e 3,2, nonch lutilizzo del termine uomo [] in 2,25 e 3,1). Il tema della fede simpone dunque come lintestazione di questo grande insieme.

3. Il dialogo tra Ges e Nicodemo (3,1-12) a sua volta opera dellevange-lista, che traspone in racconto tradizioni coltivate in seno alla sua scuola7. Tra queste si noti la parola di Ges al v. 5, legata a unanaloga parola della tradizione sinottica (Mt. 18,3: In verit vi dico, se non vi convertite e non diventate come bambini non entrerete nel regno dei cieli [cfr. par. Mc. 10,15 e Lc. 18,17]). La scuola giovannea ha rimpiazzato la metafora del bambino con quella della nuova nascita8, che non insiste pi sulla conversione delles-sere umano ma sullazione di Dio. Questo loghion si pone lungo una linea disviluppochegiungefinoaGiustino(Apologie I,61,4: Se voi non rinasce-rete non entrerete nel regno dei cieli).

Il colloquio in senso stretto (3,1-12) appartiene al genere letterario del di-battito di scuola. Comprende tre fasi (3,1-3.4-8.9-12), che ogni volta iniziano con una domanda di Nicodemo (3,2 [domanda indiretta] 4.9). Ges risponde con interventi sempre pi sviluppati e introdotti dalla formula di rivelazione: amen, amen io ti dico ( ). Largomentazione caratteriz-zata da un processo di approfondimento che verte sulla rinascita dallalto.

4. Il punto di dibattito riguarda la delimitazione tra il dialogo e il monolo-go9.Pertremotiviopportunoriconoscerealv.12lafinedeldialogoealv. 13 linizio del monologo10. In primo luogo gli ultimi elementi dialogici

6 Cfr. Bultmann, p. 91; dodd, Tradizione storica, p. 287; sCHnaCkenBurg I, pp. 514-515; sCHnelle, p. 78; tHeoBald, p. 239. Sul genere del sommario cfr. Mc. 1,32-34; 3,7-12; Giov. 10,40-42.

7 Cfr. sCHnelle, p. 84; WilCkens, pp. 90-91. 8 Studio dettagliato di questa parola di Ges in tHeoBald, Herrenworte, pp. 61-97. 9 Mentre Weder, Lasymtrie du salut, pp. 159-160, propone di vedere nel v. 13 una cer-

niera tra i vv. 1-12 (dialogo) e i vv. 14-21 (monologo); tHeoBald, pp. 243-244, propende per una cesura tra i vv. 15 e 16 (argomento: [a] mutamento di terminologia cristologica a partire dal v. 16; [b] mutamento di prospettiva non pi solo linnalzamento del Figlio delluomoaessereprospettato,maleventosalvificonelsuoinsieme;[c]unduplicee[] lega i vv. 13 e 14-15 al dialogo; [d] le due parole sul Figlio delluomo costituiscono il culmine del dialogo con Nicodemo).

10 Cos ad es. sCHnaCkenBurg I, p. 518; sCHnelle, p. 90.

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4. Il colloquio con Nicodemo (Giov. 2,23 - 3,21)

compaiono nel v. 12 (un io si rivolge esplicitamente a un voi) mentre, a partire dal v. 13, Ges parla di se stesso alla terza persona singolare. Quin-di le cose terrene riguardano ci che stato detto (vv. 2-11: come luomo giunge alla salvezza) mentre le cose celesti sono in relazione a ci che sar affermato(vv.13-21:comelasalvezzagiungealluomo).Infinelasceltadelmonologohaunsignificatoteologico:leventocristologicochesarrivelatonon potrebbe essere oggetto di discussione; dunque pu essere formulato unicamente come discorso di rivelazione.

5. sempre levangelista ad aver composto il monologo dei vv. 13-21, av-valendosi di traduzioni raccolte nella sua scuola. Questo piccolo catechi-smo presenta gli elementi fondamentali della teologia giovannea. Si com-poneditreelementi:(a)ivv.13-15evocanolafiguradelFigliodelluomoeinparticolareilsuoinnalzamento.(b)Lariflessionecristologicaproseguenei vv. 16-18 sotto forma di unesplicitazione ( poich) dedicata al Figlio unigenito ( , cfr. la ricorrenza del titolo ai vv. 16 e 18). (c) Ricorrendo questa volta allantitesi luce-tenebre linsegnamento siconcludeconunariflessionesulgiudizio(vv.19-21).

In questo monologo limpiego di antiche tradizioni si manifesta in due modi. Innanzitutto la parola sul Figlio delluomo (vv. 14-15) una variante del loghion sul Figlio delluomo che compare negli annunci sinottici della Passione (cfr. Mc. 8,31; 9,31; 10,33-34)11. Se si mettono fra parentesi le diffe-renze di formulazione si osserva che, sia in Mc. sia in Giov., la morte di Ges sulla croce presentata come una necessit divina ( [bisogna]) e viene commentata tramite un riferimento alla Scrittura. Mentre in Mc. il loghion ha una struttura narrativa in cui vengono enumerate le varie tappe della Passione, in Giov. si concentra interamente sullinnalzamento.

In secondo luogo, il v. 17 riprende una formula di invio attestata sia nella letteratura paolina sia giovannea12. La formula riposa sul seguente schema: una dichiarazione di invio allaoristo (qui: Dio ha dato/inviato [v. 16: ; v. 17: ] suo/il Figlio) seguita da una proposizio-nefinale( [affinch])dalcontenutosoteriologico.Questaformuladiinvio ha origine nella letteratura sapienziale ebraica (Sap. 9,10: Falla [la Sapienza] scendere dai santi cieli, dal trono della tua gloria, degnati di in-viarlaperchsidiapenaalmiofiancoeconoscacichetigradito).Laduplicecorrezionenelleproposizionifinalideivv.16e17(nonpermaper) fuga i possibili malintesi che avrebbe potuto suscitare il colloquio con Nicodemo e precisa lintenzione teologica del testo13.

11 Per uno studio dettagliato cfr. tHeoBald, Herrenworte, pp. 201-223. 12 Cfr. E. sCHWeizer, Zum religionsgeschichtlichen Hintergrund der Sendungsformel Ga

4,4f.; Rom. 8,3f.; Joh 3,16ff.; 1 Joh 4,9, ZNW 57 (1966), pp. 199-210. 13 Con tHeoBald, p. 268.

Il Vangelo secondo Giovanni (1,1 - 12,50)

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6. Il rapporto di senso tra il dialogo (vv. 1-12) e il monologo (vv. 13-21) di-battuto. Innanzitutto, parte della critica fatica14 a vedere nei vv. 13-21 il se-guito intenzionale del dialogo che si era concluso con la constatazione di uno scacco (v. 12). Il monologo tradirebbe una traslazione tematica (a essere affrontati sono ormai i grandi temi della teologia giovannea). Lo sgancia-mento lascerebbe supporre che i vv. 13-21 siano un discorso kerigmatico dellevangelista,introdottodaisuoiallievi(=laredazionefinale)inquestopunto15. a ci si pu rispondere che lo stesso testo, tramite la differenziazio-ne che opera tra le cose terrene e le cose celesti, articola in modo espli-cito il mutamento di problematica osservato (cfr. lesegesi).

Pi di recente Theobald16, pur postulando la coerenza tra dialogo e mo-nologo, ha ipotizzato che il monologo si situi a un livello metalinguistico rispettoaldialogo:tenterebbedisuperareladifficoltinerentealloscam-bio tra Ges a Nicodemo, vale a dire il fallimento della comunicazione del-lasalvezza.Cinonostante,dalnostropuntodivista,ildialogononfiniscepersancireesplicitamentelincredulitdiNicodemo.Certo,ladifficoltdigiungere alla salvezza posta in evidenza, ma la sua condizione di possibi-lit levento cristologico per lappunto sviluppata nei vv. 13-21.

7. Un ultimo problema legato allo statuto dei vv. 19-21.Lalorodifficileintegrazione nello sviluppo argomentativo del monologo ha suscitato diver-se ipotesi riguardo al loro posto nella storia della tradizione. Mentre alcuni vi discernono un elemento della tradizione pregiovannea17, ricontestualiz-zato in questa sede dallevangelista, altri vi vedono unaggiunta della re-dazionefinale18, tesa a una rilettura etica dei vv. 16-18. Lipotesi di unag-giuntasecondariarisultaperaltrodifficile19, dato che (a) sia 7,7 che 12,35 riecheggiano i vv. 19-21 (cfr. anche 9,39-41); (b) i vv. 19-21 non operano un restringimento etico dei vv. 16-18 ma, come mostra il rapporto asimme-trico tra i vv. 19-20 e 21, riprendono in prospettiva tipicamente giovannea la tematica del giudizio; (c) la rilettura dei vv. 31-36 presuppone lesistenza del monologo nella sua interezza (cfr. supra).

14 Cfr. ad es. sCHnaCkenBurg I, pp. 543-544; Blank Ia, p. 239. 15 Cfr. sCHnaCkenBurg I, pp. 517-521 (qui p. 519). La prima parte di questo discorso

kerigmatico consisterebbe nei vv. 31-36 (cfr. infra). Nella stessa direzione riCHter, Stu-dien, p. 337.

16 Cfr. tHeoBald, p. 268. 17 Cfr. ad es. BeCker I, pp. 154-155 e 173-174, seguito da sCHnelle, p. 90. 18 Cfr. HaenCHen, pp. 228-229; riCHter, Studien, p. 337; W. langBrandtner, Weltfer-

ner Gott oder Gott der Liebe, BET 6, Peter Lang, Bern et al. 1977, p. 24. 19 Discussione dettagliata in tHeoBald, pp. 269-270.

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4. Il colloquio con Nicodemo (Giov. 2,23 - 3,21)

sPiegazione

Il sommario (2,23-25)

La transizione tra lincidente del Tempio e il colloquio con Nicodemo avviene mediante un sommario in cui sono contrapposte la conoscenza che gli esseri umani hanno di Ges e la conoscenza che Ges ha di loro. Atalfineilnarratoreesponelasituazionechefungedapuntodipartenzadella sequenza dedicata a Nicodemo. Radunati a Gerusalemme per la fe-sta della Pasqua (v. 23) numerosi () pellegrini credono in Ges ( )20. La loro fede riposa sui miracoli di cui sono stati testimoni ( )21; in altre parole non la rivelazione della gloria di Ges a suscitare la loro fede (cfr. 2,11) ma la visione del mi-racoloso. Sar lo stesso atteggiamento palesato da Nicodemo quando verr da Ges. In 2,23, cos come in 3,2, latto del fare dei segni [ ] a essere addotto quale ragione decisiva che lo porta a stringere un rappor-to con il maestro. Una siffatta conoscenza di Ges e una tale fede in lui non sono tuttavia espressione di una conoscenza o di una fede genuine (cfr. 4,48; 20,29). Il colloquio con Nicodemo, per contro, aprir la via che por-ta a unautentica conoscenza di Ges, o meglio a unautentica fede in lui.

orbene, a differenza degli esseri umani (vv. 24-25) il Ges giovanneo gode di una precisa conoscenza della persona umana (vv. 24-25: ) che giunge a penetrare nel mistero della sua interiorit; in questo egli par-tecipa di una prerogativa divina (cfr. 10,30)22. Dunque in grado di identi-

20 Lespressione credere nel suo nome tipicamente giovannea; sinonimo di cre-dereinGes.Lanozionedinomefaconvergerelattenzionesulsignificatoparticolaredi Ges, ovverosia quello di essere il portatore della rivelazione divina (cfr. Bultmann, p. 37, nota 4; L. Hartmann, art. , DENT II, coll. 614-623). Questo costrutto pro-viene dal linguaggio missionario (cfr. I Cor. 1,13-15; Mt. 28,19; at. 2,38; 10,48) ed legato a una confessione di fede (1,12; 3,18; I Giov. 3,23; 5,13; cfr. WilCkens, p. 89).

21 La forma allimperfetto () segnala che si tratta di unattivit estesa nel tem-po. Lanalessi di 4,45 riecheggia questo sommario e ne conferma il contenuto. Il vangelo comporta tutta una serie di notizie che presentano la venuta alla fede degli ebrei gero-solimitani a partire dai miracoli operati da Ges (cfr. 7,31; 10,42; 11,45; 12,42), il che ren-de poco plausibile la tesi di tHyen, p. 182, secondo cui il segno pars pro toto qui evocato sarebbe lincidente del Tempio.

22 La conoscenza della persona umana, considerata nella sua interiorit, parte inte-grante della rivelazione apportata dal Ges giovanneo (cfr. la nostra interpretazione di 1,41). I due imperfetti del v. 25 mostrano come tale conoscenza non sia occasionale ma costante. La formula (nelluomo [singolare!] e non in loro [cfr. Wil-Ckens, p. 90]) segnala che si tratta di una conoscenza fondamentale. Questa capacit di raggiungere il segreto del cuore umano propria di Dio (cfr. Ger. 17,9-10; Sal. 139 ; I Sam. 16,7; I Re 8,39; Sir. 42,18; scritti intertestamentari: Sal.Sal. 14,8; 1QS 4,25; 1QH 1,7.23-24). Riguarda ugualmente i discepoli (esempio di questo sapere prolettico: 6,61.70; 16,32).

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ficaresenzaproblemiilcarattereambiguoeincompletodellasuppostafe-de dei suoi ammiratori23. Il dialogo che segue sveler, tramite la persona di Nicodemo, la perdizione umana ed esporr in modo fondamentale la que-stione della salvezza.

Il colloquio tra Ges e Nicodemo (3,1-12)

La prima fase del dialogo (vv. 1-3) formula la questione centrale che per-corre lintero colloquio, ovverosia quella dellaccesso alla salvezza. Le due espressioni che fungono da punto di partenza dellargomentazione di Ge-s vedere il regno di Dio ( [3,3]) ed entrare nel regno di Dio ( [3,5]) sono infatti formule note, specie dai sinottici, che descrivono la partecipazione al regno escatologico24.

Il v. 1 mette in scena un nuovo personaggio, caratterizzato in vari modi. La sua condizione di uomo (; cfr. 2,25) lo rende simile ai pellegri-ni, simpatizzanti di Ges, ma dalla fede incompiuta (cfr. 2,23). oltre al suo nome, Nicodemo25, il testo rivela la sua adesione al partito dei farisei e la sua posizione di notabile tra i Giudei (forse era membro del sinedrio)26. Il suo itinerario viene a Ges rivela un uomo alla ricerca. Infatti, nella sua persona, il pi elevato sapere teologico degli ebrei ad avvicinarsi a Ges. La sua venuta di notte (; cfr. 19,39) denota certamente il carat-

23 altra interpretazione in tHyen, pp. 182-183, il quale ritiene del tutto legittima la fedefondatasuisegni;dunquecicheGesstigmatizzerebbeneivv.24-25ilrifiutodiconfessare pubblicamente la fede.

24 Le espressioni entrare nel regno di Dio (cfr. Mc. 9,47; 10,23-25 par.; Mt. 5,20; 7,21; 18,3; 21,31; Lc. 23,42) e vedere il regno di Dio (unico parallelo sinottico noto: Lc. 9,27) sono sinonime e indicano laccesso alla salvezza escatologica (cfr. W.D. davies, D.C. allison, The Gospel according to Saint Matthew I, T&T Clark, Edinburgh 1988, pp. 500-501; lon-duFour I, pp. 390 s.). Mentre lequivalente rabbinico di entrare nel regno di Dio potrebbe essere entrare nel mondo futuro (cfr. Bill. I, p. 252), vedere il regno di Dio non ha paralleli noti in tale letteratura (cfr. Wengst I, p. 129). Ci nonostante ilsuosignificatochiaro:inGiov.lanozionediregnodiDiolequivalentedivitaeterna;vederesignificasperimentare,partecipare(conHoFius, Wunder, p. 38), fare lesperienza della vita (lon-duFour I, p. 390). analisi dettagliata in Frey, Escha-tologie III, pp. 252-254.

25 Il nome di Nicodemo, frequente tanto presso i Greci quanto nella tradizione ebrai-ca, etimologicamente significa popolovittorioso.Questopersonaggio riappare in7,50-52 e in 19,39. 7,50 ne fa un membro delle autorit, mentre 19,39 lo presenta come discepolo segreto di Ges.

26 Il termine (capo) designa probabilmente un membro del sinedrio (cfr. 7,26.48; 12,42; Lc. 18,18; 23,13.35; 24,20; at. 3,17; 4,5.8); cfr. Bauer-aland, col. 228; Ho-Fius, Wunder, p. 36.

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4. Il colloquio con Nicodemo (Giov. 2,23 - 3,21)

tere segreto della sua iniziativa (v. 2), ma indubbiamente anche il fatto che Nicodemo sia sprofondato nelle tenebre (cfr. 3,19)27. Riconoscendo a Ges un rapporto privilegiato con Dio, attestato da miracoli impressionanti28, Nicodemo al tempo stesso riconosce e misconosce la vera identit del suo interlocutore. Ges certamente un maestro pienamente autorevole, un uomo di Dio in questo Nicodemo ha ragione ma molto pi di questo: i segni che ha compiuto lo rivelano come linviato escatologico del Padre29 e invitano alla fede. Questo modo di entrare in argomento indica che Ni-codemo intende ingaggiare una conversazione teologica con Ges, senza per rivolgere una domanda diretta e precisa.

Il Ges giovanneo non accetta il gioco della dotta discussione proposta da Nicodemo. In modo caratteristico introduce uno iato e replica con una sentenza dal valore rivelativo (v. 3). La formula introduttiva amen, amen io ti dico30 ne sottolinea limportanza. Ci che segue una parola rivesti-tadellautoritdivina.essaafissareiltemadelcolloquio:lacondizioneper accedere al regno di Dio o, in altre parole, alla salvezza31. Per la rive-lazione la condizione di partecipazione alla salvezza la nuova nascita dallalto ( ). Il motivo della nascita segnala la necessit di un nuovo inizio su cui il soggetto non esercita il controllo, ma che gli donato. Lavverbio pu voler dire sia di nuovo che dallalto32;

27 Il motivo della visita notturna interpretato in modi differenti: (a) per paura dei Giudei (ad es. Bauer, p. 50); (b) la notte come simbolo dellignoranza, dellincredulit e del peccato (BroWn, p. 169; Barrett, p. 205; WilCkens, p. 90; sCHnaCkenBurg I, p. 525 [come possibilit]); (c) la notte, agli occhi dei rabbini, quale tempo privilegiato per lo studio e le discussioni (Bill. II, pp. 419-420); (d) in segreto che il profeta svela i segre-ti del regno di Dio (J. Jeremias, Le parole dellultima cena, Paideia, Brescia 1973, p. 157).

28 Il fare questi segni ( ) riecheggia 2,23, che descrive limpat-to sui gerosolimitani dei miracoli operati da Ges.

29 Cfr. HoFius, Wunder, pp. 37-38 (p. 38: La problematica di questa sentenza risiede nel fatto che Ges venga inteso analogamente a unapparizione gi conosciuta e dunque inserito nellambito di ci che umanamente possibile), e WilCkens, p. 90. Nicodemo concede a Ges il rango di maestro (cfr. il titolo di ) affermando al tempo stesso di essere linterprete del sapere costituito: Noi sappiamo (). Cos facendo, si in-ganna sullidentit di Ges, poich lo inquadra in un ruolo tradizionale, quello di ma-estro o di profeta, mentre davanti a lui vi il Figlio di Dio. Su questa crisi dei criteri si veda Bultmann, p. 95.

30 Sulla formula (amen, amen io ti dico) in Giov. si veda la no-stra esegesi di 1,51.

31 Frey, Eschatologie III,p.256,osservagiustamentecheGesafissareiltemaeipresupposti del colloquio. lon-duFour I, pp. 387-388, invece, ritiene che Ges chiarisca la ricerca di Nicodemo, mentre per Bultmann, p. 94, Nicodemo esordisce sollevando, sebbene in modo indiretto, la questione della salvezza. Questultima indissolubilmente legata a due ulteriori problematiche: quella della fede (2,23-25) e quella della rivelazione (cfr. il motivo e la rivelazione cristologica [vv. 9 ss.]).

32 Cfr. Bauer-aland, col. 153. Mentre Bultmann, p. 95 (nota 2), seguito da HoFius, Wunder, p. 42, facendo leva sul malinteso del v. 4 afferma che possa essere inteso solamentenelsensodidinuovo(ilsignificatochecoglieNicodemo),sCHnaCkenBurg I, p. 528, rifacendosi a 3,31; 19,11.23, privilegia il senso di dallalto (nella stessa dire-

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dal testo emerge che il narratore sfrutta questa ambiguit33. Per Nicodemo (e tramite lui per ogni essere umano) la condizione di possibilit () della salvezza (vedere il regno di Dio) pu darsi solo tramite un radicale ricominciare il cui unico motore pu essere soltanto Dio.

La seconda fase del colloquio (vv. 4-8) scaturisce dal malinteso di Nicode-mo (v. 4). Interpretando l nel senso di di nuovo questi si mette a ironizzare sullassurdit della proposta di Ges. In tal modo immagina la nuova nascita soltanto nellorizzonte del mondo, dove (e in questo ha ra-gione) ogni vero ricominciare impossibile; lesperienza insegna infatti che il corso di una vita non pu essere invertito (cfr. Sir. 40,1-2; 14,18; Ebr. 9,27). a tale problematizzazione della nozione di nuova nascita il Ges gio-vanneo risponde chiarendo34 il concetto di (di nuovo, dallalto). Lesegesi che ne propone consiste nel comprendere la rinascita dallalto come una nascita dallacqua e dallo Spirito (v. 5: ).

Il v. 5 ricorre al vocabolario tradizionale del cristianesimo primitivo (come gi il v. 3). Il punto di partenza dellargomentazione fa leva su affermazioni battesimali condivise dallinsieme dei primi cristiani (Tt 3,5) e riprese dal cristianesimo giovanneo (cfr. 3,22). La formula amen, amen io ti dico che apre il v. 5 lo rende una parola di rivelazione. La dichiarazione tradizionale contenuta in questo v., che sar oggetto di uninterpretazione propriamente giovannea nei vv. 6-8, afferma che il battesimo condizione necessaria per la salvezza, poich conferisce lo Spirito di vita che dato tramite la nuova nascita dallalto. Il costrutto dacqua e ( ) non una glossa tardiva ma appartiene sicuramente al testo primitivo35. Esso designa il batte-simo cristiano, che si differenzia da quello di Giovanni per leffusione dello Spirito36 (1,26.33). tuttavia importante osservare come non sia il battesimo in quanto tale a costituire il cardine dellargomentazione. Infatti, ricorrendo al motivo del battesimo (vv. 6-8) lautore implicito vuole mostrare come lac-cesso alla salvezza non sia nellordine delle possibilit umane, ma avvenga

zione BroWn, p. 171; J. Beutler, art. , DENT I, coll. 298-299; HaenCHen, p. 217; Blank, Krisis, pp. 57-58; BeCker I, pp. 159-160; lon-duFour I, p. 388).

33 Cos Bauer-aland, col. 153; Barrett, p. 205; Frey, Eschatologie III, pp. 257-258 (di-scussione dettagliata); sCHnelle, p. 80.

34NellastrategiaargomentativagiovannealafiguradelmalintesoconsenteaGesdi procedere a un chiarimento e a un approfondimento di ci che vuole dire.

35 Contro Bultmann, p. 98 (nota 2). Con Blank, Krisis, p. 56 (nota 24); Frey, Eschato-logie III, pp. 248-249; WilCkens, pp. 92 s.

36 lon-duFour I, p. 393, vede nellespressione dacqua e di Spirito unendiadi che andrebbe tradotta con dacqua che Spirito e che rimanderebbe a Ez. 36,25-27: ver-sersudivoiunacquapura[]metterinvoiunospiritonuovo[]Metterinvoiilmio spirito. Parlando al presente Ges intenderebbe dire che con la sua venuta si com-piuta la promessa escatologica del profeta. Nella tradizione veterotestamentaria ebraica loSpirito,algiungereescatologicodellasalvezza,purificalessereumanodallinternoegli dischiude un nuovo rapporto con Dio. Si veda: Giub. 1,23-25; 5,12; Test. Levi 18; Test. Giuda 24,3; 1QH 3,21; 11,10-13; 1QS 4,20-22; 4Q 521 (WilCkens, p. 93).

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4. Il colloquio con Nicodemo (Giov. 2,23 - 3,21)

mediante la sola grazia di Dio37. Per questo motivo solo la tematica dello Spirito a essere sviluppata nei versetti successivi, ricorrendo innanzitutto allantitesi carne/Spirito (v. 6) e quindi a una comparazione (v. 8).

Il v. 6 descrive lopposizione radicale che si d tra la nascita derivante dalla carne e quella che procede dallo Spirito. Questa affermazione dualista non va compresa in senso cosmologico, ma anzi sviluppa (in termini gio-vannei) lidea del v. 5: bisogna comprendere la nascita dallalto come un miracolo caratterizzato dalla sua inafferrabilit.

Il v. riposa su un duplice presupposto antropologico. In primo luogo les-sere delluomo determinato dalla sua origine (). Il participio perfetto (ci che nato o ci che stato generato) mostra che tale origine, posta nel passato, determina il presente (cfr. 1,13).

Questa origine in rapporto con la comprensione che lessere umano ha di se stesso, o meglio con il fondamento ultimo e con lorigine di tale compren-sione di s38. In secondo luogo, uno pu produrre soltanto ci che simile a se stesso. orbene, la carne () esprime lessere umano nel suo carattere effimero,nellesuepossibilitintramondane39. Lasciata a se stessa perci incapace di creare la vita autentica. Se dunque lessere umano sceglie la sfe-ra della carne quale unico fondamento e orizzonte della propria esistenza, consegnato alle tenebre e alla morte. Per ricevere la vera vita ha bisogno di una nuova origine (= di una nuova nascita []) che non dipenda dallam-bito della carne, ovverosia da ci che disponibile nel mondo immanente. Lo Spirito () rappresenta per lappunto lintervento di Dio nel mondo per dare alle proprie creature la vita autentica. Lesistenza pneumatica pu essere ipotizzata soltanto come miracolo, o in altre parole come dono divi-no. Lesteriorit della salvezza messa in evidenza nella fattispecie dal fatto chelaterminologiadellafedenonfiguranelledueprimefasideldialogo.

Il v. 7 riprende laffermazione apodittica del v. 3, tenendo conto dello-biezione sollevata da Nicodemo al v. 4. Ges precisa il suo discorso in due modi. Primo, se Nicodemo ha colto lantitesi sviluppata al v. 6, non deve stupirsi ( ) del fatto che la stretta contrapposizione tra la carne e lo Spirito renda la nuova nascita una necessit () ineludibile. Secondo, la transizione da una formulazione generale (v. 3) alla seconda persona plu-rale () mostra che linvito di Ges rivolto direttamente a Nicodemo, figuradeiGiudeidallafedeambigua(cfr.2,23)40. Proprio quando viene presentato come rappresentante di coloro che sanno (v. 2: ), egli

37 BeCker I, p. 164: accadimento divino. 38 Blank Ia, p. 223. 39 Cfr. E. sCHWeizer, art. , GLNT XI, col. 1365: la sfera umano-terrena

che non ha alcuna conoscenza di Dio e quindi non ne pu dare comunicazione [...] Nel suo essere il mondo non trova nulla che lo possa salvare dalla sua condizione di essere destinato a perdizione. Sullorigine veterotestamentaria dellantitesi carne-Spi-rito, si veda WilCkens, pp. 94-95.

40 Cfr. Barrett, p. 210; tHeoBald, p. 253.

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invitato a trasformare radicalmente la propria esistenza. La necessaria rina-scita che viene dallo Spirito e dunque da Dio pu allora essere oggetto diunsapereverificabile?

a tale domanda il Ges giovanneo risponde negativamente (v. 8). Nellam-bitodellanostraesperienzavisonocoseche,allafinfine,restanonascosteai nostri occhi; esse sfuggono alla nostra presa. Ci nonostante, dalleffetto chehannosudinoirisultanoefficaciereali41. Cos accade allagire divi-no. Limmagine del vento42chesoffiadovevuoleintroducenellinguaggioil carattere inafferrabile e miracoloso della nascita dallo Spirito. Essa gio-ca sul doppio senso del termine (sia vento sia Spirito). Il ven-tocertamentepercepibilegrazieaisensi,ma[]lasuaorigineelasuafinerestanoinsondabili43. Il confronto messo in atto tra limmagine e la condizione credente () culmina cos: Chiunque nato dallo Spirito ( ; si noti il participio perfetto passivo) sicuramente presente al mondo, ma questultimo non potrebbe cogliere lo Spirito che lo abita. Il mondo, infatti, non in grado di percepire lorigi-ne () o la destinazione (), vale a dire le dimensioni fondamentali dellesistenza del credente.

Riassumendo, alla domanda posta da Nicodemo riguardo alla possibi-lit della salvezza, Ges risponde cos: sia il riferimento al battesimo del v. 5sialasuainterpretazionegiovanneaaivv.6-8significanochelasalvez-za non rientra nelle possibilit dellessere umano; essa pu aver luogo solo grazie allintervento di Dio o, detto altrimenti, grazie allopera dello Spiri-to. Lesteriorit della salvezza conferita dallo Spirito implica che lo pneu-matico sia in un rapporto di distanza rispetto al mondo; nel mondo senza per appartenervi.

La terza fase del dialogo (vv. 9-12) fa comparire lincomprensione di Nicode-mo e, attraverso di lui, della sinagoga riguardo alla rivelazione cristologica44. Tale incomprensione (v. 9) si manifesta nel fatto che Nicodemo interpreta la parola di Ges in maniera mondana o, se preferite, secondo il registro dellimmanenza45. orbene, se il mondo costituisce per lappunto lorizzon-te di riferimento, lopera dello Spirito non n percepibile n plausibile.

41 tHeoBald, pp. 253-254. 42 Nella tradizione ebraica veterotestamentaria il vento appartiene al mondo di-

vino (cfr. I En. 41,3 [parlando dei segreti dei cieli, Enoc afferma: L ho visto coi miei occhi[]isegretideiventi.Hovistocomesonodistribuitipersoffiaresullaterra];siveda anche I En. 60,12; II Bar. 48,4). La letteratura sapienziale cita lesempio del vento per mostrare che vi sono realt che sfuggono al dominio delluomo (lon-duFour I, p. 395), cfr. Eccl. 11,5; Sir. 16,21; Prov. 30,4; IV Esd. 4,5. Per la concezione del vento/spi-rito nel mondo antico, cfr. dodd, Interpretazione, pp. 269-277.

43 BeCker I, p. 164. 44 Secondo lon-duFour I, p. 397, il malinteso di Nicodemo si manifesta con un du-

plice come (): se al v. 4 era la questione della condizione di possibilit a essere sol-levata, al v. 9 quella della modalit.

45 Interpretazione diversa in HoFius, Wunder, pp. 53-56.

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4. Il colloquio con Nicodemo (Giov. 2,23 - 3,21)

La risposta ironica di Ges (v. 10) che fa apparire Nicodemo come un ignorante46 legata a un postulato decisivo: se il maestro della Torah co-s privo di risorse, perch il senso della Scrittura rimane nascosto allin-fuori della rivelazione cristologica47. Colui che il maestro dIsraele (cfr. larticolo ) non possiede la chiave del suo sapere. Solo la testimonianza () resa alla rivelazione48 (v. 11), introdotta di nuovo con la for-mula amen, amen io ti dico, apre le porte a unadeguata comprensione. Le due espressioni noi parliamo di ci che sappiamo e testimoniamo ci che abbiamo visto (cfr. I Giov. 1,1-3) rimandano infatti alla rivelazione cri-stologica. Nella prima asserzione, il sappiamo () di Ges fa spazio al noi sappiamo di Nicodemo, asserito al v. 2. Il sapere rivendicato da Ge-s riguarda ci che ha appena detto. La seconda perifrasi imperniata sulla testimonianza esige due osservazioni: innanzitutto il verbo testimoniare () nel quarto vangelo indica costantemente la rivelazione cristolo-gica: evidenzia il fatto che Ges non parla da s, ma testimone; ci che sa lo ha visto presso il Padre49. Quindi, la prima persona plurale coglie di sor-presa: si deve ritenere che le testimonianze del Battista e dei primi discepoli vadanoadaggiungersiaquelladiGes?Oppuresitrattadiunpluralis ma-iestatis?Nonmoltoprobabile.Laprimapersonapluralesegnalapiuttostouna fusione di orizzonti tra il tempo pre-pasquale e quello post-pasquale. Sono le comunit giovannee a essere ormai portatrici della testimonianza cristologica davanti alla sinagoga50.

a questo noi si contrappone un voi ( ) che indica quanti, conNicodemo,rifiutanolarivelazione.Questanuovafusionediorizzontiimplicaoralasinagogafarisaica.Ilrifiutoinquestionenonfruttodiunadiscussioneportatafinoinfondo,maespressionediunadecisioneassun-ta dinanzi alla persona del Rivelatore.

Il v. 12 costituisce una cerniera tra il dialogo e il monologo, come testi-moniano da un lato la transizione alla seconda persona plurale, e dallaltro la scomparsa di Nicodemo. Non solo: a partire dal v. 13 Ges parla di s ri-correndo alla terza persona singolare.

46 Si veda il contrasto tra il noi sappiamo che ( ) del v. 2 e il tu non co-nosci queste cose ( ) del v. 10.

47 La critica che Ges fa a Nicodemo fondata nella misura stessa in cui la Scrittu-ra(cfr.Ger.31;Ez.36,25-27;Sal.87)adannunciarecheallavenutadelMessia,allafinedei tempi, lo Spirito creatore avrebbe rinnovato tutte le cose (lon-duFour I, p. 397).

48 Lespressione noi testimoniamo ci che abbiamo visto cifra della rivelazione. Cfr. Beutler, Martyria, pp. 307-313.

49 Lespressione (ci che abbiamo visto) al perfetto: il vedere rive-latore avvenuto nel passato determina il presente. Si tratta di un motivo frequente nel vangelo: (a) Ges non parla da se stesso (cfr. 5,30; 7,17.28; 12,49; 14,10); (b) il Figlio ha visto (3,32; 5,19-20; 8,38) e udito (3,32; 12,48; 17,8).

50 Cos ad es. Blank, Krisis, p. 58; lon-duFour I, p. 398; WilCkens, p. 96. Cfr. I Giov. 1,1-3, dove il ruolo di testimone ripreso dalla comunit.

Il Vangelo secondo Giovanni (1,1 - 12,50)

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Le cose della terra ( ) rimandano al colloquio sulla nuova nascita dallalto, vale a dire alla problematica antropologica della salvez-za(cfr.ivv.2-11;comepuaccederelessereumanoallasalvezza?)51, men-tre le cose del cielo52 hanno a che fare con la rivelazione cristologica (cfr. ivv.13-21:comegiungeallessereumanolasalvezza?)53. I tempi dei verbi avallano questa lettura: mentre il dire le cose terrene ha avuto luogo (cfr. laoristo ) e la questione del credere si pone nel presente (), lannuncio delle cose celesti riguarda il futuro ( ), come del resto la questione del credere che le concerne (cfr. il futuro ).Infine,lafunzione di cerniera del v. 12 avallata dal modello argomentativo scelto: il Ges giovanneo ricorre infatti allargomento a minore ad maius54, che ar-ticola molto chiaramente i versetti da 2-11 a 13-21. Se, al pari di Nicodemo, gli esseri umani sono incapaci di cogliere la loro condizione, a maggior ra-gionecomepotrannoaccederealmondodiDio?Lunicarispostapossibilea tale impossibilit risiede nel discorso di rivelazione.

Il monologo (3,13-21)

Mentre il colloquio tra Ges e Nicodemo aveva mostrato che la salvezza offerta sotto forma di una rinascita dallalto mediante lazione dello Spi-rito, e dunque che la salvezza extra nos e pu essere conferita solo a chi ri-conosce la propria ignoranza e incapacit, il monologo afferma che lazione soteriologica dello Spirito si concretizza nellinvio del Figlio.

51 Barrett, p. 212, preferisce vedere nelle cose terrene un modo di parlare ricor-rendo al linguaggio parabolico.

52 Per tHyen, p. 200, sarebbe assurdo cercare un contenuto delle cose celesti; la lo-ro menzione ha come unica funzione argomentativa quella di sottolineare lincompren-sione di Nicodemo.

53 Con, ad es., sCHnelle, p. 84; HoFius, Wunder, p. 35; tHeoBald, p. 258; WilCkens, p. 97.54 Il modello argomentativo posto in essere al v. 12 in uso nella letteratura rabbini-

ca (procedimento di deduzione Qal-wa-shomer). Il punto di accordo enunciato nella pro-posizione subordinata consente, in virt del principio di analogia, di stabilire la plau-sibilitdelpuntocontestato,formulatonellaproposizioneprincipale(segialloraamaggiorragione).AltriesempiinGiov.:5,47;6,61-62;10,35-36.Ilricorsoaquestoargomento, giocato sulla contrapposizione tra il terreno e il celeste, noto gi nellaT; cfr. Sap. 9,16: a stento immaginiamo le cose della terra, ma chi ha investigato le cose delcielo?;Test. Giob. 38,5: Se non comprendi le vie del corpo, come farai a compren-derelecosecelesti?;IV Esd. 4,10: Tu non puoi conoscere le cose di tua competenza, tra le quali sei cresciuto. Come fari allora, tu che sei un vaso di argilla, a cogliere la via dellAltissimo?;cfr.ancheIV Esd. 4,21; Sanhedrin 39a: Tu non conosci ci che sulla terra;ecomeconoscersticichenelcielo?.Materialeesaurientesulretroterrabiblicoin Blank, Krisis, p. 60 (nota 38).

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4. Il colloquio con Nicodemo (Giov. 2,23 - 3,21)

a) La traiettoria giovannea del Figlio delluomo (vv. 13-15)

I vv. 13-15 formano ununit, nella misura in cui presentano i due poli della traiettoria cristologica, ovverosia la catabasi del Figlio delluomo al v. 1355 e il suo innalzamento al v. 14.

Excursus: Il titolo di Figlio delluomo Il titolo di Figlio delluomo56 compare 12 volte nel quarto vangelo (1,51 [gli angeli

assicurano il legame tra Ges e il cielo]; 3,13 [anabasi/catabasi]; 3,14-15 [innalza-mento sulla croce]; 5,27 [giudizio]; 6,27.62 [dono della vita/catabasi-anabasi]; 6,53 [eucaristia];8,28[innalzamentosullacroce];9,35-37[identificazionediGesconilFigliodelluomo];12,23[glorificazionesullacroce];12,34[innalzamentosullacro-ce];13,31-32[glorificazionesullacroce])57. Questa breve panoramica mostra che il Figlio delluomo giovanneo presentato come linviato che viene dal cielo (cataba-si) e che vi far ritorno (anabasi). La rappresentazione accostabile a quelle della-pocalittica giudaica e della tradizione sinottica.

(a) Lapocalittica giudaica (cfr. Dan. 7,13-14 e I En. 37 - 71 [le parabole di Enoc]) conoscelesistenzadiunfiguracheverrdaDioallafinedeitempipertenereilgiudizio. Questa rappresentazione, che sembra sia apparsa allinizio del I secolo58, riprende i tratti della Sapienza pre-esistente, anchessa presso Dio e che scende a visitare il mondo prima di riguadagnare il cielo. (b) Limpiego del titolo nei sinottici rivela che Figlio delluomo utilizzato con tre diverse accezioni: divenuto un nome proprio che designa il Ges terreno; legato al destino di sofferenza di Ges (cfr. gli annunci della Passione, ad es. Mc. 8,31); attribuito al giudice escatologico cheverrallafinedelleonepresente.

Nel quarto vangelo il titolo di Figlio delluomo si distingue per le seguenti caratteristiche:(a)comeneisinottici,essofigurasolosullelabbradiGes(semprealla terza persona singolare)59. (b) Come nei sinottici, divenuto un nome proprio per designare in maniera esclusiva linviato di Dio che cammina sulla terra. (c) Co-meneisinottici,sitrattadiGesdiNazareth(cfr.lidentificazioneesplicitain9,35-37). (d) La quarta caratteristica, invece, esclusivamente giovannea: il titolo le-gato alla rappresentazione della catabasi e dellanabasi, ovverosia si integra con la concezione tipicamente giovannea dellinvio (in quanto Figlio delluomo, Ges non altri che il Cristo abbassato e innalzato). La catabasi suppone la pre-esistenza e si concretizza nellincarnazione; lanabasi pensata come ritorno al Padre (6,62), come innalzamento(8,28;12,34)eglorificazione(12,23;13,31).(e)ComemostrailricorreredeimotividellaglorificazioneedellinnalzamentoassociatialFigliodelluomo,la

55 Si veda ad es. W.a. meeks, The Man from Heaven, JBL 91 (1972), pp. 44-72; niCHol-son, Death as Departure, pp. 75-104.

56 Si veda sCHnaCkenBurg I, pp. 580-596; F. HaHn, art. , DENT II, coll. 1708-1709; tHeoBald, pp. 265-266; tHsing, Erhhung, pp. 3-4.

57 Cfr. la tabella di tHeoBald, p. 265. 58 Cfr. F. HaHn, Frhjdische und urchristliche Apokalyptik. Eine Einfhrung, BThSt 36,

Neukirchener, Neukirchen-vluyn 1998, pp. 54-58. 59 Lunica eccezione 12,34, ma si tratta di una citazione di 3,14-15 da parte della folla.

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maggior parte delle occorrenze sono orientate verso la croce (la rilettura effettuata nel periodo eucaristico [6,53] conferma questo punto di vista).

Le () che apre il v. 13 lo ricongiunge allargomento del v. 12, enun-ciando una regola che legittima la necessit della rivelazione: E nessuno salito al cielo (v. 13a). Nessuno tra gli umani ha accesso alle cose del cielo60. Si d ununica eccezione a questo principio (v. 13b), quella di colui che disceso dal cielo, il Figlio delluomo. affermando in modo categori-co la catabasi, o se preferite levento dellincarnazione (il participio aoristo [disceso]) il testo stabilisce la competenza del Figlio delluomo ad agire da Rivelatore: solo colui che ha origine in Dio pu parlare di Dio. Le cose del cielo (v. 12) acquisiscono un contorno: non si tratta di segreti celesti (come nellapocalittica o nella gnosi)61 ma esse sono svelate tramite la rivelazione cristologica, sono tale rivelazione.

Suggerendo che la catabasi del Figlio delluomo sia legata alla sua ana-basi, il v. 13b palesa un legame a un secondo livello, sebbene in modo im-plicito, con il v. 13a. Colui che disceso dal cielo altres colui che in grado di risalirvi, appunto perch la sua origine nel cielo o, in altre pa-role, presso Dio62. Pu accedere al cielo solo chi vi appartiene. Ma a qua-le anabasi del Figlio delluomo si allude implicitamente nel v. 13a63?Siaillinguaggio adottato64, decisamente tipizzato nella letteratura cristiana pri-mitiva (cfr. Ef. 4,8-10), sia limmediato contesto (cfr. lannuncio dellinnal-

60 Limpossibilit in questione gi attestata nel prologo (cfr. 1,1) e in 5,37; 6,46. Essa implica una messa in discussione di tutti coloro che pretendono di aver avuto, tramite una visione, unestasi o un innalzamento, accesso ai misteri divini. Si allude in questa sede agli indovini, ai profeti, agli apocalittici che ostentano visioni celesti. Molti esem-pi di ci sono presenti negli scritti intertestamentari: I En. 71,1: Quindi avvenne che la miaanimafuinnalzataincielo.Hovisto;II En. 1,8: Il Signore eterno ci ha mandati a te, ed ecco, tu oggi sali con noi al cielo; cfr. anche Test. Abr. 10 - 15.

61 Per i paralleli nella storia delle religioni, si veda Bultmann, pp. 105-106; o. miCHel, art. , DENT I, coll. 1362-1364.

62 aggiungendo (cfr. a* seguito da numerosi manoscritti), la tradizio-ne manoscritta ha voluto esplicitare lorigine divina del Figlio delluomo.

63 La forma al perfetto ( salito) ha suscitato discussioni. Se si applica al Gesgiovanneo,acosafaallusione?Aeventicheprecedonolincarnazione,leanabasie catabasi di Dio nellaT, di cui il Figlio delluomo sarebbe il mediatore (cos tHyen, p. 206)?OppuresidevepensareaunanabasidelFigliodelluomo,unasortadiintroniz-zazione celeste (cfr. Dan. 7,13-14), precedente lincarnazione (cos Borgen, Some Jewish Exegetical Traditions as Background for Son Man Sayings in Johns Gospel [John 3,13-14] and Context, in Lvangile de Jean, a cura di M. De Jonge, BETL 44, Peeters, Leuven 1977, pp. 243-258)?Oancorasidovrebbeevocareunanabasiintervenutainoccasionedelbattesi-mo o di una visione profetica di vocazione (BHner, Der Gesandte,pp.374-385)?Questeipotesi contravvengono sia il contesto immediato (cfr. v. 14) che luso giovanneo della terminologia dellanabasi ().

64 Lo schema ascensione-discesa proviene dalla letteratura sapienziale, dove descri-ve il destino della Sapienza: Deut. 30,1-14; Prov. 30,3-4; Sap. 9,16; Bar. 3,29; riprese neo-testamentarie: Rom. 10,6; Ef. 4,10.

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zamento al v. 14) fanno propendere per linterpretazione pasquale (cfr. 6,62 e20,17,cheidentificanoanabasidiGesedeventopasquale).Ilfattochelanabasi sia evocata prima della catabasi non basta a escludere la conno-tazione pasquale, visto che linsieme della dichiarazione tradisce un punto di vista retrospettivo.

Il v. 13 permette dunque allargomentazione di fare un passo avanti. Linterlocutore di Nicodemo il Figlio delluomo, ovverosia il Logos incar-nato,chiamatoallaglorificazione.inunasimileaffermazionechestannoil vero miracolo e la possibilit di una nuova nascita per chiunque colga nella fede lidentit di Ges.

I vv. 14-15 evocano linnalzamento del Figlio delluomo. Da una parte costituiscono la diretta risposta alla domanda del v. 9 (Come pu accadere questo?),dallaltrasviluppanoilmotivodellanabasi(cfr.v.13).Latradizio-ne giovannea sul Figlio delluomo alimentata dallantico Testamento (cfr. gi 1,51); qui fa leva su Num. 21,8-965. Linnalzamento del Figlio delluomo paragonato allinnalzamento del serpente a opera di Mos (v. 14)66. Tale legame intertestuale d luogo a un guadagno di natura ermeneutica, che si declina a tre livelli. Primo, il discorso ha una punta soteriologica: come ilserpentefissatosuunastaeraunsegnodisalvezza,cosaccadeancheper linnalzamento del Figlio delluomo. Secondo, opportuno prestare at-tenzione alla stessa immagine, dato che ha portata cristologica: il serpente fissatosullastaevocailGescrocifissoeinnalzato,segnodisalvezzapertutti gli esseri umani. Il verbo innalzare () ambivalente; in Giov., infatti,designasimultaneamentelamorteelaglorificazionediCristo(cfr.12,32-33)67.Infine,ilbisogna() segnala che la croce non il risultato di un concatenarsi di circostanze immanenti, ma il compimento della vo-lont di Dio. Limpiego del passivo divino ( essere innalzato) conferma questo punto di vista.

Lautentico miracolo che consente la rinascita sicuramente litinerario tracciato dalla catabasi e dallanabasi del Figlio delluomo, ma qui laccen-to cade indubbiamente sulla croce, punto focale di tale traiettoria. La sal-vezza legata alla croce.

65 Num. 21,8-9: E il Signore gli (= Mos) disse: Fa fare un serpente e mettilo so-pra unasta: chiunque sar stato morso e lo guarder, avr salva la vita. Mos fece un serpente di bronzo e lo mise sopra lasta; quando un serpente aveva morso qualcuno, questi guardava il serpente di bronzo e aveva salva la vita. Si veda anche Sap. 16,5-8.

66 Il v. 14 compie una lettura tipologica della Scrittura: viene stabilita unanalogia tra un passo dellaT e un evento della vita di Ges. La proposizione subordinata enun-cialafiguradicuilaproposizioneprincipaleformulailcompimentoescatologico.Ilsignificatoditaleanalogialaprovacheladempimentocristologicovoluto da Dio, tHeoBald, p. 262.

67 Le tre ricorrenze del verbo innalzare in Giov. (3,14; 8,28; 12,32-34) sono lequi-valente dei tre annunci della Passione nella tradizione sinottica.

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Il v. 15 un commento dellevangelista che spiega il senso soteriologico dellinnalzamento evocato al v. 14. Il tema della nuova nascita viene ri-preso ma formulato con parole nuove, secondo la terminologia della vita eterna ( ). Quattro aspetti meritano attenzione. In primo luogo la fede ( ) e non pi la vista, come in Num. 21,8, a dare ac-cesso alla salvezza (per Giov., la vita eterna cifra della salvezza). In se-condo luogo la fede porta con s la vita eterna qui e ora; lescatologia di carattere presentista (). Terzo, in quanto realt presente, la vita eterna non consiste innanzitutto in unesistenza che ha inizio dopo la morte natu-rale, ma ha luogo gi nel quadro dellesistenza storica sotto forma di vita in pienezza. Quarto, tale vita in pienezza inseparabile dallappartenenza a Cristo ( ). Il futuro dellesistenza credente s segnato dalla sca-denza della morte naturale, tuttavia questultima non pi pensata come il luogo di una creazione radicalmente nuova ma come lo spazio dove si conferma la vita gi ricevuta.

b) Il dono del Figlio unigenito e le sue conseguenze escatologiche (vv. 16-18)

La particella poich () indica che il v. 16 costituisce il fondamento dei vv. 14-15. Questo rapporto di legittimazione sostenuto dalle seguenti osservazioni: il v. 16c riprende il v. 15, mentre il v. 16ab interpreta il v. 14b (linnalzamento dono di Dio e il bisogna interpretato come espres-sione dellamore di Dio). Levangelista ricorre in questo caso a un ulterio-reterminologiatradizionale:seivv.13-14eranoimperniatisullafiguradelFiglio delluomo, quella del Figlio di Dio a dominare il v. 16. Il concate-namento dei motivi (amore di Dio quale orizzonte di comprensione delle-vento della salvezza _ concretizzazione in Cristo della salvezza _ portata soteriologica dellevento) noto al cristianesimo nascente, specie a Paolo68 (cfr. I Giov. 4,9-10; Rom. 5,1-11; 8,31-37; II Cor. 5,14-21).

Lamore di Dio consiste in un atto storico unico ( e so-no allaoristo!) che si concretizza nel dono del Figlio unigenito ( )69. Tale dono va inteso come espressione della libert divina. Dio vuole essere colto come colui che si offre generosamente dando ci che ha dipicaro,dipiprezioso,diunico.DandoilpropriofiglioDiodonase

68 Cfr. BeCker I, p. 172; sCHnelle, pp. 86-87; si veda la nostra analisi, punto 5. 69 Il termine (unigenito)figurain1,14.18;IGiov.4,9(cfr.ancheLc.7,12;

8,42;9,38;Ebr.11,17)eindicailfigliounico,piinparticolareilfigliounicodiunacop-pia. Per tale motivo quanto di pi caro e prezioso un padre possa avere. tHyen, p. 214, accostaGiov.3,16aGen.22,12.16;inquelpassodedicatoalsacrificiodiIsacco,langelodelSignoreparladelfigliodiAbramoricorrendoallespressionedifiglioamato( ), stabilendo in questo modo uno stretto legame tra unigenito e amato.

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4. Il colloquio con Nicodemo (Giov. 2,23 - 3,21)

stesso. Ma il donarsi di Dio nella persona del Figlio designa linsieme della vitadiGes,opispecificamentelamorteincroce70?Ilv.17,cheesplicitailmotivo del dono con quello dellinvio (), avalla la prima ipotesi: il dono del Figlio consiste nel suo invio, di cui la croce il punto culminante71.

Tale amore senza limiti di Dio rivolto al mondo intero ( )72, universale nel pieno senso della parola (nessuna condizione preliminare, nessuna discriminazione)73. Lamore di Dio creativo (v. 16c): non empa-tia con il mondo, ma trasformazione del mondo poich pone in discussione la potenza della morte e offre la vera vita. Questo agire divino ancor pi necessario se si considera che ogni essere umano, senza eccezione alcuna, si trova nella perdizione (... ). La sola risposta possibile per riceve-re la vita la fede ( ... ). Questultima si concretizza nellaccettazione del dono del Figlio di Dio, espressione del suo amore. La fede non consiste perci nellaccoglienza di un determina-to insegnamento dogmatico o di una visione del mondo, ma nel confessa-re la presenza amante e creativa di Dio nella persona di Ges di Nazareth.

Lasimmetria della salvezza sottolineata ai vv. 17-18. La particella poich () segnala la messa in opera di un chiarimento dal contenuto fortementesignificativo74. Se il v. 16 si era limitato a sottolineare laspetto soteriologico, il v. 17 ne d la ragione. Il tema del giudizio, legato tradizio-nalmente alla rappresentazione del Figlio delluomo, fondamentalmente reinterpretato. In contrasto con la tradizionale rappresentazione del giudi-ziofinale,lapreponderanzadellasalvezzaaesseresottolineata.

Si notino tre aspetti. Il dono del Figlio presentato ricorrendo alla catego-ria dellinvio (: aoristo!). Ci vuol dire che il Figlio dato al mondo il rappresentante di Dio nel mondo, o meglio il volto di Dio per il mondo.

70 Propendono per uninterpretazione incentrata sulla croce tHsing, Erhhung, pp. 9-10; BroWn, p. 176; HoFius, Wunder, p. 65; Frey, Eschatologie III, p. 288.

71 Con sCHnelle, p. 87; tHeoBald, p. 270. 72 il solo passo del vangelo a presentare il mondo quale destinatario dellamore

diDio.In13,1siaffermariguardoaGescheamisuoisinoallafine;in17,9Gesintercede per i discepoli e non per il mondo. altrimenti, la nozione di amore caratte-rizza il rapporto di Dio con suo Figlio (3,35; 10,17; 15,9.10; 17,23.24.26) e con i discepoli di suo Figlio (14,21.23; 17,23.26). Cfr. tHeoBald, p. 270.

73 Sia HoFius, Wunder, p. 66 (Non lumanit nella sua totalit numerica, bens sono colorocheilPadrehadatoalfigliodalmondo[17,6;cfr.15,9]),siakammler, Chri-stologie,p.66(LEvangelistaquiintendepiuttosto[]unametonimia,laparteperiltutto, riferendosi con tale sineddoche solo alla parte del mondo degli uomini eletti alla salvezza), vorrebbero limitare tale universalit allinsieme degli eletti. Una simile com-prensione del mondo smentita dal v. 17, che presenta per lappunto lazione di Dio come un atto damore teso a salvare il mondo in quanto tale dalla perdizione. Inoltre, la condizione di accesso alla salvezza espressa in modo esplicito la fede, possibilit of-ferta a tutti (cfr. sCHnelle, Antidoketische Christologie, pp. 210-212).

74 Il v. 17 riprende, riformulandolo, il v. 16: al posto della terminologia dellamore vi ora quella dellinvio, e invece dellalternativa tra perdizione e vita eterna vi quella tra giudizio e salvezza.

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Quindi, tale invio ha portata escatologica. Le nozioni e le rappresentazioni impiegate nei vv. 16-17 hanno una tonalit escatologica (v. 16: [pe-rire], [avere la vita eterna]; v. 17: [giudicare], [salvare]). Esse segnalano che, per Giov., lagire escatologico di Dio non av-vienesottoformadiungiudiziodecisivoallafinedeitempi,mamediantelincarnazionedelFiglio.Infine,segiilv.16avevapostoinrilievoilcarat-tere positivo della venuta del Figlio, il v. 17 approfondisce questa dimensio-ne soteriologica. La venuta del Figlio non orientata innanzitutto verso la condanna e la punizione ( il senso di in questa sede, cfr. lo scenario apocalittico), ma soteriologicamente. Il dono della vita per il mondo intero pi forte, pi determinante che non la minaccia del giudizio-condanna.

Il v. 18 ha la funzione di approfondire la preponderanza della salvezza a livello antropologico. Esso contrappone () la posta escatologica in gio-co in due atteggiamenti, quello del credente ( ) e quello del non credente ( ), ponendoli peraltro in un rapporto re-ciproco di asimmetria75. Il verbo giudicare () descrive qui la con-danna al momento del giudizio escatologico. Non si deve tuttavia pensare al classico scenario apocalittico, poich tale sanzione avviene nel presente76 e ne autore lo stesso essere umano. quanto palesa la proposizione cau-sale ()delv.18c:rifiutandodicrederenelFigliounigenitochelessereumano attira su di s il giudizio, ovverosia resta chiuso nella propria per-dizione. Il non credente dunque non in cammino verso il giudizio, ma lo ha alle spalle. Il credente, per contro, preservato dal giudizio, che non fa pi parte del suo futuro. Questa concezione giovannea dellescatologia sa ripresa e sviluppata in 5,24-25.

c) Il giudizio e le opere (vv. 19-21)

I vv. 19-21 sono al tempo stesso in continuit e in discontinuit con i vv. 16-18. In continuit, dato che la questione centrale affrontata quella del giu-dizio a cui d luogo la venuta del Figlio, giudizio che sfocia nella perdizione definitivadegliuniedeglialtri,maanchenellasalvezzadialcuni.Conti-nuit, inoltre, poich sono gli stessi esseri umani che, con il loro comporta-mento,sancisconoillorodestinodefinitivo.Discontinuitperchiltitolodi Figlio unigenito/di Dio sostituito dallantitesi luce-tenebre, perch la terminologia delle opere prende il posto di quella della fede e dunque perch il vocabolario etico sembra prevalere sugli annunci soteriologici.

75 Cfr. Weder, Lasymtrie du salut, p. 163. 76 Cfr. il tempo dei verbi: (non giudicato) un presente, mentre

( gi giudicato) un perfetto che descrive come una decisione assunta nel passato determini il vissuto presente.

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4. Il colloquio con Nicodemo (Giov. 2,23 - 3,21)

Il lettore posto di fronte a uno slittamento di senso: se i vv. 13-15 affer-mavano che linnalzamento sulla croce era fonte di vita eterna per i creden-ti, se i vv. 16-18 annunciavano che linvio del Figlio, espressione dellamore diDio,costituivaleventoescatologicoilcuisignificatoeravitaeternaperla fede e giudizio per lincredulit, i vv. 19-21 affrontano in maniera retro-spettiva leffetto di tale evento escatologico.

Il v. 19 riprende la tematica del giudizio/condanna (), gi affron-tataaivv.17e18,ondedarlemaggiordefinizione.Ilverdettoannunciato() senza appello: la venuta77 della luce nel mondo con cui si deve intendere levento dellincarnazione, annunciato qui negli stessi termini del prologo (cfr. 1,9) svela e sancisce lincredulit universale78. allamore di Dio per il mondo (v. 16: ) si contrappone simme-tricamente lamore degli uomini per le tenebre (... ). Lespressione gli uomini ( ) descrive linsieme dellumanit, non una categoria particolare che sarebbe quella dei non credenti, contrapposti ai credenti79. Il giudizio-condanna enunciato al v. 19 si realizza nel fatto che gli esseri umani restano prigionieri delle tenebre, ovverosia di un mondo senza Dio, dal quale sono assenti la vera vita e la verit. Cos come nel v. 18b, il giudizio escatologico si compie nelloggi della storia. Il giudizio si identi-ficacolfattochegliuominiallontananolosguardodallalucechevenuta80.

Le opere malvagie costituiscono il motivo addotto per spiegare ( [poich])81 questo rifiutounanime.Cosa sideve intendereper operemalvagie ( )?Sidevepensareaunadeficienzamoralequa-lecausadelgiudizio-condanna?82 La spiegazione di respiro troppo limi-tato, dato che il comportamento umano non pu essere scisso da ci che lo fonda. infatti la scelta delle tenebre a concretizzarsi nelle opere mal-vagie;dettoaltrimenti,lincredulitmanifestatanelrifiutodelFigliosfo-cia nel disordine etico stigmatizzato dal v. 19c83. Tale disordine etico non puntuale ma duraturo, come attesta limperfetto (erano).

Il v. 20 ricorre a un argomento basato sullesperienza comune ( [chiun-que]) per legittimare ( [poich]) laffermazione del v. 19. Cos come

77 Si noti che la forma al perfetto ( venuto) presenta un evento avvenuto nel passato ma che determina il presente.

78 Bultmann, p. 113, e Blank, Krisis, pp. 95-96, pensano che i due sensi di (sve-lamento e condanna) siano legati, mentre HoFius, Wunder, pp. 69-70, seguito da tHeo-Bald,p.272,considerailsolosignificatodicondanna.

79 Cos, giustamente, HoFius, Wunder,p.69.Questorifiutochefadelmondounamassa perditionis a sua volta gi attestato nel prologo (cfr. 1,5.10-11).

80 Weder, Lasymtrie du salut, p. 181. 81 Blank, Krisis, pp. 101-102, seguito da tHyen, p. 221, pensa a un poich ()

consecutivo o esplicativo (cfr. 4,37.44; 5,19.22.46b; 7,1.4; 9,30). 82 Cos sCHnaCkenBurg I, pp. 575-576. 83 Cos BroWn, p. 195: I facitori di male sono increduli, mentre opere buone e fede

vanno insieme.

Il Vangelo secondo Giovanni (1,1 - 12,50)

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i malfattori dissimulano i loro misfatti per evitare di essere scovati84, allo stesso modo succede nel caso degli autori di opere malvagie. anche qui, tuttavia, la nozione di luce ( ) ha una dimensione metaforica (cfr. v. 19). Chi compie il male non solo cerca di nascondersi, ma odia () laluce,eciosiimpegnaattivamentearifiutareGes,inquantosevenissea lui sarebbe posto dinanzi alla propria perdizione e vedrebbe distrutto il proprioprogettodivita.Laproposizionefinale() che chiude il v. ricorre a un verbo () dotato di un senso forense in Giov. (cfr. 8,46 e 16,8) e che vuol dire rendere pubblico. Ci a cui lautore di opere malvagie vuole sfuggire la messa in piazza del carattere pernicioso dei suoi atti che con-seguirebbe necessariamente a un confronto con Ges.

Il v. 21 prospetta la possibilit opposta (), e cio quella della venuta al-la luce di coloro che fanno la verit. a prima vista la dichiarazione sembra in contraddizione col v. 19: se gli uomini nel loro insieme hanno preferito le tenebre, come possibile che alcuni di loro ci nonostante vengano alla luce,ovverosiaaGes?Laporia,checonsistenelconstatarealtempostes-soilrifiutouniversaledellaluceelasuaaccettazionedapartedialcuni85, colma di senso se, in primo luogo, si tiene a mente laffermazione centrale dei vv. 3-11, ovverosia che la nuova nascita non rientra nellambito del-le possibilit umane, ma pu darsi solo quale dono di Dio, e se, in secondo luogo, si presta attenzione alla formulazione utilizzata in questo v. 21. Il te-sto, infatti, non contrappone alle opere malvagie stigmatizzate ai vv. 19-20 le opere buone, ma un fare la verit ( ; cfr. I Giov. 1,6). Lespressione nota allantico Testamento e indica unazione conforme alla volont di Dio86.Laverit,inGiov.,designapispecificatamentelareal-t di Dio manifestata in Ges. Pu fare la verit solo chi radicato nella verit (18,37: ). La pratica della verit non pu dunque essere separata dalla fede87.Laconfermavienedallaproposizionefinaleche chiude il versetto: poste in piena luce, le opere () compiute da chi fa la verit si rivelano opere fatte da Dio stesso ( )88. Le opere di chi va verso la luce si rivelano perci opere che hanno origi-neinDioechepossonoesserecompiutesolamentedachihabeneficiatodel dono della nuova nascita.

84 Largomento ampiamente attestato nel mondo antico, cfr. Bauer, p. 61; NW I/2, pp. 169-171; Is. 29,15; Test. Mos 7,7; Ef. 5,12.

85Questamodalitgiovanneadiargomentazionefiguraugualmentein1,11-12ein3,32-33.

86 Cos Blank, Krisis, p. 106. Cfr. le ricorrenze di fare la verit ( ) nella LXX: Gen. 32,11; 47,29; Is. 26,10; Tob. 4,6; 13,6; nel giudaismo intertestamentario: Test. Ben. 10,3.

87 Cfr. HoFius, Wunder, pp. 72-73. 88 La preposizione pu essere compresa sia in maniera locale (in) che strumenta-

le (da/tramite). Weder, Lasymtrie du salut, p. 182, propende per il senso strumentale.

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4. Il colloquio con Nicodemo (Giov. 2,23 - 3,21)

ConClusione Il sommario (2,23-25) che offre il punto di partenza della sequenza in-

dica da subito la tematica che sar sviluppata nel cap. 3, e cio il rapporto dellessere umano con il divino manifestato nella persona di Ges. La folla di pellegrini soggiogata dal miracoloso associato alla prassi di Ges, ma non ne coglie il senso corretto. Ges, invece, si caratterizza per un autenti-co sapere che non si concentra sul mondo divino, ma mette a nudo lessere umanofinnellasuainteriorit.

Come instrada Ges i suoi ammiratori89 in preda allo smarrimento ver-solautenticascopertadiDioedelsensodellalorovita?Sulleprimescegliela via del dialogo (3,1-12) accogliendo Nicodemo che venuto a conversare con lui. Non si tratta per di un dibattito in cui domande e risposte si ina-nellano armoniosamente, gli interlocutori condividono le stesse premesse e concordano sul modo di argomentare. Ges ricorre a un linguaggio di cam-biamento, crea costantemente uno scarto rispetto alle attese e alle convin-zioni di Nicodemo. Invita cos il suo compagno di discussione a mettersi in cammino, alla scoperta di possibilit inattese.

Ci che invitato a cogliere il possessore di un sapere tradizionale il fatto che lessere umano totalmente sprovveduto dinanzi alla questione fondamentale della salvezza, non in grado con i propri mezzi di stabilire un rapporto con Dio e, di conseguenza, di scoprire lautentico fondamento della propria esistenza. La nuova nascita di cui ha bisogno pu avere luo-go solamente sotto forma di un dono incondizionato, il dono dello Spirito o, in altre parole, la venuta a lui di Dio. Solo il miracolo del Dio che viene pu strapparlo alla sua alienazione, con cui bisogna intendere una vita il cui unico punto di riferimento il mondo immanente.

Aquestariflessioneantropologicasottoformadiundialogoincentratosulla questione di sapere come lessere umano possa accedere alla salvez-za, succede un monologo (3,13-21) che annuncia il movimento inverso, ov-verosia il modo con cui Dio viene allessere umano. Se infatti la salvezza pu essere soltanto un dono divino si pone la questione di sapere come ta-le grazia avvenga nella storia umana. Il dialogo non pi la forma ottima-le di un simile annuncio, ma solo il monologo, o se preferite il discorso di rivelazione, pu rendere ragione della libert divina che precede qualsiasi iniziativa umana.

89 Sullesempio di Nicodemo, Kierkegaard distingue tra ammiratore e imitatore: Ni-codemo era un ammiratore; il pericolo della realt era per lui qualcosa di troppo; per-sonalmente desiderava tenersi fuori. Ma, daltra parte, la verit lo interessava al punto cheeglicercdimettersiinrapportoconessa.[]Infattiunatteggiamentologicoesensato dire di una dottrina che in essa c qualcosa di vero, senza cambiare per questo la propria vita, in S. kierkegaard, Esercizio di cristianesimo, Piemme, Casale Monferra-to (al) 2000, pp. 350, 352.

Il Vangelo secondo Giovanni (1,1 - 12,50)

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La rivelazione di cui d conto il Ges giovanneo alla terza persona sin-golare si declina in tre modi. In primo luogo, il dono divino si concretizza inunapersonastorica,identificataconilFigliodelluomo(3,13-15).Que-sto titolo consente di coprire lintera traiettoria cristologica: la sua origine presso Dio, la sua venuta e il suo ritorno al Padre mediante linnalzamen-to sulla croce.

TaletraiettoriachequalificalavitaelamortedelGesgiovanneohasenso solo in quanto porta la vita in pienezza a chiunque sia disposto ad accoglierla. La questione della possibilit della salvezza che era stata posta al v. 3 trova qui la sua risposta.

Litinerario del Figlio delluomo quindi oggetto di unesplicitazione (3,13-17). presentato come lunica espressione storica dellamore di Dio, il quale d ci che ha di pi caro, il Figlio unigenito, per strappare gli es-seri umani nella loro totalit alla perdizione, vale a dire alle tenebre e alla morte. Questo dono caratterizzato dallasimmetria: la volont di salvezza di Dio manifestata in Ges eccede chiaramente la sua volont di giudizio. Larticolazione della problematica del giudizio con la venuta di Ges porta a una rivalutazione dellescatologia: nellincontro col Figlio che ogni essere umano decide il proprio destino: o accogliendo la rivelazione nella fede, e sfuggendointalmodoalgiudizio-condanna;orifiutandolarivelazione,ediventandointalcasolarteficedellapropriaperdizione,inquantoprigio-niero per sempre di un mondo in cui Dio non ha alcun posto.

Infine,latematicadelgiudiziovieneripresaretrospettivamente(3,19-21).La venuta della luce mostra che tutti gli esseri umani vivono in un mondo senza Dio, come palesano le loro opere malvagie, che non sono altro che il rovescio della medaglia della loro ribellione. Solo il sopraggiungere della lucescardinaunasimileperdizione.Sealcunirifiutanoinmanieraattivala fede in Ges, per paura che il loro credere e il loro fare siano messi pie-namente a nudo e smascherati per quello che sono: mera impostura. Se per contro altri accettano nella fede la venuta del Figlio, scopriranno che, per il nuovo fondamento che hanno ricevuto per la loro esistenza, Dio agisce nella loro vita per suscitare opere che ne attestano la presenza.