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Storytelling. Appunti per una strategia di comunicazione sociale

di Gaia Peruzzi

Imparare a raccontare storie per ottenere maggiore visibilità e cornici di interpretazione più adeguate per i temi sociali nell’immaginario popolare: questo è il fine “alto” sul quale sono stati modellati gli obiettivi e le attività didattiche del Laboratorio di Comunicazione sociale 2013.

Perché scegliere di investire, fra le tante strategie comunicative disponibili per le organizzazioni, proprio sullo storytelling? Possiamo addurre almeno tre ragioni a sostegno di questa scelta.

1. Perché la comunicazione sociale, per uscire dalle nicchie in cui è confinata e raggiungere i grandi pubblici - ovvero gli altri, coloro che non conoscono il mondo del volontariato e del Terzo Settore, coloro che non sono già interessati, già sensibili alle sue questioni - ha bisogno di strategie potenti, attraenti e popolari. E raccontare storie è per l’appunto una delle tecniche più efficaci che gli esseri umani possiedono per coinvolgere: le storie hanno il potere di costruire realtà, e di immergervi il pubblico, facendogli conoscere nuove situazioni, immedesimarsi in altri soggetti, percepire nuove prospettive. 2. Perché la comunicazione sociale ha bisogno di vincere quella malattia grave che è l’autoreferenzialità, e raccontarsi è una pratica dalle virtù terapeutiche riconosciute. Narrarsi significa far ordine al proprio interno, dar forma al proprio vissuto, aprirsi all’esterno: è un esercizio che ha implicazioni identitarie inevitabili, e che può diventare un’occasione fondamentale di comprensione di sé, delle proprie contraddizioni, dell’altro. 3. Perché la comunicazione sociale ha bisogno di travalicare i confini delle due aree in cui si è costretta nel tempo - le campagne pubblicitarie e l’informazione “alternativa” - e diffondersi in tutti i tipi di media, “vecchi” e “nuovi”, come da tempo fanno le altre comunicazioni della sfera pubblica, prima di tutte la commerciale, ma ormai anche la politica. E le storie sono proprio uno dei format più flessibili e trasversali della comunicazione: trame ideali sia per i prodotti di intrattenimento (film, romanzi), che per quelli dell’informazione (reportage, documentari); capaci di plasmarsi nei tempi e nei linguaggi dei mass media, quanto in quelli di Internet e delle nuove tecnologie digitali. Dunque, storie di volontari, di disagio, di dolore e di denuncia; storie di diritti e di solidarietà; narrate dagli operatori e dalle associazioni, o da questi ricercate e raccolte, nelle regioni e fra i problemi del Sud: analizzarle, scriverle, riscriverle, sceneggiarle, confezionarle in racconti brevi, lunghi, in video, con foto, su blog. Questo sarà il lavoro dei miei formatori, e delle loro aule, nei prossimi mesi.