Storie di legalità

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"Percorsi di legalità" - rete di scuole della provincia di Chieti.

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Edizione, progetto grafico e impaginazione a cura di:

Rete di scuole Percorsi di legalità

Redazione testi a cura delle Scuole della Rete

Disegno di copertina a cura di:

Istituto Comprensivo M. Buonarroti - Ripa Teatina (CH)

Stampa:

Anno 2014

Con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti

In collaborazione con la Prefettura di Chieti

Percorsi di LegalitàRete di scuole della Provincia di Chieti

STORIE DI LEGALITÀPREFAZIONE DI MICHELE GAGLIARDO

POSTFAZIONE DI MARIO SCHERMI

I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi

di onestà, di coerenza e di altruismo

Sandro Pertini

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Sono profondamente colpito dalla ricchezza degli stili e delle forme espressive utilizzati dai ragazzi per le proprie composizioni che narrano, raccontano, fanno rivivere esperienze e testimonianze, dimostrando quanto importante sia il percorso formativo volto alla acquisizione di strumenti nuovi di lettura di quei contesti di vita, anche quotidiana, in cui si può/si deve “praticare” il senso di vivere i valori della giustizia, della solidarietà e dell’impegno civico.

Questa pubblicazione è senz’altro una tappa matura della proposta educativa avviata con il progetto “Percorsi di legalità” rivolto alle scuole proprio per stimolare la partecipazione attiva e creativa delle nuove generazioni alla affermazione della cultura dell’onestà, affinché abbia effettivo valore il rispetto delle regole della nostra società democratica, presupposto di libertà e di giustizia.

La strategia subdola del malaffare che riesce a contaminare menti e comportamenti fino a produrre una pericolosa assuefazione culturale a condotte illecite che esaltano il tornaconto personale e la prepotenza di tanti disvalori oggi dilaganti, richiede una progettualità educativa di forte competenza e di impatto verso i giovani per un loro coinvolgimento nella crescita della formazione di una coscienza collettiva coniugata al senso di appartenenza a una comunità e di condivisione del bene comune proprio a partire dalla scuola, dove si vivono quelle prime dinamiche e modalità di rapporto e di confronto che appartengono già alla vita sociale vera e propria.

Ecco come diventa necessario, allora, dare significato e coerenza a parole come giustizia, onestà, solidarietà, responsabilità, fratellanza, perché costituiscano valori sentiti, interiorizzati e veri.

Nella forte convinzione che tutte le istituzioni debbano collaborare nel perseguire tali finalità formative nei confronti delle nuove generazioni, la Prefettura di Chieti già da diversi anni assicura il proprio sostegno alla Rete delle quattordici scuole della provincia che ha messo in cantiere questa innovativa proposta di educazione civile.

Complimenti ai ragazzi e ai loro docenti per i lavori realizzati, che testimoniano non solo l’impegno dedicato al progetto ma anche la comprensione dell’importanza dei temi affrontati per la formazione di persone responsabili, di futuri cittadini capaci di guardare l’interesse generale come cosa più grande e più importante dei singoli interessi personali.

Il Prefetto

Fulvio Rocco de Marinis

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La Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti, che ho l’onore di

presiedere, segue da sempre con attenzione e sostiene le iniziative, assunte da alcune

scuole locali di Chieti con il patrocinio delle autorità locali, tese a diffondere la cultura

della pace, dei diritti e della legalità presso i giovani.

La motivazione va ricondotta alla volontà di aderire ad un progetto di “cantiere “ sempre

aperto al fine di contribuire a superare la statica contrapposizione tra teoria e pratica, l’una

volta ad offrire agli adolescenti modelli positivi da seguire e l’altra ad individuare

iniziative che consentano ai giovani di progredire e di superare il clima di sfiducia diffuso.

Avv. Pasquale Di Frischia

Presidente Fondazione Carichieti

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PREFAZIONE

“Finché ho un desiderio ho una ragione per vivere”, un’immagine estremamente efficace che George Bernard Show ha lasciato circa il rapporto tra uomo e desiderio. I desideri sono intimamente dotati di una potenza fuori dell’ordinario, molto spesso di difficile governo. Danno senso alle nostre vite in quanto possono rappresentare una ragione stessa di vita; spingono con forza le persone a mettersi in movimento, ad attivarsi e iniziare a lavorare. Lo fanno con energia, ma sempre senza costrizione alcuna: producono un’attivazione assolutamente spontanea, nella direzione del tentativo di colmare quella distanza generata dall’oggetto del desiderio. Se nella nostra vita, per qualsiasi motivo, viene a mancare la possibilità di desiderare, regredisce contemporaneamente quella spinta, quell’energia attivante. Tutto ciò non è insignificante per l’uomo: non è insignificante potersi proiettare attivamente verso qualche cosa in cui si crede, di cui si sente il desiderio vitale; non è indifferente sentirsi immobili, staticamente imprigionati in un quotidiano senza aperture e slanci in avanti. La sofferenza è forte, profonda; tocca la dimensione della significatività della vita. Queste esperienze sono, oggi, tutt’altro che lontane dall’uomo: si vive una sorta di “crisi del desiderio”, di fatica o impossibilità a desiderare. Viviamo in contesti sociali fondamentalmente violenti, opprimenti, nonostante l’enfasi sulla “libertà”; in società nelle quali gradualmente sta venendo meno la possibilità di proiettare lo sguardo verso modelli sociali e città differenti da quella in cui si vive, spinti dalla ricerca di una vita nella quale ci sia più senso; spinti dal bisogno di sperimentare il valore dell’impegno verso una comunità da realizzare e far crescere. A dare senso alle vite, a qualificare i processi di appartenenza, non ci sono visioni del mondo desiderabili. Non ci sono possibilità di un essere parte progressivo ed allargato, ma opportunità per pochi facenti parte di una élite di fortunati. A mettere in movimento le vite degli individui, sono le logiche del piacere e del benessere individuale, che hanno sottratto terreno all’esperienza della felicità e della cura del bene collettivo. “Se vuoi essere parte, se vuoi essere, datti da fare e conquistati gli oggetti necessari a questo scopo; ma i posti nell’élite non sono molti, quindi lotta”. Tutto si appiattisce su “oggetti” il cui possesso non mette in moto un processo, ma l’affanno compulsivo di soddisfare immediatamente il bisogno successivo. Dietro ciò che si possiede nella ricerca quasi magica di rispondere ai bisogni più radicali e profondi dell’uomo, non c’è nulla: dopo un oggetto c’è un altro oggetto; dopo aver posseduto, si sente il bisogno di possedere ancora. Tutto ciò allontana dalla realtà, dal valore dell’esperienza della ricerca, dal rispetto per sé stessi e per gli altri, atrofizza il

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desiderio e rende schiavi. Inoltre, questo modo di vivere e di intendere lo spazio di vita, se osservato dal punto di vista delle relazioni, costruisce contesti altamente frammentati e a bassa coesione sociale, caratterizzati da competizione, conflitto e paura. Attorno alle persone diventa ogni giorno più difficile riuscire a rintracciare sintomi di verità, di possibilità e di bellezza, così questi aspetti centrali nella vita degli uomini e delle loro comunità diventano sempre meno desiderabili e perseguibili. Ma il desiderio altro non è se non tensione verso il bene. Per riattivare la dimensione del desiderio e per costruire città liberanti nel vero senso della parola, ciascuno è chiamato a trovare la bellezza celata nel quotidiano; ad immettere in esso bellezza; a testimoniare che c’è differenza tra vero e falso, tra libertà e schiavitù, tra giustizia e disuguaglianza. Solo in questo modo, rompendo l’indifferenza, si potrà provocare la libertà di scegliere, la visibilità dell’esistenza di un modo altro di vivere. Il desiderio è vita, dunque, non segna la fine di un percorso, ma ne è l’elemento generativo. Se si pensa al desiderio in modo differente da ora, liberandolo dalla morsa consumistica ed individualista, noi non siamo la sorgente del desiderare, ma è il desiderio stesso il principio della soggettività personale. Se si desidera un mondo migliore da quello in cui si vive, il desiderio diviene volontà di cambiamento e, insieme, strumento di consapevolezza della possibilità di realizzare quella trasformazione immaginata, non solo per noi, ma insieme ad altri, per la comunità. Il desiderio e la vita di ciascuno di noi, per dirsi, necessitano di un grande slancio in avanti, di una spinta energica, di un altrove che porti oltre i limiti evidenti delle nostre città incapaci a condurre verso il bene e la felicità collettiva. Occorrono pensieri alti, idee di valore, che rappresentino quei traguardi dotati della capacità di liberare il senso di ogni nostro gesto, di ridestare le aspirazioni sopite, di mettersi in movimento verso città più giuste e eguali, nelle quali le persone possano sperimentare la libertà nel legame. Il percorso che le ragazze ed i ragazzi hanno fatto, accompagnati dai loro insegnanti, rappresentato in questo libro, salda fortemente la dimensione educativa dell’immaginare e del costruire un mondo più giusto e a misura di persona, con quella dell’impegno sociale, nella cura delle premesse e degli orizzonti necessari per il cambiamento. Scrivere le storie qui contenute significa dare corpo ad una “narrazione collettiva” che descrive prospettive nuove, all’interno delle quali sarà più facile non essere indifferenti ed avere chiaro verso quale orizzonte di crescita personale, collettiva e della città tendere. Un grande lavoro, che nella sua semplicità, lascia un segno indelebile circa la possibilità di rimettere in moto le nostre vite.

Michele Gagliardo*

* Formatore dell’Associazione Libera e dell’Associazione Gruppo Abele di Torino

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RACCONTIAMO LE NOSTRE STORIE PER CONOSCERE,

ACCOGLIERE E RISPETTARE L'ALTRO

Caro bambino,

vogliamo raccontarti la nostra esperienza ricca di ricordi, affetti, conquista di valori.

Vorremmo conoscerti, sapere da dove vieni, com’è il paese dove vivi, vorremmo stare tutto il giorno con te, parlarti, ascoltarti, condividere la tua cultura. Vorremmo giocare con te almeno per un mese per sapere cosa fai ogni giorno, ogni istante. Vorremmo visitare il tuo paese insieme a te per conoscere nuovi posti e scoprire meraviglie…

Tu per noi sei un bambino speciale, ogni cosa che conosciamo è bellezza per i nostri occhi e apre il nostro cuore. Forse tutto questo è un sogno, noi immaginiamo una società dove non ci sia nessuna forma di violenza, ma non esiste. Sapendo questo dobbiamo prepararci a smontare i meccanismi e le menzogne che alimentano i pregiudizi e i comportamenti razzisti per accogliere, rispettare ed amare tutti.

Abbiamo letto libri, racconti, articoli di cronaca…

Nella nostra scuola ci sono bambini di diversa nazionalità e spesso ci soffermiamo a riflettere sulle caratteristiche che diversificano un paese dall’altro: le case, i monumenti, le chiese, il cibo, la religione. Tante sono state le scoperte: ci siamo emozionati, commossi, abbiamo confrontato e condiviso le nostre storie. Abbiamo compreso la profonda ingiustizia del pregiudizio e del razzismo e l’importanza di conoscerli in modo approfondito perché non si possano affermare. Non dobbiamo avere paura ed essere diffidenti verso gli altri.

“L’essere umano ha bisogno di sentirsi rassicurato, non gli piace tutto ciò che rischia di turbare le sue certezze”.

La maggior parte delle volte la paura è alimentata dall’ignoranza, dal pensare che tutto ciò che è diverso ci possa minacciare nella nostra tranquilla vita quotidiana.

Non si dovrebbero mai giudicare le persone…Vorremmo sapere un'altra cosa, perché un italiano, un francese, un americano non giudica una persona della stessa cultura, religione, della stessa lingua, dello stesso stato ma accusa subito lo straniero? Vorremmo trovare le risposte a queste domande.

“I bambini non nascono con il razzismo nella testa”.

Un bambino non è macchiato dall’inchiostro nero e indelebile del pregiudizio.

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“Si vede bene solo con il cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi”.

Conoscere, leggere, viaggiare, ascoltare, rispettare…

Tutto questo ha lasciato nella nostra memoria qualcosa di indelebile: l’importanza dell’accoglienza e dell’amore nei confronti delle persone che hanno una provenienza diversa dalla nostra.

La presenza di un bambino di un’altra cultura è un’occasione preziosa: ci arricchisce e alimenta la curiosità.

“Ogni faccia è il simbolo della vita e ogni vita merita rispetto”.

Cominciamo noi ad accogliere l’altro perché tutti i bambini hanno diritto di giocare, di correre, di essere curati, di andare a scuola, di essere protetti.

Tutti hanno diritto alla vita!

Speriamo di incontrarti presto, ciao amico! Classe 5 Scuola Primaria Vacri

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LETTERA AD ASIFA, UNA BAMBINA PAKISTANA

Asifa, ci presentiamo: siamo gli alunni della classe 5^A della scuola primaria di Bucchianico, cioè alcuni dei

sostenitori della tua adozione a distanza. Siamo felicissimi di scriverti anche perché abbiamo ricevuto ogni tua lettera e seguiamo i tuoi progressi! Ci sentiamo molto orgogliosi di contribuire con il nostro piccolo aiuto alla tua istruzione! Sai, Asifa, noi siamo certi che per te andare a scuola è un privilegio. Oggi tu hai la possibilità di imparare e di mangiare, evitando di lavorare. Per noi invece la scuola non è sempre piacevole: a volte ci pesa e a volte ci scontriamo con le regole da rispettare o con chi ci dice come e cosa bisogna fare! Però comprendiamo che è molto importante studiare perché solo cosi sapremo scegliere, ragionare e vivere con dignità il nostro futuro. Nel nostro paese la Costituzione Italiana, cioè la legge del nostro Stato, garantisce ad ogni bambino il diritto a essere istruito, ma questo nella realtà non sempre avviene. Cara Asifa, lo sai che in Italia milioni di persone sono analfabete e che, di queste, moltissime sono i bambini poveri dell’Italia del Sud? Questi ragazzi invece di andare a scuola, spacciano droga, cioè vendono la “morte”. Diventano “pusher”, “bambini invisibili”, che vivono in strada e di cui lo Stato non riesce ad occuparsi. Vengono adescati, usati e sfruttati per fare “lavori” non proprio legali. Abitano in quartieri poveri, come “Le Vele” di Scampia, un quartiere di Napoli, dove è possibile trovarli a vendere droghe come eroina, hashish, cocaina, a ogni ora del giorno e della notte! Tu, nel tuo paese, non avevi la possibilità di andare a scuola perché dovevi aiutare la tua famiglia nei lavori domestici! Anche in Italia questi bambini che vivono ai margini della società, con famiglie fragili alle spalle, non vanno a scuola perché sono costretti a portare soldi alle loro famiglie. Solo che il loro guadagno è “sporco”! Entrano fin da piccoli nel giro della criminalità organizzata che in Italia ha diversi nomi: “Cosa Nostra”, “Camorra”, “'Ndrangheta”, “Sacra Corona Unita”. Queste organizzazioni malavitose si occupano di cose bruttissime: trafficano e spacciano droghe, ricattano chiedendo soldi a chiunque svolge lavori in proprio, smaltiscono illecitamente rifiuti, riproducono falsi di ogni merce, sfruttano le ragazze costringendole a prostituirsi, commerciano armi, costruiscono edifici con le loro imprese vincendo appalti, cioè ottenendo lavori, in modo scorretto.Nel tuo paese, il Pakistan, ci sono le mafie? Sappiamo che anche dove vivi tu, non tutti hanno il diritto di parlare liberamente, specialmente se donne! Una tua conterranea, Malala Yousafzai, lotta per il diritto all'istruzione di tutti i bambini e per la libertà di pensiero di tutti gli uomini! In Italia, nei luoghi delle mafie, non esiste il diritto di

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esprimersi liberamente e in queste zone le persone vivono tra ricatti, omicidi, nella paura di denunciare ciò che vedono e ciò che sentono ogni giorno! C’è qualcuno però che ha coraggio e lotta contro questo sistema rischiando e dando la propria vita, così come fa Malala. Vedi Asifa, qui si ricordano ogni anno le persone uccise dalle mafie: i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e le loro scorte, Don Pino Puglisi, Don Peppe Diana e tantissimi altri che hanno avuto la forza di ribellarsi in nome della giustizia. Ci sono anche persone ancora vive che denunciano queste violenze e questi traffici illeciti e che per questo sono costrette a vivere sotto scorta, protetti giorno e notte! Ci sono altri che entrano nel sistema delle mafie, e poi, a loro rischio e con grande fatica, riescono a uscirne. É successo a molti, anche a Davide, che alla tua età, fin da piccolo, abbandona la scuola per pascolare capre e aiutare la sua famiglia molto povera. Viene attratto dai camorristi: in cambio di soldi “facili” deve spacciare droga. Davide inizia una vita di ricchezze: non deve leggere, non deve scrivere, non deve studiare ma solo vendere sostanze che uccidono chi le usa e arricchiscono chi le vende. Diventato ragazzo, viene arrestato due volte e in carcere capisce che sta sbagliando tutto, che sta uccidendo con quello che vende, che è importante vivere per ammirare e costruire la bellezza che la vita può dare. Comincia a leggere e decide di dire “no” alla Camorra. Oggi lotta per le cose giuste, per liberarsi dal potere dell’autorità che nega la possibilità di vivere nelle giustizia e nella legalità, per recuperare i bambini che come è successo a lui, non vanno a scuola e sono adescati dalle mafie. Lui dice di mangiare più libri che pane e che solo lo studio e l'impegno possono rendere liberi di pensare! La scuola è l'unica alternativa che può combattere, attraverso la conoscenza, chi ci vuole fragili e deboli, incapaci di scegliere e di capire. Perciò siamo felicissimi che anche tu Asifa, un giorno, nel tuo futuro e insieme a noi, possa crescere, per diventare libera di decidere e di capire, libera di pensare! La speranza in un mondo migliore è di tutti! Ti salutiamo con grande affetto.

Classe 5A Scuola Primaria Bucchianico

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IL COLORE DELL’AMICIZIA

Amir, bambino Nigeriano, incontra un coetaneo Italiano con il quale stringe subito amicizia. I due sono accomunati dalla convinzione che la diversità culturale sia una ricchezza inestimabile e immensa.

Il mio nome è Samuele, sono un bambino Italiano. Ero povero, mia madre non lavorava, mio padre era disoccupato e per questo venivo escluso e, rispetto ai miei compagni di classe, osservavo il mondo da un’altra

prospettiva. Quando a mio padre fu offerto un lavoro in Nigeria, non ci pensò due volte e partì con la sua famiglia per l'Africa.

Così è cominciata la storia di una bella e lunga amicizia con Amir.

Amir avrebbe tanto voluto conoscere Samuele, ma non aveva il coraggio di presentarsi. Ma un giorno Samuele: “Ciao sono Samuele e vengo dall'Italia, come ti chiami?”

Amir: “Ciao, mi chiamo Amir”

Samuele: “Sembra simpatica la tua famiglia!”

Amir: “In verità, non è proprio la mia autentica famiglia e ti assicuro non è per niente simpatica”

Samuele: “Come, che vuoi dire?”

Amir: “Quando ero piccolo sono stato venduto per venti dollari e ora mi ritrovo a lavorare sempre, insomma sono stato reso schiavo”.

Samuele: “Mi dispiace tanto però sai una cosa? Non devi avere mai paura di alzare la voce contro l'ingiustizia, la menzogna e l'avidità. Devi far valere i tuoi diritti perchè i bambini e gli adolescenti sono cittadini pieni di risorse, in grado di contribuire a costruire un futuro migliore per tutti.” Amir: “Sai che ti dico? Hai ragione. Se solo ne avessi il coraggio...”

Samuele: “Domani, a quest'ora, ti andrebbe di uscire? Ho voglia di esplorare il tuo villaggio”.

Amir: “Si, d'accordo, mi inventerò qualcosa con i miei”. Il giorno dopo si incontrano nel posto stabilito e dopo essersi sfidati in giochi e aver fatto un po’ di schiamazzi, stanchi e soddisfatti dell’incontro, cominciano a parlare. Samuele: “Sai, anch'io ho una storia un po' triste... ero povero, e a scuola venivo sempre emarginato dai miei compagni perché mi consideravano diverso, oltretutto credevo nell’uguaglianza, nei diritti di tutti e venivo deriso per le mie riflessioni. Finalmente adesso ho trovato qualcuno che ha le mie stesse idee e che mi capisce”.

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Amir: “ Anche per me è così”. Mentre cammina Amir accelera il passo, e Samuele, rimasto indietro, si ricorda di alcune parole lette in un libro e gli dice: “Non camminare davanti a me, potrei non seguirti, non camminare dietro di me, potrei non guidarti. Cammina accanto a me e sii mio amico”. E così i due amici riprendono “la strada” l’uno a fianco all’altro. A un tratto Samuele chiede ad Amir cosa avrebbe voluto fare da grande e quegli risponde: “L’infermiere o magari il medico, sì il medico, oh... ma io, essendo povero, ho solo questi sogni. E i miei sogni ho disteso sotto i piedi dei miei genitori. Dovrebbero camminarci leggermente, invece li calpestano brutalmente.”

Trascorrono alcuni mesi e i due ragazzi diventano come fratelli e ora Amir è consapevole che deve far valere i suoi diritti. Un giorno, andando dai suoi genitori... “Non posso più sopportare questa situazione: vi odio! Ho deciso di andarmene, lontano, in Italia, non avrò più barriere. Andrò con Samuele”. Il padre di Samuele, a termine del contratto e dopo aver ricevuto una cospicua somma di denaro, ha l'opportunità di ritornare in Italia e poiché Samuele non vuole lasciare l’amico, accetta che Amir entri a far parte della sua famiglia, per una nuova vita. I genitori di Amir cercano di fermarlo, ma il ragazzo scappa, prende il primo volo con la nuova famiglia e atterra a Roma. Nella nuova casa, nel nuovo mondo Amir sembra più sicuro e convinto che ora tocchi a Samuele superare le difficoltà. “Samuele, dal momento che io ho affrontato i miei genitori, tu avrai il coraggio di affrontare i tuoi compagni?” Samuele: “Sì, ci proverò, perché se lo vogliamo possiamo, sai quel modo di dire –Volere è Potere?”

Dopo alcuni giorni Samuele racconta tutto quello che si era verificato in classe: “Li ho affrontati uscendone vittorioso, anzi sono contento del comportamento dei miei compagni di classe perché ora hanno accettato anche te Amir!” I due amici uniti più che mai dal senso di rispetto e di equità sociale, trascorrono stupende giornate insieme, cercando di aiutare chiunque fosse in difficoltà.

Dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia: Artt. 31-32 Il bambino ha il diritto di giocare, di riposarsi e di svagarsi … Il bambino non deve essere costretto a fare dei lavori pesanti o rischiosi per la sua salute …

Giorgia De Leonardis, Manuela Cappelli, Manuel Di Luzio e Sergio Nedelcu. Classe 1A Scuola Secondaria di 1 grado

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LA FIABA DELLA LAVANDA

In un piccolo villaggio sconosciuto, incorniciato da verdi prati, maestose montagne e interminabili valli, viveva una dolcissima e giovane donna di nome Dalia. La sua vita trascorreva felice con il marito George, un uomo dal carattere severo, ma assai rispettoso e dal cuore generoso. Dalia aspettava una bimba. I due genitori erano impazienti di vederla nascere per poterla coccolare. Un bel mattino di primavera, la piccola arrivò, come una goccia di rugiada fresca e trasparente. La bimba cresceva tranquilla, serena, calma come le dolci acque del lago che si stendeva nella vallata. Tra gli spensierati giochi e i lunghi sonnellini il tempo passava veloce. La natura verdeggiante ad ogni primavera si risvegliava in mille colori sfavillanti e… Viola (così l'avevano chiamata i suoi genitori, perché ricordava la viola mammola, personificazione della calma) trascorreva le calde giornate all'aria aperta a rincorrere le impalpabili e variopinte farfalle.Una mattina mentre la mamma stendeva il bucato sui cespugli di rose, la bambina intenta a raccogliere dei fiorellini si sentì pungere da un'ape piccola e malefica. Le Stigi, padrone indiscusse e dispotiche, di quelle terre, che amavano intristire gli uomini, appena scoprirono che era nata Viola, una bambina davvero speciale, decisero di farle un maleficio. In una notte oscura, quando ormai non riusciva più a dormire, Viola si accorse che era diventata una triste e pallida bambina, che non amava più i fiori e la frescura delle piante. I suoi genitori erano preoccupati, non riconoscevano più la loro dolce figliuola. I giorni erano divenuti mesti, i campi e i monti erano bigi, la mestizia vagava nell'aria, dominava solo il silenzio. Il Signore delle Stigi, soddisfatto, mandò immediatamente due guardie, vestite da contadine, per rapire la piccola Viola e renderla loro prigioniera. La bambina non riuscendo più a vedere il lato buono delle cose seguì le due donne che la portarono nel regno delle Stigi, un mondo senza colore, senza amore, senza pace. Il Signore delle Stigi la convinse che voleva prendersi cura di lei e con l’inganno la condusse nella stanza più alta del castello. Le fece credere che nella vita, per essere felici, bisogna essere bugiardi, senza scrupoli, malvagi, approfittatori, crudeli, prepotenti e tiranni.Viola, prigioniera dei propri pensieri e dei propri pregiudizi si beava soltanto di guardare il prato grigio, ai piedi del mastio. Il tempo scorreva lento tra le tetre pareti della prigione e la fanciulla raggiunse l'età di diciotto anni senza ricordare più cosa fosse un sorriso.

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Un giorno la giovane sentì uno strano profumo nell’aria, particolarmente piacevole. Si avvicinò alla finestra e tento di vedere cosa provocasse quel buon odore. Non vide nulla, ma udì uno strano mormorio. A quel punto presa da tanto coraggio domandò: “Chi è che parla laggiù?”. Una voce soave rispose: “Siamo i soffi vitali dei fior di lavanda, e tu chi sei, che parli con questa voce così flebile e triste?”.La giovane rispose: “Il mio nome è Viola e vivo in questo torrione ormai da tanti anni”. La voce le chiese ancora: “Perché sei prigioniera di te stessa?”. “Ti sbagli” rispose Viola “non sono prigioniera”. “Piccola Viola, tu pensi di essere libera, ma sei schiava delle forze del male, la realtà è che tu non credi più nelle tue virtù. Libera i tuoi pensieri, credi in te stessa ed unisciti alla brezza del nostro profumo. Noi abbiamo bisogno di te, della tua vitalità, della tua brillantezza”. D’incanto, Viola ricordò il passato, l’amore dei genitori, la bellezza della natura, la gioia della vita. Capì che il mondo dominato dagli oppressori e dai tiranni è un mondo senza luce e senza speranza. Ad un tratto si smaterializzò, divenne un venticello leggero che si unì ai soffi vitali dei fior di lavanda e … da quel giorno la lavanda divenne al tempo stesso colorata e profumata. Tinta di quel viola splendente che regala piacere allo sguardo e fragrante di quell’effluvio balsamico che rinfranca lo spirito.Un fiore speciale, che ci ha insegnato a vincere il male solo attraverso il bene che è dentro ognuno di noi.

Classe 1AScuola Secondaria di I grado di Vacri

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LA RIVOLTA DEI COLORI

Un tempo in una città senza colori viveva un popolo al quale non era permesso pensare liberamente. Lì comandava un dittatore che odiava i colori e la gioia e impedì ai suoi cittadini di essere felici e di possedere un pensiero divergente. Per questo gli abitanti della cittadina erano obbligati a indossare vestiti grigi e tristi e ad essere tutti uguali senza possibilità di opporsi alla conformità. La città era isolata da tutto, era buia e cupa e i suoi abitanti erano diventati apatici. Le persone delle altre città la chiamavano Neverland (la terra che non c’è), perché nessuno aveva desiderio di visitarla, era come se non esistesse. Un giorno vi fece ritorno Enrico, un ragazzo di 16 anni, solare e felice che ovviamente avendo abitato per molto tempo fuori città, indossava maglietta e pantaloni colorati. Rientrato in città notò un cambiamento nei cittadini: essi non erano più come un tempo, il grigio dei vestiti, il silenzio dei pensieri, aveva spento persino i loro occhi. Fu subito avvertito di tutti i mutamenti che si erano verificati durante la sua assenza. Gli furono comprati vestiti adatti, ma il giorno dopo non li indossò, così lo arrestarono perché turbava la quiete della città. In carcere conobbe un vecchio saggio da cui imparò a leggere nel pensiero e questi gli affidò il compito di salvare la città. Quando uscì dal penitenziario istituì un gruppo segreto a cui presero parte sempre più persone. In questa associazione ognuno si poteva vestire come voleva e soprattutto poteva esprimere liberamente il proprio punto di vista. Ogni giorno ciascuno scriveva su un biglietto tutto ciò che desiderava. Ma nessuno esprimeva un pensiero riguardante la città e il modo in cui vivevano i suoi abitanti, così ricorse all’insegnamento del vecchio saggio e riuscì a leggere i pensieri dei suoi concittadini. Iniziò a scrivere sui muri tutto ciò che loro pensavano e invitò ognuno di loro a colorare il proprio pensiero. Il dittatore accortosi di ciò che stava succedendo, chiamò le sue guardie ma anche loro erano state conquistate dai colori della libertà di pensiero. Il dittatore scappò via e la città magicamente si colorò e tornò al suo antico splendore. Fu chiesto al ragazzo di diventare il nuovo governatore ma questi rifiutò dicendo che i pensieri colorati sarebbero stati d’ora in poi i padroni della città.

Cicalini Alessia, Di Luzio Simone, Maccarone Gaia, Passarelli D’Onofrio Federica, Talucci Filippo, Zappacosta Daniela.

Classe 3A Scuola secondaria di I grado

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LE AVVENTURE DI CARTA

Molti anni fa, in una fabbrica americana, nacque un piccolo foglio di carta; poteva sembrare uno come tanti ma invece non lo era. Si chiamava “Carta” soprannominata “Cartina” per via della sua grandezza. Tutti i fogli le volevano bene e la ritenevano simpatica. Erano passati molti giorni da quando era stata fabbricata e nessuno la voleva. Lei pensava di essere inutile perché tutti i suoi amici erano stati portati via. Finalmente presero Cartina e la misero in cima ad una risma, lei conobbe molti fogli mentre la portavano via, però non fece neanche a tempo a chiedere loro il nome. Cartina non fu imballata, ma subito inserita in un camioncino pieno di suoi amici. Il viaggio era molto lungo, ciò nonostante per Cartina il tempo volò veloce. Sul camion a fianco a Cartina, vi era il suo fratellino, Billy. Billy disse: “Cartina, staremo insieme?” e Cartina rispose: “Certo, Billy, sono sicura!”. Arrivati a destinazione un grande signore prese la risma di Cartina ma lasciò quella di Billy. Cartina fu consegnata ad un negozio, “Linda’s cartoleria”, dove c’era una signora alta e magra. Aveva la carnagione chiara ed i capelli bianchi. Indossava un paio di occhiali rossi con un lungo cordoncino che li reggeva quando non li utilizzava. Mentre l’uomo portava Cartina sullo scaffale, lei sentiva molti saluti che risuonavano un po’ dappertutto. “Ciao, come stai?! Io sono penna!” oppure “Piacere, sono cappello!”. A lei, ancora dispiaciuta per la separazione da Billy, rispuntò il sorriso perché era curiosa di conoscere tutti loro… solo che ad un tratto arrivò una bimba. Era alta e magra, portava i capelli sciolti e delle cuffie per la musica rosso fuoco. Incuriosita, scese e parcheggiò la bici per guardare meglio Cartina. Entrò nel negozio, la prese, la girò e rigirò, controllò in tasca di avere soldi per pagarla, poi sorrise e comprò Cartina; uscita acquistò il francobollo e scrisse una lettera per la zia. “Ora la devo spedire” disse. “Prenderò la strada del bosco, farò sicuramente prima”. La bimba montò in sella e partì, solo che ad un tratto la lettera volò via dalla tasca dello zaino e atterrò in un cestino. Cartina si spaventò molto anche perché qualcuno, subito dopo, prese il cestino e lo vuotò energicamente. Lei non capì niente al momento e svenne, ma quando si risvegliò si ritrovò su un rullo dove un altro rifiuto le disse: “Non essere spaventata, tu e io diventeremo qualcos’altro e non moriremo mai! SIAMO RICICLABILI ! Così quando userai della carta ricordati che il foglio può essere… CARTINA!

Lucrezia Paciocco Classe 2 Scuola Secondaria di I grado di Vacri

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IL VIAGGIO DELLA SPERANZA

Che mare che c’è oggi! Non ce la faccio proprio a navigare… Che vita dobbiamo subire noi barconi: acqua, acqua, solo acqua. L’unico vantaggio è che conosciamo tante persone (per quanto mi riguarda, pesano troppo per le mie povere giunture!). Dopo tanti sproloqui dovrei degnare almeno di uno sguardo il mio migliore amico: Nemo, il pesciolino.“Sai, Nemo, oggi voglio raccontarti una storia!” dissi. “Dimmi tutto, Moby…” mi rispose. “È una storia di speranza… Sai cosa vuol dire sperare?” gli domandai. “Sinceramente non me lo sono mai chiesto!” mi rispose un po’ risentito. E allora io: “Sperare vuol dire rischiare la delusione. Ma il rischio va affrontato perché il rischio massimo nella vita è non rischiare mai. Soltanto chi rischia è libero. Questo è ciò che ha fatto Sayed”. “Chi è Sayed?” mi chiese. “Sayed: un ragazzo coraggioso e pieno di speranza. A soli undici anni abbandona la madre e la sua famiglia. I suoi fratellastri sono Talebani, la sua cara mamma lo manda via per salvarlo da loro. Sayed vaga dal Camerun al Niger alla Libia, per mari e per monti con qualsiasi mezzo gli capiti. Un suo mezzo pur di raggiungere la sua meta, l’Italia, è stato sotto un camion. Le forze stanno per venirgli meno, allora lui si aggrappa a un barile d’olio bollente che gli si riversa addosso, rischiando la vita. Non so come, mio caro Nemo, ma si salva, continuando a sperare. Dopo nove anni la sua speranza viene premiata! Mi incontra e, assieme ad altre centinaia di persone (troppo pesanti per i miei gusti!), si imbarca. Durante il viaggio Sayed piange e ha paura: la sua speranza sta venendo meno. Io lo incoraggio: “Ogni perdita può essere una conquista!” Sayed, prima scioccato poi incuriosito, mi racconta la sua storia, che ti ho appena raccontato. Alla fine scende con la promessa di tornare a trovarmi. Sayed trova un lavoro vicino al porto, così è più vicino a me, ed è felice con la sua ragazza. Ogni tanto torna a trovarmi... Sai, Nemo, te lo farò conoscere un giorno o l’altro!”“Che bella storia, Moby… Non vedo l’ora di conoscerlo! Ma… dovremmo imparare qualcosa da Sayed, vero?” “Direi di sì, Nemo… Tu che hai imparato?” “Che ogni perdita può essere una conquista, Sayed perde sua madre, ma trova la libertà e l’amore. A te, invece, cos’ha insegnato la storia?” “Che nonostante le difficoltà vale sempre la pena di andare avanti. E poi… gli ostacoli sono fatti per essere superati!”“E' ora di pranzo, si mangia, no?”

“Sempre il solito, Nemo!” gli dissi. E lui:“Che c’è?! Ho fame!” Eleonora Belisario, Rebecca Rossi Classe 3AScuola Secondaria di I grado

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CHARLIE E LA GANG DELLA ROBOMAFIA

New york, anno 3.020, una nuova tempesta s’addensa sulla grande mela: la robo-mafia. Nel mondo, omai da decenni spadroneggiano robot antropomorfi che hanno connessioni autonome e non sono comandati dal controllo umano diretto. Charlie è uno di questi, un vecchio attuatore progettato per la manipolazione di materiali pesanti e pericolosi in ambienti proibitivi non compatibili con la condizione umana. Tuttavia, da quando la multiplanetaria “ABISSO” aveva deciso di chiudere la miniera di tellurio nel pieneta XY807, Charlie era stato scaricato ed abbandonato su di un cumulo di ferraglie arruginite in una discarica secondaria posta ai margini del Queens. Ripresosi dal tormentato trasbordo, Charlie aveva fatto conoscenza con un altro rottamato, Mike, un vecchio tosaerba di sesta generazione a cui erano saltati i circuiti che spesso zigzagava senza meta lungo gli argini del fiume Hudson. Avevano cominciato a sbronzarsi insieme trangugiando avidamente olio riciclato che trasudava dai vecchi scarichi idraulici della città. Una maledetta sera, mentre bighellonavano lungo i bacino di carenaggio sull'East River, videro Cico, detto “Pinza” per via delle sue lunghe chele cinematiche, termimare un androide che aveva avuto la sfortuna di scarseggiare a monete di rame per pagare il pizzo sull’elettrizzazione, condizione necessaria per l’esistenza di ogni Kinodromo. Pensando che l’assassino non li avesse notati, Charlie e Mike corsero immediatamente verso la più vicina police station per denunciare l’atroce delitto, ma non potevano certo immaginare che Cico detto “Pinza” fosse uno degli scagnozzi meccanici di Don Mark robo-padrino, il più feroce robo-mafioso della città. I poliziotti consigliarono ai due ferri vecchi di rimanere nascosti fino a quando le indagini non fossero terminate. Grazie alla denuncia di Charlie e Mike Don Mark robo-padrino fu imprigionato e rinviato a giudizio per omicidio. Il giorno del processo la sala delle udienze era colma di automi; l’efferato mostro di metallo era finito sul banco degli imputati, la sua carriera di estortore era alla fine. Charlie salì sicuro sul pulpito dei testimoni e senza esitazione cominciò a raccontare i dettagli della violenta terminazione dell’androide taglieggiato a cui Cico detto “Pinza”, con le sue lunghe chele cinematiche, fece schizzare via la testa. In memoria di Charlie l’attuatore, la città di New york eresse una statua in acciaio temperato inossidabile. Ai suoi piedi una scritta a futura memoria: “A Charlie il robot indomito che ha sconfitto la mafia”.

Marco de Angelis Classe 1BScuola Secondaria di I grado

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CARLA E MADDALENA

Le ciocche bionde e mosse spostate dal vento le coprivano il volto. Il profumo dello shampo di ottima marca le penetrava nel naso. Carla era emozionata e felice, da molto tempo desiderava fare questa crociera e aveva fantasticato a lungo su questo viaggio. I preparativi, organizzati nei minimi particolari, comprendevano soprattutto il guardaroba: la sua inseparabile borsa Armani rossa, gli occhiali da sole Gucci, le sue t-shirt Liu-Jo e Fix-Design, il cardigan bianco Hilfiger nel caso avesse fatto freddo e, per finire, le ballerine di Prada appena comprate.Durante il viaggio la sua nave incrociò un barcone malridotto pieno di persone che a stento riuscivano a muoversi. Carla notò con il suo cannocchiale una ragazza con la pelle scura avvolta in una coperta. Aveva gli occhi azzurri molto belli, ma lo sguardo carico di un'infinita tristezza. Qualche ora dopo la nave di Carla si fermò su un isolotto della Grecia, dove era ferma anche la barca della ragazza vista prima. Tra la folla la ritrovò e la osservò meglio, le sue unghie erano sporche e trascurate, le mani screpolate dal lavoro. Occhi abbassati, capelli arruffati e unti, pelle sporca. Carla voleva conoscerla, sapere il suo nome, le sue origini. Era la prima volta che si scontrava con un mondo diverso dal suo, non le era mai capitato. Le si avvicinò: - Ciao come ti chiami? - le domandò sorridendole. - Mi chiamo Maddalena e tu? - replicò con voce bassa in un incerto italiano. - Io mi chiamo Carla, da dove vieni? - Io vengo dalla Siria, non ho più i genitori... da quattro mesi sono morti e non ho mai saputo come. Questo viaggio per me rappresenta la sopravvivenza. - disse Maddalena a voce bassa e senza mantenere lo sguardo su di lei a lungo. - Mi dispiace! Che disgrazia! - Le barche di entrambe dovevano riprendere ognuna la propria rotta, così si salutarono. - Ciao Carla ora devo andare, mi ha fatto piacere conoscerti. - Anche a me Maddalena, ciao. - Carla per tutta la sua crociera continuò a pensare a Maddalena, il suo volto e i suoi occhi le rimasero impressi. Dopo questa esperienza si riteneva molto fortunata e pensava alla sua vita e a quella dei suoi amici, al fatto che nessuno calpestava i loro diritti ed immaginava come sarebbe potuta essere la sua esistenza se fosse nata nel paese di Maddalena. Certamente non avrebbe avuto tutte le cose che aveva ora. Da quel giorno Carla iniziò ad apprezzare di più ciò che aveva e ad accontentarsi di vestiti meno costosi e a non pretendere cose inutili.

Erika Bromo Classe 2CScuola Secondaria di I grado

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LA STORIA DELLA DOTTORESSA MARIA CASOLINO

Finalmente era giunto il giorno tanto desiderato. Dopo anni di studi e di ricerche, Maria Casolino si era laureata in Medicina e Chirurgia presso la prestigiosa università La Sapienza di Roma. La famiglia, molto povera, aveva fatto salti mortali per vederla laureata e lei aveva ripagato quei sacrifici con scrupolo e dedizione, sempre sostenuta dalla convinzione che per diventare buoni medici sia fondamentale avere una buona preparazione scientifica, ma anche una grande compassione per chi soffre. Considerava Rita Levi-Montalcini, Premio Nobel per la medicina, la sua musa ispiratrice, la prima donna ad essere ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze.Maria diede inizio alla sua carriera nell’ospedale di Vicenza, nel reparto di Ginecologia gestito dal primario Dott. Guido Giuffrida, un uomo austero e poco incline ad accettare le frivolezze femminili. Maria si trovava ogni giorno alle prese con le sue pazienti, ognuna con una sua storia, a volte drammatica, a volte serena. Con tutte loro si poneva non solo dal punto di vista clinico, ma cercava di diventare una figura amica e di supporto. Con il passare del tempo si distingueva sempre più per la sua competenza e capacità tanto che il prof. Giuffrida le affidava interventi sempre più difficili e complicati.Un giorno, a causa di un incidente automobilistico, rimase gravemente ferita una ragazza all'ottavo mese di gravidanza che venne ricoverata con un'eliambulanza nell’ospedale vicentino, dove sarebbe stata operata d’urgenza e Maria, allertata dal 118, cominciò a prepararsi per l’intervento.Tuttavia, all’ultimo momento, il Dott. Giuffrida decise di affidare la delicata operazione ad un altro dottore, meno qualificato ed esperto, arrivato nello staff del reparto solo da pochissimi giorni. Maria chiese spiegazioni al primario, ma questi liquidò la questione affermando che il nuovo medico era uno specialista di lesioni dell'organismo causati dall'azione dannosa e improvvisa di agenti esterni come appunto, quelli causati da un incidente stradale. La spiegazione non convinse Maria che però, disciplinatamente, si attenne alla decisione presa dal suo superiore.Dopo ore di sala operatoria comincia a trapelare che qualcosa è andato storto, che l’intervento ha avuto delle complicanze risultate fatali per la ragazza e il bambino che portava in grembo. Maria era sconvolta e non si dava pace per essere stata esclusa dallo staff medico che aveva eseguito l’intervento. Quel decesso però aveva lasciato in lei molti dubbi. Almeno il bambino poteva essere salvato? Allora chiese all’anestesista presente in sala se il suo collega avesse almeno eseguito una ecografia con un apparecchio portatile per individuare se la creatura fosse

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ancora viva, nel qual caso avrebbe potuto continuare a tenerlo in vita, pompando aria artificialmente nei polmoni della madre. Ma di tutto questo non v’era riscontro. Furibonda e ostinata nel denunciare le manchevolezze del collega, si recò dal primario per chiedergli perché avesse affidato ad un dottore ancora alle prime armi un intervento così delicato. Il primario riferì a Maria che quel dottorino gli era stato raccomandato da un suo collega famoso con la preghiera di valorizzarlo all’interno del sua équipe medica, e nondimeno era figlio di un importante membro del Parlamento, il quale avrebbe potuto fare molto per l’ospedale sbloccando dei fondi che sarebbero serviti per ristrutturare un'ala dell’edificio fortemente conpromessa dall’incuria del tempo e della negligenza delle istituzioni locali.Disgraziatamente il dottorino non s’era dimostrato all’altezza del compito affidatogli e ormai su di lui pendevano, come macigni, tutte le responsabilità per l’intervento sbagliato. Maria denunciò il collega alle autorità e anche il primario fu messo sotto indagine. I giornali liquidarono il caso come l’ennesimo episodio di malasanità. Maria poi scoprì che ogni giorno, in tutto il mondo, migliaia di persone perdono la vita o restano gravemente danneggiate a causa di terapie mediche ed interventi chirurgici sbagliati. Spesso sono vittime inconsapevoli che non conoscono i propri diritti e rimangono prive del loro giusto risarcimento.

Gaia Lanterni Classe 1BScuola Secondaria di I grado

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PER NON DIMENTICARE

14 Novembre 2012Ciao diario, sono Jakoup, che giornata! Oggi non hanno ucciso nessuno. Proprio nel giorno del compleanno del babbo.Come tu sai, per le strade di Tangeri c’è tanta tanta violenza, ma anche persone buone.Mohamed è uno di loro, sa che io e i miei fratelli siamo orfani, che viviamo in condizioni pietose e che papà è malato.Ti starai chiedendo il perché ho nominato il mio amico. Te lo dico subito. Egli conosce delle persone che ci possono far scappare da questo inferno e questa mattina tornando a casa ho travato un bigliettino: "Parlane con la tua famiglia, vi offro la possibilità di scappare, entro sei giorni comunicami la vostra decisione. La barca parte il 24 Novembre".Quando l'ho letto sono rimasto di stucco. Dopo alcuni minuti sono corso subito da papà che, dopo aver letto il biglietto, senza esitare ha risposto con un sicuro "sì". Ora si è fatto tardi, a presto. 24 Novembre 2012Buongiorno diario,siamo pronti, non so cosa aspettarmi.Siamo circa duecento e la barca, se così la si può definire, è molto più piccola di quanto pensassi. Vicino a me ci sono i miei fratelli e papà: stiamo per partire.Spero di poterti scrivere ancora un giorno. 25 Novembre 2012Buonasera diario,primo giorno di viaggio verso Lampedusa. Sono sfinito, ho fame, ho sete e ho tanto freddo; sono morte già una dozzina di persone, la maggior parte bambini come me e alcuni anziani. Imbarchiamo tanta acqua. Io non ce la faccio più, manca ancora tanto tempo. Ciao diario a presto.

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27 Novembre 2012Eccoti diario,che fatica! Sono diversi giorni che non mangiamo e non dormiamo e, come se non bastasse, il barcone sembra non reggere e papà è quasi congelato.Però c'è anche un aspetto positivo. Ho trovato un amico. Si chiama Tarek, è da solo. La mamma lo ha fatto scappare dai suoi fratelli terroristi che lo perseguitavano. Ci intendiamo molto bene.Oh diario, ora devo scappare, il barcone sta imbarcando troppa acqua, dobbiamo toglierla.A presto. 30 Novembre 2012Non so più come chiamarti, oh mio diario, pensavo che l'inferno venisse dopo la morte, ma io ci sono dentro e sto ancora vivendo. Siamo quasi arrivati, sono morte sessanta o settanta persone, ormai ho perso il conto.Ieri ho riempito il barcone con le mie lacrime quando il mio caro babbo è morto nelle mie braccia. Un dolore immenso che non so assolutamente descrivere. Spero che nessuno perda un papà. 2 Dicembre 2012Ciao! L'impresa è compiuta. Siamo arrivati. Ce l'abbiamo fatta. Ora posso iniziare una nuova vita.Spero di scriverti ancora al più presto.Ciao mio caro amico

Angelo La Cioppa, Manuel Palombo Classe 3AScuola Secondaria di I grado

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UN DIFFERENTE PUNTO DI VISTA

Ogni mattina, quando vado a prendere la merenda, non vengo mai considerato dal fornaio: le persone mi passano avanti senza rispettare la fila; io cerco di farmi notare quando tocca a me ma nessuno mi sente; il garzone non mi vede perché non arrivo neppure al bancone... se non ci fossi, non se ne accorgerebbero! Eppure vado sempre là, sono un cliente ormai e pago come tutti gli altri. I miei mi dicono che devo farmi le ossa e cavarmela da solo, perché il mondo funziona così; mio fratello, invece di aiutarmi, mi prende in giro.Quando arrivo a scuola, la situazione non è migliore. Se capita una discussione su un argomento interessante, non vengo ascoltato anzi, a fine lezione, mi becco anche una sgridata per non aver partecipato. Idem quando gli insegnanti fanno delle domande rivolte a tutta la classe, per poi lamentarsi della nostra ignoranza, quando la mia mano è rimasta in aria tutto il tempo.Il pomeriggio, dopo pranzo, quando scendiamo in cortile, continuo ad essere invisibile, tanto che si ricordano sempre all'ultimo, se gioco a nascondino anch'io e finiscono sempre per relegarmi alla tana. Inutile dire che, poco atletico come sono, non riesco mai a correre abbastanza veloce da impedire al furbo di turno di fare "tana libera tutti" e, visto che non ho ancora vinto una partita, sono due mesi che gioco in tana senza via di scampo.Un giorno, dopo l'ennesima sconfitta, rimango amareggiato a tal punto che, al suono della campanella, comincio a percorrere la strada di casa triste e a testa bassa, senza guardare la strada. Prima che me ne renda conto, sento qualcosa andare a sbattere contro la mia fronte e, subito dopo, mi arriva alle orecchie una voce acuta e preoccupata, che si scusa dicendo: - Oh, mi dispiace, non ti avevo visto. - "Che novità!" penso e sto per mormorare un "non fa nulla" e proseguire per la mia strada, quando sento una mano sulla spalla e mi ritrovo davanti il viso preoccupato di una ragazza che non ho mai visto, che dev'essere circa della mia età. - Ehi - comincia corrugando le sopracciglia - ma stai bene? Stai piangendo. - Sono sorpreso anch'io di udire quelle parole, poiché non me ne sono accorto fino a quel momento ma, toccandomi una guancia, noto che ha ragione.- Andiamo a sederci un attimo là, ok? Se hai voglia, puoi raccontarmi cos'è successo. - Annuisco.Solitamente, non sono il tipo di persona che si apre al primo sconosciuto che passa; ma la rabbia dentro di me è cresciuta a tal punto che finisco per raccontarle ogni cosa. È un discorso abbastanza lungo, la ragazza mi ascolta senza interrompermi, annuendo di tanto in tanto per farmi capire che sta seguendo con un'espressione molto attenta.

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Quando finisco, sospiro. Ho smesso di piangere già da un po' e, dopo il mio sfogo, mi rimane soltanto una grande sensazione di vuoto. Vengo colto di sorpresa quando lei, dopo qualche secondo di silenzio, comincia a parlare dicendo: - Capisco. Cioè, veramente non proprio, però posso immaginare. Insomma... - si impappina un po', ma io afferro cosa intenda con quel "non proprio": basta guardarla per rendersi conto che non abbia mai avuto il mio genere di problema. Molto alta, decisamente più di me e probabilmente anche di tutti i nostri compagni, con capelli e occhi chiarissimi e il viso punteggiato dalle lentiggini. Il suo accento è italianissimo, ma si vedono nei suoi lineamenti e colori delle origini nordiche. - Io, se vado in giro, ricevo sempre qualche sguardo di troppo e, per quanto mi sforzi di farmi piccola in classe se non ho fatto i compiti, sono sempre la prima che i professori chiamano. A volte è davvero una noia». Sbuffa, ma riprende immediatamente: - Con questo non voglio dire che a te vada meglio, cioè, però... non so come dirtelo, non è che ti offendi? - Faccio cenno di no con la testa, rassicurandola. - Credo che tu spenda troppo tempo a focalizzarti sui lati negativi. Ci dev'essere pure qualcosa in cui questo tuo modo di essere ti porti vantaggio, no? Io, ad esempio, non posso passare inosservata neanche se ci provo con tutte le mie forze, ma non ho quasi mai bisogno di guardare dove vado perché tutti si scansano prima- - E qui ridacchiamo entrambi, ricordando che è esattamente così che ci siamo incontrati neanche un'ora prima. Anche se mi è ritornato il buonumore, però, non riesco veramente a credere alle parole della mia nuova amica: il mio difetto più grande… diventare un pregio? È quello il mio pensiero principale quando torno a casa quel giorno e per molti giorni dopo. È solo con un po' di tempo e un pizzico di buona fede che riesco a rendermi conto, con grande sorpresa, che Elsa - è quello il nome della mia amica - ha ragione. Sono stato così occupato a odiare questa parte di me che non mi sono mai soffermato a pensare se possa, invece, rivelarsi utile per qualcosa. Avrei bisogno, in sintesi, di cambiare il mio punto di vista.Ogni mattina, quando vado a prendere la merenda, continuo a non venir considerato dal fornaio; ma, per fortuna, ciò non costituisce più un problema, perché con me c'è Elsa che, ho scoperto, percorre la mia stessa strada per andare a scuola. È lei a ordinare per tutti e due, e nessuno si sogna neanche di passarle davanti, né per sbaglio né di proposito.Quando arrivo a scuola, la situazione è invece migliore di parecchio. Occupare il banco vuoto in prima fila mi ha permesso di partecipare alle lezioni molto più attivamente, e ora, anziché beccarmi le sgridate, ricevo complimenti a profusione. Tuttavia, a volte mi dimentico di svolgere qualche esercizio, ed è allora che entra in gioco la mia

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"particolarità": mi basta occupare qualsiasi altro posto all'interno della classe e i professori si dimenticano subito che sono lì. Inutile dire, insomma, che i miei quaderni vengono controllati soltanto quando lo decido io. Il pomeriggio, dopo pranzo, quando scendiamo in cortile, giochiamo ancora a nascondino, ma i ruoli sono leggermente diversi. Elsa mi ha suggerito di farmi valere un po' di più, così ho chiesto se fosse possibile lasciare qualcun altro in tana per un solo turno: se avessi perso, sarei tornato a contare io. Passando già inosservato di norma, nel momento in cui mi sono nascosto, sono diventato completamente invisibile: sono passati giorni da quel patto e nessuno ancora è riuscito a stanarmi neanche una volta, si sono dovuti tutti arrendere. Così adesso i giocatori in tana fanno a rotazione... ma indovinate chi non ci è più dovuto andare neanche una volta? Per quanto riguarda i miei genitori, non mi dicono più nulla. Mio fratello, invece... beh, diciamo che ha smesso di prendermi in giro quando ho cominciato a rispondergli a tono, a modo mio, nascondendomi nelle stanze lungo il corridoio e saltando fuori quando meno se l'aspetta. Dopo un po' ha perso completamente la voglia di ridere di me, soprattutto perché credo che cominci ad avere paura!

Carlotta Campana Classe 3BScuola Secondaria di I grado

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SE SEI DAVVERO GRANDE

Se sei davvero grande, aiuti un bimbo in difficoltà. Se sei davvero grande, combatti la fame di quelli più poveri.Se sei davvero grande, difendi i più deboli dai bulli.Se sei davvero grande, non abbandoni mai un bambino.

CHE COS’E’ UN BAMBINO

Un bambino triste è come una nuvola grigia che oscura un raggio di sole. Un bambino abbandonato è come un regalo dimenticato in un cassetto. Un bambino sfruttato è come un fiore sbocciato e poi appassito. Un bambino povero è come un uccellinoche non può volare.Un bambino malatoè come una candela spenta da un vento freddo. Un bambino maltrattato è come un mare in tempestache urla la sua rabbia.Un bambino amatoè come una luce doratache risplende nel cielo.Un bambino feliceè un arcobaleno di mille colori.

CON GLI OCCHI DI UN BAMBINO

Con i miei occhi non vedo la guerra. Con i miei occhi non vedo la tristezza. Con i miei occhi non vedo la povertà. Con i miei occhi vedo l’amore vedo la serenità vedo la vita

Tutti i testi poetici sono degli alunni della classe V Scuola Primaria Brecciarola

CARO AMICO TI SCRIVO…

Caro Felipito,quando ho lasciato S. Domingo, sul primo aereo ero felice, ma, quando sono salito sul secondo, ho cominciato a piangere, tanto… Mi mancavano molto la mia zia-mamma, i miei zii, i loro bambini, i loro nipoti, e tu, Felipito.Poi, un signore mi ha detto:-Hai due valigie?-Io ne avevo solo una, così mi ha fatto ridere. È intervenuta la mamma e abbiamo sbagliato le valigie in stazione per ben due volte.Nella mia nuova scuola mi sono sentito male all’inizio, ora però va bene.Non conosco ancora bene la lingua, ma mi sto impegnando molto.La signora dove lavora mia madre le ha dato tanti bei libri, ogni tanto ne scelgo uno che mi piace. Lo leggo prima così, velocemente, dopo faccio una lettura lenta e attenta, poi scrivo le cose che capisco e ti posso assicurare che sono migliorato tanto! Qui si lamentano a volte dei compiti a casa, ma io ho fatto notare che in Santo Domingo si va a scuola la mattina e anche il pomeriggio, in strutture diverse e poi, non con la macchina, ma sempre a piedi. Ti ricordi come distruggevamo i bulli? Insieme, come una squadra, uniti come non mai…

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Disegno di Giulia Parente“Libertà e fraternità” Classe 1D

Scuola Secondaria I grado

Mi manchi… Ogni volta ti penso… siamo come fratelli noi, anche se solo cugini.Ricordi quando costruivamo le case per giocare e la zia-mamma ci portava persino da mangiare? Ci mettevamo sopra gli alberi e giocavamo facendo altalene. Ci proteggevamo a vicenda, oppure lavoravamo per aiutare i grandi, ci divertivamo con i cani e vedevamo insieme la tv.In questo periodo le cose mi vanno così e così… in futuro, l’anno che verrà, spero che miglioreranno.La mamma, questo si sa, è il cuore della casa, ma ha tante cose da fare, perché lavora sempre, mia sorella fa la baby sitter, loro non hanno tempo per me.Dicono sempre: - Edinson, fai questo, Edinson fai quell’altro!... Ma, mica posso essere io quello che fa tante cose e deve risolvere tutto per la famiglia e per le cose di scuola!Ti abbraccio forte. Tuo per sempreEdinson

Caro amico, ti scrivo per raccontarti cosa ho imparato da te…

Edinson, tu, con le tue radici, sei arrivato sin qui ed hai unito le tue radici alle nostre radici. Sei un bravo bambino e sono contenta che sei qui con noi.Credo che hai tanti amici: hai avuto il coraggio di parlare, di dire quello che pensi, di stare con tutti e dirci sempre qualcosa di bello.Rimarrai per sempre nel mio cuore in ogni momento della mia vita, sei un amico speciale per tutti noi. Se fossi stata al tuo posto, non mi sarei mossa dal paese dove sono nata…perciò capisco come deve essere stato difficile per te venire qui in Italia, si vede che ci metti tutta la tua forza per adattarti e sentirti bene.Ti capisco: hai lasciato i tuoi cari, la tua terra, la tua famiglia d’origine, hai certamente un grosso peso da sopportare, ma sappi che ora anche noi siamo la tua famiglia.Ti voglio un gran bene

Sofia

Classe 4A Scuola primaria “Nolli”

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NON SONO NEMICI

Questa è la libera riscrittura di una testimonianza diretta di un avvenimento accaduto durante la seconda guerra mondiale, a cavallo tra il 1943 e il 1944, in una località a pochi chilometri da Chieti e raccontato da una vispa nonnetta di 84 anni, che all’epoca ne aveva 13. Esprime il valore del diritto alla vita e alla sua salvaguardia, anche nei momenti più duri, difficili e tragici, come quelli della guerra, quando sembra che il rispetto per l’altro sia del tutto oscurato e calpestato.“La giornata si ripete sempre allo stesso modo. Sveglia all’alba, e, dopo una fetta di pane e una tazza di latte, subito al lavoro. Il pranzo a mezzogiorno, quando è troppo caldo per lavorare, e poi di nuovo fuori. I lavori sono i più svariati, ma sempre in campagna. La vita non è facile qui: siamo una famiglia molto numerosa e abitiamo in una casetta con il nonno, papà e mamma, zii e cugini. Siamo in tanti, ma se ci stringiamo ci entriamo! Purtroppo mio fratello e mio cugino non ci sono, sono partiti per la guerra. Mia mamma è Maria, o Mariuccia, come la chiamano tutti, e mio padre Giuseppe, Peppino. Siamo un’ordinaria famiglia contadina abruzzese, che, a parte mio zio, emigrato in America, non ha mai visto nulla oltre quelle montagne da dove ogni giorno sorge il sole; quello per tutti è quasi un altro mondo, ma di solito nessuno si fa troppe domande. Per noi l’importante è sopravvivere a un altro giorno. Sono solo io che mi interrogo su cose un po’diverse e mi preoccupo di come vanno le cose “al di là delle montagne”.Nonostante la guerra, non ci sono stati grossi cambiamenti. Voglio dire, che ci sia un dittatore, un re, o un presidente eletto democraticamente, che siamo conquistati o conquistatori, nulla cambia molto, possono solo arrivare altri problemi. Adesso a causa della guerra abbiamo altre braccia in meno per la nostra campagna. Tutto è cambiato quando è arrivata quella squadra di inglesi. Sono stata io a trovarli. Avevo passato tutto il giorno nei campi e poi ero stata impegnata in altre faccende tra la stalla e la casa e quasi quasi non mi ero accorta di quello che succedeva fuori, non sapevo perché si sentissero in lontananza quelle bombe e vicino a noi anche colpi di fucile, ma si cominciò a dire che ormai la guerra non era più lontana e che i Tedeschi ci stavano asserragliando; noi italiani eravamo alleati ormai con l’Inghilterra e l’America, e adesso la Germania voleva vendicarsi di noi. In quel momento mi tornarono in mente gli uomini di casa… Chissà dove erano… Solo un ultimo abbraccio e poi più nulla. Il mio cuore era distrutto quando li accompagnammo alla porta per l’ultimo saluto. Mio fratello mi guardò e mi disse che un giorno, prima o poi, sarebbero tornati da noi.

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Ma mentre la mia mente tornava indietro nel tempo arrivò affannata e con il fiatone la vicina, Franceschella, la quale ci disse che dietro la nostra stalla avevano visto degli uomini e che tutti, non sapendo chi fossero, se l’erano date a gambe. Chiamai mio nonno e mi avvicinai: ormai stava calando la sera e si faceva buio, quelle persone stavano congelando. Notammo subito che erano affamati e malridotti, avevano tutti gli abiti strappati e i loro sguardi erano spaventati. Non ebbi più paura perché capii che erano inoffensivi; cercarono di comunicare con noi, ma l’unica cosa che riuscimmo a intuire era la loro disperazione e il senso di smarrimento. Avevano i vestiti sporchi, stropicciati e consumati, qualche straccio per ripararsi dal freddo, dei borsoni di iuta e nient’altro; alcuni abiti erano tagliati a brandelli e in prossimità delle braccia erano quasi interamente ricoperti di fango, mentre uno di loro aveva il braccio ferito e ancora sporco di sangue. Spinti dalla pietà per le loro condizioni decidemmo di aiutarli e il nostro gesto fu contagioso: da quel momento in poi tutti gli altri abitanti della contrada mostrarono con tanti piccoli segni concreti la loro generosità e solidarietà, pur sapendo di correre grandi rischi. Non parlavamo la loro lingua, ma comunque ci siamo capiti. Siamo gente povera, senza grandi ideali, ma quello che loro stavano affrontando, il fatto che non si arrendevano ha fatto risvegliare in noi quasi un desiderio di rivalsa verso “quelli là”, i tipi del governo che vivevano oltre le montagne, che ci usavano, niente di più. Per loro non eravamo niente, nemmeno delle pedine come i soldati. Volevamo ripagarli per la loro indifferenza, per tutto quello che ci avevano fatto passare azzuffandosi tra di loro senza uno scopo.Ma innanzitutto quella sera li facemmo entrare e sedere su alcuni sgabelli vicino al fuoco e io stessa gli preparai una zuppa di fagioli, poi la zia procurò loro dei vestiti puliti e mise in ammollo nel tino di legno i loro abiti. Il giorno dopo Filomena portò una minestra calda e una brocca di vino; Rosina, medicò la ferita perché, quando poteva, aiutava la levatrice e quindi sapeva dare qualche cura alla buona; Annetta, la sarta, rattoppò le camicie e i pantaloni. Subito non ci fu chiaro chi fossero, poi mio zio, l’americano, ci disse che erano inglesi e riuscì a capire qualcosa di più della loro storia. Venivano dal Nord, dalla zona dell’Emilia ed erano riusciti a fuggire da un campo di prigionia e quindi si nascondevano dai Tedeschi. Proprio per questo decidemmo con loro che avrebbero dormito in soffitta, ma poi il giorno si sarebbero rifugiati nelle campagne, perché ormai da noi le “visite” delle SS erano diventate frequenti: prendevano tutto quello che trovavano, compreso ragazzi giovani per combattere e per altri servizi legati alla guerra e, naturalmente, controllavano se nascondessimo il nemico.

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Non riuscimmo a comunicare tanto con loro, anche perché di giorno non c’erano, ma sicuramente abbiamo capito il loro dolore, quando ci mostrarono le foto sgualcite dei loro familiari. Loro lontano ed essi qui avevano in comune un solo desiderio: quello di riabbracciarsi. In quel momento fui consapevole che la guerra è una delle maggiori sconfitte dell’umanità.E poi nei loro occhi era visibile la gratitudine nei nostri confronti, era come se ci dicessero grazie per quel povero letto, che comunque permetteva loro di riposare in modo più comodo dopo tanti giorni di vagabondaggio; con il loro sorriso apprezzavano quell’aria di famiglia che noi potevamo ricostruire la sera, quando giocavano con i miei fratelli più piccoli, forse come i loro piccoli fratelli, o forse addirittura figli; poi però i loro occhi si intristivano pensando ai loro affetti lontani…Dopo una ventina di giorni scoprimmo che qualcuno aveva fatto la spia e che squadre tedesche li stavano cercando per le case delle contrade vicine. Loro dissero al nonno che non erano più sicuri, ma fecero capire che anche noi non lo eravamo per niente. Dovevano andare via. Li vedemmo allontanarsi in fretta sulla collina, mentre ancora si voltavano per salutarci, sventolando i cappelli.”

Classe 3A Scuola Secondaria I grado “Chiarini-De Lollis”

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LA LEGALITA’ E LA MAFIA

Insieme alle nostre maestre abbiamo affrontato temi molto delicati e ci siamo avvicinati ad alcuni problemi che riguardano il nostro Paese. Purtroppo uno di questi è la mafia. Anche con l’aiuto di una classe terza della scuola media del nostro Istituto, abbiamo conosciuto un Giudice che ha lottato contro l’illegalità e proprio per questo è stato tragicamente ucciso dai criminali mafiosi. Per noi è stato come un racconto conoscere la vita di questa grande persona, che purtroppo è mancata a soli 38 anni e per questo è conosciuto come “il giudice ragazzino”: lui si chiama Rosario Livatino. Dopo aver approfondito bene la sua figura, abbiamo ricavato alcune conclusioni, soprattutto riflettendo su qualcosa che proprio lui aveva scritto. Il magistrato è la persona che fa rispettare le leggi. Il suo impegno va oltre la semplice applicazione delle leggi. Egli ha il compito morale e professionale, che deve svolgere con serietà e competenza, di capire la persona che deve giudicare con serietà e giustizia. Ma per fare questo deve essere libero, cioè non deve essere dipendente dagli altri, deve giudicare secondo il reato e secondo il rispetto delle leggi. Deve essere imparziale, cioè deve rispettare le persone tutte allo stesso modo, seguendo sempre le regole dello Stato. Il suo comportamento deve essere integro perché non deve prendere niente da nessuno, in quanto le persone che assumono atteggiamenti mafiosi vogliono sempre qualcosa in cambio.

Classi 5A e 5B Scuola Primaria “S. Andrea”

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“LET’S CREATE A BETTER INTERNET TOGHETER”

Credo che la rete internet sia un'opportunità meravigliosa, se usata bene. Essa ci permette di parlare con gli amici, giocare insieme ed addirittura guardarci in volto.Purtroppo, però, dopo aver giocato online con un ragazzo italiano che non conoscevo, ma che sembrava simpatico, ho pensato che saremmo potuti diventare amici. Abbiamo parlato un po' e poi, senza riflettere, “clic”, ho schiacciato il pulsante del mouse e quel ragazzo è entrato nella mia “lista amici”.Da allora, è diventata mia abitudine parlare con lui e giocarci insieme, finché, un brutto giorno, ho commesso il gravissimo errore di rivelargli la mia vera identità, convinto che egli fosse un ragazzo affidabile. È accaduto all'improvviso, tra un gioco ed un altro, quando egli mi ha chiesto: -Senti, è da qualche tempo che giochiamo insieme e quindi sarebbe ora che iniziassimo a chiamarci per nome. Io sono Leonardo. E tu, come ti chiami?- In un momento di follia, senza pensare alle conseguenze di ciò che stavo facendo, ho risposto: -Io mi chiamo Mauro. Abito ad Ancona ed ho quattordici anni. Dove abiti tu?- Leonardo, che a differenza di me ha ragionato, ha risposto: -Questo non posso dirtelo: i miei genitori mi ripetono sempre di non comunicare niente di così personale.- Solo allora ho capito di aver sbagliato enormemente e, spaventato, ho spento subito il computer, anche se ormai il danno era fatto.Da quel giorno ho vissuto nel panico, pensando che da un momento all'altro, Leonardo avrebbe potuto utilizzare i miei dati privati per scopi non leciti.Un giorno ho deciso di dire “basta” a questa paura, all’angoscia che mi tormentava e così, con un altro “clic”, Leonardo è andato fuori dalla mia “lista amici”.Quando egli si è accorto del gesto che avevo compiuto, da lui considerato di disprezzo, ha iniziato a “bombardarmi” di insulti e messaggi aggressivi: -Pensavo che fossi un vero amico, adesso per me non sei nessuno… Guardati alle spalle, potrei essere dietro di te!… So realizzare perfetti fotomontaggi ed ho una tua foto!…-Io ho avuto paura di rispondergli, così ho subito tutti gli insulti che mi ha rivolto.Mi diceva anche che i suoi amici ridevano di quello che mi faceva e dopo un po', a loro volta, hanno incominciato ad insultarmi ed a prendermi in giro senza motivo.

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Un giorno, Leonardo è riuscito ad impossessarsi della mia e-mail e della mia password di Facebook e si è intrufolato nel mio profilo, leggendo i messaggi più segreti, nessuno escluso.Solo allora ho deciso di reagire.Conoscendo il suo nome e cognome, ho bloccato il suo profilo Facebook e ho minacciato di denunciarlo alla polizia. Credo che sia stata sufficiente questa minaccia per indurre Leonardo a smettere di fare il bullo online. Ha perfino iniziato a pregarmi di perdonarlo ed io così ho fatto.Adesso io ho ripreso a giocare in modalità online con altri ragazzi, ma sono prudente, sempre attento a non commettere più così gravi errori.Ora sono di nuovo convinto che internet sia un’opportunità meravigliosa, anche per giocare con persone che non si conoscono nella vita reale, sempre che si sia attenti a non rivelare niente di personale e che si abbia il coraggio di cancellare con un “clic” chi desta in noi sospetti.Credo che esistano i “cyber-bulli” e che non cesseranno mai di esistere, ma non è affatto vero che un bullo resta tale per sempre: tutti possono migliorare quando capiscono di aver sbagliato e quando capiscono che le azioni nella rete hanno sempre conseguenze nella realtà. Condividiamo ciò che vogliamo nella rete, ma teniamo ben a mente, come ci ricorda il “Safer internet day”, che condividere vuol dire partecipare e partecipare essere responsabili: solo così potremo creare insieme una rete migliore, dovere e diritto di tutti, ma soprattutto di noi ragazzi.

Lorenzo Di Muzio Classe IA Scuola Secondaria di I grado “Chiarini- De Lollis”

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IL RISPETTO PER L’AMBIENTE

Ciao sono Abete e sono una pianta. Vivo in un bosco e sono io il cuore del bosco.Negli ultimi tempi ho perso rami e foglie per colpa dei piromani che mi scagliano contro ceppi infuocati, anche se dopo arrivano i poliziotti ad arrestarli e a multarli; dopo ancora i taglialegna, che vedo da lontano e che tagliano le mie compagnie.C'è solo un motivo perché sono ancora viva: se tagliano me non possono venire più a tagliare le mie amiche perché io mantengo in vita il bosco; se mi tagliano muoiono tutte le altre. Quindi l'uomo mi lascia in vita approfittando di me e sfruttandomi: gli alberi ricrescono e loro possono sempre tagliare fino a quando (se succederà) toccherà a me.C'è sempre un brutto odore nell'aria che non sopporto, il mio polmone verde sta diventando grigio.E come se vi vogliate togliere la vita senza accorgervene: senza noi piante voi non sareste mai esistiti, ne la maggior parte del cibo che mangiate, visto che anche gli animali vivono per merito nostro.Non vi accorgete che togliete la vita ad altri individui, noi, le piante. Quando muore qualcuna di noi sento dire questo : - Che rumore! È caduto un albero,no aspetta l'hanno fatto cadere, vabbè, succede sempre - . Oppure: - La gente non si lamenterà più per la poca carta con questi tanti alberi - .Questo fa capire il menefreghismo dell'umanità: se muore un cantante piangano tutti e fanno i funerali anche costosi, se moriamo noi invece non ci degnano di uno sguardo e nemmeno di una parola. Almeno per il futuro dei vostri figli, perchè se gli insegnate che così si trattano le piante un giorno moriranno incendiati mentre bruciano un intero bosco.A voi umani importa solo di voi stessi, non dei vostri figli, nemmeno degli animali e ancora meno di noi, noi che siamo usate per costruire le vostre case e siamo anche le case degli animali.Mi vergogno di essere in questo mondo, ma io voglio fare ancora la differenza. TUTTI ABBIAMO UN VALORE, ANCHE LE PIANTE.

Andrea Maurizio Mammarella Classe 1D Scuola Secondaria di I grado “Chiarini-De Lollis”

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RAGAZZI COME TUTTI

Caro diario,mi chiamo Daniele. È la prima volta che ti scrivo. Ho davvero bisogno di sfogarmi. Sono un ragazzo di quattordici anni, esile e non molto alto...d'altronde come la mia autostima! A scuola sono oggetto di scherno da parte di alcuni miei compagni di classe: mi prendono in giro per via del mio aspetto fisico e per gli enormi occhiali, con le classiche lenti a “fondo di bottiglia”...Odio quando Stefano e tutto il suo gruppo di bulli mi chiudono dentro l'armadietto e mi lasciano li fino a quando qualcuno di buon cuore non s' accorge della mia assenza. Capita, a volte, che rimanga chiuso dentro per tutta la giornata: alla fine è il bidello ad aiutarmi ad uscire.Mi verrebbe, spesso, voglia di urlare al mondo intero cosa mi sta accadendo. Il senso del pudore me lo impedisce, però... Provo un'immensa vergogna... A casa piango spesso e mi sento solo a tal punto da pensare che non valga più la pena di continuare a vivere.Cerco di darmi coraggio, perché mi convinco del fatto che il gruppetto dei 'senza cervello' non può rovinarmi la vita... Non può!Giorno dopo giorno vado a scuola col timore che qualcosa di grave possa accadermi, ben più grave di quello che già mi accade. Ora cerco un amico, qualcuno che accolga il mio sfogo, che non mi giudichi per quello che sono, che mi accetti con i miei pregi ed i miei difetti. È orribile quanto viene fatto a me. E rabbrividisco al solo pensiero che non sono io l'unico bersaglio dei tanti bulli senza cervello in giro per ogni dove!!!Il mio desiderio più grande? Svegliarmi da questo incubo spaventoso!Abbiamo scelto di raccontare la storia di Daniele perché sempre più spesso siamo protagonisti, diretti ed indiretti, di gravi episodi di bullismo, un fenomeno sempre più diffuso e non soltanto nella scuola. AIUTIAMOCI a soffocarlo: denunciamo i bulli senza timore di ripercussioni!!! Il nostro silenzio alimenta la loro forza di onnipotenza!!!!!!!

Classe 2C Scuola Secondaria di I grado “Chiarini-De Lollis”

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UN MONDO SENZA REGOLE

Immaginate un mondo senza regole:Ladri, criminali, prepotenti e nessun rispetto…I bambini, molte volte, vorrebbero essere liberidi non seguire le regole;anch’io, qualche volta, vorrei non rispettarle…Ma… Se facessero tutti così???RISPETTA LE REGOLE, NON ESSERE UN BULLO!!!

oMicidio

COSA E’ PER ME LA LEGALITA‘ Assassinio

Secondo me la legalità è un bene essenziale, Furoreperché regola la vita di tutti i cittadini. cattIveriaVivere nella legalità significa rispettare le leggi rAzzismoper sviluppare la pace e sconfiggere la disonestà. Greta Elisii Classe 5B Mattia Lazzari Classe 5BScuola Primaria “Viale Abruzzo” Scuola Primaria “Viale Abruzzo”

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Alice Sartorelli Classe 5CScuola Primaria “Viale Abruzzo”

PENSIERI

Se tu accoglierai e se proteggerai, La mafia è cattiva, uccide, distruggesarai uno di noi, un nostro fratello. e incendia, ma se siamo veri uomini, la possiamo fermareLa legalità è rispetto e accoglienza,se noi seguiremo percorsi di legalità,rivoluzioneremo il mondo intero. Giacomo Ambrosini Classe 5B

Scuola Primaria “Viale Abruzzo”

UN MONDO GIUSTO

Se in questo mondo tondo Maitutti avessero un cuore grande Amicimai più il male e l’ingiustizia Fratelliavvolgerebbero tutto Ignoranoin meno di un secondo. l’Amore

PENSIERI

Esistono le regole, che tutti devono rispettare;la Mafia non le rispetta e va eliminata.Essere amici e fratelli è un bene preziosoche allontana le guerre e l’odio. Mirella Margiotta Classe 5B Scuola Primaria “Viale Abruzzo

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Rispettare Faceva Mentre Fiducia Il egregiAmente Amare Alla proSsimo iL Fa Legalità Per giudiCe progressI Come giusto le persone rEndere lO odiAre no! Ogni Tutti hanNo persoNamolTo Eliminato per strada vuolE sOddisfattiFrancesca Genovese Classe 5C Claudia Pirocco Classe 5B Scuola Primaria “Viale Abruzzo” Scuola Primaria “Viale Abruzzo”

Legalità significa rispettare LA LEGALITA’le leggi, che servono a far La Legalità aiuta tutta la gentevivere in modo corretto e giusto le persone ad andare in giro liberaE’ un dovere primario di tutti difendere la Legalità. in sicurezza e con tranquillità!Stefano Pirocco Classe 5B Giuseppe D’Ambrosi Classe 5BScuola Primaria “Viale Abruzzo” Scuola Primaria “Viale Abruzzo”

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DISTRUGGIAMO LA MAFIA

La mafia distrugge tutto il bello della natura. Distruggiamo la mafia! Matteo Di Cecco Classe 5B Scuola Primaria “Viale Abruzzo”

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Francesca Genovese Classe 5CScuola Primaria “Viale Abruzzo”

Buono Onesto Responsabile Speciale Encomiabile Leale L’ Incorruttibile umaNo esempiOFrancesco Di Marzio Classe 5CScuola Primaria “Viale Abruzzo”

MAFIA MALVAGIA: BASTA!!!

Oh Mafia, Mafia malvagia: basta!!!Diventa amorevole con tutti, non uccidere più!E’ faticoso cambiare da cattivi a buoni,ma i bambini ti sorrideranno con felicità,se tu diventi buona.Potrai portare amore, pace, gioia per sempre, non più cattiveria, malvagità, stragi, odio… Giada Galliani Classe 5BScuola Primaria “Viale Abruzzo”

FALCONE E BORSELLINO

Falcone e Borsellino erano due amici, due giudici leali e coraggiosi.La Mafia non riuscì a corromperli,decise così di fermare il loro impegnocontro gli uomini criminalie li uccise barbaramente!Ma loro ora sono i nostri eroie non moriranno mai!!!Stefano Donato Mincone Classe 5B Scuola Primaria “Viale Abruzzo”

L’IMPORTANZA DELLA LEGALITA’

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LA MAFIA, NO!!!

La mafia, no!Ha fatto molte vittime innocenti: uomini giusti che volevano un mondo pulitocon pace e uguaglianza per tuttie hanno trovato una morte crudele. La mafia, no!!! Stanislao Angeloni Classe 5BPrimaria “Viale Abruzzo”

L’ACCOGLIENZA

Bisogna accogliere calorosamente coloro che hanno più bisogno di aiuto,senza pregiudizi razziali, con amore e amicizia, per crescere insieme. Chiara Sorice Classe 5B Scuola Primaria “Viale Abruzzo”

LEGALITA’

Sarebbe bello un mondo basato sulla legalità.Legalità vuol dire rispettare le regole,rispettare gli altri,avere un comportamento correttosenza più guerre, ma solo tanta… PACEIlenia Di Giandomenico Classe 5CScuola Primaria “Viale Abruzzo”

La legalità è molto importante:in famiglia significa fratellanza,nelle leggi significa uguaglianza,nel mondo significa accoglienza.C’è una regola per ciascunoe il rispetto è per ognuno.Tutti vogliono la libertà,ma per averla bisogna avere responsabilità.

Due uomini contro la mafia hanno tentato la ribellione,sono Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.La mafia era loro nemica e ha tolto loro la vita.Alessandro Abate Classe 5BScuola Primaria “Viale Abruzzo”

UNA STORIA DAL PASSATO

Berlino, 10 Febbraio 2114Cara Adina,ho fatto un ritrovamento fantastico: il diario del mio bisnonno. Come sai la mia famiglia ha origini libiche ed è stato proprio il mio bisnonno a trasferirsi prima in Italia, dove ho ancora molti parenti, e poi successivamente in Germania.Voglio riportarti qui l’ultima pagina del diario in cui racconta la conclusione del suo viaggio, descrivendo le sue impressioni e i suoi pensieri. Una cosa che devi sapere è che in quel tempo c’era una grande diffidenza nei confronti degli stranieri, che io sinceramente non capisco: adesso è normale che in una famiglia ci siano membri con colore di pelle diversa perché originari di paesi diversi, ma che si sono stabiliti qui da generazioni. Questa è la pagina: “Berlino, 10 febbraio 2014Caro diario,sono finalmente riuscito a stabilirmi e a trovare lavoro in Germania senza la paura di dover scappare, perché in molti paesi, noi che veniamo dall’Africa, non siamo ben accolti perché stranieri e “diversi”. Come sai, sono partito dalla Libia e precisamente da Tripoli ben tre anni fa. Il mio viaggio è stato faticoso fin dall’inizio, quando per pagare il biglietto ho dovuto risparmiare per molto tempo e i miei genitori si sono sacrificati per permettermi di trovare un’opportunità di vita migliore in Europa. Sull’imbarcazione eravamo più di trecento, tutti stipati come sardine; il ricordo che più di tutti mi è rimasto impresso è quello di un bambino di circa cinque anni che, rannicchiato in un angolo, sorrideva come se tutte le emozioni dell’altra gente non lo toccassero, tutto il dolore e la disperazione che provavano le persone non lo sfioravano minimamente. Lui era immerso nei suoi pensieri tranquillo e incurante di tutto. L’arrivo e la permanenza a Lampedusa sono stati i momenti più tragici della mia vita: la costante paura di essere ricondotti a casa, la vergogna di essere rinchiusi come criminali e lo stato di povertà rendeva tutti noi disperati. La vera “gabbia” in quei momenti è la solitudine. Stai sempre a pensare a te stesso in una specie di vortice, tutto gira su di te e non c’è nessuno su cui appoggiarsi per scaricare almeno parte delle tue preoccupazioni.

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Un italiano a cui sarò sempre riconoscente è Marco. Mi accolse nella sua vita sin da subito, spingendomi a realizzare i miei sogni e una frase che spesso ripeteva è questa:“Ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi è un dono, per questo si chiama presente”. Fortunatamente sono riuscito a muovermi subito verso il nord dell’Italia e, una volta raggiunta Roma, mi sono fermato lì per qualche mese perché non avevo più soldi per continuare a viaggiare. Non sono stato ben accolto nella città: una moltitudine di persone quando camminavo per strada mi fissava con occhio indagatore, come chi non si fida o chi vede uno strano individuo completamente diverso da qualunque canone umano. Per lo Stato italiano noi non esistevamo, quindi non potevamo lavorare correttamente, ma eravamo costretti a fare i lavori che la maggior parte della popolazione non voleva svolgere come ad esempio il muratore o l’agricoltore con turni di lavoro lunghissimi e una paga molto bassa. Mi sono adeguato a vivere sotto i ponti o in stazione, accontentandomi di quello che c’era da mangiare senza lamentarmi mai. La sosta a Roma è stata la più lunga di tutto il mio viaggio, ma mi ha permesso di recuperare le forze e i soldi per continuare con forza e costanza. Grazie ad alcuni contatti sono arrivato direttamente a Berlino, dove il caso ha voluto che rincontrassi un mio vecchio amico d’infanzia che aveva aperto un ristorante, ed essendo io un eccellente cuoco, mi ha assunto senza alcun problema.Anche se faticoso questo viaggio mi ha trasformato profondamente e sono sicuro che qui in Germania riuscirò a costruire una famiglia bella e spensierata e che i miei sforzi saranno gratificati dalla felicità di chi mi starà intorno. Ho imparato che i pregiudizi fanno parte del pensiero umano, ma che si possono superare abituando le persone a conoscere una società multietnica sempre varia e diversa e portandole ad apprezzare i vantaggi e la ricchezza che derivano da essa.Posso dire di essere soddisfatto di aver cambiato radicalmente la mia vita, perché il mio destino, se fossi rimasto in Libia, era già segnato.Con felicitàMu’ammar”

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Che dire?Non aggiungo altro, cara Adina, solo che scoprire questa parte di storia della mia famiglia mi è piaciuto molto e sono molto fiera di quello che ha fatto il mio bisnonno.Affettuosamente. Clara

Chiara D’Alessandro Classe 3A

Scuola Secondaria di I Grado “V. Antonelli”

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UNA TESTIMONIANZA VERA

Mi chiamo Xhorda. Il paese in cui vivo ora è l’Italia ed è quello nel quale mi sono trasferita da due anni.Sono arrivata in Italia il 2 agosto 2012 e per me è stato come iniziare una nuova vita, perché è cambiato tutto.Sono partita dal porto di Durazzo e ho viaggiato per sei ore fino all’arrivo nel porto di Bari.Ero emozionata e spaventata perché non conoscevo la lingua e non avevo amici.Quando sono andata a scuola il primo giorno conoscevo solo alcune parole: ciao, grazie, prego, buongiorno e buonanotte.Durante i primi giorni ero in imbarazzo perché non capivo niente e pensavo che non sarei mai riuscita a comunicare con i miei compagni di classe: ero molto spaventata!Quando dopo il secondo giorno di scuola sono tornata a casa mi sono messa a piangere, perché non riuscivo a leggere, a studiare e a capire niente.Pian piano, senza neppure accorgermene ho fatto amicizia con tutti ed ho cominciato a parlare in italiano.Sono riuscita a imparare l’italiano grazie ai miei amici e alla professoressa, che si sono prodigati per farmi superare questa difficoltà che mi sembrava insormontabile.E’ strano come sia successo tutto in un solo anno di scuola: ora sono in grado di leggere le belle poesie che studiamo e di tradurre le parole italiane in albanese.Ho trovato anche dei ragazzi che mi facevano soffrire, ma ora non mi interessa più, perché ho tanti amici con cui condividere tutte le mie gioie e le mie preoccupazioni.Voglio studiare (mi piacerebbe tanto diventare medico), voglio mettercela tutta perché voglio tornare in Albania, nella mia splendida terra, dove farò di tutto per aiutare quanti sono in difficoltà.

Xhorda Stenaj Classe 3A

Scuola Secondaria di I Grado “ V. Antonelli”

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LETTERA A LUCIA

Chieti 28-02-2014 Cara Lucia,a scriverle siamo Giorgia e Alice, due alunne che frequentano la 3B della scuola media Antonelli di Chieti Scalo. Abbiamo seguito la sua storia costantemente in tutta la sua evoluzione, il susseguirsi di notizie dopo quel drammatico giorno seguendo telegiornali e leggendo notizie sui quotidiani, sperando ogni giorno di sentire buone notizie sulle sue condizioni di salute. Il caso ha voluto che, proprio in quei giorni, insieme alla nostra insegnante di italiano stavamo argomentando in classe, proprio LA DONNA, IL FEMMINICIDIO e i vari progetti sulla Legalità. Proprio su questo argomento abbiamo parlato, nello specifico, DEI DIRITTI DELLA DONNA e abbiamo capito che il cammino verso il riconoscimento dei propri diritti è stato particolarmente lungo e difficile, perché per secoli sono state considerate diverse e inferiori all'uomo. Oggi sia la Costituzione Della Repubblica Italiana sia molte leggi affermano la parità fra l'uomo e la donna, tuttavia nella gran parte del mondo ancora oggi la donna è lontana da godere di una piena parità di diritti con l'uomo sia in campo economico, sia sociale, che culturale e politico. Tutto questo per lei non è niente di nuovo, anzi, ne saprà molto di più di noi essendo laureata in giurisprudenza ed esercitando il mestiere di avvocato. Abbiamo dovuto constatare che purtroppo questi orrori non avvengono solo a persone di un basso ceto sociale ma colpiscono senza distinzioni. Spesso le donne non hanno il coraggio di reagire o addirittura non hanno neanche il tempo perché vengono aggredite e uccise. C’è da precisare anche che la giustizia non è molto dura nei riguardi di questi “uomini” che decidono di togliere la vita ad una donna solo perché respinti o per semplice gelosia, magari anche non giustificata, infatti, spesso vediamo applicate delle pene esigue a questi “assassini”, ma questo lei essendo una donna che fa rispettare le leggi ce lo insegna. Ovviamente non basta un solo provvedimento a salvaguardare le donne. Ancora oggi la violenza maschile sulla donna viene codificata dalla cronaca con le parole “omicidio passionale”, “d'amore” o “momento di gelosia” quasi a testimoniare il bisogno di dare una giustificazione ad un atto che è in realtà mostruoso. Nel suo caso gli inquirenti sono riusciti a trovare abbastanza prove per poter arrestare il suo ex e i due complici albanesi che hanno compiuto questo atto ignobile; ciò non servirà a cancellare le cicatrici che le sono state inflitte sul volto e nell'anima, ma almeno un primo passo è stato fatto. Lei ha dimostrato un grande coraggio e una grande forza per cercare di riprendere il controllo della sua vita ed è un esempio per noi giovani donne. Come dice

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Oriana Fallaci “...essere donna è così impegnativo ed affascinante. E' un'avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai”. Anche lei vivendo il suo dramma ha detto una frase molto significativa che ci ha colpite particolarmente: “Sono qui, viva, l'ho giurato a me stessa che ce l'avrei fatta e ce la farò”. La sua tenacia, il suo coraggio e il suo ottimismo sono ammirevoli. Ci congratuliamo con lei per queste meravigliose parole che custodiremo gelosamente nei nostri cuori e ne faremo tesoro nei momenti di difficoltà che inevitabilmente incontreremo nella nostra vita.DISTINTI SALUTI

Angelozzi Giorgia, D’AgostinoAlice Classe 3B

Scuola Secondaria di I Grado “V. Antonelli”

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DOLCELANDIA

Tanto tempo fa, nel territorio di Dolcelandia sorgeva la “Città del sorriso”. I suoi abitanti erano felici quindi la pace regnava tra di loro e con la pace, la prosperità.Questo stato di felicità era garantito da un gruppo di cavalieri: cinque eroi che si preoccupavano del benessere dei propri concittadini. Essi padroneggiavano gli elementi della natura: Aerus controllava l’aria e i suoi elementi; Magma controllava il fuoco; Terraus, la terra; Idrus infine controllava l’acqua. Il quinto cavaliere era Zarax e rappresentava l’amore, l’armonia, l’equilibrio tra gli altri cavalieri.Dolcelandia aveva le case costruite con mattoni molto resistenti di tutti i colori. La città era in collina, le case erano basse e circondate da giardini molto curati. Le strade erano strette e ripide; gli abitanti per andare dal piano alla collina, potevano usare il servizio dei “draghi-bus”: chi voleva andare sul drago-bus, prendeva una foglia di dragoncello, che cresceva ovunque a Dolcelandia, per chiamare il drago e farsi portare dove doveva andare. Se qualcuno voleva, poteva affittare un drago a un prezzo molto basso: un giorno intero il drago costava una pianta, ma gli abitanti amavano così tanto camminare che l’uso dei draghi-bus era limitato alle vere necessità. Il drago aveva un cuore rosso sul petto, era blu con le rifiniture gialle. Era maestoso, aveva occhi azzurri e artigli fortissimi. Portava in groppa le persone con selle come quelle dei cavalli.Zarax aveva un fratello maggiore, malvagio, di nome Lux. Lux odiava il fratello perché ne era geloso: pensava che i genitori preferissero Zarax ed era cresciuto con quella convinzione.Lux era alto e snello, con i capelli lunghi, legati a coda di cavallo, aveva luminosi occhi verdi che potevano diventare duri e freddi come il ghiaccio quando andava in collera. Quando seppe che Zarax si era alleato con i quattro cavalieri, per portare pace e benessere al popolo di Dolcelandia, Lux cercò di coalizzarsi con gli esseri più malvagi che conosceva: lord Serpi ed i suoi rettili.

DOVEROSA PRECISAZIONE

Abbiamo il dovere di precisare che il personaggio “Lord Serpi” esiste già: lo ha inventato Michael Stephens nel suo libro “I misteri della grande foresta”. Noi lo abbiamo trovato davvero affascinante nella sua cattiveria e abbiamo deciso di “adottarlo” come personaggio della nostra storia.

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Lord Serpi e Lux si incontrarono a Dolcelandia al Caffè Landia. Lord Serpi aveva cercato di camuffare il proprio aspetto: aveva arrotolato la coda nei pantaloni, nascoste nei guanti le dita palmate e tirato il cappuccio del mantello sulla faccia per nascondere la lingua biforcuta che usciva fuori dalla bocca ogni volta che parlava.Anche Lux aveva cercato di nascondere la propria identità: indossava un cappello dalla larga tesa che gli ombreggiava il volto.-Ehi Lux! …Ssssss…perché mi hai fatto venire fin qui? Ssssssai che pericolo corro sssssse mi sssssscoprono qui a Dolcelandia? I quattro cavalieri e tuo fratello ssssssarebbero felicissssssimi di appendermi per la coda!-Lord Serpi, non avere paura, qui sei tra amici. Posso offrirti qualcosa?-Ssssssì, grazie! Gradirei uno zzzzzzzabaione!-Cameriere! Uno zabaione e un caffè!-SubitoSignoreArrivoSubito!-Lord Serpi, ti ho fatto venire qui, perché ho una proposta: voglio togliere di mezzo quella brava persona di mio fratello Zarax e quegli stomachevoli suoi quattro amici, così buoni, così generosi, mi fanno venire l’orticaria con le loro buone azioni!-Hai già penssssssato a qualcossssssa?-Certo, ho ideato questo meraviglioso piano: ho inventato una macchina che cambia l’aspetto delle persone. Tu ti trasformerai in Zarax, io creerò un diversivo violento e tu accorrerai come eroe per salvare Dolcelandia. Accompagnerai e avvelenerai i quattro cavalieri; io infine mi prenderò il piacere di uccidere quell’impiastro di mio fratello.Si accordarono sul luogo e sul tempo e andarono via a preparare il loro piano scellerato.Lord Serpi, il giorno stabilito, si recò a casa di Lux ed entrò nella macchina magica uscendone fuori con le sembianze di Zarax. Nel frattempo Lux attirò il fratello nella periferia della città provocando una rissa colossale. Zarax, informato del guaio, corse in città, ma la trovò deserta. Lord Serpi-Zarax aveva già portato i quattro cavalieri in un rifugio preparato in anticipo e, facendo finta di brindare alla loro salute, li avvelenò. Essi caddero a terra e lì rimasero. Solo un rimedio al veleno poteva salvarli entro 24 ore!Intanto Lux aveva tramortito il fratello, lo aveva portato nel suo rifugio e meditava il modo di farlo fuori.Zarax aveva una ragazza di nome Tulip. Era bella come una dea, aveva lunghi e lisci capelli biondi, il viso delicato come una rosa, gli occhi blu come gli abissi del mare. Indossava spesso un delicato abito chiaro come la luce,

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calzava degli stivali in pelle decorati con pietre preziose, le stesse che erano incastonate negli anelli che portava alle dita delle mani.Tulip si accorse presto della sparizione di Zarax e dei cavalieri, ma non sapeva che cosa fare: lasciare l’ordine della città nelle mani dei cavalieri aveva impigrito la gente che si sentiva al sicuro sempre ed ora non era più capace di reagire autonomamente!Poi le venne un’idea! Aveva sempre sentito parlare del favoloso libro Rexoren.Il libro Rexoren attendeva nel suo nascondiglio dalla notte dei tempi. Era nato infatti, insieme all’universo. Era un grosso libro marrone con le strisce d’oro. Sulla copertina aveva un occhio che vedeva tutto ciò che accadeva nel mondo. Si nascondeva in una biblioteca dove erano custoditi migliaia di libri, tutti uguali a lui. La biblioteca era impenetrabile: uno scudo invisibile la proteggeva e un drago, Sibilo, era il protettore del libro: solo chi ne era degno poteva avvicinarsi e Sibilo si metteva a sua disposizione. Rexoren possedeva una magia straordinaria: se qualcuno gli poneva una domanda, esso rispondeva facendo comparire la scritta su una pagina. Il fatto sorprendente è che la scritta era capita da tutti, qualunque lingua parlassero. Chi lo interrogava doveva leggere in fretta perché la pagina scompariva sfrigolando e la domanda non poteva essere riformulata dalla stessa persona.La sua esistenza era leggendaria: nel mondo tutti ne parlavano, ma tutti dicevano che si trattasse solo di una fiaba.Tulip pensò che non aveva nulla da perdere a cercare il libro e si mise in viaggio. Ma dove dirigersi? Si mise a cercarlo sulla spiaggia Cristallina dove si aprivano diverse grotte. La spiaggia si trovava lì, vicino a Dolcelandia. Vicino alla spiaggia Tulip vide un sentiero di pietra che portava in un bosco a ridosso del mare. E lì incontrò Sibilo. Tulip si avvicinò con qualche timore, ma Sibilo si mise a fare le fusa come un gatto e la lasciò passare. Tulip entrò nella biblioteca e cercò il libro. Si sentì cadere il cuore: avrebbe potuto impiegare un anno nella ricerca, tanti erano i libri tutti uguali! Ma Sibilo che la seguiva come un cagnolino, glielo indicò col muso.Tulip pose la domanda: “Dov’è Zarax? Come farò a salvarlo?” Rexoren le rispose in caratteri chiari: “Zarax è prigioniero con i suoi cavalieri del suo malvagio fratello Lux! Porta Sibilo con te, ti aiuterà. Dovrai viaggiare al di fuori di Dolcelandia, nella foresta del Dragoncello, dove è nascosto il rifugio segreto di Lux.” Tulip fece appena in tempo a leggere che la scritta sparì sfrigolando. Ad ogni modo portò via anche il libro. Chissà, forse poteva ancora servirle.Tulip montò in groppa a Sibilo con Rexoren tra le braccia. Sorvolò la foresta di Dragoncello e Sibilo non resistette alla fame e atterrò per brucare un po’. Tulip glielo concesse visti tutti i favori che le aveva fatto. Mentre attendeva

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sfogliò il libro Rexoren che le mostrò un piano per sconfiggere Lux. Mentre leggeva, il libro le scivolò dalle mani e cadde contro il cipresso vicino cui si era fermata. Il tronco dell’albero si aprì e il libro cadde dentro. Tulip non poteva perdere il libro e si tuffò anche lei nel tronco. Era il covo di Lux: era proprio dietro di lui mentre legava suo fratello Zarax stretto come un salame! Tulip non aveva armi, come avrebbe liberato Zarax! Attese che Lux andasse nell’altra stanza e con le forbicine tagliò pazientemente le corde che legavano Zarax. Prima di ogni altra cosa Zarax la abbracciò. Il potere del loro amore era così forte che insieme potevano vincere ogni difficoltà… Lux e Lord Serpi furono puniti severamente ed imprigionati. A Zarax dispiaceva molto per suo fratello, ma aveva messo a rischio la vita di tutta Dolcelandia e andava punito severamente.Quando tutto fu finito il primo compito di Zarax e dei cavalieri salvati dal veleno fu quello di insegnare alla gente di Dolcelandia a capire da soli quali erano i pericoli rappresentati dalle persone cattive, senza aspettarsi la salvezza da eroi di qualsiasi tipo: ciascun cittadino può aiutare con il suo comportamento corretto a creare una città migliore!

Classe 5BVillaggio Celdit

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L’ELEFANTE E LE FORMICHE

C’era una volta una colonia di formiche che lavorava tutto il giorno.Le operose formichine non temevano nessuno, solo un ingombrante elefante che ogni giorno passava per andare a fare merenda con le rosse e succose ciliegie che stavano su un albero, situato proprio davanti all’ingresso del formicaio. L’elefante, senza fare attenzione a dove metteva le sue grosse zampe, schiacciava senza pietà tutte le sfortunate formiche che si trovavano a passare casualmente da quelle parti in quel momento. Una formica, stanca dei continui soprusi, protestò e disse all’elefante: “Signor elefante, può andare a fare merenda da un’altra parte?”Ma fu inutile l’elefante non volle spostarsi e inveì contro le povere formichine. Giunta la notte, l’elefante andò a dormire quando all’improvviso sentì un rumore strano e aprì la porta. Vide che proprio sull’uscio c’era una giraffa enorme, amica della formica, che voleva schiacciarlo come una frittata. L’elefante scappò via e da quel momento in poi imparò questa lezione: NON FARE AGLI ALTRI QUELLO CHE NON VORRESTI FOSSE FATTO A TE.

Mattia Pertesana Classe 3B Villaggio Celdit

L’AQUILA E LA VOLPE

Un’aquila e una volpe, che erano diventate amiche, decisero di andare ad abitare vicine. Trovarono un cespuglio ai piedi di un albero altissimo e qui diedero alla luce i loro piccoli. Un giorno la volpe uscì in cerca di cibo e una lupa che passava di lì, essendo molto affamata, prese i volpacchiotti e se li mangiò. Allora l’aquila, pensando che la volpe l’avrebbe incolpata, spostò il nido sulla cima di un grosso albero. Quando la volpe ritornò alla tana si disperò tanto per la scomparsa dei suoi poveri cuccioli e iniziò a gridare terribili maledizioni contro la sua vecchia amica.Le grida furono udite da una civetta che si trovava da quelle parti e, avendo assistito all’episodio, spiegò alla volpe l’equivoco. Questa, avendo compreso la verità, disse all’aquila: -Amica mia, di cosa avresti dovuto aver paura tu che non avevi fatto nulla di male?Fu solo allora che l’aquila comprese quanto è vero il seguente detto: MALE NON FARE, PAURA NON AVERE.

Sofia Di Profio Classe 3B Villaggio Celdit

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IL LUPO BURLONE

Nel bosco abitava un lupo dispettoso che si divertiva a fare scherzi a tutti gli animali.Un giorno sbucò improvvisamente da dietro un albero terrorizzando una volpe che scappò a gambe levate. Una notte iniziò a fare strani versi da dietro un cespuglio, svegliando di soprassalto un povero cervo che stava dormendo profondamente. Insomma giorno dopo giorno si divertiva a fare mille dispetti a tutti gli animali del bosco i quali, arrabbiati di dover subire continuamente gli scherzi del lupo, decisero di fargliela pagare.Guidati dalla furba volpe, organizzarono uno scherzetto con i fiocchi e si divisero i compiti: il cinghiale andò a prendere i fuochi d’artificio nel paese vicino, il gufo volò in cerca delle pietre focaie, il coniglio e il cervo presero in prestito uno spaventapasseri e della stoffa da un contadino. Tutto finalmente era pronto! Quando la cicala, che stava di vedetta sul ramo più alto di una quercia, vide avvicinarsi il lupo, diede il segnale stabilito a tutti gli altri animali. Lo scoiattolo iniziò a sfregare le pietre focaie che fecero scoppiare i fuochi d’artificio; gli uccelli mossero lo spaventapasseri che avevano addobbato con la stoffa ; la talpa, il ghiro e il tasso corsero incontro al lupo gridando -Scappa, scappa! Sta arrivando un cacciatore!Il lupo se la diede a gambe levate e per due giorni non si fece vedere per la paura. Quando tornò nel bosco gli altri animali divertiti gli dissero: -Povero lupo, non avevi capito che era tutto uno scherzo?Il lupo imbarazzato e anche un po’ risentito chiese: -Perché l’avete fatto?Allora tutti gli animali in coro gli dissero: -Per insegnarti questa importante lezione di vita: Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te stesso!

Sofia Di Profio Classe 3B Villaggio Celdit

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L’ESISTENZA DELLE QUATTRO STAGIONI

In un tempo lontano, in un bosco c’erano quattro grossi alberi tutti diversi tra loro. Vivevano in pace ed erano amici fino a quando un giorno Estino (l’estate) disse che lui era l’albero migliore di tutti perché era il più bello con tanti frutti e foglie verdi. Allora Primino (la primavera) si arrabbiò subito e disse che era lui il più bello perché era pieno di fiori variopinti. Aunino (l’autunno) si mise a ridere dicendo - Vi state sbagliando tutti e due! Sono io l’albero più bello perché sono pieno di foglie di tanti colori, non come Primino, io sono molto più colorato. E così si misero a discutere per giorni. Ad un certo punto il Dio Natura disse urlando – Basta! Nessuno è migliore di nessuno! Ognuno di voi ha una sua caratteristica che lo rende unico. Da quel giorno i quattro alberi non litigarono più e capirono che proprio grazie alla loro diversità erano indispensabili gli uni agli altri. Il Dio Natura decise allora di dedicare ogni periodo dell’ anno ai quattro alberi in base alle caratteristiche di ciascuno e nacquero così le quattro stagioni.

Simor Nacci Classe 3B Villaggio Celdit

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VERDETTO FINALE

Siamo qui riuniti per esaminare e giudicare i casi riguardanti le seguenti imputate che sono chiamate a comparire davanti a questa corte ed essere giudicate da questo tribunale che emetterà il verdetto finale. Le Signore: Frank Anna, Cleopatra d’Egitto, Teresa di Calcutta, D’Arco Giovanna, Parks Rosa, Ipazia di Alessandria sono accusate di non essersi impegnate, durante la loro vita, in favore della difesa e salvaguardia dei diritti umani. Chiamiamo a testimoniare in propria difesa la signorina Frank.-Signorina Frank cosa ha da dire a sua discolpa?-Signor giudice mi trovo qui perché sono stata accusata di aver scritto cose non vere nel mio diario e di non avere meritato di essere ricordata per ciò che ho passato! -Si spieghi meglio!-Molti non credono che le storie raccontate nel mio diario siano vere in quanto è difficile pensare che una ragazzina di tredici anni riesca a vivere in un nascondiglio per due anni e mezzo, senza poter giocare, senza amici e nel silenzio. A questa età i ragazzi fanno capricci per poter uscire a fare compere, per andare alle feste di paese e al parco con gli amici ma io non potevo perché ero nascosta in una soffitta tutta buia per non essere catturata dai nazisti e quindi non avevo tempo per fare capricci: capivo la drammaticità della situazione e vivevo in tristezza e solitudine. Inoltre, poi, nei campi di concentramento lavoravo per poter parlare con qualcuno e cercavo di non pensare alla fine della mia vita che sapevo presto sarebbe finita. Il mio sacrificio è servito a far conoscere a tutto il mondo le atrocità che milioni di persone come me hanno dovuto subire a causa delle ingiuste leggi razziali che vogliono alcuni popoli superiori ad altri ma a questo in pochi credono e quindi mi accusano di falso.-Prego si può accomodare in attesa che la giuria esamini il suo caso ed emetta il verdetto. Convochiamo ora la Signora Cleopatra alla quale chiediamo di recarsi al banco degli imputati e riferire tutto ciò che ha da dire in sua difesa.-Sono Cleopatra e sono nata ad Alessandria nel 69 a.C. A diciotto anni, dopo la morte di mio padre, sono salita al trono e sono stata obbligata a sposare prima mio fratello Tolomeo XIII e poi, una volta morto, anche Tolomeo XIV, altro mio fratello che però mi cacciò dal regno. Ho subìto le decisioni più terribili da parte degli uomini della mia famiglia, dall’incesto alla violenza, all’abbandono. Quando Giulio Cesare venne in Egitto mi rimise sul trono e mi innamorai di lui: nacque un figlio di nome Cesarione. Dopo la morte di Cesare nel 44 a.C. conobbi Marco Antonio

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e dalla nostra unione nacquero altri tre figli. Non appena la notizia arrivò a Roma Ottaviano dichiarò guerra all’Egitto: io e Antonio perdemmo e fui condannata ad essere deportata e a diventare schiava di Roma. Per non essere schiava di Ottaviano decisi di suicidarmi. Per questo ancora oggi il mio nome è ricordato perché pur di difendere la mia dignità ho preferito morire da regina e non vivere da schiava: avevo tutte le qualità per essere regina d’Egitto e governare saggiamente il mio popolo per il quale avevo sacrificato la mia vita fin da giovane e sofferto a causa delle ingiustizie inflittemi. -Può andare, attenda di là che la giuria si consulti. Procediamo ad ascoltare la Signora Teresa di Calcutta. Prego ci descriva il suo caso.-Sono Madre Teresa. Sono nata il 26 agosto 1910 in Macedonia. A 18 anni ho lasciato la mia casa per entrare nell’istituto della “Beata Vergine Maria”, a 27 ho fatto la professione dei voti perpetui. A 38 ho indossato il Sari. Per tutta la vita mi sono dedicata ai poveri, mi sono presa cura di loro e li ho accuditi durante le malattie più pericolose; ho affrontato con fermezza e convinzione tutti gli ostacoli che si presentavano, ho lottato perché tutti avessero l’opportunità di vivere con dignità; mi sono impegnata, a costo della mia vita, affinché tutti meritassero di essere curati e ricevessero un minimo di garanzia di vivere. Mi sono occupata e preoccupata in particolare dei bambini e del loro diritto di essere uguali a tutti gli altri bambini del mondo: curati, nutriti, vestiti e istruiti. Nel 1997 all’età di 87 anni sono morta a Calcutta. Mi volete accusare di non avere dedicato abbastanza la mia vita al bene degli altri? Avete ragione: il tempo da dedicare alla tutela dei diritti umani non è mai abbastanza!-L’abbiamo ascoltata e abbiamo messo agli atti la sua deposizione, si può accomodare e può entrare la Signorina D’Arco. Ci dica, Signorina, cosa ha da dire in sua difesa?-Io sono Giovanna D’Arco e sono nata da contadini analfabeti nel 1412. Un giorno, all’età di 13 anni, ho sentito delle voci e ho creduto che gli angeli mi dicessero che dovevo guidare il mio paese, la Francia, alla vittoria contro gli inglesi. Ho iniziato la guerra e ho guidato il mio esercito, ma sotto le mura di Parigi mi hanno catturata e messa in prigione. Dopo essere passata da una prigione all’altra sono stata portata in un tribunale dove mi hanno accusata di eresia e stregoneria. Sono stata bruciata viva davanti a tutto il popolo: sono morta per proteggere il mio paese, la mia vita l’ho sacrificata in nome del diritto di ogni persona di avere una patria e un ideale per cui lottare. Va bene così o volete sentire altro? Posso andare?-Sì sì, è sufficiente, può alzarsi e far accomodare la prossima imputata. Entri la Signora Parks e descriva alla corte i fatti che la riguardano.

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-Io sono Rosa Parks attivista afroamericana del movimento per i diritti civili. Il primo dicembre 1955, dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro, esausta, mi sedetti su un autobus in un posto, però, riservato ai bianchi. Ad un tratto salì un uomo bianco e quando l’autista lo vide in piedi mi richiamò ordinandomi di farlo sedere. Mi rifiutai e per questo motivo fui arrestata e mandata in carcere. In seguito alla mia incarcerazione ci fu una rivolta non violenta contro il razzismo da parte dei neri guidata da Martin Luther King che durò 381 giorni bloccando tutti i mezzi di trasporto e negozi. Quando fui liberata, nel 1956, dichiarai al giudice: - Difenderò tutti i diritti e la dignità del popolo di colore di essere cittadini Americani uguali a tutti gli altri. Morii il 25 ottobre 2005; la semplicità e la delicatezza avevano caratterizzato tutta la mia vita di grande tenace combattente in difesa dei diritti di uguaglianza tra le etnie e lotta contro le discriminazioni razziali. -Per noi è abbastanza, se non ha nulla da aggiungere può andare. Chiamiamo a comparire la Signora Ipazia d’Alessandria. Prego, ci dica tutto quello che ha da riferire in sua difesa. -Sono Ipazia, sono stata capo della scuola platonica e ho trascorso la vita a studiare filosofia, matematica e astronomia. Sono nata nel 370, ho inventato l’astrolabio per studiare i cieli, l’aerometro per misurare la densità dei gas e l’idroscopio per esplorare il fondo marino. Ho scoperto che la Terra gira intorno al Sole, ma non l’ho mai potuto rivelare al mondo poiché a quell’epoca ritenevano che la donna non fosse uguale all’uomo, infatti i filosofi greci pensavano che le donne fossero la rincarnazione degli uomini che in una vita precedente erano stati malvagi e quindi non erano degne di nessuna considerazione. Inoltre le donne non avevano diritto all’istruzione e ad acculturarsi. Nel marzo del 415, all’età di 45 anni, sono morta lapidata: sono orgogliosa di avere sacrificato la mia vita in nome del diritto delle donne di studiare e poter far valere il proprio sapere davanti a tutti: ho insegnato nella piazza di Alessandria a centinaia di uomini che da me hanno appreso i contenuti delle scienze, della matematica, dell’astronomia e della filosofia, e sono sicura, di essere rimasta viva attraverso il ricordo, il pensiero e gli insegnamenti in cui ho sempre creduto e che ancora oggi costituisce un diritto inviolabile di ogni persona di essere istruito.-Dopo avere ascoltato tutte le imputate ed aver giudicato attentamente e scrupolosamente i vari casi, le riteniamo tutte meritevoli di essere ricordate nella storia dell’umanità per avere contribuito a dimostrare, a costo della propria vita, che l’uguaglianza tra popoli, razze, generi e religione, sono un diritto sacro di ciascuno. Le riconosciamo, quindi, innocenti e autorizziamo a ricordarle come donne valorose e coraggiose che hanno contribuito al miglioramento della condizione femminile nella storia. Classe 5 Scuola Primaria Roccamontepiano

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ALICE

Alice ha sempre amato sorridere. Prima lo faceva sempre, in continuazione. Ogni motivo era valido per farlo. Aveva un gran sorriso, di quelli ingenui e sinceri. Quel sorriso, ora, ha abbandonato le sue labbra sottili e si é andato a nascondere fra quei ricordi che sembrano così lontani. Alice ora non sorride più, però, in compenso, ha imparato a fingere un sorrisetto falso, dietro il quale tenta di nascondere tutte le sue emozioni. Crede di essere forte, ma sta crollando dentro. Alice è vittima di bullismo. Sta urlando aiuto, ma nessuno la sente. O almeno così crede. Io ho sentito, ho visto tutto. Ma lei non vede me. Non è di certo una bella sensazione, sentirsi impotente. Il fatto di essere un angelo non mi permette certo di scendere sulla terra e far finta di niente, aiutare la gente come se nulla fosse, anche perché le grandi ali dietro la schiena non passerebbero di certo inosservate.La serratura scatta, la porta si apre. Alice entra in casa: il viso bianco, pesanti borse sotto gli occhi, ha il labbro tagliato e uno zigomo violaceo. Sospira, buttando lo zaino sul divano, ormai non mangia neanche più. Non c’è motivo per farlo. Mi alzo velocemente e la seguo in camera. Si sfila le scarpe consumate, gettandole in un angolo della stanza, afferrando poi il portatile dalla scrivania, buttandosi sul letto e accendendolo. Si sta distruggendo, in questo modo. La vedo far scorrere velocemente il dito sul touchpad, aprendo la pagina Facebook. Una sfilza di commenti le si apre davanti agli occhi, il suo sguardo triste scorre tra quell’oceano di critiche e insulti. Le labbra sottili si lasciano sfuggire un singhiozzo sommesso. Mi avvicino velocemente, facendo scorrere lo sguardo tra i pesanti insulti. Osservo i suoi occhi, un tempo di un vivace color verde, ora spenti, pieni di lacrime, già stanchi di tutto. Cammino velocemente avanti e indietro, consumando passi su passi. Mi sento come il macchinista di qualche treno. Tutti lo credono una persona importante e lui continua a crogiolarsi in quel ruolo. Ed è una sensazione orribile, sapere che tutti ti credono una persona così importante, mentre sai benissimo di essere solo capace di far scorrere sempre le stesse immagini tristi sotto il suo sguardo, come in un film. Ma questo non è un film. Questa è la vita di Alice. Si alza velocemente dal letto, legando i capelli in una crocchia disordinata, impostando la telecamera. Si schiarisce la voce, picchierellando le dita sul materasso, prima di aprire la bocca e iniziare a parlare: “Ciao! Volevo raccontare la mia storia, anche se magari non verrà ascoltata da nessuno e tutti continuerete a giudicare, senza sapere… Non ho mai avuto una famiglia presente, una mamma che ti controlla i compiti e un papà che ti porta al parco il sabato pomeriggio. Papà è spesso fuori per lavoro e quelle rare occasioni in torna a casa si rinchiude nel suo studio e non esce, se non per mangiare o per andare in bagno. Mentre mamma, beh, a lei sembra

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che importino di più i vari aperitivi e le cene di gala al posto di sua figlia. E la povera Alice? A casa, da sola. Come sempre, d’altronde. Non ho una migliore amica che mi faccia compagnia il pomeriggio, una sorella con cui litigare per il telecomando della televisione. Mi è rimasto mio fratello, che, per la cronaca, mi odia a morte. E con questo? Volevo solo farvi capire come mi sento sola. Sola e totalmente inutile. Volevo solo farvi capire a cosa può condurre la cattiveria di una persona, di quella che viene dal cuore di chi però, un cuore non ce l’ha. Tutte quelle offese, tutte quelle minacce e auguri di morte, fanno più male di qualsiasi gesto. Perché né un calcio né uno schiaffo è paragonabile a questo. I lividi passano, le parole no. Quelle rimangono lì, persistenti, a ricordarti quanto sei inutile in questo mondo, e ti lacerano l’anima. Nessuno si accorge di niente, però. E ho bisogno di aiuto, ma ho troppa paura di chiederlo. Ho bisogno di qualcuno, ma nessuno sembra accorgersene. Mi avete augurato la morte e beh, sarete felici che stia davvero pensando di uccidermi. Tanto non cambierebbe la vita a nessuno. Al massimo, potrebbe migliorare la mia e non soffrirei più. Quindi, volevo solo dirvi grazie, mi avete aiutato a capire la nullità che sono. Mi avete fatto passare la voglia di vivere. Vi prego solo una cosa…non ricordatemi come una brava ragazza. Non ricordatemi e basta. Fate sparire il mio nome dalla vostra testa, non fatelo più scivolare via dalle vostra labbra, nemmeno per sbaglio. Quindi, dopo questo, mi è rimasto solo da dirvi… ciao!” Non vedevo il suo viso pallido a causa delle lacrime che mi offuscavano la vista, ma sapevo benissimo che stava piangendo anche lei. In silenzio, come aveva sempre fatto. Mi asciugo velocemente le lacrime, perché se c’è qualcuno di essere forte, tra le due, quella devo essere io. Sospira pesantemente, passandosi le mani sulle guance arrossate, spalancando poi la portafinestra. La vedo fissare il vuoto da sopra la bassa ringhiera di vernice rossa, scrostata e arrugginita. Il solito mercato affollato alla fine della strada, il solito graffito sul muro dell’edificio di fronte e il solito strombazzare dei clacson degli automobilisti impazienti, incuranti che a pochi metri da loro, una ragazza che non aveva ancora imparato a vivere voleva già morire. Rivolgo lo guardo ad Alice. Il respiro pesante, le gambe tese, il busto sporto in avanti, come a riflettere se ne valesse davvero la pena. La vita di una quattordicenne appesa al filo di un rasoio, e se non mi fosse venuta subito in mente un’idea quel filo si sarebbe spezzato. La sua vita si sarebbe spezzata e il mio lavoro sarebbe già finito. Solleva velocemente una gamba, seguita dall’altra. Pensa. Pensa. Pensa. Il battito del cuore, pesante e accelerato sovrastava il rumore dei pensieri. Troppo tardi. Un passo falso e il suo corpo, bianco e gracile, cade nel vuoto. Stringo le mani in due pugni, saltando giù anch’io, con l’unica differenza che un paio d’ali mi avrebbero permesso di salvare la mia vita e quella di Alice. La raggiungo velocemente, prendendola tra le braccia: ha gli occhi chiusi, la bocca serrata e le mani tremanti. Poggio i piedi al suolo, prima di lasciarla a terra,

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con la testa appoggiata al muro. Una lacrima calda scende giù per il viso, il mio, un’altra e un’altra ancora. Mi copro con le mani il viso, nel vano tentativo di riuscire a bloccare i singhiozzi che fremevano nel fondo della gola. Avevo il compito di proteggerla, di farle cambiare idea, ma non sono neanche riuscita a farle capire quanto potrebbe essere bello vivere. Mi volto verso di lei. I suoi occhi sono spalancati, mentre mi fissa insistentemente, come a voler capire perché fossi lì, a disperarmi. “Un angelo che piange, ma davvero?” Sorrido alla punta di sarcasmo nella sua voce. “A quanto pare…” La vedo annuire piano. “Adesso dovrei essere a terra, in una pozza di sangue, e non a parlare con un angelo, che, per l’appunto, è la mia fotocopia” Alzo la testa, piantando i miei occhi verdi sul piccolo sorriso che si era formato sulle sue labbra. “Si vede che non doveva andare così” Sbuffa, passandosi una mano tra i capelli, portandoli indietro. “E come te lo spieghi il fatto che io sia identica a te?” Accenno un sorrisetto. Non mi crederà, ne sono certa. “E se ti dicessi che io sono te e tu sei me? E che magari il fatto che sia qui a ‘parlare con un angelo, che, per l’appunto, è la tua fotocopia’ e non in una pozza di sangue non è un caso?” Aggrotta le sopracciglia, confusa “Mi stai dicendo che tu sei me, solo, in versione angelo? E che sei stata tu a salvarmi?” Abbasso la testa, fissando insistentemente le mie mani, come se fossero improvvisamente diventate la cosa più interessante di questo mondo. “Il 2 Aprile 2012 ero ormai arrivata al culmine. Ero stanca di tutti gli insulti, le prese in giro e gli auguri di morte. Volevo solo farla finita. E così feci. Mi accorsi troppo tardi che la mia vita era troppo preziosa per essere buttata via così. Dovevo farlo capire anche a te, ma evidentemente non sono buona nemmeno a far capire alle persone quanto valgono”. Alice risponde “La mia vita è inutile. Non varrebbe la pena salvarla. Nessuno mi ama”. Scuoto la testa, convinta del contrario. “Ne sei proprio sicura?” Annuisce, riprendendo a fissare le sue converse rosse. Le prendo velocemente la mano, stringendola. “Io non ne sarei così convinta”. Davanti a noi si dissolvono velocemente le case, le auto e il cielo grigio, per poi ritrovarci pochi secondi dopo sempre allo stesso posto, lo stesso giorno, la stessa ora, solo 10 anni dopo. “Che…. Che cosa è successo?” Sorrido, guardandomi intorno. “Mah, niente. Siamo solo andati un po’ avanti nel tempo!” Alice sgrana gli occhi “Avanti nel tempo? Di quanto, precisamente?” “10 anni, più o meno” Sbatte più volte le palpebre, probabilmente stupita dal mio tono noncurante e dalla strana situazione. “Siamo, quindi, nel futuro?” “Precisamente nel tuo futuro… quello in cui hai deciso di continuare a vivere!” Aggrotta le sopracciglia, parecchio confusa. “Perché, ho un altro futuro?” “Vedrai!” Sospira. “Cosa stai cercando di fare?” Le sorrido ingenuamente “Chi? Io? Niente… vorrei solo farti capire che la vita ha anche un lato positivo, che potrebbe prevalere su quello negativo, se soltanto avessi un po’ di determinazione e autostima in più!” Inizia a parlare, cercando di controbattere “Ma… io…” Non

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finisce di aprir bocca che le prendo la mano, facendole sollevare i piedi da terra, portandola in alto. Sorvoliamo i tetti dalle tegole rosse, i balconi con i panni stesi ad asciugare, freschi di bucato, e le innumerevoli automobili parcheggiate di fronte agli uffici, fino a quando non ci fermiamo di fronte alla piccola finestra di una graziosa casetta in mattoncini. “Guarda dentro!” Alice si sporge un po’ in avanti, sbirciando da dietro il grande vaso di fiori poggiato sul davanzale. Una giovane donna, dai brillanti occhi verdi e dal grande sorriso, sorseggia un tè in compagnia di un ragazzo alto e dal sorriso smagliante, mentre un bambino biondo, dai capelli riccioluti e le fossette che ornavano il sorrisino impertinente, giocava all’angolo della stanza con delle costruzioni. “Chi sono?” “Secondo te?” Sembra rifletterci un pochino, mentre il suo sguardo vaga da una parte all’altra della stanza. “Non… non posso essere davvero io!” Un sorrisino compiaciuto spunta sul mio volto. “E se invece fossi davvero tu?” “Non è possibile!” Accenno una risatina, mentre nuovamente la casetta in mattoncini si dissolve di fronte a noi, facendo poi spazio ad una grande stanza d’ufficio, luminosa e moderna. Una giovane donna, sempre la stessa, apre la porta lucida. Il ticchettio dei tacchi a spillo accompagna il suo sorriso mentre i suoi occhi risplendono alla luce del giorno. Si siede ad una scrivania, iniziando a sfogliare alcuni fascicoli poggiati sul piano rilucente. Alice si avvicina leggermente, facendo scorrere lo sguardo tra le tante righe. “Parlano di bullismo!” Esclama sorpresa. Annuisco “E’ un articolo per il suo giornale!” I suoi occhi si illuminano e sul suo viso si apre un sorriso grande quanto il sole. “Davvero?” “Precisamente si occupa della rubrica ‘I ragazzi oggi’.”Annuisce piano, avvicinandosi ancora un po’. Le è sempre interessato il giornalismo. Per lo più, le è sempre piaciuto scrivere sui libri di scuola, sui pezzi di carta strappati, sui bordi dei quaderni o sulla rubrica della mamma. Alice scriveva. Scriveva qualunque cosa le passasse per la testa perché la rendeva felice. “Ma…davvero tutto questo potrebbe succedere? A me?” Leggo nei suoi occhi un velo di speranza, mentre le dita picchierellano sui jeans chiari. Annuisco con veemenza, felice che abbia ripreso finalmente fiducia, che abbia finalmente capito che questo potrebbe essere il capitolo più brutto del suo libro, ma la storia, la sua storia, continua. Le pagine vanno avanti e il libro prima o poi finisce, e che bisogna godersi quei piccoli momenti che quei capitoli possono donarti, perché prima o poi le parole si esauriranno e quando tutte quelle pagine saranno state consumate dallo sguardo del destino, il libro verrà riposto in uno scaffale, e lì rimarrà a lungo, tra la polvere e le sue pagine di storia. Perché, in fondo, la vita è proprio così, come un libro. Sento lo sguardo brillante di Alice puntato addosso. “Devi dirmi qualcosa?” Aspetta qualche secondo, titubante, prima di aprir bocca e iniziare a parlare “E se non andasse così? La vita degli altri non cambierebbe, no? Se decido di non morire, lo faccio per me. Ma se sono così inutile, allora non ne vale la pena, no?” Le stringo la mano e, ancora una volta, di

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fronte a noi svaniscono lentamente la giovane donna dagli occhi brillanti e il suo gran sorriso, ritrovandoci poco dopo in un cimitero. Il cielo scuro promette pioggia, mentre il vento scompiglia i capelli ribelli di Alice. “Perché mi hai portato in un cimitero? Siamo sempre nel futuro?” Nonostante il forte vento, riesco a sentire la sua voce. “Siamo nel tuo futuro, quello che vivresti se decidi di farla finita!” L’afferro per la vita sottile, portandola in alto. “Non fare domande!” Le urlo, mentre voliamo sulle molteplici lapidi grigie e i fiori appassiti, fermandoci poi sul ramo grande di un salice piangente, sotto il quale una decina di persone sono radunate intorno ad un corpicino magro. “Oggi siamo qui per celebrare il funerale della giovane Alice Masci” Alice si sporge un pochino in avanti, fra le fronde che danzavano sulla musica del vento, aggrappandosi saldamente al grande ramo, sfidando il forte vento. “Quella è tua madre…” Indico una donna che piange disperatamente, coprendosi la bocca con la mano. “Quello vicino a lei, invece, è tuo padre” Indico un uomo che cerca di trattenere le lacrime. Il volto serio, la postura rigida, ma gli occhi tristi, grigi, vuoti. Affianco a lui, un ragazzo ricciolino si tortura le mani, mentre alcune lacrime discendevano il suo viso fino a posarsi sulle sue guance arrossate dal vento. Dalle maniche della giacca spuntavano alcuni tagli. “Quello, invece, è tuo fratello”. Sto per aprir bocca prima che la sua voce mi blocca. “Quei tagli come…come se li è procurati ? E’caduto dal motorino, vero? L’ho sempre detto che quel coso avrebbe solo…” Sospiro, interrompendola. “Tuo fratello ha problemi con l’alcool. Soffre di disturbi alimentari e, anche se non sembra, tu eri l’unica ragione per cui si alzava dal letto ogni giorno e andava a scuola, con la speranza di poterti dare un giorno il motivo per essere fiera del suo fratellone. E ora che non ci sei più, ora che anche la più piccola speranza che le sue giornate possano essere nuovamente illuminate dal tuo sorriso è svanita, ha iniziato ad autolesionarsi. E’ vittima di bullismo anche lui, sai? Voleva solo proteggerti, in fondo. Cercava di non farsi vedere insieme a sua sorella solamente perché aveva paura che picchiassero anche lei”. Annuisce, mentre i suoi occhi si appannano leggermente. “Vai avanti.” Indico una ragazza dai capelli rossi e gli occhi chiari, che fissano il vuoto. “Quella è Camilla, la migliore amica di Josh”. A quel nome Alice sgrana gli occhi, rivivendo sulla propria pelle tutto quel dolore accumulato in quattro anni. “Josh l’aveva minacciata. Camilla non doveva avvicinarsi a te, a meno che non volesse essere picchiata anche lei. Voleva solo evitare di degenerare la situazione”. Alice annuisce, iniziando a torturarsi le mani sottili. “Pensi che possa bastare?” Alice annuisce, un po’ titubante, stringendosi nella felpa leggera. “Allora? Hai cambiato idea?” “Io, cioè… perché, nella società, tutti ti giudicano? Sei sempre troppo alta, troppo bassa, troppo grassa, troppo magra, troppo mora o troppo bionda, però, se muori, eri una bella persona. Non ha senso, no?” Smettila di pensare ‘alla gente’. Stammi a sentire. La vita è una sola e non è eterna. I minuti

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corrono e non c’è tempo di star a pensare alle critiche, agli insulti e a quello che pensa la gente. Quando mai una ragazza deve piangere guardandosi allo specchio? Da quando gli specchi parlano? E allora alzati e combatti. Non aspettare che nessuno venga a salvarti, perché puoi benissimo farcela da sola. Ti giudicheranno sempre, quindi non ha senso perdere tempo dietro le loro parole. Canta a squarciagola, balla per le strade, urla nei negozi, esci la sera. Quando qualcuno ti dice che sei grassa, mangia, mangia e mangia ancora e se qualcuno ti dice qualcosa mangia pure loro. Solo, vivi”. Alice mi guarda. Le labbra serrate, gli occhi fissi nei miei. “Io non so… se ce la faccio” “ Io lo so, lo so che puoi farcela. Se non hai la forza, prendi la mia. In fondo, sono qui per te. Pensa alle persone che volevano solo continuare a vivere, ma la vita gli è scivolata via dalle mani come se nulla fosse. Vivi per loro. Vivi per me. Vivi per te. Se non puoi essere la principessa che deve essere salvata, sarai la guerriera che combatte da sé. E ogni tua vittoria, ogni tuo sorriso, vale più di qualsiasi cosa”. Alice ora sorride. Un sorriso grande, ingenuo, sincero. Ogni motivo è valido per farlo. Alice si è alzata e ha imparato a combattere.

Elisa Di Berardino Classe 2A Scuola Secondaria di I grado “G.Verdi”

Casalincontrada

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E’ ARRIVATO UN NUOVO AMICO

All’inizio dell’anno scolastico le maestre ci hanno comunicato che sarebbe arrivato un nuovo compagno da un continente lontano. Immediatamente ci siamo chiesti chi fosse, da dove venisse, quale aspetto avesse… Qualcuno ha detto: “Speriamo che sia italiano perché gli stranieri, non rispettano le regole, non sappiamo cosa fanno”. Ci siamo incuriositi e volevamo sapere come avesse il carattere perché qualcuno ci aveva detto che lui offendeva tutti e si comportava male. Eravamo davvero preoccupati! Intanto ci siamo organizzati per accoglierlo con una bella festa. Finalmente, giunto in classe osserviamo che è molto alto con la corporatura di un giocatore da rugby, sembra molto più grande di noi e invece… ha proprio la nostra età! I suoi occhi brillano e i suoi capelli ricci risaltano sul viso con la pelle nera. Siamo rimasti in silenzio mentre lui educatamente si siede vicino a Lorenzo. Nick parla correttamente l’inglese e sa fare anche battute spiritose con quel suo “Italiano strano”. E’ simpatico e rispetta tutti, è riservato ma non si mostra per niente timido anzi, prende parte volentieri alle nostre attività. Desidera imparare molto presto la lingua italiana e si diverte tanto quando facciamo i laboratori: è un campione nel realizzare disegni e lavoretti! Abbiamo notato che è molto sensibile e silenzioso; preferisce ascoltare piuttosto che parlare e chiacchierare, come facciamo noi. Chiede sempre il permesso prima di prendere le cose in prestito, rispetta le persone in difficoltà, ha imparato tante regole su cui le maestre quest’anno ci fanno lavorare, sa riconoscere i comportamenti corretti nel rispetto delle persone e dell’ambiente. In occasione del concerto di Natale noi gli abbiamo procurato la tunica e lui ha realizzato gli accessori per completare il suo personaggio.

Un giorno durante la ricreazione gli abbiamo fatto assaggiare dei cibi abruzzesi e lui in seguito ci ha portato quelli della sua terra natia. Da lì è nata un’ amicizia vera e noi abbiamo compreso come sia importante conoscere ed ascoltare le sue ragioni; confrontare modi di vivere e tradizioni degli “altri” che non sono proprio così diversi da noi. Abbiamo capito che non conta sapere chi sia, da dove arrivi o che colore di pelle abbia: ma dobbiamo sempre ricordare che ciò che conta di più è stare insieme rispettando tutto e tutti!

Classi 5A e 5B Scuola Primaria Ripa Teatina

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UNA PAROLA DI TROPPO

Siamo in classe: è la prima ora di lezione. La maestra ci consegna una scheda con un testo e dice: -Leggi tu, Francesco- Inizio la lettura mentre i miei compagni sono tutti in silenzio; mi ascoltano e sento addosso una grande responsabilità: voglio leggere bene, con espressione. Ad un certo punto mi confondo nella lettura di una parola e la ripeto più di una volta. La maestra mi guarda per tranquillizzarmi e per incitarmi ad andare avanti. E’solo un attimo, sto già per ricominciare quando sento la voce di una mia compagna che dice: -E dai, che ci vuole, mamma mia, non sai leggere!? La maestra interviene prontamente e fa notare l’inopportunità dell’intervento. -Grazie, maestra! -In quel momento sento di “odiare” la mia compagna e penso che ben presto gliela farò pagare, così rispondo: -Le solite femmine perfettine, che sanno tutto loro! Sono arrabbiatissimo, non riesco più a leggere, penso solo a come vendicarmi. In un attimo, in classe, si formano due gruppi: i maschi dalla mia parte, le femmine contro di noi. Le nostre compagne ci dicono: -Voi maschi pensate solo alle partite di calcio, siete disordinati, fate solo chiasso e non sapete organizzarvi! Noi rispondiamo: -E voi sapete solo ridere e prendere in giro!!!- Ragazzi, ma perché queste discussioni tra di voi? Non sarebbe meglio parlare con calma evitando di offendersi a vicenda e parlare per stereotipi? In classe c’è un bisbiglio continuo, ognuno dice la sua, qualcuno non ricorda neanche il motivo per cui si è arrivati a quella discussione e cerca di tirarsene fuori. Io rimango a pensare un po’ e non trovo giusto che una compagna mi faccia fare brutta figura per una cosa che può accadere a tutti. Non sono stato mica io a cominciare! Nei giorni seguenti la maestra riprende il discorso, ci fa parlare per chiarire le cose, per conoscerci meglio e per farci capire che attraverso il dialogo e il rispetto reciproco si possono evitare le incomprensioni. I giornali che leggiamo ci raccontano spesso storie anche gravi causate dalla prepotenza delle persone. -Maestra, è così che accade anche quando si è grandi? Basta poco per perdere la pazienza, dire cose sbagliate e fare brutte azioni?- Lei ci dice di sì e ci spiega che la classe è una piccola società nella quale impariamo a dialogare ed a saper chiedere scusa. Il rispetto è la prima cosa. Successivamente abbiamo portato a termine con tranquillità quella lettura interrotta.

Classe 4A Scuola Primaria Ripa Teatina

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MI CHIAMAVANO “MELA”

Era una splendida e calda giornata d’estate, ero molto felice perché indossavo il mio nuovo costume con lo stemma dell’Inghilterra e volevo mostrarlo facendo una passeggiata sulla riva in modo che lo notasse e pensasse che era proprio bello. Iniziai a camminare con attenzione per non tagliuzzarmi con qualche conchiglia spezzata, mi accorsi che le persone mi guardavano con un bel sorriso e io mi sentivo bella, ma successivamente girai lo sguardo e adocchiai la faccia dei miei nemici, “evidenziatore e giraffa”, questi erano i soprannomi che io dentro di me avevo dato al primo, per il colore fosforescente dei suoi costumi e al secondo, per la sua altezza esagerata. Anche loro però mi avevano attribuito un nomignolo e mi chiamavano apertamente “mela” che, al primo impatto può sembrare divertente, ma dopo un po’ ti stufa perché ti fa sentire un cibo insignificante. Ci salutammo con discrezione, non eravamo amici ma solo vicini di palma, loro cominciarono a venirmi dietro e a canzonarmi : - Ciao mela, ai tuoi mille costumi ne hai aggiunto un altro?! Lo sai che sei diventata proprio grossa?! Sei così grossa che appena fai un passo trema tutta la Terra! Ma lo sai che solo un bidone potrebbe indossare quell’orrendo costume?! -Io continuavo a camminare facendo finta di niente, in fondo ero abituata al loro comportamento, ma questa volta era diverso, passo dopo passo perdevo sicurezza, mi venne un grosso nodo in gola, diventai rossa, mi girai e con tutto il fiato che riuscii a recuperare gridai: - Adesso basta! Sentite, anche voi non siete perfetti e io potrei chiamarvi con buffi nomignoli, ma non lo faccio perché non mi piace puntare il dito contro i difetti degli altri! Quindi smettetela! - e corsi via. Non so cosa accadde dopo, ma il giorno seguente i due “nemici” mi chiesero scusa e proposero di diventare amici e di tornare a chiamarci con i nostri bei nomi: ERNESTO, GIACOMO ed io SARA .

Sara Camplone Classe 5 Scuola Primaria Torrevecchia Teatina

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LETTERA A CAROLINACara Carolina,in classe con la nostra professoressa abbiamo letto la tua storia e ne siamo rimasti molto colpiti. Eri una ragazza davvero bella e vitale, avevi diritto di vivere interamente la tua esistenza, crescere, studiare, girare il mondo, amare, arricchire la comunità con i tuoi doni…purtroppo ciò non ti è stato consentito per colpa di questo triste fenomeno: il bullismo che sin nasconde nella rete ovvero il cyberbullismo. Alcuni giovani, talvolta protetti dall’anonimato, utilizzano Internet e soprattutto i socialnetwork non per scopi utilitaristici o ludici, ma per minacciare, insultare, diffamare attraverso la pubblicazione di post, foto, filmati o altro altre persone che non hanno alcuna colpa se non di essere persone comuni, spesso giovani, talvolta fragili o troppo sensibili e comunque diversi da quello che il branco considera essere “normale”. Noi sappiamo bene che la normalità non esiste, che siamo tutti diversi, ognuno a modo suo ed è proprio questo che rende il mondo un posto bello e degno di essere abitato. Se ci fossimo conosciuti prima, forse, avremmo potuto aiutarti. Conosciamo bene il fenomeno perché ne abbiamo parlato a scuola. Per quanto abbiamo appreso, vorremmo dare alcuni consigli alle ragazze e ai ragazzi che si trovano nella tua stessa situazione. Secondo noi non ci si deve lasciare condizionare da persone che si nascondono dietro uno schermo insultando pesantemente noi e i nostri affetti, perché queste persone sono sicuramente deboli e vigliacche ed incapaci di affrontarci a viso aperto. E non dobbiamo aver paura di dire no, di bloccare queste aggressioni o di denunciare queste persone e i loro complici. Vorremmo dire a tutti coloro che vivono una situazione simile che vi consigliamo di reagire, vi preghiamo di non vergognarvi, di non isolarvi perché questo significa che il cyberbullo ha già vinto. In casi gravi vi consigliamo di parlarne con compagni, insegnanti e familiari o addirittura arrivare a sporgere denuncia presso le autorità competenti. E se davvero siete alla disperazione e pensate che ormai non ci sa nulla da fare, che la vostra reputazione è perduta per sempre e il vostro mondo crollato sotto i colpi degli insulti e delle cattiverie, provate a spegnere il pc ed uscire nel mondo reale per respirare aria pulita: spegni il cyberbullo prima che il cyberbullo spenga te!

Classe 3B Scuola Secondaria di Ripa Teatina

P.S. Carolina Picchio a soli 14 anni ha scelto di porre fine alla sua vita spinta da atti di bullismo on line compiuti dai suoi stessi coetanei.

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I BULLI NON VINCONO!

I bulli fingono di essere grandi,si comportano come furfanti poi si dimostrano Santi. Non hanno capito il vero senso della vitache sembra essere proprio smarrita.Tirano fuori la propria violenzadimostrando la loro prepotenza,dietro lo schermo di un computercon tanti insulti e molte minacceusando ripetute parolacce.Dietro la lorovigliaccheriasenza ragion che ci siapensando di risolvere i loro problemicon scorretti sistemi.

QUESTO E' BULLISMO E... NON SOLO...

Classe 3A Scuola Secondaria di I grado Ripa Teatina

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Classe 3A Scuola Primaria di Ripa Teatina

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78 Disegno a cura della Scuola dell'Infanzia di Ripa e Torrevecchia Teatina

LA STORIA DI EMMA

Emma è una ragazza di 16 anni che vive a Roma e frequenta il terzo anno del liceo classico. E’ una ragazza alta e magra, ha i capelli rossi e gli occhi verdi. I suoi genitori sono benestanti, sanno di avere una figlia bella e intelligente e pretendono molto da lei. Il padre, medico, la vede già laureata in medicina e pronta a seguire le sue orme, però non le ha mai chiesto cosa lei vorrebbe fare veramente!Emma si impegna, a scuola, ma non se la sente di studiare medicina e vorrebbe piuttosto fare la giornalista, in giro per il mondo… ma chi glielo dice a suo padre? Sua madre, poi, è sempre perfetta ed elegante e naturalmente anche sua figlia deve esserlo!Emma vuole bene ai suoi genitori, non vuole deluderli, ma non riesce a parlare con loro, non riesce a tirare fuori i suoi dubbi e le sue speranze, si tiene tutto dentro e si sente sotto pressione. Anche a scuola non riesce ad essere veramente se stessa e a confrontarsi con gli altri, per questo la considerano un po’ snob.Si sente quindi molto sola e, per compensare questo vuoto, comincia a mangiare in modo esagerato. Emma ingrassa velocemente e, quando se ne accorge, inizia a procurarsi il vomito, terrorizzata dal suo nuovo aspetto. A scuola viene emarginata sempre di più, i suoi compagni la prendono in giro perché va continuamente in bagno a vomitare.L’unica persona su cui Emma può contare è Roberta, la sua migliore amica, fin dalla scuola primaria. Roberta la difende dalle prepotenze e cerca di convincerla a non essere più bulimica, ma invano.La bulimia è una malattia che nasce da dentro, spesso per motivi di famiglia. I genitori di Emma, però, non si rendono conto del problema della figlia, sono molto impegnati e non si accorgono che lei sta male e soffre.Ma il peggio deve ancora venire!Un gruppo di ragazze, a scuola, scatta di nascosto alcune foto ad Emma, quando lei è in bagno, e le posta su Facebook: comincia da lì una serie di offese e derisioni sui social network. Ormai tutti la prendono in giro in maniera sempre più evidente, ma lei all’inizio non capisce il perché, in quanto non ha Facebook e quindi non può sapere cosa sta accadendo. Un giorno riceve, da un numero sconosciuto, un SMS in cui le si dice di visionare i profili Facebook non solo dei compagni di scuola, ma anche della sua migliore amica.Si arma di coraggio e si iscrive sul social network, temendo di avere grosse delusioni!Con stupore e angoscia, vede le sue foto e i commenti molto duri nei suoi confronti, anche da parte di Roberta!A questo punto Emma non sa più su chi può contare, è disperata, vede solo volti ostili intorno a sè…

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Nella sua disperazione, però, arriva un volto amico: è Claudia, la psicologa della scuola! Gli insegnanti di Emma hanno capito che c’è qualcosa che non va ed hanno chiesto a Claudia di intervenire.La psicologa, con un lungo percorso terapeutico, aiuta la ragazza a combattere la bulimia e a ritrovare l’autostima perduta, in modo da potersi difendere dalle ingiustizie e dagli atti di bullismo e cyberbullismo.Emma si fortifica sempre di più, ma gli attacchi non finiscono. Alcuni compagni continuano ad offenderla, cosi Emma rivela i loro nomi agli insegnanti e questi chiamano i genitori dei “cyberbulli”, per prendere opportuni provvedimenti.Anche questa volta numerosi ragazzi si scagliano su di lei nei social network: è considerata colpevole di avere fatto la spia, di aver denunciato dei compagni che volevano solo “scherzare”! Emma, però, ormai è diventata forte e coraggiosa, più forte dei suoi persecutori, che si nascondono dietro un profilo, spesso falso; lei sa che ci sono molti altri ragazzi che subiscono in silenzio e vuole aiutarli.Decide di parlare alla propria classe, si sfoga e fa capire che essere vittima di bullismo è straziante; poi invita a parlare chi, per paura, è sempre stato zitto.Ora Emma non è più sola.Ha capito, con l’aiuto degli insegnanti, che anche nei momenti più bui non bisogna chiudersi in se stessi, ma guardarsi intorno e scoprire volti che sorridono e che potranno farci sorridere di nuovo!Per quanto riguarda i bulli…Genitori e insegnanti insieme dovranno far capire loro che rovinare la vita di una persona non è “uno scherzo”!

Brattelli Samantha, Cacciagrano Elisa, Di Minco Lorenza, Puce Matteo Classe 3B

Scuola Secondaria di I grado

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LA STORIA DI TINA

Ciao, io mi chiamo Tina e sono una lattina di aranciata ormai finita, letteralmente. La mia non è una storia a lieto fine: sono nata in fabbrica ed avevo tante sorelle, tutte gemelle e di alluminio lucente come me. Poi ci hanno impacchettate tutte insieme in un grosso scatolone e spedite in una fabbrica di aranciata dove ci hanno riempite di una fresca e frizzante aranciata deliziosa. Dopodiché ci hanno messo una bella etichetta colorata di arancione e con delle scritte molto belle che dicevano: “SFRIZZY: l'aranciata con cui sprizzi gioia da tutti i pori!”. Quindi ci hanno vendute in tanti supermercati diversi ed esposte in degli scaffali con tante altre lattine di coca-cola, tè e limonata. Tante di noi sono state comprate da grandi e piccini - piacevamo proprio a tutti!- ed io ero orgogliosa di essere una lattina così amata dai consumatori. Ma un brutto giorno, venni acquistata da un gruppo di ragazzacci che dopo avermi svuotata, mi schiacciarono, mi presero a calci e mi buttarono per strada dove venni investita più volte. Mi sentivo distrutta, in tutti i sensi. Infine passò la spazzatrice che mi portò via come un qualsiasi rottame, in discarica. Da allora fino ad oggi passo i miei giorni, uno uguale all'altro e senza una meta, senza essere utile al mondo. Oramai sono solo un rifiuto, deteriorato e arrugginito e quindi inutilizzabile.Ma le cose sarebbero potute andare diversamente: se fossi stata differenziata sarei stata poi riciclata per creare tante altre nuove lattine, unendomi alle mie sorelle avremmo contribuito a creare un mondo più ecologico, un mondo migliore. Avrei avuto la possibilità di viaggiare in tanti posti diversi, di rinascere in varie forme.Adesso sono solo una vecchia lattina, ma anch'io so che, se ci impegnassimo tutti insieme, potremmo avere un mondo più pulito. PENSACI!NON GETTARE, DIFFERENZIA!

De Melis Anna Chiara Classe 3EScuola Secondaria di I grado

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NON CE LA FACCIO PIÙ….

Non ce la faccio più. E' stato orribile.Vorrei tanto tornare indietro nel tempo e cambiare le cose, e invece mi ritrovo qui, dolorante, su questo bianco letto di ospedale. Sono tormentata dai miei pensieri, dai ricordi... Non ce la faccio più. Voglio dimenticare... Iniziò tutto un mese fa, quando su facebook accettai l' amicizia di quel ragazzo sconosciuto... mi chiedo come ho fatto a essere così stupida.. Perché mi sono fidata di lui? Perché gli ho raccontato i miei segreti? Perché gli ho dato il mio numero di telefono? Perché ho accettato di incontrarmi con lui? Tremo solo al ricordo di quel momento. Io, ferma lì, ad aspettare su quella stradina isolata, quando vedo arrivare una macchina con due uomini che viene verso di me. Prima di rendermene conto ero già dentro l' auto, con delle luride mani che mi bloccavano e che mi tappavano la bocca... Ero terrorizzata, volevo morire... Non sapevo cosa fare, non avevo via di fuga. Il sole iniziava a calare e la macchina si fermò. Non capivo dove mi trovavo. Vedo le ombre di altri uomini uscire da una baracca malandata e avvicinarsi. Mi prendono e mi portano su in un vecchio campo da calcio, spingendomi e facendomi cadere a terra. Iniziarono a spogliarmi, a dirmi cose orribili, a fare cose che non si possono neanche immaginare....

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Picchiata a morte e violata. Mi sembravano degli animali. Ero disperata, volevo morire... Poi sfinita chiusi gli occhi, e ora mi ritrovo qui. Sento che la mia vita è rovinata, ho ancora chiare in mente le immagini di quei momenti, sento ancora addosso quel loro orribile odore... Non ce la faccio più….

Lisa Paternò Classe 3E Scuola Secondaria I grado

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LIBERE COME IL VENTO

Il vento non è aria,il vento è forzacapace di rivoluzionarechi non se lo aspetta.

Alcune volte è libero,altre volte non può svelare il suo voltosolo a causa delle loro pretese.

Ma il vento non si può nascondere sottoun velo di polvere, deve essere libero di scavalcarlo,anche se alcuni fasci di vento cedono.

E diventa libero, ci riesceanche se a volte viene spintoma anche con qualche livido,riuscirà a soffiare libero.

Non si può bloccare la forza del vento,come non puoi impedire lorodi essere libere, libere come il vento.

Silvia Mincarini Classe 3D Scuola Secondaria I grado

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IL SILENZIO

Si credono forti,ma forti non sono hanno le mani grandi,ma nel silenziorimarranno sempre soli.

La loro non è forza,è solo un modo per non svelare la loro solitudine,eppure anche loro piangono.

Gli altri non chiedono aiuto,preferiscono stare solinella loro disperazione continuafin quando si arrivaal silenzio dell’ultimo respiro.

E quelli che li hanno visti per priminon ci credono,e piangono.

Si finisce sempre per morire,e rimarranno semprenel loro silenziopiù devastante

Silvia Mincarini Classe 3D Scuola Secondaria I grado

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Ognuno di noi, alle prime armi con la scrittura è portato a credere che la via più semplice, il modo più breve per comporre un elaborato, sia farlo senza vincoli e restrizioni. Libertà.Cimentarsi nella creazione di testi che ruotassero attorno al tema delle regole, considerate strumento indispensabile per la convivenza civile, ma anche saldo riferimento per la produzione di elaborati di fantasia, ha dimostrato il contrario.Le regole appunto, quelle che sembrano «limitazioni», offrono in realtà lo spunto alla nostra creatività.Abbiamo provato, quindi, a «SCRIVERE REGOLArMENTE»: partendo da spunti di riflessione su temi di educazione civile, cominciando da parole che evocassero i cardini della convivenza democratica (regole, libertà, autorità, giustizia, speranza...), abbiamo sviluppato gli stessi attraverso esercizi di scrittura «regolativa».I testi che leggerete rappresentano un campione di quanto prodotto, e sono presentati indicando solamente il tipo di esercizio proposto e la parola chiave intorno alla quale ruotava. Fabio Ciancone Classe 1A

Liceo Classico

FREE WRITING

Anche la scrittura libera ha le sue regole. Imposta un limite di tempo entro il quale scrivere. Un limite di tempo breve (10 minuti) aiuta a concentrarti e ti motiva. Scrivi senza fermarti: non devi interromperti per tutta la durata della sessione di scrittura, scrivi, anche se non hai nulla da dire. Segui il tuo pensiero. Scrivi velocemente. Scrivi come pensi.

Senza regole. Vivere senza regole. Charles Bukowsky. Anarchia. Senza regole. Ma si può davvero vivere senza regole? Si può essere felici, senza regole? Senza regole. Senza regole. Un’automobile che passa col semaforo rosso. Un incidente. Morte. No, non si può vivere senza regole. Senza regole. Credo che senza regole non ci sarebbe

neanche il gusto di trasgredirle. Giulia Polidoro Classe 1A Liceo Classico

Senza regole: la maggior parte degli adolescenti pensa che questa sia la cosa migliore per potersi esprimere ed essere più liberi. Ma non si conta il lato oscuro di questa espressione: senza regole non si potrebbe vivere perché se noi riusciamo a camminare per strada senza essere investiti o se mentre passeggiamo non ci derubano è solo grazie

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RE

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LE

alle regole. Per non parlare dei giochi: senza regole non sarebbero più divertenti perché ognuno farebbe il comodo proprio senza pensare alle esigenze degli altri e al loro volere. Celeste Di Primio Classe 5A

Liceo Classico

Domani vorrei che fosse leggero il giorno e pesante la notte, vorrei che il sole illuminasse tutta la giornata. Vorrei qualcuno fosse felice. Domani vorrei che fosse possibile sentirmi tranquilla, senza ansie, distrazioni. Domani vorrei che fosse già oggi. Domani vorrei che mio nipote potesse chiamarmi zia. Domani vorrei che. Domani vorrei che qualche Dio possa dirmi: “Ehi Anna, oggi è la tua giornata, prendi e parti”. Domani vorrei che il mondo mi dicesse: “Ok, servi a qualcosa”. Domani vorrei che il reparto di pediatria mi dicesse: “Buongiorno, dottoressa Pavone”. Domani vorrei che mi fosse permesso camminare per strada senza occhi puntati, senza l’indice di qualcuno nella mia direzione. Domani vorrei che le strade smettessero di essere grigie e che la gente finisse di avere cuffie nelle orecchie. Anna Pavone Classe 2B Liceo Classico

ACROSTICO

Un acrostico (dal greco tardo ἀκρόστιχον, composto di ἄκρος, «estremo» e στίχος, «verso») è un componimento poetico in cui le lettere (o le sillabe o le parole) iniziali di ciascun verso formano un nome o una frase, a loro volta denominate acronimo.

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Regolarsi In Sintonia Per Edificare Tutto Tramite Ordine Alessandro Di Monte Classe 5C Liceo Classico

Riuscire a Ignorare Stereotipi Pregiudizi E Trattare Tutti Onorevolmente Michela Colasante Classe 5C Liceo Classico

Dimensione nella quale I personaggi Giudicano uguali Non solo I preferiti ma Tutti quelli che Abitano lo stesso universo

Lorenzo Chiavaroli Classe 5C Liceo Classico

RIS

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TAUTOGRAMMA

Un tautogramma è un componimento nel quale tutte le parole hanno la medesima lettera iniziale.

Stare seduti, senza sperare, senza sognare. Stare seduti sul sole, soli, senza sentire sollievo di sguardi socievoli, sperimentare se c’è speranza. Stare seduti sui sogni senza sapere se saranno reali. Stare seduti senza smuovere i sensi è come stare seduti sul sole, soli, squadrare sopra e sotto senza sapere se sta succedendo qualcosa lì sotto.

Michela Colasante Classe 5C Liceo Classico

LIPOGRAMMA

Un lipogramma è un componimento nel quale viene sempre esclusa una lettera.Costituzione Italiana - art. 3 (lipogramma in “a”)Ogni uomo è dignitoso e medesimo, le leggi e le regole, sono escluse distinzioni di sesso, luogo di cui si è indigeni, modo di esprimersi, (culto religioso) religione, opinioni politiche, condizioni fisiche e collettive. È compito dell’ordinamento rimuovere i pericoli di tipo economico e del popolo, che, ponendo un limite vero per coloro che sono liberi e medesimi, impediscono il pieno sviluppo dell’individuo e l’effettivo impegno di tutti coloro che ricevono stipendio. Francesco Sentuti Classe 5C Liceo Classico

MI RICORDO... HO DIMENTICATO...

L’esericizio consiste nello scrivere cose che si ricordano o che si sono dimenticate. Ovviamente bisogna scrivere le prime cose che vengono in mente, senza starci troppo a pensare.Mi chiedo perché ci siano regole che ricordo e altre che non ricordo. Mi ricordo che per imparare a giocare a briscola ho dovuto farmi rispiegare il procedimento trilioni di volte. Poi ci sono quelle regole che proprio non voglio ricordare, mi piacciono solo quelle che mi fanno comodo. Mi ricordo che un tempo rispettavo ogni forma di regola, ora dipende da quello che la mia testa decide. Non ricordo se la mia testa abbia mai avuto regole, però ricordo che per rispettarle dovevo prima infrangerle. E, secondo il manuale della buona contraddizione, non voglio che qualcuno mia dia regole, ma mi piace darle ad altri.

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Infrangere le regole non è sempre pericoloso. Ma quando aver fatto ciò non ti lascia la possibilità di tornare indietro? Quelle sono le regole di vita. Agnese Auriti Classe 1A Liceo Classico

Ok, questa è un po’ pesante, ma vabbè diciamola.REGOLA: non scendere mai le scale durante un terremoto.Mario, perché l’hai fatto? Perché non hai seguito la regola? Dovevi aspettare, Mario. Trentatré secondi ed ora potrei averti ancora qui. La regola c’era, si sapeva. Dovevi rispettarla.Io perché ho deciso di aspettare? Perché ho deciso di aspettare che il terremoto finisse? Io ricordo di averlo fatto e ora ricordo che tu non sei qui. Anna Pavone Classe 2B Liceo Classico

ELENCHI E LISTE

Un esercizio di scrittura molto semplice, ma anche molto stimolante può essere quello di scrivere elenchi o liste. Si possono scrivere: liste di cose, di persone, di luoghi, liste lunghe, corte, complete, incomplete, omogenee, eterogenee, ordinate, caotiche liste centrate sul significato o sul significante... Si possono scrivere anche liste di possibili liste!Ingiustizia tu sei... Ingiustizia tu sei la cosa contro cui molti combattono. Ingiustizia tu sei quella cosa che non dà libertà. Ingiustizia tu sei ciò che non ci permette di vivere come vogliamo. Ingiustizia tu sei quella che ha rovinato il nostro mondo. Ingiustizia tu sei ciò di cui ci lamentiamo, ma in fondo la tua presenza fa comodo a molti. Ingiustizia tu sei la cosa che ha fatto regredire e continua a far regredire questo mondo malato. tu sei un ostacolo. Ingiustizia tu sei una malattia. Ingiustizia tu sei LA malattia. La malattia che ci impedisce di vivere bene. La malattia da cui non siamo ancora riusciti a guarire. Cecilia Silvestri Classe 4A Liceo Classico

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Giustizia ed ingiustizia a scuola... “Non alzarti” “Non parlare” “Rispondi alle mie domande” “Non si mangia” “Porta il vocabolario” “Non dormire” Parole echeggiano porte si chiudono corridoi rumorosi. Cos’è giusto fare? Forse bisognerebbe solo ascoltare,ascoltare le parole degli insegnanti o forse comportarsi secondo la propria educazione.“Studiare?” - giusto. “Dormire in classe?” - uhm, sbagliato purtroppo.“Ridere, deridere?” - la prima a volte, la seconda mai.“Dire cose sensate?” - sì, si dovrebbe. “Scrivere cose sensate?” - sì, si dovrebbe, perché non lo sto facendo? Lorenza Mancinelli Classe 4C

Liceo Classico

Ingiustizie tra i compagni, ingiustizie sottovoce, ingiustizie tra i banchi, ingiustizie come le pizze che finiscono se arrivi tardi, ingiustizie come il compagno copione che finisce per ottenere un voto in più, ingiustizie come tre mesi sui banchi di fronte alla cattedra, ingiustizie come un rimprovero a causa di qualcun altro, ingiustizie secondo gli studenti,

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ingiustizie secondo i collaboratori, ingiustizie secondo i professori, ingiustizie per lamentarsi con i compagni, ingiustizie per litigare con i genitori, ingiustizie per perdere la voglia di studiare, ingiustizie per tre mesi di vacanza... Ilaria Giurastante Classe 5A Liceo Classico

Liste e classificazioniIn una certa enciclopedia cinese è scritto che le ingiustizie che si subiscono quotidianamente si dividono in: 1. ingiustizie sull’autobus 2. ingiustizie subite a coppie 3. ingiustizie sulle tartarughe 4. ingiustizie familiari 5. ingiustizie in tedesco 6. ingiustizie subite dai biondi con occhi castani

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Oh come è onorata mostrata suonata giocata rovinata sedata pesata,oh come è puzzata la giustizia.Oh come è disegnata colorata ammaliata impostata curiosata camminata illuminata,oh come è improntata la giustizia.Oh come è imbiancata arrossata lavorata abbandonata incrostata arrotolata bucherellata,oh come è immaginata la giustizia.Fabio Ciancone Classe 1ALiceo Classico

Liste centrate sul significante

Oh come è astuta la giustizia, barbuta, riccioluta, arguta,oh come è perduta la giustizia.Oh come è derisa la giustizia, oh come è precisa, uccisa la giustizia. Oh come è stremata la giustizia, scocciata, rimpiazzata.Oh come è scioccata la giustizia. Francesca Anconetani Classe 4CLiceo Classico

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7. ingiustizie di legno 8. ingiustizie che si scrivono in corsivo 9. ingiustizie da prima pagina 10. ingiustizie vere11. tutte le altre ingiustizie Fabio Ciancone Classe 1A Liceo Classico

INCIPIT

Inventa l’incipit di un racconto sulle regole. Qualcun altro continuerà il racconto.

La prima volta che ebbe paura fu quando era ancora un bambino. Di fronte a lui un grande cartellone blu elencava una serie di regole, quelle che avrebbero dovuto rispettare gli alunni il primo giorno di scuola...

C’era una volta una scuola dove le regole non erano un lusso, dove i ragazzi si comportavano come i professori e i professori non sapevano come comportarsi...

Infrangere le regole non è sempre pericoloso, ma quando aver fatto ciò non ti lascia la possibilità di tornare indietro? Quelle sono le regole di vita...

C’era una regola. L’unica che non mi piaceva. Quella regola che era stata detta per ultima e che aveva distrutto tutti i castelli che con molta fantasia avevo costruito...

RACCONTI CON FIGURE

Inventare una storia sulla speranza partendo dal dipinto di Hopper “Il sole del mattino”

Eccola Eleonora. Eccola lì, sul letto, ginocchia al petto. Eccola Eleonora, senza il suo bambino. Il primo giorno, il primo sole dopo quasi un mese di ospedale. Eccola Eleonora, sola. Il cuscino, le coperte, ancora ben messe dimostrano che in realtà lei questa notte non ha dormito. Eccola Eleonora, senza il suo bambino.

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Le manca. Le manca il peso del pancione, le mancano i dolori, le mancano le nausee. Eccola Eleonora, senza il suo bambino. Sono ormai le sei del mattino e lei è lì a godersi quel calore sulla pelle, quel bruciore negli occhi. Non piange. Eleonora spera. Eleonora ha la speranza che quel sole possa durare ancora un po’. Giusto il tempo di riempirle l’anima, di riempirle quel vuoto che ora ha dentro. Eleonora spera che quel sole rimargini le sue ferite. Eleonora spera, senza il suo bambino. Anna Pavone Classe 2B Liceo Classico

RACCONTO IN MEDIAS RES

Inventare una storia sull’autorità partendo da una situzione data: “una mattina a scuola”.

Non si prospetta una buona giornata questa. La professoressa entra in classe, ha deciso sul momento di interrogare, chiama cinque, sei, otto, dieci, ancora un altro, in totale undici persone. Non è un buon segno. I miei compagni cercano di parlare, ma la prof. è proprio arrabbiata oggi, come se non volesse sentire nulla. Non pensavamo di averla combinata grossa quel giorno, dopotutto era una cosa da niente, per le altre classi è il pane quotidiano! Ma a giudicare dalla sua ira e dal suo contestare ogni minimo particolare con aria di eccessiva superiorità, deve averla presa sul personale! Io ed il mio amico ci guardiamo, abbiamo entrambi un’aria terrorizzata nonostante abbiamo scampato l’interrogazione. L’insegnante regna sovrana nella classe ora, nessuno si azzarderà a contrastarla o semplicemente a chiedere delucidazioni, nemmeno il più masochista di noi. Mi sforzo di seguire quello che sta accadendo in classe, ma la mia mente è altrove, è giusto non dire la nostra? È giusto far finta di niente, lasciar correre, mettere a tacere quelli che sono i nostri diritti? Io penso di no, non sarebbe come tradire la responsabilità che abbiamo verso noi stessi? Potremmo farci coraggio e spiegare con educazione il nostro punto di vista, aprire un dialogo, come è giusto che sia. Ma allora perché siamo muti come pesci e lasciamo far scontare tutto ai malcapitati interrogati di oggi? Maria Verzulli Classe 5C Liceo Classico

Dialogo tra A (professore) e B (alunno)

A: Vedi B, questo è il tuo compito, renditi conto dello schifo che hai fatto, vai.

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B: Prof, ma perché deve dirlo necessariamente davanti alla classe, deridendomi? A: Ti pare che io ti stia deridendo? Sto semplicemente mostrando le tue capacità, e, fidati, se continui così, non andrai da nessuna parte. B: Per un 5, ora, praticamente non ho futuro? Ma si rende conto di quello che mi sta dicendo? A: Questi toni? Ad un professore poi... B: E lei? Questi toni? Ad un suo alunno poi, davanti a tutta la classe... A: Mah, che mancanza di rispetto! B: Io ora le starò anche mancando di rispetto, ma lei ora dimostra mancanza di maturità, comprensione e soprattutto coerenza. Anna Pavone Classe 2B Liceo Classico

RACCONTI CON LINGUE “FALSOESOTICHE”

Inventare una storia sostituendo alcune parole chiave con una parole di una lingua inventata.La mia rumella è importantissima. Per ognuno di noi dovrebbe esserlo. Perché ognuno di noi sogna di viaggiare, di andare a seppillo, di dormire in tranzo, di mangiare senzone. Molti di noi vengono privati della loro rumella. Io, personalmente, ci tengo molto. In molti paesi i morondo vengono maltrattati, sfruttati, trattati senza ariello. Insomma, viene negata la loro rumella. Il compito dello Stato è di difendere questi morondo, ma allo stesso tempo punire chi non rispetta la fondura. Ogni cittadino è perciò invitato a rispettare la fondura, perché solo così potrà godere della propria rumella.

Cecilia Silvestri Classe 4A Liceo Classico

LIBERTÀ È...

Libertà è... poter parlare, potersi muovere, poter stare con gli altri. Libertà è un sorriso, libertà è uguaglianza, libertà è il cielo, no, che dico, libertà è universo, libertà non ha limiti, libertà dettate dalle regole. Libertà è fuori dagli schemi, libertà è un gruppo di uccelli che migrano, libertà è tramonto, libertà è silenzio, libertà in un pensiero, libertà non dette. Libertà è vento, libertà è disegno, colore. Libertà è un’àncora. Libertà è sì azzurro, è un marinaio assopito al tepore del sole. Libertà è acqua, libertà è cascata, libertà è un salto, un salto nel bianco. Libertà è quel bianco che si

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dipinge di colori. Libertà è la tua mente, al mente di ognuno, pensiero che ne scaturisce, quello che rende liberi. Libertà è abbandono ad un lento trastullarsi, libertà è sicurezza, libertà è infanzia, libertà in una goccia. Libertà è un’onda, libertà è non aver paura, libertà è libertà, libertà è non poter fare il duro, libertà è per vivere. è sentirsi se stessi, libertà è amare, libertà è ritrovarsi. La mia libertà è anche la tua, la mia libertà è il tuo rispetto. Ilaria Giurastante Classe 5A

Liceo Classico

Libertà è... Ok, libertà è vivere, sì. Ma come vivere? Ho paura di vivere così. Senza un perché, un come e un quando. Ho paura di vivere così, ho paura che qualcuno possa ostacolarmi, possa bloccarmi, possa impedirmi di vivere. Ho bisogno di regole, sì. Ma per semplice fatto che con esse io posso vivere. Ti immagini se non ci fossero? Ci sarebbe libertà, sì. Ma anche anarchia, pianti, fuoco. Ognuno vorrebbe tutto di me e io vorrei tutto degli altri. Com’è che diceva Locke? Uno stato di natura in guerra continua? Bhe, sarebbe esattamente questo. Poi, sì, certo, oggi le regole ci sono, ma perché donne muoiono? Perché bambini perdono madri? Perché mariti privi di senno uccidono? Perché padri si ritrovano senza una figlia? Eppure le regole ci sono. La Costituzione c’è. Di questo ho paura. Questo temo. Di arrivare a vivere così. Voglio vivere di libertà. Voglio vivere di regole.

Anna Pavone Classe 2B Liceo Classico

Libertà è poter rimanere altri cinque minuti a letto, tanto non c’è scuola. Libertà è essere fieri della propria identità, portarla sulle spalle con orgoglio. Libertà è un violino che suona in un prato al centro del mondo, sapendo che qualcun altro ha in mente la stessa melodia. È una mamma che bacia il suo bambino, un marito che coccola sua moglie, un nonno che abbraccia suo nipote. Libertà è vita. Libertà è regole, ferree, indiscutibili. La libertà è il sorriso di un uomo che respira aria di casa, e che possa dire «Sono felice.» Libertà è fantasia. E’ il consiglio di un amico. E’ il racconto di un anziano. È vivere sapendo che bianco o nero poco importa, viviamo tutti sotto lo stesso cielo. Fabio Ciancone Classe 1A

Liceo Classico

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DIALOGO DELL’AUTORITÀ E DI UN RAGAZZO

Un ragazzo, che aveva viaggiato molto per il mondo e vissuto in diversi paesi, dopo aver raggiunto l’Africa centrale e aver superato l’equatore, giunto in un luogo sconosciuto dagli uomini, ebbe la stessa esperienza di Vasco de Gama quando superò il Capo di Buona Speranza. A quel tempo il Capo di Buona Speranza era sorvegliato da un gigante che gli andò incontro per scoraggiarlo “dal tentare quelle nuove acque”. Il giovane scorse un enorme busto che all’apparenza sembrava di pietra e che gli ricordava gli ermi colossali che lui aveva visto, molti anni prima, nell’isola di Pasqua. Ma avvicinandosi si accorse che il gigante era una donna seduta a terra con il busto dritto, il dorso e il gomito appoggiati ad una montagna, non era finta ma viva. Aveva il viso per una metà bello e per l’altra terribile e aveva occhi e capelli nerissimi. La donna lo fissava in silenzio, finché non parlò e disse: Autorità: “Cosa cerchi ragazzo? Cosa ti ha portato da queste parti?” Ragazzo: “Sono giunto fin qui dopo aver errato per il mondo alla ricerca di una soluzione alla grande confusione in cui vivono gli uomini del mio paese.”Autorità: “ Sei arrivato nel luogo giusto, io posso risolvere il tuo problema perché sono colei che regola la vita tra gli uomini aiutandoli a distinguere il bene dal male. Io sono: L’Autorità.”Ragazzo: “Ma chi sei veramente? Come potresti aiutarmi? Ho sempre avuto un’opinione negativa di te.”Autorità: “Per quale motivo?”Ragazzo: “Perché ho sempre creduto e credo che tu sia controllo e limite alla libertà degli uomini.”Autorità: “Ma ragazzo mio, cosa intendi per libertà?!”Ragazzo: “Per me libertà è poter far tutto ciò che si desidera, senza limiti alla soddisfazione dei propri piaceri”Autorità: “Ma, ragazzo, la tua giovane età e l’inesperienza della vita non ti permettono di capire che sono proprio i limiti da me imposti che consentono agli uomini di esercitare la libertà’”Ragazzo: “Scusa, ma continuo a non capire, perché per me limite e controllo sono esattamente l’opposto della libertà.”Autorità: “E’ proprio qui che sbagli se non ci fossero né limiti né controllo la tua stessa libertà potrebbe essere minacciata. Perché vedi l’eccessiva libertà del singolo limiterebbe la libertà di un altro. Devi sapere che la libertà di… non è l’unica, essa deve coesistere con la libertà da….”

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Ragazzo: “Libertà di ….? Libertà da…..? Che stai dicendo? Libertà è Libertà.”Autorità: “Non è proprio così, perché la libertà di è una libertà positiva e forse non è neppure la più importante poiché esiste anche la libertà da, cioè quella negativa. Per farti capire meglio questo concetto prova a pensare a tutte le volte che avresti voluto esercitare un tuo diritto e ne sei stato impedito. Pensa quando a scuola, fino a qualche tempo fa, non potevi usufruire di tutti i locali perché eri infastidito dal fumo delle sigarette dei tuoi compagni, oppure pensa alle barriere architettoniche che impediscono ai disabili di poter andare dove vogliono, in entrambi i casi la libertà di è minacciata dall’assenza della libertà da.Ragazzo: “Quindi se ho capito bene la libertà da è il presupposto necessario per la realizzazione della libertà di.”Autorità: “Si hai capito bene, infatti gli uomini possono convivere bene tra loro solo rispettando le regole che assicurano la giustizia, l’uguaglianza, la sicurezza e la legalità e queste caratteristiche sono la parte bella di me.”Ragazzo: “E qual è la parte terribile?”Autorità: “La parte terribile di me è data dall’imposizione del limite, dalla censura, dall’oppressione, dall’assenza del confronto e della discussione costruttiva. Quando prevalgono questi aspetti della mia persona non sono più autorità ma divento autoritarismo.”Ragazzo: “Adesso ho capito perché le cose vanno male e c’è molta confusione. Non c’è più rispetto per la giustizia, per la legalità e di conseguenza non ci sono più né uguaglianza né sicurezza. Inoltre gli uomini sono diventati indifferenti al male, si sono ormai abituati ad esso e vi convivono tranquillamente, impiegando tutte le energie nella difesa dei propri interessi, vivendo nell’indifferenza assoluta verso il bene della collettività e per questo dilagano la corruzione, l’illegalità, l’egoismo, e l’abuso di potere.”Autorità: “L’unico modo per affrontare e sconfiggere la confusione che c’è nel tuo paese è insegnare ai cittadini ad essere vivi veramente, ad essere partigiani, a combattere l’indifferenza e la paura. Se nella società prevalgono l’indifferenza e la paura gli uomini facilmente possono conoscere o sperimentare la parte terribile di me. Diffondi questo mio insegnamento tra i tuoi amici e di’ loro che solo così potranno costruire una società migliore per il futuro.”Dopo queste parole, l’Autorità scomparve agli occhi del ragazzo mimetizzandosi con la montagna.

Classe 2A Informatica

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LA “DEBOLEZZA” DELLE DONNE

Strazianti fatti di cronaca ci informano su un fenomeno in continua ascesa: il femminicidio!

La “debolezza” delle donne usata contro loro stesse?

In Italia muore di violenza maschile una donna ogni 2 o 3 giorni. Tante e diverse le storie. Una emblematica? Quella di Denise Morello, una ragazza di 22 anni, uccisa dall'ex fidanzato Matteo Rossi, un quarantenne trevigiano.I due si erano lasciati dopo un'intensa relazione durata un anno e lui, che non aveva accettato la situazione, ha deciso di ucciderla con un colpo di pistola alla testa e poi con la stessa arma si è tolto la vita; per giustificare il proprio gesto ha lasciato un messaggio: “Questa follia per farti capire quanto sono pazzo di te, Denise”.Amori malati, rapporti difficili, difficoltà a gestire l’abbandono, la separazione spingono uomini di età e condizioni sociali diverse a gesti folli.Tali abusi, violenze e perfino omicidi sono culturalmente e socialmente radicati in tutte le realtà e continuano ad essere accettati, tollerati e talvolta giustificati, laddove l'impunità costituisce la norma, dove si chiede alle donne di nascondere, di tacere.

Queste morti “annunciate” vengono spesso etichettate come delitti passionali. Due giorni fa, Maria, insegnante di scuola materna, è stata barbaramente uccisa a martellate dal marito, sottufficiale dell’Aereonautica, davanti agli occhi dei suoi gemelli di nove anni. Anche in un contesto sociale di benessere economico e certamente non svantaggiato culturalmente una donna è morta per mano dell’uomo che diceva di amarla. La parola femminicidio ha origini molto recenti: solo nel 2013 compare sul Devoto Oli che la definisce come una violenza estrema di genere dell'uomo sulla la donna in quanto tale.I dati raccolti dall’EURES attraverso giornali, stampa locale, quotidiani, e validati dalla Criminal Pool, sono allarmanti ed inaspettati. Pare inoltre che non esista una correlazione tra benessere e femminicidio, poiché i numeri forniti dall’EURES per il 2013 parlano di casi di femminicidio anche negli Stati europei più ricchi: 288 in Francia, 350 in Germania, 148 in l’Italia dove

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anche nel ricco ed emancipato Nord se ne sono registrati 785, contro i 297 casi del Centro, i 488 del Sud e delle isole. Questa forma di violenza sulle donne viene descritta dalle fonti documentarie a partire dagli anni Settanta, e non a caso negli anni in cui la donna inizia un personale e collettivo percorso di emancipazione. Questa prevaricazione si articola in violenza psichica e/o sessuale. E’ una cattiveria e una forma di violenza subdola, perché praticata soprattutto in contesti privati e, per il 42% dei casi, da compagni, mariti, dunque da uomini con i quali le donne decidono di condividere la propria vita. Deve far riflettere che l’82,3% di questi episodi si consuma o al riparo da sguardi indiscreti tra le pareti domestiche, mute testimoni di ciò che accade o peggio di fronte agli occhi dei figli che vivendo queste dolorose esperienze potrebbero diventare a loro volta degli adulti violenti.La nostra società insegna alle donne come reprimere la propria “debolezza”.

Donne, per non lasciare spazio a uomini violenti, visitate il sito www.inquantodonna.it.

Scoprirete madri, figlie, fidanzate, che sorridevano alla vita prima di incontrare il loro futuro carnefice; erano persone dolci, fiduciose, attente che hanno commesso un grosso errore: si sono percepite “deboli”.

Coletti Jessica, Di Pasquale Martina,

De Nicola Micaela, Donatangelo Valeria,

Garofalo Martina e Mazzella CamillaClasse 2B Informatica

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PERLA NERA

Non dimenticherò mai l’odore dell’ebano, la pioggia lo mitigava e il vento lo trasportava mescolandolo agli altri odori della mia terra finché l’aria non arrivava a tingersi di vita nella sua forma più vera e antica.Respirandolo potevo sentirmi fremere; quell’odore evocava ricordi mai vissuti davvero; quelli sono stati i giorni più belli della mia vita.Adesso, sono qui su un freddo marciapiede, avvolta dal mantello freddo della nebbia, in una delle innumerevoli notti trascorse aspettando la solita auto che si avvicina, ruggendo, puntandomi addosso i fanali che mi scrutano come tra poco farà, scavandomi dentro, lo sguardo vuoto e bavoso di chi compra un corpo confondendolo con l’amore.Cerco di reprimere come sempre l’espressione di disgusto, non riesco a trattenere tra le labbra un brivido carico d’odio, ma non importa, tanto non se ne accorgerà: non è il viso che guarderà.Pomeriggi nel sole africano, trascorsi correndo tra l’erba alta e secca, le gambe che si stendevano velocissime e mai stanche, il sorriso di chi sa che non dovrei essere in nessun’ altra parte del mondo se non a casa mia. Perché quello era il mio posto.Qui al freddo della notte l’auto si allontana dal marciapiede, ragazzi mi guardano curiosi, è molto frequente incrociarli il sabato sera. Cerco di scrutare i loro sguardi appannati per poterli far soffrire un po’. Mi consola pensare che nell’attimo in cui mi vedono io possa trasmettere loro un po’ di paura del mondo, non sanno cosa li aspetta. Le belle auto, le serate vuote, bruciate ad inseguire qualche falsa sensazione; mentono a loro stessi. Soffriranno molto.Il suono del telaio consumato di nonna Besede era sempre un dolce risveglio. La nonna mi accoglieva con un’espressione di severa bonarietà, l’espressione di chi ne ha passate tante. Nei gesti l’amore più grande che si possa immaginare: quello che si dà senza chiedere nulla in cambio.Vicino a lei ho imparato a tessere e sono diventata donna.Quando sono partita per l’Italia per cercare fortuna lei è stata l’ultima persona che ho abbracciato, ho letto nei suoi occhi la commozione e la speranza per una vita migliore. Non vorrei mai che sapesse!Ecco arrivare un altro mostro, con più sicurezza questa volta, sembra aver scelto la sua preda. Il mio corpo si tende ormai involontariamente a mostrarsi mentre, dentro, mi sento usata. Gli ultimi metri cedono ad un’incertezza, come

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se per un attimo il mostro si scrutasse l’anima disgustandosi di se stesso, ma non sarà questo a fermare la sua fame. Il finestrino si abbassa, ne escono sudice parole e io faccio quello che si aspetta da me. Ad ogni passo verso la portiera sento il male, sento l’anima che muore. Mi abbandono alla consapevolezza di non avere scelta.Non so più chi sono: ormai la mia è un’esistenza a metà tra donna e oggetto.Perdonami, nonna, io per te sarò sempre la tua Perla Nera.

Giuseppe Losolfo Classe 5B Elettronica

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L’INUTILE

Ho visto un uomo violentoe ho abbassato lo sguardo;

ho visto uno strozzino infangarsi con denaro altruie ho piegato le gambe;

ho udito un uomo ricattare il suo prossimoe ho incrociato le mani;

ho guardato un inutile uomovendere droga ai ragazzini

e ho smesso di pensare;ho sentito bombe infami

portarsi via uomini innocentie ho capito la disperazione;

ho visto inutili uominiimmersi nella loro miseriae ho invocato misericordia.

Stefano Altobelli Classe 5B Chimica

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I BACI DELLA VERITA’

In memoria di Lea Garofalo

Il sole nasce ancora una volta e la sua luce entra con prepotenza nella mia stanza. Con la nausea di un’altra giornata scolastica, mi rigiro nel letto, mentre l’aroma del caffè si spande leggero. Poi i passi così lieti e familiari , quelli di mamma che si avvicina e mi dice : “Denise, dai che è tardi!” La sua voce, dal “giorno della lavatrice”, è preziosa. Ma io non voglio svegliarmi. Lei ritorna e questa volta le sue labbra si posano sul mio viso. Quanto amo i suoi baci che hanno il profumo di verità e di giustizia… e le sue labbra troppe volte bagnate da lacrime di dolore. Con tanto coraggio, quel coraggio che mi trasmette sempre, mi preparo, mi faccio bella. Prima di uscire di casa cerco ancora un suo bacio. Durante la lezione penso a mamma, immaginandola tra giudici e magistrati, pronta a testimoniare la verità, una verità che le costa tanto. Sai… mamma Lea è una donna che ha sempre amato. Ogni tanto mi racconta quando a tredici anni scappò con papà, facendo la “fuitina” per dimenticare la Calabria culla della malavita, e abbracciare un nuovo mondo a Milano. Purtroppo poi capì che la mafia non ha confini geografici. Lo zio Floriano, suo fratello, fu ammazzato nel duemilacinque in un agguato mafioso e papà…. Si papà! Anche lui era dentro quei loschi affari. Ma mamma era diversa. Per lei non c’erano affetti familiari che tenessero. Mi diceva sempre: “Prima di tutto la giustizia!” La campanella mi ricorda di seguire la lezione della prof. Finalmente anche oggi è finita! Rientro a casa, pranzo, un po’ di TV e studio. Guardo l’orologio. Sono le 17:45. La buia giornata di fine novembre sta per tramontare. Squilla il telefono. E’ mamma: “Denise, scendi che ci facciamo un giro!” Frettolosamente prendo il giubbino e la borsetta, chiudo la porta e scendo. Entrando in macchina, sento la voce di mamma che porta il ritmo di un’allegra canzone. Lei era una donna piena di vita! Dopo qualche chilometro squilla il telefono. Guardo lo screen… E’ papà, uffa! Mamma risponde un po’ irritata e acconsente. Chiude il cellulare e mi dice: “Denise dobbiamo incontrarlo. Vuole parlare di te.” Io divento triste e un po’ m’imbroncio. Non lo voglio vedere dopo tutto quello che ci ha fatto. Lei si accorge della mia insofferenza e ancora…un altro bacio! Quello è stato l’ultimo. Se solo l’avessi saputo non mi sarei staccata più.

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L'orologio segna le 18:30. Scendiamo dalla macchina, in zona Arco della Pace. Ci avviamo verso Corso Sempione. All’orizzonte intravedo la sagoma di papà, mentre il vento sparge i capelli di mamma. Il suo profumo mi dà coraggio. Qualche minuto dopo, papà è davanti a noi. A stento saluta mamma e poi mi abbraccia forte, ma così forte da trattenermi. Un furgone bianco si apposta e prende mamma. La luce del sole fa spazio al chiarore della luna, una luna maledetta, una luna matrigna!Nel cuore regna il dubbio: “Dov’è mamma Lea?” Alcuni giorni dopo ho saputo. Mamma è stata seviziata, interrogata dai “boss” e uccisa. Quella luna è stata l’ultima a specchiarsi sul volto di mamma Lea! Lei ora non è più…tuttavia vive in me. Io oggi vivo di sogni. Sogno di avere dei figli per non educarli alla vendetta e al silenzio ma a dire NO, sogno di svegliarli la mattina, di riempirli di baci (gli stessi di Lea), di donar loro amore, un amore fatto di coraggio e di sacrificio. I baci di mamma hanno portato anche me a dire la verità nei tribunali. La calda luce della verità sorge sempre. Non ti arrendere!

Gianmarco Medoro Classe 5C

Liceo Pedagogico

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L'INVITO DI TIM

Uomo, queste parole le scrivo per te, per farti riflettere e perchè no, sperando che non sia troppo tardi, per salvarti. Si, proprio così. Hai bisogno di metterti al sicuro, sei in pericolo. Forse non te ne accorgi, ma stai distruggendo la natura e a breve lei farà lo stesso con te. Non perchè sia cattiva oppure vendicativa, semplicemente lei si libera di tutto ciò che l'uomo ha architettato per ostacolarla, compreso l'uomo stesso se necessario. È un meccanismo spontaneo, innato.Uomo, rifletti, non possiamo darle nessuna colpa, perchè la colpa è solo tua: tu le metti i bastoni tra le ruote e lei se ne libera, per fare il suo corso. Il mio nome è Tim e sono un vecchio albero. Ormai di me non rimane molto, un tronco mozzo e qualche radice. I miei anelli mi suggeriscono che sono qui da molti anni ma non so dirti di preciso quanti, comunque tanti. Non ho buona memoria, ma ho qualche ricordo da poter condividere con te e abbastanza saggezza per poterti insegnare e trasmettere qualcosa di cui spero farai tesoro. Mi ricordo quando sono nato. Un bimbo di nome Andrea mi piantò qui, in questo parco, in una luminosa e calda mattinata di primavera. Era con le maestre che avevano assegnato ad ogni bambino il compito di piantare il proprio alberello in quel parco e lui scelse me. Sono nati così anche i miei compagni, ma di molti di loro non rimane che il ricordo, purtroppo. Era un bimbo magrolino e un po' bizzarro. Mi diede lui questo nome. Non aveva molti amici, per questo il suo migliore amico divenni io. Si prendeva cura di me e mi veniva a trovare spesso, mentre i suoi compagni di classe facevano visita ai miei vicini piuttosto raramente. Lo vedevo arrivare sorridente, a volte con una palla, a volte con un quaderno e dei colori. Si sedeva di fianco al mio tronco sul prato verde a disegnare. Disteso, spesso cantava. Amavo la sua voce. D'estate, libero dalla scuola e da altri impegni, stava con me tutto il giorno. Abitava proprio lì vicino e per questo trascorreva molto tempo in mia compagnia e io ero felice. D'inverno, quando nevicava, veniva a giocare con la neve sotto i miei rami: io ero il castello e lui il guerriero. Quanti draghi abbiamo sconfitto con i cannoni di ghiaccio! Ci divertivamo molto. Anche da adolescente, non trascurava la mia compagnia. Spesso mi parlava delle prime cotte, dei problemi, degli altri che non lo capivano. I pastelli colorati erano diventati penne nere oramai, con cui scriveva lettere d'amore e poesie per far vivere il suo spirito libero. Suonava la sua chitarra e ad ogni melodia i miei rami diventavano più forti. Mi dava vita. Amava la

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pioggia. Si riparava sotto i miei rami per ascoltarla cadere e trovare la pace. Quell'angolo di mondo era diventato il suo paradiso. Mi ripeteva spesso che la natura per lui era qualcosa di unico, di fantastico, la sua casa, perchè la natura non giudicava mai ed era sempre pronta ad ascoltarlo, si sentiva capito da lei. Gli piaceva rispettarla perchè lei rispettava lui, così libera, incontaminata, pura. La natura allestiva spettacoli straordinari: un palcoscenico immenso, luci strabilianti, comparse infinite e budget per gli effetti speciali illimitato. La natura gli dava soddisfazioni immense che i suoi simili non gli avevano mai dato. Ma, si sa, grande spettacolo della Natura assume un grande significato solo in relazione allo spirito che lo contempla e l'uomo egoista, superficiale, non capisce, non apprezza la bellezza. L'ambiente viene calpestato e maltrattato da chi porta avanti la sciocca convinzione che solo il denaro ci dà benessere, salute e ricchezza. Pochi come Andrea sapevano fare tesoro di tanta incomparabile bellezza. Così con il tempo, gradualmente ed inesorabilmente tutto cambiò. Lastricarono il paradiso di Andrea e vi costruirono un parcheggio per auto. L'aria divenne inquinata e le piogge sempre più acide. Tra il cemento che avevo alle radici e il respiro sempre più affannato a causa dell'aria sporca il mio corpo cedette e io fui abbattuto. La fine del mio caro Andrea non fu migliore: a causa di una malattia ai polmoni, dopo qualche mese morì. Colpa dell'ambiente troppo contaminato da sostanze nocive, aria troppo sporca, dissero. Quella che prima era una zona verdeggiante piena di ampi spazi aperti e di campagne diventò con gli anni un'immensa zona industriale. Madre Natura e tutte le sue bellezze vennero buttate nelle discariche come i rifiuti delle fabbriche. Per questo, uomo, ascoltami. Impara da questa breve triste storia. Metti da parte il tuo egoismo e prenditi cura del mondo, avendo cura di questo ti prenderai cura di te, del tuo destino. Non senti notizie di alluvioni, di cambiamenti del clima, di terremoti e di maremoti? La fine si avvicina, sei in pericolo. Finchè ne hai la possibilità, salvati. Attenzione a come gestisci i rifiuti, alle risorse, a come tratti gli animali e le piante, a come ti poni verso gli uomini, è un errore imperdonabile tener conto solo dei tuoi interessi personali. E non dire che non esiste altra possibilità, perchè, lo sai, stai mentendo.

Manuela Mennucci Classe 4A

Liceo Economico-sociale

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RAZZA AMERICANA

Mi presento: mi chiamo Katherine e ho diciassette anni. Sono americana e sono arrivata in Italia, senza alcun avvertimento, senza alcun addio, quando avevo sei anni. Pensavo fosse una semplice vacanza ed ero emozionatissima. “Che bella l'Italia, finalmente la visiterò anch'io come ha già fatto il mio fratellone!”, pensavo. Non sapevo che sarei rimasta per sempre, che avrei lasciato Alisha e Jimmy, i miei migliori amici, con un semplice “Ci rivediamo quando torno!”, e che non avrei più rivisto neppure granma Janet e grampa Ron. Il mio cagnone Tommy fu dato via e, ovviamente, io non ne sapevo nulla. Non sapevo neppure che mio padre sarebbe tornato in America dopo un mese, che i miei stavano separandosi. Avevo solo sei anni, ovvio che non lo sapevo. E il ricordo del giorno in cui il mio papà se ne andò per tornare in America, è così vivido che è come fosse successo ieri. Mi rifiutavo di parlare l’inglese, arrivando al punto di dimenticarlo del tutto; era per non sentire così fortemente la mancanza di mio padre, della mia famiglia, della mia terra. Nonostante tutto, non saprei per quale motivo, sorridevo sempre e cominciavo ad amare l’Italia, sempre di più. La gente, i sapori, gli odori, i paesaggi, la lingua. Ma specialmente, cominciando la scuola, cominciavo ad amare i miei compagni di classe, che mi accolsero come usa fare una famiglia. Non importava se ancora non parlavo bene l'italiano, perché riuscivo a farmi capire. Mi riempivano di domande e io altrettanto facevo con loro. Volevano imparare tutto della mia America e io non vedevo l’ora di conoscere l’Italia, di avere confidenza con Lei. Un bell’esempio d’integrazione, non c’è dubbio alcuno. Certo è che io sono stata fortunata. Oggi leggo dell’homeless a cui una manica di balordi ha dato fuoco mentre semplicemente dormiva su una panchina; ieri era la storia dell’infermiera aggredita alla fermata della metro; ieri l’altro… ecc ecc. Un generale gran parlare. Tutti pronti a dichiararsi indignati. Tutti pronti a sposare la causa del momento. Ciononostante, non c’è fine per fatti pressoché quotidiani. Mi sembra meno bella ora quest’Italia, che ho imparato ad amare; meno bella questa gente, a cui sento anch’io di appartenere; meno bella questa lingua, che ho, a fatica, imparato. Eppure, un sospetto mi sarebbe dovuto venire praticamente dapprincipio. Non ero l’unica straniera in classe. Ricordo ancora il suo nome, ma non come si scrive. Valentina Ma-qualcosa. Era una bellissima bimba, capelli color cioccolato fondente all’89%; pelle olivastra; occhietti da cerbiatta. Veniva dalla Jugoslavia, era timida e riservata e nessuno aveva voglia d’imparare qualcosa del suo paese.

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Io e lei eravamo amiche, confidenti sempre più intime, con qualcosa in comune, ma tanto di diverso tra noi. Erano così tante le differenze che ogni giorno o a me, o a lei ne veniva in mente una da dire all’altra; ci insegnavamo parole a vicenda; ci raccontavamo dei nostri amici lontani; si mangiava insieme nelle rispettive case qualcosa di tipico del proprio paese. Ci arricchivamo reciprocamente di diversità. E io amavo questa diversità, come ne avrei amata qualsiasi altra. Gli altri invece, a quanto pare, sceglievano, chissà perché, quale accogliere.Ma non erano solo loro, gli amichetti delle elementari, a voler imparare dell’America sì, ma della Jugoslavia o dell’Albania no. Perché, arrivata alla scuola media, la medesima storia. Nella nuova classe c’erano due ragazzine albanesi, cugine: Brisilda e Dejana. La prima timida e introversa, come Valentina; la seconda estroversa e affamata di amicizia, come me. Il loro problema fu che, diversamente da me, non riuscivano, nessuna delle due, a incuriosire i nostri compagni. Non riuscivano a farsi chiedere come si dice “sei uno scemo” in albanese, o come si mangia in Albania. A nessuno di loro interessava. Ero sempre solo io a voler conoscere queste loro cose. Ero sempre solo io a rispondere alle solite domande di compagni incuriositi solo da me. Ma chi lo dice che la Jugoslavia o l'Albania non siano interessanti tanto quanto gli Stati Uniti o perfino, perché no, ancora di più degli Stati Uniti? A volte ripenso alle mie amichette interessanti, e mi chiedo se sono felici, o se ricordano ancora la loro infanzia in Italia, con la tristezza che leggevo nei loro occhi; se non vedono l'ora di tornare nel loro paese, o se ci sono già tornate. E se così fosse, io, di sicuro, non darei loro torto. Io, invece, sono ancora qui, nel Bel Paese ben disposto ad accogliere una ragazza di razza americana.

Andrea Katherine Robinson Classe 3M

Liceo Linguistico

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IL BURATTINAIO

Nella antica e lontana città di Carmenter c’era un uomo di nome Paul Rocchenfirg, alto e piuttosto robusto, che non riusciva a trovare un lavoro. Così era motivo di scherni e di derisioni da parte di tutta la città. Deciso a dare una svolta alla propria vita, Paul si recò da un signore misterioso, il cui volto e nome erano sconosciuti a quasi tutta la città. Nessuno avrebbe osato avvicinarsi mai alla sua dimora, o meglio nessuno che non avesse avuto problemi gravi. Arrivato al grande cancello nero che delimitava il confine col mondo esterno, Paul bussò al citofono… due rottweiler si fiondarono su di lui, alti, forti, e con denti aguzzi come non mai… ma giusto in tempo si vide un guanto nero aprire la porta e battere con violenza sul muro che la affiancava. I cani da guardia si fermarono e tornarono nella loro cuccia, mentre il cancello si aprì permettendo a Paul l’ingresso senza sapere né chiedere chi fosse. Entrato nella sala non poté non notare le numerose bambole, i numerosi caminetti e ancor più le teste di innumerevoli animali appese ai muri. Con voce tremolante chiese: “Permesso” e si sentì solo una voce rispondergli, una voce che sembrava non avere corpo, una voce che pareva girare tutta intorno alla casa. “So perché sei qui”. Paul annuì velocemente. “Bene”, inghiottì, “se sai il perché sono qui.. aiutami!”. La voce che sembrava provenire ogni volta da un posto diverso rispose: “Quale è il lavoro che vuoi?” Paul, stupito, replicò che avrebbe da sempre voluto fare lo psicologo. La voce gli disse di andare. Già dal giorno dopo Paul aveva il suo studio da psicologo e le persone erano stupite più di lui. Entrato nel suo grandissimo studio, notò di avere un filo al braccio sinistro, provò a staccarlo, ma non ci riuscì; così dopo numerosi tentativi, smise di pensarci e cominciò a godersi il suo nuovo lavoro. Paul sentì dei suoni scanditi con intervalli di tempo regolari, guardò in giro cercando di capire cosa fosse e, alla fine, comprese che era solo l’orologio. Improvvisamente si girò e vide al braccio destro un altro filo… e più passava il tempo e più sembrava che il suono “Tic-tac” dell’orologio aumentasse. Ogni dieci minuti scopriva un nuovo filo attaccato a qualche arto, e il “Tic tac” dell’orologio risuonava anche nella sua testa . “Tic-tac”, “Tic-tac” e, passati altri dieci minuti, ecco un altro filo addosso. Pian piano le mani si irrigidivano, la schiena sembrava non avere più vertebre, la pelle sempre più dura, le gambe sempre più rigide.

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Paul, seppur con difficoltà, tornò alla casa del signore oscuro, che gli aprì la porta e rise. Entrato, continuava a irrigidirsi; era diventato di un marrone scuro, si muoveva in modo meccanico, e gli occhi diventarono vitrei, i fili si alzarono e si unirono a un pezzo di legno che il signore teneva nella sua putrida mano. Felice l’oscuro uomo (se tale si può definire) rideva compiaciuto, poiché possedeva una nuova marionetta. Aveva un sorriso enorme, però non rideva, occhi spenti e tristi, labbra forzatamente sorridenti e un corpo in legno completamente manipolato. Il crudele signore, dopo aver giocato con la sua nuova marionetta, accese uno dei tanti camini e, ridendo, la fece bruciare come tante altre. Non si seppe mai cosa fosse successo a Paul e a tutti coloro che si erano avventurati per la stessa strada.

Eugenio Ricciardi Classe 3C

Liceo Scienze Umane

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I RE DI NAPOLI Lo chiamavano zio Carlo, era potente, ricco, era il re della città. Tutti lo onoravano, era venerato come San Gennaro, tutti gli obbedivano, quello che diceva era legge. Da bambino molti mi invitavano ad essere fiero di avere un nonno così. “Oggi ti porto a fare una gita, Emanuele!” Ricordo la musica ad alto volume nell’auto, tutti si inchinavano al nostro passaggio, mi sentivo il principe di Napoli. Avevo quattordici anni e, secondo le leggi del clan, ero abbastanza grande per entrare a far parte della famiglia. Entrammo in un palazzo, ricordo il puzzo di chiuso, di schiavitù e di fatica. Don Vespuccio mi aprì la porta e rimasi folgorato dalle centinaia di persone intente a lavorare una polvere bianca: “Vedi Emanuele, questa è la polvere della felicità, un giorno tutto questo sarà tuo”. Capii che quello era il nostro maggior guadagno: la droga. Da quel momento era iniziato un nuovo capitolo della mia vita. Facevo parte della famiglia, non ero più un bambino ma un uomo d’onore. Ricordo le giornate al porto, i carichi che entravano e uscivano, le armi, la droga, gli uomini. Tanti corpi uno sull’altro, tanti morti. Ciruzzo mi disse: “Emanuele, li vedi questi animali? Questi ci lavorano la droga e noi gliela rimandiamo”. Tutto era silenzio, nessuno osava raccontare. Questa è l’omertà, mi spiegarono quando fui più grande. La mattina andavo a scuola, ma non ero come i compagni, loro erano spensierati, giocavano a fare la guerra, io la vivevo tutti i giorni attraverso gli spari, le botte, la violenza. Chiunque disobbediva era morto. “Oggi, Emanuele, diventerai un uomo”. Mi portarono in un palazzo pieno di donne, mulatte, nere, rosse, bionde. Pinuccio mi spiegò che erano merce dello zio Carlo. “Con queste puoi fare quello che vuoi”. Ma nulla succedeva, nessuno raccontava. Il silenzio era frutto della paura. Io non volevo morire. Ogni giorno la vita era appesa ad un filo. Padre Giuseppe, durante i funerali, lo diceva sempre: “Qui i ragazzi imparano solo ad uccidere e a morire”. Questa era la verità, era la nostra vita. Di giorno eravamo leoni che combattevano per mantenere il potere, di notte c’erano le feste, la droga, le donne, le tirate di cocaina, la musica, i fiumi di champagne. Il nostro clan era i “Re di Napoli”, ci rispettavano e nessuno osava proferir parola. E gli affari, quelli erano i migliori. Eravamo internazionali, anche in America ci conoscevano. I politici erano nostri compagni, erano i primi a tirare la nostra cocaina e a farsi le nostre femmine, con quattro mozzarelle riuscivamo a corrompere i napoletani.

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L’indomani un carico di droga e armi sarebbe arrivato dalla Colombia. Ci dirigemmo al porto, l’appendice infetta di Napoli, dove tutto entrava ed usciva regolarmente. Non c’erano i colombiani ad aspettarci ma gli sbirri, qualcuno aveva parlato, quel qualcuno sarebbe morto. Spari e sangue. Ne avevamo persi cinque. Quindici arresti, due ergastoli. Dopo vent’anni, chiuso in questa cella, ricordo le nostre missioni. La violenza, i morti, tutto per sentire la fragranza della ricchezza. Queste erano le regole: onore e rispetto alla famiglia.

Sara Taraborrelli Classe 5C

Liceo Pedagogico

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COME UN CIOCCOLATINO

Mi chiamo Kim, sono di origine senegalese, ho undici anni e sono stato adottato da una famiglia italiana. Dopo la morte di mio padre, mia madre mi affidò a un orfanotrofio a causa della fame e della miseria. Avevo più bisogno di lei che di questa nuova madre, ma da quando ho una famiglia sono tornato a essere felice. Ora mamma è incinta, aspetta una femmina e l’abbiamo scoperto sin dalla prima ecografia. Sono tanto ansioso di vedere la piccola. Vivo a Milano in campagna e, visto che non conosco nessuno, trascorro le giornate da solo a giocare a palla e a guardare la tv cercando di imparare la lingua italiana. Spesso mi guardo allo specchio. Chissà cosa penserà di me questa bambina che sta per arrivare quando sarà grandicella! La mia pelle è come un cioccolatino, ma tanto morbida al tatto. Sono come una pallina di gomma, e non so per quale motivo la gente continua a pensare che la nostra pelle scura sia dura e brutta! I miei capelli ricci mi ricadono sulla fronte e incorniciano il viso illuminando ancora di più i miei occhi neri. Stringo nel palmo della mano una medaglietta che mia madre mi ha consegnato prima di lasciarmi: il solo ricordo di lei e della mia prima famiglia. A volte piango segretamente e ripenso alla mia capanna, dove mamma mi stringeva forte al petto. Rivedo per un attimo i miei amici del villaggio, tutti scuri come me, che bianco avevano solo il sorriso e quel particolare dell’occhio. Ripenso anche alle notti calde, quando gli animali notturni con i loro versi mi spaventavano e io correvo dai miei genitori che dormivano profondamente su una stuoia di banano! Non mi manca niente ma il mio cuore batte per un posto lontano che, forse, non rivedrò mai più. La cicogna sta per arrivare. A scuola rivedo i miei compagni e do loro la notizia che presto in casa arriverà una bambina. Qualcuno mi grida che non è mia sorella che non sarà certamente brutta e scura come me. Vorrei fuggire, vorrei farlo come facevo da piccolo in Senegal, quando mi chiudevo dentro una vecchia cassa di legno. Pensavo avessi degli amici in Italia! Non sento neppure la maestra quando richiama con autorevolezza i compagni. All’ora dell’uscita mi copro persino gli occhi con il cappuccio di pile. Mi sento tanto brutto ora, come non mi sono sentito mai. Mi domando cosa ci faccia io in Italia e poi... questa nuova sorellina, se così posso chiamarla, a cui voglio già tanto bene, che mi toglie le esclusive attenzioni che ho dai miei genitori. A casa non racconto niente e il mio papà adottivo pensa che ce l’abbia con lui. Siamo entrambi in uno stato d’ansia terribile. E’ un momento molto duro per me: tra pochi giorni, il mio posto verrà preso inevitabilmente da una creatura che avrà bisogno di tutto. Sarò in grado di conservare almeno l’affetto dei miei?

Giovita Di Rosa Classe 2D Liceo Scienze Umane

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VOCI E STORIE DI RIBELLIONE

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CI SONO GIORNI

Ci sono giorni, tanti forse troppiin cui non vorresti esserelì fuori, dove tutto accadee tutto tace.Ci sono giorni, tanti forse troppiin cui l'anima e il corpourlano di dolore.Il dolore di chi è deriso,disprezzato, picchiato.Il dolore muto dell'indifferenza,della violenza, dell'omertà.Ci sono notti, tante forse troppein cui il rumore assordante del silenzioirrompe nel cuore e nella mente.E ci sono notti, poche, forse troppo pochein cui la luna tende le bracciae culla dolcemente i desideri e le speranze,avvolgendo caldamente le membra stanche,

quando l'unico respiro che si ode è quello delle stelle.Ed è in queste notti che il silenzioè interrotto dal ruggito del coraggioche riemerge dal profondo dell'animae sospinge al combattimento.È un senso di ribellione perché lì fuori tutto può cambiare, basta volerlo, volerlo fortemente.Grazie Paolo, grazie Giovanni.

Federica Milano e Francesca Grifone Classe 3B Turismo

GIOVANI RIBELLI: I WRITERS

Molti collegano la parola arte ai musei, musei a quadri, quadri a grandi artisti. Noi ad arte colleghiamo tutto. Tutto è arte, dalla musica, alle poesie, alla grafica, ai writers. I writers, artisti di strada, sono distinti dal fatto che non usano una tela come base, ma i muri delle nostre città. Murales è una parola messicana che indica le pitture fatte sui muri. Ne hanno fatte parecchie, per chilometri quadrati, i pittori messicani che parteciparono alle rivoluzioni dell'inizio del secolo, dando così il loro contributo alla presa di coscienza del popolo, alle lotte sociali. In seguito, constatata l'efficacia di questo mezzo di comunicazione, molti movimenti di lotta vi fecero ricorso, usandolo come strumento di propaganda, per evidenziare concetti che, espressi in parole, sarebbero stati difficilmente capiti da chi non sapeva leggere, e che, attraverso le immagini, si comunicavano con più efficacia. Erano, queste, realizzazioni fatte rapidamente, per evitare scontri con le forze dell'ordine, o meglio della repressione. I writers fanno murales per dare testimonianza di una lotta, di una riflessione critica, di una protesta contro le ingiustizie, mezzo di comunicazione - testimonianza - interpellanza agli “altri”, i passanti, i visori casuali. Dipingono sui muri perché i muri, anche con immagini scritte sbiadite col tempo, conservano una loro forza di interpellanza. Scopo del fare murales non è però solo “abbellire i muri”, c’è chi lo fa solo per questo, ma i writers più famosi usano i murales per comunicare, come dicevamo prima, un messaggio. Certo un pennello non può cambiare il mondo, ma seminare l’inquietudine, sollecitare la gente a interrogarsi, provocare, si può: rivestire di colori e immagini suggestive le idee per cui si lotta, questo può un pennello.Per capire meglio il mondo dei writers un giornalista ha intervistato Fenix Asar, importante writer americano, chiedendogli “Cos'è un writer e perché disegnate sui muri?” e lui rispose: “La nostra cultura nasce come movimento di protesta più di 30 anni fa, nei ghetti americani dove "i padroni" avevano relegato i "rifiuti umani" per farli scomparire dalla faccia pulita e ricca delle loro metropoli”. Per questi primi writers era importante scrivere il proprio nome sui muri, perché era un modo per mostrare la propria esistenza nelle megalopoli inquietanti che li dimenticavano. Quello era il segno che non potevano essere cancellati dalla faccia della terra.“L'arte deve essere qualcosa che libera l'anima, che provoca l'immaginazione e incoraggia le persone ad andare lontano con la fantasia” sono parole di Keith Haring, il re dei graffiti che simboleggia la parabola artistica e sociale del graffitismo degli anni ottanta. Sono molti gli artisti che nel tempo si sono ispirati a queste parole, trovando in questa nuova espressione artistica un modo alternativo di comunicare.

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Malgrado le origini di questo nuovo modo d'intendere l’arte siano riconducibili alla illegalità, lentamente questo grido ribelle metropolitano è stato fagogitato dalla società, dal mercato e dal sentire comune facendone proprio il messaggio e sfruttandolo come strumento per fare soldi.

Ilaria D’Arcangelo, Simona D’Orazio, Chiara Olivieri Classe 3B Turismo

LA RIBELLIONE NELLA MUSICA

Quando parliamo di ribellione si pensa subito al riunirsi in piazza per protestare contro qualcosa che non ci va o genio, per ribellarci ai “Signori” che ci governano. La ribellione, però, si manifesta in varie forme: si può manifestare nell’arte, nella scrittura, nella cinematografia e, soprattutto, nella musica. I Sex Pistols sono un esempio di ribellione dura ed estrema, la più eccessiva: il gruppo, infatti, creò molte controversie durante la sua breve carriera. Il loro singolo “God save the Queen”, pubblicato appositamente durante il giubileo d'argento della regina d'Inghilterra, è stato considerato un attacco alla monarchia e al nazionalismo degli inglesi.In Italia le prime tracce della ribellione appaiono come fenomeno di massa già nel 1966 quando Franco Migliacci e Mauro Lusini scrissero il testo di “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones”. Fu un grande successo, ripreso dalla celebre Joan Baez che lo consacrò come inno alla pace.Altri cantautori che si sono fatti riconoscere per il loro spirito ribelle sono Vasco Rossi e Rino Gaetano.Vasco visse lo sua infanzia in un collegio: l'esperienza si rivelò traumatica e lo spinse a trasgredire alle rigide regole dell'istituto. In seguito prende posizioni anarchiche. E’ con il suo quarto album che iniziò ad arrivare il successo: “Siamo solo noi” viene considerato come un vero e proprio “inno generazionale”. La canzone simbolo della ribellione di Vasco è “C'è chi dice no”.Rino Gaetano, considerato il “figlio unico della canzone italiana” è ricordato per la sua voce ruvida e spontanea, per la graffiante ironia delle sue canzoni nonché per la denuncia sociale, celata dietro ai suoi testi apparentemente leggeri.

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Il cantautore calabrese ha rifiutato sempre ogni tipo di etichetta e, a differenza di molti altri, ha evitato di schierarsi politicamente. Tuttavia, Rino arrivò a fare nomi e cognomi nelle sue canzoni e i suoi testi e le sue esibizioni furono più volte censurate.Nel 1976 Rino Gaetano incise un album intitolato “Mio fratello è figlio unico”. Con questo disco il cantautore calabrese propone argomenti drammatici, soprattutto la solitudine e l'emarginazione.Concludiamo con il dire che per essere ribelli non basta urlare o assumere uno sterile atteggiamento trasgressivo per farsi notare: la poesia dei propri testi può essere una soluzione di valida e intelligente ribellione.

Sara Mancinelli, Aurora Cozzi, Simona Iacovozzi Classe 3B Turismo

LA RIBELLIONE NELLO SPORT

Muhammad Alì:Chiamato anche Cassius Clay, è stato uno dei più grandi ribelli nella storia dello sport. Si è ribellato proprio al suo paese, che lo definiva un negro, rifiutandosi di andare a combattere in Vietnam. La sua frase più famosa è stata: “Nessun vietcong mi ha mai chiamato sporco negro”. Nelle sue parole non manca il risentimento verso uno Stato che si ricorda dei neri solo quando servono come carne da cannone. Dopo questo rifiuto viene squalificato per tre anni, ma nel 1971, si riprende la sua rivincita quando i suoi diritti di obiettore per motivi di coscienza gli sono riconosciuti. La sua storia ci fa capire che dobbiamo sempre lottare per ciò in cui crediamo.

Alfonsina Strada:è stata la prima e unica donna a partecipare al Giro d’Italia nel 1924, lottando contro chi voleva impedire la sua gara solo perché donna. Il suo è considerato un gesto ribelle e significativo perché dimostra che le donne meritano di essere ricordate per il loro coraggio anche nel mondo dello sport. Grazie a lei e ai suoi sforzi, si riuscì ad aprire la strada all'affermarsi della donna nel mondo dello sport. Combatté contro un mondo chiuso e prettamente maschile e, grazie al suo carattere forte, realizzò il suo sogno.

Cristina Di Giovanni e Brattelli Chiara Classe 3B Turismo

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LA RIBELLIONE DELLA DONNA

Nel Pakistan, in Turchia, in Iraq e in altri paesi del mondo, le donne ancora oggi sono “schiave” della tradizionale autorità maschile. Non tutte hanno il coraggio di ribellarsi. Per noi donne occidentali, è impensabile accettare tale condizione di subordinazione; ma, pensandoci bene, come possiamo noi giudicarle? Troppo facile esprimere giudizi per noi che abbiamo ereditato dalle nostre “madri”, una libertà per la quale hanno combattuto.Malala - la giovane pakistana colpita da un kalashnikov perché reclamava il suo diritto all’istruzione - Veena Malik - condannata da un mufti musulmano per aver partecipato ad un reality show - Sila Sahin - che ha violato le tradizionali norme islamiche mostrandosi senza veli su Playboy – sono esempi molto diversi tra loro di donne coraggiose, donne ribelli, che si sono stancate di stare a guardare, mentre la loro vita veniva buttata via. Sono donne che cercano di far sentire le loro voci di ribelli.

Caterina D’Arcangelo e Kiara Metushi Classe 3B Turismo

LA RIBELLIONE AI SOPRUSI E ALLE MAFIE

Quando parliamo di mafia, ci riferiamo ad un’organizzazione criminale il cui unico scopo è il potere e il profitto economico. Fondata in Sicilia nel 1838, oggi si è ramificata su tutto il territorio nazionale. La lotta contro la mafia iniziò negli anni ’80, grazie al pool antimafia creato nel 1983 da Antonino Caponnetto e da altri quattro magistrati. Tra coloro che ne fecero parte, ricordiamo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che lavorarono insieme a oltre 500 processi.Nel 1992 Giovanni Falcone venne ucciso nella strage di Capaci e dopo 57 giorni, nell’esplosione di via D’Amelio, perse la vita anche il suo collega ed amico Paolo Borsellino.Gli ultimi 57 giorni di vita del magistrato sono riportati in due agende: una grigia, che riguarda la sua vita privata, e una rossa, dove il magistrato appuntava tutto ciò che scopriva sulla mafia, compresi i nomi “eccellenti”. Quest’ultima però è sparita il giorno della sua morte e ancora oggi non è stata ritrovata. Salvatore Borsellino , fratello minore dell’eroico Paolo, dopo la morte “annunciata” del congiunto, ha cercato di esortare i siciliani – e non solo – a combattere la criminalità organizzata e ha denunciato le connivenze tra Stato e mafia.

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Queste persone - e altre come loro - sono il simbolo di una dura lotta, purtroppo non ancora vinta. Ma, come disse ai suoi tempi Giovanni Falcone “La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e, come tutti i fatti umani, avrà un inizio e una fine”. E a quella fine hanno contribuito e contribuiscono quegli uomini che hanno saputo ribellarsi alle ingiustizie e alla paura.

Serena Salvati Classe 3B Turismo

Nel corso degli anni, la mafia ha conquistato sempre più potere, anche grazie alla connivenza di uomini politici e di istituzioni, ma è stata anche fortemente combattuta da uomini da uomini che credevano nella giustizia. Molti di loro hanno perso la vita per denunciare delitti mafiosi; tra questi ricordiamo Peppino Impastato.Peppino Impastato, nonostante conoscesse bene i rischi a cui andava incontro, non ha avuto paura a denunciare e a gridare al mondo i soprusi mafiosi, violando i “legami di sangue” e ribellandosi alla sua famiglia. Giovanissimo, rompe i rapporti con il padre, personaggio di un certo spicco negli ambienti malavitosi, e fonda dapprima un giornale, chiamato “L’idea socialista”, e in seguito, una radio, Radio Aut. Ed è soprattutto via etere che denuncia i crimini mafiosi e versa il “veleno” dell’ironia e dello sberleffo sul capomafia Gaetano Badalamenti, da lui ironicamente chiamato “Tano Seduto”. Per tradurre in azioni concrete di lotta politica le sue idee, si impegna in politica e si candida nelle liste di un partito di estrema sinistra “Democrazia Proletaria”. Fu proprio durante la campagna elettorale che venne ucciso, ma i suoi amici non lo hanno dimenticato e lo hanno eletto simbolicamente nelle elezioni.La sua vita è stata raccontata in un film di successo “I cento passi” di Marco Tullio Giordana, intitolato così perché cento sono i passi che dividono la casa di Peppino da quella del capomafia Gaetano Badalamenti.Sono tanti gli uomini che come Peppino Impastato hanno combattuto duramente la mafia con la forza delle idee e della parola. Uno di questi è Giuseppe Fava, colpevole di aver denunciato nella sua rivista ,“I Siciliani”, la complicità Stato-Mafia. La forza della parola è un pericolo costante per la mafia, che prospera laddove regna l’omertà, la paura, l’indifferenza e la disinformazione: fintanto che ci saranno uomini che non avranno paura a denunciare le azioni criminali mafiose, fintanto che ci sarà qualcuno che si ribellerà, ci sarà la speranza fondata che un giorno la mafia possa cessare di esistere.

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RIVOLTATI ORA

Meritiamo di essere felicidi essere liberi.

Meritiamo di immaginare un mondoall'altezza dei nostri sogni.

Abbiamo bisogno di combatteredobbiamo ribellarci

non per gli altri,ma per noi stessi.

Nessuno può distruggerci.Nessuno ha il diritto di giudicarci.

Nessuno può imporci di essere veri.Solo chi sogna

può volare in alto.

Federica Milano e Francesca Grifone Classe 3B Turismo

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COSÌ NON VA

(una canzone di ribellione)

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Così non vaci resta giusto il tempo per tirarci supiovono soldi sopra i sogni e andiamo giùchiamala fine chiamala come vuoi tucosì non vaci sarà pure un modo per dire di noun modo per gridare basta non si puòchiamala pazza ma è un’idea e io ce l’ho

così non vachi ha tempo non aspetti il tempo che accadrà

così non vaci stiamo consumando a furia di chissàperdono tempo e a noi ci chiedono perchéchiamali folli è la certezza che ora non c’è

così non valeccare le ferite non ci aiuterà guerre tra i numeri che non ridanno piùcosì non vane siamo troppi e un arca non ci basteràe questa volta così grande chi ce l’ha

così non vala ribellione sempre al vento non ci sta

così non vasbagliano sempre e solo per necessitàsfogliamo i libri solo per curiositàclicca mi piace è il verbo dell'umanità

così non vase stiamo fermi forse non ci troverà

così non valeccare le ferite non ci aiuterà guerre tra i numeri che non ridanno più

così non vane siamo troppi e un arca non ci basteràe questa volta così grande chi ce l’ha

così non vachi ha tempo non aspetti il tempo che accadrà

così non vala ribellione sempre al vento non ci sta

così non vase stiamo fermi forse non ci troverà

così non vaAurora Cozzi Classe 3B Turismo

PAOLO IL BULLO

Da bambino mi dicevano sempre che ero un ruffiano. Mio padre me lo diceva ogni volta che mi aggrappavo al collo della mamma: le sussurravo che era la più bella e che volevo sposarmi con lei. I nonni e gli zii ridevano, ma io ero serio, molto più di quando con fierezza illustravo i chissà quali poteri degli aggeggi che assemblavo con le costruzioni. Anche oggi sono serio, ma non più ruffiano. Ecco che arriva l'autobus; c’è già un sacco di gente, ma per me c’è sempre un posto libero accanto a Sandro. "Oh Paolo!" mi saluta. Gli rispondo con un cenno della testa. "Oggi, alle 3, al campetto; - mi dice - quello sfigato di Luca s’è scordato i compiti di matematica per Peppe. Peppe glie ne ha dette quattro e quello lo ha detto alla Rossi. Gli dobbiamo dare una lezione, deve capire chi comanda". "E chi è che comanda, Sandro?". Si stava allargando troppo. "Tu, Paolo! Ma ...". "Bene, allora sai che ti dico? Me ne infischio!". Che mi importava di Peppe. "Ma Paolo, Peppe è uno dei nostri!". Sandro è il mio cane da guardia, mi segue dappertutto. Sa quando sto per arrabbiarmi, sa che deve evitarlo. "Come vuoi tu, Paolo. Hai ragione a infischiartene. Non so perché corro dietro alle bambinate di Peppe. Sa anche lui che tu hai ben altro a cui pensare. Potrei, però, parlare con Luca e fargli capire come stanno le cose, dopo tutto è entrato da poco nel nostro giro". "Toglimi una curiosità, Sandro: - gli dico - qual è stata la reazione della Rossi?". "Assolutamente nessuna, capo, come sempre" mi risponde con un sorriso. "Vedi, caro Sandro, tutti sanno come funziona. Se lui non lo ha capito ancora, come te, a quanto pare, è un problema suo. Perciò non disturbarti tanto e lascia che lo capisca da solo. Nessuno interverrà. Si farà ancora più male di quanto non possa fargliene tu". Gli si spegne il sorriso sulle labbra. Nel frattempo arriviamo alla nostra fermata. "Scusami, Paolo, - mi fa - non ti darò più fastidio con le mie idee stupide.". Quando mia madre morì di cancro, mio padre cercò di insegnarmi come proteggermi dalla sofferenza. Se mi vedesse adesso, sarebbe fiero di me: tutti mi temono, tutti mi rispettano e nessuno, senza distinzioni, prova ad avvicinarmi da pari. Sono un tiranno, senza emozioni, senza amici, senza amore. Nessuno può farmi soffrire, perché, per me, nessuno conta qualcosa.

Benedetta Trovarelli Classe 4E

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OMBRA

Lo sento. E' vicino. Correre! Devo correre! Non posso, non devo fermarmi! Il sole mi acceca. La strada è vuota, non c'è nessuno: siamo soli, io e lui. Dovunque guardi è lì, presente. Ho paura. Non riesco a respirare. Le lacrime mi rigano il viso. Mi fermo. Il silenzio mi avvolge con la sua coltre pesante, sento solo il suono delle mie lacrime che si fa man mano più insistente fino a quando mi sovrasta, esplodendomi dentro... Il mio urlo mi risveglia. Giro la testa e guardo la sveglia. L'unica cosa a cui riesco a pensare è il momento in cui ritornerò a casa dopo la scuola. Mi vesto della mia monotonia e percorro la strada che mi porterà a scuola. Centinaia di ragazzi mi passano davanti. Vorrei che qualcuno mi salutasse come quel ragazzo laggiù ha salutato il suo migliore amico, ma questo non accadrà mai. Agli occhi degli altri sono invisibile e vorrei esserlo anche ai suoi... Ma lui si avvicina indisturbato e punta gli occhi su di me, così come ogni mattina. Ormai sono entrati tutti in classe e in corridoio rimaniamo solo noi due. La sua ombra mi ricopre e da un solo gesto capisco che vuole i miei soldi. Ho paura. Apro lo zaino e prendo il portafogli, gli do tutto quello che ho, perché non vedo altra via d'uscita. Se ne va, spingendomi contro il muro. Tutto questo non avrà mai fine, tutto questo è quello che io sono. Lui mi umilia, mi deruba, mi picchia e, ogni ora, ogni minuto che passa, sento di perdere un po' di me stesso. I lividi, coperti dalle felpe, mi ricordano costantemente la mia nullità e la mia solitudine.

Giorgio Cinosi e Edda Grilli Classe 2C

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UNITI SI VINCE

Eccomi qua, che apro il mio negozio di abbigliamento, un piccolo locale all'angolo della strada. Ho un pensiero fisso nella mente: anche oggi, dopo un mese dall'ultima volta, verrà un uomo, un emissario della mafia, scortato da due scagnozzi, due tipi alti e robusti con le braccia conserte come se volessero mettere in mostra i loro enormi bicipiti. Vengono a chiedere il pizzo, in cambio di una cosiddetta protezione da furti e da atti vandalici. Ma questa protezione funzionava fino a pochi anni fa; adesso sei obbligato a pagarlo anche se in cambio non ti viene data alcuna cosa e, se provi ad opporti, sono guai per la tua attività ed anche, in alcuni casi, per la tua famiglia. I miei guadagni non sono molto alti e la mafia me li riduce ulteriormente; con i tempi che corrono finirò con il vendere la mia attività e col dedicarmi a qualcos'altro in cui la delinquenza organizzata sia radicalmente assente, cosa che però ritengo poco probabile. E' sera, manca poco all'orario di chiusura e sento il tintinnio dei campanelli appesi sul bordo superiore della porta di ingresso, che mi avvisa quando qualcuno entra. Ed eccolo, è lui! Vestito di nero, con uno sguardo inquietante, fiero del suo "lavoro" e molto sicuro di sé, scortato, come sempre, dai suoi scagnozzi. Mi si para di fronte, dicendo senza sprecar parole : "Dammi quello che sai!". Metto il denaro sul bancone della cassa, lo prende con sicurezza e si mette a contarlo. Quando finisce, mi guarda compiaciuto e se ne va in silenzio. Mi assale la disperazione. Non posso fare a meno di pensare che la mafia è ormai radicata, con nomi e organizzazioni diverse, in tutto il mondo, anche nelle alte sfere della società e che, se vi si entra in contatto, non si riesce a liberarsene, che è come un contratto a vita da cui non trai nessun vantaggio, che anzi ti dissangua. Da qualche mese, però, ho scoperto l'esistenza di associazioni antiracket anche nella mia città e che l'estorsione è un'azione denunciabile, che in parecchi lo stanno facendo, che non si è soli e in me si è riaccesa una timida speranza. Domani li contatterò, forse troverò il coraggio di oppormi.

Emanuele D'Amario Classe 1E opzione Scienze applicate

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BASTA!

Lo schiaffo che ricevette stavolta fu così violento da mandarla a terra quasi tramortendola, mentre una vampata di calore si diffondeva per la guancia colpita che le lacrime continuavano a rigare. - Basta! Perché mi fai questo? Che cosa sono io per te? La donna che ami o un semplice oggetto su cui sfogarsi? Smettila, ti prego! - Questo avrebbe voluto dire Mara, mentre suo marito Luigi la picchiava, come faceva ormai ogni sera, tornando ubriaco da chissà dove. Ma ogni volta il coraggio le veniva meno e le parole le morivano in gola, mentre egli incombeva su di lei, ordinandole di rialzarsi per riempirla ancora d’insulti e botte. Si rialzò a fatica, appoggiandosi al tavolo, mentre l’uomo continuava a inveire contro di lei. Cercò di evitarlo, dirigendosi con finta disinvoltura verso la porta della cucina per andare nella stanza da letto, esausta. Fu inutile: si sentì afferrare per il braccio e trascinare indietro con violenza per continuare a essere vittima di quei soprusi. Quando tutto fu finito, Luigi si diresse nel salotto dove, sul divano, si addormentò tra rantoli sommessi. Mara ringraziò il cielo per quella pausa concessale dopo il supplizio e si preparò per andare a dormire. Tra le confortevoli coltri, in quel frangente di tempo che precede il sonno vero e proprio, in uno stato di dormiveglia, la donna pensava ogni volta a quanto fosse felice il giorno in cui si era sposata, dopo due anni di fidanzamento, con il più bel ragazzo che avesse mai conosciuto. Le cose erano degenerate quando, dopo alcuni anni durante i quali la coppia aveva provato a concepire un figlio senza successo, per la frustrazione, suo marito aveva iniziato a bere, facendosi vedere sempre meno a casa, tornando solo a notte fonda in uno stato di confusione ed ebbrezza che lo spingeva a usare la violenza contro la moglie indifesa e senza colpa. A questo pensiero Mara scoppiò a piangere e poco dopo si assopì. Il mattino seguente la luce vivida del sole filtrò attraverso le finestre della stanza illuminando i lineamenti di una giovane donna dormiente, dalle gote arrossate e un po’ livide, col volto disteso di chi ha goduto appieno di un buon sonno ristoratore. Abbagliata dalla luce, Mara si destò pronta per iniziare il monotono ciclo quotidiano. Si preparò a uscire di casa, coprendo come meglio poteva i segni delle percosse lasciati le sere precedenti da suo marito - l’uomo che continuava incessantemente a russare sul divano -, per evitare che le colleghe al lavoro potessero capire l’incubo disumano che viveva ogni sera.

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Dirigendosi a piedi verso l’ufficio dove lavorava, soleva ormai, negli ultimi tempi, camminare speditamente a testa bassa per evitare di incontrare lo sguardo di persone che vivevano una vita decisamente migliore della sua, cercando di rinchiudersi sempre più in se stessa, dietro una maschera di false emozioni e sorrisi forzati. In quel tratto di strada che la separava dal posto di lavoro lasciava la sua mente libera, cercando di non pensare alla situazione in cui si trovava, ma dall’incubo in cui suo marito la trascinava era difficile scappare. Giunta all’ufficio, indossò la maschera delle false emozioni cambiando completamente di aspetto: le colleghe la vedevano giovane, attraente, con un bellissimo sorriso dipinto sul volto incipriato e un carattere adorabile ed estroverso. Vedendo il suo riflesso negli occhi e nei pensieri delle amiche, ricordava il periodo durante il quale era felice e spensierata, un tempo dal quale Luigi l’aveva bruscamente strappata dopo averla illusa. Sì! Illusa! Povera sciocca ad avergli creduto… ma ci sarebbe stato un momento in cui avrebbe detto basta! Spesso, lavorando, rischiava che la maschera s’infrangesse, sentendo le persone che la circondavano parlare ammirate dei loro mariti perfetti: allora un’ondata di odio e invidia si abbatteva su di lei. Si incupiva ancora di più, finito il turno di lavoro, perché sapeva di dover tornare a casa dove ad aspettarla ci sarebbe stata qualche macabra sorpresa. Anche quel giorno, cercando di reprimere i brutti pensieri, arrivò nell’appartamento e, entrando, constatò che suo marito non c’era. Sedette allora sul divano con la televisione accesa e gli occhi che la vedevano, ma non la guardavano, la mente ottenebrata da un fitto velo di pensieri. Decise che avrebbe aspettato Luigi per cenare, sperando che tutto andasse bene. Seduto al bancone del bar, Luigi ordinò due birre, mentre fissava il nulla, sentendosi vuoto e inetto. Quando ebbe consumato ben più delle due birre ordinate all’inizio, si sentì ebbro e forte, ma soprattutto invaso da una vampata di ira che cresceva in lui, mentre il mondo si distorceva. Tornò a casa barcollando e, entrando, vide una figura ben nota che lo aspettava seduta in cucina. Con il cervello appannato dall’alcool si diresse verso la sagoma e, quasi istintivamente, iniziò a percuoterla, mentre egli stesso piangeva. Quando tutto si fu consumato, si sentì tremendamente stanco, ma diabolicamente appagato e, sdraiandosi sul divano, si addormentò. Al mattino Mara si svegliò con una strana sensazione. Recandosi alla finestra per aprirla e far entrare un po' di luce, sentì che tirava un vento di cambiamenti. Prima di uscire da casa sua, non si truccò, lasciando ben visibili sul volto i segni di una vita infelice. Le amiche quel giorno fecero molte domande riguardo agli inspiegabili segni

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sul suo volto, ma lei cambiava sempre argomento, dicendo che presto qualcosa sarebbe cambiato. Cosa, non lo sapeva ancora. Lasciò che quel presentimento maturasse per tutto il giorno e lentamente iniziò a sentirsi sollevata. Fu quando finì di lavorare che capì: era arrivato il momento di dire basta. Uscì dall'ufficio e, insieme con un'amica, si diresse verso il commissariato; era ormai decisa a denunciare il marito. Per ricominciare e dimenticare tutto, non sarebbe bastato un attimo e non sarebbe stato facile. Lei lo sapeva. Però si era ribellata. Era riuscita a divincolarsi dalla trappola in cui era stata attirata. Aveva detto basta!

Francesco Di Tizio Classe 1C

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PEDOFILIA ON LINE

Giada aveva appena compiuto 14 anni. Fino ad allora era stata una ragazzina felice e spensierata, ma tutto era cambiato quando aveva cominciato il liceo. Tutto era nuovo per lei: nuovo quartiere, nuova scuola, nuove compagne e si sentiva terribilmente inadeguata. Effettivamente era diversa dalle altre. Giada era davvero bella ma di quella bellezza che ispira tenerezza. Aveva lunghi capelli biondi, due grandi occhi azzurri ed un’espressione dolce stampata sul viso; era ben proporzionata ma piccola e minuta. Ecco, quello era il problema: non c’era niente in lei che la facesse sembrare una donna. Anzi, era proprio una bambina. Non come le sue compagne di scuola che erano tutte di una bellezza mozzafiato, almeno così le vedeva lei, alte e formose, truccate come attrici. Su di lei anche un po’ di rossetto era come una nota stonata. Giada si sentiva brutta e soprattutto sola. Non che le compagne non le volessero bene, però la trattavano come una bambola, un cucciolo da coccolare, la sorellina minore. Ma non la invitavano mai ad uscire, alle feste, al cinema. E la escludevano dai loro discorsi, soprattutto quando si parlava di ragazzi. In effetti nessun ragazzo la guardava come le altre venivano guardate e come lei voleva essere guardata. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sentirsi anche solo una volta come loro. Così, un giorno, mentre faceva una ricerca su internet, si era trovata, quasi senza sapere come, su uno di quei siti che mettono in contatto le persone: una “chat”. “Perché no?” si era detta. E aveva cliccato su “Registrati” senza pensarci troppo. Cosa c’era di male? Dietro il suo computer avrebbe potuto essere chiunque lei desiderasse, avrebbe potuto vivere la vita che avrebbe voluto, anche se solo per finta, e nessuno, dall’altra parte, avrebbe mai potuto capire la verità. E poi lei era una ragazza intelligente e giudiziosa e non avrebbe mai oltrepassato il limite mettendo a rischio la sua sicurezza. Aveva sentito parlare dell’adescamento on line, ma a lei non sarebbe mai successo. Si era divertita, quel giorno, a descriversi esattamente all’opposto di come era veramente: spregiudicata e maliziosa invece che timida e impacciata e aveva avuto molte richieste di amicizia. Era solo un gioco e lei lo sapeva e lo aveva gestito senza problemi fino al giorno in cui le aveva chiesto l’amicizia Stefano, un ragazzo di diciotto anni che sembrava infelice, proprio come lei. Giada sentì quasi subito che con lui poteva essere se stessa, che poteva fidarsi. Lui le diceva cose molto dolci e un giorno lei decise di inviargli una sua fotografia. Lui le disse che era bella e a lei quasi non sembrò vero. Andarono avanti così per settimane finché lui le chiese di poterla incontrare. Giada ne fu felice: era il suo primo appuntamento. Finalmente anche lei avrebbe avuto un amore da raccontare alle sue compagne. La sera del

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loro incontro Giada era emozionata, mise anche il rossetto: era sicura che lui le avrebbe portato dei fiori o dei cioccolatini, perché era davvero un ragazzo romantico. Quando uscì dal portone di casa, la macchina di Stefano era già lì e lei salì di corsa. In un attimo l’automobile si mise in moto e il momento dopo Giada si rese conto che Stefano, se questo era davvero il suo nome, non aveva certo diciotto anni e che non c’erano fiori ad aspettarla. La serata non andò affatto come lei aveva immaginato: non ci furono parole dolci o romantiche e, quando tutto fu finito, Giada avrebbe voluto morire. Ma non era morta e di questo, le dissero tutti dopo, avrebbe dovuto ringraziare il cielo.

Angelo Pettinelli Classe 3C

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TRA ITALIA E ROMANIA

Tutto è cominciato in Romania quando avevo dieci anni e mamma è partita per lavorare in Italia. Sono rimasta sola con i nonni per quattro anni. Da quel momento la mia vita è cambiata completamente, soffrivo per la mancanza di mia madre e mi comportavo male con nonna. Stavo male perché a dieci anni non sapevo difendermi dai cattivi, non avevo nessuno che mi difendesse, ero sola. Nonna si comportava come la madre che in quel momento non avevo, mi curava, veniva a scuola per parlare con i professori, mi considerava più di una semplice nipote: ero sua figlia e per me lei era mia madre. Quando soffrivo, perché papà e mamma avevano divorziato, mi abbracciava dicendomi che sarebbe andato tutto bene. Tutto questo è cambiato quando, quattro anni fa, mamma mi ha portato in Italia a studiare. Per la mia lontananza la nonna si è sentita male, per questo ho dovuto abbandonare la scuola per tre mesi, sono stata con lei in ospedale per un mese, dopodiché è tornata a casa; così ho ripreso i miei studi in Romania. Ma la nonna non era più quella di prima, perché aveva saputo di avere un tumore che non si poteva curare. Stavo con lei notte e giorno, dormivo con lei, perché era sempre la mia mamma. Tutto questo è finito il 7 Aprile 2011, quando è morta. Era un giovedì mattina, dovevo andare a scuola, però non stavo bene; sono uscita fuori e sono svenuta. Quando sono rientrata, nonna non respirava bene; ho chiamato una sua amica che mi ha detto: "Sta per morire". In quel momento mi sono sentita inutile, morivo con lei, perché non potevo fare niente per salvarla. Prima che se ne andasse, io non mi comportavo bene con lei, però, se adesso fosse qui almeno per un minuto, le chiederei scusa e le direi che le voglio un mondo di bene. La mia vita continua a svolgersi in Italia, da quando, il 10 luglio 2011, con gli occhi pieni di lacrime, ho abbandonato mio nonno e i miei amici. Da allora la mia vita è cambiata di nuovo: qui sto con mamma, però soffro comunque; ogni sera guardo il cielo e piango e mi chiedo perché a me succeda tutto questo. Nessuna risposta... Soffro in silenzio per non far preoccupare mamma, a volte litighiamo pure, proprio perché io sto in silenzio. Vado a scuola, ma i miei compagni non mi considerano veramente una di loro e questo mi fa molto male. Se sono qui, non è per mia scelta, ma è per il mio futuro. Quando mi guardano con freddezza, mi sento triste. Se a

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scuola prendo un voto basso, mi sento sfiduciata, perché mi sto impegnando tanto, nonostante le mille difficoltà che incontro a studiare in una lingua diversa dalla mia. A volte, di notte, penso a come sarebbe stata la mia vita, se fossi rimasta in Romania. Un'esperienza così dolorosa è arrivata troppo presto, però questa sofferenza mi aiuta a crescere e a distinguere il bene e il male. Ho imparato anche che nella vita dobbiamo perdonare chiunque sbagli. Perdonare aiuta a stare bene con se stessi.

Ana Maria Lazarescu Classe 2E opzione Scienze applicate

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UNA STORIA COME TANTE

“Caro Gabriele, speriamo che al porto di Lampedusa vendano i francobolli così riuscirò a spedirti questa lettera. Sai, in Siria non sono riuscito a trovare nemmeno quelli. Questo è il settimo giorno di navigazione che affrontiamo e ho finito le provviste. Ci hanno detto che domani attraccheremo, ma non ci credo più di tanto. Hassad sta già sentendo il peso di questo viaggio. Secondo me, è troppo piccolo per affrontarlo adesso, ma mia madre ha insistito tanto. E non posso darle torto. In Siria c’è la guerra e sono migliaia i bambini morti fino ad ora sotto i bombardamenti. Così sono tornato nel mio paese a prendere il mio fratellino e lo sto portando via dal pericolo e dal conflitto. Il mare è cupo e tetro di notte e lascia spazio ai nostri incubi peggiori. Siamo in trecentoventi su questo barcone. Ho sentito parlare di queste traversate nel Mediterraneo e so che sono sempre in molti a morire. La prima volta che mi sono imbarcato su una di queste “scialuppe per la salvezza” ero piccolissimo e non posso ricordare. Mio zio mi portò con sé e fece in modo che io avessi una vita migliore di quella che mi riservava la Siria. Così divenni un italiano. Non l’avevo mai conosciuto Hassad, sai? L’ho visto due settimane fa per la prima volta. È molto sveglio e attento e ho paura che comprenda fin troppo bene quello che sta accadendo. E se non dovessimo farcela? E se questa barca non arrivasse mai a destinazione? Non voglio neanche pensarci, ma ho paura. Dov’è il mio Virgilio? Dov’è colui pronto ad aiutarmi e a guidarmi verso la strada della salvezza assicurata? È proprio come il viaggio di Dante nell’oltretomba. Anch’io ho intrapreso questo cammino per arrivare ad una vita migliore, ma Dante ha avuto un lieto fine assicurato. Ci mancherebbe, avrebbe mai potuto uccidersi da solo? Era lui che scriveva! Io invece non so come andrà a finire. Mi manchi Gabriele, mi manca la mia ragazza, la scuola, perfino la prof di italiano! Almeno lei sa coinvolgermi nelle sue lezioni e quando ci legge la Divina Commedia mi fa vagare con la mente in mondi fantastici. Lo so, sto dicendo troppe cose tutte insieme, ma è la paura che mi fa sparlare. Ci hanno detto che saremo sulla spiaggia italiana tra qualche ora, ma il vento si fa sempre più forte e il barcone ondeggia pericolosamente. Se qualcuno cade in mare è spacciato, non ci si ferma ad aiutarlo. Hassad si è accoccolato sulla mia spalla e si è addormentato. Spero davvero che ce la faremo, perché non vedo l’ora di essere a casa. Sabato il portiere lo faccio

______________________ Istituto d’Istruzione Superiore E. Mattei - Vasto ______________________

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io contro la 4aA Chimica perché, se in porta ci mettete Lorenzo, perdiamo di sicuro. Non vedo l’ora di essere lì con

te. Ti abbraccio forte e che Dio ci aiuti.Tuo Nouredine”

Questa lettera è stata ritrovata in tasca ad un bambino, unico sopravvissuto all’ennesima strage di migranti. Pare si chiami Hassad e non capisce l’italiano.

Francesca Cimini, Sonia Camelia Rus Classe 3A LSA

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IL BEL PAESE

In Italia abbiamo un territorio di altissimo valore naturalistico, storico e culturale che però non sfruttiamo nel migliore dei modi anzi, come ho fatto io, Don Peppino Vesuviano, usiamo come discarica. Nato a Napoli nel lontano ’56, ho vissuto fin da piccolo nei vicoli di questa bellissima città; non sono andato a scuola, e, da poco maggiorenne, avevo compiuto già due omicidi. Figlio di Enzo Vesuviano, ero un predestinato della malavita, ma non mi sarei mai aspettato una storia del genere. A ventidue anni ero nella criminalità organizzata fino al collo, e non potevo più uscirne. Il traffico della droga lo controllavamo noi, anche le elezioni , le uccisioni su richiesta e la prostituzione. Fino a quel momento eravamo dei malavitosi di un certo livello, rispettati e temuti, però nel giugno dell'86 fui contattato da Gigi o'Milanese, famoso imprenditore del Nord che gestiva una centrale nucleare in Svizzera. Mi chiese di smaltire rifiuti tossici per conto suo ad un prezzo che faceva guadagnare me e risparmiare lui perché, per smaltirli legalmente, avrebbe dovuto sborsare sei volte di più. Attirato dalla quantità dei soldi in ballo accettai. Se non ricordo male la prima volta era un sabato quando a Napoli arrivarono quasi una trentina di camion carichi di rifiuti tossici. Nessuno ci avrebbe più fermato: avevano l’appoggio di autorità locali, gente comune, poliziotti e carabinieri fino a persone che rivestivano alte cariche, come ministri ecc. Tutti corrotti che ricevevano la loro mazzetta in cambio di protezione e di silenzio. Intanto che le forze dell'ordine arrestavano qualche delinquente da quattro soldi, noi ci arricchivamo con il traffico di rifiuti senza pensare alle conseguenze. Ricordo bene quando nascondemmo a 18 metri di profondità sotto la spiaggia rifiuti altamente tossici: scarti di piombo, stagno e uranio. Dietro il cimitero, nella zona sud di Napoli, sono nascosti rifiuti di tipo ospedaliero altamente pericolosi e, purtroppo, in superficie vengono coltivati ortaggi che poi arrivano sulle nostre tavole contaminati. Il risultato è che dalle mie parti negli ultimi anni la percentuale di morti per cancro è aumentata notevolmente. Oggi sono collaboratore di giustizia: cerco di riparare ai danni che ho arrecato con la mia attività criminosa aiutando le forze dell'ordine a individuare i siti contaminati per provvedere alla loro bonifica. Purtroppo questa operazione richiede tempi lunghi e costi elevatissimi e intanto la gente continua a morire.

Desiati Stefano Classe 1A Trasporti e Logistica

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INSIDIE DELLA RETE

Quel pomeriggio Mara non era uscita perché fuori pioveva; aveva finito di fare i compiti e di leggere quei pochi capitoli del libro che aveva ricevuto come regalo dai nonni a Natale. Accese il computer e andò su Youtube, mise la sua canzone preferita,” Beautiful” di Eminem, poi aprì un’altra pagina, quella di Facebook e iniziò a leggere le varie notifiche.Vide una richiesta di amicizia da parte di un ragazzo di nome Luigi. La ragazza stava chattando con dei suoi amici, le si aprì un’altra finestra, era Luigi che si presentò dicendo di essere di Roma e di avere 20 anni. Lei, invece, era di Latina e aveva quasi 16 anni; i due parlarono dei loro hobby. Mara gli disse che andava a scuola, faceva il V Ginnasio e lui, invece, lavorava come magazziniere in un centro commerciale. I due si scrivevano tutti i giorni su FB, poi Luigi chiese il numero di Mara, dicendo che la voleva chiamare per sentire la sua voce e messaggiare un po’ con lei. Era un mercoledì, Luigi chiese a Mara di incontrarsi e le disse che sarebbe andato a Latina da lei. La ragazza accettò subito, anche perché aveva iniziato a provare qualcosa per questo ragazzo misterioso, molto più maturo dei suoi coetanei e anche di altri ragazzi ventenni. L’atteso giorno arrivò: Mara era ansiosa, non sapeva cosa mettersi, aveva paura di dire o fare qualcosa di sbagliato. Uscì di casa con un jeans, una maglietta e delle ballerine, trucco quasi inesistente e capelli raccolti in una coda alta . Arrivò al parco in anticipo e si sedette su una panchina. Le si avvicinò un uomo sui 45/50 anni, capelli brizzolati che le disse: “Ciao Mara, sono Luigi”. Spaventata, la ragazza si alzò velocemente da dove era seduta e iniziò a correre in lacrime verso casa. I suoi genitori le chiesero cosa le fosse successo, lei prese fiato e coraggio e raccontò tutto.I due si arrabbiarono con la figlia ma allo stesso tempo andarono in Caserma per denunciare l’uomo. I Carabinieri passarono il caso agli uomini della Polizia Postale perche facessero indagini sull’uomo. Dopo varie ricerche si scoprì la sua identità: non si chiamava Lungi ma Alberto e aveva adescato anche altre ragazze coetanee o più piccole di Mara.Le altre ragazze furono contattate dalla Postale e confermarono tutto. Le forze dell’ordine decisero di arrestare l’uomo. Chiesero a Elisa, una delle ragazze coinvolte, di fare da esca. Elisa si incontrò con Alberto nel parco di un paesino vicino Roma e, mentre i due si salutavano, sbucarono dal nulla i Carabinieri che arrestarono l’uomo con l’accusa di pedofilia e creazione di indentità falsa in un social.

Grazia Pia De Martino Classe 2 Trasporti e Logistica

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QUEL TRATTO DI MARE

Caro amico,forse sembrerà un po’ stupido, ma sto scrivendo proprio a te che non ci sei più. Te ne sei andato insieme ad altre 365 persone in quel mare, il mare della speranza. Quel mare di chi non ha nulla e riesce a sperare più di noi che ormai abbiamo tutto. Sei partito dal tuo paese, povero; hai lasciato il tuo mondo con tanti sogni. Non sei mai arrivato su quella terraferma che tanto hai desiderato di poter toccare. I tuoi sogni sono andati via giù in quel mare, grande, profondo e tanto azzurro da risucchiare il tuo corpo, che era in quel barcone insieme a tanti altri. Corpi schiacciati, doloranti, assetati, affamati, curiosi, impauriti, emozionati e chissà cos’altro… nessuno più può saperlo. Non so quali fossero le tue aspettative e cosa pensavi di poter trovare in Europa. Magari volevi fare il calciatore, sognavi di diventare come Del Piero o, più semplicemente, volevi una vita come la mia. Cercavi il diritto alla vita. I tuoi castelli in aria, i tuoi pensieri, i tuoi amori sono naufragati miseramente. Ora i grandi si affannano a dire che “la vita è un diritto di tutti”. Ma loro dove erano quando rischiavi di essere colpito al cuore da uno di quei proiettili che nel tuo paese cadono a pioggia? Dove erano quando la tua famiglia ha venduto tutto per pagarti un biglietto “per il tuo futuro”? Dove erano quando te ne stavi andando, anche se eri a soli 500 metri dalla salvezza? Te lo dico io: non c’erano e forse mai ci saranno, perché per tanti di loro sei uno dei “neri” che è affondato. Uno dei tanti…

Classe 1B LSA

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DIPENDENZE

E’ da quando avevo 14 anni che conosco la droga e il suo mondo.Già da allora ne ero affascinata o, per lo meno, abbastanza incuriosita. Un giorno conobbi un ragazzo che era uno dei più grandi spacciatori di droga della mia città; aveva solo pochi anni più di me. Lui mi affascinava cosi tanto con i suoi modi da ragazzo duro e convinto di sé che me ne innamorai.Appena iniziammo ad uscire assieme, lui mi convinse a fumare la cannabis e da lì a poco iniziai a farne uso abitualmente, poi tutti i giorni ed infine iniziai a fumare la cannabis come fosse una semplice sigaretta.Mi feci trascinare in qualcosa di più grande di me perché iniziai a usare altre sostanze più pesanti da cui ero totalmente sovrastata e dominata. Mi sentivo libera e felice e sembrava che niente e nessuno potesse fermarmi, ma mi sbagliavo perché quella era solo apparenza. Ero dimagrita di 15 kg, sembravo un cadavere, ma io non me ne accorgevo e pensavo di stare bene. La mia famiglia nonostante tutto cercava di aiutarmi, di starmi accanto ma io non capivo e respingevo ogni tentativo di aiuto, fino a che i miei genitori non decisero di portarmi in un centro di recupero per tossicodipendenti.Tutto ciò accadde perché ormai ero diventata incontrollabile e avevo superato ogni limite. Accettai di andare a condizione che venisse anche il mio ragazzo altrimenti sarei scappata perché lui ormai faceva parte della mia vita.Mi portarono in un centro in Calabria, in mezzo al nulla, in un posto isolato ma ideale per la mia condizione; dico cosi perché in quei due anni passati lì sono riuscita a sconfiggere la mia dipendenza dalla droga e a diventare una persona migliore; ho finalmente capito il vero significato della famiglia, quanto sia importante averne una che tiene a te e ti stia sempre accanto come ha fatto la mia.Oggi, dopo 9 anni, sto assieme allo stesso ragazzo e ci amiamo in modo più consapevole e maturo. Ho un lavoro, abito da sola e non capisco il motivo che mi spinse a fare quegli errori così assurdi e stupidi, perché la vita è una sola e va vissuta, non sprecata.

D’Ovidio Paolo, Enzo Classe 2A Trasporti e Logistica

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BULLO NON È BELLO

Frequentavo le scuole medie quando diventai vittima di alcuni episodi di bullismo. Rispetto ad allora la situazione oggi è più tranquilla. Ricordo che era il 19 aprile del 2006 quando alcuni miei “amici” scherzando mi iniziarono a menare ma successivamente la situazione si complicò. In mezzo a loro non capivo niente, erano in 5 che mi circondavano e ognuno di loro mi prendeva a calci, ero piccolo rispetto ai miei compagni di classe e di corporatura poco sviluppato. Improvvisamente da dietro, in modo che io non me ne accorgessi, mi marchiarono la pelle con un pezzo di ferro arroventato. A quel punto iniziai ad urlare e il vicepreside corse immediatamente in classe mia, fu chiamata l’ambulanza e mi portarono d’urgenza in ospedale. Riportai una gravissima ustione sul braccio e i medici mi dissero che avrei dovuto subire un’operazione di chirurgia.I miei genitori denunciarono i 5 compagni che mi avevano aggredito senza motivo, semplicemente perché ero più piccolo. Nel fare una cosa del genere provarono solamente gusto a mostrare la loro forza e apparire superiori rispetto ad altri. Dopo la denuncia le cose cambiarono e adesso mi rispettano come tutti gli altri ragazzi.Spero che una situazione del genere non capiterà più e che i ragazzi più prepotenti capiscano che il bullismo non li rende migliori.

Alessio Canosa Classe 2A Trasporti e Logistica

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IL CORAGGIO DI PARLARE

Il bullismo non è una cosa bella; ci sono ragazzi che picchiano bambini e coetanei, prendono in giro di continuo e rompono tutto. Conosco un ragazzo di nome Antonio, un bravo ragazzo che studia e che non da fastidio. Frequenta la classe seconda in una scuola media in cui ci sono due bulli: Massimo e Carmine. Essi prendono in giro i ragazzini e un giorno puntano Antonio che, come ogni mattina, sta andando a scuola; mentre cammina per i corridoi per entrare in classe, i bulli lo prendono, lo portano in bagno, incominciano a dargli schiaffi, gli prendono i soldi e la merenda e gli dicono di non dire niente a nessuno. Finita la scuola, Antonio esce per tornare a casa e mentre cammina sente qualcuno che lo chiama da lontano, si gira e si accorge che sono Massimo e Carmine. Antonio comincia a correre e arriva a casa senza problemi. Il giorno dopo va a scuola con la paura di incontrare i due bulli. Durante la ricreazione esce dall’aula per stare un po’ con i suoi amici ma Carmine lo butta a terra. Antonio torna in classe e quando termina la 5a ora corre per andare a casa. I due bulli gli tendono una trappola, lo prendono e lo picchiano. Questa situazione continua per molto tempo. Un giorno Antonio si fa coraggio e va con la famiglia a denunciare per bullismo questi due ragazzi. Dopo qualche giorno i due bulli cambiano scuola e per Antonio torna la tranquillità.

Giuseppe Castelluccio Classe 1A Meccanica

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IL PICCOLO BADUSH CAPOFAMIGLIA

In Africa negli ultimi anni c’è stato un continuo aumento della povertà che ha causato molti morti, la maggior parte bambini. Quasi a nessuno importa che povere vite muoiano di fame, mentre noi di cibo ne abbiamo in abbondanza e spesso lo gettiamo via.C’è un ragazzo di nome Badush che ha solo 7 anni, vive in Congo e ogni giorno è costretto ad andare a lavorare in miniera per guadagnare un po’ di soldi con cui sfamare la sua famiglia composta da sei persone. Per andare a lavorare si sveglia alle cinque del mattino, percorre sette chilometri a piedi nella Savana e durante il viaggio di ritorno deve prendere anche un po’ d’acqua da una pozza sporca di terra per dissetare la sua famiglia.Questa è la giornata tipo di Badush; anche lui è consapevole di non poter resistere ancora a lungo. Io, quando diventerò grande, vorrei andare lì ad aiutare quelle persone portando loro un po’ di sollievo e a cercare di salvarne qualcuna perché oggi, nel 2014, è impensabile sentire che ci sono paesi super sviluppati e altri dove i bambini sono costretti ancora a vivere in condizioni tanto disagiate.

Nicolas Nanni Classe 1A Meccanica

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SOLITUDINE

Caro diario, anche oggi sono stato alla sala giochi a gettare denaro in quella stupida macchinetta ruba soldi. Ho vent’anni e non so più che fare della mia vita. Non so se la colpa è del gioco o delle droghe che mi hanno consumato l’anima; ormai sono succube di questa dipendenza che mi ha lacerato il corpo e la mente. Ho dimenticato tutto e tutti e non riesco a trovare una via d’uscita. Amici e famiglia mi hanno abbandonato al mio destino; mi evitano, persino mia mamma che, credevo, non mi avrebbe abbandonato mai. La mia vita sta andando in rovina sempre di più, ormai sono sommerso dai debiti, non ho più nessuno, l’unico amico che mi rimane è il mio cane Argo, anche lui stremato da questa situazione.Sento che la mia ora è vicina e vorrei scrivere una lettera ai miei genitori per chiedere loro perdono. Oggi pomeriggio, mentre riflettevo sulla mia triste condizione, hanno bussato alla porta. Era lui, il “Pigro”, che rivoleva i suoi sporchi soldi. E’ entrato con due scagnozzi e ha minacciato di uccidermi se, entro domani, non gli renderò i 5000 euro che mi ha prestato.Caro diario, sono disperato perché io quei soldi non li ho! Dal diario di Tony, trovato morto nella sua abitazione, ucciso, prima ancora che dal “Pigro”, dalla solitudine e dall’indifferenza di tutti.

D’Agnillo Matteo Classe 2A Trasporti e Logistica

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Storie di legalità

Disegni e immagini dei ragazzi*

* Per la scelta della copertina del volume la rete ha indetto un concorso fra gli alunni delle diverse scuole. Pubblichiamo tutte le proposte pervenute,

tra le quali una commissione esterna ha selezionato l'immagine in copertina.

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Istituto Comprensivo Bucchianico

Classe 3Scuola Secondaria di I grado Villamagna

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Convitto Nazionale G.B. Vico

Erika Reale Classe 1CScuola Secondaria di I grado

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Istituto Comprensivo 1

Sofia D’Ambrosio Classe 1DScuola Secondaria di I grado Chiarini - De Lollis

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Istituto Comprensivo 3

Francesca Francone Classe 3AScuola Secondaria di I grado V. Antonelli

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Istituto Comprensivo Fara Filiorum Petri

Giorgia Donatucci Classe 5Scuola Primaria Roccamontepiano

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Istituto Comprensivo G. Galilei

Matteo Gardi Classe 3EScuola Secondaria di I grado

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Istituto d’Istruzione Superiore G. B. Vico

Ludovica Chiavaroli Classe 3BLiceo Classico

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Istituto d’Istruzione Superiore L. di Savoia

Chiara Garzya Classe 4A Liceo delle Scienze Applicate

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Istituto Magistrale I. Gonzaga

Classe 3A Liceo economico-socialeDisegno di Lucia Perafan

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Liceo Scientifico F. Masci

Francesco Schiazza Classe 4C

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Istituto d’Istruzione Superiore E. Mattei

Anna Bracone Classe 3BLiceo delle Scienze Applicate

POSTFAZIONE

RICOMINCIO DA TE

Riflessioni di educazione civile, a margine delle scritture dei ragazzi

Preambolo

È come ritrovarsi in una grande stazione, piena di gente che va, che viene.. che sta. Per un momento, sembra che non ci sia proprio nessuno, si rimane in balia dei propri pensieri, si galleggia sul brusio, sui capelli, sui cappelli.. Esseri lì o altrove, cambia ben poco: tutto il mondo è solo dentro la testa. Poi, ad un tratto, tutta quella umanità intorno si fa presente. Ogni volto prende profilo, ogni parola prende orecchio. È un’immersione. Si rimane quasi senza respiro. L’imbarazzo è enorme: si vorrebbe fuggire, guadagnare l’uscita; ma anche, lasciarsi catturare, farsi coinvolgere. Ecco, proprio così mi son sentito, dopo aver letto e riletto le scritture dei ragazzi.

Quello che era un mondo vuoto e/o estraneo, forse anche minaccioso, ha cominciato a catturare l’interesse, a sollecitare la curiosità, a interrogare e richiamare. Come risuona nelle testoline di questi ragazzi la parola giustizia? E regola? E libertà? Come sempre: si rimane interpellati dalla vita che accade nella vicenda umana. Si tenta di inseguire anche il più tenue bagliore di senso. Sì, di senso. Come esploratori, come pescatori, si è già alla ricerca di “umane comprensioni”. Così, in quella grande stazione, tra tutti i segni che i ragazzi avevano lasciato sui loro fogli, ho cominciato a intravedere qualcosa: era il loro mondo che faceva capolino, rivelando questioni, ragioni, significati, sentimenti, storie ..sensi. Proverò a dirne qualcosa; ma, premetto: tutto ciò che ne dirò non vuole rivelare alcuna verità. Semmai, è il tentativo di intraprendere un dialogo, di aprire conversazioni.

1. La vita etica

Se in questo mondo tondo tutti avessero un cuore grande mai più il male e l’ingiustizia avvolgerebbero tutto in meno di un secondo.

[Mirella]

Inesorabilmente – forse come solo i ragazzi sanno fare – nelle scritture si dà conto e si fa racconto del “bene” e del “male”. Di queste due paroline, un po’ trascurate e/o relegate al solo ambito religioso, di cui, però, le persone non possono fare a meno. Nelle parole di Mirella e in quelle di molti altri ragazzi, eccole che tornano, semplici e difficili, a orientare gli sguardi e curvare i cammini.

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Sfidando la banalità dei luoghi comuni e ribandendo l’urgenza delle persone nel con-venire, le scritture dei ragazzi si prodigano, si affannano, si determinano per smascherare il male ed affermare il bene, rispondendo – insieme – ad una urgenza emotiva e ad un imperativo morale. Ma che bisogno c’è? Cos’altro possiamo dirci noi donne e uomini del XXI secolo, del bene e del male?

Forse per molto, troppo tempo (almeno dai tempi di Socrate) si è inseguita l’impresa di riuscire a distinguere il “vero” dal “falso” (di realizzare una vita epistemica), con la speranza che il possesso della “verità” avrebbe consentito agli uomini di schiudere e risolvere anche la questione etica, del “bene” e del “male”. Ma non è andata così. Anche quando gli uomini sono riusciti a liberarsi da idoli e superstizioni, ad acciuffare scoperte inaudite, a realizzare congegni tecnici incredibili, si è, alla fine, anche dovuto ammettere che, nonostante tutto ciò, gli uomini non sono diventati più buoni e/o meno cattivi. Al più, la scienza è riuscita a dare risposte formidabili, senz’altro “utili”, e tuttavia comunque insufficienti a ricavare anche le altre attese indicazioni su come gli uomini dovessero regolarsi e comportarsi nel rispetto della propria e della vita altrui. Da questa parte della riflessione, la scienza è apparsa sostanzialmente incapace (e secondo alcuni addirittura “dannosa”) a dare dritte sicure perché, alla fine, gli uomini si decidessero per una “vita buona”. Eppure, come dice Mirella, il “male.. può avvolgere tutto, in meno di un secondo”. Può rovinare tutto, anche se pensavamo di sapere tutto. Ma, allora, come è possibile far vincere il bene sul male? Com’è possibile una vita etica?

La vita etica nasce, in un certo senso, come elaborazione della vita biologica. Darwin ha rivelato come gli esseri viventi rispondano innanzitutto all’istinto di sopravvivenza di sé e della propria specie. Cioè, è come se avessero già un “valore”, per il solo fatto di essere viventi: la vita. È questo, infatti, che ogni volta, richiama il vivente a vincere la morte. E quando non può salvare la propria vita individuale, allora prova a salvare almeno quella della specie. In questa originaria propensione, in questo originario istinto, sarebbe custodita, da subito, la distinzione tra la classe dei comportamenti che favorirebbero la vita e la classe dei comportamenti che, invece, la minaccerebbero, favorendo la morte. Gli uomini, poi, crescendo e costruendo un proprio mondo, avrebbero di molto complessificato e sofisticato la distinzione biologica tra “vitale” e “mortale”, fino a formulare concezioni del bene e del male, capaci di comprendere, per un verso, i comportamenti attesi, graditi, desiderati e, per l’altro, i comportamenti evitati, sgraditi, indesiderati.

Per quanto, non di rado, oggi, appaia trascurata, forse per la paura di cadere in facili moralismi, la vita etica è tuttavia indistinguibile dalla vicenda umana. Ogni epoca è stata ed è impegnata a rideterminare una vita etica capace di re-interpretare il biologico richiamo alla vita, nelle sensibilità e nelle mentalità della propria particolare civiltà. È questa re-interpretazione ad essere di fatto la guida capace di indicare le finalità che si vogliono realizzare

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insieme agli itinerari riconosciuti opportuni ed edificanti. La vita etica con-sente di valutare, insieme agli altri, di volta in volta, ciò che è bene e ciò che è male per la vita delle comunità e delle persone, anche se si è molto diversi.

Non parlavamo la loro lingua, ma comunque ci siamo capiti. Siamo gente povera, senza grandi ideali, ma quello che loro stavano affrontando, il fatto che non si arrendevano ha fatto risvegliare in noi quasi un desiderio di rivalsa verso “quelli là”, i tipi del governo che vivevano oltre le montagne, che ci usavano, niente di più. Per loro non eravamo niente, nemmeno delle pedine come i soldati. Volevamo ripagarli per la loro indifferenza, per tutto quello che ci avevano fatto passare azzuffandosi tra di loro senza uno scopo.

[Vispa Nonnetta]

Nelle parole della Vispa Nonnetta, alle prese con le memorie della guerra, appare nitido il comune riferimento ad un’etica capace di far sentire vicine persone molto lontane. Questo frangente consente una “scoperta etica”: si è con l’altro per il semplice fatto che l’altro è un altro, qualcuno con cui si è già da sempre, come in un originario richiamo reciproco. Ed è ancora etico, lo smascheramento di altri che, invece, (“oltre le montagne”) avrebbero tradito l’alterità, presi nei loro loschi giochi del “male”, sempre al servizio dei pochi e dei potenti.

Quasi le fosse gemella, infine, la vita etica richiama la vita estetica. A dirla tutta, i ragazzi rivelano, con estrema lucidità, come la vita buona possa essere anche bella da vivere. Accanto alle fatiche e al dolore che il “buono” qualche volta richiede, si affacciano le dolcezze e le gioie che non di rado quest’ultimo promette e concede. Sì che, insieme a tutte le considerazioni, è possibile riconoscere come i “regimi del male”, le società costrette, le mafie.. infine consentano soltanto esistenze brutte e tristi. Abbruttiscono i luoghi e intristiscono le persone.. come nelle parole di Matteo.

La mafia distrugge tutto il bello della natura.

[Matteo]

2. Simili e diversi

... gli abitanti della cittadina erano obbligati a indossare vestiti grigi e tristi e ad essere tutti uguali senza possibilità di opporsi alla conformità. La città era isolata da tutto, era buia e cupa e i suoi abitanti erano diventati apatici.

[TerzaA]

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Ma come accade la città? Su che cosa si regge? Grazie a quali cure riesce a durare? Facendo appello all’evidenza delle nostre esperienze, si potrebbe dire: sono le donne e gli uomini a fare la città. Meno evidente è, però, la comprensione di come la città, poi, riesca a reggere e a durare. La città è una creatura complicata: ci sono ragioni che la tengono insieme, ma altrettante che la minacciano continuamente. Come i ragazzi della TerzaA, ad esempio, crediamo che non sia possibile far durare una città richiamando ciascuno alla “conformità”.

Il segreto, quasi magico, della tenuta dei gruppi sociali sta proprio nella combinazione tra somiglianze e differenze. Le persone riescono a stare insieme un po’ perché hanno qualcosa in comune (somiglianze) e un po’ perché ciascuno porta con sé una qualche, irriducibile, particolarità (differenza). La stessa combinazione, poi, non risulta mai sancita definitivamente, stabilita una volta per tutte, ma è sempre in costruzione e in trasformazione (..in discussione). Raggiungere un possibile equilibrio, ogni volta, ha dell’incredibile: si tratta di chiedere a ciascuno di essere, nel medesimo momento, simile agli altri, senza rinunciare alle proprie differenze. A tutta prima, la faccenda sembra destinata al sicuro fallimento: ma come puoi chiedermi di essere simile agli altri e tuttavia diverso? Eppure è nient’altro che questo, ciò che accade da millenni, quando proviamo a vivere con gli altri. Infatti, la vita-con-gli-altri è possibile solo se le persone riescono a costruire una composizione praticabile tra due irrinunciabili esigenze: essere come gli altri ed essere se stesse. Se volessimo cercare una soluzione semplice, lineare, logica.. dovremmo sciogliere la contraddizione, ovvero escludere una delle due parti. Potremmo, cioè, chiedere a ciascuno di farsi uguale agli altri. Potremmo, come nel racconto della TerzaA, invocare “conformità”. Ma finiremmo con il sacrificare tutte le indispensabili differenze, quelle stesse che Anna Chiara, riconosce, metaforicamente anche ad una lattina..

Infine passò la spazzatrice che mi portò via come un qualsiasi rottame, in discarica. Da allora fino ad oggi passo i miei giorni, uno uguale all'altro e senza una meta, senza essere utile al mondo. Oramai sono solo un rifiuto, deteriorato e arrugginito e quindi inutilizzabile. Ma le cose sarebbero potute andare diversamente: se fossi stata differenziata sarei stata poi riciclata per creare tante altre nuove lattine, unendomi alle mie sorelle avremmo contribuito a creare un mondo più ecologico, un mondo migliore. Avrei avuto la possibilità di viaggiare in tanti posti diversi, di rinascere in varie forme.

[Anna Chiara]

Oppure, nell’altro verso, potremmo chiedere a ciascuno di coltivare esclusivamente la propria singolarità, diffidando di ogni soluzione comune, astenendosi da ogni progetto comune.. Così, però, finiremmo col sacrificare l’intera storia dell’umanità, che non può non passare dalla biografia di ogni singola persona; non può non nutrirsi

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della ricchezza delle singole ..singolarità. Come ben ci ricordano i ragazzi della Classe Quinta, tentando di riscrivere la storia a partire dai nomi singolari di alcune, grandi “donne”.

Anna Frank, Cleopatra d’Egitto, Teresa. Giovanna d’Arco, Rosa Parks, Ipazia di Alessadria.. donne valorose e coraggiose che hanno contribuito al miglioramento della condizione femminile nella storia.

[Classe Quinta. I.C. Petri]

Insomma, se puntassimo tutto sulle somiglianze, avremmo solo la città, ma senza le persone; mentre se puntassimo tutto sulle differenze, avremmo solo le persone, ma senza una città. E, com’è ormai evidente, non è possibile. Allora non resta che cimentarsi in questa incredibile e infinita impresa di “fare” – insieme – persone e città. La pedagogia e la politica sono le scienze umane che più di altre sono chiamate a trovare, studiare e prefigurare le soluzioni possibili per coniugare il dilemma identità-alterità. Senza andare troppo lontano, però, anche i nostri stessi gesti quotidiani sono chiamati a tessere somiglianze e differenze, proprio perché possono provocare il loro contrario (separazioni e indifferenze), anche inconsapevolmente, come ci ricorda Angelo, a proposito di Giada.

Giada si sentiva brutta e soprattutto sola. Non che le compagne non le volessero bene, però la trattavano come una bambola, un cucciolo da coccolare, la sorellina minore. Ma non la invitavano mai ad uscire, alle feste, al cinema. E la escludevano dai loro discorsi, soprattutto quando si parlava di ragazzi.

[Angelo]

3. Il sapere del negativo

Come può accadere ai singoli, così può accadere alle comunità di diventare cattive. E divengono cattive quando non riconoscono e combattono l’alterità interna e/o esterna. Quando cioè tendono a divenire comunità esclusive, intolleranti al proprio interno e chiuse all’esterno. Quando, ancora, difendono il “particulare” di qualcuno o di un gruppo, a danno di tutti gli altri. Si potrebbe dire: è la storia di sempre, dell’eterno conflitto tra la comunità cattiva e la comunità buona. È la storia che ritorna nelle invasioni barbariche o nelle mire espansionistiche di Carlo Magno; nelle guerre di religione o nei totalitarismi del Novecento.. O, ancora, nelle mafie che sono state o in quelle che saranno, come nel racconto di Marco.

Una maledetta sera, mentre bighellonavano lungo il bacino di carenaggio sull'East River, videro Cico, detto “Pinza” per via delle sue lunghe chele

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cinematiche, terminare un androide che aveva avuto la sfortuna di scarseggiare a monete di rame per pagare il pizzo sull’elettrizzazione, condizione necessaria per l’esistenza di ogni Kinodromo. Pensando che l’assassino non li avesse notati, Charlie e Mike corsero immediatamente verso la più vicina police station per denunciare l’atroce delitto [..] Grazie alla denuncia di Charlie e Mike, Don Mark robo-padrino fu imprigionato e rinviato a giudizio per omicidio. Il giorno del processo la sala delle udienze era colma di automi; l’efferato mostro di metallo era finito sul banco degli imputati, la sua carriera di estortore era alla fine. Charlie salì sicuro sul pulpito dei testimoni e senza esitazione cominciò a raccontare i dettagli della violenta terminazione dell’androide taglieggiato...

[Marco]

Com’è evidente, Marco ci racconta, con molta efficacia, una “storia vecchia” ...con parole nuove: il ritorno della violenza, della prepotenza in una situazione fantascientifica. L’effetto è assicurato, ma, ancor più ci aiuta a pensare che ...coltivare la memoria è coltivare il futuro. Marco ci racconta che ciò che è stato, può tornare ad accadere, anche sotto nuove sembianze. Si sa: il passato transita nel presente e, ancora, nel futuro. E, tuttavia, non linearmente. Gli uomini, dal canto loro, in questi transiti, giocano la loro parte, fosse anche quella, solo apparentemente più trascurabile, di coloro che “sanno”. Si dirà: ma cosa c’entra il sapere? Innanzitutto, serve a decidere. Cioè, è proprio il lavoro di costruzione e cura del patrimonio di conoscenze legate a ciò che è accaduto, che può consentire agli uomini di comprendere cos’altro potrà accadere. Non esistono altri depositi di conoscenza circa chi sia l’uomo e chi siano gli uomini, che non stiano già in ciò che raccontano le biografie e le storie. E allora, proprio la memoria dei totalitarismi, delle mafie.. deve introdurci nella pre-occupazione che gli uomini potranno ancora far accadere “comunità cattive”, che, forse, già adesso le stanno costruendo. E, allora, se saremo tra coloro che sapevano e hanno costruito ugualmente “comunità cattive”, dovremo rispondere della cattiveria prodotta; se saremo tra coloro che non sapevano ma hanno partecipato, dovremo comunque rispondere della cattiveria prodotta, perché ormai non potevamo non sapere; se, infine, saremo tra coloro che soltanto sapevano ma che non avrebbero partecipato, dovremo, ancora, rispondere della cattiveria prodotta, perché pur sapendo non l’abbiamo impedita.

Ecco che il racconto di Marco, come l’accorato richiamo della PrimaB (più giù), inchiodano alle responsabilità che nessuna ignoranza riuscirà più nascondere, ora che il lavoro della memoria è cominciato e che saremo chiamati a rispondere non solo del male, ma anche di averlo trascurato.

Ma loro dove erano quando rischiavi di essere colpito al cuore da uno di quei proiettili che nel tuo paese cadono a pioggia? Dove erano quando la tua famiglia ha venduto tutto per pagarti un biglietto “per il tuo futuro”? Dove erano

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quando te ne stavi andando, anche se eri a soli 500 metri dalla salvezza? Te lo dico io: non c’erano e forse mai ci saranno, perché per tanti di loro sei uno dei “neri” che è affondato. Uno dei tanti…

[PrimaB]

4. Le regole e l’autorità

Nel gioco del male si è costretti a sacrificare. Nel gioco del bene si è disposti a sacrificare. Nel gioco del male il sacrificio è l’esito di un sopruso, di una prepotenza, di un’ingiustizia. Nel gioco del bene il sacrificio è l’esito di un dono, di una comprensione, di giustizia. Come funzionano, questi giochi? Si sa, ogni gioco ha le sue regole. Ma, appunto, le “sue”. Così nel gioco del bene le regole devono essere buone, mentre saranno cattive nel gioco del male. Per certi versi, non esiste un mondo senza regole. Si dirà: ma allora, Alice sbaglia?

...un mondo senza regole: ladri, criminali, prepotenti e nessun rispetto..

[Alice]

Non proprio, se leggiamo anche dietro le parole. Ciò che intende dire Alice, infatti, è che in assenza di regole gli uomini, quasi immediatamente, ne costituiscono di nuove. E se le nuove regole vengono formulate sbrigativamente e senza il confronto con i molti, è molto facile che alla fine prevalgano le regole “cattive”, le regole che favoriscono pochi e sfavoriscono molti. Pertanto, Alice ha senz’altro ragione nell’affermare che in un mondo senza regole (..buone) finirebbero per vincere soltanto i prepotenti. La connessione è illuminante: retroflessivamente consente di coniugare le regole buone con il “rispetto”, restituendo all’elemento materiale (regola) la profondità del volto dell’altro (rispetto). È questa la via per l’avvento della “giustizia”, della legalità, che non vale come semplice “ordine”, ma come avvento dell’altro, degli altri. Come chiarisce efficacemente Alessandro.

La legalità è molto importante: in famiglia significa fratellanza, nelle leggi significa uguaglianza, nel mondo significa accoglienza.

[Alessandro]

In tutto questo si intravede, però, un problema, di non facile soluzione. Perché si possa realizzare il gioco del bene, occorre che si stabiliscano le regole buone e che si facciano rispettare. Sì, è necessario che, dopo il consenso, le regole abbiano una loro forza evidente di incidere nel gioco della convivenza ed abbiano un altrettanto riconoscibile sistema di controllo. Perché ciò accada, occorre che qualcuno, anche materialmente, queste “regole” le lavori, cioè le sancisca e le presidi. Insomma, occorre che a qualcuno venga conferito questo compito, questa competenza. Il margine di questa responsabilità è ciò che generalmente chiamiamo “autorità”. Chi ne risulta

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investito, è chiamato ad esercitarla per determinare le regole e per farle rispettare. Il suo è un lavoro difficile, giacché, spesso, le regole sono tanto invocate, quanto detestate (invocate, quando ci difendono; detestate, quando ci limitano). Sì che gli uomini, non di rado, tentano di fuggire l’autorità; così come, non di rado, si ritrovano a cercarla..

Autorità: “Cosa cerchi ragazzo? Cosa ti ha portato da queste parti?” Ragazzo: “Sono giunto fin qui dopo aver errato per il mondo alla ricerca di una soluzione alla grande confusione in cui vivono gli uomini del mio paese.”Autorità: “Sei arrivato nel luogo giusto, io posso risolvere il tuo problema perché sono colei che regola la vita tra gli uomini aiutandoli a distinguere il bene dal male. Io sono: L’Autorità.”

[SecondaA]

Quando, finalmente, gli uomini raggiungono un qualche equilibrio regolativo, e prendono a giocare il “gioco del bene”, ciascuno partecipa alla costruzione della città. In questo caso, riconoscere l’autorità non significa sottomettersi, ma unirsi agli altri in un progetto di crescita comune. A questo serve l’autorità e a niente altro: a liberarci dall’arbitrio, a sollevarci dalla confusione, a consegnarci gli uni agli altri.

5. Sono ciò che imparo

Il bene, la giustizia, la legalità, le regole buone, il riconoscimento dell’autorità.. non appartengono al corredo naturale degli uomini. Semmai prendono forma e contenuto nei percorsi di crescita delle persone. Ma, anche quest’ultimi, non si intraprendono per caso. Perché i soggetti possano crescere nelle loro singolarità e con le loro comunità, è necessario che l’educazione, informale e formale, faccia il suo lavoro, offrendo agli uomini alcune possibilità di essere. Come dire: il bene, la giustizia, la legalità.. si imparano. A loro volta, poi, i soggetti divengono parte di ciò che hanno appresso. Divengono, cioè, essi stessi bene, giustizia, legalità..

I percorsi di crescita possono essere segnati da pratiche molto diverse (didattiche). Ad esempio, si può ricorrere a “massime” ripetute più volte, sì da poter essere assimilate, come accadeva nelle scuole dell’antico Egitto e come, sembra suggerire la stessa Sofia, appellandosi ad un principio universalmente riconosciuto.

Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te stesso!

[Sofia]

Per quanto appaiono formule troppo sintetiche, le massime hanno il bisogno di dispiegarsi, di essere rilette con la pazienza della riflessione. La massima proposta da Sofia invita, così, ad una prima ricerca e ad un primo 168

apprendimento, cioè: fare appello all’iniziale criterio di distinzione tra bene e male che sarebbe inscritto dentro ciascuno di noi. Che è come dire: le massime, da sole, non bastano.

Altre didattiche, infatti, puntano ad innescare un certo ragionare, necessario per scoprire le ragioni del bene e per far sì che, alla fine, sulle loro basi, si scelga, si decida, per quel che possibile, il mondo che sarà. Le ragioni, come si è detto, non solo “economiche”, il bene, infatti, non solo conviene a tutti, ma risponde alle ragioni più intime, etiche, che fanno sì, che si possa essere persone, solo a partire dagli altri.

Altre didattiche, ancora, intendono costruire esperienze presso cui provare a scoprire i sensi del bene, il loro piacere e la loro gradevolezza; tanto da preferire il bene anche perché è in grado di procurare benessere agli uomini, emotivamente e sentimentalmente. Non ci si dimentichi, in proposito, che simili apprendimenti, vanno accompagnati con una certa determinazione, esplicitando le scelte e manifestando le convinzioni, sì da garantire proposte educative “interessanti”.

Aggiungiamo: queste riflessioni e indicazioni, si fanno – se è possibile – anche più stringenti, quando si è alle prese con quella particolare educazione dedicata al vivere comune, l’educazione civile. Nel vivo di questo impegno, infatti, occorre avere contezza che altre educazioni stanno lavorando, con finalità, magari, molto distanti da quelle previste dall’educazione civile. Anzi, talvolta, addirittura, potremmo scoprire che all’opera c’erano anche educazioni ingaggiate in direzione opposta, per instaurare i giochi del male, i giochi del privilegio, i giochi della violenza. Come ben sa anche Sara mentre ci regala le sue righe di racconto.

Avevo quattordici anni e, secondo le leggi del clan, ero abbastanza grande per entrare a far parte della famiglia. Entrammo in un palazzo, ricordo il puzzo di chiuso, di schiavitù e di fatica. ...Da quel momento era iniziato un nuovo capitolo della mia vita. Facevo parte della famiglia, non ero più un bambino ma un uomo d’onore.

[Sara]

Si ascoltino, infine, le parole di Federica e Francesca. La loro lucida sensibilità ci aiuta a intravedere e a intraprendere un cammino.

Ed è in queste notti che il silenzioè interrotto dal ruggito del coraggioche riemerge dal profondo dell'animae sospinge al combattimento.È un senso di ribellione perché lì fuori tutto può cambiare,

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basta volerlo, volerlo fortemente.Grazie Paolo, grazie Giovanni.

[Federica e Francesca]

In queste parole ritorna, con una certa forza, la convinzione che le “idee”, per quanto belle, da sole non bastino; che il mondo, le persone attendono gesti, comportamenti, scelte, capaci di tradurre sentimenti e intenzioni. Il senso profondo di ciò che Federica e Francesca ci dicono, e che, crediamo, nutra il cuore stesso dell’educazione civile, ci chiama a percorrere un ulteriore cammino di crescita. Per questa ulteriore via, la giustizia ha bisogno di imparare il coraggio; la dignità ha bisogno di imparare la fiducia; la libertà ha bisogno di imparare – insieme – il sacrificio e il desiderio… e noi tutti abbiamo bisogno di imparare gli uni dagli altri.

Mario Schermi*

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*Formatore - Funzionario della professionalità pedagogica. Istituto Centrale di Formazione - Dipartimento Giustizia Minorile Ministero della GiustiziaResponsabile della LUdE, Libera Università dell'Educare

INDICE

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Introduzione a cura della Prefettura di Chieti e della

Fondazione Cassa di Risparmio di Chieti

Prefazione di Michele Gagliardo

Istituto Comprensivo Bucchianico

Convitto Nazionale G. B. Vico - Chieti

Istituto Comprensivo 1 - Chieti

Istituto Comprensivo 3 - Chieti

Istituto Comprensivo 4 - Chieti

Istituto Comprensivo Fara F. Petri

Istituto Comprensivo M. Buonarroti - Ripa Teatina

Istituto Comprensivo G. Galilei - S. Giovanni Teatino

Istituto d’Istruzione Superiore G. B. Vico - Chieti

Istituto d’Istruzione Superiore L. di Savoia - Chieti

Istituto Magistrale I. Gonzaga - Chieti

ITCG Galiani-De Sterlich - Chieti

Liceo Scientifico F. Masci - Chieti

Istituto d’Istruzione Superiore E. Mattei - Vasto

Disegni e immagini dei ragazzi

Postfazione di Mario Schermi

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Percorsi di legalità è una rete costituita da quattordici scuole di ogni ordine e grado della Provincia di Chieti. Nata nel 2013 in collaborazione con la Prefettura di Chieti e con Libera Formazione (settore che si occupa della formazione�  per�  l’Associazione�  nazionale�  “Libera.�  Nomi�  e�  numeri�  contro�  le�  mafie”),�  la�  Rete�  persegue�  la�  finalità�  di realizzare esperienze condivise di educazione civile e di promuovere pratiche di educazione pubblica che orientino�  �  l’azione�  pedagogica�  nella�  direzione�  della�  cittadinanza�  attiva,�  della�  solidarietà�  sociale�  e�  della�  giustizia.�  Percorsi di legalità investe nella formazione culturale degli insegnanti e sperimenta nuove strategie nel campo metodologico�  e�  didattico�  per�  sostenere�  i�  giovani�  nel�  cammino�  di�  crescita�  umana,�  personale�  e�  sociale.�  �  L’�  educazione�  civile�  non�  è�  l’insegnamento�  di�  �  un�  sapere�  specifico,�  è,�  piuttosto,�  �  la�  pratica�  della�  legalità�  che�  aspira�  al�  cambiamento,�  alla�  speranza�  di�  garantire�  la�  libertà�  e�  la�  dignità�  di�  ogni�  vita�  umana,�  a�  saldare�  la�  frattura�  �  tra�  privato�  e�  pubblico,�  �  a�  restituire�  ai�  giovani�  il�  senso�  della�  crescita�  della�  persona�  nell’orizzonte�  della�  città�  e�  della�  convivenza.�  L’azione�  pedagogica�  di�  educazione�  civile�  �  restituisce�  valore�  all’esperienza,�  determinando�  l’apertura�  della�  Scuola�  verso�  le�  questioni�  del�  mondo,�  verso�  gli�  episodi�  di�  micro/macro�  illegalità�  che�  “toccano”�  le�  vite�  dei�  ragazzi,�  verso�  le storie che tanto hanno da insegnare. Il libro Storie di legalità �  costituisce�  il�  frutto�  di�  un�  percorso�  pedagogico�  di�  narrazione�  civile�  condotto�  dalla�  Rete�  nell’anno scolastico 2013-14.La�  pratica�  della�  narrazione�  civile�  fa�  dialogare�  i�  giovani�  con�  se�  stessi,�  con�  il�  mondo,�  con�  la�  storia�  e�  con�  il�  futuro.�  Il�  �  valore�  pedagogico�  �  della�  narrazione�  civile�  sta�  proprio�  nel�  raccontare,�  attraverso�  le�  storie,�  le�  idee�  di�  società,�  di�  uomo,�  di�  città�  verso�   le�  quali�  orientare�   �   le�  vite�  dei�   ragazzi,�   in�  piena�  aderenza�  ai�  principi�   irrinunciabili�  della�  Costituzione Italiana. Le�  storie�  della�  raccolta�  si�  ispirano�  alle�  questioni�  sociali�  del�  nostro�  tempo:�  integrazione,�  immigrazione,�  rispetto�  del�  femminile,�  pari�  opportunità,�  Costituzione,�  �  ambiente,�  bullismo,�  memoria,�  uso�  responsabile�  delle�  tecnologie�  di�  rete,�  autorità�  e�  libertà.�  Tutte le scritture esprimono la tensione emotiva dei giovani e con essa la visione di uno sguardo sul mondo che aspira�  alla�  giustizia,�  all’uguaglianza,�  al�  rispetto�  della�  dignità�  umana,�  alla�  bellezza.

I docenti della rete

Percorsi di legalità è una rete costituita da quattordici scuole di ogni ordine e grado della Provincia di Chieti. Nata nel 2013 in collaborazione con la Prefettura di Chieti e con Libera Formazione (settore che si occupa della formazione per l’Associazione nazionale “Libera. Nomi e numeri contro le mafie”),�  la�  Rete�  persegue�  la�  finalità�  di�  realizzare�  esperienze condivise di educazione civile e di promuovere pratiche di educazione pubblica che orientino l’azione pedagogica nella direzione della�  cittadinanza�  attiva,�  della�  solidarietà�  sociale�  e della giustizia. Percorsi di legalità investe nella formazione culturale degli insegnanti e sperimenta nuove strategie nel campo metodologico e didattico per sostenere i giovani nel cammino di crescita umana,�  personale�  e�  sociale.�  �  L’ educazione civile non è l’insegnamento di�   �   un�   sapere�   specifico,�   è,�   piuttosto,�   �   la�   pratica�  della�   legalità�   che�   aspira�   al�   cambiamento,�   alla�  speranza di garantire la libertà e la dignità di ogni�  vita�  umana,�  a�  saldare�  la�  frattura�  �  tra�  privato�  e�  pubblico,�  �  a�  restituire�  ai�  giovani�  il�  senso�  della�  crescita della persona nell’orizzonte della città e della convivenza. L’azione pedagogica di educazione civile restituisce�   valore�   all’esperienza,�   determinando�  l’apertura della Scuola verso le questioni del mondo,�  verso�  gli�  episodi�  di�  micro/macro�  illegalità�  che�  “toccano”�  le�  vite�  dei�  ragazzi,�  verso�  le�  storie�  che tanto hanno da insegnare.

Il libro Storie di legalità costituisce il frutto di un percorso pedagogico di narrazione civile condotto dalla�  Rete�  nell’anno�  scolastico�  2013-­14.La pratica della narrazione civile fa dialogare i�   giovani�   con�   se�   stessi,�   con�   il�   mondo,�   con�   la�  storia e con il futuro. Il valore pedagogico della narrazione�   civile�   sta�   proprio�   nel�   raccontare,�  attraverso�  le�  storie,�  le�  idee�  di�  società,�  di�  uomo,�  di�  città�  verso�  le�  quali�  orientare�  �  le�  vite�  dei�  ragazzi,�  in piena aderenza ai principi irrinunciabili della Costituzione Italiana. Le storie della raccolta si ispirano alle questioni sociali�   del�   nostro�   tempo:�   integrazione,�  immigrazione,�   rispetto�   del�   femminile,�   pari�  opportunità,�   Costituzione,�   �   ambiente,�   bullismo,�  memoria,�   uso�   responsabile�   delle�   tecnologie�   di�  rete,�  autorità�  e�  libertà.�  Tutte le scritture esprimono la tensione emotiva dei giovani e con essa la visione di uno sguardo sul mondo�  che�  aspira�  alla�  giustizia,�  all’uguaglianza,�  al�  rispetto�  della�  dignità�  umana,�  alla�  bellezza.

I docenti della rete

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Storie� di� legalità� � � � � � a� cura� della� Rete� di� scuole� “Percorsi� di� Legalità”

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Rete� di� Scuole� della� Provincia� di� Chieti

Istituto ComprensivoBUCCHIANICO

Le� scuole� della� rete

Prefettura di Chieti

I.I.S. “LUIGI DI SAVOIA” - CHIETI