Storia&Storie SCHIZZI verbali · 2017-12-21 · pianista rumeno, uscito or non è molto dalla...

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62 SCHIZZI verbali Rileggere il '900 alla luce delle pagine sulla musica di Alberto Savinio, artista onnicomprensivo. Scrittore, pittore, compositore e libero pensatore di Giovanni Gavazzeni Storia&Storie U ditorio non soverchiamente fitto domenica scorsa nella sala dell’Adriano, per vedere il maestro Bernardino Molinari, dopo un breve spazio di tempo vuoto di sé, risalire con la sua nota agilità di mustelide in tait il podio direttoriale». Anche nell’attacco di un pezzo di “servizio” come la recensione di un concerto, l’artista onnicomprensivo Alberto Savinio (1891-1952) rivela i suoi imprevedibili estri scrittori e di libero pensatore. Dare, nel marzo del ’41, a colui che guidava da trent’anni l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, del “mustelide in tait” rivela libertà di pensiero in tempi poco propensi all’ironia. (Il dizionario Treccani ricorda che i Mustelidi sono «carnivori di medie e piccole dimensioni, dal pelame folto; corpo allungato, arti bassi, unghie non retrattili, ghiandole perianali, canini robusti. Corrono e nuotano agilmente, scavano oppure saltano e si arrampicano. Vi appartengono lontre, tassi, donnole, martore, faine, puzzole»). L'uovo di Furtwängler Questo brano proviene dalla sezione “Concerti all’Adriano” della nota raccolta di scritti musicali di Savinio, Scatola sonora. La nuova edizione a cura di Francesco Lombardi pubblicata da ilSaggiatore ( di cui pubblichiamo in esclusiva nelle pagine seguenti un estratto che ritrae un concerto del giovane Roman Vlad, n.d.r. ) è arricchita da una quarantina di pezzi non compresi nelle precedenti edizioni, oltre al ripristino delle parti espunte, spesso riferite agli esecutori. Gravi mutilazioni, perché quando passano a tiro i maggiori solisti e direttori del suo tempo, Savinio li pitta con schizzi verbali, senza inibizioni. Dopo le giuste lodi al gioiello da esibizione dell’alleato d’acciaio, la Filarmonica di Berlino, l’accenno a Furtwängler tira sulla terra anche il dio Wagner. Il carismatico direttore tedesco «tra il battere e il levare vibra la bacchetta come se frullasse delle uova, perché egli sa che tra il marzapane e i canditi della musica, specie nella musica di Wagner, c’è molta chiara d’uovo». Guarnieri il prediletto Savinio predilige Antonio Guarnieri, preferito anche all’ammirato “Merlino” Victor De Sabata («più cordiale e paterno e, con sulla bocca del cuore la sordina di un pudore esemplare») e a Willy Ferrero («questo artista che ha rotto il fato che sommerge i fanciulli prodigi»). Non apprezza Riccardo Zandonai («preciso ma incapace di impedire che fra le famiglie strumentali scendano le cataratte a offuscarne le sonorità»). Rispetta il belliniano Gino Marinuzzi («la cui testa fumava bianca sopra il dorato alone dei leggii») e il sempre “ottimo” Tullio Serafin che conduce alla vittoria il Wozzeck, e gli rivela Puritani, Lucia e i problematici Vespri siciliani di Verdi «con quella sua bacchetta che afferra in aria ogni nota, l’arrotola come una fettuccina, poi con grazia precisa la depone sul ponticello

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SCHIZZIverbali

Rileggere il '900 alla luce delle pagine sulla musica di Alberto Savinio, artista onnicomprensivo.

Scrittore, pittore, compositore e libero pensatore di Giovanni Gavazzeni

Storia&Storie

Uditorio non soverchiamente fitto domenica scorsa nella sala dell’Adriano, per vedere il maestro Bernardino Molinari, dopo un breve spazio di tempo vuoto di sé, risalire con la sua

nota agilità di mustelide in tait il podio direttoriale». Anche nell’attacco di un pezzo di “servizio” come la recensione di un concerto, l’artista onnicomprensivo Alberto Savinio (1891-1952) rivela i suoi imprevedibili estri scrittori e di libero pensatore. Dare, nel marzo del ’41, a colui che guidava da trent’anni l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, del “mustelide in tait” rivela libertà di pensiero in tempi poco propensi all’ironia. (Il dizionario Treccani ricorda che i Mustelidi sono «carnivori di medie e piccole dimensioni, dal pelame folto; corpo allungato, arti bassi, unghie non retrattili, ghiandole perianali, canini robusti. Corrono e nuotano agilmente, scavano oppure saltano e si arrampicano. Vi appartengono lontre, tassi, donnole, martore, faine, puzzole»).

L'uovo di FurtwänglerQuesto brano proviene dalla sezione “Concerti all’Adriano” della nota raccolta di scritti musicali di Savinio, Scatola sonora. La nuova edizione a cura di Francesco Lombardi pubblicata da ilSaggiatore (di cui pubblichiamo in esclusiva nelle pagine seguenti un estratto che ritrae un concerto del giovane Roman Vlad, n.d.r.) è arricchita da una quarantina di pezzi non compresi nelle precedenti edizioni, oltre al

ripristino delle parti espunte, spesso riferite agli esecutori. Gravi mutilazioni, perché quando passano a tiro i maggiori solisti e direttori del suo tempo, Savinio li pitta con schizzi verbali, senza inibizioni. Dopo le giuste lodi al gioiello da esibizione dell’alleato d’acciaio, la Filarmonica di Berlino, l’accenno a Furtwängler tira sulla terra anche il dio Wagner. Il carismatico direttore tedesco «tra il battere e il levare vibra la bacchetta come se frullasse delle uova, perché egli sa che tra il marzapane e i canditi della musica, specie nella musica di Wagner, c’è molta chiara d’uovo».

Guarnieri il predilettoSavinio predilige Antonio Guarnieri, preferito anche all’ammirato “Merlino” Victor De Sabata («più cordiale e paterno e, con sulla bocca del cuore la sordina di un pudore esemplare») e a Willy Ferrero («questo artista che ha rotto il fato che sommerge i fanciulli prodigi»). Non apprezza Riccardo Zandonai («preciso ma incapace di impedire che fra le famiglie strumentali scendano le cataratte a offuscarne le sonorità»). Rispetta il belliniano Gino Marinuzzi («la cui testa fumava bianca sopra il dorato alone dei leggii») e il sempre “ottimo” Tullio Serafin che conduce alla vittoria il Wozzeck, e gli rivela Puritani, Lucia e i problematici Vespri siciliani di Verdi «con quella sua bacchetta che afferra in aria ogni nota, l’arrotola come una fettuccina, poi con grazia precisa la depone sul ponticello

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CONCERTO PRIVATO

Una villa tra gli alberi, in quella parte della periferia di Roma ove una volta i proprietari di ville non pagavano tasse, in considerazione che gli eucaliptus dei loro parchi purificavano l’aria del fiato della dea Terme.Gli invitati arrivano alla spicciolata. Presentazioni rapide, sorrisi non prima accesi che spenti, e la certezza che nessun legame duraturo, nessun’amicizia salda nascerà da questi incontri.Parte si spargono in salotto, parte nel fumatoio, alcuni pochi si restringono nella verandina coperta che i veneziani chiamano liadò e i turchi sciachniscìr. Una rapida ispezione ci fa scoprire le cantate di Monteverdi in edizione imitata dallo stile del tempo, i Lieder di Hindemith su poesie di Rilke, l’Apollo Musagete di Strawinsky nella trascrizione per piano fatta dall’autore. Come nelle sale operatorie si respira il fiato meduseo degli anestetici, così nella casa del “concerto privato” si respira l’ètere di un alto e rarefatto musagismo. Se un buco d’un tratto si aprisse nel soffitto e da esso precipitasse lo spartito delle Willy, l’effetto sarebbe quello di una bestemmia in mezzo a una riunione di prime comunicande. Pure, in segreto, quanti dei presenti preferirebbero alle musiche promesse dal programma un po’ di Puccini… [...]

Alle cinque e mezzo precise, con una puntualità da concerto pubblico, il nostro ospite dà il via al programma. Siede al piano Roman Vlad, giovane pianista rumeno, uscito or non è molto dalla scuola di perfezionamento del nostro Casella. Il concerto si inizia con la Sonata opus i di Alban Berg. La giovanile sonata di questo complicato e anispirato musicista tedesco, costituita di un unico tempo e riveduta nel 1925, è un compromesso tra il Tristano e il Pierrot lunaire di Schoenberg: musica opaca, a “corrente d’aria”, bassamente romantica e poco pianistica oltre tutto. Di là dalla parola “fine” si potrebbe anche continuare, come

si potrebbe anche non cominciare affatto. Seguì l’Elegia all’Italia di Ferruccio Busoni, che in principio ci mise in sospetto di errore, ossia che il giovane Roman Vlad ci stesse sonando una parafrasi dell’ondeggiamento primordiale dell’Oro del Reno; ma errore non era, era soltanto imitazione; e indi a poco un temino napoletano trattato alla Paganini-Liszt ci assicurò che si trattava veramente dell’Elegia all’Italia. Ma che povera Italia viene fuori da quest’elegia. Composizione da pianista, e che rammenta i pezzi “brillanti” di Thalberg.

Dopo l’Elegia all’Italia, Roman Vlad ci offrì alcune musiche di sua composizione: Tre invenzioni a due voci, e Variazioni su un tema funebre rumeno. Le Variazioni non ci sembrarono prive di interesse. C’è l’insistenza del dolore barbarico e popolaresco, la cocciuta iterazione del treno (nel significato di lamentazione funebre, non di convoglio ferroviario). Ma noi diffidiamo della poesia o della musica ispirate dalla Morte, questa troppo facile, troppo ovvia, troppo superficiale ispiratrice. Roman Vlad è molto giovane ancora. È nella stagione in cui la volontà di serietà impera.Il concerto privato si conchiuse sui Pupazzetti di Alfredo Casella, nella versione originale a quattro mani; e sotto il tocco sapiente dell’autore, coadiuvato nel basso da Roman Vlad, questa suite, o italianamente sequenza, meccanica e caricaturale, trovò il suo pieno e metallico rilievo.Tra le composizioni di Roman Vlad e i Pupazzetti di Casella, era incastonata la perla di questa intima riunione musicale: la Sonata per pianoforte di Igor Strawinsky, che il giovane pianista rumeno eseguì con rigore e nettezza esemplari. Un critico svizzero, se siamo stati informati bene, ha detto che la Sonata per pianoforte di Strawinsky, «guarda con

occhi di Medusa».Gli svizzeri noi li apprezziamo per le loro virtù domestiche e alberghiere, per il loro civismo memore dell’esempio di Guglielmo Tell, per la loro abilità e precisione in fabbricare orologi: non per le loro

dei violini, dentro il padiglione scintillante dei corni, sulle mani a ragno dell’arpista». Anche quando pensa a un erigibile monumento a Guarnieri, lo vorrebbe somigliante a quello del medico-patriota garibaldino Agostino Bertani. Perché Guarnieri «dirige l’orchestra da medico, da chirurgo, da medico-chirurgo. E più che dirigerla, la cura. La sorveglia. Le tasta il poso. L’ascolta. Le sente i bronchi (che sarebbero i corni, questi rauchi cronici), le misura la circolazione del sangue (che sarebbero i violini), l’aiuta a espettorare il catarro (che sarebbero i contrabbassi), le cauterizza le adenoidi (che sarebbero i clarini, l’oboe, il corno inglese, il fagotto e altri strumenti nasali). E l’orchestra, da grande malata, cosciente e orgogliosa dei suoi mali reagisce docile al medico curante, ora sdraiata in un mormorio tranquillo, ora alzando un dito nel canto solitario di un flauto, ora tirandosi su tutta quanta, e scuotendosi la batteria di dosso in tremende crisi di isterismo».

Dopo la caduta (di Franco Ferrara)Un discorso a parte merita il fuoriclasse Franco Ferrara. Savinio non lo nomina, ma ne descrive la tragica e misteriosa malattia in Musica estranea cosa (1943). Ferrara «stretto in una velada attillata, guaina nera di quella specie di pugnale umano, chiuso il collo lungo dentro

un solino lucido e bianco come un tubo di porcellana. Personaggio hofmannniano, un sopravvissuto della Kreysleriana sperduto in questo mondo razionalista in cui i musici stessi hanno acquistato aspetto e comportamento da ragionieri, e si esercitano a musiche squisitamente tolemaiche, cioè a dire gelide e architettate». Narra un’esecuzione della Quarta di Brahms. Passato il primo movimento, «dalla sala si levò un respiro

più di sollievo che si soddisfazione: il respiro della bestia che dalla tensione passa al rilassamento. Indi a poco il direttore attaccò il secondo tempo, ma io ero meno in ansia perché il carattere stesso di quell’andante moderato mi dava impressione di minor pericolo. D’un tratto io non vidi più il direttore, ma un groviglio ai piedi del podio e udivo l’enorme clamore della sala che di colpo si era levata in piedi, come un campo di grano venuto su per miracolosa eruzione vegetale. Ho veduto il direttore cadere? Non ricordo. Ho una vaghissima impressione di una forma meno di uomo che di una enorme stilografica nera, che si piega e rigida cade in vanti. Lo portarono fuori a braccia, tra i leggii rovesciati e gli strumentisti che facevano largo, e il clamore continuava come un gran vento nel teatro». I giudizi del Savinio critico sui compositori sono contigui a quelli del gruppo che faceva ala ad Alfredo Casella, sia nella svalutazione di Puccini che nel disprezzo per Mascagni e

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immagini poetiche. Non si vuol dire con questo che la Sonata per piano di Strawinsky avvampi come una romanza di Tosti; ma tra questo e spargere la voce che essa trasforma l’ascoltatore in sasso…Questa Sonata fa parte dello Strawinsky “bachiano”. È l’ultimo Strawinsky e il più interessante pure, il più alto, il più astratto, il più puro. [...] Il primo tempo attacca addirittura su un movimento da esercizio per pianoforte: un Gradus ad Parnassum. Del resto, in tutta questa composizione c’è un rigore scolastico, una secchezza da studio, un odore da conservatorio. Coloro che dalla musica vogliono trarre commozioni sentimentali e motivi che toccano il cuore, sprecheranno fatica accostandosi a questa Sonata di Strawinsky. Ma i gaudii che la musica dà sono di più generi. Onde viene che un grammatico gusta le singolarità di un sostantivo che funge da aggettivo, più che i palpiti di una novella di Capuana? Onde viene che io mi “diverto” più a un sonetto di Petrarca, che a un capitolo dei Malavoglia? Onde viene che preferisco leggere qualche paragrafo dell’Etica Nicomachea di Aristotele, che un capitolo dei Promessi Sposi? Onde viene che una sinfonia di Beethoven mi commuove meno dei suoni che in un chiaro mattino di primavera piovono giù dalle finestre di un conservatorio, scale, esercizi, ripetizioni di passi difficili?

Progredire nella civiltà, significa staccarci sempre più dalle cose, e ridursi nel ricordo delle cose. Così anche nella civiltà musicale. Fino a Verdi, fino a Wagner, fino a Beethoven, fino a Strauss, fino a Bach persino, siamo nel dramma della musica (e in Puccini nel drammetto); Strawinsky passa nel ricordo del dramma, e si diverte a scomporlo riportando alla purezza gli elementi che lo componevano (la qual purezza del resto torna automaticamente, non appena si stacca elemento da elemento; perché l’unione, nonché la forza, fa il dramma, il “sudicio” dramma).

(per gentile concessione il Saggiatore)

Due dipinti del Savinio pittore: in apertura, Autoritratto (1934); in alto, Poltrobabbo: disegno a china su carta (1945)

Leoncavallo («perché dopo Rossini la musica italiana perde il suo carattere aristocratico, e si abbassa gradualmente fino al plebeismo di Bohème e della Tosca. …la musica è alta finché è innocente, apatetica, ignorante del male, altrimenti diventa grossolana e goffa»).

Sui compositoriMolti contatti anche negli entusiasmi: Bach e Vivaldi, l’Uomo Quercia Verdi e Rossini, sempre Stravinskij, il Fils prodigue di Prokof’ev, Berg e Hindemith, Petrassi e Dallapiccola e gli adorati pianisti: Backhaus, Gieseking, Fischer, «l’angelo» Benedetti Michelangeli. Casella però non avrebbe condiviso il fastidio di Savinio per la liquida sfuggevolezza del Magister Humidus Debussy e per Ravel («prima o poi bisognerà pure fare l’esame clinico distillazione del nulla che ha fatto salire a tanta fama Ravel in musica, Paul Valéry in poesia, Matisse in pittura»). Quando un compositore tocca le sue corde, la comprensione è memorabile. Vedi il caso del Retablo di Falla, autore di una partitura «asciutta, spiritosa, dura alla marcia che dal fondo dei tempi continua a spingere avanti l’uomo meridionale e i suoi tragici cortei» che sfila «sparuta, ossuta, spelacchiata»; al ritmo «tutto fisico, tutto terrestre, tutto nostro, tutto mortale; tutto “gettato” sulla terra: sulla dura terra, sulla terra arsa, sulla terra illividita da un sole ammazzatore, sulla terra chiazzata da

un sangue solido e nero». Notevolissime le intuizioni sulle musiche «amarissime perché cariche di destino» di Erik Satie, che «hanno salvato la musica da una solenne morte per pompierismo» e sull’arte segreta di Federico Mompou, musicista «aeriforme, aracnoidesco», capace di rarefare l’impressionismo con mano «così leggera, evanescente, impalpabile che fino la grafia di essa musica risulta squisita come un disegno giapponese»

Premonizioni vocaliDue premonizioni: l’avvento di cantanti adeguati a Rossini che altrimenti fanno «l’effetto di una primizia di fragole, presentate dentro un canestro fatto con intrecciati tubi di piombo» e la rottura della «monotonia della verità storica». Alla prova generale del Poliuto trova attraente il Commentator Beniamino Gigli che si prepara alla morte «in completo a doppio petto e basco sulle ventitré» e Maria Caniglia, patrizia romana che «si accinge a farsi divorare dai leoni del circo in scarpe ortopediche e pelliccia tre quarti» Savinio oggi non c’è più e purtroppo siamo alla monotonia degli attualizzatori.