Storia senza Gloria - Le verità nascoste del...

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& Movimento Studentesco Padano A cura di: -FILIPPO FRIGERIO -MATTEO LAZZARO -FABIO MOLINARI Movimento Universitario Padano

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Storia senza gloriaLe verità nascoste del Risorgimento

Movimento Studentesco Padano

A cura di:- FILIPPO FRIGERIO- MATTEO LAZZARO- FABIO MOLINARI

Movimento Universitario Padano

«SI È CURIOSI SOLTANTO NELLA MISURA IN CUI SI È ISTRUITI.»Jean-Jacques Rousseau

A TUTTI I GIOVANI LIBERI DI PENSARE, DI STUDIARE, DI RISCOPRIRE UNA STORIACHE CI APPARTIENE E CHE A VOLTE QUALCUNO HA TENTATO DI NASCONDERE.

Storia senza gloria ~ Le verità nascoste del Risorgimento

INDICE- INTRODUZIONE ........................- CONTESTO INTERNAZIONALE .....- CAVOUR E IL REGNO DEL NORD

- GARIBALDI E I MILLE: LAGRANDE RECITA .........................- 1866: IL PLEBISCITO TRUFFA INVENETO ....................................- DOMANDE & RISPOSTE ............

- BIBLIOGRAFIA .........................

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- DEVOLUTION NEL 2006 ........... 25- FEDERALISMO NEL 2011 .......... 27

Storia senza gloria ~ Le verità nascoste del Risorgimento

INTRODUZIONE«Il Risorgimento era stato, come oggi si

direbbe, una “operazione di vertice”, cheseguitava ad interessare soltanto il vertice,cioè l'esigua minoranza che lo aveva fatto.[…] Così nacque l'Italia dei notabili»

I. Montanelli – Storia d'Italia, VOL VICominciò in questo modo il connubio fra i

popoli della penisola italiana e della pianurapadana, in un misto fra la Romanticaesaltazione di un ideale nazionale, dettatapiù dalle contingenze storiche che dallavolontà socioeconomica di unirsi sottoun'unica bandiera, e l'esperimento diun’inedita unità sociale che cercasse dicreare un popolo ed allo stesso tempo uncollante, solo rifacendosi ad un’unitàamministrativa. Tutto ciò portò, dopo 150anni, all’Italia come la vediamo oggi;capiamo come alcune scelte, che noicrediamo errate, siano la radice di moltiproblemi dell’Italia unita. L’Italia, lo statoche primo fra tutti avrebbe avuto lavocazione di stato federale avendo dellefortissime realtà locali – come dadisposizioni di Cavour – all’indomanidell’unificazione, a causa della prematuramorte dello statista piemontese, si trovòunita centralisticamente. Inoltre, se altri stati, altri popoli, altre

nazioni ebbero esempi di manifestazioni disentimento nazionale, che unissero in modopanclassista tutta la popolazione, lo statoitaliano non ne ebbe mai. E fu così che nel1861 ventidue milioni di persone sitrovarono unite sotto una stessa bandiera esotto la stessa legge, per la prima voltadopo quindici secoli, senza aver la minimaidea di dove questo cambiamento li avrebbecondotti. Uno stato che, appunto, cercò dicreare gli italiani (lo disse lo stesso D'Azeglioall'indomani dell'unità) con mezzi comel’indottrinamento scolastico, la televisione, imezzi di comunicazione di massa, e nonultimo, la massiccia immigrazione interna.

Tali parole verranno adeguatamentemotivate nei capitoli a venire, giustificate,ampliate ed illustrate in un viaggioattraverso i secoli che ha avuto come nobilescopo il fornire, in modo gratuito,accessibile e pensato per i giovani, quellacosiddetta “controstoria” che i libri –perlomeno quelli accademici – non ci hannomai svelato circa l'Unità dello stato italiano. Noi, giovani del Carroccio, non ci

attribuiamo l'arrogante prerogativa di volerridisegnare la Storia, che – il lettore ce lopermetta – fu abbondantemente farcita,ridisegnata ed edulcorata dalle classidirigenti centralistiche dell'ultimo secolo emezzo, quanto invece vorremmo raccontareessa in maniera oggettiva, servendoci diausteri storici, lodevoli scrittori e cronachecontemporanee.Faremo ciò, per riprendere echi del

serenissimo Ugo Foscolo, con quella calmache più si addice ai ragionamenti dacondursi scientificamente. Quasi mai nelle scuole viene affrontato

questo tema né dibattuto né degnato dellacorretta importanza. Tenteremo di dare uncontributo a quanti vorranno aprire dibattiti,tavoli di discussione o, più semplicemente,voler raccontare, per onor del vero, ciò cheaccadde veramente centocinquanta anni fadall'Alpe a Sicilia.  «Bisogna saldare i conti con la storia,

riannodare i fili smarriti e non visti,riscoprire la grande ricchezza policentricache abita nella varietà e nella differenza:questo è il “baricentro” politico e culturaleche proietta il paese verso una “meta”,quella del federalismo. Questa è la “scossa”che bisogna dare al Paese per la suarigenerazione sotto mutate sembianzeistituzionali, quelle federali»Prof. S.B. Galli – La Padania, 25/7/2008

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Per comprendere gli eventi che hannodato origine al Risorgimento e hannoportato nel 1861 alla formazione delloStato italiano è necessario considerarebrevemente il contesto politicointernazionale della prima metàdell’Ottocento.L'Ottocento è un secolo importante per

la storia moderna e per gli eventi chesarebbero seguiti; è possibile dire che inquesto periodo era in corso unabattaglia fra il nuovo ordine politico dinatura democratico liberale contro ivecchi regimi monarchico-aristocratici,governati con la forma dell'assolutismo;sullo sfondo iniziavano a farsi largoanche le prime rivendicazioni dicarattere socialista. Le conquiste diinizio secolo di Napoleone Bonaparteavevano consentito agli ideali nati conl’Illuminismo e la Rivoluzione franceseuna rapida diffusione in tutta Europa.L’Italia del Nord costituì il laboratorio diprova per il genio militare del generalecorso e, nei fatti, l’esordio per lebaionette francesi che solo pochi annidopo avrebbero conquistato la granparte del Vecchio Continente.L’avanzata napoleonica però non siconcretizzò soltanto nella conquistamilitare dei singoli territori, ma per unopera sistematica di smantellamentodelle vecchie istituzioni e per ladiffusione degli ideali e di nuovi simboli(il Tricolore italiano fu un'invenzionenapoleonica ispirata al Tricolorefrancese) che avevano animato la faseiniziale della Rivoluzione. Si trattava diprincipi ed ideali che puntavanoall’abbattimento delle vecchiemonarchie assolute e di cui la borghesiaeuropea seppe servirsi poi persvincolarsi dall’antico sistema a basearistocratica e porre le fondamenta per ipiù moderni stati liberali, maggiormenteaccondiscendenti verso i loro affari.

Questo fu il contesto nel quale sisvilupparono, esattamente a metà delsecolo, i moti del 1848 e quindi anchele Dieci Giornate di Brescia e le CinqueGiornale di Milano; si trattava di unfenomeno di natura europea, che nonaveva nulla a che vedere consentimenti di carattere nazionalistico opatriottico. Gli abitanti della Lombardiae del Veneto, che si ribellaronoall'ordine costituito avanzavanorivendicazioni contro lo straniero, dinatura assolutamente indipendentista operlomeno volte all'ottenimento di unacostituzione, seguendo il trend delmomento. A Venezia venne infattiriproclamata da Daniele Manin (nipotedell'ultimo Doge) la repubblica, mentrea Milano, Carlo Cattaneo – fra i capidella rivolta – voleva una Lombardiaautonoma che si autogovernasse conun sistema federale ispirato al modellosvizzero e si oppose fermamente aipotentati locali quando decisero dichiamare in causa il Piemonte di CarloAlberto. La propaganda patriottica peròci ha lasciato un'immagine di questimoti differente dalla realtà dei fatti: si èsempre parlato di sollevazionispontanee “per fare l'Italia”, neltentativo di attribuire al Risorgimentoalmeno un unico momento di realepartecipazione popolare, che però neifatti non è mai esistito.Sul piano delle potenze in gioco lo

scenario era complesso. Da una partec'era una Francia che risollevava latesta dopo anni di confusione sotto laguida di Napolone III, nipote del grandeconquistatore e che era fortementeinteressata a contenere il poteredell'Impero Austro-ungarico sulcontinente. Sul teatro marittimo invecevi era l'Inghilterra, desiderosa didetronizzare i Borbone da Napoli peruna serie di questioni, sia economiche

DI MATTEO LAZZAROCONTESTO INTERNAZIONALE

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che personali. Henry John Temple diPalmerston, a capo del Governo inglese,odiava infatti Ferdinando II di Borboneper una faccenda privata concernentela nipote, Penelope Smith. La ragazzalasciò la buia Inghilterra per approdarenella soleggiata Napoli e non ci misemolto tempo ad ambientarsi, tanto chele dame di corte la soprannominarono –poco simpaticamente - “a' zoccola”. Ineffetti pare che la giovane saltasse diletto in letto fin quando non riuscì adarrivare in quello di Carlo, fratello delsovrano che se ne invaghì e decise disposarla. Al rifiuto di Federinandonell'acconsentire alle nozze i dueiniziarono a girovagare per l'Europa,accumulando un mare di debiti. QuandoPalmerston chiese al monarcaduosiciliano di onorare i debiti dellacoppia ricevette un secco rifiuto. Al di làdelle questioni private però, ciò cheincrinò definitivamente i rapporti fra idue Stati furono i contenzioni sull'IsolaFerdinandea – apparsa e scomparsa nelmediterraneo nel giro di pochi mesi - ela questione dello zolfo. La Sicilia diallora possedeva alcuni dei giacimentipiù cospicui al mondo dell'importanteminerale e i Borbone avevanoinizialmente concesso il monopoliosull'estrazione agli inglesi. Quando peròsi accorsero che le condizioni eranosvantaggiose mutarono i terminidell'accordo, cosa che il Governo di SuaMaestà britannica non gradì affatto. Laguerra commerciale rischiò ditramutarsi in guerra aperta e solol'intervento degli Stati della SantaAlleanza scongiurò il conflitto, checomunque compromise definitivamentei rapporti fra l'Inghilterra e le DueSicilie. Fu in quel frangente che ibritannici decisero di aspettarel'occasione propizia per spodestare iBorbone dal trono di Napoli, occasioneche prenderà forma concreta nellaSpedizione dei Mille guidata daGaribaldi, ben noto negli ambienti

massonici inglesi e persona gradita alGoverno britannico.Infine vi era il piccolo Regno di

Sardegna guidato dai Savoia,desideroso di realizzare il sogno disempre: estendere i propripossedimenti a tutto il Nord Italia. UnSovrano ambizioso e un Primo ministrocapace di tessere rapporti internazionaliimpensati per uno Stato irrilevante sulpiano internazionale, come era ilPiemonte di allora, costituirono –assieme a tutta una serie di circostanzedovute alla contingenza storica e ad unclima romantico e ideologicamentefertile – la miscela giusta che porteràall'unificazione della Penisola. Unprocesso che coinvolgerà le elite manon il popolo, se non come attorepassivo in una serie di plebiscitipalesemente artefatti.

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CAVOUR E IL REGNO DEL NORDIl progetto di Cavour era chiaro e

definito: suddividereamministrativamente il Regno in tremacroregioni, indicativamenterappresentabili come Nord (con laSardegna), Centro e Sud.Ma partiamo dall’inizio. Nel 1846

quando era ancora sindaco di Grinzanee nascente imprenditore agricolo,scrisse un saggio sulle ferrovie (Deschemins de fer en Italie). Fin qui tuttopotrebbe sembrare stranamentenormale. Senonché argomentò che leferrovie erano un importante strumentodi modernizzazione, ed ipotizzava cheavrebbero dato al territorio fra Torino eVenezia quella connotazione modernaed industriale che era già scandita dallavocazione europeista della Valle del Po.Immaginava, quindi, un’unitàgeopolitica forte per il Nord Italia.In un secondo tempo, quando il

mandato di sindaco era un lontanoricordo che aveva lasciato spazio a ruoliben più influenti, il 21 Luglio del 1858Cavour si incontrò in gran segreto conNapoleone III nella località termale diPlombières-les-Bains (da cui il nome aicelebri “Accordi”). La volontà comuneera di colpire l’Austria: Napoleone III lavoleva indebolire, Cavour allontanaredal Lombardo-Veneto. Si discusse,dunque, anche dell’eventualesistemazione geografica e politica unavolta cacciati dalla penisola. Si presespunto dall’idea di confederazione, sullafalsa riga della ConfederazioneGermanica, alla cui guida(espressamente simbolica) ci sarebbestato il Papa. Si prefigurarono, così, tremacroregioni, più la città di Roma,decretate in tal maniera:- La Pianura Padana fino all’alveo del

fiume Isonzo, la Sardegna e la Romagnapontificia, sotto la guida di VittorioEmanuele II, avrebbero costituito il

Regno del Nord- I territori pontifici (ad esclusione di

Roma) sarebbero stati controllati dalGranducato di Toscana, formando unRegno dell’Italia centrale. Nel caso incui Leopoldo II, di origini viennesi,reggente del Granducato, per la pauradi finire in una morsa anti-austriaca,fosse fuggito al di là delle Alpi, avrebbepreso il comando del Regno centraleuna certa Luisa Maria dei Borbone,duchessa di Parma, molto gradita alsovrano parigino.- Il Regno delle Due Sicilie come era

già allora, governato da Ferdinando II.Qualora anch’egli fosse fuggito,Napoleone III vedeva di buon occhio lasalita di Luciano Murat (figlio diGioacchino).- La città di Roma, sede del Papa.Un progetto “sostenibile” perché

avrebbe attutito l’impatto che lepopolazioni invece ebbero con lo statocentralista. Un progetto, inoltre,“perspicace”, perché avrebbe stimolatomaggiormente l’economia,allontanando lo spettro che secondoCavour, cresciuto con ideali liberali eliberisti, poteva essere rappresentatodall’eccessiva intromissione dello statoin materia economica. Un progettochiaro, dicevamo; fu talmente chiaro,quanto inapplicato. E la causa di ciònon fu imputabile direttamente allostatista torinese, quanto invece alla suamorte. Una crisi malarica, infatti, locolse verso la fine di maggio del 1861,non lasciandogli scampo.Il bolognese Minghetti, nominato

all’inizio della legislatura Ministro degliInterni del regno e poi suggerito comenaturale successore, aveva il compito diportare a compimento tale progetto.Purtroppo, però, venne messo inminoranza da coloro che prediligevanouno stato unito e centralista, che fecero

DI FABIO MOLINARI

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una coalizione trasversale sostenendola candidatura di Bettino Ricasoli.Quest’ultimo, riconoscente verso i suoi“elettori”, scelse di ritirare il progettofederativo. Era il 1865 quando sidecretò con una legge che gliordinamenti del Regno di Piemontevenissero estesi a tutto il paese.

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GARIBALDI E I MILLE: LA GRANDE RECITAL’impresa dei Mille, che fu guidata da

Giuseppe Garibaldi, viene dipinta dasempre come l’episodio più importantedel Risorgimento, il fatto storico che hacondotto, in ultima istanza, allacreazione dell’unità nazionale e allaproclamazione, il 17 marzo del 1861,del Regno d’Italia.La storia ufficiale, quella che è

possibile leggere anche in moltisussidiari della scuola dell’obbligo, ci hatramandato un’immagine romantica ederoica dell’avvenimento, raccontando agenerazioni di italiani le gesta dell’eroedei due mondi e delle sue mille camicierosse che, da sole e accolte a furor dipopolo, avrebbero liberato il Meridioned’Italia dall’oppressivo giogo dellaretrograda e reazionaria monarchiaborbonica.In realtà le cose non andarono proprio

così. La narrazione tradizionale si èsempre contraddistinta per una serie diomissioni e falsificazioni finalizzate allacostruzione del mito fondativo dellanazione, elemento indispensabile percreare, a posteriori, una qualche formadi sentimento nazionale. Nonostanteciò, e malgrado l’impegno delle classidirigenti di tutte le epoche – da quellaliberale passando per quella fascista econtinuando in età repubblicana – ilsentimento patriottico in l'Italia hasempre trovato parecchie difficoltà adassumere forma concreta.Nella descrizione a seguire cercheremo

di ripercorrere, seppur conl’approssimazione imposta dalla brevitàdel testo, le tappe salienti dell’impresadei Mille, lasciando poi al lettore leconclusioni finali sulla sua reale natura.Per prima cosa è necessario

considerare i principali attori in campo,protagonisti, più o meno manifesti, diquella che potrebbe tranquillamenteessere definita come una delle più

grandi recite che la storia modernaabbia conosciuto.In tutta la vicenda la posizione del

Regno di Sardegna, e quindi del ConteCamillo Benso di Cavour e VittorioEmanuele II, è certamentepreponderante. Lo Stato piemontese,forte delle recenti vittorie conseguite aidanni dell'impero austriaco grazieall’aiuto di Napoleone III edell’annessione, oltre che dell’arealombarda anche di gran parte delcentro-Italia, era desideroso diestendere i propri possedimenti anchealla zona meridionale della Penisola. Ilproblema, a quel punto, erarappresentato dalla ricerca di unpretesto valido. Occorreva trovare unacasus belli per invade il Regno delleDue Sicilie, cercandocontemporaneamente di fareattenzione a non compromettere lapropria precaria posizioneinternazionale, in particolare neiriguardi della Francia che iniziava atemere le mire espansionistiche deiSavoia. Si decise quindi di agire dinascosto, arrivando infine allaconclusione che per ottenere il controllodel Mezzogiorno, e allo stesso temposalvare la faccia, era necessaria unasollevazione spontanea del popolo. Soloa quel punto l’esercito piemonteseavrebbe potuto intervenire e, con lascusa di ripristinare l’ordine, prendere ilcontrollo dello Stato duosiciliano.L’anello debole del Regno dei Borboneera rappresentato certamente dallaSicilia, le cui pulsioni indipendentiste sierano apertamente manifestate neimoti di Palermo del 1848. Occorrevaquindi l'intervento di un fattore esterno,qualcuno che potesse essere in grado difar sollevare il popolo contro il propriosovrano. Giuseppe Garibaldi, la cuifama era già ampiamente diffusa,

DI MATTEO LAZZARO

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rappresentava la persona più adattaallo scopo.L’altro attore su cui vale la pena

soffermarsi è l’Inghilterra. In questocaso i protagonisti sono il Primoministro Henry John Temple, visconte diPalmerston e Lord William Gladstone,politico inglese e membro di spiccodella massoneria. Questi signori siadoperarono in maniera tutt’altro chemarginale per fare in modo che laspedizione dei Mille andasse a buonfine. Gli interessi dell’Inghilterra e dellamassoneria internazionale, di cuientrambi i due signori sopraccitatierano illustri esponenti, erano chiari: dauna parte detronizzare i Borbone,impossessandosi del mercato dello zolfoe facendogli pagare a caro prezzo ilcontenzioso avvenuto solo pochi anniprima, dall’altra – per quanto concernela massoneria – arrivare a colpire ilnemico giurato di sempre: la Chiesacattolica, accerchiandolaterritorialmente e, se fosse statopossibile, facendo arrivare Garibaldi(anch’esso massone) fino a Roma.La massoneria di Edimburgo in

particolare si diede da fare con grandeefficienza nella raccolta dei fondi: conun’operazione che coinvolgeva anche icoloni del New England, riuscì araccogliere una cifra superiore ai tremilioni di franchi francesi, convertitisuccessivamente in un milione dipiastre turche, le monetemaggiormente utilizzate nelletransazioni commerciali nelMediterraneo di allora.Oltre a questi il governo piemontese

riuscì a racimolare una cifra di duemilioni di franchi d’oro, in aggiunta adun fondo di novantamila lire affidate adAgostino Bertani, garibaldino, che daGenova avrebbe gestito i soldi destinatialla “buona riuscita della missione”.Tradotto: quel denaro sarebbe servito algenerale nizzardo (ma ancheall’ammiraglio Carlo Pellion di Persano e

ad alti ufficiali della marina inglese) perla meticolosa e sistematica opera dicorruzione degli ufficiali borbonici che,ben farciti di pecunia e forti dellapromessa di essere ricollocati conmedesimo grado nel nuovo esercitounitario, avrebbero permesso a millevolontari male in armi di “sconfiggere”un esercito addestrato e bene armato dioltre 90.000 uomini.Il 5 maggio del 1860 i Mille si

imbarcarono a Quarto per iniziare laloro discesa via mare verso la Sicilia. Ilgiorno della partenza venne simulato ilsequestro di due piroscafi, il Lombardoe il Piemonte, in realtà regolarmenteacquistati per conto di Cavour e VittorioEmanuele II dall'armatore RaffaeleRubattino. La compagnia che salpòdalla Liguria era variopinta edeterogenea: c'erano intellettuali,idealisti, persone appartenenti a cetisociali medio-alti, e non mancavanoanche delinquenti e impostori chefuggivano da qualcosa o da qualcuno;quello che è certo però è che operai,contadini e braccianti – che in queglianni costituivano la stragrandemaggioranza della popolazione – eranopochissimi. Garibaldi nelle sue memorieli definirà in questi termini: “Belli! Eranbelli quei miei giovani veterani dellalibertà italiana.” Ciononostante lostesso Garibaldi, in un suo discorsodurante la seduta del Parlamento diTorino del 5 dicembre 1861, ne tracciòuna descrizione decisamente differente:“Tutti generalmente di origine pessimae per lo più ladra, e tranne pocheeccezioni, con radici genealogiche nelletamaio della violenza e del delitto.”La partenza riservò a quella singolare

spedizione qualche imprevisto: i motoridel Lombardo non ne volevano saperedi partire e così fu trascinato arimorchio dal Piemonte.Anche sul viaggio che i due vapori

dovettero affrontare per arrivare inSicilia c'è sempre stato un certo

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silenzio. Pochi sanno di un certomalumore che correva fra la ciurma delLombardo, energicamente stroncato daNino Bixio, braccio destro del generaledi Nizza e, naturalmente, influentemembro della loggia massonica Trionfoligure. Altro “dettaglio” non pocoirrilevante sta nella tranquillità con cui iMille arrivarono a Marsala. E non fu unacosa normale perché, ed è benespecificarlo, il Regno delle Due Siciliedisponeva di una delle flotte piùnumerose e meglio equipaggiatedell'intero Mediterraneo. Come è statopossibile quindi, per due piroscafipiuttosto sgangherati, sfuggire aipattugliamenti delle corvetteborboniche per un tratto di mare cosìlungo? La storia delle scuole italianeanche su questo non si fa troppedomande e tace.Naturalmente la spiegazione sta, come

di consueto, nell'azione coordinata deiprotettori occulti dell'impresa. Da unlato infatti c'era l'ammiraglio Persanodella flotta piemontese, che ricevettenel medesimo giorno due lettere diCavour: la prima, quella ufficiale,conteneva l'ordine di fermare Garibaldi;la seconda, segreta, forniva indicazionidiametralmente opposte, ovverochiedeva al comandante di navigare frai barconi dei garibaldini e gli incrociatorinapoletani per evitare che questivenissero affondati. Dall'alta parteinvece c'era l'utile sostegno delContrammiraglio Mundy, della marinainglese, che inviò due navi da guerra,l'Intrepid e l'Argus nel porto di Marsala,per scortare e fornire protezione aGaribaldi e ai suoi uomini durante leoperazioni di sbarco. Sbarcare igaribaldini proprio a Marsala non fu unacausalità e nemmeno una scelta dovutaa qualche tatticismo bellico. La città era– di fatto – una colonia inglese epraticamente tutti quelli che erano alcorrente del complotto sapevano chedovevano farsi trovare pronti. Ufficiali

napoletani precedentemente corrotticompresi.Quattro giorni dopo lo sbarco, il 15

maggio del 1860, si svolse a PiantoRomano quella che passerà alla storiacome la battaglia di Calatafimi, cherappresenta il primo scontro fra lecamicie rosse e le truppe borboniche,comandate in quell'occasione dalgenerale ultrasettantenne FrancescoLandi. In realtà però non avvennenessuno scontro degno di questo nomein quanto l'alto ufficiale duosiciliano,nonostante la sovverchiante superioritànumerica decise ad un certo punto –dopo una blanda guerriglia – di suonarela ritirata. Pare che il prezzo per iltradimento di Landi ammontasse a 14mila ducati d'oro, che il generale cercòdi riscuotere a guerra terminata.Quando però scoprì che il titolo dipagamento era falso, proprio davanti alfunzionario di banca che glie ne davanotizia, venne colto da un ictus che nelgiro di un anno l'avrebbe ucciso. Ciòche è importante evidenziare è chequesta prima “battaglia” permisel'entrata in scena di nuovi soggetti. Inprimo luogo i baroni, dietro i quali sicelava la massoneria locale, e che sierano ormai persuasi che il copione eragià stato scritto. Poi c'erano i contadini,ammaliati dalle promesse di Garibaldisu una futura redistribuzione delleterre. E infine la mafia, semprecombattuta dai Borbone, e che vedevanei nuovi arrivati un buon pretesto persbarazzarsene. I picciotti, fornirononuove forze alle truppe di Garibaldi e glispianarono la strada, paese per paese,verso Palermo. Nei giorni precedenti loscontro e lo sbarco gli esponenti piùimportanti della mala siciliana eranostati contattati da Giovanni Corrao,mafioso e contemporaneamentepatriota e proprio lui convinse i capilocali che era giunta l'ora di dare unaspallata al vecchio regime perabbracciare la causa di quello nuovo,

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con un centro di potere (Torino) piùlontano a cui sarebbe stato piùcomplicato controllare il territorio.Successivamente si mossero a migliaiada oltre 30 paesi della provincia diPalermo per unirsi alla marcia deigaribaldini e preparare la loro avanzata:mano a mano che Garibaldi proseguivaveniva accolto da folle festanti che loaccoglievano come un liberatore, glipreparavano banchetti, ma soprattuttogli aprivano le casse dei municipi.Un’euforia che presto però sitrasformerà in rabbia, come provato daifatti di Bronte.Nella difesa di Palermo i borbonici non

diedero una prova migliore rispetto aquanto dimostrato durante la battagliadi Calatafimi. Il generale FerdinandoLanza, al comando di 18 mila uominiavrebbe potuto facilmente ricacciarel'invasore; ai Mille si erano aggiunti altri2200 volontari, fra picciotti e contadiniraccolti strada facendo, una cifranettamente inferiore rispetto all'esercitocomandato dal generale napoletano. Lasituazione a Palermo era stata resadifficoltosa dallo scoppio di una rivolta,fomentata dai mafiosi che si presero labriga di aprire le porte delle carceridella Vicaria permettendo ad oltre 2mila tagliagole di mettere a ferro efuoco la città. Furono tre giorni didisordini in cui, anche stavolta gliufficiali borbonici non brillarono perefficienza, salvo poche eccezioni.Mentre infatti i generali Colonna e Surystavano iniziando il contrattacco e siapprestavano a spezzare le fila dellecamicie rosse, accadde qualcosa diincredibile: con un ordine il generaleLanza aveva intimato ai suoi ufficiali laritirata. Era appena stata firmata laresa.In effetti pare che Ferdinando Lanza

fece tutto il possibile per agevolare lavittoria del proprio nemico: non impiegòtutte le sue forze, diede ordine dibombardare i quartieri popolari di

Palermo e questo ebbe come unicaconseguenza di guadagnare il popoloalla causa di Garibaldi e infine – comese non bastasse – fra le concessionicontenute nella tregua, vi eral'occupazione del Banco delle DueSicilie, da cui Garibaldi faràsubitaneamente prelevare 1 milione diducati d'oro, quantificabili in circa 230milioni degli odierni euro. Infine vannonotate le pressioni fatte da Lanza,prima dello sbarco dei Mille, perl'assunzione al telegrafo di Napoli ditale Bozza, piemontese, che aveva ilcompito di ritardare la consegna dellemissive dal fronte, omettere passaggidelle comunicazioni e probabilmente, inqualche caso, anche di ribaltarnecompletamente il senso. Con la presa diPalermo, con la vittoria di Milazzo e conl’inspiegabile ritirata di 18 mila soldatiborbonici da Messina, Garibaldicontrollava l'isola e si proclamòdittatore della Sicilia; adesso era prontoper lo sbarco verso il continente.Quando l'eco delle vittorie di Garibaldi

arrivò a Napoli la situazione iniziò asfuggire di mano e il panico e laconfusione la fecero da padroni. Ilsovrano, Francesco II di Borbone, chenon aveva certamente il polso delpadre Ferdinando, non riusciva aprendere decisioni chiare sul da farsi epreferiva, da fervente credente qualeera, affidarsi a Dio. Oltre a ciò lapresenza di una corte pullulante ditraditori, doppiogiochisti, di vili e diincapaci e non ha certamente aiutatoun sovrano giovane e inesperto in unasituazione che iniziava a divenirecritica. Contemporaneamente le notizieche giungevano dalla Sicilia avevanogalvanizzato i liberali napoletani einiziarono a verificarsi i primi tumultinelle piazze. A questo punto Francesco,su pressione del Pontefice, emanò unanuova costituzione che però non venneaccolta dai napoletani con grandeentusiasmo e quindi non sortì gli effetti

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desiderati. Intimorito dal perduraredelle rivolte il re decise di proclamare lostato d'assedio e di nominare comeprefetto e ministro della polizia donLiborio Romano. Questo pugliese astutoe spregiudicato non ci mise molto arendersi conto che le forze di polizianon bastavano per prendere in mano lasituazione; decise quindi di rivolgersiall'unica organizzazione in grado dimantenere l'ordine in città: la camorra.Mastro Tredici, Torè Crescenzo e altriimportanti nomi della malavita localefurono nominati a capo della miliziacittadina e, nonostante le violenzearbitrarie e le angherie perpetrare aidanni dei civili, riuscironoeffettivamente a sedare le rivoltepermettendo alla città partenopea dinon cadere nell'anarchia.Sul piano internazionale, l'Austria

accusava il Piemonte di essere ilprincipale mandante di Garibaldimentre Napoleone III, sempre piùpreoccupato degli avvenimenti che sistavano verificando e convinto che laconquista della Sicilia facesse parte deldisegno inglese di costruire una “Maltapiù grande”, fece pressione su Cavourperché fermasse l'avanzata di Garibaldi.Dal canto suo il Primo ministro

piemontese non desiderava affatto cheil generale nizzardo riuscisse ad arrivarea Napoli. Il suo progetto non eracambiato rispetto al passato e temevache Garibaldi, una volta conquistatotutto il Regno delle Due Sicilie, potesseproclamare la repubblica. Decise quindiche la cosa migliore da fare erafomentare una ribellione “spontanea”fra la popolazione napoletana primadell'arrivo dei garibaldini, in modo taleda permettere la creazione di ungoverno di moderati manovrato adistanza da Torino. Per fare ciò diedeattente disposizioni all'ammiraglioPersano, ordinandogli di attraccare aNapoli e di fare opera di corruzionedegli ufficiali duosiciliani e spianare la

strada al suo progetto. Nel contempo ilConte piemontese, sollecitato daNapoleone III, fece pressione su VittorioEmanuele II perché ordinasse aGaribaldi di fermarsi. Venne quindiinviata una lettera ufficiale in cui il Re diSardegna chiedeva al generale di nonsbarcare sul continente e conservare laposizione in Sicilia. A questo punto ci fuun altro colpo di scena: Garibaldi, congrande sorpresa di Cavour, decise didisobbedire agli ordini del sovrano e dicontinuare la sua impresa. Quello che ilPrimo ministro piemontese non sapevaperò era che assieme alla letteraufficiale in cui il Re chiedeva al generaledi arrestare l'avanzata, ne era statarecapitata un altra – segreta – doveinvece lo esortava a proseguire con leproprie truppe alla volta di Napoli.Vittorio Emanuele aveva stavolta decisodi disattendere le indicazioni del“grande tessitore” per perseguire il suopersonalissimo disegno di conquista.L'avanzata di Garibaldi dalla Calabria

non incontrò resistenze di rilievo, igenerali napoletani ordinavano laritirata e questo provocò non pochiincidenti nelle file dell'esercitoborbonico. La truppa e gli ufficiali piùgiovani, fedeli alla corona, iniziarono acontestare pesantemente i propricomandanti, e in qualche caso nonesitarono a passarli sotto il ferro dellearmi. Un esempio fra i tanti è quellodella sorte che spettò al generale FilenoBriganti che venne aggredito dai suoistessi uomini che gli rimproverarono diessersi arreso senza combattere: venneammazzato a fucilate e ne straziarono ilcadavere.Intanto a Napoli la situazione era

nuovamente sfuggita di mano, anche acausa della presenza di 3000bersaglieri al comando di Persanostazionati nel porto. In questaconfusione era Liborio Romano, graziealla camorra, a detenere il controlloeffettivo della città. Francesco II, dopo

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tanti tentennamenti prese la decisionedi assumere direttamente il controllodell'esercito (gli restavano ancoradiverse decine di migliaia di uominifedeli) e di lasciare Napoli per trasferirsia Gaeta e costruire una linea difensivatra le fortezze di Gaeta e di Capua e frai fiumi Volturno e Garigliano. Dopoappena due ore dopo la partenza delmonarca, Romano (che formalmenteera ancora un ministro dei Borbone)telegrafava a Garibaldi: “con maggiorimpazienza Napoli attende il vostroarrivo per salutare il redentore d'Italia emettere nelle vostre mani i poteri delloStato e i propri destini.”L'ingresso di Garibaldi in città, il 7

settembre, segnò l'inizio diun'amministrazione provvisoria con lostesso Liborio Romano, ora nella vestedi ministro garibaldino, ad occuparsidell'ordine pubblico; nuovamentesaranno i suoi buoni uffici con Toré DeCrescenzo a permettere alla camorra dioccuparsi della “sicurezza cittadina”,nell'attesa che Bixio arrivasse con ilgrosso delle camice rosse; in questofrangente i regolamenti di conti fracamorristi e funzionari di poliziadivennero quotidiani. L'amministrazioneprovvisoria di Garibaldi fu discutibileanche per quanto riguardava lagestione delle risorse economiche delloStato. Il giorno stesso del suo ingressoin città – con decreto firmato da sestesso – si attribuì pieni poteri suidepositi del Banco delle Due Sicilie. Almomento della conquista, le casse delRegno di Napoli erano quelle con lamaggiore quantità di denaro liquido fratutti gli Stati della Penisola: si parla dicirca 33 milioni di ducati, quantificabiliin 750 miliardi di odierni euro che nelgiro di pochi mesi sparirono nel nulla,dilapidati da una gestione decisamentescriteriata del denaro altrui.L'ambasciatore inglese a Napoli, SirElliot, in un rapporto al suo governo,parlava della gestione garibaldina in

questi termini: “ le condizioni del Paesesono le peggiori immaginabili. Tutti ivecchi soprusi continuano, a volteesagerati dai nuovi funzionari, i qualigettano in carcere la gente o la fannofustigare per il minimo sospetto, per ilpiù lieve indizio di cattiva condottapolitica, mentre i vari crimini rimangonoaffatto impuniti (…) esiste una spiccatainclinazione ad accaparrarsi le proprietàaltrui.”Nel frattempo l'esercito sabaudo varcò

i confini dello Stato Pontificio,naturalmente – come da prassi – senzauna formale dichiarazione di guerra, esi apprestava a raggiungere il Regnodelle Due Sicilie passando da terra. Allavigilia della battaglia “finale”, il 30settembre del 1860 le forze in camposul Volturno erano a favore deinapoletani: da un lato 28 mila soldati edall'altro 23 mila garibaldini, suposizioni svantaggiate rispetto alnemico. I borbonici erano assediati: asud c'erano i volontari in camicia rossadel generale nizzardo, a nord si stavaavvicinando velocemente VittorioEmanuele II alla guida del suo esercito.In effetti la battaglia fu molto dura, el'esito rimase incerto fino alla fine;Francesco II dal canto suo dimostròmolto più coraggio di quanto non sipotesse immaginare ma, dopo 12 ore egrazie ai rinforzi giunti da Napoli, lavittoria fu dell'esercito di Garibaldi. Sitrattò dell'ultima battaglia effettiva delgenerale nell'ambito della spedizionedei Mille; dell'assedio alla fortezza diGaeta, che durò per un centinaio digiorni, fino al febbraio dell'annosuccessivo, si occuparono direttamentele truppe piemontesi.La consegna diretta dei territori

“conquistati” da Garibaldi a VittorioEmanuele avvenne infine la mattina del26 ottobre, in una cittadina vicina aCasera, Teano. Questa fu la data chesegnò la fine ufficiale del Regno delleDue Sicilie. Quello che seguì dopo

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saranno un susseguirsi di rivolte localiche getteranno il Meridione d'Italia nelcaos e che diedero vita al fenomenonoto impropriamente con il nome di“brigantaggio”. Si trattava in realtà diuna vera e propria guerra di secessionecombattuta da ex militari borbonici e dalarga parte del popolo per acquistareindipendenza dal nuovo padrone,rivelatosi, in ultima istanza, peggioredel primo, perché più oppressivo emaggiormente crudele. Per sedare lerivolte continue vennero inviati oltre100 mila soldati piemontesi in piantastabile, che per oltre un decennioutilizzeranno violenza inaudita conesecuzioni sommarie e saccheggi neltentativo di ripristinare l'ordine nelMezzogiorno. Un modo decisamenteinsolito di trattare i propri “fratelliitaliani”.Molti dei militari napoletani che

decidettero di non indossare l'uniformeitaliana alla fine del conflitto furonodeportati in campi di prigionia inLombardia e in Piemonte. Alla fine del1861 si calcolava la presenza di circa 32mila prigionieri in condizioni disumane,dislocati fra le fortezze di Alessandria,Milano, Bergamo e nelle prigioni diFenestrelle e di San Maurizio Canavese.Per chi non si era schierato con i Savoiala punizione doveva essere esemplare;non c'era alcuna pietà, ne rispetto, perchi non collaborava e non abbracciavala causa dei nuovi padroni. Si trattò dellato più oscuro e vergognoso delRisorgimento, quello di cui è meglio nonparlare e quello su cui – in effetti – si èsempre taciuto.

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1866: IL PLEBISCITO TRUFFA IN VENETOQuante volte a scuola ci hanno

indottrinato dicendoci che il plebiscitodel 1866 in Veneto si svolse tra grandifesteggiamenti e in un clima di festa?Fu davvero così? La SerenissimaRepubblica era stata indipendente perpiù di un millennio e si accingeva apassare sotto il dominio italiano, i cuieserciti erano stati battuti "per terra",ma soprattutto "per mare", al grido di"Viva San Marco". Davvero il PopoloVeneto desiderava sottomettersi"festosamente" al conquistatore cheaveva sconfitto? E perché nonostante lasconfitta su tutti i fronti, l'Italia ottennecomunque il Veneto?A partire dal 1861, dopo la II guerra

d'indipendenza, l'Italia, ancora priva delVeneto, aveva iniziato a progettare laconquista delle Venezie per completarela tanto agognata unità. L'occasioned'oro intervenne nel 1865 quando laPrussia contattò l'Italia per condurreuna guerra parallela contro l'Austria.Spinta dalle pressioni della Francia,l'Italia concluse le trattative e stipulòun'alleanza militare. La Prussia assicuròche, in caso di vittoria, avrebbeottenuto il Veneto, ma non il Trentino,salvo che riuscisse a conquistarselo.Preoccupato dal reale pericolo di unnostro possibile, quanto probabile,voltafaccia, che sarebbe stato il primodi una lunga serie, Bismarck presel'iniziativa: il 12 giugno 1866 ruppe lerelazioni diplomatiche con l'ImperoAustriaco e il 16 giugno diede inizio allemanovre militari. Nonostante varierichieste di intervento da parte del capodel governo prussiano, diversamente daquanto previsto nel trattato, l'Italiadichiarò guerra con 4 giorni di ritardo.Come se non bastasse, l'inizio delleoperazioni militari subì altri 3 giorni diritardo, in quanto era sorta una disputatra i generali La Marmora e Cialdini, alla

testa rispettivamente di 12 e 8 divisionidell'esercito italiano, circa l'attribuzionedel comando dell'intera operazione. Ilpiano d'attacco era stato scrittoall'ultimo momento e conteneva unaserie di errori strategici che ebberoeffetti tragici.Le divisioni italiane al comando di La

Marmora, dopo una breve avanzata interritorio Veneto, furono fermate dagliaustriaci e, nella piana di Custozaricevettero una sconfitta colossale. Gliaustriaci, inferiori per numero e dopoaver subito perdite doppie rispetto aquelle degli italiani, rimasero fermi ailoro posti, mentre gli italiani fuggironooltrepassando il Mincio in una ritiratadisordinata. Nel frattempo i prussianistavano ottenendo schiaccianti successie i soldati austriaci impegnati nellaPianura Padana, ricevettero l'ordine ditornare in Patria per difendere Vienna.Tutto questo mentre Garibaldi, con lesue truppe mal equipaggiate, erariuscito a penetrare in Trentino earrivare, senza tante preoccupazioni,alla vista delle mura della città diTrento.Non andò meglio per mare il 20 Luglio

1866 dove, a Lissa, la Regia MarinaMilitare, notevolmente superiore inquanto a numero e qualità delle navi,venne sconfitta dalla Marina Austro-Veneta, comandata da Tegetthoff ilquale, nonostante fosse austriaco,impartì gli ordini ai marinai in LinguaVeneta. Dopo l'affondamento della Red'Italia, si levò un grido: "Viva SanMarco!". La cocente disfatta fu dovutaalla scarsa considerazione nutritadall'ammiraglio Persano nei confrontidei suoi subalterni; questa sfiducia eraadeguatamente ricambiata da questiultimi.Senza più un avversario contro cui

combattere, Cialdini stava intanto

DI FILIPPPO FRIGERIO

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penetrando nel Veneto e arrivò prestofino all'Isonzo, dove ricevette untelegramma che gli intimava difermarsi, in quanto la Prussia avevaconcluso un armistizio separato conl'Austria.Il trattato di pace, stipulato a Vienna il

3 Ottobre 1866, prevedeva, come darichiesta dello sconfitto ImperoAustriaco, che il Veneto non passassedirettamente nelle mani del Regnod'Italia, ma dovessero esserepreventivamente consultate lepopolazioni locali mediante unplebiscito. Nel frattempo il Venetosarebbe stato ceduto alla Francia.Benché il plebiscito fosse previsto il 21-

22 Ottobre 1866, 2 giorni prima, il 19Ottobre,nell'HotelEuropa sulCanal Grandedi Venezia,come riportanole fonti e anchemolti giornalidell'epoca, laFrancia, permano delGenerale LeBouef,consegnò ilVeneto nelle mani del CommissarioRegio. La cessione ufficiale del Venetoavvenne 2 giorni prima del plebiscito ela Francia rifiutò il suo ruolo di garanteinternazionale.Le operazioni di voto si svolsero in un

modo che, definire da regime totalitario,farebbe impallidire sia l'Italia fascistache il Terzo Reich nazista. La regioneera occupata, nel vero senso deltermine, da truppe italiane, che, in quelcontesto, erano truppe straniere eavrebbero dovuto vigilare sullaregolarità delle operazioni. Invece difare ciò, l'esercito si rese colpevole didiverse ingerenze: le fonti riportano chei militari fecero di tutto per assicurarsi

la più ampia collaborazione delleautorità cittadine e del clero affinché ilpopolo votasse compatto per l'unione al"tanto sospirato Regno d'Italia".Le elezioni si svolsero con il suffragio

universale maschile (si ricordi che lamaggiore età si acquisiva a 21 anni).Ammesse a votare erano, quindi, circa2.500.000 persone. La campagnaelettorale fu condotta mediantel'utilizzo di manifesti che intimidivano ilpopolo facendo credere che il voto al SIfosse un gesto di dimostrazione dilibertà mentre votare NO era davigliacchi. Il 15 luglio 1866 la "Gazzettadi Firenze scriveva: "Supponiamo unmomento che i Veneti si pronunziasseroper regno separato. Potrebbe l'Italia

permetterecotestadiserzione? Onon dovrebbeinvece ritenereper forza d'armiuna provinciache ènecessaria allapoliticaesistente dellanazione?". La"Gazzetta diVerona" del 17

Ottobre dice: "...SI vuol dire essereitaliano ed adempiere al voto dell'Italia.NO, vuol dire restare veneto econtraddire al voto dell'Italia". Alcunepersone che dichiaratamente sibattevano per il NO, furono prestomandate in esilio, salvo poi farlerientrare dopo la "vittoria" del SI nelplebiscito.Le schede elettorali erano 2: in una vi

era un SI grande con scritto sotto:"Dichiariamo la nostra unione al Regnod'Italia sotto il governo monarchicocostituzionale del Re Vittorio EmanueleII e de' suoi successori", mentre nellascheda del NO vi era solo scritto NO.Nel seggio elettorale vi erano due urne,

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una per il SI e una per il NO, poste su untavolo. L'elettore entrava nel seggio,pronunciava ad alta voce il suo nome econsegnava la scheda nelle mani delpresidente che la depositava nell'urna.C'erano due registri: in uno venivanosegnati i nomi dei votanti e nell'altrovenivano segnati i nomi di coloro chevotavano NO. Registri separati? Urneseparate? Che esempio di democrazia.Tutto si svolgeva sotto il controllo vigile

di un carabiniere in alta uniforme e diuna foto gigante del Re VittorioEmanuele II. Con un clima intimidatoriosiffatto, non stupisce il risultato, a dirpoco, bulgaro: 641.758 SI, 69 NO, 243NULLE; un simile risultato non si ricordanemmeno sotto i regimi totalitari più

feroci."Tutto si svolse con mirabile ordine e

fra universali manifestazioni di gioia",affermò nel 1966 Achille Saitta. Bastaleggere le, seppur esigue, fontidell'epoca per capire che i Venetivissero il plebiscito non come una gioia,ma come un'imposizione calata dall'altoe di cui si disinteressarono totalmente,riconoscendo che i giochi fossero giàfatti. A Valdagno, un paese in provinciadi Vicenza, alcune fonti riportano chemoltissimi contadini si rifiutarono diandare a votare convinti che nonservisse sprecare il tempo perché irisultati erano già decisi; preferirononon perdere una giornata che si potevadedicare al lavoro nei campi. Infatti su2.500.000 circa ammessi al voto è

significativo notare che votòeffettivamente solo il 25,5% circa dellapopolazione.Nel 1903 lo storico Luigi Sutto di

Rovigo, incaricato di raccogliere i datiper il Museo del Risorgimento, fecenotare che né i comuni né le prefettureavevano, o dicevano di avere, le schededel plebiscito. Dove sono finite leschede? Secondo il trattato, i seggidovevano trasmetterle alle prefetture,le quali poi avrebbero confermatol'efficacia o meno della votazione.Le "universali manifestazioni di gioia",

se anche ci fossero state, sarebberostate presto dimenticate dal PopoloVeneto oppresso dal regime fiscaledello Stato Italiano, da una mole diburocrazia e di forze dell'ordinesconosciuta sotto le precedenti gestionifrancese e austriaca. Basti pensare chele manifestazioni religiose, momento difesta paesana e fulcro della vitacittadina, furono annullate in quantopotenzialmente pericolose per l'ordinepubblico.La coscrizione obbligatoria, ossia il

reclutamento nelle forze armate deigiovani per un periodo di 6 anni,introdotta dal Regno d'Italia ed estesaanche al Veneto, privò le famiglie deigiovani forti che contribuivano al lavoronei campi, causando un impoverimentodelle condizioni di vita, già duramenteinasprite dall'aspra tassazione. Adaggravare la situazione, nel 1869 ilGoverno introdusse la tanto contestata"tassa sul macinato", la quale dovevaessere pagata direttamente al mugnaio.Considerando che l'alimentazione dellefamiglie era soprattutto fatta dallapolenta, la nuova imposta impoverìnotevolmente e ulteriormente lefamiglie stremate e contribuì adaccrescere la conflittualità sociale. Letensioni fecero scoppiare numeroserivolte a Thiene, S. Germano, Vicenza,Cavarzere, Cadore, Legnago, Polesine.Di queste manifestazioni non si trova

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traccia nella letteratura storica per lescuole. Qualcuno ha forse paura dellaverità?Oppressi, sfruttati e spremuti fino

all'osso, i nostri avi Veneti nontrovarono altra alternativa se non quelladi emigrare lontano dalla neo-patriache, secondo la storiografia ufficiale,avevano così festeggiato fino al giornoprima. Nel periodo 1876-1900,contrariamente a quanto si pensa,fuoriuscirono più emigranti dal Venetoche da tutte le altre regioni. L'arrivodegli italiani ebbe come direttaconseguenza la partenza dei Veneti: intotale ben 940.711 persone, una grossafetta della popolazione, cercaronofortuna altrove tra USA, Brasile,Argentina evia dicendo. InBrasileesistonoancora adessodei paesi edelle cittàfondate daiVeneti: NovaVicenza, NovaPadova e NovaBassano; inquestecomunità laLingua Venetaè ancoracorrentementeparlata.L'astio del Popolo Veneto, nei confronti

del conquistatore oppressore, loritroviamo anche in alcune filastroccheche vengono tramandate dalle fonti(scarse) dell'epoca:"Co san Marco comandava (quando

comandava San Marco)se disnava e se senava (si faceva

pranzo e si cenava)Soto Franza, brava gente (sotto la

Francia che era brava gente)se disnava solamente (si cenava

solamente)

Soto Casa de Lorena (sotto la casaLorena)non se disna e no se sena (niente

pranzo e niente cena)Soto Casa de Savoia (mentre sotto

Casa Savoia)de magnar te ga voja (di mangiar hai

solo voglia)."Oppure un altro detto molto famoso,

riguardo alla grande mole di emigranti:"Savoja, Savoja, intantonoaltri...andemo via... vaca troja..".La storia vera, quella attinta dalle

fonti, dimostra che i libri scolastici sonostati costruiti in modo da fornire unaricostruzione parziale e tesa adimostrare che gli eventi si svolsero trala gioia e le acclamazioni popolari, ma

non fu così. Fortunatamente, lastoriografia italiana non è riuscita acancellare tutte le tracce di quella chefu, a tutti gli effetti, una guerra diconquista di un territorio utileeconomicamente e prestigioso. Loscotto di quel periodo lo paghiamoancora oggi: siamo costretti a lavoraree a vedere i frutti delle tante fatichesottratti al nostro Popolo per mantenerechi è stato abituato a pretendere ericevere soltanto.

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DOMANDE & RISPOSTECHI SI CELAVA DIETRO L'IMPRESA GARIBALDINA?

Lo stesso Giuseppe Garibaldi – come confermal’avvocato Gustavo Raffi, odierno Gran Maestrodel Grande Oriente d’Italia – fuun’importantissima colonna portante dellaMassoneria preunitaria. Non ci appare dunquedifficile evidenziare i legami che la sua impresaebbe con gli ambienti massonici dell’epoca. Talicollegamenti non si fermarono solo“localmente” alle logge Siciliane e Calabresi,ma andarono ben oltre: lo sbarco e la relativaconquista del Regno Borbonico furonosupervisionati, e coadiuvati dall’impegno dellastessa Inghilterra. A largo di Marsala, nel 1860,vi erano le navi “Intrepid” e “H.M.S. Argus”, chebattevano bandiera inglese. Lo stessoGaribaldi, infatti, qualche mese prima della suaspedizione incontrò in Gran Bretagna irappresentanti della massoneria inglese e lipersuase a sostenere, militarmente edeconomicamente, l’impresa. Possiamo leggereciò da alcuni documenti storici. Per esempiouno, edito nel 1868 a Livorno con titolo “Roma,Napoleone III e i ministeri italiani sguardo al

passato e all'avvenire”, racconta «Senza l'aiutodi Palmerston, Napoli sarebbe ancoraBorbonica, senza I' Ammiraglio Mundy, nonavrei potuto giammai passare lo stretto diMessina». Queste parole sono a firma dellostesso “eroe dei due mondi”. Com’è possibile,dunque, che un esercito organizzato e diprofessionisti, come quello Borbonico, di ben25000 uomini a disposizione solo per il frontegaribaldino, abbia perso contro un contingentedi 1000 volontari? Ad esempio, fonti storiche citramandano che il Generale Landi, uno dei capidella milizia Borbonica in Sicilia, fu compratodagli inglesi con titoli di credito addirittura falsi.Prima che ovviamente potesse scoprirlo, diedeai suoi luogotenenti l’ordine di non combatterel’invasione. Inoltre l’impresa fu finanziata conuna somma spaventosa di “piastre turche”(equivalente a molti odierni milioni di euro),con i quali il generale nizzardo poté corromperegenerali, alti funzionari e ministri borbonici.Accadde dunque che il soldo sconfisse lalibertà di un popolo.COSA INTENDEVA CAVOUR PER ITALIA?

Cavour rese pubblico il suo disegno di un’Italiadivisa in tre autonome macroregioni (nord,centro e sud) ben prima degli accordi diPlombieres. Infatti nel 1846, quando era ancoraun emergente imprenditore agricolo e sindacodi Grinzane, parlava di un Nord Italia, affacciatosul Po, come una forte entità geopolitica dallavocazione europeista. Il territorio che andavada Torino a Venezia doveva essere, secondoCavour, valorizzato (Cavour parla di una fittarette ferroviaria) andando ad estendersi pianpiano fino all’Emilia e alle Marche.Fu però nel 1858 con gli Accordi di Plombieresche questa idea prendeva forma “ufficiale”:veniva lasciata a Napoleone III la possibilità diesercitare direttamente la propria influenza sulregno dell’Italia centrale (Stato Pontificio inaggiunta al Granducato di Toscana) e sul regnomeridionale, affidato a Luciano Murat, lontanocugino del sovrano francese. In cambio, Cavouravrebbe ottenuto il lasciapassare per costituireun regno del Nord, comprendente i territoridello stato sabaudo, il lombardo-veneto,l’Emilia e la Romagna. Per questo disegno,Napoleone III avrebbe ottenuto dal contepiemontese i territori di Nizza e la Savoia. Gliscopi dei due sottoscriventi eranodiametralmente opposti: con il Nord, Cavourcontava di poter giungere ad avere il totalecontrollo economico del mercato a sud dellealpi, mentre Napoleone III pensava chepossedendo, più o meno direttamente, l’Italiacentro-meridionale, avrebbe esercitato unafortissima influenza anche su Torino, andando,de facto, a costituire nell’odierna Italia unostato satellite di Parigi. Tutto il progetto sfumò

quando – con rivolte di tipo insurrezionale acavallo della Seconda Guerra d’Indipendenza –si palesò la indisponibilità di realtà comeFirenze a passare sotto il dominio francese.Napoleone III capì la difficoltà di realizzare undisegno in chiave francese (infatti la tradizioneparigina, centralista per antonomasia, eraincompatibile con la realtà italiana) desistettee, complice l’alto costo in vite umane dellaguerra, firmò l’armistizio di Villafranca. Primache ciò succedesse, come si può leggere inmaniera molto piacevole nel libro “Il Regno delNord” di A. Petacco, il progetto di Cavour, tantochiaro quanto perfetto nella sua essenza, simodificò, memore delle insurrezioni e dellatotale impossibilità di calare un progettototalmente dall’alto, cercando di spostarel’asse interlocutorio da Parigi alle medesimerealtà locali. Nel 1859 Cavour strinsesegretissimi accordi, prima della fine dellaSeconda Guerra d’Indipendenza, quando gliaccordi di Plombieres sembravano sfumati, conil governo borbonico: il Regno di Sardegnaavrebbe inglobato il Lombardo-Veneto, l’Emiliae la Toscana. Il Regno delle due Sicilie avrebbeannesso l’Umbria e le Marche, tolte allo Statodella Chiesa mentre Roma sarebbe diventatacapitale dell’Italia federale. Benché il pianofosse pronto ed attuabile, mancava soltantol’approvazione di Francesco II di Borbone, re diNapoli, che però, da devoto e timorato di Dioqual era, quando fu informato che il suo Regnosi sarebbe arricchito delle due regioni pontificiegridò al sacrilegio. E il piano andò in fumo. Quelche gli accordi non riuscirono a fare, lasciò ilpasso all’impresa dei Mille.

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QUALE RUOLO HA AVUTO LA MAFIA NEL CORSO DELRISORGIMENTO?L’impresa Garibaldina fu in gran parte aiutatadalla discesa sul campo di battaglia dipersonaggi quali i “picciotti” in Sicilia e i“lazzari” in Campania, delle sorte di “capibastone”, che guidavano delle masse inermi di«cafoni», contadini assoggettati al poterefeudale, ai quali paradossalmente venivapromessa una riforma agraria (dai generalidella spedizione) e soldi, protezione e lavoro(dai loro sfruttatori). «Garibaldi in Sicilia, dopolo sbarco delle sue mille camicie rosse, si videvenire incontro uomini con i mantelli neri, lebarbe e gli occhi neri, i fucili a due canne sullespalle. Erano uomini tristi, silenziosi, e astuti; inogni paese che Garibaldi conquistava, insiemealle migliaia di contadini, braccianti, infelici,che accorrevano a combattere per lui con lefalci e le roncole, egli si trovava accanto quegliuomini tristi, con i mantelli neri ed il fucile adue canne. Gli giuravano fedeltà per il nuovoStato italiano e gli chiedevano in cambio diproteggere la loro proprietà dalla rivoluzione, leloro case, i loro feudi» (G. Fava – Mafia 1982).L’organizzazione sociale in tal senso si richiamaa quella della futura mafia. Questi «cafoni»erano stati illusi che l’esito positivo dellaspedizione avrebbe dato loro un’imponenteriforma agraria, che, oltre che abolire la tassasul macinato ed abbassare i canoni per le terredemaniali, avrebbe ridistribuito equamente illatifondo; praticamente un sogno per i poveribraccianti. Man mano che però la conquista siestendeva, fra le milizie volontarie arruolateiniziarono a comparire criminali di ogni genere.Lo stesso Garibaldi in una nota storica scrisse:«Francesco Crispi arruola chiunque: ladri,assassini e criminali di ogni sorta». Il 2 Giugnodel 1860, necessitando di una carica da partedella popolazione intera che respingesse iborbonici dall’isola, firmò un falso decreto cheassegnava le terre demaniali ai contadini. Ai

“capi bastone” diede invece “pacchetti” diposti di lavoro nei futuri incarichi burocratici edistituzionali – promessi una volta cacciati iborbonici – che loro prontamente avrebberodistribuito ai loro subalterni. Fu questo ilperiodo in cui la malavita siciliana (e quellacampana poi) iniziò a saldare forti legami conle nascenti istituzioni. In molti credettero allapromessa e si riversarono nelle strade in unarivolta totale contro il regime borbonico che furespinto verso Milazzo. Garibaldi era semprepiù vicino all’Italia unita e i latifondisti-mafiosial controllo della popolazione, senza chequesta lo sapesse. Infatti una volta che igaribaldini occuparono l’isola con ilfondamentale aiuto di questi “picciotti”,Garibaldi si dimenticò delle promesse fatte aimiseri «cafoni», lasciandoli in una situazionepeggiore della precedente. Come emerse piùtardi, essi lottarono in nome della libertà, manon ottennero altro che l’assoggettamentosempre più profondo alla forza dei ricchilatifondisti. Questi ultimi infatti persuaseroGaribaldi a non firmare il decreto diliberalizzazione demaniale; in conseguenza aciò i contadini si riversarono nelle piazze. Ilgenerale nizzardo incaricò il suo braccio destroNino Bixio di reprimere nel sangue le rivolte (siveda la “strage di Bronte”). Garibaldi si rivelòessere quello in molti temevano: un generale alservizio degli inglesi e degli interessi dei grandilatifondisti. Appena pochi giorni dopol’inscenata “liberazione”, si palesava già lalontananza fra il nascituro stato centralista e lerealtà locali meridionali, ufficialmente in manoa Garibaldi, ma nella pratica, comandate dairicchi possidenti terrieri, che per mano dei“capi bastone” ridistribuivano denari, lavoro efavori. È dunque corretto affermare che laMafia si sviluppò in seno allo stato stesso,unica causa del suo più grande male.PERCHÈ NEL 1866 CI FU IL "PLEBISCITO-TRUFFA" IN VENETO?

Il 21 e 22 Ottobre 1866 si tenne un plebiscito,previsto dal Trattato di pace con l'ImperoAustro-Ungarico, per annettere i territorigrossomodo corrispondenti al Veneto attuale. Ilplebiscito fu preceduto da una serie di mossevolte a metterlo al riparo da un eventualerisultato negativo, una tra tutte l'espulsione digruppi di persone che dichiaratamente sibattevano per il NO, cosa già vista neiprecedenti plebisciti svoltisi in Toscana e nelleregioni Meridionali, per citare due esempi.Curioso è come furono allestiti i seggi: infatti viera, dietro il tavolo dove erano posizionateun'urna con la scritta grande SI e un'urna conla scritta NO, un carabiniere in alta uniforme e,sul muro, appesa una fotografia grande del ReVittorio Emanuele II. Vi erano due registri: inuno venivano annotati i votanti e nell'altro

coloro che votavano NO; inoltre le schede per ilvoto erano due, di differenti colori. Come èfacile intuire, il voto fu tutt'altro che libero esegreto. Infatti i SI furono 641.758, i NO 69 e leschede nulle 243. Un po' pochi se si pensa chela Serenissima Repubblica e sopravvissuta,indipendente, per più di un millennio.Veramente solo 69 persone hanno volutosottomettere la propria libertà in nomedell'annessione al Regno d'Italia? Dove sonofiniti tutti i soldati e i marinai di Custoza eLissa? Da segnalare, inoltre, che votarono circa642.000 su 2.500.000 di aventi diritto,corrispondenti a grossomodo il 25,5%. Diqueste schede elettorali, però, non vi è alcunatraccia. Dove sono finite le schede delplebiscito?

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COME SI È COMPORTATA LA STORIOGRAFIA ITALIANA NEICONFRONTI DELLA STORIA VENETA?

La storiografia Italiana si è comportata come ilMinitrue orwelliano, ossia ha sistematicamentetentato di cancellare o sminuire la storiamillenaria della Serenissima dai libri scolastici.Della battaglia navale di Lissa non vieneriportata la gravità della sconfitta, riassumibilenella celeberrima frase attribuita all'ammiraglioaustriaco Tegetthoff: “Uomini di ferro su navi dilegno avevano sconfitto teste di legno su navidi ferro”. Per paura di risvegliare lo spirito

comune dei popoli veneti, o per rendere menoevidente che le condizioni di vita dellapopolazione nel periodo pre-unitario erano benmigliori del periodo post-unità, la storiografiaitaliana ha fatto piazza pulita dello spirito edella storia di cui rimane un ricordo solo neilibri non scolastici e nella memoria di qualcheanziano che, pur non vivendo direttamente laSerenissima, ne ha sentito parlare dai suoipadri e nonni.PERCHÈ SONO EMIGRATI CIRCA 940.000 VENETI DOPO ILPLEBISCITO (ANCHE SE PASSÒ A LARGA MAGGIORANZA)?

Tra le prime misure introdotte nella neo-Italia,alla quale si era da pochi anni aggiunto ilVeneto, troviamo l'introduzione dellafamigerata "tassa sul macinato", la quale colpiduramente i contadini e le famiglie chebasavano la loro alimentazione sulla polenta(circa 1 kg al giorno a testa). Ogni famiglia eracostretta a sborsare all'incirca 20 lire all'anno inpiù, una cifra elevata per l'epoca, rispetto aglianni precedenti. La politica centralista eautoritaria dello Stato fu diretta a soffocarequalsiasi rimembranza del passato: le misurecon cui si confiscavano i beni ecclesiastici

tolsero quel carattere assistenzialistico aipoveri e ai non abbienti e l'introduzione dellaleva obbligatoria dei sei anni prelevarono dallecampagne Venete migliaia di giovani checontribuivano in maniera importante allacoltivazione di ciò che si mangiava in famiglia.Tutt'altro che entusiasti del processo unitario,nonostante la storiografia dica esattamente ilcontrario, fuoriuscirono 940.711 Veneti,corrispondenti al 17,9% circa degli “italiani”emigranti. Un dato che non sempre vieneriportato nonostante se ne abbia pienaconsapevolezza.COME LE SCELTE AMMINISTRATIVE SUCCESSIVE ALL'UNITÀ HANNOPORTATO AL FASCISMO?

L’avvento del fascismo è fortemente collegatoalla struttura centralizzata dello Stato e allavecchia Costituzione del Regno d’Italia: loStatuto Albertino, entrambi elementi cheaffondano le loro radici all’interno del processorisorgimentale. Nel 1861 si decise di respingerele proposte del ministro Minghetti cheprevedevano la creazione di forti autonomielocali, per abbracciare invece la scelta di creareun sistema fortemente accentrato, dove lesingole comunità erano obbligate ad eseguiregli ordini provenienti dal centro. Questoaccadde perché la classe politica di allorariteneva che fosse più facile controllare unterritorio molto diversificato con leggi uniche eper il timore che un modello federale erispettoso delle diverse culture sarebbe statopericoloso per l’unità del Paese. Il secondo

elemento riguarda invece lo Statuto Albertino:questa Costituzione, a differenza delle altrecarte liberali di quel periodo, prevedeva per ilsovrano forti poteri, fra i quali quello dinominare, a sua discrezione e senza vincoli,chiunque egli ritenesse valido per la carica diPresidente del Consiglio. Il forte accentramentoamministrativo e politico permise la nascita diforze come il partito fascista in quanto iterritori non avevano una vera rappresentanzanel Parlamento; lo Statuto Albertino invecerese perfettamente legale la decisione diVittorio Emanuele III di assegnare pieni poteri aMussolini dopo la Marcia su Roma. Il fascismo,nel corso del Ventennio, provvederà poi arafforzare ulteriormente con figure come ilprefetto, il sistema di controllo del centro sullecomunità locali.COME CONCILIATE REALTÀ PREUNITARIE CON L'IDEA DI PADANIA?

E’ vero che, nel corso della storia, il Nord èstato a sua volta frammentato in diverse entitàstatali autonome. Ma è altrettanto vero chedurante i 1500 anni di divisione, questi Statihanno sempre interagito fra loro con grandefrequenza e certamente in misura moltomaggiore rispetto a quanto non avvenisse con

la parte meridionale della Penisola. Le riprovesono rintracciabili nelle testimonianze e nellereazioni dei primi viaggiatori che, adunificazione compiuta, percorrevano per laprima volta il Paese da Nord a Sud. E’ veroinoltre che, nel corso del tempo, ci furonocontrasti tra i diversi Stati della Val Padana, ma

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CHE EFFETTI NEGATIVI PORTÒ L'UNITÀ D'ITALIA PER IL NORD?Nei 150 anni di storia unitaria dell’Italia, acausa delle scelte scellerate in campo politico,amministrativo ed economico, la spaccatura fraNord e Sud del Paese si è accentuataassumendo proporzioni uniche in tutto il mondooccidentale. Per quanto riguarda il Nord glieffetti più negativi si sono avuti certamente nelcampo economico. L’inefficienza e ilclientelismo del sistema politico nel Meridionehanno portato, nel corso del tempo, ad unosperpero sempre maggiore di risorse, causandoun enorme debito pubblico. I governi romani,dal canto loro, non hanno fatto nulla permutare la situazione, hanno anzi ottenuto diaggravarla ulteriormente. Per non combatterele mafie che impedivano (e impediscono)qualsiasi forma di sviluppo economico, ma altempo stesso garantire livelli decenti di vita al

Meridione con l’assistenzialismo, hannoaumentato in maniera esponenziale il livellodelle tasse al Nord. Con questi soldi, prodotti esottratti alla Padania, i diversi governi hannocreato un sistema parassitario e ingiusto chevive e si nutre del lavoro di altre persone. Leconseguenze sono state gravi per ilSettentrione: mancanza di fondi per le opereinfrastrutturali e per i servizi che spetterebberodi diritto ai cittadini. Oltre a ciò, il sistemapolitico ha trasformato nel tempo la pubblicaamministrazione in un immensoammortizzatore sociale per diminuire ladisoccupazione al Sud; questo ha avuto comerisultato, oltre alle sue spropositate dimensioni,una sistematica discriminazione dei cittadinidel Nord nei concorsi pubblici, dai livelli piùumili a quelli dirigenziali.CHE EFFETTI NEGATIVI PORTÒ L'UNITÀ D'ITALIA PER IL SUD?

L'Unità d'Italia fece sentire i suoi funesti effettianche sulle regioni meridionali. La coscrizioneobbligatoria di minimo 5 anni, si vedano aquesto proposito i Malavoglia di Verga, strappòmolti giovani dalle loro famiglie, costringendolea sacrifici economici difficilmente sostenibiliall'epoca. Coloro che si rifiutarono di partireandarono ad ingrossare le fila dei cosiddettibriganti. Inoltre la filosofia del libero mercato,applicata indistintamente a regioni moltoindustrializzate, come la Lombardia, e a regionimolto più arretrate come il Mezzogiorno, fece sìche la concorrenza estera annientasse quellepoche avventure industriali esistenti nel Sud,caratterizzate da prezzi decisamente pococompetitivi. La tassazione e il nuovo regimefinanziario, applicato senza tener conto delledifferenze esistenti tra le varie realtà, causò un

impoverimento senza precedenti. Migliaia difamiglie furono costrette ad emigrare e quelliche rimasero furono costrette a darsi albrigantaggio. Approfittando di alcune rivoltescoppiate in quei tempi (ad esempioCastellammare del Golfo in Sicilia il 1° Gennaio1862) le autorità piemontesi, attraversoaddirittura la proclamazione dello Statod'Assedio in tutto il Mezzogiorno, stroncarononel sangue le manifestazioni di malcontentodel popolo. Più preoccupato del brigantaggio insé che della risoluzione dei problemi per cuiesso era così presente e radicato nellastruttura societaria del Mezzogiorno, il Senatodel Regno emanò una legge che istituiva unaspesa supplementare di 230.000.000 lire(dell'epoca) per l'acquisto di armamenti per laGuardia Nazionale.

non si possono scordare anche collaborazioniimportanti di fronte all’esigenza di difendersi danemici esterni, come nel caso della Legalombarda e della Lega veronese. A voler benvedere il Settentrione ha avuto molti periodi diunità, con i longobardi, sotto il Sacro RomanoImpero, con la Repubblica cisalpina prima e conil napoleonico Regno d’Italia (che nonostante ilnome comprendeva solo il Centro-Nord). Ma piùimportante, la Valle del Po, fu la culla di unparticolare modello politico che per diversisecoli risultò vincente: si trattava del sistemacomunale che accumunò tutta la partesettentrionale del Paese (e parte di quellacentrale) e che costituiva qualcosa di inedito e

assolutamente originale per l’epoca: unsistema che, nel buio del feudalesimo,garantiva libertà uniche in Europa e risultavamolto vicino alle antiche democrazie delle Polisgreche. E’ dalla civiltà comunale che nascequel senso civico che accomuna e rende unitanegli interessi e nella mentalità quella che oggichiamiamo Padania, come fu notatodall’americano Robert Putnam nel suo studiodegli anni 80 sulle regioni italiane . Oltre a ciònon si possono scordare il ceppo linguisticocomune (quello delle cosiddette Lingue gallo-romanze) e un sistema economico e di scambicommerciali che già nel 700 apparivaomogeneo.

COME HA INFLUITO IL PROCESSO DI UNIFICAZIONE SULL'IMMAGINEITALIANA?

«L’uomo non aveva valore, riferendosi alMedioevo, se non come membro di unafamiglia, di un popolo, di un partito, di unacorporazione, di cui quasi interamente viveva

la vita. L’Italia è la prima a squarciare questovelo e a considerare lo Stato e tutte le coseterrene da un punto di vista oggettivo; ma altempo stesso si sveglia potente nell’italiano il

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QUALI SOLUZIONI PROSPETTATE?La soluzione è una sola: il federalismo, fiscaleed istituzionale. Non esiste altro sistema persalvare il Paese. Se questo non verrà applicatoè probabile che lo Stato, alla fine, si spaccheràda solo. Il federalismo rappresenta la soluzionepiù naturale per un Paese con tante differenzeinterne come l’Italia. Cavour, Cattaneo,Minghetti e molti altri avevano capito giàall’epoca dell’unificazione che l’unica via peruno sviluppo sano dell’Italia passava dalfederalismo. Ogni territorio deve poter

mantenere le proprie tasse dove sono stateprodotte ed avere la possibilità di esercitarel’autogoverno. Più l’istituzione è vicina alcittadino e meglio funziona. Questo servirà nonsolo al Nord, ma anche al Sud che in questamaniera potrà responsabilizzarsi e risolvere isuoi problemi. Il federalismo rappresenta laforza di governo più evoluta e rispettosa delledifferenze, lo riprova il fatto che tutti gli statipiù civili e progrediti del mondo, hannoadottato un sistema federale.ANALISI ECONOMICA DELLE CONSEGUENZE DEL PROCESSOUNITARIO

Il processo unitario in sé comporto delle spesestraordinarie che furono finanziate medianteprestiti contratti dal Piemonte, il qualespremette la neo-Italia con una pesantissimatassazione al fine di far fronte ai debiti. Ciòebbe come conseguenza quella di far diminuirele risorse destinante alla crescita. Cosi facendo,le importazioni, nel primo triennio unitario,aumentarono del 14,5% mentre l'export feceregistrare un aumento solo del 3,3%, conconseguenze ben note per quanto riguarda ilDebito Pubblico. Un'inchiesta promossa dallaCamera e affidata a Stefano Jacini dimostro chel'Italia era ancora molto arretrata sotto il profilodello sviluppo agricolo e industriale. Vicino a

realtà allineate agli esempi virtuosi europei estatunitensi, come il Nord Italia, esistevanorealtà dove i governatori locali avevano pauradi qualsiasi cambiamento che intaccasse iprivilegi pseudo-feudali dei signori locali, comela Sicilia e in generale le regioni delMezzogiorno. Il PIL era composto al 50% diproventi derivanti dall'agricoltura, la quale erapraticata con tecniche obsolete e pocoredditizie. Ciò espose l'Italia ai gravi effettidella crisi agricola europea del 1881 ed ebbecome conseguenza diretta l'accentuarsi delflusso migratorio diretto soprattutto verso leAmeriche.

sentimento di sé e del suo valore personale osoggettivo: l’uomo si trasforma nell’individuo, ecome tale si afferma» (J. Burckhardt). L’Italiapre-risorgimentale godeva di notevole prestigionel vecchio continente: faro di cultura, disapienza, di arte. Le differenze nazionali fra levarie realtà della penisola avevano valorizzatoegregiamente la competizione e ne erano nateforme artistiche e sociali senza paragoni inEuropa. L’Italia fu un punto di riferimento nelRinascimento, e anche successivamente, per laforza della tradizione, rimase un’area peculiaredi genesi artistiche particolari e senza paragoni

nell’Europa. Il processo unitario, andando acreare uno stato fortemente centralista, erosela possibilità che vi fosse competizione fra glistati e di conseguenza quell’evoluzione cheavrebbe consentito al paese di rimanerenell’Europa civile. La nascita delle mafie, lescellerate politiche fiscali, estere e di welfare,l’emigrazione forzata nell’ottica di creare gliitaliani (a detta di D’Azeglio), ha contribuito acreare l’immagine dell’italiano all’estero, nonpiù faro di cultura, ma “pizza, mandolino emafia”.

DIFFERENZA TRA STATO E NAZIONEI concetti di Stato e di Nazione vengono spessoconfusi e utilizzati come sinonimi, ma ciò non èesatto. In diritto pubblico Stato e Nazionepossono coincidere, ma questo non è semprevero. Lo Stato rappresenta l’apparatoistituzionale mentre la Nazione è daconsiderarsi in realtà come il complesso dipersone che hanno in comune la storia, lacultura, la lingua e più in generale unsentimento di “comune identità”. Esistono Statiche si possono definire come “plurinazionali”,perché vantano differenti tradizioni al propriointerno, come ad esempio la Svizzera o ilCanada e questo genere di modelli si configura

normalmente come Stati federali. Nonostantel’Italia sia unita da 150 anni, non si possonocancellare 1500 anni di divisione che hannogenerato storie e tradizioni differenti nellediverse aree del Paese. Non riteniamo quindiimproprio parlare, anche per l’Italia, di “realtàplurinazionale”, perché se è vero che tutti oggiparliamo la medesima lingua (fino a pochidecenni fa però non era così), è altrettantovero che abbiamo tutti percorsi, usanze eabitudini diverse. Nel 2011 quindi non sicelebra certamente l’unità di una Nazione, masolo la nascita di uno Stato.

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CAMERA DEI DEPUTATI: La Camerasarà l'organo politico e sarà costituitoda 518 deputati (oggi sono 630), di cui18 eletti nelle circoscrizioni estere, oltreai deputati a vita, nominati dal capodello Stato, che potranno essere almassimo tre. Di diritto gli ex presidentidella Repubblica. L'età minima peressere eletti scende a 21 anni (adesso è25). La Camera è eletta per cinque anni.Le Commissioni d'inchiesta istituitedalla Camera avranno gli stessi poteridell'autorità giudiziaria; la loropresidenza sarà assegnataall'opposizione.SENATO FEDERALE: I senatori saranno

252 (oggi sono 315), eletti in ciascunaRegione insieme all'elezione deirispettivi consigli regionali. A questonumero si sommeranno i 42 delegatidelle Regioni, che partecipano ai lavoridel Senato federale senza diritto divoto: due rappresentanti per ogniregione più due per le Provinceautonome di Trento e Bolzano. Saràeleggibile chi ha 25 anni (oggi 40 anni).Con la proroga dei Consigli regionali edelle province autonome sono prorogatianche i senatori in carica.CAPO DELLO STATO: Il presidente della

Repubblica non è più il rappresentantedell'unità nazionale, ma «rappresenta laNazione ed è garante della Costituzionee dell'unità federale della Repubblica».Sarà eletto dall'Assemblea dellaRepubblica, presieduta dal presidentedella Camera dei deputati e compostada tutti i parlamentari, i governatori e idelegati regionali. Può diventarepresidente della Repubblica chi hacompiuto 40 anni (oggi 50). Il capo delloStato è eletto a scrutinio segreto con lamaggioranza dei due terzi dei

componentil'Assemblea della Repubblica. Dopo ilterzo scrutinio è sufficiente lamaggioranza dei tre quinti deicomponenti. Dopo il quinto scrutinio èsufficiente la maggioranza assoluta. Ilcapo dello Stato indice le elezioni dellaCamera e quelle dei senatori. Nomina ipresidenti delle Autorità indipendenti, ilpresidente del Cnel e il vicepresidentedel Consiglio superiore dellamagistratura (Csm) nell'ambito deicomponenti eletti dalle Camere.PREMIERATO: Non c'è più il presidente

del Consiglio, ma il Primo ministro.Nomina e revoca i ministri (adessospetta al capo dello Stato, su propostadel premier), determina (e non più«dirige») la politica generale delgoverno e dirigerà l'attività dei ministri.Il Primo ministro non dovrà più ottenerela fiducia dalla Camera, ma dovràsoltanto illustrare il suo programma sulquale la Camera dei deputati esprimeràun voto. Inoltre potrà porre la questionedi fiducia e chiedere che la Camera siesprima «con priorità su ogni altraproposta, con voto conforme alleproposte del governo». In caso dibocciatura deve dimettersi. Il Primoministro viene eletto mediantecollegamento con i candidati ovverocon una o più liste di candidati, normache consente l'adattamento sia alsistema maggioritario che a quelloproporzionale.NORMA ANTI-RIBALTONE E SFIDUCIA

COSTRUTTIVA: In qualsiasi momento laCamera potrà obbligare il Primoministro alle dimissioni, conl'approvazione di una mozione disfiducia firmata almeno da un quintodei componenti (ora è un decimo). Nel

DI LUCIO BRIGNOLI

COSA PREVEDEVA LA DEVOLUTION,BOCCIATA NEL REFERENDUM DEL 2006?

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caso di approvazione, il Primo ministrosi dimette e il presidente dellaRepubblica decreta lo scioglimento dellaCamera. Il Primo ministro si dimetteanche se la mozione di sfiducia è statarespinta con il voto determinante dideputati non appartenenti allamaggioranza espressa dalle elezioni.Garante di questa maggioranza sarà ilpresidente della Repubblica, cherichiederà le dimissioni del Primoministro anche nel caso in cui per il votofavorevole a una questione di fiduciaposta dal Primo ministro sia statadeterminante una maggioranza diversada quella uscita dalle urne. Entra inCostituzione anche la mozione disfiducia costruttiva: i deputatiappartenenti alla maggioranza uscitadalle urne, infatti, possono presentareuna mozione di sfiducia con ladesignazione di un nuovo Primoministro. In tal caso il premier in caricasi dimette e il capo dello Stato nomina ilPrimo ministro designato nella mozione.DEVOLUTION: Le Regioni avranno

potestà legislativa esclusiva su alcunematerie come assistenza eorganizzazione sanitaria; organizzazionescolastica, gestione degli istitutiscolastici e di formazione, salval'autonomia delle istituzioni scolastiche;definizione della parte dei programmiscolastici e formativi di interessespecifico della Regione; poliziaamministrativa regionale e locale.Tornano a essere di competenza delloStato la tutela della salute, le grandi retistrategiche di trasporto e di navigazionedi interesse nazionale, l'ordinamentodella comunicazione, l'ordinamentodelle professioni intellettuali, laproduzione, il trasporto e ladistribuzione nazionali dell'energia,l'ordinamento di Roma; la promozioneinternazionale del made in Italy.ITER LEGISLATIVO: La Camera esamina

i disegni di legge riguardanti le materieche il nuovo articolo 117 affida allalegislazione esclusiva dello Stato. Dopol'approvazione il Senato federale puòproporre modifiche entro trenta giornisulle quali sarà comunque la Camera adecidere in via definitiva. All'Assembleadi Palazzo Madama spetterà l'esame ela parola definitiva, invece, suiprovvedimenti riguardanti le materieconcorrenti. Le questioni di competenzatra le due Camere sono risolte daipresidenti delle Camere o da uncomitato paritetico, composto daquattro deputati e da quattro senatori,designati dai rispettivi presidenti. Ladecisione dei presidenti o del comitatonon è sindacabile in alcuna sede. Peralcune materie comunque resta ilprocedimento bicamerale. In caso didisaccordo tra le due Camere, il testosarà proposto da una commissione,composta da trenta deputati e da trentasenatori, convocata dai presidenti delleCamere, e sottoposto al voto finaledelle Assemblee.CLAUSOLA DI ESSENZIALITÀ: Se il

governo ritiene che proprie modifiche aun disegno di legge, sottopostoall'esame del Senato, siano essenzialiper l'attuazione del suo programmaapprovato dalla Camera, il presidentedella Repubblica, verificati i presupposticostituzionali, può autorizzare il Primoministro a esporne le motivazioni alSenato federale che decide entro trentagiorni. Se tali modifiche non sonoaccolte dal Senato, il disegno di legge ètrasmesso alla Camera dei deputati chedecide in via definitiva a maggioranzaassoluta dei suoi componenti sullemodifiche proposte. I disegni di leggedel governo avranno comunque una viapreferenziale nel calendario dei lavoridelle Camere. Se l'esecutivo lo richiede,verranno iscritti all'ordine del giorno evotati entro tempi certi.

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PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ: LaRepubblica è costituita dai Comuni,dalle Province, dalle Cittàmetropolitane, dalle Regioni e dalloStato, che esercitano le loro funzionisecondo i principi di lealecollaborazione e sussidiarietà.FEDERALISMO FISCALE: Entro tre anni

dalla data di entrata in vigore dellalegge di riforma costituzionale saràassicurata l'attuazione del federalismofiscale. Sono fissati dei limiti per cui innessun caso l'attribuzionedell'autonomia impositiva alle Regioni,alle Province, alle città metropolitane eai Comuni può determinare unincremento della pressione fiscalecomplessiva. Inoltre, viene inserito ilconcetto di sussidiarietà fiscale: ilcittadino su alcune spese come aesempio quelle di mantenimento deifigli, invece di pagare le tasse perrichiedere poi il rimborso a livelloregionale, può detrarle direttamentedalla dichiarazione dei redditi.CORTE COSTITUZIONALE: Aumentano i

giudici di nomina parlamentare nellaCorte Costituzionale. La Consulta saràcomposta da 15 giudici: quattronominati dal presidente della

Repubblica, quattro dalle suprememagistrature ordinaria eamministrative; tre giudici sononominati dalla Camera dei deputati equattro dal Senato federale dellaRepubblica integrato dai governatori. Èprevisto che, concluso il mandato, neisuccessivi tre anni non si possanoricoprire incarichi di governo, carichepubbliche elettive o di nominagovernativa o svolgere funzioni inorgani o enti pubblici individuati dallalegge.CSM: I componenti del Csm, oltre a

quelli eletti per due terzi da tutti imagistrati ordinari tra gli appartenentialle varie categorie, sono eletti per unsesto dalla Camera dei deputati e perun sesto dal Senato federale dellaRepubblica tra professori ordinari diuniversità in materie giuridiche eavvocati dopo quindici anni di esercizio.La Costituzione attualmente, invece,prevede che siano eletti per un terzodal Parlamento in seduta comune. Ilpresidente della Repubblica nomina ilvice presidente del Csm nell'ambito deicomponenti eletti dalle Camere.Il testo completo della riforma:http://bit.ly/devsenato2006

RISULTATI DEL REFERENDUM:

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Il cammino del federalismo fiscaleinizia con l'approvazione del disegno dilegge delega, da parte del Consiglio deiministri dell'11 settembre 2008. Ladelega diventerà legge l'annosuccessivo (legge delega n.42 del 5maggio 2009).Dalla legge delega sono scaturiti 8

decreti attuativi:1. Federalismo demaniale2. Fabbisogni standard3. Federalismo municipale4. Autonomia tributaria di regioni e

province5. Perequazione e rimozione squilibri6. Sanzioni e premi per regioni,

province e comuni7. Armonizzazione sistemi contabiliIL CONTESTO DELLA RIFORMAIl federalismo fiscale mira a dare

attuazione all'art.119 della Costituzioneche sancisce l'autonomia finanziaria dientrata e di spesa per i Comuni, leProvince, le Città metropolitane e leRegioni. L'attuazione dell'art.119completa il processo di revisionecostituzionale contenuto nella leggecostituzionale n.3 del 18 ottobre 2001(riforma del Titolo V della Costituzione)che ha dato un nuovo assetto alsistema delle autonomie territoriali,collocando gli enti territoriali al fiancodello Stato come elementi costitutividella Repubblica come recita l'art. 114della Costituzione (Comuni, Province,Città metropolitane, Regioni e Statohanno pari dignità, pur nella diversitàdelle rispettive competenze).PROCEDURA DI ADOZIONE DEI

DECRETI ATTUATIVI (Fonte: Camera deideputati)

La legge n. 42/2009delinea la procedura di adozione edesame parlamentare dei decretilegislativi attuativi, fissando il termineper l’adozione di almeno uno di essientro dodici mesi dalla data di entratain vigore della legge stessa (21 maggio2009) e in ventiquattro mesi il terminegenerale per l’adozione degli altridecreti. Entro il 30 giugno 2010, ilGoverno è chiamato a trasmettere alleCamere la relazione contenente datisulle implicazioni e le ricadute dicarattere finanziario conseguentiall’attuazione della delega, nel qualefornire un quadro generale delfinanziamento degli enti territoriali esulla struttura dei rapporti finanziari trai diversi livelli di governo. La relazione èstata presentata alle Camere il 30giugno 2010.Gli schemi di decreto, ciascuno dei

quali deve essere corredato di unarelazione tecnica che ne evidenzi glieffetti finanziari, sono adottati dalGoverno, previa intesa in sede diConferenza unificata Stato-regioni-autonomie locali e successivamentetrasmessi alle Camere per l’espressionedel parere da parte: della Commissionebicamerale; delle Commissioniparlamentari competenti per i profilifinanziari (vale a dire le Commissionibilancio delle due Camere).All’adozione dei decreti si può peraltro

procedere anche qualora non vengaraggiunta l’intesa in sede di Conferenzaunificata: in tal caso, e trascorsi trentagiorni dalla prima seduta dellaConferenza in cui gli schemi di decretolegislativo sono posti all’ordine delgiorno, il Consiglio dei ministri puòcomunque deliberare la trasmissionealle Camere, approvando

DI LUCIO BRIGNOLI

COSA PREVEDE IL FEDERALISMOFISCALE OGGI, NEL 2011?

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contestualmente una relazione in cuivengono motivate le ragioni per cuil’intesa non è stata raggiunta.Sia la Commissione bicamerale che le

Commissioni bilancio sono chiamate aesprimersi entro 60 giorni (prorogabili diulteriori 20 giorni) dalla trasmissione deitesti; decorso tale termine, i decretipossono essere comunque adottati. E’inoltre prevista l'ipotesi in cui il Governonon intenda conformarsi ai pareriparlamentari: in tal caso esso trasmettenuovamente gli schemi alle Camere conle relative osservazioni ed eventualimodificazioni, rendendo a tal finecomunicazioni davanti a ciascunaCamera; trascorsi 30 giorni da taletrasmissione, i decreti legislativipossono essere adottati.

Il 2 marzo 2011 la Camera deiDeputati ha approvato in viadefinitiva il decreto legislativo sulfederalismo municipale con 313voti a favore (Lega Nord e Popolodella Libertà), 291 voti contrari(Partito Democratico, Italia deiValori, Unione di Centro e FuturoLibertà) e 2 astenuti.Il 31 marzo 2011 il Consiglio dei

Ministri ha approvato il decretolegislativo sul FederalismoRegionale.Il sito del Governo:http://bit.ly/fedfiscgoverno2011

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BIBLIOGRAFIA

Storia senza gloria ~ Le verità nascoste del Risorgimento

RINGRAZIAMENTIDesideriamo ringraziare tutti coloro che a vario titolo ci hanno permesso di

portare a termine questo lavoro: il Coordinamento Federale dell'MSP (EmanueleMonti, Francesca Manzotti, Lucio Brignoli e tutti coloro che, per brevità, nonpossono essere qui citati) per averci dato l'idea di realizzare il phamplet. Unringraziamento davvero particolare a Federica Epis per averci aiutato con laricerca delle fonti e nella correzione dell'elaborato e a Samuel Sottoriva perl'aiuto fondamentale nella ricerca delle fonti per quanto riguarda le parti dedicateal Veneto. Ringraziamo inoltre il Coordinamento Federale del Movimento GiovaniPadani per l'entusiasmo e per il sostegno dimostratoci, in particolare ilCoordinatore Federale Paolo Grimoldi.Infine, ma non certo per importanza, ci pare doveroso ringraziare tutti coloro

che pazientemente leggeranno questo documento, il quale non si prefigge altroobiettivo che quello di essere un paladino al servizio della verità storica e dellalettura critica di un periodo tanto importante quanto oscuro quale è ilRisorgimento.