VERITÀ NASCOSTE Il diavolo veste isis IL DIAVOLO... · 2018. 5. 18. · Questo libro è una...

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VERITÀ NASCOSTE 47 PICCOLA BIBLIOTHIKI Il diavolo veste isis

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  • VERITÀ NASCOSTE

    47PICCOLA

    BIBLIOTHIKI

    Il diavolo veste isis

  • Sarantis Thanopulos

    Il diavolo veste Isis

    Asterios EditoreTrieste, 2018

    Lo straniero di casa nostra

    Prefazione di Tommaso Di Francesco

  • Prima edizione nella collana PB: Febbraio 2018© Sarantis Thanopulos 2017

    © Asterios Abiblio editore 2017posta: [email protected]

    www.asterios.itI diritti di memorizzazione elettronica,

    di riproduzione e di adattamento totale o parzialecon qualsiasi mezzo sono riservati.

    Stampato in UE.

    ISBN: 978-88-9313-069-1

  • Indice

    Prefazione, 9Premessa, 13

    La crisi dell’europa, 17Prigionieri dell’estraniazione, 45

    Il diavolo veste Isis, 61L’ospite ingrato, 85Nota conclusiva, 101

  • Prefazione

    In extremis

    E adesso come faremo senza l’Isis, ora che a Raqqa e aMosul lo Stato islamico, il “cancro” e il “diavolo” chehanno insidiato la nostra tranquillità di cittadini cristia-no-occidentali, sembra essere stato estirpato, bruciato,in una parola sconfitto? Come faremo senza quel nemicocomune, per tanto tempo creato, cercato e poi infine tro-vato che, da scheletro nell’armadio e alleato fantasmalontano, è stato capace di inverarsi per raggiungerci inuna vicina scia di terrore? È la domanda provocatoria chela ricerca di Sarantis Thanopulos, lancia come un sassonello stagno con questa cronaca dal profondo “Il diavoloveste Isis. Lo straniero di casa nostra”. Questa è una raccolta selezionata e rielaborata, suddi-

    visa in quattro capitoli (La crisi dell’Europa; Prigionieridell’estraniazione; Il diavolo veste Isis; L’ospite ingrato)della sua testimonianza di scavo tra le viscere dell’attua-lità che prende il titolo di “Verità nascoste”, la rubrica chesettimanalmente compare da molti anni sulle pagine de ilmanifesto in una originale e sferzante presa di parola chesi propone come specchio delle nostre estraniazioni.Offrendo un “trattamento” che sceglie ogni volta di leg-gere la cronaca più minuta e l’attualità delle crisi inter-nazionali attraverso l’indagine delle psicopatologie indi-viduali e collettive.

  • SARANTIS THANOPULOS. IL DIAVOLO VESTE ISIS10

    Il periodo prescelto va dal 2014-15 alla fine del 2017, nona caso quello che mostra i sintomi della perdita di sensodell’Europa, che veniva ideologizzata come “felix”, mentreemerge la paura come sentimento dominante, riflessonegativo delle difficoltà che incontra il cambiamentonecessario, e che sfocia in una situazione di instabilitàduratura e improvvisa, rendendo il futuro imprevedibile. L’autore fa appena in tempo a tranquillizzarci “…ai

    nostri occhi appare come ovvio che il cancro Isis vadaestirpato”, per restituirci subito un’amara verità cheemerge, dopo anni di consumata e rassegnata stagione diguerre “nostre”: “…Che poi si pensi che la chirurgia possada sola eliminare il pericolo di recidive o di metastasi, l’e-sperienza ci dice che non sia prudente. Soprattutto se ilcancro situato ai confini tra Iraq e Siria è la metastasi diun tumore primario che alloggia nell’Occidente”. Perché,in quale emisfero è nato e viene coltivato davvero l’odioper l’altro, per il diverso? Quali e quante guerre lontaneabbiamo alimentato con mostruose economie di scala, pervedercele tornare a profitto? Quante stragi hanno cancel-lato-destabilizzato Stati, terremotato equilibri storici etni-co-religiosi, e soprattutto azzerando generazioni, perchépoi tornassero tutte a chiederci ragioni sotto forma diumana furia, non tanto vendetta, ma fuga e migrazione?Quante strumentalità violente e terroristiche abbiamoarmato in giro per il mondo a tornaconto della nostra pro-gettuale ed economica serenità occidentale?Le domande sono infinite e infinitamente cogenti.

    Proprio ora che l’ossessione del bombardamento media-tico annuncia che è la guerra ad essere finita. Che in real-tà finita non è mai, perché si riproduce a mezzo di odio edi pregiudizio. Si alimenta in quella radicata volontà diesclusione dell’altro e del diverso che sempre più vieneproposta ormai come fondamento della nostra civiltà.Dove i fantasmi interiori hanno preso consistenza eforma politica nello spazio pubblico con la dilagantexenofobia e si alimentano a vicenda. Ricorda l’autore:

  • PREFAZIONE 11

    “Secondo i dati della polizia di Londra e della stessa FBI,i crimini dell’odio (legati al pregiudizio nei confrontidella diversità) hanno avuto una forte impennata dopo ilreferendum sulla Brexit e l’elezione di Trump. Insommauna correlazione innegabile con due vittorie elettoralidella xenofobia. Una sorta di autorizzazione all’aggressi-vità verso ogni diverso, una legittimazione del pregiudi-zio…sempre con l’aiuto dell’esposizione informativa”.La psicopatologia del tempo presente, propone l’anali-

    si di Sarantis Thanopulos, sta nella cronaca distratta senon nascosta, oscurata, del misfatto razzista. Così, nem-meno è finita la guerra all’ISIS che abbiamo da tempo atti-vato la guerra ai migranti. Scatenata dalle viscere di un’Europa diventata mostro. Con l’ideologia oligarchica del-l’austerità ad ogni costo; con il fallimento schizofrenicodella Germania, tra relativa apertura ai migranti e politi-ca espulsiva del Sud europeo; con la secessione dellaBrexit; con la Francia tornata con Macron a rivendicarela primazia militare e tardo-coloniale; con la deriva spa-gnola; con l’Est-Europa in mano a regimi xenofobi d’e-strema destra. E l’Italia della sponda mediterranea chesposta i confini europei in Niger avviando, dopo il disa-stro della guerra in Libia – dove alla fine abbiamo arma-to milizie contro i profughi –, una nuova guerra confina-ria da ‘deserto dei tartari’ per tenere, ben lontano da noi,racchiusi in nuovi mega-campi di concentramento icoraggiosi in fuga da guerre e miserie da noi prodotte,per i nostri interessi geostrategici. E se non bastasse que-sta terrorifica irrazionalità generalizzata contro i profu-ghi che hanno la guerra alle spalle e davanti le fossecomuni in mare e nei deserti, ecco che si aggiunge l’auto-mutilazione del negare lo ius soli a 800mila ragazzi senzacittadinanza. E questo solo grazie alla nostra arroganzasempre più arrogante perché “dalla parte dei più”.I barbari che temiamo ed evochiamo non arriveranno

    da lontano ad occuparci ma sono dentro di noi, diceSarantis Thanopulos; convivono con noi, incapaci ormai

  • SARANTIS THANOPULOS. IL DIAVOLO VESTE ISIS12

    allo scambio desiderante, dentro le forme quotidiane del-l’esclusione e della diseguaglianza occidentali che accom-pagnano la globalizzazione selvaggia alla quale siamosottomessi.Una sola certezza emerge da questi amari e preziosi

    sprazzi di luce che ci vengono dati in dono da SarantisThanopulos, ma come in extremis. Come fosse davverol’ultima possibilità. La crisi nella quale sempre più andia-mo isolando la nostra esistenza si sta allargando fino aproporre l’apatia, l’astensione, un “Oblomov diffuso” chesta a guardare, fino alla rinuncia autistica alla relazionecon l’altro. Proprio mentre l’intero pianeta, l’intera uma-nità vuole raggiungerci per trovare invece esistenza econsistenza, e nuove ragioni fondanti che tengano insie-me, fuse fra loro, libertà e differenza, parità-eguaglianzae fraternità. In extremis, perché siamo ancora per pococonsapevoli – come ha scritto Luciana Castellina – che lanostra idea occidentale di libertà non è un approccio vali-do nel rapporto con un mondo in cui la grande maggio-ranza degli esseri umani vive in condizioni di assoggetta-mento al diritto del più forte.

    Tommaso Di Francesco

  • Premessa

    Bertrand Russell disse che il problema con il mondo èche gli stupidi e i fanatici sono sempre così certi di lorostessi mentre i più saggi sono così pieni di dubbi. A giu-dicare dall’espansione dei movimenti populisti e dellaxenofobia, sempre più apertamente razzista, è difficiledargli torto. La domanda angosciosa di certezze in tempidi precarietà sociale, quando il futuro non lascia presagi-re nulla di buono, rende redditizio il matrimonio tra lasciocchezza e il fanatismo. Bisogna essere sciocchi peressere convinti che ricette schematiche e sbrigative pos-sono risolvere problemi complicati e incancreniti e solo ifanatici fanno dell’idiozia il loro destino. Tra la saggezza, che riflette senza sapere che pesci

    pigliare, e la sciocchezza, che pesca vecchi scarponi, la fada padrona l’astensione: uno su due cittadini non vota. Èun’astensione che rifiuta equanimemente certezze edubbi e fa della critica radicale di tutto la più solida delleposizioni acritiche. Si sente odor di bruciato, cioè di qua-lunquismo, che trasforma lo scetticismo nell’unica cer-tezza possibile. Gran parte dei politici si affidano all’otti-mismo della volontà dissociato dal pessimismo dellaragione. La volontà che rottama la ragione è la reazioneemotiva ai problemi che crea più danni dei terremoti, machi non è rimasto affascinato dal soccorritore improvvi-sato, che arriva al momento giusto, prima che costui glirovinasse il frigorifero che si aspettava riparasse?

  • SARANTIS THANOPULOS. IL DIAVOLO VESTE ISIS14

    L’aforisma di Russell potrebbe essere ampliato: esseretroppo convinti di se stessi può portare le persone intel-ligenti a comportarsi come gli sciocchi e i fanatici, finen-do per favorirli, perché sono comunque privi della lorocoerenza inossidabile. Le strade dell’inferno sono lastri-cate di buone intenzioni perché queste intenzioni cherifuggono il dubbio, inseguendo il volontarismo dellabontà, portano a soluzioni che non sono buone, prepa-rando la strada per quelle pessime.Nondimeno, se la saggezza ama il dubbio, indugiare nel

    dubbio non è saggio. Quando affrontare una situazioneavversa diventa difficile, perché il peso di emozioni intol-lerabili immediate (che non consentono un’elaborazioneefficace) intralcia la valutazione adeguata delle possibili-tà e dei rischi, il dubbio persistente può assumere unafunzione simile a quella della certezza ad ogni costo.Mentre la certezza nega le difficoltà, trasformando i sen-timenti di impotenza in onnipotenza, il dubbio le ammet-te ma preferisce sguazzare nell’impasse: ciò che lo muoveè l’ambivalenza tra accettare e rifiutare le rinunce che letrasformazioni richiedono. Il dubbio può avere, invece, una funzione liberatoria, se

    rappresenta la necessaria tensione tra il legame con lapropria tradizione e la ricerca di un nuovo orizzonte.Questa tensione spinge a usare il dolore della perdita, chedifende il valore delle cose perdute, per operare trasfor-mazioni e non demolizioni, per ricostruire su un terrenosolido e non sulla sabbia. Guardando alle grandi questio-ni dei nostri giorni, la globalizzazione selvaggia, la migra-zione che mescola speranza e disperazione (il riscatto chepuò diventare suicidio), la crisi (salutare ma difficile damaneggiare) della cittadinanza, gli assassini di massa, siha l’impressione di una civiltà in crisi profonda che vanella posizione opposta a quella che le sue ragioni fon-danti (libertà/differenza, parità/eguaglianza, fraternità)impongono. Nulla è peggio di una società a-conflittuale,incapace di dirimere e gestire democraticamente i suoi

  • PREMESSA 15

    conflitti, condannata se la rotta non si inverte – se all’al-tro non verrà restituito il suo statuto di amico/nemico,che lo rende nostro concittadino –, all’arbitrio normati-vo, al diritto barbarico del più forte. A questa società dob-biamo opporsi, non semplicemente sottrarsi, e lo si puòfare solo legando la cittadinanza agli scambi, abolendolanel suo significato restrittivo, di privilegio. Questo libro è una selezione delle “Verità Nascoste”, la

    mia rubrica che esce ogni sabato su “Il Manifesto”, dedi-cate ai temi della crisi dell’Europa, dell’estraniazione acui andiamo incontro, dell’esorcizzazione del diavolojihadista (un riflesso dello svuotamento di senso dellanostra esistenza), della nostra incapacità di slegare l’ac-coglienza dei migranti dalle convenzioni morali, dalla“correttezza politica” e dall’atteggiamento caritatevolenei confronti del prossimo. Il mio ringraziamento neiconfronti del giornale che leggo dal lontano Novembredel 1973 (quando c’è stata la rivolta contro i colonnellidegli studenti nel Politecnico di Atene) non è rituale. Sirespira aria di libertà, di appartenenza ai legame con l’al-tro, di opinioni che non nascondono i fatti, di curiositàche ama la differenza nelle pagine (e nelle stanze) di ungiornale in cui la limitatezza dei mezzi economici fa cop-pia con la ricchezza delle passioni e dell’intelligenza. Rileggendo i testi sono rimasto colpito dal fatto che più

    passa il tempo, più si intensifica l’impressione che la crisietica, politica, economica che ci affligge (era appena ini-ziata quando cominciai a scriverli) si aggrava, non è pernulla sulla via di una sua soluzione. È ragionevole sup-porre che i suoi effetti peggiori siano ancora inespressi. Apensarci bene, la crisi è curata con gli stessi meccanismiche l’hanno determinata, sembra che la malattia dellaciviltà di cui soffriamo sia sempre di più “iatrogena”.

  • La crisi dell’Europa

    La leadership tedesca ha portato l’Europa in un vicolocieco. Ha favorito le tendenze centrifughe, non tantonella loro forma evidente, estroversa, come la Brexit,quanto, piuttosto, nella forma paradossale, introversadella ritrazione. Questa ritrazione è presente nella riven-dicazione di nuove indipendenze nazionali che da unaparte confermano l’adesione al progetto europeo e dal-l’altra lo indeboliscono, aumentando la parcellizzazionedelle entità politiche che vi aderiscono. La chiusura in sestesse delle regioni più ricche, che anche quando nonrivendicano il diritto di costituirsi come nazioni, aspira-no all’autonomia economica (avere le mani slegate dallasolidarietà/responsabilità), è dettata dall’egoismo cieco,suicida di chi si aggrappa ai suoi privilegi, pensando chegli siano connaturali e non il frutto di congiunture favo-revoli. Questo fenomeno, già molto attivo nei fatti, porte-rà l’Europa all’implosione.La debolezza della leadership tedesca si è manifestata

    nella sua schizofrenia tra la politica relativamente inclu-siva della Merkel nei confronti dei migranti e la politicaespulsiva di Schäuble nei confronti del Sud europeo e inparticolare della Grecia. L’austerità ad ogni costo non hauno sbocco reale, ma più che una strategia economica èuna reazione psicologica al disorientamento, un riflessod’ordine di fronte a una situazione confusa, di grandeincertezza. L’Europa rischia di essere travolta dal proces-

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    so di globalizzazione che la minaccia dall’esterno, mentrela sua logica della diseguaglianza estrema degli scambi lasta minando dall’interno. La sua classe dirigente non hail coraggio, che è lungimiranza, di dire ai cittadini che ilfenomeno della migrazione deve essere gestito democra-ticamente, in modo da usare la sua forza propulsiva perle trasformazioni necessarie. Diversamente diventerà ilcavallo di Troia attraverso il quale il nostro spazio di vitaverrà occupato non dalle folle barbariche che temiamo,ma da politiche di sfruttamento selvaggio, oligarchiche.

    Indipendenza delle mie brame15 Novembre 2014

    Il 45% degli Scozzesi ha votato per l’indipendenza dallaGran Bretagna. In Catalogna la percentuale degli indipen-dentisti è raddoppiata: l’80% dei votanti al referendumindetto dal governo locale (il 40% degli elettori) ha optatoper la separazione dalla Spagna. Le spinte indipenden-tiste in Scozia e in Catalogna hanno una tradizione seco-lare e origini sociali, culturali e politiche complesse.Inquadrarle in uno schema di lettura piegato alle esigenzeimmediate dell’attualità sarebbe fuorviante. Nondimeno laloro deflagrazione in un contesto di convivenza pacifica, diparità politica e di tolleranza culturale, è un segnale inqui-etante che dà l’esatta misura, per chi vuole tenerne conto,di certi movimenti nella psicologia collettiva chestanno creando un terreno fertile per l’autoritarismo. Staprendendo forma un indipendentismo senza reali rivendi-cazioni e senza un reale contenzioso che apparente-mente trae origine da interessi materiali egoistici delmomento. A veder meglio, questi interessi sono, il più dellevolte, interpretazioni immaginifiche del futuro.Secondo una recente indagine di Demos, il 30% degli

    italiani vorrebbe l’indipendenza della loro regionedall’Italia. Friulani, veneti, sardi e siciliani sembrano i più

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    entusiasti, ma la cosa assume toni comici quando si scopreche l’indipendenza l’anela anche il 35% degli abitanti delLazio, regione della capitale d’Italia. Un reale vantaggio deilaziali a staccarsi dall’Italia non lo concepirebbe neppure lapiù fervida immaginazione, ma le fantasie che sottendonoqueste aspirazioni irrazionali sono di natura consolatoria enon sogni che afferrano possibilità vere.Che gli indipendentisti dell’ultima ora pensino a una

    secessione vera e propria è improbabile e si potrebbe,meno drammaticamente, pensare che si tratti solo di dis-affezione da uno Stato percepito come lontano e ostile. Inrealtà, è in movimento un separatismo privo di proget-tualità e quindi senza assunzione di responsabilità e con-fronto con la realtà, il che lo rende più contagioso. Le sueradici stanno nello sgomento prodotto dalla globaliz-zazione che se ha ampliato in modo esponenziale lerelazioni di scambio le ha rese anche molto più precarie eincerte. Così, se da una parte l’apertura allo stranieroappare ineludibile, dall’altra è vissuta sempre di più comerischiosa. La tendenza all’isolamento spinge a mettere indiscussione assetti unitari considerati precedentementeintoccabili e a considerare come estranei i propri vicinidi casa. Inseguire la coltivazione del proprio orto è cer-care di sottrarsi dalla percezione di una realtà dura einospitale mettendo la testa sotto la sabbia come lo struz-zo. Non solo è in gioco la xenofobia, l’investimento narci-sistico, difensivo della propria differenza, ma anche unatendenza di ritiro autistico dalla relazione con l’altro. La rivendicazione dell’indipendenza a pre-

    scindere dalla definizione della propria posizioneall’interno di un sistema di relazioni, segnala una pre-occupante difficoltà ad accedere a legami di recipro-ca dipendenza (la condizione esistenziale dell’animalesociale che è l’uomo). Si insegue la liberazione dall’altro,quando, in realtà, è il suo uso fruttuoso che è precluso,e si soddisfa il bisogno di dipendenza con l’attaccamentoa oggetti neutrali sul piano dell’impegno emotivo che

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    favoriscono, attraverso il ristagno del flussodella vita, l’illusione dell’autarchia. Nulla è più neu-trale delle “droghe” di vario tipo, a partire dalle paroled’ordine passivizzanti, che preparano l’avvenire di unpotere repressivo.

    La cruda stupidità 15 Febbraio 2014

    I rigurgiti xenofobi in Svizzera, il confronto incomprensi-bile delle forze politiche italiane su riforme che prescindo-no dall’oggetto da riformare (e di cui l’unica cosa che si saè la scritta “wanted” su un foglio bianco), i sermoni quasiquotidiani con cui il ministro tedesco Schäuble rivolge aigreci ammonimenti alternati con incoraggiamenti (egual-mente privi di un reale significato), hanno una cosa incomune: la cruda stupidità a cui sono condannati gli esse-ri umani quando si rompe il loro legame con la cultura.Questa affermazione può sembrare azzardata: non tutti

    gli xenofobi svizzeri sono incolti, la maggior parte deipolitici italiani è sufficientemente istruita e sicuramenteSchaüble avrà riccamente fruito della grande culturatedesca. Ugualmente azzardato sembrerebbe supporreche la folla che da qualche parte e in qualche epoca assi-steva impassibile allo spettacolo di un re che camminavanudo per strada fosse più ignorante del bambino che harotto l’omertà di uno sguardo collettivo. Si sarebbe tenta-ti piuttosto a pensare che in quella circostanza fosse ingioco la spontaneità, l’innocenza degli occhi infantili.Eppure lo sguardo di quel bambino non era uno sguardovergine ma uno sguardo colto. Siamo abituati a confondere, un po’ pigramente, il

    sapere con la cultura mentre, in realtà, la cultura è ciòche connette il sapere con il desiderio e il piacere di vive-re. Un bambino che connette l’esperienza conoscitiva ele-mentare di cui dispone con la sua voglia di vivere ha una

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    capacità di giudizio più incisiva di un adulto che usa ilsuo sapere per difendersi dalla vita. Della cultura si pos-sono dare diverse definizioni ma la sua funzione essen-ziale è quella di espandere il piacere dei sensi oltre i con-fini della pura sensorialità senza, tuttavia, tradirla.Questo richiede un uso valorizzante degli oggetti deside-rati che implica il rispetto della loro intrinseca natura econsistenza. È difficile nel bagliore tecnologico in cui viviamo, che

    ottunde i nostri sensi, accettare l’idea che la mortificazio-ne costante di ciò che desideriamo rende il sapere mani-polativo e la nostra vita sterile e istupidita nella sua ansiaiperproduttiva. La complessità delle ragioni che ci stannoportando a vivere senza cultura può scoraggiare la ricer-ca di soluzioni e pavimentare la strada della rassegnazio-ne, ma esiste un punto in cui la messa a fuoco dell’interoproblema assume una certa chiarezza: la rottamazionedel passato produce una rottamazione della cultura. Larottamazione del passato è l’opposto della sua trasforma-zione/rivoluzione che fa della storia una cosa viva.Mentre la rivoluzione del passato è l’opera di una culturache si rigenera nelle cesure della storia e dischiude laporta al futuro, la rottamazione produce roba riciclabileo materiale inerte che solidifica l’esistenza ostacolando ilsuo movimento. Nei rottamatori dietro l’apparente odio per il vecchio è

    nascosta un’inconscia necrofilia: l’ossessiva rimessa incircolo delle cose scadute del passato che hanno esauritoil loro potenziale d’uso. L’arte del riciclaggio, della ricon-versione (per usare un’espressione più nobile) sta diven-tando un valore importante nei nostri giorni, il che è deltutto comprensibile data l’enorme quantità di materialiinutilizzabili che stiamo accumulando. Fino a che puntosiamo disponibili a riconoscere che questo suppostovalore è il risultato di un intasamento culturale e psichi-co che ci sta narcotizzando, fino a farci apparire il giardi-no dei luoghi comuni come terra promessa?

  • SARANTIS THANOPULOS. IL DIAVOLO VESTE ISIS22

    La rondine greca10 Gennaio 2015

    Nelle prossime elezioni in Grecia, Syriza è favorito, mal’obiettivo di un governo dotato di una maggioranza soli-da è incerto. Immaginare Syriza come laboratorio di unprogetto nuovo per l’Europa o come un’officina di ideeall’avanguardia per la soluzione della crisi, sarebbe irrea-listico e, tutto sommato, una bella pretesa. Syriza deve lasua fortuna all’aver interpretato con coerenza, e difesocon costanza, la volontà di una parte consistente delpopolo greco di resistere a ciò che considera una prevari-cazione pura.Se verso Syriza non converge la maggioranza assoluta

    degli elettori greci è perché la resistenza alle imposizioninon basta a garantire una via d’uscita da una situazioneestremamente difficile, di cui la Grecia ha le sue respon-sabilità che non sono indifferenti. Tuttavia, ammalarsi(per propria negligenza oltre che per circostanze sfavore-voli e colpe altrui) non è un buon motivo per subire pas-sivamente una cura violenta che aggrava lo stato dimalattia: per questo, la ribellione di cui è espressioneSyriza è una reazione sana, ancor più che legittima, e ilconsenso, di cui gode, giustificato.Si usa dire che la posta in gioco in Grecia sia il diritto di

    un popolo di decidere il suo destino, la difesa di unasovranità nazionale democratica contro poteri sovrana-zionali non legittimati da un consenso popolare. Che ilprincipio della sovranità nazionale sia stato nel casogreco violato è innegabile, ma concentrare l’attenzione suquesto fatto grave, interpretandolo astrattamente dal suocontesto, può essere fuorviante. La volontà popolare dicui è portavoce Syriza, non insegue l’autodeterminazio-ne. Aspira alla negoziazione di una soluzione con le isti-tuzioni europee, che resti all’interno dei confinidell’Europa.Le forze democratiche greche non mettono in dubbio

  • LA CRISI DELL’EUROPA 23

    la cessione di una parte della sovranità nazionale chel’appartenenza all’Europa comporta, ma mettono l’ac-cento sulla reciprocità del consenso e sulla democratici-tà dei metodi che tale appartenenza comporta. Larichiesta dei greci è ragionevole, a condizione che ci sial’Europa. Perché se l’Europa, come entità unitaria, nonc’è, l’unica possibilità democratica, di cui i popoli cheaspirano a crearla dispongono, è di separare le lorostrade.L’esistenza di un’Europa unita è un’esigenza storica-

    mente determinata dei suoi popoli sul piano economico,politico e culturale. Tuttavia, questa esigenza è una con-dizione necessaria, ma non sufficiente. L’Europa comeentità unitaria resterà un sogno impossibile, se la vulne-rabile forma di coesistenza politico-finanziaria non tro-verà un’espressione identitaria sul piano psicologico, senon diventerà un comune sentire che trova nelle diffe-renze, al suo interno e con il mondo esterno, la forza pro-pulsiva che promuove relazioni di scambio.Se parlare di Europa unita ha un significato, è perché

    la storia l’ha plasmata come luogo d’incontri e di fer-menti, di circolazione di merci, di idee e di sentimenti,di contaminazioni e di rivoluzioni culturali e politiche,di coesistenza pacifica e di conflitti terribili. La storia,fatta di comuni catastrofi e risorgimenti, unisce gliEuropei in uno stesso destino di lutti e di speranze,molto di più di quanto la miseria dei campanilismi lidivida. Nondimeno, la dissoluzione avrà la meglio se l’i-neguaglianza dei rapporti tra i diversi paesi e all’inter-no di ogni paese continuerà a crescere. La rondinegreca non porta soluzioni economiche o politiche, fadomanda di primavera: la ridefinizione del contrattoeuropeo e del rapporto tra i potenti e i popoli, la paritàdei contraenti sul piano del desiderio.

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    Sulla Grecia un errore di calcolo 31 Gennaio 2015

    All’indomani della vittoria di Syriza, un professore dieconomia, intervenendo in un dibattito su TV7, ha pre-dicato il divorzio consensuale tra”Nord” e “Sud”dell’Europa. Evidentemente per lui la definizione delfuturo dell’Europa è una questione di “alimenti” e didivisione dei beni. Tanto a chi resta e tanto (il minimo)a chi se ne va e pronti a vita nuova. Peccato che questavita non ci sarà, perché nella globalizzazione confusa, eorganizzata per territori di caccia, più si è soli, più si è arischio. Non c’è futuro per nessun paese europeo nelladivisione e nella frammentazione delle culture e dellerisorse. La guerra in Ucraina e il disastro jugoslavodovrebbero insegnarci qualcosa. Il caso greco è la carti-na di tornasole per la tenuta europea. Nessuno può mettere seriamente in dubbio l’impor-

    tanza degli economisti, degli esperti che sanno inter-pretare i movimenti finanziari e gestire bilanci e conti.Nondimeno, gran parte di loro si è persa in una visionedissociata della realtà, che separa le quantità dalle qua-lità e impone i numeri come canone esistenziale. Laloro “deformazione professionale” è al servizio di unaamministrazione della società che usa la ricchezzamateriale non come strumento di benessere, ma comequalità in se stessa.In una sua intervista a Francesca Borrelli dieci anni fa

    (presente in “Maestri di Finzione”1, splendida interroga-zione del nostro rapporto con la realtà attraverso la lette-ratura), Don De Lillo, grande scrittore americano, avevacolto pienamente il senso della quantificazione dellanostra esperienza: “Quel che importa non è “cosa” sicompra col denaro, ma “quanto” se ne spende, questa è lanatura del cambiamento per cui il denaro parla a se stes-

    1 Quodlibet, Macerata 2014.

  • LA CRISI DELL’EUROPA 25

    so”. Il “quanto” è diventato la misura della nostra (in)feli-cità. Il “quando” (il tempo opportuno dell’incontro), il“perché” (la domanda del desiderio), il “come” (le stradeda percorrere) e il “dove” (il luoghi dell’incontro) subi-scono la sua feroce sovradeterminazione nei rapporti discambio, sempre più ineguali e inariditi. La riduzione delle nostre ragioni di vita in quantità si

    ammanta di scientificità, perché è riuscita a contrabban-dare il calcolo come misurazione di attendibilità mate-matica di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. In real-tà, il calcolo non ha nulla che lo ponga al di sopra delleparti, come giudice imparziale: è uno strumento di appli-cazione scientifica il cui uso non è neutrale, ma total-mente a favore del padrone che esso serve. Sempre di piùquesto padrone ha le sembianze dell’affermazione scien-tifica dell’egoismo. Si affronta la questione del debito pubblico indipen-

    dentemente dalla difesa della qualità della vita dei citta-dini, che pone come suo requisito minimo la salvaguar-dia della vita affettiva e dei legami erotici e la parità deisacrifici sul piano dei bisogni materiali. Il nuovo ministrodell’economia greco ha dichiarato che è per la “vita auste-ra” ma non per l’“austerità piramidale”. La vita austerarifiuta l’ottundimento dei sensi e delle emozioni provoca-to dall’abuso di prodotti che eccedono la possibilità di unloro uso reale e funzionano per questo in modo prevalen-temente eccitante. Mette in movimento il desiderio (l’a-pertura a uno scambio vero) e, per questo, è il bersaglionon dichiarato delle politiche di austerità che proteggonoi ricchi. Sono politiche suicide, perché attaccando le qua-lità e favorendo la concentrazione delle quantità nellemani di pochi, rendono insensata l’esistenza di tutti eimproduttiva l’economia (concentrata nell’accumulazio-ne di beni, che gli uni non sanno più usare e gli altrihanno sempre di meno).

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    La generosità tra Eros e potere14 Febbraio 2015

    Il ministro dell’Economia tedesco si è spazientito. “Siamostati molto generosi con i greci”, ha dichiarato. Non èchiaro se la (presunta) generosità riguardava i governigreci che hanno rappresentato male gli interessi del loropaese, i pochi che dell’indebitamento hanno lucrato o lagrande maggioranza del popolo greco che dalla gestioneallegra delle sovvenzioni non ha tratto alcun vantaggio,ma solo privazioni. La generosità comporta una defini-zione specifica del rapporto con il suo oggetto, che esclu-de accordi “politici”, valutazioni di opportunità e ripen-samenti. Non abita nei rapporti di forza, di cui è espres-sione anche la beneficienza, e nel caso greco può esserevera solo come espressione d’amore nei confronti di unpopolo, per nulla obbligatoria e indipendente dalla suasofferenza. La sua rivendicazione da parte di Schäuble,nasconde una mancanza di legittimazione del propriooperato, che egli preferisce negare perché fa emergere ilsuo avaro assetto di fondo. L’autoreferenzialità, che con-cepisce la disponibilità come elargizione di benevolenza,si impadronisce perfino di reali sentimenti di solidarietà,quando si resta attaccati alla propria posizione di potere.La generosità è legata all’Eros. Presume una relazione

    paritaria. È una donazione unilaterale di amore cherende possibile uno scambio di doni. Non è un regalo,concesso da una posizione di superiorità, volto a metterein chiaro che chi lo fa è il più potente o il più capace o ilpiù giusto. Il pentimento ne testimonia la falsità.I legami erotici impegnano l’intera soggettività, mesco-

    lano intensamente i sensi, le emozioni, i sentimenti e ilpensiero, sia nelle forme immediate, carnali e sensoriali,sia nelle forme mediate, sublimate, della soddisfazionedel desiderio. Il loro oggetto (una persona desiderata, unlibro, un’opera d’arte, un panorama) non può essere piùimportante del soggetto che vi si impegna (non è oggetto

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    di culto consolatorio), né può essere degradato a un usoopportunistico di sfruttamento. Il prezzo da pagaresarebbe la rinuncia a una reale e profonda esperienza dipiacere.Tuttavia, il rapporto erotico con la vita deve fare i conti

    con l’interferenza, spesso tirannica, dei bisogni materialie con le condizioni oggettive a cui la soddisfazione deldesiderio soggiace, che sposta le relazioni intersoggettivedal piano della parità al piano delle differenze in terminidi risorse, mezzi e capacità. Mentre la natura del deside-rio è altruistica per intrinseca necessità, l’appagamentodel bisogno e l’adattamento alle condizioni oggettivedella realtà sono, nella loro immediatezza/urgenza,“egoisti”. La comprensione che la cooperazione e la soli-darietà servono meglio i bisogni di tutti, richiede media-zioni complesse sugli innumerevoli conflitti di interesse espesso cede il passo al pragmatismo sbrigativo e allalegittimazione/legalizzazione dell’arbitrio. Lo slittamen-to delle relazioni umane nei rapporti di potere, che inva-dono e sclerotizzano il campo dell’Eros, è inevitabile, masi è tanto più vivi quanto più si riesce a limitarlo. La lottacontro la restrizione dell’Eros, che emargina i lavoratorie le donne, è la vera forza motrice del conflitto sociale. Dell’Eros il potere mette in commercio un simulacro: le

    pratiche di stordimento dei sensi con cui dissimula la suanecrofilia e appare vitale. La generosità è al centro delladistinzione tra Eros e potere. Essa non mira alla gratitu-dine o alla reciprocità di chi ne ha beneficiato. La ricom-pensa della generosità sta nel suo stesso gesto, che èapertura dell’essere all’alterità, accesso reale al mondo.

    La Speranza e la Morte4 Luglio 2015

    Zoe Williams, commentatrice del “Guardian”, concludeun articolo, in cui difende la Grecia dai moralizzatori

  • SARANTIS THANOPULOS. IL DIAVOLO VESTE ISIS28

    neoliberisti, con questa frase: “Si sta sacrificando il paeseper mantenerne un insieme di illusioni che ci indeboliscetutti”. Un popolo stremato, confuso e diviso vota sul suo futuro

    sapendo che il proprio destino non è nelle sue mani. Lascelta che difende le sue ragioni e la sua dignità, potrebbeaccelerare la catastrofe, il voto è sotto il ricatto del piùforte. Rischiare la morte a testa alta o sopravvivere (perpoco) umiliati? Qualsiasi sarà la scelta dei greci merita ilrispetto dovuto a chi va dalla buona alla cattiva sorte. Il popolo greco vive in un luogo diventato sacro per la

    nostra civiltà e questa sacralità gli è di peso. Gli si deveun riconoscimento, ma non per la sua casa, un’ereditàtroppo ardua per poterla davvero conquistare: questospetterebbe all’intera umanità, non a un popolo di prede-stinati. Gli si deve la memoria storica della sua lottaimpari contro il nazifascismo, che non gli ha fruttatoalcun onore, solo cento mila morti di fame ad Atene, nel-l’inverno del 1943, e crediti non pagati. I greci hanno votato Syriza nel segno della speranza. La

    speranza che spinge legioni di migranti ad attraversare ilmediterraneo rischiando un’alta probabilità di morte. Ladisperazione è cieca, lo sguardo della speranza attraversail buio della notte alla ricerca di spiragli. Presente i var-chi tra i terreni paludosi, il vento favorevole, i campi fer-tili oltre le montagne rocciose. Consente di abitare ilfuturo, di non sprofondare nell’esistente. L’ottusità mentale, il pensiero senza futuro, è una

    malattia dell’anima che si trasmette come l’influenzavirale. Non distingue tra deboli e potenti. Della sua gra-vità ci si rende conto quando si incarna in figure istitu-zionali. La direttrice del FMI ha invitato i rappresentantidel governo greco a entrare nel mondo degli adulti. Sequesto mondo fosse il suo, sarebbe preferibile restare ilpiù a lungo possibile bambini: per sentirsi, almeno, vivi. Dietro l’ottusità c’è qualcosa di ben più insidioso la cui

    miglior rappresentazione è la maschera di contrazione

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    che ha preso il posto dell’essere umano che è Schäuble. Ilpotente ministro ha trattato i greci come bambini, usan-do mezzi correzionali che hanno la loro lontana ispira-zione nel pedagogo tedesco del diciannovesimo secoloSchreber. Costui era diventato famoso per i suoi manua-li di sana educazione con cui sono state cresciute interegenerazioni di tedeschi. Aveva inventato strumenti orto-pedici di corretta impostazione del corpo, veri e proprimezzi di tortura che ha applicato ai propri figli.Uno di loro era il magistrato il cui libro “Memorie di un

    malato di nervi” ha ispirato a Freud alcune riflessionigeniali sulla paranoia. La sua follia è stata un gesto didisperazione misto a speranza senza sbocco con cui si èribellato a un principio inumano di ortopedia psicocor-porea che non fu creato da suo padre, ma che in lui avevatrovato il suo alloggio mascherato. Tutte le volte che ladepressione psichica si espande dopo una grave depres-sione degli scambi, è in agguato la regressione in unaparticolare forma di narcisismo di morte: l’identificazio-ne con un ideale di efficienza e di perfezione che ha il suomodello non consapevole in un funzionamento meccani-co che abolisce il corpo del desiderio e il suo dolore. Il voto dei greci è un voto impotente. Tuttavia è un

    valore democratico che coinvolge tutti gli Europei: volen-ti o nolenti devono scegliere tra la Speranza e la Morte.Prima che l’unica via d’uscita da quest’ultima diventi unafollia distruttiva collettiva.

    Lontano da dove18 Luglio 2015

    Claudio Magris è intervenuto sul caso greco con afferma-zioni dettate da emozioni non sedimentate. La loro umo-ralità rivela le ragioni culturali e psicologiche che sotten-dono la guerra civile non dichiarata tra il Centro-Nord eil Mediterraneo all’interno dell’Europa. Avendo attribui-

  • SARANTIS THANOPULOS. IL DIAVOLO VESTE ISIS30

    to a Tsipras la pretesa che la Grecia abbia da parte deisuoi creditori un trattamento di riguardo per il suo glo-rioso passato, Magris impartisce ai greci, e di striscio agliitaliani, di oggi, una lezione: il passato di Atene o diRoma non assolve nessuno e men che mai garantisce unaltrettanto grande presente. I discorsi corretti, ma piuttosto ovvi, sono spesso pro-

    dotto di rimozioni che emergono con i lapsus. “Quando –dice Magris – si ha un’altissima civiltà nel proprio Dna,essa si rivela non nella citazione del passato, ma nelmodo in cui si affrontano i problemi del proprio presen-te”. Gli inglesi, esemplifica, sono stati i degni eredi diRoma e non Mussolini. Conclude definendo la ribellionedei greci a cinque anni di inutili sacrifici come hybristignosa e truffaldina. L’illusione che un popolo abbia nel suo Dna un’altissi-

    ma civiltà, è la radice ideologica del razzismo. Seguendoquesta prospettiva diventa comprensibile perché Magrisscomodi Mussolini. Il rimosso diventa evidente: laGermania nazista. Per un cantore, raffinato e profondo,della Mitteleuropa, è motivo di imbarazzo serio toccarequesto punto. Come conciliare la grande cultura tedescacon la barbarie del nazismo? La leadership tedesca determinata a spezzare le reni

    della Grecia in crisi e l’iniquità manifesta nel diverso trat-tamento del debitore nel giro di pochi decenni (condona-ti i debiti tedeschi dopo la seconda guerra mondiale,mantenuti ad oltranza quelli greci) attivano fantasmidimenticati, non sufficientemente elaborati, che diventa-no una spina. L’eccesso di veemenza dei governanti tede-schi contro i greci, nega la loro delegittimazione interio-re di fronte al riaffacciarsi degli spettri. Nè il passato glorioso (remoto) assolve, né il passato

    infamante (più recente) condanna. Tuttavia, l’attualeclasse dirigente tedesca non è all’altezza di un presenteche sa riconoscere il dolore da cui è nato. Pesano su que-sta difficoltà, che è all’origine del riaffiorare del naziona-