Storia Pedagogia

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1 Capitolo 1° I sofisti V secolo a.C. Il primo problema che si affaccia nella storiografia della cultura pedagogica è quello che si riferisce alla nascita della “ricerca pedagogica” stessa, fatta coincidere con la genesi del pensiero e della speculazione filosofica. È soprattutto con i sofisti (sophos = saggio) e con Socrate che prende l’avvio un particolare modo di affrontare i problemi della natura dell’uomo, della società, della cultura e della conoscenza, dell’insegnamento e, dell’apprendimento dell’educazione. Ciò che contraddistingue la cultura, quella nata ad Atene, e la vita greca rispetto a quella delle precedenti civiltà, egiziana e babilonese, sia nel ruolo del disincanto nel confronto del sacro e della divinità, delle leggi, della diffusa convinzione che la gestione della società si conquista anche con l’arte della conversazione, del convincimento, della retorica, (si intende l’arte di persuadere mediante l’uso di strumenti linguistici), significative diventano la bellezza, l’armonia, la robustezza fisica unite alla vivacità dell’immaginazione, della creatività del pensiero. Cominciano a contare l’appartenenza alla famiglia, l’educazione ricevuta, il saper leggere, scrivere, far di conto, l’inserimento nella vita politica, l’amministrazione della giustizia. Si comprende che la società ruota intorno all’educazione e alla cultura e chi ne gestisce i modelli riesce anche a gestire la società. La rivoluzione pedagogica avvenuta nella seconda metà del V sec. a.C. è opera di un gruppo eterogeneo di sapienti che viene indicato comunemente con il termine di sofisti. I sofisti sono i primi maestri pagati, (interessati al successo e ai soldi più che alla verità), stimati, sono il prodotto di una società in cui il sapere diventa professione. I sofisti inaugurano un modello educativo e pedagogico centrato sull’acquisizione di competenze e di abilità generali, nelle quali predomina la sicurezza di sé, l’abilità di condurre un discorso, di intessere argomentazioni, di essere persuasivi, di dare spazio alle opinioni. L’uomo sente la necessità di dare libera espressione alla propria personalità e il pensiero dei sofisti esprime questa esigenza là dove afferma che l’uomo è la natura di tutte le cose , vuol dire che l’uomo è il metro, cioè il soggetto di giudizio, della realtà e dell’irrealtà, delle cose e del loro modo di essere. Il fine dell’educazione, secondo i sofisti, è la formazione dell’”uomo politico”, si rendono conto che la politica è il campo in cui meglio l’uomo può esprimere le proprie potenzialità. L’abilità, la destrezza diventano virtù, e la cultura non è solo un ornamento, infatti i sofisti riconoscono per primi il valore del sapere ed elaborano il concetto di cultura (PAIDEIA). 1 . La parola e la logica per i sofisti non sono tanto utilizzate per scoprire o costruire la verità, quanto per acquisire e controllare spazi personali e sociali, quindi condurre i giovani all’esercizio della vita politica e ad affermarsi in quella pratica. I sofisti e i loro allievi avevano la ferma convinzione che le leggi, il diritto, fossero il risultato di una produzione umana, e non di una prevaricazione dei più forti. L’unico modo per mantenere il potere e per non scendere di grado nella scala sociale, era quello di gestire la società attraverso la parola e la cultura generale. Al tempo dei sofisti l’unico mezzo valido per creare consenso e per esprimere con efficacia la propria idea è la parola . All’arte di persuadere con la parola, eristica , essi abbinano quella del parlare, cioè la retorica . L’insegnamento della retorica presenta due momenti, quello teorico e quello pratico: dapprima il maestro insegna al discepolo le regole della retorica, poi passa all’esercitazione pratica. Dialettica e retorica sono gli aspetti più noti dell’insegnamento dei sofisti, essi però non sono sufficienti: occorre anche una cultura generale, la più vasta possibile. i sofisti spostarono l’osservazione dalla natura all’uomo (caduta della cultura naturalistica). 1 Il ruolo educativo e formativo della cultura risulta funzionale rispetto agli esiti di affermazione sociale, politica e professionale.

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Capitolo 1° I sofisti V secolo a.C. Il primo problema che si affaccia nella storiografia della cultura pedagogica è quello che si riferisce alla nascita della “ricerca pedagogica” stessa, fatta coincidere con la genesi del pensiero e della speculazione filosofica. È soprattutto con i sofisti (sophos = saggio) e con Socrate che prende l’avvio un particolare modo di affrontare i problemi della natura dell’uomo, della società, della cultura e della conoscenza, dell’insegnamento e, dell’apprendimento dell’educazione. Ciò che contraddistingue la cultura, quella nata ad Atene, e la vita greca rispetto a quella delle precedenti civiltà, egiziana e babilonese, sia nel ruolo del disincanto nel confronto del sacro e della divinità, delle leggi, della diffusa convinzione che la gestione della società si conquista anche con l’arte della conversazione, del convincimento, della retorica, (si intende l’arte di persuadere mediante l’uso di strumenti linguistici), significative diventano la bellezza, l’armonia, la robustezza fisica unite alla vivacità dell’immaginazione, della creatività del pensiero. Cominciano a contare l’appartenenza alla famiglia, l’educazione ricevuta, il saper leggere, scrivere, far di conto, l’inserimento nella vita politica, l’amministrazione della giustizia. Si comprende che la società ruota intorno all’educazione e alla cultura e chi ne gestisce i modelli riesce anche a gestire la società. La rivoluzione pedagogica avvenuta nella seconda metà del V sec. a.C. è opera di un gruppo eterogeneo di sapienti che viene indicato comunemente con il termine di sofisti. I sofisti sono i primi maestri pagati, (interessati al successo e ai soldi più che alla verità), stimati, sono il prodotto di una società in cui il sapere diventa professione. I sofisti inaugurano un modello educativo e pedagogico centrato sull’acquisizione di competenze e di abilità generali, nelle quali predomina la sicurezza di sé, l’abilità di condurre un discorso, di intessere argomentazioni, di essere persuasivi, di dare spazio alle opinioni. L’uomo sente la necessità di dare libera espressione alla propria personalità e il pensiero dei sofisti esprime questa esigenza là dove afferma che l’uomo è la natura di tutte le cose, vuol dire che l’uomo è il metro, cioè il soggetto di giudizio, della realtà e dell’irrealtà, delle cose e del loro modo di essere. Il fine dell’educazione, secondo i sofisti, è la formazione dell’”uomo politico”, si rendono conto che la politica è il campo in cui meglio l’uomo può esprimere le proprie potenzialità. L’abilità, la destrezza diventano virtù, e la cultura non è solo un ornamento, infatti i sofisti riconoscono per primi il valore del sapere ed elaborano il concetto di cultura (PAIDEIA).1. La parola e la logica per i sofisti non sono tanto utilizzate per scoprire o costruire la verità, quanto per acquisire e controllare spazi personali e sociali, quindi condurre i giovani all’esercizio della vita politica e ad affermarsi in quella pratica. I sofisti e i loro allievi avevano la ferma convinzione che le leggi, il diritto, fossero il risultato di una produzione umana, e non di una prevaricazione dei più forti. L’unico modo per mantenere il potere e per non scendere di grado nella scala sociale, era quello di gestire la società attraverso la parola e la cultura generale. Al tempo dei sofisti l’unico mezzo valido per creare consenso e per esprimere con efficacia la propria idea è la parola. All’arte di persuadere con la parola, eristica, essi abbinano quella del parlare, cioè la retorica. L’insegnamento della retorica presenta due momenti, quello teorico e quello pratico: dapprima il maestro insegna al discepolo le regole della retorica, poi passa all’esercitazione pratica. Dialettica e retorica sono gli aspetti più noti dell’insegnamento dei sofisti, essi però non sono sufficienti: occorre anche una cultura generale, la più vasta possibile. i sofisti spostarono l’osservazione dalla natura all’uomo (caduta della cultura naturalistica).

1 Il ruolo educativo e formativo della cultura risulta funzionale rispetto agli esiti di affermazione sociale, politica e professionale.

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Invece di ricercare un principio, una legge che avrebbe regolato una certa realtà, si concentrarono sulla politica, sulle leggi, sulla la religione, divenendo così filosofi dell’uomo e della città. I dati più importanti di questo periodo sono la crisi dell’aristocrazia, l’accresciuta potenza della borghesia cittadina, l’allargarsi dei traffici e dei commerci, e l’avvento della democrazia. La nascita di forme democratiche genera la necessità di una cultura appropriata cui vengono incontro i sofisti. Socrate2 (470/ 469 – 399 a.C.) L’elemento base di ogni processo e intervento educativo è costituito, per Socrate, dal disinteresse, al punto che fa della povertà e della non professionalità dell’educazione le discriminanti principali rispetto alle scelte e all’atteggiamento dei sofisti. Socrate risultava il più sapiente proprio per l’avvertita coscienza di “sapere di non sapere”, (base di ogni conoscenza per Socrate), per la sua sete di conoscenza, per la ricerca disinteressata della verità, per la tolleranza, per il non conformismo. Socrate non usa per la propria opera il termine PAIDEIA, in quanto sostiene di non proporsi di educare nessuno al contrario dei sofisti che, sottopongono gli individui a esercitazioni specifiche e si definiscono maestri. L’unica cosa che Socrate ha in comune con i sofisti è l’interesse circa il mondo dell’uomo e la persuasione che la società e lo stato non siano opere divine: l’unica autorità che egli riconosce è la ragione dell’uomo, (solo la ragione può indicare la via del retto vivere). Sia Socrate sia i sofisti tracciano vie nuove all’educazione della gioventù, però mentre i primi concentrano la loro attenzione sull’aspetto intellettuale e sul successo, Socrate ripristina il legame tra formazione intellettuale e formazione morale. Socrate dice che compie il bene chi lo conosce, (virtù), compie il male chi non conosce il bene, questo viene chiamato intellettualismo etico.3 Infatti egli vuole formare la gioventù alla virtù,4 (compiere azioni finalizzate al bene), per mezzo della verità e non pretende compenso in denaro per le proprie lezioni, (a differenza dei sofisti). In Socrate è forte la convinzione che la verità non può scaturire dal mondo esterno, è interna all’individuo, però, per emergere ha bisogno dell’apporto personale, fatto di tensione e di riflessione e dell’aiuto di altre persone impegnate anch’esse nella ricerca. Tanti possono, se ben guidati, giungere a scoprire la verità. Occorre però rinunciare alle opinioni, ai pregiudizi, facendo anche ricorso all’ironia.5 L’insegnamento non consiste nella trasmissione del sapere ma nello stimolo offerto al discepolo affinché egli autonomamente ricerchi la verità. La vera educazione è sempre autoeducazione, ossia un processo in cui il discepolo grazie all’opera del maestro viene aiutato a maturare autonomamente dal proprio interno. Come sua madre, essendo levatrice, aiutava le donne a partorire i bambini, Socrate così aiuta gli intellettuali a partorire il loro punto di vista sulle cose.

2Nacque ad Atene nel 470 /469 a.C. Il padre Sofronisco era scultore, la madre Fenarete, levatrice. Compì in Atene la sua educazione giovanile, studiò probabilmente geometria ed astronomia. Si allontanò da Atene solo 3 volte, per compiere il suo dovere di soldato. Socrate si tenne lontano dalla vita politica attiva, la sua vocazione fu la filosofia. Visse in semplicità con la moglie Santippe e i figli; non ha scritto nulla. Meleto, Anito e Licone lo denunciarono alla città. Socrate è colpevole di non riconoscere come Dei quelli tradizionali alla città, ma di introdurre divinità nuove; ed è anche colpevole di corrompere i giovani: pena la morte. Socrate venne accusato di corrompere i giovani insegnando dottrine contrarie alla religione di stato e venne costretto a bere la velenosa cicuta. La morte di Socrate, avvenuta ad Atene, nel 399 a.C., testimonia la fedeltà di Socrate a se stesso e ai suoi principi teorici. 3 Intellettualismo etico: sopravvalutazione dell’intelletto rispetto alla volontà e alle emozioni. 4 Virtù: una qualsiasi capacità o eccellenza, a qualsiasi ente appartenga, attraverso cui l’uomo raggiunge la felicità e la serenità d’animo. 5 Ironia: in filosofia designa l’aspetto critico demolitorio dell’interrogare socratico, che consisteva nel fingersi ignoranti rispetto all’interlocutore, onde confutare meglio le sue certezze prefabbricate. Come tale l’ironia non è fine a se stessa ma rappresenta il metodo usato da Socrate per svelare all’uomo la sua ignoranza e per gettarlo in quella situazione di dubbio e di inquietudine, dalla quale soltanto può nascere la ricerca.

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Il maestro è dunque soltanto un aiuto per rendere più agevole il processo di ricerca della verità. Per portare alla luce la verità, Socrate si avvale del procedimento induttivo caratterizzato dai due momenti dell’ironia e della maieutica.6Attraverso il dialogo (che diviene lo strumento più importante del metodo educativo) il maestro stimola la capacità dialettica7del suo interlocutore e fingendo di aderire alle idee di costui, ne svela l’assurdità e la superficialità. Egli considera la dialettica come mezzo per giungere alla verità. La partecipazione attiva del soggetto alla propria formazione, l’autoeducazione avvengono in un contesto sociale e umano aperto. Il dialogo e il confronto non hanno mai una connotazione tranquilla, lineare ma vi è sempre una forte partecipazione emotiva, anche perché per Socrate, la chiarificazione dei problemi e dei concetti porta con sé un mutamento nel modo di esistere, di comportarsi. Forti sono le tematiche legate alla non violenza, al dialogo, alla ricerca. L’esito educativo è dato dalla coerenza tra il pensare, il parlare, l’agire. Il concetto è la parola si presuppongono. Isocrate (436 – 338 a.C.) Con Isocrate comincia quell’apertura culturale che porterà all’ellenismo8e la svolta è contrassegnata dal fatto che, per Isocrate, non sono più lo status sociale, la ricchezza, il potere, l’ereditarietà biologica, a stabilire la superiorità dell’individuo: ma la sua cultura, la sua intelligenza, i suoi comportamenti. Sottolineava l’importanza delle doti naturali e attribuiva un ruolo determinante all’educazione, all’esperienza. La sua attenzione era rivolta all’acquisizione di comportamenti ispirati alla modestia, alla pietà, alla giustizia, alla saggezza, e alla padronanza della parola; qualsiasi confronto che non fosse ispirato a questi ideali risultava inconsistente. Isocrate aveva profonda fiducia nel ruolo della parola poiché rappresentava la massima manifestazione della civiltà e della cultura, al punto da considerare la retorica, l’eloquenza pubblica superiori alla ricerca filosofica. Per Isocrate, infatti, la vera filosofia è la retorica in quanto esprime la cultura nella sua totalità. Nella formazione dell’uomo e del cittadino l’eloquenza assume un ruolo chiave. Una delle orazioni pronunciata nel 390, quella contro i sofisti, può essere considerata il manifesto della scuola di retorica. Qui la polemica è diretta contro i sofisti accusati di indugiare su un insegnamento tecnico – pratico e contro Platone e Aristotele a cui si rimprovera una vuota astrattezza. Isocrate ritiene che il governo debba essere affidato a uomini nuovi, ed è quindi necessario proporre un nuovo ideale educativo, una nuova PAIDEIA. Il vero patrimonio greco è la cultura. Questo non significa rinunciare all’interesse politico, ma si tratta di produrre una classe politica che interpreti i nuovi bisogni. Questa nuova paideia non è esclusivo appannaggio delle classi dirigenti, può essere in ogni uomo comune, purchè colto. Secondo Isocrate noi non siamo mai certi delle cose, in termine di esattezza razionale contano di più la perizia e la DOXA, cioè l’opinione, valida solo in conformità delle contingenze del momento. Un uomo colto è colui che sa governare questa perizia. Platone (427 – 347 a.C.) Platone è nato ad Atene da una famiglia aristocratica nel 427 a.C. A 20 anni incominciò a frequentare Socrate e fu tra i suoi discepoli sino alla morte del maestro. Dopo di che lascia Atene e va a Megera, in Egitto, e nell’Italia meridionale, (Siracusa). Rientrò ad Atene dove morì nel 347 a.C.

6 Maieutica: designa l’aspetto positivo – costruttivo del metodo di Socrate il quale, per mezzo di opportune domande al suo interlocutore, aiutava il prossimo a portare la verità che quest’ultimo custodiva dentro di sé. 7 Dialettica: arte del confrontare le due ragioni di una stessa tesi. 8 Ellenismo: diffusione della cultura greca a tutte le altre culture del mondo antico.

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Platone, essendo un aristocratico è portato ad avvertire la crisi etico - politica del periodo9e ritiene che derivi da una crisi di tipo intellettuale; egli si convince della necessità di una riforma globale dell’esistenza umana. Con Platone ha inizio un esame sistematico dei processi educativi. Convinto che dall’educazione dipendesse la possibilità di attingere alle idee, alla verità, al bello, al giusto, al buono e di costruire una società in grado di fare propri questi valori. Il fatto che abbia scelto come forma linguistica il dialogo, (il dialogo è il solo mezzo per esprimere e comunicare agli altri la vita della ricerca filosofica), le lettere, non sta a testimoniare il passaggio da una cultura orale a una scritta, ma soprattutto che la crescita umana e filosofica dipendeva dalla ricerca, dal confronto, dall’educazione a capire. Quando si parla di Platone e della sua pedagogia si fa riferimento alla sua impostazione innatistica all’immortalità dell’anima, al mondo delle idee, al fatto che conoscere è sostanzialmente ricordare e che l’azione dell’educazione deve essere rivolta ad aiutare a far venire alla luce le verità che sono presenti nella persona. Secondo Platone gli uomini sono diversi sin dalla nascita poiché c’è chi conosce di più e chi conosce di meno. egli sostiene che la “conoscenza è reminiscenza” (ricordo). Infatti per Platone la conoscenza è il ricordo di qualcosa che l’anima ha già conosciuto nel mondo delle idee. La Reminiscenza postula l’immortalità dell’anima. Platone elenca tre prove dell’immortalità dell’anima:

��DEI CONTRARI: afferma che come in natura ogni cosa si genera dal suo contrario, così la morte si genera dalla vita e la vita dalla morte, nel senso che l’anima rivive dopo la morte del corpo.

��SOMIGLIANZA: l’anima essendo simile alle idee che sono eterne, sarà anche essa tale. ��VITALITA’ argomenta che l’anima è vita e partecipa dell’idea di vita e non può accogliere

in sé l’opposta idea, l’idea della morte. Accanto alla forma dialogica una delle caratteristiche dell’opera di platonica è l’uso di miti, ossia di racconti fantastici attraverso cui vengono esposti concetti e dottrine filosofiche. Il mito in Platone riveste due significati fondamentali. In un primo senso il mito è uno strumento di cui si serve il filosofo per comunicare in maniera più accessibile le proprie dottrine, in un secondo senso, il mito è un mezzo di cui si serve il filosofo per poter parlare di realtà che vanno al di là dei limiti cui l’indagine razionale può spingersi. MITO DI ER (Repubblica), per cui le anime dopo una lunga permanenza nell’al di là, giungono a scegliere, assumendosi le proprie responsabilità, il modello di esistenza terrena. Il ricorso al mito nelle sue spiegazioni e nei suoi dialoghi è rivelativo. MITO DELLA BIGA ALATA (Fedro), immagina che l’anima viaggi su una carrozza trainata da 2 cavalli; uno bianco, (buono che tende verso l’alto, verso il MONDO DELLE IDEE), e uno nero, (cattivo che tende verso il basso, verso la TERRESTRITA’). Se l’anima riesce ad innalzarsi verso il vertice della piramide la contempla tutta e quindi anche il bene, mentre l’altra anima ostacolata dal cavallo nero riesce a contemplare solo la base della piramide e quando queste si incarneranno i filosofi saranno quegli uomini la cui anima ha contemplato tutta la piramide. MITO DELLA CAVERNA: sintetizza i 4 gradi della conoscenza umana. Le catene sono i sensi. Dedicato agli uomini incatenati sin dall’infanzia in una caverna che vedono riflessa sul fondo le ombre prodotte da statue e da figure di pietra e di legno portate da altri uomini lungo un cunicolo e illuminate da un fuoco, sintetizza i quattro gradi della conoscenza corrispondenti alle fasi degli atteggiamenti degli uomini liberati. (L’uomo crede che quelle ombre siano la realtà). Ma se riesce a liberarsi e a voltarsi scoprirà che la vera realtà sono le statuette di cui le ombre sono il riflesso. se

9 Politicamente parlando il periodo di Platone risulta caratterizzato dal tramonto dell’età dell’oro della Grecia periclea. La sconfitta di Atene a conclusione della guerra del Peloponneso (404), il fallimentare esperimento aristocratico dei trenta tiranni, il deludente ritorno di una democrazia ben diversa da quella precedente sono tutti avvenimenti che concorrono a delineare un vistoso quadro di decadenza.

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egli riesce a uscire dalla caverna all’inizio sarà abbagliato dal sole e non vedrà nulla,ma poi a poco, a poco comincerà a distinguere gli oggetti naturali, scorgendoli prima nell’acqua, poi in se stessi come ultima cosa riuscirà ad abituarsi completamente alla luce e a guardare il sole. (1) In tale mito le ombre indicano l’apprensione delle parvenze sensoriali; quella delle statuette, (2) la conoscenza percettiva degli oggetti sensibili; quella degli oggetti riflessi nelle acque la conoscenza matematica (3); infine la conoscenza degli stessi oggetti naturali e del sole medesimo raffigura l’intuizione diretta delle idee e del bene, (4). LA CONOSCENZA PERFETTA, si ha con l’anima che scorge la realtà, per questo l’anima deve essere educata e preparata. Viva è in lui la convinzione che la strada per giungere alla razionalità, alla dialettica, è lunga e intrisa di difficoltà, sia sul piano conoscitivo (immaginazione, credenze, dialettica), sia sul piano delle componenti istintuali, affettive e soprattutto dei valori (sapienza, coraggio, temperanza, giustizia). Altrettanto viva è la convinzione che la possibilità e i risultati dell’educazione dipendono dall’assetto politico della società. L’individuo, infatti può giungere alla conoscenza soltanto se lo stato è organizzato in modo tale da consentirglielo. Si tratta quindi di un’educazione di stato, in quanto secondo Platone, nessuna persona è in grado di formarsi da sola e necessita quindi di un educazione di stato, in quanto, secondo Platone, nessuna persona è in grado di formarsi da sola e necessita quindi dell’azione congiunta delle varie istituzioni che formano lo stato. Platone distingue in esso 3 classi di individui: quella dei “reggitori” (o filosofi o guardiani), nei quali prevale la ragione, che devono assumersi il compito di dirigere lo stato; quella dei guerrieri, (o ausiliari o custodi), nei quali prevale il coraggio, che hanno il compito di difenderlo; quella dei contadini (o artieri), nei quali prevalgono gli appetiti o le passioni, con il compito di provvedere al sostentamento della comunità. Il governo è affidato ai FILOSOFI, i soli in grado di perseguire gli ideali del bene, del vero, del bello, della giustizia. L’anima ha 3 parti: Anima appetitiva (il desiderio) Anima irascibile (forti emozioni) Anima razionale (permette di ragionare) Le persone in cui prevale l’anima razionale saranno filosofi, l’anima irascibile saranno guerrieri, l’anima appetitiva saranno persone comuni. Occorre che i magistrati sorveglino e dirigano gli affetti, gli amori, i rapporti sessuali, le nascite, ( i nuovi nati saranno posti in asili nido sotto la sorveglianza di donne scelte e ogni individuo sarà seguito secondo una scansione di età, (3 – 6/7 anni; 7 - 10 anni; 10 – 18 anni; 18 – 20 anni; 20 – 35 anni, formazione dei filosofi) per passare alla cura della polis e successivamente dedicarsi alla ricerca filosofica. Dal terzo al sesto anno di vita i bambini sono situati in un luogo (scuola materna), sotto la sorveglianza di una donna, la quale impartisce un insegnamento di tipo ludico. Platone attribuisce molta importanza al gioco come fattore educativo, il gioco è il metodo migliore per rendere piacevole l’apprendimento. Infatti nel corso di questi anni il bambino deve essere lo stesso libero di giocare e di inventare i giochi e per gli anni successivi, invece, i giochi sono stabiliti e hanno lo scopo di inculcare il rispetto delle norme. Fino all’età di sei anni la stessa educazione viene impartita in comune ai maschi e alle femmine, (la differenza riguardava soltanto la divisione tra gli schiavi e gli uomini liberi e tra coloro che dovranno dedicarsi ai commerci, alla guerra, a guidare la società. Dopo i sei anni si incominciavano a separare i bambini di sesso diverso. Nelle leggi era presente la tesi che l’osservazione dei nuovi nati doveva portare a distinguere chi era portato alla formazione culturale e filosofica, da chi, invece, era destinato alle attività manuali; per questi ultimi dovevano essere diversi anche i giochi. Dopo i 6/7 anni i precetti fondamentali di Platone sono: osservare, sorvegliare, curare, distinguere, stimolare, indirizzare. Educazione fisica, canto, danza, musica, dovranno mirare ad una formazione armonica del corpo e dell’anima, per creare una predisposizione ad accogliere e ad assumere la verità.

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Platone desidera che si inizi con l’educazione dell’anima e quindi pone al primo posto la musica; questa contribuisce anche alla formazione del carattere in quanto inculca nell’animo del bambino un senso di gioia e di bello. Come la musica e la poesia costituiscono la cultura dell’anima, così la ginnastica è la cultura del corpo. La ginnastica, infatti, deve collaborare con la musica all’armonizzazione delle facoltà, innanzitutto dell’anima e, attraverso questa, del corpo. Dapprima i futuri filosofi studieranno musica e ginnastica poi le discipline propedeutiche che sono 5: L’ aritmetica: cioè l’arte del calcolo attraverso il quale si scopre la verità pura. La geometria: come scienza degli enti immutabili. La stereometria: che studia lo spazio a tre dimensioni. L’ astronomia: come scienza del movimento. La musica: come scienza dell’armonia, che studia il moto percepito dagli orecchi. Queste discipline matematiche costituiscono la propedeutica della filosofia: esse preparano il filosofo alla scienza suprema che è la dialettica, cioè la scienza delle idee. Tra i 30 / 35 anni i migliori si cimenteranno con la filosofia o dialettica. Successivamente dovranno dedicarsi agli affari dello stato; per altri 15 anni infatti, tra i 35 e i 50 anni, coloro che saranno stati in grado di seguire bene il corso di filosofia dovranno fare il tirocinio pratico nelle cariche militari e civili. Solo a 50 anni, dopo aver superato con esito favorevole queste prove gli ottimi potranno assurgere al governo dello stato. Come si è visto in questa progressione di studio si parte dal mondo sensibile per elevarsi gradualmente verso l’astrazione, orientando lo spirito a liberarsi dalla materialità e a raggiungere così, l’intelligibile. Discipline che, per Platone, erano adatte soprattutto per gli uomini liberi. L’intreccio tra scienza, filosofia, dialettica, si fa in Platone molto organico anche se porta a privilegiare la dimensione teoretica rispetto al fare: il lavorare sui concetti, la trama delle idee, il confronto speculativo prendono il sopravvento. I futuri filosofi dovranno apprendere l’arte della dialettica; un’immagine nella quale ritorna il ruolo del gioco, ma anche della forza, dell’impegno e dell’aggressività. All’età di 17/18 anni vengono interrotti gli studi di carattere intellettuale ed è prescritta per tutti la frequenza di un corso biennale o triennale dedicato alla ginnastica e all’addestramento militare. Quando i giovani sono iniziati alla dialettica, occorrono ancora 5 anni di tirocinio per padroneggiare pienamente questo strumento. Successivamente devono interessarsi alle questioni dello Stato per altri 15 anni. Questo è il supremo fine della PAIDEIA platonica; grazie alla quale si può realizzare lo stato perfetto. La scienza delle idee (dialettica) e la scienza del governo (politica) si saldano e si dividono, perché solo la prima rappresenta la possibile perfezione, la vita ideale; la seconda è indispensabile perché senza una società articolata e governata secondo giustizia è impossibile trarre il massimo dall’educazione, dalla riflessione filosofica e dalla stessa vita pratica ed economica. Scopo dell’educazione, per Platone è l’acquisizione della conoscenza della realtà nel massimo delle sue espressioni ideali, allo stesso tempo c’è in Platone l’esigenza di costruire un mondo sociale e politico che incarni detti ideali. Senofonte (430 – 362 a.C.) Di Senofonte meritano di essere ricordate due opere: L’amministrazione della casa, (L’economico), e Ciropedia. Nella prima è affrontato, in modo dialogico, il problema dell’amministrazione e della gestione della casa, dei beni, secondo una serie di osservazioni che investono il ruolo dell’uomo, della donna, dell’allevamento dei figli secondo gli ideali di giustizia, di onestà. Senofonte parla di amministrazione domestica e agricola. Nella casa di campagna la donna svolge un lavoro complementare a quello dell’uomo e altrettanto essenziale, in quanto provvede a conservare i cibi che il lavoro dei campi produce, nonché a governare la casa. Come gli uomini hanno per istinto l’inclinazione a comandare, così le donne sono orientate alla paura e all’obbedienza. Trattasi di

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famiglia aristocratica, di persone libere con un particolare stile di vita, attente agli aspetti economici e alle relazioni private e pubbliche. Nella Ciropedia il modello educativo di riferimento è la formazione di Ciro il Grande. Ciro, imperatore persiano, rappresenta il modello di uomo e di monarca. Per Senofonte, il punto di forza della pedagogia persiana è la sua severità nel periodo della fanciullezza sino a 16 anni. La severità è condizione irrinunciabile per far si che l’obbedienza imposta nell’età infantile si trasformi, in età adulta, in capacità di comandare. I fanciulli frequentano le scuole e vi imparano la giustizia; ad essi viene anche insegnato il dominio di sé: a ciò contribuisce l’esempio dei più anziani. Dai 16 ai 25 anni i ragazzi persiani entrano nella categoria dei giovani e cominciano a servire lo stato, caccia (esercizio utile alla guerra). A 25 anni divengono adulti di diritto e partecipano alla vita pubblica o alle spedizioni militari. Infine con i 50 anni i Persiani passano nella categoria degli anziani, ma non sono esclusi dalla partecipazione alla vita pubblica. Aristotele (384 – 322 a.C.) Aristotele nacque a Stagira nel 384 a.C. ed entrò nella scuola di Platone a 17 anni. Vi rimase sino alla morte del maestro, cioè per 20 anni. La sua formazione spirituale si compì dunque sotto l’influenza dell’insegnamento e della personalità di Platone. Alla morte di Platone Aristotele lasciò l’Accademia e si recò ad Asso, qui ricostituì una piccola comunità platonica. Dopo 13 anni ritornò ad Atene. Ci fu uno scontro tra il governo macedone e il partito ateniese e Aristotele fuggì a Calcide nell’Eubea. Una malattia allo stomaco pose fine ai suoi giorni nel 322 a.C. Aristotele ha esercitato una profonda influenza sul mondo classico, su quello cristiano e arabo, sulla della pedagogia con la filosofia e con la politica. (Sistema educativo funzionale a quello politico). Per Aristotele, come per Platone, l’educazione è un momento della vita politica. Mentre in Platone l’ideale educativo è il culmine della formazione filosofica dell’uomo e del cittadino, in Aristotele la pedagogia viene subordinata ai bisogni reali della classe dominante; questa non è più costituita da filosofi, ma da persone che sono portatrici di interessi familiari ed economici. Assume un ruolo primario nella dinamica sociale la proprietà privata: chi non possiede beni non gode di diritti. Il fine dell’educazione non è la formazione dell’uomo in quanto tale, bensì l’educazione del cittadino in quel determinato contesto politico ed istituzionale. L’uomo è un animale politico e non può vivere fuori dalla società. Aristotele elenca tre forme di governo: Monarchia, Aristocrazia, Politia, con le possibili degenerazioni: Tirannia, Oligarchia, Democrazia; le sue preferenze andavano alla politica come forma di governo del ceto medio. Il modello educativo del ceto medio e quindi, della politia, ha un’articolazione secondo le scansioni di età 0 / 7; 7 / 14; 14 / 20. Responsabile del primo periodo è la famiglia che, deve prestare attenzione al numero dei figli, all’allevamento, alla nutrizione, all’educazione fisica, ai giochi, ai discorsi, ai costumi, secondo i principi dell’educazione liberale, (propria degli uomini che, per vivere, non hanno bisogno di esercitare attività manuali). Il corso degli studi è basato sull’inserimento della scrittura, della ginnastica, della musica, del disegno. Aristotele creò il liceo, nel quale prevalevano la conversazione, (anche durante le passeggiate nei giardini annessi: di qui il nome di scuola Peripatetica), e i dibattiti sui temi più complessi: una preparazione, in cui stretto era il rapporto tra scienza e filosofia, tra sapere pratico e teorico, tra economia e politica, tra psicologia e cosmologia. Nel liceo prevale l’obiettivo della formazione culturale generale. Era un’istituzione dove si sviluppava la ricerca attraverso l’osservazione, il ragionamento e lo studio dei casi. *Metodo deduttivo � dall’universale al particolare. *Metodo induttivo � dal particolare all’universale)

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Aristotele studia le funzioni dell’anima,10e ritiene che questa sia divisa in anima vegetativa, sensitiva e razionale. Tutti hanno vita e tutti hanno un’anima vegetativa, a seconda delle funzioni cui presiede. Esiste anche un’anima capace di provare sensazioni ed un’anima razionale. Aristotele analizza le proposizioni assertorie ed elimina tutte quella che non sono utili alla scienza. Aristotele si pone il problema di come si giunga alla verità delle premesse, cioè come si fa a sapere che le premesse siano assolutamente vere. Allora indica due vie: metodo deduttivo, (per tentativi) e metodo induttivo, (per ragionamento). Per sapere se il metodo deduttivo è valido si stabiliscono i principi primi che sono quello di identità (A = A), non contraddizione e del terzo escluso. L’acquisizione di una conoscenza universale e oggettiva dipende dalla presenza e dall’uso delle categorie che risultano come modi di essere e di conoscere la realtà: sostanza, qualità, quantità, luogo, tempo, posizione, condizione, lezione, passione, relazione, e dall’importanza della funzione dell’intelletto attivo. Altra funzione importante è quella legata alla spiegazione del movimento come passaggio dalla potenza all’atto dietro l’intervento causale che Aristotele quadripartisce in: causa materiale, (materia, es. marmo); causa formale, (forma, es. animale); causa efficiente, (ovvero colui che produce, es. scultore); causa finale, (ovvero ciò che si deve raggiungere, es. la statua realizzata). Questo vale per le opere create dall’uomo, per quanto riguarda la natura le quattro cause sono tutte interne alla natura. Lo studio della persona umana, (0/7, 7/14, 14/18, 18/20), è impostato secondo il principio della crescita, dell’evoluzione, delle cause che determinano il cambiamento e la scansione delle diverse età: fino ai 6/7 anni l’educazione in famiglia, con particolare attenzione alla scelta delle persone che dovevano seguire il bambino. Dai 7 ai 14 anni, quella che si può considerare la scuola elementare, con l’apprendimento della lettura, della scrittura, del far di conto; dai 14 ai 18 anni con la presenza del grammatico, del pedotriba, (maestro di ginnastica) e del maestro di musica e di disegno, ma in particolare dello studio dei classici, della geometria, dell’aritmetica, dell’astronomia, della retorica. Il periodo dai 18 ai 20 anni è caratterizzato dalla presenza dell’EFEBIA, che si trasforma da un’iniziazione fisica e militare a una culturale che serviva da passaggio all’istruzione superiore, basata sullo studio e sull’apprendimento della retorica, della filosofia, della matematica, della geometria, dell’astronomia, della medicina, della geografia. Si verifica un diverso modo di disporsi nei confronti dell’utilizzazione della cultura, anche per la presenza di scuole filosofiche come la stoica, l’epicurea, la scettica. La logica, la fisica e l’etica degli stoici erano improntate alla tesi di un progetto divino, provvidenziale, razionale: non erano più giustificabili le differenze tra uomini liberi e schiavi perché erano primari la libertà interiore, il controllare le passioni e gli affetti, il seguire la natura, l’affidarsi alla ragione. Negli epicurei dominante è la problematica relativa alle passioni, ai desideri, alle pulsioni, il loro controllo dovrebbe diventare un esercizio costante tramite le conoscenze coltivate fra affini (giardini di Epicureo), la non partecipazione alla vita politica, l’affrancamento dei sentimenti. L’epicureismo ha sempre avuto una visione non ottimistica della natura e la convinzione che la ricerca della felicità può solo puntare sull’educazione dei sensi, dei sentimenti, sul controllo delle passioni. Più radicale è la posizione della scuola scettica; cadono le illusioni circa la credenza di poter attingere alla verità. Tutto è instabile, transitorio, non esistono verità universali, oggettive, l’uomo è costretto a confrontarsi con una realtà contraddittoria ambivalente. Di fronte a coloro che puntavano sulla retorica, conveniva scegliere il tacere e il non prendere posizione, che si deve assumere di fronte alle prove dell’esistenza. La sospensione del giudizio riguarda il rifiuto di ogni forma di dogmatismo. Nell’età ellenistica si venne a creare uno stretto rapporto tra cultura, educazione e pedagogia. Queste hanno cercato di fare chiarezza sul significato della vita, sulla costruzione di 10 qualcosa che sopravvive al corpo, ciò che dà vita al corpo

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personalità attente ai valori interiori. Apparentemente è un modello aperto, di fatto è un modello educativo aristocratico perché è estremamente difficile realizzare la ricchezza interiore se non sono soddisfatti i bisogni fondamentali. Quintiliano (35 – 95 d.C. ca.) Il suo nome e la sua fama sono legati alla composizione dell’Institutio oratoria, un trattato in 12 libri concernente la preparazione degli insegnanti. L’oratore esprime il grado più alto cui possa giungere l’uomo colto che possiede tutte le doti dell’animo, compresa l’eloquenza. Deve quindi essere una persona moralmente irreprensibile, la quale percorrendo un lungo iter scolastico e attraverso un costante esercizio risulterà di una perfezione assoluta. La pedagogia romana trova la sua massima espressione in Quintiliano. La società romana è caratterizzata dalla stabilità delle norme ed è diretta ad un’aristocrazia rurale educata secondo i principi degli antichi. Al centro dell’educazione romana sta la famiglia e il focolare domestico è la prima scuola del bambino. La prima educatrice del bambino è la madre, la donna romana riveste una grandissima importanza sotto l’aspetto morale. All’età di 7 anni il fanciullo inizia il periodo di educazione vera e propria, passando sotto la tutela del padre. Se si tratta di una figlia, ella resta in casa a svolgere lavori domestici. Il pater familias fa del proprio figlio il compagna assiduo nelle varie funzioni civili e militari. Attraverso l’esempio fornitogli dal padre il giovane viene avviato alla vita sociale, nella quale entra a pieno titolo all’età di 16 anni. L’istruzione elementare, (ludus letterarius), avveniva normalmente in famiglia, oppure sotto la guida di un maestro retribuito dalla famiglia: la condizione di questi maestri, a Roma, era povera. Loro compito era quello di insegnare a leggere, scrivere e a far di conto, secondo un metodo individuale, servendosi di tavolette (tabellae); l’uso di abbecedari, syllabari, nominari, rifletteva le modalità e i tempi di apprendimento; per il calcolo venivano usati sassolini. L’uso del termine ludus faceva più riferimento all’età degli alunni che al gioco, perché la disciplina era severe e tale da non rendere piacevole la frequenza della scuola. La successiva scuola di grammatica aveva un carattere più culturale. Le discipline, quali la letteratura, la musica, la geometria, l’astronomia, andarono ampliandosi fino a raggiungere un’articolazione molto vicina a quella del trivio e del quadrivio, (grammatica – logica – retorica = trivio; musica – astronomia – geometria – aritmetica = quadrivio), alle quali si aggiungono la medicina e l’architettura. Centrale era l’insegnamento e l’apprendimento della lingua latina e greca, della pronuncia, delle forme linguistiche, dell’intonazione. La scansione dei cicli scolastici accompagnava quelli dell’inserimento sociale: settimo anno il giovane si spoglia della toga praetexta, tipica della puerizia, e indossa la toga virile, partecipa al servizio militare e alla scuola di retorica. Il maestro di retorica (magister dicendi) esercitava un lavoro molto complesso, perché riguarda non solo l’impostazione dell’arte oratoria, ma un insieme di altri compiti. In un mondo, come quello romano, in cui la legge e il diritto hanno un ruolo fondamentale è spiegabile come l’eloquenza, unita alle competenze giuridico amministrative e a una solida cultura assumesse caratteristiche che non erano solo professionali. Quintiliano si rifà alla tradizione retorica greca iniziata da Isocrate e continuata da Cicerone., anche per lui l’educazione comincia dalla scelta della sposa e dello sposo, dalle attenzioni prestate dal periodo del concepimento, alla gestazione, alla nascita. Quintiliano diede molta importanza al gioco, e ne sottolineò la possibile utilizzazione didattica specie nell’apprendimento della lettura e della scrittura. Sempre in base al principio di un’educazione liberale si dichiarava contrario a ogni forma di castigo fisico. Quintiliano insisteva sul principio della gradualità e sulla necessità di adeguarsi ai ritmi e alle modalità di apprendimento dei singoli allievi. Un’educazione liberale per la formazione di un uomo libero, in grado di governare la società, di esercitare la professione dell’ oratore.

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Quintiliano vede intrecciati lo sviluppo fisico con l’educazione dei sentimenti, dei comportamenti, del linguaggio della razionalità, della cultura per raggiungere l’autonomia personale in termini di impegno, responsabilità, capacità di confronto e partecipazione. Plutarco (Cheronea 45 – 125 d.C.) Nelle Vite parallele Plutarco evidenzia le caratteristiche dei grandi uomini dell’antichità come modello di eroismo e di sapienza. Questo capolavoro è un’opera più etica che pedagogica in quanto ricca di notazioni riguardanti le finalità e gli ideali dell’uomo. Nell’opuscolo dell’educazione dei figlioli, (De liberis educandis), Plutarco insiste sul fine morale dell’educazione: per fare l’uomo perfettamente virtuoso occorrono tre cose: Natura, Ragione, ed Uso, la somma perfezione consiste in tutti e tre. Questo ideale morale deve essere realizzato soltanto da maestri che conoscono l’arte dell’insegnare. È possibile per Plutarco uno studio articolato delle materie, a condizione che l’enciclopedismo sia ricondotto a unità dalla filosofia; è necessario che questa sia lo studio principale e il fondamento di ogni altro sapere ed essa consente il raggiungimento del fine morale. Per quanto riguarda le altre discipline, Plutarco raccomanda di non disprezzare l’esercizio del corpo: anche per quanto riguarda il comportamento quotidiano, Plutarco è molto attento alle “buone maniere” che, contribuiscono a fondare la disposizione morale. Egli è contrario all’eccesso delle lodi e ai castighi corporali. Plutarco pensa più conveniente usare le parole e la persuasione. Un problema particolare è quello della sincerità nel rapporto con i giovani: i primi a dire la verità devono essere i genitori e gli educatori. Plutarco confida quindi nell’importanza dell’educazione per ricondurre l’uomo alla virtù e alla felicità. Egli punta sul valore della formazione intellettuale e morale e del sapere come suo fondamento. L’educazione è quindi un processo che comincia nel momento in cui le coppie decidono di volere dei figli. Fin dalla nascita i genitori devono garantire un ambiente educativo, preoccupandosi delle persone, a partire dalla nutrice e dal personale di servizio, che accudiscono il piccolo. In questa fase, massima sarà l’attenzione per assicurare un’alimentazione sana ed equilibrata. Dopo i 6/7 anni con la fanciullezza, ha inizio il processo di istruzione. A questo punto diventa essenziale la scelta del maestro. L’istruzione è indispensabile per la formazione senza di essa non si comunica con gli altri e non si fa cultura. Dopo i 12 anni il problema diventa quello di come esprimersi e atteggiarsi nella società. Plutarco si fa paladino di quella formazione generale, o PAIDEIA, a carattere enciclopedico, tesa a garantire quella cultura generale o di base, propria dell’ellenismo. Solo così il ragazzo diventa adulto e uomo libero. L’educazione deve consentire a un ragazzo libero di ascoltare e conoscere anche tutte le altre discipline che formano l’educazione di base, assegnando un ruolo preminente alla filosofia. Questa è la conoscenza più ampia e Plutarco insiste sul suo carattere pluridisciplinare, alla quale tutte le altre materie di studio si riconducono, essa consente il raggiungimento del fine morale.

Capitolo II° Didachè – Clemente Alessandrino e San Gerolamo Il prevalere del Cristianesimo nel mondo occidentale determinò un nuovo indirizzo della filosofia. Ogni religione implica un insieme di credenze, che non sono frutto di ricerca, perché consistono nell’accettazione di una rivelazione. La religione è l’adesione ad una verità che l’uomo accetta in virtù di una testimonianza superiore. Tale è infatti il cristianesimo. La religione sembra perciò escludere nel suo stesso principio la ricerca e consistere anzi nell’atteggiamento opposto,

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dell’accettazione di una verità testimoniata dall’alto indipendente da qualsiasi ricerca. La filosofia cristiana si è assunto il compito di portare l’uomo alla comprensione della verità rivelata da Cristo, in modo che egli possa realizzare in se il significato autentico. Con l’avvento del Cristianesimo si inserisce nel mondo della cultura e delle pratiche educative un modello nuovo destinato a influire nei secoli successivi sulla pedagogia e sulle istituzioni educative, scolastiche ed extrascolastiche sul piano europeo, internazionale, mondiale. Un messaggio, quello cristiano, semplice solo in apparenza, perché impostava in modo nuovo il rapporto tra l’uomo e Dio, i rapporti con il prossimo, la concezione stessa di Dio inteso come Amore, Provvidenza, Partecipazione. Lo stesso vissuto quotidiano, veniva a modificare i comportamenti e i valori di riferimento: umiltà, povertà, amore, libertà, giustizia, fede, speranza, carità. L’ottimistica fiducia in Dio era intrisa della consapevolezza che la vita terrena è solo un periodo di passaggio, di prova in attesa del premio o del castigo eterno. Centrale diventa la vita religiosa, il processo educativo personale e comunitario deve essere impostato sui principi cristiani; la religione, la religiosità devono informare i sentimenti, gli affetti, la vita coniugale, l’educazione e l’istruzione dei figli. Il messaggio cristiano acquisisce una posizione egemonica a partire dal 313. per quanto riguarda il modello educativo, pedagogico, didattico: la verità, la certezza, l’impegno di fare acquisire principi di condotta portarono i primi cristiani e non solo loro, a preferire un tipo di insegnamento catechistico fondato su definizioni, asserzioni. Esempio tipico è la didachè, (non uccidere, non rubare, …). Il padre, la madre, i sacerdoti, la comunità, la chiesa, assumono un ruolo fondamentale nell’educazione dei figli e dei giovani. Il sentimento dell’infanzia è quanto mai rivalutato fino ad assumere l’immagine di una vita semplice e solo chi sarà simile ai fanciulli potrà aspirare alla salvezza eterna. La vera rivoluzione avvenne nel modo di concepire la parola, il pedagogo, il maestro, il pensiero. L’autentica parola, il pensiero, il logos, coincidono con Dio, con il Cristo; solo il Cristo è il pedagogo, il maestro, nessuno può dichiararsi tale perché nessuno può fruire dell’autonomia, della verità e del sapere. Sotto questo punto di vista, esemplare è il pedagogo. Clemente Alessandrino (150 ca. – 215 ca / d.C.) La figura del pedagogo, (è nettamente rivalutata rispetto al didascalos, perché è il primo), non si limita ad insegnare una cultura strumentale, ma segue la formazione del bambino. Il pedagogo è riconosciuto come il primo trattato cristiano sull’educazione. L’opera è una critica al paganesimo. La parte centrale riguarda la necessità della conversione al cristianesimo. L’educazione è data dal pedagogo, e Cristo è il logos pedagogo, in quanto conduce gli uomini alla virtù; logos didascalo, in quanto insegna la verità. Il termine di pedagogia si intende in molti modi: pedagogia di chi è guidato e impara – di chi guida o insegna; pedagogia, in 3° luogo, l’educazione stessa, pedagogia ancora le materie insegnate, come per esempio i precetti. Ma la pedagogia, secondo Dio, è l’educazione del cammino diritto della verità, in vista della contemplazione di Dio e l’indicazione di una santa condotta in un’eterna perseveranza. Il logos è ugualmente il pedagogo sia degli uomini sia delle donne. Se, infatti, per entrambi Dio è unico, uno solo è anche il Pedagogo per entrambi. (Il modello cristiano deve essere visibile nel costume, nella mentalità, nei comportamenti). Esso era testimonianza di un modello educativo cristiano, che si inserisce in tutti gli aspetti della vita quotidiana. (Se nell’umanesimo e nel rinascimento si parlerà di buone maniere, di galateo, non meno attenti erano i suggerimenti di Clemente Alessandrino). Il cristiano dovrà distinguersi anche nel modo di sorridere, di sedersi a tavola, di camminare, di salutare, di parlare e ancora di più, nella gestione familiare, negli affetti domestici, nel modo di generare e di educare i figli. Il centro dell’educazione è il fanciullo, il popolo cristiano, ma fondamentale è l’azione guida del pedagogo. Superata la distinzione classica ed anche fisica tra pedagogo e maestro, l’attenzione è spostata sul ruolo principale dell’azione

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educativa, del metodo, della guida, dell’obiettivo impersonati dal Cristo, dalla Parola, dal Logos, dalla Verità. Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (160 ca. – 220 ca.) Di lui sottolineiamo due aspetti: la partecipazione del cristiano alla vita sociale e il modo di considerare la vitalità intelligente del nuovo nato. La presenza e la partecipazione cristiana venivano a estrinsecarsi in tutti i settori, compresi quelli educativi e culturali, ma sempre con una visione diversa della vita, compresa quella dell’infanzia, così non si doveva misconoscere la vitalità sensoriale e intellettuale all’uomo fin dalla nascita. San Gerolamo (374 – 420 ca.) Noto per la sua traduzione della Bibbia dal testo ebraico a quello latino, costituisce un esempio per la scelta culturale (amore e rifiuto dei classici), per il ritiro nel deserto, per i consigli su una retta educazione cristiana. Classica è la lettera indirizzata a Leta su come educare la figlia Paola: altre due lettere: a Godenio e a Eustochio. La pedagogia di San Gerolamo è espressamente orientata per le fanciulle che abbracciano la vita monastica. È un intreccio di educazione liberale e nello stesso tempo rigorosa, ascetica; infatti la componente fondamentale della sua personalità è l’ascetismo. Questo è stato ed è anche il cristianesimo: rinuncia, isolamento, preghiera, controllo dei comportamenti. Un metodo educativo che ha come meta fondamentale la salvezza, in un confronto con il mondo e con la propria e altrui esistenza. Sant’Agostino (Tagaste 354 – Ippona 430) Aurelio Agostino occupa un posto centrale nell’ambito di tutta la pedagogia cristiana. Suo padre Patrizio era pagano, la madre Monica, cristiana esercitò sul figlio una profonda influenza tanto che quando questi visse la sua fanciullezza tra Tagaste e Cartagine, coltivò studi classici e latini, e si occupava di grammatica. Insegnò poi retorica a Cartagine, a Roma e infine a Milano ma nel 386 lasciò l’insegnamento. Da quel momento la sua vita è una continua ricerca della verità e di Dio. È una continua lotta contro l’errore. Dopo una nuova permanenza a Roma e un ritorno a Tagaste nel 391, fu ordinato sacerdote e nel 395 vescovo di Ippona. La sua attività era rivolta non solo difendere e chiarire i principi della fede ma anche a combattere i nemici della chiesa. La lunga ricerca personale, esistenziale di Dio e della verità è perseguita in mezzo a coinvolgimenti umani e culturali, a crisi, ripensamenti, confessioni. Testimonianza di questo travaglio e di questa ricerca sono le Confessioni, in 13 libri, scritte tra il 397 e il 407, opera autobiografica. Visse queste esperienze in un mondo conflittuale che registrava la presenza dei Barbari, (sacco di Roma di Alarico nel 410), l’assedio di Ippona da parte dei Vandali di Genserico. Egli registrò queste presenze in particolare nella Città di Dio, opera teologica, religiosa, politica (composta tra il 412 e il 426), in cui emerge l’esigenza di fare chiarezza fra la città di Dio e la città di Satana, nella convinzione che solo nell’aldilà e nell’eternità sarà possibile distinguere i buoni, i santi dai reprobi. La vita del singolo uomo è dominata dall’alternativa fondamentale: vivere secondo la carne o vivere secondo lo spirito. La stessa alternativa domina la storia dell’umanità. Questa è costituita dalla lotta tra due città, quella terrena e quella di Dio. L’amore di se, portato fino al disprezzo di Dio genera la città terrena e

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l’amore di Dio portato fino al disprezzo di se genera la città celeste. Solo interrogando se stesso l’uomo potrà comprendere a quale città appartiene. Con Sant’Agostino si afferma il principio della superiorità della chiesa rispetto allo stato, e soprattutto all’Impero romano. È una forma di Geocentrismo, perché Dio, Cristo, la Trinità sono la fonte della verità. Il dubbio può riguardare l’iniziale incertezza umana, le eresie ma non certo chi si appoggia al Vangelo, alla luca interiore, alla coscienza. L’innatismo agostiniano ha apparentemente molte cose in comune con la filosofia platonica e neoplatonica, però se ne differenzia nel modo di individuare e di concepire la fonte della verità. Analogamente a Platone Agostino ritiene infatti che nell’uomo esistano delle verità o dei criteri di giudizio, (bene, giustizia), che non possono derivare dall’esperienza. Tuttavia mentre Platone con la “reminiscenza” faceva deviare tali verità dal mondo delle idee, Sant’Agostino li fa provenire da Dio. Dio è fonte e garanzia della verità: è un processo di autoeducazione in quanto si tratta di scoprire la verità che è in noi. L’itinerario educativo coincide con le tappe della crescita ma sostanzialmente con la presa di coscienza del rapporto Dio – uomo – salvezza – dannazione. La comprensione dimostrata da Sant’Agostino per gli errori infantili, il riconoscimento del valore del gioco, la critica dei sistemi autoritari e repressivi sono da leggere nella direzione di una educazione e di una pedagogia che vogliono essere libeatrico. Rifiuta ogni rigida precettistica e sottolinea l’amore quale via privilegiata per ottenere l’attenzione degli alunni. Nel De Magistero, (389), Sant’Agostino afferma che: chi considera i segni e le parole come realtà autonome rimane esterno alla verità e può cadere nell’errore poiché la conoscenza non deriva dalle parole ma da una realtà. Non si può insegnare senza segni, senza parole, ma la garanzia è costituita dal maestro che parla e agisce dall’interno: il Maestro Divino!!! Con Sant’Agostino l’asse dell’attenzione relativo al processo educativo è spostato dal maestro storico a quello divino; non vi è una svalutazione del maestro storico, ma la sua funzione è di supporto, di stimolo. È una didattica cristiana “catechizandis rudibus”, che tende alla formazione del cristiano in una situazione esistenziale contrassegnata dal peccato, dal male, dalla colpa, dalla problematica salvezza. Il peccato non è tanto offesa a Dio, ma consiste nel rifiuto di intraprendere l’itinerario verso il bene supremo, rimanendo confinati in una situazione di continua insoddisfazione. È una pedagogia che ha come punto di riferimento il singolo, l’uomo, ma che punta all’educazione del genere umano, seconda un’opera di trasformazione che tende a mutare l’uomo vecchio nell’uomo nuovo. Nel De Vera Religione Sant’Agostino traccia la differenza tra la vita dell’uomo vecchio, esteriore e terreno, e la vita dell’uomo nuovo, interiore e celeste, di cui traccia le sette età, secondo una scansione temporale e spirituale. La prima età nutre il bambino di esempi. La seconda età dimentica le cose umane e tende alle divine. La terza congiunge l’appetito carnale con la forza della ragione. La quarta segue queste norme con maggiore fermezza e tende all’umana perfezione. La quinta, in una pace e tranquillità assoluta, vive nelle ricchezze e nell’abbondanza del regno immutabile. La sesta è totalmente rinnovata per la vita eterna. La settima è già la quiete eterna e la perfetta beatitudine. Come la fine dell’uomo vecchio è la morte, così la fine dell’uomo nuovo è la vita eterna. Nel De Catechizandis Rudibus Agostino rifiuta ogni rigida precettistica e sottolinea l’Amore quale via privilegiata per ottenere l’attenzione degli alunni. Manicheismo, Donatismo, Pelagianesimo. Dopo il sacco di Roma, Agostino per rispondere alle accuse dei pagani, compone “La città di Dio”. Intanto un flagello analogo, l’invasione dei vandali si abbatté nel 428 sull’Arica Romana. Già da tre mesi truppe di Gianserico assediavano Ippona quando nel 430 Agostino moriva. Polemica di S.Agostino contro il Manicheismo:

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il principe persiano Mani ammetteva nel mondo due principi, uno del bene e uno del male in eterna lotta tra di loro…Agostino aveva abbandonato il manicheismo, ritenendolo filosoficamente insostenibile, poiché esso presupponendo uno scontro cosmico tra della divinità del Bene con quella del Male , metteva in forse il concetto di incorruttibilità di Dio. s. Agostino sostiene che, poiché Dio ha creato tutte le cose, tutto ciò che è in quanto esiste è bene. Per cui essere e bene coincidono. Alla luce di questo presupposto il mele non può configurarsi che come privazione di ogni bene. Le cose corruttibili del creato, infatti, per corrompersi devono essere in qualche modo bene, altrimenti non avrebbero in se nulla per cui corrompersi. Il male è sempre male di qualcosa, egli non ha una consistenza ontologica autonoma, ma è una semplice privazione di bene. In sintesi il male per S. Agostino non esiste (poiché è parte di un ordine cosmico che è di per se bene), oppure è dovuto all’uomo. Polemica contro il Donatismo: il donatismo (così chiamato da Donato di Case Nere III sec.)dilagava nell’Africa Romana da circa un secolo quando Agostino venne nominato vescovo, nel 395. Era un movimento scismatico fondato sul principio dell’assoluta intransigenza (non accettava compromessi) della chiesa di frinte allo Stato. La chiesa è una comunità di “perfetti” che non devono avere contatti con le autorità civili, infatti, quelle autorità che tolleravano tali contatti perdono la loro autorità di amministrare i sacramenti, in più i fedeli devono ritenerli traditori e rinnovare il battesimo e gli altri sacramenti ricevuti da esse. Queste affermazioni dei donatisti, rendevano impossibile ogni gerarchia ecclesiastica perché davano a qualsiasi fedele il diritto di indagare i titoli del suo superiore gerarchico e negargli obbedienza e disciplina. Contro il donatismo, S. Agostino afferma la validità dei sacramenti indipendentemente dalla persona di chi gli amministra. È Cristo che opera direttamente attraverso il sacerdote e conferisce efficacia al sacramento che egli amministra: non può esservi dubbio su tale efficacia. Inoltre la comunità dei fedeli non può essere ristretta ad una minoranza di persone che si isolano da resto della comunità. Polemica contro il Pelagianesimo: il monaco inglese Pelagio viveva a Roma nei primi anni de V secolo. Tutto il pensiero teologico del medioevo è dominato da Agostino, specialmente in un suo scontro con Pelagio; proprio in ciò il medioevo era cattolico e cristiano: quando affermava la sovrana libertà, è efficacia della grazia divina, quando professava che Dio ha l’iniziativa prima di ogni bene, che l’uomo non può salvarsi da solo né iniziare da solo l’opera della sua salvezza e che da solo può soltanto il male e l’errore e che egli è libero quando agisce sotto la grazia divina. Pelagiane sono le teorie illuministe umaniste. Pelagio sostiene che l’uomo è l’artefice del proprio destino senza aiuto né intervento divino. Polemizza quindi contro s. Agostino. Il punto dista di Pelagio consisteva essenzialmente nel negare che la colpa di Adamo avesse indebolito la liberta originaria dell’uomo e quindi la sua capacità di fare del bene. Il peccato di Adamo, è solo un esempio cattivo che pesa bensì sulle nostre capacità e rende ad esse più difficile il compito di operare il bene, ma non lo rende impossibile. Per Pelagio, l’uomo sia prima che dopo il peccato di Adamo, è capace di operare virtuosamente senza l’intervento della grazia divina. Questa dottrina, però, conduceva a ritenere inutile l’opera redentrice del Cristo. Agostino reagisce affermando che con Adamo e in Adamo ha peccato tutta l’umanità, e che quindi il genere umano è solo una massa dannata. L’uomo può vincere il peccato solo mediante l’aiuto della grazia divina e della misericordia. RAGIONE DI FEDE: nei Soliloqui Agostano dichiara che lo scopo della sua ricerca è quello di conoscere Dio e l’anima. Dio e l’anima però per Agostano non richiamano due immagini differenti: conoscere l’anima vuol dire conoscere Dio. Secondo S. Agostino ragione e fede sono strettamente unite e in grado di collaborare e rafforzarsi a vicenda. La teoria agostiniana dei rapporti tra ragione e fede è, infatti, sintetizzata nella formula duplice CREDET UT INTELLIGAS (credi per capire) e INTELLIGE UT CREDAS (capisce per credere). Con queste affermazioni Agostino intende dire

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che per capire, ossia per far filosofia in modo corretto e trovare la verità è indispensabile credere, cioè possedere la fede, viceversa per avere una salda fede è indispensabile esercitare l’intelletto, ossia filosofare. Il principio fondamentale della teologia agostiniana è che: la verità è Dio. Proprio in quanto l’uomo ricerca Dio nell’interiorità della sua coscienza Dio è per lui essere e verità, trascendente e rivelazione, Padre e Logos. Che l’uomo sia fatto ad immagine di Dio significa dunque che può cercarLo ed amarLo e rapportarsi al Suo essere . Ogni individuo è per sua natura un uomo vecchio, ma deve diventare un uomo nuovo, deve rinascere alla vita spirituale. L’uomo è infatti, in primo luogo, l’uomo vecchio, l’uomo esteriore o carnale, che nasce, cresce, invecchia e muore. In secondo luogo può essere anche uomo nuovo e spirituale, può rinascere spiritualmente. In quanto è essere, Dio è il fondamento di tutto ciò che è; è dunque il Creatore di tutto. Alcuni padri della Chiesa, come Origene, ritenevano che la creazione del mondo fosse eterna non potendo essa implicare un mutamento nella volontà divina; in realtà, secondo Agostino, Dio è l’autore non solo di ciò che esiste nel tempo, ma del tempo stesso. Prima della creazione non c’era tempo.

Medioevo: San Tommaso (Roccassecca, (Frosinone)1221 – 1274) Ne 1243 entrò a Napoli nell’ordine dei Domenicani; di lì fu mandato a Parigi dove divenne scolaro di Alberto. Tornò in Italia per insegnare all’università di Napoli ma, nel 1274 designato da Gregorio X, partiva per recarsi al Concilio di Lione. Durante il viaggio si ammalò; si fece trasportare nel chiostro circense di Fossanova, presso Terracina, dove morì lo stesso anno. FEDE E RELIGIONE: Alla base del sistema Tomistico vi è il rapporto tra la ragione e la rivelazione. All’uomo, che ha come suo ultimo fine Dio, non basta la sola ricerca filosofica fondata sulla ragione. È necessario che l’uomo sia istruito dalla rivelazione divina; che non annulla né rende inutile la ragione, ma la subordina alla fede. La ragione può servire alla fede in modi diversi: dimostrando che Dio esiste può chiarire la verità della fede; può controbattere obiezioni che si fanno alla fede dimostrando che sono false. METAFISICA: per Tommaso Ente ed Essenza sono le prime cose che l’intelletto comprende. L’Ente può essere REALE (ovvero ciò che è presente nella realtà) oppure, può essere LOGICO (l’Ente è tutto ciò che viene espresso in una posizione affermativa). L’Essenza che Tommaso chiama anche NATURA, comprende non solo la forma ma anche la natura delle cose composte, giacché comprende tutto ciò che è espresso nella definizione delle cose. Sebbene la definizione della filosofia di Tommaso è una dimostrazione dell’esistenza di Dio egli raccoglie ed articola le sue prove.

1) PROVA COSMOLOGICA: Parte dal principio che tutto ciò che si muove è mosso da altro. Ma non è possibile procedere all’infinito; è necessario trovare un motore che non sia mosso da un altro. Questo motore è Dio.

2) LA PROVA CASUALE: Nell’ordine delle cause efficienti non si può risalire all’infinito; vi deve essere una causa prima che è Dio.

3) LA PROVA DEL RAPPORTO TRA POSSIBILE E NECESSARIO: Le cose possibili esistono solo in virtù delle cose necessarie ma, queste hanno la causa della loro necessità o in se o in altro. Bisogna risalire a qualcosa che sia necessario di per se e sia causa della necessità di ciò che è necessario per altro. È questo è Dio.

4) PROVA DEI GRADI: Si trova nelle cose il meno e il più del vero, del bene e di tutte le altre perfezioni: vi sarà dunque anche il grado massimo di tali perfezioni e sarà esso la causa dei gradi minori. Ora la causa dell’essere e della bontà di ogni perfezione è Dio.

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5) PROVA DESUNTA DAL GOVERNO DELLE COSE: Le cose naturali, prive di intelligenza, sono dirette ad un fine. Queste non potrebbero essere se non fossero governate da un Essere dotato di intelligenza. Vi è dunque un Essere intelligente dal quale tutte le cose naturali sono ordinate ad un fine: questo Essere è Dio.

I dogmi fondamentali del cristianesimo, la trinità, l’incarnazione, la creazione, sono secondo S. Tommaso articoli di fede, non suscettibili di trattamento dimostrativo. Di fronte ad essi il compito della ragione si limita a chiarire, poi a resistere alle obiezioni. Quanto alla creazione essa è articolo di fede, secondo Tommaso solo nel senso di inizio bel tempo non nel senso di creazione dal nulla. Il mondo secondo Tommaso, prima della creazione è stato possibile solo perché Dio poteva crearlo e perché la sua creazione non era impossibile. San Tommaso, parla di PRNCIPIUM INDIVIDUATIONIS, dove ciò che determina il carattere proprio di ciascun individuo è la sua diversità dagli altri, non è la materia comune (la carne e le ossa non diversificano gli individui), ma la materia segnata o la materia considerata sotto determinate dimensioni. Un uomo è diverso da un altro perché è unito ad un determinato corpo in una situazione in spazio e tempo differente a quella di altri uomini. S. Tommaso, infatti afferma che la natura dell’uomo è costituita da anima e corpo. Pur fungendo da atto del corpo (l’anima fa si che l’uomo si conosca e si muova), l’anima ha una natura autonoma ed incorporea che riceve direttamente da Dio. L’anima è anche immortale. ETICA: Poiché l’uomo è una creatura di Dio, egli (l’uomo) non potrà fare a meno di operare in modo creaturale, ossia di tendere al Creatore. Infatti, il fine ultimo cui tende l’uomo è la FELICITÀ, la quale non può consistere in qualche bene finito ma soltanto in Dio. VIRTÙ: Tommaso accetta da Aristotele la distinzione tra virtù intellettuali e morali (virtù umane) tra cui le principali sono: Giustizia, Temperanza, Prudenza. Ma per conseguire la beatitudine eterna, queste virtù non bastano: sono necessariamente le virtù teologiche, direttamente infuse da Dio nell’uomo: Fede, Speranza e Carità. Il periodo che va da Sant’Agostino a San Tommaso d’Aquino è lungo, è ricco di avvenimenti, cambiamenti, confronti. La religione, la Chiesa, occupano un posto egemonico. Ci troviamo di fronte a una pluralità di società, di culture variamente costituite e a istituzioni che cercano le proprie identità e i propri spazi. Non sempre il riconoscimento cristiano del valore del soggetto, della persona è accompagnato da un pari ed esplicito riconoscimento giuridico, le differenze di status creano rapporti di dipendenza e di subalternità e forme di egemonia e autorità. Le interferenze religiose mettono a dura prova i tentativi di acquisizione di un’autonomia laica e l’emergere di un’istituzione statuale solida. Le rotture con la chiesa di Roma e la crisi dell’impero romano, non contribuirono a creare una situazione favorevole alla formazione di modelli educativi. All’interno della società civile la stratificazione e la differenziazione di gruppi , ceti, erano tali da non creare situazioni omogenee. Il modello di educazione cristiana da un lato informano la vita quotidiana dei singoli e collettiva, dall’altro si presentava molto stratificato ma non lasciava molti spazi per modelli alternativi. Il fatto stesso che l’istruzione, specie per le classi popolari fosse prevalentemente orale, non riguardasse l’alfabetizzazione aveva come conseguenza la crisi della scuola primaria, la non scolarizzazione e l’emarginazione di una fascia di età toccata dall’alta mortalità, dall’impiego anticipato dei lavori. L’apprendimento della lettura e della scrittura da parte di coloro che intendevano poi frequentare le scuole di grammatica, era strumentale e non culturale e la presenza della lingua latina unite alle lingue volgari, contribuirono a complicare ulteriormente la situazione. La pedagogia e l’educazione, pur mantenendo fermo l’elemento di fondo costituito dal cristianesimo, divennero differenziazione nel senso che i modelli educatici e formativi si adattavano alla specificità della collocazione sociale. Al di là delle apparenze, nel periodo medioevale, l’aspetto istituzionale prevalse su quello sociale, nel senso che erano gli aggregati, (chiesa, stato corporazioni), a prevalere nella determinazione culturale, per il controllo delle istituzioni scolastiche. Lo dimostra la varietà di scuole create dagli ordini religiosi, (parrocchiali, cattedrali,

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monastiche, ecc.). l’invito a diffondere l’istruzione religiosa, a far apprendere la lettura, è presente nei documenti dei concili, nelle encicliche e in particolare all’interno delle regole degli ordini religiosi a cominciare dai Benedettini, (San Benedetto da Norcia 480 – 547), dai Domenicani, (San Domenico 1170 – 1221), dai Francescani, (San Francesco 1182 – 1226). Quanto mai significativa è la stesura dell’Epistola de Litteris Colendis (779) e dell’ Admonitio Generalis (789) da parte di Carlo Magno con l’invito a estendere l’istruzione a tutti e quindi mai solo al clero e a coloro che gravitavano intorno alle istituzioni ecclesiastiche. Ma se nell’ambito della vita feudale, della nobiltà e incentivazione culturale non è stata forte proprio per il tipo di attività è con il sorgere dei Comuni, dell’artigianato, dell’industria, che si ha una un vero cambiamento di prospettiva con la creazione di scuole municipali per mercanti, per notai, con la presenza del bilinguismo, (latino, lingua straniera, più l’uso del volgare) e con l’interesse per i saperi strumentali, pratici con un rapporto più equilibrato tra cultura orale e cultura alfabetizzata, con l’uso della scrittura. Accanto alle Arti Liberali, assumono un ruolo importante il Trivio (grammatica, dialettica, retorica), e il Quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia) e s’inseriscono il Diritto e la Medicina, mentre accanto alle discipline tradizionali (grammatica, teologia, filosofia), cominciano ad acquistare spazio le conoscenze scientifiche. Un sistema scolastico quello medioevale molto disciplinato, autoritario, basato sull’insegnamento, sull’ascolto, sull’apprendimento, sulla memorizzazione con pochissimo spazio all’attività ludica, all’iniziativa degli allievi. Il problema di fondo rimaneva quello di saldare una cultura per il clero, per il borghese, dell’uomo libero con quelle legate a professioni ritenute non liberali. Sintomatico a questo riguardo, è il contenuto del Didascalicon di Ugo S. Vittore (1096 – 1141). Solo le discipline liberali sono in grado di formare uomini liberi. Il problema fondamentale è quello di chiarire se e come è possibile l’educazione, quali sono gli obiettivi e i metodi, i soggetti coinvolti. Le impostazioni di San Tommaso d’Aquino aprono ad una chiarificazione che si potrebbe definire nuovo umanesimo educativo cristiano, destinato a essere ripreso nel tema su sollecitazione della chiesa (Enciclica Alterni Patris di Leone XIII 1879), e di un rinnovato interesse per la filosofia medioevale e in particolare per la scolastica e per San Tommaso. Sul piano educativo e pedagogico il problema principale per San Tommaso è ancora una volta l’identità del maestro, che si impersona, anche per lui con la luce interiore e quindi col Maestro divino. Costantemente è presente la metafora della medicina, perché come il medico possiede la conoscenza e la scienza, però la guarigione non dipende dalla trasmissione del sapere, ma dall’aiutare con interventi particolari, la natura a “guarire”, così l’apprendimento è possibile ed è tale solo se si sviluppa, matura nella collaborazione, soprattutto con l’intervento attivo del soggetto. San Tommaso distingue il trovare, la scoperta (inventio), derivante dall’acquisizione naturale e autonoma di conoscere dall’imparare che si verifica quando alla ragion naturale e autonoma viene in aiuto qualcuno dall’esterno. Il confronto tra medico e maestro diventa sempre più ravvicinato: scopo dell’educazione è di trasformare in atto le potenzialità positive esistenti nell’allievo. Ma il sapere, la conoscenza, dipendono dai “principi primi”, dai “principi comuni”, i quali però provengono da Dio. Questo lume di ragione, per il quale questi principi sono posti, è in noi messo da Dio, solo Lui è colui che interiormente e principalmente insegna. Ciò vuol dire anche che nessuno, a rigor di logica e di fede, può definirsi in senso autentico maestro, se non Dio. San Tommaso ribadisce anche che “la certezza della scienza nasce tutta dalla certezza dei principi”, ma poiché niente può formare la mente tranne Dio, qualunque cosa si sappia con certezza proviene da quel lume di ragione, dalla Divinità. La “certezza della scienza si ha solo in Dio”, anche se aggiunge la scienza in qualche modo è causata dall’uomo in noi, per cui “dal maestro egli non impara i principi ma solo le conclusioni. Indubbiamente è centrale nella filosofia di San Tommaso il “principio dell’esistenza di Dio”, le sue prove sono a posteriori. Ancora una volta fa riferimento all’esperienza e alla ragione la quale ha, d’altra parte, una natura divina , per cui si può dire che il circolo si chiude “da Dio a Dio”. Ma San Tommaso affermava che l’intelligenza costituisce il carattere essenziale dell’uomo. Tutti, compreso l’uomo, sono stati creati per raggiungere uno scopo, un fine, (la felicità, il bene, la

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salvezza, Dio). Esiste la possibilità di perseguirli, ma tutto dipende, specie per l’uomo, da scelte razionali. Non esiste per San Tommaso una scissione tra ragione indagativi e ragione pratica, nel senso che ambedue hanno una matrice divina, hanno la possibilità di scelta, possono cadere nell’errore e non è detto che il male razionale sia inferiore al male morale, (errore etico), è un problema di libertà e responsabilità che si riflette nella società e nella politica. Anche nel suo pensiero politico il riferimento alla natura, alle situazioni esistenti è sempre puntuale, come puntuale è la proposta di un uso razionale e finalizzato delle risorse.. affermava che ognuno doveva avere il necessario secondo la sua condizione e il suo stato, perché altrimenti non potrebbe stabilmente durare una città o un regno. Il problema dell’ordine e della scala dei valori, della gradualità della perfezione degli enti si riflette sull’assetto della società della vita privata e pubblica. Utopia e razionalità s’intersecano alla ricerca di un ordine, di un’armonia, di una possibile giustizia. Ne consegue che l’organizzazione sociale, allora, è perfetta quando ciascuno, nella sua condizione, ha il posto e la funzione che gli compete. Ancora una volta punta sulla ragionevolezza, sul senso dell’ordine, sulla collocazione funzionale al sistema, alla scala dei valori; una cosmologia politica, antropologica, culturale, educativa, metafisica con la quale la cultura moderna ha dovuto fare i conti.

Capitolo III Umanesimo, Rinascimento, Riforme religiose Rinascimento = designa il passaggio dal Medioevo all’età moderna. L’umanesimo è un aspetto di questo movimento. Umanesimo = 400; Rinascimento = 500 Umanesimo e pedagogia Diversità di interessi e di impostazioni rispetto al medioevo. Più attenzione all’aspetto evolutivo dell’uomo, alla sua educazione sin dai primi anni di vita. Rispetto al Medioevo, dove si pensava soprattutto all’adulto, i nuovi gruppi emergenti avvertono l’importanza che l’infanzia e la giovinezza costituiscono una vera e propria ricchezza. Uomo libero, studi liberali. Si delinea un passaggio dalla pedagogia medioevale a quella umanistico – rinascimentale. La pedagogia cristiana medioevale registra uno spostamento dell’interesse per l’immediatezza educativa; per una più accentuata attenzione agli aspetti istituzionali, alla presenza e al ruolo degli adulti, agli aspetti teorici relativi ai problemi conoscitivi, logico, linguistici, teologici, metafisici. È lo stesso assetto alle istituzioni, (chiesa, stato, organizzazione feudale), che richiede un tipo di competenze che innestano quelle che possiamo chiamare l’istruzione superiore e, a livello scuole, persone adulte. Specie nel periodo dell’alto medioevo vi è una scarsa sensibilità per il problema dell’infanzia, e una prevalenza della società adulta. I nuovi gruppi sociali emergenti avvertivano che l’infanzia e la giovinezza costituivano una vera e propria ricchezza per la famiglia, per il ceto di appartenenza nella pedagogia moderna rinascimentale: si accompagna un sempre maggiore interesse per l’educazione infantile, una riscoperta dell’importanza dell’educazione riscontrata nei primi anni della vita e nell’adolescenza. Più attenzione all’aspetto evolutivo dell’uomo. L’Umanesimo è caratterizzato dal rifiorire degli studi della lingua e della cultura classica cioè delle umanae litterae, delle lingue moderne, del volgare, delle conoscenze scientifiche, del saper vivere nella società, delle buone maniere. Si afferma il valore della salute, della buona alimentazione. La nuova borghesia si fa portatrice di un modello educativo nuovo, intrecciato di aspetti laici e religiosi, intessuto di valori civili, di una nuova sensibilità culturale. È un modello educativo, liberale, umanistico. Liberale nel senso che

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punta sulla formazione di un uomo libero, economicamente e politicamente autonomo, attraverso un’educazione non costrittiva. Educazione umanistica perché fa riferimento all’uomo, nella sua integralità fisica, psichica, culturale, spirituale. Di qui anche l’esigenza di verificare i programmi delle scuole esistenti, di creare delle proprie scuole, di scegliere maestri preparati e stimati, di saldare l’educazione familiare privata con quella pubblica. Gli scritti di Coluccio Salutati (1331 – 1406), di Leonardo Bruni (1370 - 1444), di San Bernardino da Siena (1380 - 1444), cercano di conciliare l’esigenza di una nuova cultura, di un nuovo modo di vivere l’ideale cristiano, con la cultura classica e scientifica e nello stesso tempo con l’etica. Sembra che la preoccupazione maggiore trattatisti sia quella di moralizzare la vita, di fare assumere valori etici e religiosi, di controllare i comportamenti. Importante per Pierpaolo Vergerio (1370 – 1444) nel “De ingenuis moribus” è la scelta della sposa, del nome del nascituro, dell’ambiente, ma subito ritorna la tesi del ruolo dell’onestà, della verità, della castità, della temperanza, dell’educazione religiosa costante è il principio di cominciare l’educazione sin dalla nascita, di sottoporre un perché tutti devono studiare. Vergerio sottolinea l’importanza dello studio delle arti liberali, liberali nel senso che si addicono ad una persona libera, oppure che la rendono libera. La virtù e la gloria rimangono lo scopo degli studi liberali. Le aree culturali fondamentali sono quelle che riguardano la storia, la filosofia morale, le lettere, l’eloquenza, la musica, il disegno, la poesia, le scienze matematiche, le scienze naturali, l’astronomia, la medicina, il diritto, la teologia, la ginnastica. Le occupazioni del tempo libero sono caccia, svaghi, musica, ballo, esercizi guerreschi. È vero che Vergerio raccomanda di specializzarsi in una sola disciplina, di impartire l’educazione evitando minacce e castighi, però si affaccia una cultura di carattere enciclopedico, proprio per poter dominare i principali rami del sapere e per inserirsi nel governo della società con strumenti adeguati. Per Vergerio conta l’acquisizione di un metodo razionale di studio, della coscienza che non tutti gli ingenui sono uguali e che la premessa della stessa cultura è il dubbio metodico. Matteo Palmieri (1406 – 1476) In lui si ritrovano i motivi dell’attitudine naturale all’apprendimento, dell’opportunità di un’educazione tempestiva e liberale, dell’allattamento materno, della scelta dei compagni, dell’importanza del gioco, di un’istruzione centrata sulla geometria, sulla musica, sulla filosofia, sulla pittura, sulla scultura,, sull’architettura. Vi è l’esigenza di cogliere le caratteristiche di ogni singola età e le modalità di sviluppo. L’universo infantile e adolescenziale è ancora rappresentato dai figli della borghesia e della nobiltà, anche se comincia a farsi strada la convinzione che ciò che caratterizza la nobiltà della persona è costituita dalla cultura, dall’educazione, dal comportamento, dalla coscienza morale e civile. Vittorino da Feltre (1373 – 1446) Un ruolo importante ebbero i collegi – convitto tra cui risultarono esemplari quelli creati da Gasparino Barzizza di Bergamo, (a Padova); da Guarino Guarini, (a Ferrara); e in particolare da Vittorino da Feltre, la scuola nella “casa giocosa”, dei Gonzaga a Mantova dal 1423 al 1446. i collegi furono importanti per molteplici aspetti: in 1° luogo è la nuova classe politica che avverte la necessità di dare un’educazione, un’istruzione, una cultura completa e all’altezza dei tempi ai propri figli; in 2° luogo è un’educazione in comune con finalità differenziate a seconda delle modalità di inserimento nella vita civile, religiosa, militare; in 3° luogo si verifica un ampliamento di orizzonti degli interessi umani e culturali. Vittorino insisteva sulla retorica e sulla filosofia: una retorica molti raffinata perché nutrita di classici e una filosofia centrata in modo particolare su Platone e Aristotele. Quelli che compivano

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questo studio Vittorino giudicava idonei alla filosofia, e li avviava al liceo accademico. Una cultura acquisita in un contesto sociale, in un ambiente aperto sul versante delle attività libere, dell’educazione fisica, dello sviluppo armonico della persona mediante tutta una serie di esercizi, (lotta, salto, caccia, pesca, danza.) era una scuola convitto per la classe dirigente e per persone intellettualmente dotate e che i valori che la ispiravano erano il risultato di una convergenza tra la cultura classica e la cultura cristiana. L’immagine e la lotta politica non tendevano solo a ornarsi di cultura ma ne facevano uno strumento di affermazione. Leon Battista Alberti (1404 – 1472) Di Leon battista Alberti interessano le sue opere, ma in particolare il trattato “Libri di famiglia” (1433 – 1441), perché in lingua volgare traccia il ruolo, ma anche i problemi le difficoltà che comportano la costruzione, il mantenimento, la gestione della famiglia, (famiglia allargata). La centralità sociale della famiglia è data dalla concezione che essa costituisce il perno della riproduzione umana, della produzione economica, dell’educazione culturale, e della stessa società. La figura centrale è costituita dal padre, (Ragno collocato nella ragnatela), che assume l’iniziativa in fatto di educazione. I bambini costituiscono una risorsa per la famiglia, attenzione deve essere posta nella scelta della sposa, al periodo e al momento della procreazione, alle persone destinate a curare ed allevare i bambini. Significativo è anche l’invito a segnare il giorno, il luogo e l’anno della nascita, contano le modalità dell’alimentazione, lo stato della salute, l’ambiente e l’aria salubre, sistematico dovrà essere l’apprendimento della lettura e della scrittura, e successivamente lo studio della geometria, dei poeti, degli oratori, dei filosofi. Particolare spazio avrà l’educazione fisica, e specialmente il cavalcare, la scherma, il moto. L’Alberti sottolinea il ruolo formativo della famiglia, il suo aprirsi alla cultura, all’attività economica, al commercio, alla vita civile e politica, ma alla conservazione della sua identità. Il nome, l’onore, la dignità del casato contano moltissimo. Un mondo e una tensione molto diversi da quelli proposti, ad esempio, da Giovanni Pico della Mirandola, (1463 – 1494), tutto teso ad esaltare l’uomo, le sue possibilità. Nel De hominis dignitate” sostiene che l’uomo è destinato a essere artefice responsabile di se stesso. È quello di Pico della Mirandola un inno alla dignità, alle possibilità dell’uomo, ma anche una presa di coscienza dei rischi, dei drammi, delle responsabilità. Erasmo da Rotterdam (1446 – 1536) Monaco olandese. Figura centrale dell’umanesimo e del rinascimento fu Erasmo da Rotterdam, con lui la cultura umanistica acquista una dimensione europea. Vuole restituire alla lingua e alla cultura latina, l’antico splendore, ed è per questo, critico nei riguardi di ogni forma di imitazione, di formalismo. Egli credeva nel ruolo del latino come lingua colta e come strumento linguistico transnazionale. Imposta il tentativo di conciliare il cristianesimo con il nuovo umanesimo, proponendo un cristianesimo liberale, aperto, tollerante, privo delle incrostazioni medioevali e di ogni forma di strumentalizzazione. Nella grande disputa fra Lutero e la Chiesa cattolica, cerca di difendere la libertà individuale da ogni forma di sopraffazione, di dogmatismo, di ignoranza. Gli stanno a cuore la “gestione politica”e “l’educazione del Principe”, (Institutio principis cristiani, 1516), secondo gli ideali della sapienza, della giustizia, della temperanza, dell’amore, del bene pubblico, nel suo trattato e negli altri suoi scritti presente è la lotta contro lo sfruttamento, le tasse ingiuste, la dittatura, le leggi non chiare, ma soprattutto contro la violenza e la guerra. Alla follia Erasmo dedicò un libretto “Elogio della follia”, (pazzia), in cui colse gli aspetti irrazionali dell’esistenza, distinguendo gli effetti drammatici della follia da quella che ne rappresenta la dimensione più vitale e originale. Egli puntava sul ruolo della natura, della ragione, dell’esercizio. Secondo un’armonia spirituale, religiosa, culturale, civile. Centrale diventa il ruolo dell’educazione liberale. Nell’educazione del principe cristiano afferma che la principale speranza di uno stato è

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riposta nella corretta educazione dei fanciulli. Lo scopo principale dell’educazione di un principe è quello di fornirgli la saggezza; per governare saggiamente il principe deve essere una persona equilibrata e quindi il maestro deve essere lui per primo una persona equilibrata. Deve essere educato alla filosofia, che libera la mente dalle false opinioni. L’ideale educativo di Erasmo è nello stesso tempo religioso, cristiano, aristocratico. Proprio nel manuale del soldato cristiano, (Enchiridion militis cristiani composto nel 1501 e pubblicato nel 1503), erano presenti le istanze di un’educazione ispirata alla filosofia (cristiana), tesa a realizzare amore, pietà, stima, onore, ecc … Erasmo riprendeva e ampliava il modello educativo classico insistendo sull’opportunità di un’educazione tempestiva e liberale. È espressa nell’opera Declamatio de pueris statim ac liberaliter instituendis, composto nel 1509 e pubblicato nel 1529. Egli sottolinea l’importanza e il dovere dell’educazione da parte dei genitori. È un dovere verso se stessi , Dio, la natura, la società. L’educazione diventa una funzione civile, pubblica, non può risolversi solo nell’ambito della famiglia. La scuola, o è pubblica o è inesistente. Ma contemporaneamente egli faceva un’analisi molto drammatica della scuola del suo tempo, (collegamento tra monasteri): nessuno tortura i fanciulli con maggiore crudeltà quanto coloro che non hanno nulla da insegnare loro!!! Sosteneva la necessità di ispirare l’educazione alla liberalità, all’amore, rendendo l’istruzione gradevole, piacevole, come se fosse un gioco, (colloqui alla puerpera). Particolare attenzione deve essere posta alla civiltà degli atti e dei comportamenti: nel De civilitate morum peeuerilium C 1530); è un vero e proprio trattato sulle buone maniere, impostato sul rispetto di sé stessi e degli altri, sulla civiltà dei tratti e dei modi. Uno degli elementi che sempre ha contraddistinto l’educazione e la pedagogia, è l’attenzione agli atteggiamenti, alle buone maniere, al galateo. Nel periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento questa esigenza aumenta proprio perché viene a caratterizzare la vita di corte, l’educazione del giovane signore, e, la civiltà dei tratti. È un modo di distinguersi sino a contrassegnare il gruppo di appartenenza. Baldassar Castiglione (1478 – 1529) Nel “Il libro del cortigiano”, (scritto tra il 1515 e il 1518 e pubblicato nel 1528), specifica il “ruolo del cortigiano”, (che è il protagonista educativo e il principe, il destinatario). La scelta del modello politico, principato eticamente illuminato, pone il cortigiano in una situazione subalterna, anche se per la preparazione acquisita mira a diventare istitutore del Principe. I valori di riferimento sono i modi gentili, la grazia, la bontà. È il tentativo di portare civiltà di costumi in un ambiente dove la cortigianeria, la lotta, la vendetta avevano la meglio. Il cortigiano deve avere buone maniere e deve possedere quella che Castiglione chiamava la “spezzatura. Gli sono indispensabili la padronanza del leggere, dello scrivere, della lingua volgare, ma non meno del greco e del latino, la dimestichezza con la poesia, la musica, la pittura, la danza, il canto e l’educazione fisica. Anche la donna deve possedere particolari virtù: la modestia, l’innocenza, la decenza e un minimo di cultura. Giovanni Della Casa (1503 – 1556) Con il “Galateo” (1558) (?), non ha presentato il perché, il come, il quando di queste forme di civiltà basate su regole che hanno una giustificazione etica e civile, anche se cadono talora nel formalismo. L’educazione si gioca anche all’interno di gruppi egemonici. Francois Rabelais e Michel De Montaigne (1494 – 1553) (1553 – 1592) Francois Rabelais e Michel de Montaigne si situano in corrispondenza di una mentalità e di una cultura che vogliono porre in discussione “Le regole, i Principi, L’autorità, i Saperi costituiti, le

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metodologie autoritarie”, per dare spazio alla libertà, all’irrazionalità, alla saggezza, al soggetto. Nel mondo dei giganti (Gargantua e Pantagruel) di Rabelais, e in quello di Montaigne, s’inserisce la convinzione che l’educazione non è trasmissione e assorbimento. Il ricorso all’ elleboro ha un significato più che metaforico; per apprendere occorre dimenticare e se necessario partire dal nucleo, dalla “Tabula rasa”, dall’esperienza, dalla verifica, , dal piacere di apprendere, , dalla non imposizione in un mondo dalle buone maniere, il rispetto, i linguaggi non sono sempre controllati. Per Rabelais vale ancora l’”enciclopedismo”, (greco, latino,ebraico, musica, astronomia, diritto, storia naturale, vecchio e nuovo testamento), però vissuto in modo diseducativo, critico, in un costante confronto con le persone, il mondo, gli interessi, l’esistenza, la vitalità. Più vicino ai nostri problemi e alla nostra sensibilità è Montaigne che si batte per la libertà, il rispetto, il dialogo, la non imposizione. Cultura classica e osservazione sul nascente mondo materno s’intrecciano: importante è la scelta del precettore. Montaigne vuole aprire non solo il libro della natura, anche quello della società; degli uomini, dei costumi, del vivere quotidiano. Si afferma la convinzione che la natura umana non ha caratteristiche precise: i costumi, l’educazione, la cultura, l’ambiente modellano l’uomo ed è quanto mai difficile essere se stessi se non s’impara a vedere, osservare, riflettere, dubitare, ragionare. Non vuole asini carichi di libri ma giovani maturi, capaci di vivere e capire il mondo con distacco. È un’educazione aristocratica, per pochi, elitistica, sul piano del costume, della mentalità, del modo di vivere e di giudicare, è un’educazione disincantata non condizionata professionalmente centrata sull’uomo e sull’esistenza.

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Tommaso Moro, Tommaso Campanella e l’utopismo (1449 – 1535) (1568 – 1639) L’utopia11si può considerare una costante del pensiero pedagogico perché è proprio della pedagogia puntare sulla realizzazione di un nuovo modello educativo. Il periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento ha rappresentato il terreno più favorevole per la nascita di una letteratura pedagogica utopistica:

1) Proprio tra Umanesimo e Rinascimento più forte si fa il confronto tra la realtà storica e il desiderio, la speranza, la ricerca di un mondo nuovo.

2) Tra la pratica politica contingente e l’emergere di nuovi ideali di uguaglianza, di giustizia, si determina una vera e propria frattura.

3) Con la nascita del nuovo pensiero scientifico, delle nuove scorte e invenzioni più accentuata si fa l’esistenza di un rinnovamento sociale, culturale, educativo.

Tommaso Moro, Tommaso Campanella, Francesco Bacone (1561 – 1626), sono i maggiori esponenti di questo movimento con le opere “Utopia” (1516), “La città del sole” (1602), “Nuova Atlantide” (1627). Una letteratura utopistica che, specie in Campanella, poneva in discussione due istituzioni fondamentali: la Proprietà, e la Famiglia. Esse assumevano un carattere dirompente perché facevano prevalere gli interessi privati su quelli pubblici determinando differenze sociali, ingiustizie, miseria con conseguenti ricadute sull’educazione, sull’istruzione. 11 (modello di organizzazione della società, ideato in base a principi etico politici, ma irrealizzabile nella pratica, genericamente sogno, idea irrealizzabile.)

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Moro e Campanella oltre a sottolineare la necessità che tutti vengono educati e ricevono un’istruzione adeguata alle proprie capacità e ai ruoli sociali ricoperti. Entra così in discussione la tesi di un’educazione riservata ai soli ceti abbienti e con essa entra in crisi l’assunto che il lavoro sia un elemento discriminante rispetto all’acquisizione dei saperi. Tutti debbono lavorare come tutti debbono studiare. Moro a Campanella contrapponeva a un mondo caratterizzato dallo sfruttamento una nuova società. Utopia e realismo si intrecciano. Emerge il principio della società e della comunità educante: s’affaccia la prima forma di socialismo utopistico, un socialismo che in Campanella è fortemente intriso di metafisica, di ontologia, di religiosità. I valori di riferimento dovevano essere: liberalità, magnanimità, fortezza, castità, giustizia, solerzia, verità, beneficenza, gratitudine, misericordia, religiosità. La città del sole non è che esplicitazione di queste istanze, architettonica, sociale, politica, istituzionale, religiosa, tendente a realizzare gli ideali dell’uguaglianza, e della giustizia. Particolare cura viene dedicata all’allevamento dei bambini, alla scelta delle nutrici. Vengono privilegiati il grande libro della natura, l’esperienza, i fenomeni, l’osservazione, la sperimentazione. Rivalutato è il gioco, è privilegiato l’insegnamento intuitivo, oggettivo e per questo l’educazione viene fatta soprattutto all’aperto. L’intreccio tra esperienza, scienza, metafisica, saperi si fa molto stretto nell’apparato enciclopedico proposto da Campanella secondo la triplice ripartizione delle competenze che fanno capo alla sapienza, (grammatica, logico, fisico, politico, poeta, pittore, e scultore, ecc…), all’amore, (educatore, pastore, allevatore, di animali domestici [cicurario], cuoco), e della potestà, (argentario, monetario, ingegnero, giustiziere, gladiatore). Bacone cominciava a muoversi in una direzione diversa, caratterizzata dalla lotta ai pregiudizi, e legata al nascente mondo scientifico e tecnologico. È una società quella della “Nuova Atlantide” che punta sulle invenzioni, sulle scoperte, sull’uso di nuovi strumenti per diminuire il lavoro e rendere più vivibile l’esistenza. L’intreccio si fa molto stretto tra scienza e utopia in un periodo nel quale la scienza e la tecnologia cominciano a costruire una rivoluzione culturale, sociale ed educativa. Uno degli aspetti più interessanti della filosofia rinascimentale fu quello del cambiamento del modo di intendere la natura: viene meno una concezione negativa della natura, viene rivoluzionato il ruolo della conoscenza sensibile, dell’esperienza unitamente all’affermazione in Bernardino Telesio, (1509 – 1588); Giordano Bruno, (1548 – 1600), “La cena delle ceneri”, e Campanella dell’autocoscienza. Tutti e tre affermano l’importanza della natura e l’appartenenza dell’uomo ad essa. Telesio nel De rerum natura iuxta propria principia, (1565 – 1586), sottolineava la necessità di studiare e di seguire la natura. In Bruno la visione si amplia nella direzione di una natura produttrice di nuove forme. Di qui l’esaltazione della persona che lotta contro il male, l’errore, l’errata educazione, l’ignoranza. Prendendo in considerazione gli anni di carcere di Campanella con la condanna a morte di Giordano Bruno comprendiamo che si negava il diritto all’utopia in nome di un realismo politico e religioso che temeva, con il cambiamento, persino la ricerca disinteressata della verità. In questa situazione Nicolò Machiavelli, (1469 – 1527), puntava sulla ricerca storica e sull’analisi delle condotte politiche del suo tempo. Più realista metteva a nudo i rischi dell’azione e delle scelte politiche ne Il Principe da perfetto laico voleva conoscere come funzionavano gli Stati, e quali erano i compiti del Principe. Ogni sistema politico ha dei principi che se non si rispettano lo fanno entrare in crisi. Anche l’educazione, l’istruzione, la cultura sono soggetti agli stessi principi; il Principe che non controlla l’educazione dei cittadini, che lascia emergere comportamenti non conformi al modello di stato e di governo esistente deve dichiararsi battuto in partenza. La Riforma protestante 1520 * Enchiridion: il piccolo catechismo per pastori e predicatori. La lettera ai consiglieri di tutte le città della Germania.

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La riforma protestante fu la prima rivoluzione della storia moderna; rivoluzione sul piano sociale, politico, economico, ma anche su quello educativo e pedagogico, con forte matrice religiosa. Martin Lutero (1483 – 1546), e il movimento luterano, posero in discussione il ruolo delle opere, privilegiando la fede, e l’infallibilità delle Sacre Scritture, impostarono il principio del sacerdozio Universale, e del Libero Esame delle Scritture. Ma ciò che più incise sulla storia furono l’impostazione di una nuova teologia, un diverso modo di organizzare le comunità religiose, di rapportarsi con l’autorità civile e politica e di concepire la persona, le sue conoscenze, i suoi rapporti con Dio, il modo di intendere la possibilità della salvezza. Nuove idee e nuovi valori si intrecciano nella riforma luterana e protestante con residui medioevali, con prese di posizioni non tolleranti e non sempre aperte sul piano della libertà e della pace. È stato sottolineato l’insistenza della riforma protestante sulla libera interpretazione delle sacre scritture e quindi sull’importanza del leggere e scrivere ha contribuito al processo di alfabetizzazione. I termini nei quali ne parlava Lutero erano ancora molto riduttivi perché ristretti all’ambito religioso, alla catechizzazione, ai testi sacri, ai sermoni. Centrale diventa per Lutero il ruolo dell’Educazione, dell’Istruzione, non solo in riferimento al soggetto ma soprattutto alla società, allo stato alla comunità evangelica. La pedagogia della riforma protestante inizia con Lutero che pone le basi ideologiche per la nuova educazione. Martin Lutero pubblica nel 1517 le 95 tesi sulle dottrina delle indulgenze che sanciscono il distacco dalla chiesa di Roma, e l’atto di nascita della nuova religione. Quando nel 1521, durante la dieta di Worms Lutero rifiuta di ritrattare le sue dottrine, la rottura ufficiale è ormai consumata e definitiva. Di qui può farsi datare anche l’inizio della pedagogia della riforma in quanto Lutero riafferma il punto focale del suo pensiero che fonda il nuovo principio educativo: il libero esame. Lutero è la riforma come versante rivoluzionario e polemico. Lutero constatava che il popolo non era in grado di darsi un’educazione; sottolineava con asprezza che le scuole in Germania erano trascurate, che si spendeva molto per guerre, ma poco per l’istruzione e per gli insegnanti, che l’infanzia cresceva abbandonata. La metafora è quella dell’arboscello che deve essere curato, perché cresca ben diritto, accompagnata dall’invito a rispettare le esigenze ludiche dell’infanzia. Anche il mestiere del maestro è rivalutato e un problema particolare riguarda l’attenzione di Lutero al reclutamento dei ragazzi capaci e meritevoli provenienti dalle classi più umili e destinati alla vita pastorale. Lutero operava una netta distinzione tra coloro che pur di umili origini dovevano, per le capacità dimostrate, attingere a una cultura, qualificata, elitaria, e coloro che dovevano fermarsi a un’istruzione religiosa popolare. Di qui la distinzione tra coloro che dovevano imparare a leggere, scrivere, fare di conto e coloro che potevano giungere a padroneggiare la sacra scrittura, le lingue classiche, il diritto, la medicina, la storia, la dialettica, la musica. La riforma luterana e calvinista svilupparono l’istruzione borghese e poi popolare. Filippo Melantone (1497 – 1560) È un innovatore. È l’educatore della Germania. Egli mira ad accordare lo spirito umanistico col protestantesimo e a tal fine riesce a calare la riforma nella vita del suo tempo e infonde la nuova religione nella chiesa e nella scuola, nella vita civile. La personalità di Melantone occupa tutta la prima metà del 500. per quanto riguarda l’Università mantenne la preponderanza delle lingue e culture classiche. Melantone apprezzò anche il latino come lingua capace di un’educazione interculturale e come strumento per la formazione scientifica. A tal fine egli diede vita alla scuola umanistica di studi superiori di Norimberga e riforma le Università. Introdusse la filosofia che

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divenne così materia di formazione di base nella scuola secondaria e di approfondimento teoretico nelle Università. Secondo Melantone il problema dell’istruzione, della cultura era non solo un elemento di autonomia, di prestigio, ma soprattutto uno strumento di gestione della società. Punterà su un’organizzazione più articolata degli studi secondo una scansione che andava dall’educazione popolare a quella universitaria, centrata sullo studio della filosofia, della teologia, della storia, dell’oratoria, della poesia e sulla padronanza della grammatica. Secondo melantone il problema dell’istruzione, della cultura era non solo un elemento di autonomia, di prestigio, ma soprattutto di gestione della società. Sulle modalità di reclutamento dei ceti popolari insisteva anche il Concilio di Trento, specie nella sessione XXIII, quando deliberava che “… vengano scelti specialmente i figli dei poveri, senza escludere i figli dei ricchi, purchè si mantengano da sé e mostrino inclinazione a servire Dio e la Chiesa…” Colpisce nel Concilio Tridentino (1545 – 1563) la scarsa attenzione all’educazione popolare, se non nella direzione dell’indottrinamento, della difesa della cattolicità, del controllo delle pratiche religiose, dei resti sacri, dell’istituto familiare. La riforma cattolica non trascurò il problema dell’istruzione in tutti i suoi livelli, da quella popolare a quella accademica e registrò la presenza di ordini religiosi che si adoperarono in campi specifici. Qui si voleva sottolineare come Lutero, Calvino, (1509 – 1564), H. Zwingli, (1484 - 1531), abbiano posto in discussione il modo più profondo di vivere e di sentire l’esperienza religiosa, di aver fatto dell’istruzione uno degli strumenti fondamentali per la diffusione della riforma, di aver ribadito che la cultura, anche e soprattutto religiosa, non è qualcosa in più rispetto al semplice credere. Il confronto, nel vecchio e nel nuovo continente, tra comunità e Chiese protestanti, riformate e Chiesa cattolica, si farà sempre più aspro, sistematico, a volte drammatico. La chiesa cattolica tenderà a difendere l’integrità e l’integralità della propria dottrina, metterà a punto un sistema di difesa teologico, fino a controllare le più minute espressioni dei credenti. Un confronto che peserà sulla cultura, sull’educazione e sulla pedagogia, perché impostato sul principio della preminenza della Chiesa, del papato, della gerarchia, quali garanti dell’ortodossia. Lo spirito liberale, presente nella cultura e nella pedagogia umanistica, troverà molta difficoltà a sopravvivere, perché si farà più sistematico il controllo dei sentimenti, dei comportamenti, della parola, delle idee. La cultura più autentica dovette lavorare parecchio, proprio nella direzione della liberalità, della tolleranza, del rispetto della coscienza, della religiosità, delle minoranze religiose, del pluralismo religioso. resta comunque storicamente presente questo grosso e pesante impatto delle religioni sui ceti popolari. Impatto che avvenne anche a livello linguistico; l’uso più immediato del volgare da parte dei movimenti protestanti e la preferenza del latino da parte della Chiesa cattolica erano destinati a prolungarsi nel tempo, (per la cattolicità fino al Concilio Vaticano Secondo). Non meno importante fu la scelta da parte della Chiesa cattolica e l’esclusione da parte dei movimenti protestanti, dell’iconografia. Nell’immaginario popolare e collettivo cattoliche sacre rappresentazioni e raffigurazioni ebbero un ruolo molto importante a livello simbolico linguistico – narrativo. Furono e sono, nonostante tutto, due modelli educativi e pedagogici che cercarono di penetrare nei più minuti anfratti essenza personale e collettiva. Si pensi al ruolo dei sacramenti e in particolare della confessione, a quello della gerarchia ecclesiastica ai fini della gestione della Chiesa e della salvezza dei credenti. Si può dire che ogni aspetto e momento privato e pubblico dell’esistenza è controllato e filtrato. La comunicazione, la partecipazione divenne spettacolo, (canto, musica, riti, rituali). Il soggetto, la persona, emerge con difficoltà; se ne parlerà lo scotto non solo in educazione, ma anche in diritto e nella politica.

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Con Ignazio di Lodola (1491 – 1556), e con la Compagnia di Gesù, da lui fondata e riconosciuta da Paolo III nel 1540 ha inizio un’esperienza pedagogica, didattica, scolastica che ha informato la storia educativa dei vari continenti, non solo quello europeo. La Compagnia, nata per difendere la Chiesa, , il Papa, la Cattolicità, per combattere eresie ed errori, non poteva non trovare nella scuola, nell’istruzione il terreno più favorevole per raggiungere i propri scopi. L’ortodossia, la fedeltà, l’ubbidienza incondizionata, ai Sommi Pontefici restano centrali nel corso storico della Compagnia di Gesù, fino a costituire un punto di riferimento su una molteplicità di problemi che vanno dalla teologia alla filosofia, dalla politica all’economia, dalle scienze naturali a quelle umane, dall’osservazione della società e dei più minuti comportamenti umani. La Civiltà cattolica, nata nel 1850 a Napoli, è un punto di riferimento indispensabile per conoscere l’orientamento dei Gesuiti su problemi e questioni di maggiore importanza. Sul terreno culturale, educativo e scolastico, i Gesuiti fecero una scelta molto precisa, nel senso che la loro attenzione era rivolta oltre che alla formazione dei propri aderenti, in particolare all’educazione della classe dirigente. In pochi anni i collegi dei Gesuiti raggiunsero un numero altissimo, (nel 1626 erano 439), e per la loro collocazione territoriale e per il prestigio raggiunto riuscirono a fornire un servizio scolastico elitario, in un periodo nel quale solo lentamente gli Stati nazionali tendevano a organizzare un sistema scolastico autonomo, anzi, le prime esperienze di scuole statali, anche in Italia, nacquero su imitazione di quelle gesuitiche. Nell’esperienza scolastica gesuitica s’intrecciano il modello del collegio unitamente alla razionalizzazione del corso di studi e alla specificazione delle metodologie. Un’esperienza che trovò la sua articolazione nella “Ratio atque institutio studiorum Societatis Jesu” (1586, 1591, 1599), che resta uno dei testi fondamentali nella storia delle istituzioni educative, moderne e contemporanee. Erano previsti tre corsi: 1) umanistico, 2) filosofico, 3) teologico. Il corso umanistico comprendeva 5 classi: Infima grammatica, Media grammatica, Suprema grammatica, Umanità, Retorica, centrate sullo studio del latino, del greco, della grammatica, della morfologia, della sintassi, della storia, della geografia e, ovviamente, all’esercizio di composizione e all’approfondimento degli autori classici. Il corso filosofico di tre anni, comprendeva lo studio della filosofia, della logica, della fisica, della chimica, della matematica, dell’astronomia, della psicologia, della metafisica, della filosofia morale. Il corso teologico durava quattro anni e comprendeva lo studio della teologia scolastica, della teologia morale, della Sacra Scrittura, e dell’ebraico. Norme precise riguardavano le iscrizioni degli allievi, la durata dell’anno scolastico, la divisione e la successione delle classi, le modalità e la durata delle lezioni, le interrogazioni, le prove scritte e orali, le commissioni d’esame, la correzione degli elaborati, la scelta e l’uso dei testi, i criteri di valutazione, la pubblicità degli atti, i rapporti con le famiglie, i diritti e i doveri del personale docente, la formazione e il reclutamento e la valutazione dei docenti, l’impiego del tempo libero, i tempi e le modalità di studio, le passeggiate, le vacanze annuali, i giorni festivi e le giornate infrasettimanali di riposo. Particolare attenzione è sempre stata prestata alla disciplina, all’ubbidienza, al controllo, anche minuto dei comportamenti, delle amicizie, della competizione L’impostazione culturale era di carattere umanistico, con aperture alle conoscenze scientifiche, sul piano filosofico, centrale era il riferimento alla scolastica e in particolare a San Tommaso. Venivano curate, in modo talvolta eccessivamente formale, la padronanza del linguaggio, scritto e orale, le capacità espositive e argomentative, e soprattutto l’ortodossia, la vita spirituale e religiosa. Non trascurata la formazione fisica e gli esercizi spirituali, (difficile pratica intesa attraverso ripetizione di penitenze, di mortificazioni, a far conseguire il completo dominio della propria volontà, e la completa indifferenza alle cose di questo mondo. Raggiunta tale indifferenza essi non devono rifuggire dal mondo ma impegnarsi in esso per la riconquista delle coscienze soprattutto mediante l’educazione), come presa di coscienza religiosa, come confronto contro le passioni, come

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acquisizione di una forte personalità cristiana e cattolica, in grado di combattere in difesa della fede e della Chiesa. Per farsi un’idea di che cosa divennero nel tempo i Collegi dei Gesuiti, basta leggere Il discorso sul metodo di Cartesio e Autobiografia di G.B. Vico. Erano privilegiati: rigorosità, controllo, disciplina, autorità; più la società esterna diventava problematica, più i Gesuiti tendevano a controllare idee, atteggiamenti, coscienze. Le lotte condotte erano contro le eresie, il razionalismo, l’idealismo, l’illuminismo, il positivismo, il liberalismo, il marxismo. Nata e vissuta in un periodo di netta contrapposizione di fedi, di religioni, di ideologie, la Compagnia di Gesù ha puntato sull’autorità, sulla aconfessionalità, sull’ortodossia, sulla lotta a ogni forma di problematicità e di libertà, non riconosciuta dalla chiesa cattolica. Con i Gesuiti il Collegio, la scuola diventa una vera e propria istituzione con una gestione, un suo metodo, un sistema di valutazione, il tutto impostato secondo regole precise; nulla viene lasciato al caso, all’iniziativa personale. La scansione delle attività, dell’orario, dell’anno scolastico, la presenza dei registri, dei verbali, del diario, delle prove e degli esami, le ripetente e le promozioni portano a impostare una pedagogia scolastica e una didattica molto diversa da quella vissuta nel periodo dell’umanesimo. Nasce un nuovo tipo di scolaro, anzi di studente a tempo pieno. La scuola media inferiore e superiore si appresta a fornire le nuove leve per gli studi universitari. Lentamente la nobiltà e la nuova borghesia troveranno nella scuola dei Gesuiti un punto di riferimento culturale e valoriale; la disciplina morale, religiosa e intellettuale offriva sufficienti garanzie per i nuovi strati sociali tesi a conquistare i posti nella burocrazia, nell’esercito, nell’esercizio delle professioni. Vi è la tendenza a mandare i ragazzi e le ragazze in collegio a prevalente conduzione religiosa; parecchi sono i motivi: gradualmente la pratica del precettore viene abbandonata, (abbiamo una differenziazione dei professori a seconda della materia), sia per difficoltà economiche, sia perché una sola persona non era in grado di fornire un’istruzione adeguata; inoltre si impartiva un’educazione anche sul piano del comportamento civile. Si preferisce l’istituzione chiusa in quanto si ritiene che le famiglie e la società non siano più in grado di controllare i comportamenti. Il tutto aggravato dalla difficoltà di controllare e di gestire fenomeni di emarginazione come l’infanzia abbandonata, gli orfani, gli handicappati. Dopo la riforma e in seguito alle trasformazioni economiche, sociali, culturali, non era più possibile ignorare l’educazione e popolare sul versante religioso, ma anche tecnico e professionale. Nascono ordini religiosi come quello dei Filippini, fondati da San Filippo Neri, 81515 – 1595), a Roma nel 1575; dei Barnabiti, fondati da Sant’Antonio Maria Zaccaria, (1502 – 1539), dei Somaschi, a opera di San Girolamo Emiliani, (1481 – 1537), delle Scuole Pie, fondate da San Giuseppe Calasanzio, (1556 – 1648) e dei Fratelli delle Scuole Cristiane, (le prime a Reims nel 1679), per merito di G. Battista de La Salle, (1651 – 1719). I loro intenti avevano connotazioni precise: coniugare l’educazione cristiana con l’organizzazione di oratori, l’educazione musicale, l’assistenza, la vita vissuta in amicizia, (Filippini). Creazione di convitti, oratori, circoli per i giovani, puntando sui valori cristiani della dolcezza, della bontà, della saggezza, della familiarità, dell’istruzione cattolica, (Barnabiti). Organizzazione di istituti per gli orfani e l’infanzia abbandonata in modo da formare operai cristiani avvalendosi di un’istruzione elementare che comprendeva il leggere, lo scrivere, il calcolo elementare, (Somaschi) Istituzioni di scuole aperte a tutti, in modo da formare un’organizzazione che prevedeva la formazione sia di artigiani istruiti, sia di studenti con una buona preparazione grammaticale, umanistica, retorica, (Scuole Pie). Erano diversi dai Gesuiti, in genere si cercava di rendere accettabile l’educazione attraverso l’organizzazione del tempo libero, delle feste, dei giochi. Questi intenti vennero fuori dall’attività dei fratelli Delle Scuole Cristiane a cui è da ascrivere la fondazione della prima scuola magistrale, (Seminario per la formazione dei maestri di campagna 1685) e dell’Istituto Tecnico di St. Ivon, (Parigi), nonché delle Scuole Domenicali.

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Chiare diventano le categorie sociali di riferimento: agricoltori, artigiani, commercianti. Il metodo individuale viene sostituito con quello simultaneo che permetteva di rivolgersi contemporaneamente ad un numero elevato di allievi; la scelta della lingua materna facilitava il compito e rompeva con una tradizione scolastica conservatrice. Nella Condite des ecoles chretiennes, (Avignon 1720), venivano anche indicati i valori di base di riferimento: gravità, silenzio, discrezione, prudenza, saggezza, pazienza. Nasce il nuovo modo di concepire l’educazione cristiana e professionale; ogni gruppo sociale ha una propria scuola. i nuovi ordini cominciano a nascere nelle città e nei rioni con maggiori problemi. I tre libri che compongono il trattato scritto da Silvio Antoniano, (1540 – 1603), su richiesta e consiglio del cardinale Borromeo e uscito nel 1584 con il titolo di Dell’educazione Cristiana e Politica dei figlioli risulta proporre un modello educativo cristiano, cattolico, (cattolicesimo uscito dal Concilio di Trento). Il modello cattolico si traduce in una serie di regole e di comportamenti ispirati ai 10 Comandamenti, ai precetti della Chiesa, essi dovrebbero informare l’allevamento del bambino, l’alimentazione, il gioco, la scelta dei maestri, l’apprendimento, la frequenza all’Università. L’istruzione è necessaria per tutti anche se vi è la differenza tra coloro che dovranno esercitare mestieri manuali e coloro che sono destinati alla gestione della società e della Chiesa. Antoniano auspicava che gli studi fossero aperti ai ragazzi dotati e privi di possibilità economiche. Per le ragazze il discorso era diverso; alle ragazze di modeste condizioni è sufficiente sapere leggere qualche libro di preghiera, per le ragazze abbienti sono suggeriti la lettura e la scrittura e alcuni rudimenti di matematica e scienze. Giansenismo I Giansenisti prendono le distanze dalla pedagogia gesuitica, sottolineando l’importanza della salvezza dell’anima, in piccole scuole badavano più ai contenuti, più alla logica che la retorica. Molto importante fu il Movimento Giansenista e Le Piccole Scuole, (Petites Ecoles, 1643), di Port Royal. Il movimento Giansenista fece capo al teologo olandese Antoine Arnauld, (1612 – 1694); a Pierre Nicole , (1625 – 1695); Blaise Pascal (1623 – 1662) e fu caratterizzato non solo da un richiamo a Sant’Agostino, ma da un approfondimento del problema del peccato, della grazia, della libertà, della salvezza, della predestinazione e soprattutto del controllo razionale delle passioni. Il confronto con i gesuiti, i protestanti, scaturiva da una visione più severa della possibilità della grazia, della salvezza, del ruolo della fede e delle opere,, della funzione mediatrice della Chiesa. Gli aderenti furono oggetto di persecuzioni e le “Piccole Scuole” ebbero vita breve, (1643 – 1660). Esse assunsero un ruolo importante per gli obiettivi che intendevano raggiungere. La concezione pessimistica della natura umana li portava a insistere su un’educazione rigorosa, sulla necessità di controllare sentimenti, pensieri, ma anche criticare i metodi autoritari, repressivi. La natura umana ha bisogno di essere guidata con comprensione, razionalità, partecipazione, carità, fiducia, elementi che si ritrovano nelle opere di Nicole: Trattato per conservare la pace tra gli uomini, in cui si sottolinea il ruolo dell’umiltà e del rispetto ai fini di una convivenza civile, operosa, pacifica. Quanto mai significative sono la Grammatica e la logica di Port Royal, (vedi libro pag. 98). Gli studi sulla grammatica e sulla lingua contribuiscono a creare una scienza del linguaggio, basata sull’analisi degli elementi costitutivi delle singole proposizioni in ordine alla loro collocazione e funzione. La chiarezza e la razionalità del linguaggio diventano un’esigenza culturale, sociale e religiosa. Stretto è il rapporto tra “Linguaggio, Grammatica, Logica”. Quest’ultima è l’oggetto del testo di Antoine Arnauld e Pierre Nicole, intitolato Logica o arte del pensare contenente oltre le regole comuni numerose osservazioni nuove, atte a formare il giudizio. La logica è concepita come l’arte di ben condurre la propria ragione nella conoscenza delle cose. Ci si soffermasi 4 operazioni, (concepire, giudicare, ragionare, ordinare), con l’avvertenza di usare nelle definizioni solo termini noti.

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Nell’opera di P. Nicole, “Dell’educazione di un Principe”, oltre ad insistere su tematiche di carattere morale e religioso ci si sofferma sulla formazione culturale, ma soprattutto sul retto uso della ragione, del giudizio. Si respira ciò che ormai si può definire l’aria “Razionalistica cartesiana. Gli avvertimenti agli studi sono:

- L’istruzione ha lo scopo di sviluppare le menti fino al grado che son capaci di raggiungere. - Essa non crea né la memoria nell’intelletto, né la fantasia, ma coltiva queste parti

fortificandole. - Quando alcune di queste parti mancano bisogna supplirvi con le altre.

Si insiste sulla tesi che il bambino è dominato dai sensi e non è facile farlo pervenire a una conoscenza chiara, razionale. Non vi è una svalutazione dell’esperienza della conoscenza sensibile, ma la convinzione che solo con l’uso dell’intelligenza, della ragione è possibile accedere ad una conoscenza vera, chiara, distinta. I Porto Realisti davano molta importanza alla logica, alla ragione, all’intelligenza, ma ne individuavano anche i limiti. I Portorealisti sottolineavano il tormento e le difficoltà dello studio. Il ruolo degli esami diventa fondamentale. Arnauld parlava della necessità di esami rigorosi per accedere alle facoltà di lettere e filosofia, in modo da allontanare il gran numero di ignoranti. I Portorealisti furono attenti al fenomeno di un uso professionale della cultura, specie superiore, staccata dai controlli di rigorosità, serietà, effettua attitudini e capacità: C. Lancelot, un allievo di Saint Cyran ha scritto nelle sue memorie: ”Non poteva soffrire che lo scopo principale dell’educazione fossero le scienze e lo studio. Considerava questo criterio come uno dei più grandi errori apportati alla sanità di tale ufficio, e osservare che questo metodo, oltre ad allontanare i meno dotati, ricadeva poi sulla Repubblica e sulla Chiesa. La lettura delle letture provinciali e soprattutto dei Pensieri di Pascal è utile per capire l’atmosfera e la situazione storica sulla quale si colloca il movimento giansenista; fiducia nella scienza, nella tecnica, nella ragione, ma anche del cuore; superiorità: ma anche estrema fragilità dell’uomo; senso del limite della filosofia, ricerca di una nuova e più pura religiosità. Il confronto è chiaro: è ormai tra cuore e ragione, tra sentimento e scienza, tra verità religiose e scientifiche, tra nulla e l’infinito, tra l’impegno e la noia, tra la certezza e l’inquietudine, tra la razionalità e la pazzia, in un mondo solo apparentemente razionale, meccanico, ma pieno di contraddizioni e problematico Proprio nel momento in cui nascevano il razionalismo,12l’illuminismo,13la nuova scienza,veniva avvertito da Pascal e dai Portorealisti che la situazione umana molto più complessa e che era estremamente difficile costruire un nuovo umanesimo. Di mezzo c’erano soprattutto una nuova teologia, un nuovo modo di concepire Dio, il rapporto tra Dio e gli uomini, gli stessi esiti della cultura e dell’educazione.*14

12 Corrente della filosofia moderna che vede nella ragione il fondamentale organo di verità e lo strumento per elaborare una nuova visione complessiva del mondo. 13 Movimento sorto in Francia nella seconda metà del XVIII sec. (1700), che rifacendosi al razionalismo cartesiano e del l’empirismo inglese, sostenne la priorità della ragione su ogni altra facoltà umana. (Rousseau, Kant). 14 Altre correnti di pensiero: Romanticismo Movimento culturale affermatosi nella prima metà del XIX sec., (1800), in opposizione al razionalismo proprio dell’illuminismo. Esso rivendica la funzione del sentimento e dell’intuizione come mezzi capaci di mettere l’uomo in contatto con la realtà vivente. (Pestalozzi) Idealismo Qualsiasi concezione filosofica che neghi valore di realtà vera al mondo sensibile e materiale per attribuirla ad un mondo ideale o ad un’idea. Positivismo Indirizzo filosofico affermatosi in Europa nella seconda metà del XIX sec. Sosteneva che le uniche verità accettabili sono quelle conseguite dalla scienza esatta per mezzo del metodo sperimentale. (Montessori).

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Capitolo IV: Dalla nascita della scienza moderna alla rivoluzione francese. Renè Descartes, (1596 – 1650), con le sue opere ed in particolare le Regulae ad directionem ingenii, (1628), e con il Discuors de Methode, (1637), ha aperto una strada nuova nel mondo della cultura moderna, sul piano filosofico, scientifico, pedagogico, didattico. Inizia con Cartesio il razionalismo, un orientamento destinato ad affermarsi, pur tra contraddizioni e contrapposizioni nella cultura europea e internazionale, (tanto che ancora oggi si discute sul ruolo della ragione, sull’educazione della e alla ragione). Fu educato nel collegio dei Gesuiti a LA FLECHE, dove entrò nel 1604 sino al 1612. la personalità di Cartesio segna la svolta decisiva dal Rinascimento all’età moderna.15 Altro elemento di grande rilievo è l’aver puntato sul soggetto, un soggetto che proprio perché dotato di ragione, se segue un metodo chiaro, analitico, è in grado di scoprire, di costruire, di dimostrare verità assolute, universali. Il problema del metodo diventa perciò centrale inteso come via, direzione da seguire per pervenire alla verità; vengono condannate le approssimazioni, gli atteggiamenti irrazionali, l’accettazione passiva, acritica dei principi e delle tesi non dimostrati. Il dubbio da scettico diventa metodico, esso è il procedimento e lo stratagemma (metodologico), utilizzato da Cartesio, il quale attraverso l’esercizio del dubbio, si propone di approdare a delle conoscenze, (indubitabili). È un’operazione che ha richiesto a Cartesio una revisione critica dell’educazione ricevuta, un confronto con la società, la messa sotto processo del proprio patrimonio culturale e di tutte le vie d’accesso alla conoscenza, (dubbio iperbolico), l’analisi della matrice delle idee, (innate, avventizie, fittizie), l’accettazione del metodo matematico, la dimostrazione dell’esistenza di sé stesso, (cogito ergo sum), e di Dio. Cartesio accetta tutto ciò che è chiaro, evidente, distinto. Centrale diventa per Cartesio l’errore: vuole mettere a punto un metodo che lo elimini come presenza e possibilità e la ragione diventa la suprema garanzia. (Per metodo cartesiano si intende un procedimento ordinato di indagine che si concretizza in una serie di regole atte ad evitare l’errore e a raggiungere risultati validi). Autobiografia e ricerca filosofica in Cartesio s’intrecciano perché la ricerca della verità presuppone tutto un lavoro di decostruzione e di ricostruzione personale esistenziale. Sarà oggetto di critiche in particolare da G. Battista Vico e da Rousseau il principio dell’infanzia, proprio perché contrassegnata dalla mancanza di razionalità: è aperta all’errore e all’assorbimento di false concezioni. Quattro sono le regole da lui scelte:

- Non accogliere mai nulla per vero che non fosse conosciuto con evidenza. - Dividere ogni problema da studiare in parti minori per risolverlo meglio. - Condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti più semplici e facili a

conoscere, per salire sino alla conoscenza dei più complessi. - Fare dovunque enumerazioni e revisioni le più complete e generali, (vedere la questione con

una critica la più vasta possibile). Rispetto al metodo scientifico e sperimentale di Galileo Galilei, (1564 – 1642), (osservazione, ipotesi, sperimentazione, verifica), il metodo cartesiano privilegia il metodo deduttivo proprio della geometria, la scansione analitica e sottolinea il modo di procedere strettamente logico – formale.

15 I temi fondamentali della filosofia del Rinascimento, il riconoscimento della soggettività umana, l’esigenza di approfondirla e chiarirla con un ritorno a sé stessa, il riconoscimento del rapporto dell’uomo col mondo e l’esigenza di risolverlo in favore dell’uomo, diventano nella filosofia di Cartesio, termini di un nuovo problema in cui sono coinvolti insieme l’uomo come soggetto e il mondo oggettivo

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L’influenza di Cartesio sulla filosofia e sulla pedagogia dei secoli successivi è stata notevole: conviene sottolinearne gli aspetti positivi e quelli meno convincenti. Positivo è senz’altro l’aver impostato il problema del metodo, del ruolo della ragione nella ricerca e nella conduzione della vita personale e sociale. Discutibili sono la contrapposizione tra mente e corpo, tra RES COGITANS e RES EXTENSA, e il non aver preso in considerazione lo sviluppo potenziale dell’intelligenza e quindi di averla considerata come una facoltà. Gli stessi criteri di chiarezza, distinzione, analiticità risultano riduttivi ai fini di una conoscenza che non voglia limitarsi agli aspetti razionali; lo stesso dicasi per il metodo deduttivo di tipo geometrico. L’aver poi svalutato la sensazione, l’esperienza, la fantasia, l’aver concepito il mondo naturale in termini meccanici e l’essere rimasto sordo a impostazioni di tipo storico, rendono il suo sistema piuttosto chiuso. Importante era per Cartesio la formazione della mente, mentre risultano esterne le problematiche dell’affettività, del sentimento. Il ruolo centrale del soggetto, della persona, della razionalità personale e universale ha una carica rivoluzionaria perché coinvolge il problema dell’autonomia del soggetto, della responsabilità, della sua dignità, dei suoi diritti civili, in particolare della libertà di pensiero e di coscienza. L’interesse per il ruolo della ragione, della razionalità, dell’intelligenza non è solo un problema filosofico ma rientra nella dinamica dei processi sociali, economici produttivi, scientifici. Per la pedagogia, per l’educazione, per la didattica ha anche inizio un confronto, non solo più intuitivo, etico, ma scientifico. Jan Amos Comenio (1592 – 1670) Comenio rappresenta un punto di congiunzione tra umanesimo, rinascimento, riforma protestante, riformatori, e mondo moderno; la sua produzione risente ancora dell’ideale enciclopedico, dell’utopia, del ruolo fondamentale della religiosità e dell’apertura alla scienza, alla tecnica, alla richiesta di educazione e di istruzione, alla necessità di una nuova organizzazione scolastica. È da condividere la tesi di coloro che hanno sostenuto che parlare di Comenio come pedagogista e come educatore è riduttivo, perché i suoi scritti, pedagogici e didattici, rientrano nella sua battaglia volta a costruire una società nuova, libera, tollerante, aperta, religiosa, sensibile alla cultura. L’educazione, l’istruzione estese a tutti diventano per Comenio un momento fondamentale di crescita e di presa di coscienza della partecipazione di ogni persona alla totalità del mondo, del creato. In Comenio l’educazione, l’istruzione popolare non è soltanto un’esigenza religiosa, un indottrinamento, strumento per raggiungere traguardi personali e sociali. L’educazione e l’istruzione servono per sviluppare delle capacità, diventando un problema di crescita personale e sociale. Tutti gli scritti sono impregnati del desiderio di socialità. La sua insistenza sul principio di insegnare tutto a tutti e l’affermazione che tutti, uomini e donne, hanno diritto di accedere a una formazione totale. Seguire la natura diventa un’esigenza e un modo per rendere funzionali gli interventi educativi. L’elemento nuovo è dato da un rapporto organico che si viene a stabilire tra uomo e natura, in una prospettiva religiosa. Le idee centrali vengono quindi a essere costituite dall’esigenza di coniugare la Bibbia, natura e uomo, e ancora sensi, ragione, fede, in un intreccio che trova espressione nella triade, (istruzione, virtù, religione). Nasce con Comenio e non solo come titolo di un’opera Didactica Magna (1657), la didattica moderna, nel senso di impostare in modo razionale, scientifico, l’attività educativa, rispettando le leggi dello sviluppo personale e razionalizzando gli interventi scolastici avendo chiari gli obiettivi, selezionando e organizzando i contenuti, predisponendo metodi adeguati e controllando i risultati. La scuola deve essere aperta a tutti, (ricchi, poveri, bambini, e bambine); non devono essere esclusi i meno dotati, gli handicappati; anche le donne non devono essere escluse dall’istruzione e dalla scuola, (queste ultime, come gli uomini, sono immagini di Dio, partecipano della grazia divina,

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sono ugualmente dotate di intelligenza.) Il metodo educativo doveva essere improntato all’amore, alla libertà, al rispetto dell’educando, alla dolcezza. L’impostazione didattica è decisamente nuova: riferimento agli oggetti, all’esperienza, al grande libro della natura, utilizzazione di testi graduati secondo le età e le classi, insegnamento del leggere e dello scrivere facendo uso di metodi e di testi con ampi spazi, all’iconografia, in modo da saldare la loro immagine con la parola scritta ed orale. Esemplari sono le opere Ianua Lingaruti Reserata (1636), e Orbis sensalium pictus, (1658). Significativa l’osservazione: Concludendo si deve insegnare agli uomini a cercare il saper non dai libri ma dal cielo, dalla terra, dai faggi. L’esposizione del metodo, dell’organizzazione scolastica, diventa sempre più matura, tutto deve essere programmato secondo sequenze annuali, mensili, settimanali, giornaliere, orarie. Comenio propone quattro tipi di scuola: ogni grado comprende sei anni: la scuola del grembo materno per l’infanzia, la scuola vernacolare pubblica per la puerizia, la scuola latina o ginnasio, accademie e viaggi per la gioventù. Si tratta di veri e propri cicli scolastici caratterizzati dall’ampliamento dei contenuti trattati nei cicli precedenti. Comenio nella scuola materna prevedeva l’insegnamento della metafisica, fisica, ottica, astronomia, geografia, sociologia, storia, aritmetica, geometria, statica, meccanica, dialettica, grammatica, retorica, poesia, musica, economia domestica, politica, morale, religione, e pietà. La scuola vernacolare, ciclo di sei anni, era articolata in sei classi, oltre che l’uso generalizzato della lingua materna era la scuola per tutti. La scuola latina doveva essere articolata in sei classi in sei anni, (grammatica, fisica, matematica, etica, dialettica, retorica), e tendere allo studio enciclopedico delle arti e delle quattro lingue, (latina e vernacolo, greca ed ebraica), alla formazione di grammatici, retori, aritmetici, e geometri. L’accademia è riservata alla formazione della classe dirigente; particolare attenzione viene prestata alla formazione scientifica integrata da viaggi, per acquisire nuove conoscenze relative al mondo e alla società. È interessante il rapporto che Comenio stabiliva tra i diversi cicli scolastici e lo sviluppo delle facoltà; nella scuola materna occorreva sviluppare i sensi esterni per abituare i bambini a conoscere in modo corretto gli oggetti; nella scuola vernacolare si doveva sviluppare i sensi interni, si doveva esercitare l’immaginazione, la memoria, e gli organi relativi e cioè la mano e la lingua, (leggendo, scrivendo, cantando, dipingendo, ecc.). Nell’accademia doveva essere privilegiata la volontà, stabilendo una giusta armonia tra le diverse facoltà. Quella di Comenio era una profonda fede nell’educazione, nell’istruzione, nella cultura, nella scuola e nelle loro capacità di emancipazione di salvezza all’interno di una repubblica cristiana. L’illusione, (utopia), di Comenio sta nella convinzione di poter affrontare in termini di semplicità, di chiarezza, un insieme di problemi complessi, contradditori; l’illusione (utopia) che la gradualità, l’analiticità, la progressività possano dare una risposta vincente. Nel ginnasio si doveva puntare sulla formazione dell’intelligenza, del giudizio, mediante la dialettica, la grammatica, la retorica, e le altre scienze. Francois Fenelon e l’educazione del Principe (1651 – 1715) Le opere di Francois de Solignac de la Mothe Fenelon e in particolare De l’education des filles, (scritto dal 1681), pubblicato nel 1687) e le Aventures de Telemaque, (concluso verso il 1696), si possono considerare emblematiche; quest’ultima rientra nella pubblicistica relativa all’educazione del principe di cui Fenelon aveva fatto esperienza come precettore del Duca di Borbogna nipote di Luigi XIV. Les avventures de Telemaque è un libro di lettura per fanciulli che ebbe enorme diffusione in Europa; si tratta anche di un romanzo con intenti pedagogici in quanto tratta dell’arte di educare i re e i principi nell’arte di governare con saggezza.

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In De l’education des filles egli parla dell’educazione delle fanciulle e dell’educazione in generale, sulla quale fornisce considerazioni e detta dei consigli. Preoccupazione fondamentale di Francois Fenelon è di assicurare alle fanciulle un’educazione essenzialmente religiosa, unita a una formazione alla virtù quale correttivo dei difetti che sono propri delle donne. Fenelon preferisce l’educazione in famiglia, giudica molto più adatta di quella che viene importata nei collegi. Il riferimento all’ambiente e alla cultura classica si unisce all’impostazione sulla migliore educazione che dovrebbe ricevere un principe: formazione morale e religiosa, ispirata alla prudenza, alla saggezza, all’equilibrio, alla giustizia, padronanza della cultura e della geografia, dei costumi. Fenelon voleva il dispotismo illuminato; lo scopo era di costruire e di governare una società senza conflitti, senza tensioni, ispirandosi ai principi cristiani, Fenelon credeva fosse possibile cambiare la politica agendo sull’educazione dei principi. Gli studi devono cominciare già all’età di 4 anni, sempre sotto il pretesto del gioco. Nella nuova psicologia, compresa quella funzionale all’educazione del principe s’intrecciano motivi classici con suggerimenti che puntano su una maggiore liberalità, ma in fondo sul controllo. Educazione più liberale anche per poter penetrare più a fondo nell’animo infantile, la liberalità permette di correggere, mentre i castighi chiudono le possibilità di intervento. Parallela all’educazione del principe si pone quella delle fanciulle. Fenelon con l’educazione delle fanciulle, dà, per molti aspetti, inizio alla nuova letteratura. L’educazione delle fanciulle è da considerarsi più importante dell’educazione dei maschi; egli però sottolinea i limiti e le possibilità delle donne. Le donne hanno la mente più debole degli uomini, esse non debbono né governare lo Stato, né fare la guerra, né dedicarsi al sacro ministero e quindi possono fare a meno di approfondite cognizioni di politica e filosofia, di giurisprudenza. In compenso la natura ha dato loro le doti dell’operosità; dell’ordine, e dell’economia, per occuparle tranquillamente nelle loro case. Domina la tesi dell’accontentarsi del proprio stato e di non puntare troppo in alto: Fenelon vorrebbe che migliorassero i costumi, i comportamenti, alla stratificazione sociale doveva corrispondere una stratificazione di scuole, di istruzione. John Locke (1632 – 1704) Tra tutti gli scritti e i trattati sulla pedagogia e sull’educazione pubblicati fino ad oggi nel mondo occidentale i Pensieri sull’educazione di John Locke sono i più semplici e chiari. Storicamente è una raccolta di lettere e di consigli inviati al signore Edoardo Clarcke di Chipley; in realtà è una serie di osservazioni che riguardano i più minuti aspetti del processo educativo. L’ispirazione empirista conduce Locke a esaltare l’importanza dell’educazione nell’uomo. La salute fisica e mentale sono fondamentali nell’educazione: Locke lamenta che la salute dei ragazzi sia spesso rovinata dall’eccessiva tenerezza nei loro confronti. Fondatore e caposcuola dell’Empirismo si era battuto per dimostrare l’inconsistenza dell’innatismo (saggio sull’intelletto umano 1688) per dare spazio all’esperienza e all’intelligenza; teorico della divisione dei poteri, fondatore del liberalismo si era battuto per il riconoscimento dei diritti naturali fondamentali (esistenza, libertà, proprietà), e della libertà religiosa (Epistola de tollerantia). Pubblica due trattati sul governo civile nel 1690, in cui concepisce lo stato di natura come un ideale da perseguire; l’interesse della società coincide con quello degli individui e l’ordine naturale. Epistola de tollerantia è stata scritta da Locke in latino nel 1689, (libertà civile sono strettamente connesse). Locke credeva fortemente nel ruolo della nobiltà e della nuova borghesia e per i rampolli di questi ceti sociali, riteneva che fossero in grado di provvedere all’educazione dei propri rampolli della società. I Pensieri divennero nel tempo il testo fondamentale unitamente al movimento dell’educazione liberale e borghese. Locke riuscì a cogliere dell’educazione e della cultura pedagogica classica gli aspetti migliori, specie la tesi della formazione di un uomo libero, tramite un’educazione liberale: nello stesso tempo avvertiva che i tempi stavano cambiando e che non era più possibile puntare su una formazione e su una cultura tradizionali: greco, latino, cultura classica

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sono ancora importanti, ma preme l’esigenza di formare un giovane che sappia leggere testi ma, soprattutto gli uomini, la società, la natura, il mondo. Iniziava la sua opera con la massima “mente sana in corpo sano, (tratto dalle satire di Giovenale), sviluppandola in termini moderni; liberalità, salute fisica e mentale, rispetto per l’infanzia, una triade che si tradurrà nei principi dell’educazione fisica, intellettuale e morale. Non stupisce che Locke, specie nelle sue opere filosofiche si soffermi sul periodo prenatale; lo faceva per ribadire la non esistenza di idee innate. La salute fisica diventa importantissima come premessa della maturazione mentale. Locke puntava sulla formazione del carattere e quindi soprattutto per quanto attiene all’educazione fisica sull’indurimento, su una crescita sana senza concessioni alla fiacchezza. Parallela all’educazione fisica è l’educazione dell’anima: è fondamentale che l’anima sia resa obbediente alla disciplina e alla ragione, (l’uomo deve essere capace di resistere ai propri desideri e seguire ciò che la ragione stima migliore) Viene fuori un’infanzia reale, problematica, a tratti aggressiva, annoiata, non disposta ad apprendere. Non c’è in Locke una concezione ottimistica dell’infanzia, ma piuttosto la fiducia nella possibilità di potere intervenire per agire sul comportamento fisico, intellettuale e morale, e, sulla formazione del carattere. Locke è ancora fortemente legato alla tesi del ruolo fondamentale dell’educazione familiare e privata. Il suo metodo tendeva ad abolire le punizioni corporali, ( le punizioni corporali vanno evitate in quanto controproducenti. I castighi generano avversione per quelle cose che, invece noi, ci sforziamo di far amare. Il problema è di individuare premi e castighi capaci di garantire la disciplina), e dare spazio al gioco a promuovere lo sviluppo graduale e non autoritario dell’infanzia. Occorre dare nulla come scontato, essere aperti alle loro richieste, alla loro curiosità e ai loro perché. Tutto per il bambino è nuovo, tutto deve essere scoperto, organizzato, capito. Su un punto insiste in modo particolare Locke: la scelta del precettore. Il precettore deve essere retribuito e scelto in base alla competenza (la professionalità del precettore deve essere fuori discussione!), giacché per Locke i soldi spesi per l’educazione sono sempre investiti bene. L’ambiente famigliare deve garantire condizioni di rispetto e serietà verso il precettore. Il precettore deve possedere particolari doti e virtù: essere sano, giudizioso, diligente, serio, colto, ma soprattutto conoscere il mondo. Buone maniere, senso dell’onore, sincerità, rispetto, impegno, s’intrecciano secondo una problematica morale che fa riferimento a costumi, regale, si tratta di apprendere l’arte di stare, di vivere, di lavorare, con gli altri in modo urbano, liberale, tale da creare una felice convivenza. La conseguenza più importante è l’acquisizione del senso dell’onore. Per onore si intende ogni manifestazione di considerazione e di stima tributata da un uomo ad altri. Locke fa dell’onore l’obiettivo fondamentale dell’educazione. Interessa a Locke combattere ogni sorta di pregiudizio, di dogmatismo, di falsa e superficiale religiosità; anche i sentimenti religiosi devono essere ricondotti alla loro semplicità e naturalezza. Ampia e articolata è la parte dedicata da Locke all’istruzione e allo studio: si va dalla lettura alla scrittura, dal disegno alla stenografia, dal francese al latino e al greco, dalla geografia all’aritmetica ecc, (vedi libro), secondo un’articolazione che vuole privilegiare non tanto l’enciclopedismo quanto piuttosto un apprendimento basato sulla semplicità, sulla naturalezza, sull’acquisizione di competenze e di capacità da un gentiluomo che dovrà destreggiarsi nella vita familiare, privata, pubblica, nella gestione dei propri affari economici, nell’esplicazione dell’attività pubblica e politica. Scopo dichiarato del suo libro è l’educazione del gentiluomo, anzi, del gentleman, del rampollo della buona società inglese. Il gentleman, con il suo senso dell’onore, è l’ideale educativo di Locke per questa società di trasformazione. La padronanza delle lingue moderne, le conoscenze storiche e geografiche, le competenze scientifiche servono a che vuole vivere il proprio tempo, vuole mettere su casa e famiglia. Locke non ha dimostrato particolare attenzione all’educazione popolare e all’educazione delle fanciulle: (il limite più palese dei pensieri sull’educazione riguarda la mancanza di una proposta per l’educazione femminile). Riteneva che la nobiltà e la nuova borghesia fossero in grado di provvedere all’educazione dei propri rampolli. Il suo empirismo educativo anticipa di molto le tesi che saranno proprie dei comportamentismi; non esistono idee

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innate, l’ambiente e l’educazione possono produrre uomini molto diversi tra loro, occorre apprendere a pensare, ragionare, parlare in modo equilibrato, tollerante. Sono importanti i contenuti, ma molto di più la lezione dell’esperienza, le strategie conoscitive, l’uso appropriato dell’intelligenza, la verifica razionale e pratica delle idee, dei ragionamenti. Locke invita il precettore a ragionare con il suo allievo, però consiglia di farlo non in modo astratto, ma con continui riscontri sul versante del vissuto quotidiano, e dell’esame delle conseguenze. Ormai il modello educativo borghese a matrice anglosassone è delineato; sulla carta e nel trattato di Locke è ricco di esperienze, di valori, di cultura, di costumi nella realtà sarà molto più piatto, più egoistico, più portato alla gestione del potere e dell’economia. Ma sarà proprio con quell’ideale educativo borghese che dovrà confrontarsi la pedagogia e l’educazione popolare. Giambattista Vico e lo storicismo (1668 – 1744) Con Giambattista Vico si entra nel campo dell’educazione e della pedagogia in un ordine nuovo di idee per l’attenzione prestata al problema della storia, della storicità, una riflessione che non riguarda soltanto la filosofia della storia, ma che entra nel merito della modalità, dei tempi, della dinamica, dei processi formativi del bambino, della persona, dei gruppi sociali, della cultura, dell’umanità. Vico vuol vedere chiaro rispetto alla differenza tra la scienza della natura, le scienze fisico – matematiche, e le scienze dello spirito a cominciare dalla storia. Se per le prime può valere il metodo analitico, deduttivo, induttivo, per le scienze dello spirito il modo di procedere dell’indagine deve essere diverso. In primo luogo l’uomo è in grado di conoscere solo ciò che fa, che produce, crea; di qui l’insistenza in tutte le sue opere, ma in particolare ne La scienza nuova (1725, 1730, 1744), e nel De antiquissima italorum sapientia, (1710). (vedi libro) La garanzia conoscitiva della matematica, della geometria, è limitata perché non coglie la complessità della realtà: la fisica riguarda la conoscenza dei fenomeni e delle leggi fisiche, ma queste non sono state create dagli uomini e qui possono averne una conoscenza soltanto parziale. Vico si muoveva nell’ambito della cultura matematica e geometria tradizionale. Suo merito indiscusso è quello di avere parlato della storia come di una scienza nuova e di avere chiarito che non è possibile impostare qualsiasi problema senza fare attenzione alla dimensione storica. Vico parlava di scienza, voleva ricercare le leggi, i principi, le tappe del processo storico, ma cadeva nella metafisica con l’affermazione che il processo storico è il risultante dell’azione divina e dell’azione degli uomini e che la storia è legata a leggi che prevedono cambiamenti, progressi, tappe, ma anche involuzioni, corsi e ricorsi. Di contro alle tesi razionalistiche e illuministiche che sostenevano concezioni storiche di tipo lineare progressivo. Vico insisteva su una concezione storica circolare o meglio a spirale con la possibilità di crisi. E se per i razionalisti, gli illuministi la ragione, la razionalità, l’intelligenza, erano gli strumenti e i garanti del progresso, Vico era molto più disincantato, individuava i limiti della ragione, della razionalità e insisteva sul ruolo civilizzante della fantasia, dell’immaginazione, della creatività. È nota la distinzione operata da Vico tra l’età degli Dei, degli Eroi, degli Uomini, a cui corrispondono l’età del senso, della fantasia, della memoria, e per quanto riguarda i linguaggi, il differenziarsi del linguaggio gestuale, geroglifico, cantato, ed è altrettanto nota l’impostazione attribuita da Vico al mito, alla poesia, (Omero, Dante). Anche se non molto convincente resta quanto mai interessante il parallelismo che Vico stabilisce tra i primi momenti della vita del fanciullo. Nasce di qui la tesi del bambino creativo (immaginazione, fantasia), e la critica alle concezioni e metodi specie cartesiani, che tendevano a misconoscerle per privilegiare la ragione. Tesi queste presenti nell’orazione De nostri temporis studiorum… (1708) Con Vico cominciava a risultare chiaro il rapporto tra educazione, cultura, storicità; storicità che riguarda i modelli educativi ma in primo luogo l’uomo e lo stesso fanciullo. Il disporsi in termini di evoluzione, di cambiamento della vita umana, porta Vico a considerare in modo diverso i processi conoscitivi, linguistici, creativi, logici.

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Il fatto stesso di parlare di uno stadio in cui prevale il senso, l’attività fisica e motoria, e di altri caratterizzati dal momento iconico, creative, da quello logico – formale, sta a dimostrare come Vico, fosse attento, non tanto al passaggio dalla conoscenza sensoriale a quella razionale, quanto a capire la dinamica dei diversi processi cognitivi. Comincia ad affermarsi la convinzione che l’esistenza è il risultato di un processo, di una maturazione, e che l’infanzia ha proprie caratteristiche che debbono essere rispettate, pena il fallimento dello stesso progetto educativo. L’illuminismo (età della ragione, 1700) L’illuminismo è quel movimento culturale che si sviluppa nel 1700, nei maggiori Paesi d’Europa. Consiste anzitutto in uno specifico modo di rapportarsi alla ragione e l’impegno di avvalersi della ragione in modo libero e pubblico ai fini di un miglioramento effettivo del vivere. Nasce in Inghilterra e si diffonde in tutta Europa, trovando in Francia il terreno fertile di maturazione. L’illuminismo è molto polemico verso le religioni positive, in particolare verso l’ebraismo, il cristianesimo e l’islamismo. L’illuminismo assume un atteggiamento critico nei confronti del passato. Esemplare le riflessioni di E. Kant contenute nella risposta alla domanda: “Che cosa è l’illuminismo?”, (1784) L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a sé stesso. Minorità è incapacità di avvalersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Sapere aude. Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. È questo il motto dell’illuminismo. Un movimento, quello illuminista, destinato ad incidere su tutta l’enciclopedia dei saperi, a cominciare dalla filosofia, ma in particolare sul costume, sulla mentalità, sull’educazione, sulle pedagogia. A partire da Machiavelli, Galileo, Cartesio, Locke, l’interesse della scienza, della speculazione è rivolto al ruolo della ragione, dell’intelligenza, dell’intelletto, del linguaggio; problema centrale diventeranno il metodo di ricerca, l’origine e lo sviluppo dell’intelligenza, la genesi della conoscenza e delle idee. Innatismi (Cartesio, Leibniz, scuola di Cambridge), e non innatismi, (Locke, Hume,) si scontrarono: di mezzo c’era la metafisica, ma anche un modo nuovo di concepire il processo conoscitivo, la rivalutazione dell’esperienza. In Davide Hume, (1711 – 1776), vi è la convinzione che molte volte la filosofia e la pedagogia hanno discusso, ragionato su contenuti mentali frutto dell’educazione, dell’istruzione, accanto alla convinzione che l’educazione, fissando idee, giudizi, ragionamenti, rende difficilmente scalfibile il comportamento delle persone. La nuova concezione della natura portava a intendere in modo diverso i diritti naturali, civili, politici dell’uomo e del cittadino, la stessa concezione della giustizia, della libertà, il modo di concepire l’evoluzione, il progresso; da combattere erano l’autoritarismo, il dogmatismo, l’ignoranza, i pregiudizi. Di qui una esagerata fiducia nella ragione, nell’intelligenza, nei saperi, nella cultura, quasi che fosse sufficiente cambiare la mentalità, le idee, i comportamenti, per costruire un mondo nuovo. Un illuminismo che da razionalista diventa sempre più sensista. Dal De corpore di Thomas Hobbes, (1588 – 1679), al Trattato sull’intelligenza umana di Hume al trattato delle sensazioni, di Etienne Bonnot de Condillac, (1715 – 1780), a J. O. de La Mettrie, (1709 – 1751), a Diderot, (1713 – 1784); ai nostri Antonio Genovesi, (1713 – 1769), Gaetano Filangieri, (1752 – 1788), Pietro Verri, (1728 – 1797), Cesare Beccarla, (1738 – 1794), Melchiorre Gioia, (1767 – 1829), con varie implicazioni si insisteva sul fatto che la radice della conoscenza è da cogliere nelle sensazioni, nell’esperienza e che le cosiddette forme superiori di conoscenza, di memoria, di volontà, non erano altro che un loro affinamento. Helvetius (1715 – 1771) Dal canto suo nel De l’esprit sottolineava come la differenza tra le persone era da attribuirsi alla diversa educazione ricevuta, alle circostanze, all’ambiente. L’enciclopedia o Dizionario ragionato

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delle scienze, delle arti, dei mestieri, (1751 – 1772), sarà la più ampia espressione di un’impresa culturale, scientifica, editoriale, che vide impegnati D’Alembert, Diderot, Rousseau, Voltaire, Raynal, Quesnay, ecc., con un’impostazione nuova dell’Enciclopedia dei saperi, della cultura politecnica, delle modalità di indagine, stesura, documentazione, redazione. Lo scopo dell’enciclopedia è riunire le conoscenze sparse sulla superficie della terra. Enciclopedia con un’apertura alle nuove conoscenze, alle nuove culture, oltre quelle tradizionali. Sul versante pedagogico numerosi argomenti riguardano l’amore per i figli, i collegi, l’educazione, l’istruzione. A parte l’articolazione dell’Enciclopedia, colpisce il contenuto. Ma soprattutto il metodo scelto nella documentazione: un metodo che aprirà la strada alla ricerca non solo nel lavoro culturale ma anche in quello scolastico. Istanze e aperture presenti in modo particolare in Voltaire, (1694 – 1778), (Il secolo di Luigi XIV, Dizionario filosofico, …), e in Montesquie, (1689 – 1755), (Lettere persone, spirito delle leggi). Nascono la nuova filosofia della storia, un modo nuovo di inquadrare i problemi religiosi e umani, lo critica all’ottimismo metafisico e la concezione (Montesquie), che tra il sistema educativo e il sistema politico non è possibile contraddizione. Due sono in particolare gli elementi che contraddistinguono il movimento illuminista: 1) l’impostazione laica del sapere che si ripercuote poi sulle discipline scientifiche; 2) l’esigenza di una riforma globale del sistema sociale, il ruolo dell’educazione e dell’istruzione diventa fondamentale. L’illuminismo fu un movimento europeo e internazionale ed ebbe una forte presenza in Italia e in particolare nel meridione fino a informare la cultura napoletana che ebbe un gruppo notevole di esponenti quali Genovesi, Filangieri, Galanti, Russo. Esponenti che si batterono per l’introduzione di un nuovo sistema costituzionale, di riforme giuridiche, economiche, scolastiche, ponendo al centro il sistema politico, pubblico. Basta rileggere La scienza della legislazione di Filangieri e in particolare il suo libro: L’educazione, i costumi e l’istruzione pubblica. Tutto ciò lo afferma il Genovesi. Inoltre egli sostiene che è errato sostenere che il progresso delle arti e delle scienze abbia corrotto l’umanità in quanto tute le arti e tutte le scienze sono figlie del bisogno e il loro progresso significa soddisfacimento dei bisogni e non corruzione. Impartire una buona educazione ai figli è il più santo dei doveri che un padre di famiglia deve assumersi. Genovesi propone l’istituzione di una scuola elementare complementare gratuita e una riforma dell’insegnamento medio nei collegi basata sulla sostituzione della matematica e della filosofia scolastica della storia e della morale con il De officis di Cicerone. Il ruolo dell’educazione, dell’istruzione, diventa fondamentale anche perché “tutti gli uomini sono più quel che si fanno per l’educazione, che quel che nascono”, cantano la natura, il fisico, l’ambiente, ma l’educazione principale che forma gli uomini negli stati viene dal governo e dalle scuole, specie pubbliche. Con Filangieri e con gli autori prima citati, la questione meridionale comincia ad acquisire una nuova fisionomia. Filangieri accetta e giustifica una stratificazione sociale che comprende il popolo, la borghese e la nobiltà, le donne e per ciascuno di essi propone un certo tipo di educazione; io divido in due classi il popolo. Nella prima comprendo tutti coloro che servono o potrebbero servire la società con le loro braccia; nella seconda coloro che potrebbero servire la società con i loro talenti. (Filangieri era attento all’alimentazione, all’igiene, ai vestiti, all’educazione morale). Per l’agricoltore, il fabbro è prevista una breve istruzione. La seconda classe è destinata agli studi che porteranno alla professione di Magistrato, medico, farmacista, all’esercizio delle belle arti e del sacerdozio. Per la donna è prevista l’educazione domestica; dovrebbe essere aperta, illuminata, ma non tale da mettere in discussione la superiorità dell’uomo. In Germania Johann Bernard Basedow, (1723 – 1790), nella Relazione ai filantropi e ai potenti intorno agli studi e alla loro azione sul bene pubblica Metodica ordinamento del filantropo, (1768), aveva sviluppato la tesi della superiorità dell’educazione pubblica statale rispetto a quella ecclesiastica. Criticava l’organizzazione scolastica del suo tempo e la necessità di formare ottimi maestri secondo l’esperienza che fu alla base dell’istituto di Dessau, Philantropinum, (1774 – 1791). Il Philantropinum è la scuola modello che dovrebbe ispirarsi ai nuovi principi dell’illuminismo.

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È un istituto a pagamento ma vi vengono educati anche i fanciulli di bassa condizione sociale, (quali destinati un giorno a prestare servizio nelle famiglie ricche, saranno in grado di favorire l’opera educativa dei precettori e dei parenti). Il programma che regola la vita dell’istituto si basa su alcuni principi semplici: impartire un’istruzione civile, politica, religiosa, cristiana, svincolata da ogni dogmatismo. Lo studio della grammatica viene affrontato solo dopo che si è raggiunta una certa abilità nel parlare e nello scrivere. Le altre materie che compongono il curriculum di studi sono la filosofia, la religione, la storia, la geografia, la matematica, le scienze naturali. Basedow sosteneva che occorre distinguere le grandi scuole per le classi popolari dalle piccole scuole per i ceti nobili; l’accademia è l’università, da collocare lontano dalla città, erano per i ceti abbienti e culturalmente selezionati. Nelle grandi scuole non era necessaria la divisione in classi ed il numero degli allievi poteva essere alto. Dovevano imparare a leggere, a scrivere, nonché i primi elementi del calcolo. Le piccole scuole sono invece frequentate dai ceti nobili, superiori, fini ai 14/15 anni, dovevano apprendere il leggere, lo scrivere, la calligrafia, l’aritmetica, la geografia, la storia, la religione, la morale, il latino, il francese. Le piccole scuole sono a pagamento, mentre le grandi sono a totale carico dello stato. Le accademie e le Università dovevano avere una formazione scientifica e professionale e potrebbe disporre di musei, biblioteche, tribunali, ospedali, ospizi, istituti scolastici per la sperimentazione e le pratiche. Jean Jacques Rousseau (Ginevra 1712 – 1778) Si può dire che con J. J. Rousseau e il suo Emilio dell’educazione (1762), nasce la pedagogia moderna e, per molti aspetti, contemporanea, sia per le modalità, e per il metodo di approccio ai problemi educativi, sia per i riferimenti della cultura e delle scuole “pedagogiche”, contemporanee al Rousseau. Se si confrontano interventi e scritti come il “Discorso sulle scienze e sulle arti” (1750), “Il Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini”, (1755), “Il contratto sociale” (1762), “Le confessioni con l’Emilio”, si avrà un quadro di problemi e di un pensiero che affrontano temi che hanno contraddistinto il dibattito culturale e civile fino ai nostri giorni: effetti negativi scaturiti da una cultura scientifica e tecnologica attenta allo sfruttamento dell’ambiente e dell’uomo che al loro rispetto e alla loro emancipazione. Le conseguenze di rapporti naturali, umani, la ricerca di una società civile e politica garantita da un contratto sociale basato sulla volontà generale; l’aprirsi dell’uomo alla riflessione, ai sentimenti, alla memoria, il cercare di capire la natura umana, il grande complesso problema dell’educazione. Nasce con Rousseau la pedagogia dell’età evolutiva, unita all’analisi critica della società, in un intreccio nel quale la natura, l’educazione naturale assumono una valenza nuova. Scrive anche il contratto sociale: si delinea una comunità etico – politica nella quale ciascun individua obbedisce a una volontà generale che egli riconosce per propria e quindi l’educazione deve avvenire a contatto con la natura perché la società è una cosa negativa; nel senso che l’educatore deve seguire l’allievo senza però intervenire, quindi la sua funzione è quella di predisporre situazioni in modo che l’allievo faccia delle esperienze e impari. Quindi negazione di ogni intervento dell’educatore che voglia anticipare con il suo insegnamento il naturale sviluppo del soggetto. Si è insistito sul concetto roussoniano di educazione “naturale negativa”, sui diversi stadi e relative caratteristiche,che dovrebbe assumere l’educazione, (allevamento e sviluppo del corpo fino ai 2 anni; educazione sensoriale dai 3 ai 12 anni; sviluppo ed educazione della Ragione e del sentimento dai 13 ai 16 anni; educazione sull’autonomia morale e civile negli anni successivi) e sulla giusta osservazione che l’infanzia oltre ad essere trascurata e anche poco conosciuta. Cercano sempre l’uomo nel fanciullo e non pensano a ciò che egli è prima di essere uomo. Nel secondo libro Rousseau affermerà: la natura vuole che i fanciulli siano fanciulli prima di essere uomini. L’infanzia ha modi di vedere, di pensare, di sentire esclusivamente suoi; nulla è più stolto che pretendere di sostituirli con i nostri. Non si tratta di formare un uomo artificiale, espressione e frutto

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di pregiudizi, della collocazione sociale, della professione; occorre aiutare a formare l’uomo. L’uomo è lo stesso in tutti i ceti; essendo i bisogni naturali ovunque gli stessi, eguali devono essere i mezzi per provvedervi. L’Emilio è centrato sul principio di educazione naturale come educazione negativa, processo spontaneo e autonomo, non regolato dall’esterno ma soltanto dall’interiorità dell’educando. Scopo dell’educatore è preparare la persona a vivere nella società; anche se questa può corromperlo, in quanto la vita sociale è una necessità per la natura umana. Pertanto l’educazione è naturale perché bisogna formare prima l’uomo poi il cittadino, giacché non si possono fare entrambi nello stesso tempo. Educare secondo natura significa rispettare le varie fasi dello sviluppo psicologico dell’educando. Un educatore che rispetti la natura dell’educando risponde alle richieste dell’alunno e ai suoi bisogni, interessi e inclinazioni. Il punto di partenza del suo umanesimo è l’evoluzione dell’innocenza della persona, allo stato di natura e della loro uguaglianza natura. Tutto ciò che ha creato Dio è un bene, Rousseau è un Deista: crede che si possa giungere a Dio grazie alla ragione, dopo una serie di ragionamenti. Nel 1700 l’esistenza di Dio viene data per scontata. Deismo: si crede in Dio ma non si accettano le religioni rivelate. Il punto di partenza del suo umanesimo è l’esaltazione dell’innocenza delle persone allo stato di natura e della loro uguaglianza naturale. È nota l’affermazione di Rousseau all’inizio del libro 1°: “Tutte le cose sono create buone da Dio, tutte degenerano tra le mani dell’uomo”. (1762) Emilio è un bambino nobile, orfano, in buono stato di salute, la scelta è motivata dal Rousseau in modo drastico: il povero non ha bisogno di educazione, chi si accolla un allievo infermo e malaticcio muta l’ufficio di educatore in quello di infermiere. Allevato lontano dalla città, in campagna, è seguito da un pedagogo. Preferisco chiamarlo pedagogo anziché precettore, il Maestro di questa scienza, poiché il suo compito consiste non tanto nell’istruire quanto nel guidare. Egli non deve affatto dare precetti, ma farli trattare. Il fatto che Emilio venga educato fuori dalla società non vuol dire che l’uomo non sia sociale, ma Rousseau ritiene la società educante. Infatti per lui l’uomo è nato per vivere con gli altri ma bisogna valutare che cos’è buono per la crescita e cosa non lo è. È sintomatica la constatazione di Rousseau della differenza venutasi a creare tra allevare, educare, istruire, mentre sosteneva l’opportunità di una formazione unitaria; i diversi stadi dello sviluppo riguardano l’allevamento, la nutrizione, lo sviluppo fisico, motorio, affettivo, linguistico, con una particolare attenzione alle predisposizioni, alle scelte dell’ambiente, dell’esperienze, all’impostazione della conoscenza sempre secondo lo spirito della libertà, della pace, del rispetto e secondo il criterio della gradualità, della non anticipazione: dall’apprendimento del leggere e dello scrivere alla scelta del mestiere, dell’artigiano, dalla formazione religiosa alla scelta della fidanzata e della sposa, (Sofia),. Tutto è graduato, studiato secondo una scansione che cerca di coniugare la crescita, la maturazione fisica, psicologica, spirituale, con l’acquisizione di una concezione del mondo, della società, basata sul rispetto. Rousseau si distacca dal razionalismo illuministico; questo pensa che allo stato di semplicità naturale si giunga per mezzo della scienza, mentre egli ritiene che a migliorare gli uomini non basti la scienza ma occorra anzitutto la spontaneità. Rousseau si distacca dall’illuminismo perché secondo lui la natura umana non è ragione: è istinto, sentimento, impulso, spontaneità. La ragione stessa devia e si travia se non assume come sua guida l’istinto naturale. Il sentimento, la coscienza non si contrappongono alla ragione, c’è in Rousseau la convinzione che le regole di controllo della ragione non sono sempre attendibili, e come non è giusto cercare di formare la ragione nel periodo caratterizzato dall’immediatezza della vita, l’infanzia, così solo la coniugazione della coscienza, dell’intelligenza, dell’esperienza, dell’intuizione, può favorire una formazione naturale, umana, saggia, pacifica. L’atteggiamento di Rousseau è nello stesso tempo lineare e contraddittorio: lineare nel modo di considerare le disposizioni naturali, contraddittorio per le conseguenze che ne trae e per i suggerimenti che fornisce. Una volta dimostrato che l’uomo e la donna non debbono essere costituiti alla stessa maniera ne consegue che non debbano ricevere la stessa educazione. Seguendo le direttive della natura debbono

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agire d’accordo ma non devono fare le medesime cose. Scontato è che tutta l’educazione delle donne deve essere in funzione degli uomini, anche in fatto di religione. Rousseau si muove tra storicità e astoricità; tra idealismo e idealità; invita da un lato a conoscere il bambino quale veramente è e dall’altro, vuole costruirne uno nuovo. Significativa è la sua analisi psicologica centrata sulla dinamica del soggetto e la sua apertura alla natura, alla società, all’umanità. Ormai la pedagogia deve fare i conti con i bisogni, gli interessi, le motivazioni dei singoli soggetti, secondo scansioni che sono temporali ma soprattutto biologiche, psicologiche, culturali, esistenziali. Non per nulla Edouard Claparede nell’opera L’education fonctionelle ha individuato nell’Emilio la presenza delle cinque leggi, della concezione funzionale dell’infanzia: Legge della successione genetica: il fanciullo si sviluppa naturalmente per un certo numero di stadi che si succedono in ordine costante; Legge di esercizio genetico funzionale: esercizio di una funzione è la condizione del suo sviluppo; l’esercizio di una funzione è la condizione del manifestarsi di certe altre funzioni ulteriori; Legge di adattamento funzionale: l’azione si attua quando essa è di natura tale da soddisfare il bisogno o l’interesse del momento; Legge di autonomia funzionale: il fanciullo è autonomo, non è considerato in sé stesso un essere imperfetto; Legge di individualità: ogni individuo differisce dagli altri individui, riguardo ai caratteri fisici e psicologici. Lungo sarà il passaggio dalla letteratura psicologica e pedagogica a matrice filosofica alla psicologia e alla pedagogia scientifica. Gino Capponi parlò a proposito di Emilio nei Pensieri sull’educazione: fanciullo paffuto e insipido, senza indole, né fisionomia propria … Emilio non ha né padre né madre, né famiglia, né città, né stato: non è né povero né ricco, e non si sa in quale mondo viva … La pedagogia cattolica, anche quella liberale non è mai stata tenera nei confronti del pensiero pedagogico roussoniano, il motivo è da ricercarsi nella sua concezione ottimistica della natura umana, nella sua impostazione laica e naturalista, nelle sue tesi religiose, nell’esclusione della formazione religiosa in età infantile e del ruolo educativo della Chiesa. Rivoluzione francese: Jean Antoine Condorcet (1743 – 1794) un vero e proprio cambiamento di impostazione e di direzione si ebbe con la rivoluzione francese perché l’educazione, l’istruzione, la scuola, divennero un fatto politico, istituzionale, pubblico. Nasce con la rivoluzione francese (1789), un nuovo modello scolastico centrato specie per quanto attiene all’istruzione pubblica popolare, sui principi dell’obbligatorietà, della gratuità, della laicità, che l’educazione, l’istruzione, non solo una questione privata, e non riguardano solo alcune istituzioni, ma solo un fatto, un’esigenza sociale, pubblica. Esemplare sotto tutti gli aspetti è il rapport et projet de décret sur l’organisation generale de l’instruction publique presentato all’assemblea generale da Jean Antoine Nicolas marchese di Condorcet nel quale, oltre a illustrare le modalità di una nuova organizzazione scolastica, (scuole primarie, scuole secondarie, istituti, licei, società nazionale di scienze ed arti). Si insiste in modo particolare sui principi dell’universalità dell’estensione dell’istruzione e dell’uguaglianza. Si affacciano i principi della continuità dell’istruzione e, per certi aspetti, dell’educazione permanente unita alla tesi dell’estensione delle competenze culturali: “… che l’istruzione non deve abbandonare i giovani nel momento in cui escono dalla scuola; che essa deve abbracciare tutte le età, giacché non vi è alcuna in cui non sia utile e possibile apprendere e che questa seconda istruzione è tanto più necessaria in quanto quella dell’infanzia è stata contenuta in limiti assai ristretti … Così l’istruzione deve essere universale, deve estendersi cioè a tutti i cittadini.” Principi che sono ribaditi nell’Abbozzo di un quadro storico dei processi dello spirito umano, nel quale l’educazione, l’istruzione universale ed egualitaria vengono a costituire gli elementi fondamentali del progresso e dell’emancipazione della civiltà, dell’umanità. L’istruzione e

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l’educazione erano per Condorcet in grado di diminuire le disuguaglianze naturali, sociali, economiche. Condorcet ha inserito a pieno titolo in queste conquiste la donna: il principio dell’uguaglianza della possibilità, dei diritti, degli obiettivi, dei contenuti, è chiaramente espresso nello scritto su L’educazione della donna, nel quale dichiara a tutte lettere che l’istruzione deve essere la stessa per le donne e per gli uomini: di qui i principi dell’educazione, dell’uguaglianza dei diritti tra uomini e donne, hanno anche il diritto di godere delle stesse opportunità per acquisire questi diritti. Alla rivoluzione fece seguito un periodo contrassegnato in Francia e in Europa dalla presenza di Napoleone, che mise a punto un sistema scolastico che fu appunto definito napoleonico, caratterizzato da una forte centralizzazione nella direzione delle leggi, nei regolamenti, nei controlli fiscali e amministrativi, nell’uniformità dei contenuti, dei tempi scolastici, dei sistemi di valutazione, della formazione e controllo delle attività degli insegnanti. Un sistema che divenne nel tempo un vero e proprio modello educativo e scolastico a cui fecero riferimento molti stati europei a cominciare da quello italiano specie con la Legge Casati nel 1859. In corrispondenza con la rivoluzione francese, con il periodo napoleonico, con la restaurazione si pone in Europa il problema dei diseredati, dei carcerati, degli handicappati, e in generale degli emarginati. C’era di mezzo quello che è stato chiamato il controllo dell’emarginazione: carceri, asili, istituti per l’infanzia abbandonata, ospedali psichiatrici, ecc … s’inseriscono da un lato nella strategia di controllare quanti non sono considerati “normali” e, dall’altro nel nuovo spirito di emancipazione in seguito alla fiducia nell’intelligenza, nella ragione, nella scienza. Tre figure di scienziati, di educatori di notevole rilievo furono: Jean Marc Gaspard Itard, (1774 – 1838); Edouard Seguin, (1812 – 1880), Monsieur l’Abbè Charles de L’Epée, (1712 – 1789), per l’attenzione e lo studio rivolto rispettivamente a Victor, il “souvage” dell’Aveyron, ai bambini idioti e ai sordomuti. Furono messe a punto relazioni sull’inserimento sociale, sulla possibilità e sui metodi per fare acquisire conoscenze, linguaggi, comportamenti, nasceva una nuova pedagogia, quella speciale, che tendeva ad una compresenza medica, scientifica, umanitaria. Il ragazzo abbandonato, l’idiota, non sono malati ma diversi, si tratta di avvalersi di metodi, di strumenti e di un’educazione adeguati, di inserirli nella società. Veniva proposta una gnoseologia sensista, si approfondiva il rapporto tra esperienza, sensazione, formazione dei giudizi, dei ragionamenti e in genere del comportamento. Mancava forse una visione psicogenetica; si credeva che fosse sufficiente affidarsi all’esperienza, ai materiali, ai metodi per aprire la mente e portarli ad agire in modo normale. Eppure Itard, Seguin, aprirono nuovi orizzonti, specie quando misero a punto un nuovo materiale didattico: passarono dalle cose e dalle parole a un materiale strutturato a incastro che permetteva di operare il grande trapasso dalle semplici osservazioni e manipolazioni alla concettualizzazione, alle operazioni prima su materiali poi su immagini e infine su concetti. La pedagogia speciale seguente, specie con la Montessori, usufruiranno di queste scoperte, educazione sensoriale, educazione intellettuale, educazioni sociale, morale, ecc, presupporranno un’impostazione scientifica. L’intelligenza non è un fatto spirituale; è un comportamento e come tale può essere acquisito e studiato. Si aprono i campi di indagine, di ricerca, di sperimentazione, della psicologia sperimentale, dei quozienti di intelligenza. Si fanno strada i concetti della normalità nella diversità, dei compensi, delle risorse biologiche e psicologiche, li si aiuta a uscire dal labirinto psicologico, umano, sociale, con l’insegnamento e l’apprendimento di gesti, di linguaggi, di simboli. E, intanto, con l’Esquisse et vues preliminare d’un ouvrage sur l’education compareè, (1817) di Marc Antoine , Jullieu de Paris, (1775 – 1848), prendevano l’avvio gli studi comparativi tra modelli, teorie, istituzioni, sistemi educativi, pedagogici, scolastici.

Capitolo V° Da Kant a Froebel

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Immanuel Kant (1724 – 1804) Anche se Immanuel Kant , (1724 – 1804), non ha scritto di persona un trattato di pedagogia, la trascrizione delle sue lezioni tenute all’università di Konisberg da parte dell’allievo Federico T. Riuk, pubblicate nel 1803, (pedagogia), risulta interessante per le problematiche affrontate e per le soluzioni e gli orientamenti proposti. La rivoluzione copernicana operata da Kant nell’ambito della gnoseologia della logica, dell’etica, della politica, della religione è strettamente legata al modo di concepire l’educazione. È sintomatica l’affermazione che l’uomo può diventare uomo solo attraverso l’educazione. Egli è quello che l’educazione lo fa. Le predisposizioni naturali non sono né buone né cattive, di conseguenza le modalità e le possibilità di maturazione della persona dipendono dall’educazione data e ricevuta, e ancor più dal suo modo di concepirla. Ciò che non sappiamo dipende dall’educazione, ma l’educazione a sua volta dipende da ciò che non sappiamo. L’educazione è un’arte che deve essere perfezionata e ragionata, e rappresenta pertanto uno dei problemi maggiori e più difficili da risolvere perché comporta un perfezionamento progressivo di generazione in generazione. L’arte dell’educazione o pedagogia, deve diventare ragionata, se deve sviluppare la natura umana in modo che essa attui il suo destino. Il meccanismo dell’arte educativa deve trasformarsi in scienza, (per Kant l’educazione è scienza), altrimenti una generazione potrà distruggere quello che l’altra ha già costruito. L’educazione meccanica consiste nella trasmissione di abilità acquisite e quindi non fa progredire l’umanità: occorre invece insegnare ai fanciulli a pensare, a ragionare. Ecco perché, ribadisce Kant, l’arte educativa deve darsi dei fondamenti razionali e trasformarsi in vera e propria scienza. Resta da chiarire il significato che Kant attribuisce al termine scienza; largo spazio hanno l’esperienza, la riflessione, i principi, ma anche la sperimentazione. Sarebbe opportuno, a giudizio di Kant, fondare delle scuole sperimentali prima di istituire quelle elementari. Una corretta azione educativa può pervenire dagli sforzi di persone illuminate e competenti alle quali stia a cuore il bene universale e il miglioramento dello stato futuro dell’umanità. Come esempio Kant porta il Philantropinum, fondato da Basedow. Kant prendeva in considerazione l’allevamento, la disciplina, l’istruzione e la formazione pratica; la centralità del suo sistema consiste in una serie di interventi atti a formare una persona sana, robusta, attiva, istruita, disciplinata, moralmente e religiosamente impegnata. Per quanto attiene all’educazione fisica i suggerimenti riguardanti l’allattamento, l’alimentazione, le bevande sono ispirati a principi di libertà, di non costrizione, e a quelle dell’indurimento: Kant punta sulla formazione del carattere del fanciullo, non punendolo ma conducendolo sin da piccolo al concetto di ciò che è bene e che è male. Per Kant noi viviamo nell’epoca della disciplina, della cultura, delle buone maniere, ma non nell’epoca dell’educazione morale. Alla domanda se sia preferibile l’istruzione privata a quella pubblica Kant dichiarava la sua preferenza per l’educazione pubblica poiché provvede oltre che alla trasmissione del sapere anche alla formazione del carattere del cittadino. La prima preoccupazione dell’educazione morale è formare il carattere. L’essenza morale non ci viene data dalla natura ma si ha solo nel momento in cui la ragione si innalza al concetto di dovere e legge. Kant ripropone l’interrogativo se l’uomo, per natura, sia moralmente buono o cattivo. Né l’uno, né l’altro, è la sua risposta in quanto l’uomo non è un essere naturalmente morale ma lo può diventare solo quando la sua ragione si innalza all’idea del dovere e della legge. Ritornando al carattere esso trova il suo fondamento nell’esercizio del dovere, la cui formazione richiede il rispetto di due condizioni:

- I doveri verso sé stessi: consistenti nel possedere quel grado di dignità che pone l’uomo al di sopra di tutte le creature.

- I doveri verso gli altri. La cultura morale deve fondarsi sulle massime, non sulla disciplina, poiché quest’ultima crea solo abitudini che, con gli anni, si possono anche perdere. Molto importanti, secondo Kant, per la

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formazione del carattere sono inoltre l’obbedienza ed una autorità assoluta che è quella del maestro, la sincerità, la socievolezza, (il bambino deve essere amico degli altri e non starsene per proprio conto), la beneficenza, l’umiltà, il controllo delle passioni. Una fenomenologia di sentimenti e di atteggiamenti che devono essere regolati da norme che oltre a garantire la libertà permettono di riconoscere un’autorità non interessata, di perseguire un fine universale. È il problema affrontato in modo particolare da Kant nella Critica della ragion pratica, (1788), e Nella metafisica dei costumi, (1797), nell’ambito degli imperativi categorici. Un’impostazione che avrà notevole influenza sul dibattito filosofico e pedagogico successivo, perché, oltre a porre il problema di una legislazione morale universale è centrata sulla tesi che ogni persona è in grado di pervenire alla messa a punto di principi universali di condotta. L’educazione pratica comprende l’abilità, la prudenza, la moralità. Il problema centrale dell’educazione è quello del rapporto tra autorità e libertà. Difficile è il passaggio da una forma diffusa di egocentrismo al riconoscimento di principi universali di condotta. Kant propone la seguente soluzione:

- Lasciare libero il fanciullo in tutti i suoi movimenti, a meno che questi non limitino la libertà altrui.

- Fargli intendere che può raggiungere il proprio scopo a patto che permetta agli altri di raggiungere i propri.

- Fargli comprendere che l’obbedienza alla quale lo si sottopone serve ad insegnargli l’uso della libertà, affinché un giorno egli possa essere davvero libero.

Senza questa preparazione non si raggiunge una vera autonomia morale. Secondo Kant la religione è la legge che è in noi, in quanto riceve in noi energia per opera di un legislatore e di un giudice; essa è una morale applicata alla conoscenza. perciò la religione fa parte della moralità. Il culto morale di Dio è l’asserzione che una morale autentica non ha bisogno di appoggiarsi a una religione, sono le tesi di fondo dell’opera kantiana, basata sul presupposto di una pace universale e di una religione eticamente e universalmente impostata. La religione entro i limiti della sola ragione, (1793). Kant si batteva contro le superstizioni, il fanatismo, le false concezioni di Dio, l’intolleranza. Si deve cominciare già dalla prima giovinezza, a fare in modo che i fanciulli non valutino gli uomini secondo la loro ortodossia religiosa, perché nonostante la diversità delle religioni vi è l’unità della religione,. Il mezzo migliore per spiegare l’idea di Dio è quella di servirsi dell’analogia di un padre che ha cura di tutti noi,, così si giunge all’idea dell’unità degli uomini, come componenti di una sola famiglia. Alla gioventù si deve motivare che la disuguaglianza degli uomini è una situazione fondata sul fatto che un uomo ha cercato di ottenere un vantaggio sugli altri. Si indirizza il giovane all’amore per il prossimo e anche a sentimenti cosmopolitici. Relativamente alla formazione della ragione all’uso del ragionamento, kant sosteneva che i bambini non devono ragionare su tutto, non si devono mettere in loro le cognizioni della ragione, ma si deve fare in modo che le traggano da sé stessi. Il bambino deve avere un’intelligenza soltanto da bambino. il grosso travaglio della pedagogia iniziato dall’empirismo, dal razionalismo, dall’illuminismo, accentuatosi con Rousseau e con Kant, sta proprio nell’approfondire il ruolo della ragione, dell’educazione alla ragione,. Tutto l’illuminismo specialmente con Kant e Rousseau è teso allo studio della ragione e alla presa di coscienza che il bambino ha un modo di concepire, di operare, di ragionare, diverso da quello dell’adulto. Resta il grande contributo di Kant dato nella Critica della ragion pura, (1781), per quanto attiene alla cosiddetta rivoluzione copernicana e cioè al ruolo fondamentale del soggetto nel processo cognitivo: si trattava di dimostrare non soltanto come la matematica, la fisica, fossero delle scienze, e la metafisica no, ma di chiarire la dinamica conoscitiva del soggetto di contro alle tesi empiristiche ed innatiste. Le forme a priori della conoscenza sensibile, (spazio e tempo), e le categorie dell’intelletto, (12 suddivise secondo le aree della quantità, della qualità, della modalità, della relazione), permettono al soggetto di giungere alla costruzione, definizione, di verità oggettive e universali. Comincia ad entrare in crisi la logica galileiana e cartesiana nel senso di una oggettività scientifica; la garanzia

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delle forme è data dalle forme a priori, dalle categorie. Forse quello di Kant è l’estremo tentativo di difendere la logica, la razionalità, le forme categoriali da un attacco che ormai cominciava a penetrare nella cultura non solo filosofica. È un confronto destinato a farsi serrato, tra razionalità e irrazionalità e, soprattutto, con l’avvento del neopositivismo, del razionalismo critico. Del resto, di Kant, basta considerare la varietà e la consistenza dei giudizi presi in esame, (determinanti, riflettenti, analitici, sintetici, a priori, a posteriori, estetici, teleologici), per rendersi conto che la composizione delle operazioni mentali è molto complessa. La stessa distinzione tra critica della ragion pura, critica della ragion pratica, critica del giudizio, determina settori e differenze con una specificità difficilmente sostenibile. Un tentativo quanto mai interessante è compiuto da Kant nella pedagogia, quando imposta il confronto tra gli aspetti antropologici, logici, etici, religiosi, rispetto alle situazioni a rischio, al fatto che l’acquisizione di competenze e di comportamenti dipendono dal tipo di educazione posta in atto. Kant ne è fortemente cosciente a livello sia personale, sia sociale: il problema dell’educazione riguarda la singola persona, le generazioni, i gruppi sociali, le istituzioni private, pubbliche, religiose, l’umanità. Kant individua i limiti, anche temporali, dei singoli soggetti, nell’acquisizione di comportamenti razionali e morali; per questo vuole un’educazione estesa a tutta l’umanità, permanente, nel senso di una conquista collettiva e continua di atteggiamenti, di conoscenze, di qualità; centrali diventano le tesi delle opere La religione entro i limiti della sola ragione, (1793), e per la pace perpetua, (1795), perché basata sul presupposto di una pace universale e di una religione, per non dire di una religiosità eticamente e universalmente impostata. In sintesi ciò che caratterizza la pedagogia di Kant potrebbe ricondurre alla tesi di non affidarsi alla spontaneità delle forze e dei processi naturali prima di intervenire, con piena coscienza delle situazioni da affrontare; gli obiettivi da realizzare consistono nella formazione di un uomo e di un’umanità liberi, autonomi, emancipati, attraverso un processo educativo avente come punto di riferimento il sentimento, la ragione, l’etica. L’educazione alla e attraverso la ragione e l’adesione ai principi morali, ( imperativi categorici) costituiranno gli elementi guida di tutti quei movimenti educativi contrari agli atteggiamenti dogmatici, repressivi. Un’educazione alla ragione che vuole però, approfondire i limiti, le possibilità, le ambiguità, della stessa ragione. Johann Henrich Pestalozzi (1746 – 1827) (scrive come Gertrude istruisce i suoi figli) Con la fine del 700 e l’inizio dell’800, il problema dell’educazione popolare entra nel vivo di un dibattito sul quale intervennero i movimenti educativi e pedagogici. Le nuove istanze muovevano da una più diffusa coscienza sociale e umanitaria, dall’emergere dei diritti dell’infanzia, delle donne, degli emarginati, dagli effetti della rivoluzione industriale, dall’aumento della popolazione, dalla difficoltà di gestire l’emarginazione, dal ruolo dell’istruzione, dalla richiesta sociale scolastica. La gestione dell’istruzione popolare diventava uno degli elementi principali della possibile gestione della società. Si aggiunga che l’articolazione sociale, economica, culturale, religiosa, politica, era ancora più differenziata in Svizzera e in particolare nelle zone in cui operò Pestalozzi. Nella seconda metà del ‘700, questo paese è una delle zone più industrializzate d’Europa. Siamo in un periodo in cui vi sono trasformazioni economiche e produttive; questa trasformazione economica peggiora la sorte dei contadini, sfruttati sia dalla feudalità che dalla borghesia. I paesani e i campagnoli avevano il divieto di intraprendere mestieri diversi da quelli agricoli e il divieto di aspirare agli studi. I rapporti tra città e campagna erano squilibrati, diffuso l’analfabetismo, erano accentuate le differenze sociali. Cinque fattori emersero per merito di Pestalozzi:

1) Diritto dell’umanità: soprattutto quella subalterna di emergere, di emanciparsi, in termini sociali, economici, educativi, culturali.

2) Importanza dell’educazione popolare. nell’ambito della famiglia, della società, della scuola. 3) Ruolo centrale della donna: nel miglioramento dei costumi e dell’emancipazione educativa.

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4) Necessità che l’educazione e l’istruzione: tocchino tutti i momenti dell’infanzia con una metodologia adeguata.

5) Figura centrale del maestro e dell’educatore: visto come pedagogo al servizio della classi popolari.

Pestalozzi è l’esempio di educatore, di filantropo, che lavora, riflette, scrive. Si ha una presa di coscienza sociale e umanitaria, dall’emergere dei diritti dell’infanzia, delle donne e degli emarginati. Ritiene di aver trovato nelle classi popolari la forza in grado di produrre un rinnovamento. Le esperienze pedagogiche condotte a Neuhof, (1768 – 1780), casa colonica per orfani trovatelli; a Stans, (1798 – 1799), orfanotrofio per soccorrere i bisognosi; a Burgdorf, (1799 – 1804), dove elabora il suo metodo; e Yverdon con ragazzi orfani, abbandonati, pieni di problemi, fallirono. Tra tradizione e nuova cultura, Pestalozzi scelse di: non staccarsi dal popolo, puntare sull’educazione, senza dimenticare la natura. Citava a questo proposito:”l’uomo non diventa uomo se non per mezzo dell’educazione, ma questa guida deve nel suo procedere accordarsi al corso della natura. Ma aggiungeva che era errato affidarsi esclusivamente alla natura: se tu abbandoni alla natura l’educazione, essa ci conduce ad una confusione di intuizioni che manca di quell’ordine che si richiede al primo insegnamento. Non meno radicale era la critica alla situazione della scuola per il popolo in Europa sul piano dell’organizzazione dei contenuti, dei metodi, dell’affidabilità degli insegnanti; il popolo d’Europa non riceve nessun appoggio dai suoi governi; esso non riceve alcuna educazione pubblica all’attività pratica. E anche quando si provvede alla formazione di sarti, calzolai, mercanti, ci si dimentica di produrre un sarto o un mercante che sia un uomo nel vero senso della parola. È in questo quadro che deve essere posto il metodo educativo di Pestalozzi, il metodo che solo in apparenza può sembrare meccanico. Il metodo o meglio, l’azione educativa di Pestalozzi, è contraddistinta da alcuni elementi fondamentali: educazione morale: (sentimento, amore, fede, mente, cuore, mano), educazione cognitiva: (forma, numero, nome); queste sono da intendere come strumenti obiettivi. L’educazione del cuore è insieme fede e amore; amore come fraterna collaborazione fra gli uomini, e come fede in Dio. L’educazione alla mente cala il bambino nella realtà della natura e della società in cui vive; l’educazione alla mano si riferisce all’attività artigiana in generale, forma, numero e nome sono gli elementi della conoscenza intellettuale. Punto di riferimento è l’educazione materna e familiare: un modello educativo molto attento ai cambiamenti e ai comportamenti dei ragazzi. Per Pestalozzi la prima educatrice è la madre, la casa è il primo ambiente educativo per l’apprendimento. Pestalozzi mostra una sensibilità allo sviluppo fisico e intellettuale. Scopo ultimo dell’istruzione, secondo Pestalozzi, è la preparazione alla vita, avviando tutti alla riflessione, alla ponderatezza, insegnando loro a pensare tramite lo sviluppo dell’intelligenza, del sentimento, delle capacità creative e artistiche: tutto secondo le possibilità individuali e anche in accordo alle condizioni sociali ed economiche. La capacità d’istruzione per le classi più umili e in particolare per i contadini Non deve superare la capacità di astrazione; anche per il ceto borghese vale un analogo criterio. Per le classi superiori accorre puntare su un grado elevato di cultura scientifica. Fondamentali sono le tesi e le battaglie di Pestalozzi condotte per dare spaio all’istruzione popolare coinvolgendo le madri, le famiglie e puntando sulle risorse naturali, umane, intellettuali. Il suo punto di partenza e il suo obiettivo sono una crescita civile, culturale, politica, in nome dell’amore, della fede, della ragione, dell’umanità. Il metodo pestalozziano è fondato su un richiamo costante alla natura. Si chiama metodo elementare o educazione elementare: per elementare si intende lo sforzo del maestro di individuare gli elementi primari, costitutivi, della natura infantile. Il metodo elementare è lo sviluppo dell’intuizione, l’intuizione è per lui il fondamento di ogni conoscenza umana. Il processo della conoscenza si inizia con l’intuizione, cioè, con ’apprendimento

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diretto e con l’attenta esperienza delle cose sensibili. Di qui, tramite il linguaggio si arriva alla formulazione dei concetti e al pieno sviluppo intellettuale razionale. A. Necker de Saussure e l’educazione progressiva (1766 - !841) Un’altra grande pedagogista svizzera e interprete del mondo dell’infanzia e della giovinezza è Albertina Adriana Necker de Saussure. La sua opera fondamentale è L’education progressive ou etude du cours de la vie, è ritenuta una tra le più notevoli opere pedagogiche del tempo. Di essa Gino Capponi scrisse che “ogni uomo si glorierebbe di averla scritta, ma solo una donna poteva farlo.” L’opera è divisa in due parti: la prima riguarda l’educazione in generale, ed è composta da 7 libri; la seconda riguarda l’educazione delle fanciulle, anch’esso di sette libri. Sono significative la distinzione tra educazione casuale ed educazione premeditata. Ella è favorevole all’educazione familiare o materna e a quella pubblica, ma anche a quella dei collegi, perché ritiene che la vita a contatto con gli altri favorisca la formazione delle capacità intellettuali latenti nel fanciullo. Il concetto fondamentale che anima la pedagogia di Albertina è quello della progressività del processo educativo inteso come un progressivo sviluppo di tutte le capacità della personalità infantile. Richiamava l’attenzione al ruolo dell’educazione religiosa, del vissuto morale, dell’intreccio tra educazione della ragione ed educazione del sentimento, dell’educazione femminile se pur differenziata a complementare di quella maschile. Colpiscono l’invito rivolto alle madri a tenere un diario dello sviluppo dei figli e l’attenzione alle prime esperienze psicomotorie del bambino. Serenità, benevolenza, calma, sentimento religioso, sono le doti richieste per seguire il fanciullo nella maturazione affettiva, immaginativa, morale, intellettuale. Criticava le impostazioni materialistiche e le esasperazioni razionalistiche. L’educazione fisica, morale, intellettuale devono tenere conto dello sviluppo infantile, della possibilità di apprendimento, facendo leva sull’esperienza, sull’intelligenza, sulla memoria, per passare, nel periodo adolescenziale all’ampliamento degli orizzonti culturali, con lo studio della lingua materna, della cultura classica, della storia, della geografia, delle scienze naturali, matematiche e fisiche e della religione in un contesto pubblico che avviano il ragazzo a vivere in società risultando padrone dei propri sentimenti e con la capacità di autogovernarsi. Alla donna attribuiva compiti specifici: una donna religiosa, educatrice, che si avvia al matrimonio sicura di poter dare al marito, alla famiglia, ai figli, un contributo responsabile. Rimane il dovere della subordinazione, ma nello stesso tempo la convinzione del ruolo educativo, formativo, della donna, la sua responsabilità nella gestione dei beni familiari. Pur riconoscendo l’importanza dell’educazione popolare, la Necker punta sulla formazione e sulla responsabilità del ceto nobile e borghese; propone un rinnovamento dei costumi, della mentalità e una considerazione delle caratteristiche dello sviluppo. L’elemento centrale è costituito dall’educazione religiosa, vissuta nella sua semplicità e naturalezza. La Necker condanna il nozionismo al quale contrappone gli interessi dell’alunno: è da questi che bisogna muovere nell’impostare il percorso didattico, che deve essere flessibile da adeguarsi tanto alle facoltà intellettuali del fanciullo, quanto alle attività pratiche, al fine di rispettare l’unità psicologica e spirituale dell’individuo. La cultura pedagogica tedesca e l’idealismo Il periodo tedesco che comprende le fasi dell’illuminismo, del romanticismo, dell’idealismo, registra una presenza di letterati, do pensatori. Autori come Herder, (1744 – 1803); Shiller, (1795 – 1805); Richter, (1763 – 1825); Goethe, ( - 1832); Humboldt, (1767 – 1825); Schleiermacher, (1768 – 1834); ebbero un’influenza notevolissima per aver affrontato problemi che riguardavano la natura, l’uomo, l’arte, la filosofia, la religione, la storia, e in modo particolare la cultura, l’educazione, la pedagogia.

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Mentre da un lato si tende a sottolineare le differenze esistenti tra la scienza dello spirito e le scienze della natura, si intende un nuovo modo di concepire la natura stessa, in termini di spontaneità, di creatività, di spiritualità, che via, via trova nell’arte, nella religione, nella filosofia, le sue maggiori espressioni. L’arte, la letteratura, la filosofia tendono a trasformarsi in concezioni del mondo e della vita. Il rapporto tra educazione, istituzioni educative e cultura, si fa molto stretto perché si afferma la convinzione che la cultura, l’istruzione costituiscono la vera connotazione umana. J.P. Richter , (1763 – 1825), viene considerato uno tra i più originali rappresentanti della pedagogia romantica tedesca. Il nome di Richter è legato alla stesura dell’opera Levana, o dottrina dell’educazione, un lavoro di carattere pedagogico – poetico. Tale opera è importante per la coscienza di vivere in un periodo drammatico. Sono presenti il richiamo a Rousseau, la coscienza che la pedagogia non debba adeguarsi ai tempi, ma trascenderli. Richter propendeva per una pedagogia sistematica, non confusa con la didattica e con la terapeutica, avente forte il senso di puntare sulla sul sentimento e sulla forza. Amore e forza, cioè ultima armonia e prodezza, sono i due poli della pedagogia. Riprendendo un tema caro a Rousseau, Richter afferma la superiorità dell’educazione indiretta su quella diretta, sostenendo di conseguenza che l’educatore per eccellenza è l’ambiente sociale. A suo giudizio un organismo non può svilupparsi senza ricevere alcuno stimolo. L’educazione deve operare in vista di una società futura, deve essere come indicare una strada, la direzione, e deve sviluppare le facoltà intellettuali e morali, dell’uomo. Nasce una concezione dell’uomo che pur avendo radici nella cultura classica tende ad acquisire una precisa identità naturale, storica, religiosa. Di mezzo vi sono i movimenti nazionalistici, ma anche gli effetti e la riflessione sulla riforma protestante e sul significato della religiosità, del ruolo educativo, della religione e della rivelazione. Illuminante è a questo proposito la lettura di Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità, di Herder e di Lessing l’Educazione del genere umano. In Lessing il rapporto tra educazione e rivelazione è molto stretto. Come il fanciullo ha bisogno di essere educato anche la società ha bisogno di un’educazione e anch’essa passa da un periodo infantile a uno di piena maturità religiosa e razionale. Temi sui quali insisterà W. Von Humboldt, il creatore del nuovo modello di Liceo e di Università: l’uomo deve conservare il carattere conferitogli dalla natura e dall’ambiente; solo con esso egli si muove con disinvoltura, è attivo e felice. Egli deve soddisfare le esigenze dell’umanità e non porre limiti alla sua formazione spirituale. Non meno significative sono le tesi affrontate da Hardenberg Novalis, (1772 – 1801); e da Friedrich Schiller, (1759 – 1805), nelle lettere sull’educazione estetica, nelle quali si registra una netta rivalutazione del gioco, dell’educazione, e della cultura estetica, insieme alla chiarezza dell’intelletto, la vivacità del sentimento, la liberalità , la finezza nei rapporti sociali. Per Schiller la natura umana possiede due istinti: il primo legato al mondo sensibile e il secondo all’universale, al necessario, (la ragione). Solo in un’armoniosa concordanza di entrambi gli impulsi nasce l’integralità dell’uomo: questa si può verificare solo nel campo dell’arte, in quanto essa è sintesi di idea e di materia, di pensiero e di sensibilità. Altrettanto significativa è la tesi sostenuta da J. W. Goethe ne La provincia pedagogica, dove l’intreccio tra utopia, iniziazione, formazione culturale, educazione estetica, (musica, poesia, scultura), fa leva sulla sensibilità, sulla capacità di cogliere l’inesprimibile. Nelle opere di F: D. E. Schleiermacher, (Discorsi sulla religione, 1799, Monologhi, 1800, Dottrina della fede, 1822), vi è l’intuizione e il sentimento dell’infinito si raccordano con un’impostazione umanistica che si salda con un modello educativo nel quale si tiene conto della gradualità, delle forme del sapere, della cultura nelle quali s’inseriscono lo stato, la chiesa, il popolo e la scienza. Forte era in Schleiermacher la proposta di saldare la natura con lo spirito, le persone con la società; l’impostazione spiritualistica e religiosa lo portava a svalutare le scienze empiriche e proporre le metodologie dell’interpretazione dei testi, della realtà, rispetto a quella scientifica e sperimentale. Con Schleiermacher inizia quella corrente ermeneutica che avrà i suoi maggiori rappresentanti in Dilthey, Heidegger, e Gadamer, con dei risvolti importanti rispetto all’educazione e alla scienza dell’educazione. L’istanza è quella di non rimanere al dato fenomenico

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ma di entrare nel vivo della realtà, di cogliere l’essenza, il senso dei processi e della dinamica educativa. Le istituzioni e i soggetti a cui faceva riferimento erano lo stato, la chiesa, il popolo, la scienza, e una scuola a carattere popolare e tecnico per ceti meno abbienti e umanistica e universitaria per i ceti dirigenti. Non si può dire che l’idealismo tedesco abbia messo a punto un trattato di pedagogia, ma si può affermare che il processo educativo fa parte integrante dei singoli sistemi filosofici. Il rapporto molto stretto tra filosofia e pedagogia si fa ancora più sistematico, fino a presentarsi in termini di identificazione con Johann Gotilieb Fichet, (1762 – 1814), Friedrich Schelling, (1775 – 1854), Hegel, (1770 – 1831). Il problema fondamentale è quello di cogliere la genesi e il processo dello spirito; un processo che tende all’autocoscienza, che può trovare la sua espressione nell’etica, nell’arte, nella religione, nella filosofia, ma che in ogni caso si trasforma in un processo educativo.. con l’idealismo la filosofia proprio perché è il sapere in grado di cogliere questo processo, si presenta come l’unica e autentica scienza, accentuando la distinzione tra scienza dello spirito e scienze positive, naturali ed empiriche. L’accentuazione dell’educazione come momento spirituale di tipo immanentistico creerà una serie di contrapposizioni da parte della pedagogia cristiana e cattolica e delle scienze empiriche dell’educazione. Ma ciò che più differenzia la pedagogia idealistica dalla tradizione pedagogica e didattica sarà il superamento delle posizioni analitiche, (natura, esperienza, educando, educatore, soggetto, oggetto, cultura, mondo, Dio), per privilegiare il principio immanentistico, monistico, storico, dialettico. Tutto il dibattito sulla presenza e sul ruolo del soggetto, della persona, viene centrato nell’ambito dell’”Io puro”, dell’assoluto, della fenomenologia dello spirito. Di solito si pone come punto di riferimento dell’idealismo l’io trascendentale di Kant e il relativo superamento. Sintomatico è l’atteggiamento assunto da Fichte nei confronti di Rousseau; viene a cadere la concezione ottimistica della natura e, si accentua il ruolo della cultura che richiede impegno e sacrificio. La natura è rozza e selvaggia senza l’opera dell’uomo, il fine dell’educazione delle capacità è di sottomettere la natura, si può dire che la ragione sta in continua lotta con la natura. Con Fichte cambia rispetto all’illuminismo la funzione della cultura e soprattutto degli intellettuali, il dotto ha una funzione sociale, quasi sacerdotale, (La missione del dotto, 1794). Il dotto è principalmente destinato alla società; in quanto è dotto esiste solo in virtù della società e per la società; perciò egli ha il dovere di perfezionare in sé al più alto grado possibile le attitudini sociali della ricettività e della comunicabilità. Solo con queste qualità il dotto diventa maestro ed educatore del genere umano. Maestro perché trasmettitore di saperi, educatore perché promotore del miglioramento dell’umanità. Il dotto deve essere l’uomo moralmente migliore della sua epoca. Temi e concetti presenti ne l’Essenza del dotto e le sue manifestazioni nel campo della libertà. Lezioni tenute a Erlangen nel settembre estivo del 1805, quando afferma che “compito del dotto è di essere un iniziatore, di condurre l’opinione pubblica”. Per questo il dotto deve avere fede in sé e deve fuggire ogni cosa ignobile e volgare, la pigrizia. A questi ideali deve ispirarsi l’opera educativa nei confronti dei ragazzi destinati allo studio, notevolmente impegnativa diventa l’opera del maestro. Scienza, professionalità, cultura caratterizzeranno la formazione universitaria. Lo stato, sotto questo aspetto assume una funzione etica, nasce lo stato etico, nettamente distinto dallo stato di diritto. Significativo il fatto che Fichte nell’opera Stato commerciale chiuso, (1800) abbia insistito sulla necessità di puntare su tre classi: produttori, artigiani, commercianti, in un sistema economico di tipo autarchico. Per Fichte lo stato assume una valenza nazionalistica, (Discorsi sulla nazione tedesca1808). Nei discorsi Fichte rivendica il primato, morale e culturale, del popolo tedesco, in virtù dei suoi filosofi che ne hanno esaltato l’autonomia. In questo modo estende alla nazione germanica il primato culturale e morale che caratterizza il suo idealismo etico. Fichte si assume il compito di elaborare nuove direttive per l’educazione e il risorgimento del popolo tedesco. Il carattere principale della nuova educazione sarà la totalità:

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l’educazione deve formare tutto l’uomo e tutti gli uomini. Il fine della nuova educazione è la formazione della moralità, la conquista dell’autonomia interiore. Se in Fichte il confronto etico tra IO e NON IO porta a concepire la natura in termini di opposizione necessaria ma limitante, in Schelling si ha una rivalutazione della natura, concepita è vero come coscienza pietrificata, ma in realtà come sintesi, unità di spirito e natura, razionalità e irrazionalità, tra conscio ed inconscio, l’assoluto schellinghiano non è più l’IO ma è costituito dall’identità di IO e NATURA, (Ricerche sulla natura della libertà umana, 1809), in una tensione e in una ricerca che vede un particolare ruolo la religione, (teologia), la filosofia, l’arte, in grado di cogliere il temporale e l’eterno, l’universale e il particolare, l’attività creatrice dello spirito assoluto. Questa filosofia dell’identità caratterizza tutto il pensiero di Schelling. Significative a questo riguardo sono le quattordici lezioni su l’insegnamento accademico che Schelling tiene all’università di Iena, nel 1803, nelle quali viene affrontato il problema dell’unità e della diversità delle discipline, della necessità di puntare su una unità centrata sulla filosofia e in particolare sull’arte, sul ruolo di un sapere che si converte ed esprime in capacità creative. La concezione creativa della natura, il riconoscimento positivo attribuito al gioco e all’attività ludica, lo spazio richiesto all’educazione e all’attività artistica erano destinati a esercitare una forte influenza culturale e metodologica sulla pedagogia, sulla didattica, e sui modelli dell’educazione infantile. Il rapporto di conflittualità, di strumentalizzazione, tra uomo e natura, viene a cadere, come vengono meno le concezioni meccanicistiche e materialistiche, secondo cui la natura si riduce a materia e movimento, e non è vivificata da un principio spirituale; ed emerge, invece, una natura nella quale è possibile riscontrare un’unità tra creatività, razionalità, bellezza, (Introduzione al sistema dell’idealismo trascendentale di Schelling). La capacità di cogliere e di esprimere l’infinità inconscia, (sintesi, di natura e libertà secondo S.), è data solo dall’arte, dall’artista. G. W. F. Hegel occupa un posto centrale nell’ambito della storia della filosofia idealistica, sia per la sistematicità raggiunta, sia perché da Hegel si dipartono una serie di correnti e di movimenti, (sinistra hegeliana), che hanno contrassegnato il dibattito filosofico, pedagogico, politico, contemporaneo. Per Hegel tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale. La ragione governa il mondo e lo domina, secondo un movimento dialettico in cui tutte le determinazioni, (quelle della logica o ragione in sé, quelle della natura, o ragione fuori di sé; e quelle dello spirito o ragione per sé), sono riconosciute e ricondotte all’unità dell’idea. La logica non è soltanto il modo di organizzare il pensiero, ma il modo di essere, la storia della realtà che è storia, fenomenologia del pensiero, delle idee, solo la filosofia è la vera e autentica scienza in grado di cogliere il processo, la dialettica, dello spirito assoluto. Come esiste la storia dello spirito, così esiste la storia della filosofia, intesa come storia del processo attraverso il quale lo spirito prende coscienza di sé stesso. Un processo che non è lineare, rettilineo, meccanico, ma creativo e in primo luogo dialettico; importante è la concezione hegeliana della dialettica come sintesi degli opposti. Per Hegel la dialettica è la legge fondamentale della ragione, nel suo dispiegarsi, in un processo circolare compiuto in logica, (tesi), natura, (antitesi), spirito, (sintesi). Se l’illuminismo aveva parlato di progresso, l’idealismo specie con Hegel, parla di processo dialettico. Il confronto, lo scontro, la contrapposizione sono dati reali, positivi, sono gli elementi e i momenti necessari del progresso. Hegel era stato precettore, insegnante, di Norimberga, si era battuto per una migliore organizzazione della scuola classica, per una maggiore attenzione agli alunni capaci e meritevoli, per una retribuzione decente degli insegnanti, per un migliore rapporto tra scuola e famiglia, per un accertamento serio dei risultati scolastici, per la pubblica premiazione degli alunni migliori. Nell’ambito della sua filosofia insiste sul ruolo della famiglia, delle classi sociali, dello stato, del diritto, la loro funzione è decisamente educativa proprio per la loro natura etica, solo la famiglia, la società, lo stato, sono in grado di promuovere il passaggio da una condizione di soggettività chiusa, egoistica a una di oggettività universale e di fare emergere l’interesse generale. Il conservatorismo politico di Hegel non sta soltanto nella sua concezione monarchica costituzionale, ma nella sua concezione dello stato che risulta come sintesi dei valori realizzati e realizzabili nel tempo. Hegel

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privilegiava la concezione di uno stato forte per il semplice motivo che il cedimento al soggetto, al gruppo sociale, significava cedere agli interessi soggettivi. Il carattere educativo, formativo, dello stato, era dato dalla sua interna spiritualità e quale garante di valori, diritti, doveri. L’educazione diventa un fatto pubblico, riguarda l’universalità dei cittadini, (superamento della concezione individualistica dell’educazione che era stata proprio dell’illuminismo). È da sottolineare l’importanza attribuita da Hegel alla famiglia, alla società, allo stato,ma in particolare alle condizioni economiche, ai processi produttivi, alla stratificazione sociale. Hegel sostiene che è servo chi non diventa soggetto della propria formazione, chi non è creativo, manca di una conoscenza religiosa, non matura in termini di razionalità. Di qui l’insistenza sul ruolo della disciplina, specie nei confronti dei capricci dei bambini. Hegel stabilisce un parallelismo tra storia della natura, storia dell’infanzia, storia della filosofia. Hegel insiste in particolare sulla formazione filosofica dei giovani, sulla necessità di allenarli a occuparsi di puri pensieri. Vi sono dei principi che saranno propri di tutta la pedagogia idealistica: l’educazione ha una connotazione spirituale è il frutto di uno sviluppo, di una maturazione del pensiero, l’infanzia è caratterizzata più dalla possibilità di maturare spiritualmente e razionalmente che di esprimersi in termini di razionalità e coscienza. L’adolescenza è l’età più adatta per una maturazione razionale filosofica disinteressata. La scuola disinteressata, e quindi il ginnasio e il liceo, è quella che meglio si presta per questa educazione al pensiero, alla logica, e, per l’acquisizione di una mentalità plastica nel ricevere, nell’intendere, nel pensare. Per Hegel è molto importante la formazione di una coscienza, di una cultura, di un’educazione storica, è la storia dell’idea, del pensiero. In Hegel vi è l’esigenza di fare emergere la capacità plastica di osservare, apprendere, riflettere, pensare, ragionare. Alcune precisazioni su Hegel, probabilmente già presenti sopra: Le tesi di fondo del suo idealismo sono:

��La risoluzione del FINITO nell’infinito; con ciò intende che la realtà non è un insieme di sostanze autonome, ma un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste ne è parte o manifestazione. Tale organismo coincide con l’ASSOLUTO e con l’INFINITO, mentre i vari enti del mondo, essendo manifestazione di esso, coincidono con il FINITO. Il soggetto infinito che sta alla base della realtà viene denominato da Hegel con il termine di IDEA o RAGIONE intendendo con queste espressioni RAGIONE o REALTÀ.

��L’identità tra ragione e realtà; ��La funzione giustificatrice della filosofia.

La razionalità non è pura idealità, astrazione, ma la forma stessa di ciò che esiste poiché la Ragione governa il mondo e lo costituisce. La realtà è il dispiegarsi di una struttura razionale che si manifesta in modo inconsapevole nella natura, e in modo consapevole nell’uomo. Il compito della filosofia è invece la giustificazione razionale della realtà, di ciò che esiste. La FILOSOFIA DELLO SPIRITO viene definita come la più concreta delle conoscenze e per ciò la più alta e difficile, è la studio dello spirito. Lo sviluppo dello spirito avviene attraverso tre momenti principali:

1. Lo spirito soggettivo, cioè quello dell’individuo considerato nel suo lento e progressivo emergere dalla natura, attraverso un processo che va dalle forme elementari di vita alle più elevate attività pratiche e conoscitive.

Questa filosofia si divide in tre parti: ��ANTROPOLOGICA, che studia lo spirito come anima. ��FENOMENOLOGICA che studia lo spirito come COSCIENZA, autocoscienza e

ragione. ��PSICOLOGICA che studia lo spirito in senso stretto, cioè nelle sue manifestazioni

universali. 2. Spirito oggettivo è lo spirito che si manifesta in situazioni sociali concrete, ovvero in

quell’insieme di determinazioni sovra individuali che Hegel raccoglie sotto il concetto di diritto.

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3. Spirito assoluto è il momento in cui l’idea giunge alla piena coscienza della propria infinità e assolutezza (cioè dal fatto che tutto è spirito e che non vi è nulla al di fuori dello spirito). Tale auto-sapersi dell’assoluto non è qualcosa di immediato ma è il risultato di un processo dialettico rappresentato dall’arte, dalla religione e dalla filosofia. Queste attività non si differenziano per il loro contenuto che è identico, ma soltanto per la forma nella quale ciascuna di esse presenta lo stesso contenuto che è l’ASSOLUTO o DIO. L’arte conosce l’assoluto nella forma dell’intuizione sensibile, la religione nella forma della rappresentazione, la filosofia nella forma del puro concetto.

La FILOSOFIA DELLA STORIA: Hegel non nega che la storia possa apparire un tessuto di fatti contingenti, insignificanti e quindi priva di ogni piano razionale o divino e dominato dallo spirito del disordine, della distruzione e del male. Ma tale può apparire soltanto dal punto di vista dell’INTELLETTO FINITO, cioè dall’individuo che unisce la storia alla stregua dei suoi dati personali e non sa elevarsi al punto di vista della ragione assoluta. In realtà il grande contenuto della storia è RAZIONALE e RAZIONALE deve essere. La stessa fede religiosa implica la razionalità della storia. Il fine della storia del mondo è che la spirito giunga al saper di ciò che esso è veramente, e oggettivi questo sapere, lo realizzi facendone un mondo esistente, manifesti oggettivamente se stesso. Questo spirito è lo spirito del mondo che si incarna negli spiriti dei popoli che si succedono all’avanguardia della storia. I mezzi della storia del mondo sono gli individui con le loro passioni. Ma poiché lo spirito del mondo è sempre lo spirito di un popolo determinato, l’azione dell’individuo sarà tanto più efficace quanto più sarà conforme allo spirito del popolo cui l’individuo appartiene. Si è detto che il fine ultimo della storia del mondo è la realizzazione della libertà dello spirito. Ora questa libertà si realizza secondo Hegel, nello STATO: diventa così il FINE SUPREMO. Johann Friedrich Herbart (1776 – 1841) Con Johann Friedrich Herbart ha inizio il passaggio dalla vecchia alla nuova psicologia. La sua tesi centrale è che la pedagogia, come scienza dell’educazione, ha come base fondamentale due discipline, due saperi: la psicologia e l’etica. La psicologia perché introduce e rende espliciti i processi relativi alla conoscenza, all’apprendimento, al comportamento. L’etica perché chiarisce la natura dell’oggetto, del metodo, e dei criteri di valutazione delle condotte. L’etica, partendo dall’esperienza, deve stimare i valori fondamentali. Questi sono cinque: l’idea della libertà interiore, l’idea della perfezione, l’idea della benevolenza, che riguarda l’armonia tra l’io e quella degli altri; l’idea del diritto, che risolve il conflitto tra volontà diverse; infine l’idea dell’equità, che regola il rapporto tra le azioni e la loro ricompensa. Herbart mette in discussione la consistenza razionale dell’esperienza e dei fenomeni, per presentare la conoscenza secondo una modalità di organizzazione che ha bisogno di essere seguita e controllata. La realtà è costituita da un insieme di reali, semplici, immutabili, noumenici, che vengono in rapporto tra loro, determinando stati di perturbamento, di autoaffermazione, anche l’anima è un reale semplice che non è in alcun luogo, non è in alcun tempo, non ha alcuna disposizione o facoltà. Per Herbart l’anima è un reale psichico, e i suoi atti sono rappresentazioni. Proprio dall’interazione con la realtà si mettono in azione quegli atteggiamenti che acquistano le caratteristiche della sensazione, della percezione, dell’autoaffermazione, e della rappresentazione. Herbart presta attenzione all’ambiente, alla società, ai ruoli sociali, alla divisione del lavoro. Di particolare rilievo è l’attenzione prestata da Herbart al rafforzarsi dell’io, dell’unità psicologica e del differenziarsi dal tu, dal noi, dal passaggio da situazioni egocentriche a quelle universalistiche. Ne parla con molta analiticità nel Manuale di psicologia. La matrice di molti atteggiamenti negativi è da ricercarsi nella dissociazione e nell’oscillazione dell’io. Di qui l’importanza attribuita all’unità dell’anima: la follia ha origine quando da una certa massa di rappresentazioni si produce un nuovo io da cui risulta anche una personalità incostante.

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Sono proprio gli effetti negativi del gioco incontrollato dei meccanismi psichici, che inducono Herbart a insistere sul controllo delle modalità dei processi cognitivi e in modo particolare sulla formazione delle masse appercepienti , perché da esse dipende tutta l’articolazione dell’esistenza, dei rapporti con le persone, con l’ambiente. L’interesse inteso come rapporto diventa un fatto fondamentale: egli li distingue in interessi propri della conoscenza, riguardano sia la natura sia l’uomo; che si articolano in interessi empirici, speculativi, estetici, e interessi della compartecipazione, riguardano solo l’uomo e sono suddivisi in simpatetici, sociali, religiosi. Le discipline scientifiche fanno riferimento ai primi, e quelle storiche ai secondi. Gli interessi della conoscenza riguardano l’attività teoretica e quella di valutazione. L’attività teoretica può riferirsi alla natura, (interesse empirico), o alle idee, (interesse speculativo). Proprio del campo conoscitivo è anche la valutazione pratica del bello e del buono, (interesse estetico). Gli interessi della compartecipazione possiamo definirli interessi del cuore. Essi riguardano il rapporto con gli altri uomini e con Dio. Rispetto all’umanità possono riferirsi ai singoli individui, (interesse simpatetico), o alla collettività, (interesse sociale). La compartecipazione può infine riguardare l’essere supremo, (interesse religioso). Herbart vede l’esigenza di insegnare, filosofare secondo i gradi della chiarezza, in cui il docente deve presentare l’argomento ed esporre agli alunni gli obiettivi cui tende con il suo lavoro; associazione in cui il docente deve richiamare le informazioni già possedute o accertare il possesso dei prerequisiti; sistemazione in cui il docente presenta le nuove informazioni, il metodo attraverso cui l’insegnante propone diverse applicazioni ricevute, attraverso operazioni di vario tipo. La necessità di dare spazio all’esperienza, alla sua chiarificazione, di stabilire connessioni tra esperienza e rappresentazione, secondo una gradualità che tenga conto della diversa psicologia delle singole età, chiarezza di idee, semplicità di espressione, coerenza nella condotta devono essere i punti di riferimento, per Herbart, di una didattica che, oltre a poter disporre di spazi, di aule, di terreni, doveva fruire di una solida preparazione professionale e culturale degli insegnanti, sperimentazioni, seminari, discussioni su esperienze condotte, scelta dei contenuti, articolazione delle discipline, (lingue moderne e classiche, storia, geografia, matematica, geometria, scienze naturali), gestione della scuola fanno parte della letteratura didattica, pedagogica, scolastica, proposta da Herbart. Il tutto secondo i criteri che aveva sviluppato nella Pedagogia generale dedotta dal fine dell’educazione. Nell’introduzione all’opera Herbart nega che per l’educatore basti l’esperienza. La pedagogia è per lui una scienza con forte connotazione interdisciplinare. Nell’introduzione alla filosofia si ha la specificazione delle affinità e delle differenze esistenti tra le scienze della natura, la psicologia e la scienza della società, con riferimento allo stato. Per quanto riguarda l’uso della matematica nell’indagine psicologica. Herbart avverte le differenze esistenti tra fenomeni naturali e fenomeni psicologici. Non meno complesso è il rapporto che Herbart ha cercato di cogliere tra fenomeni psicologici e fenomeni sociali; a proposito di questi ultimi insiste sul principio della pluralità e anche se parla dello stato come centro della volontà e della potenza sostiene che occorre tenere conto della pluralità degli interessi e della volontà degli uomini, assegna allo stato il compito di assicurare il bene comune, di incentivare la suprema educazione dello spirito, la forza intellettuale e la dignità morale tramite la libera educazione familiare e popolare. Herbart propone un sistema politico liberale, moderato, attento agli interessi e ai bisogni, garante dei diritti ma tendente a evitare sommovimenti, rivoluzioni, lotte. Nello stesso tempo la pedagogia dimostrava attenzione ai fenomeni psicologici e sociali, senza trascurare le problematiche valoriali. Arthur Schopenhauer (1788 – 1860) Arthur Schopenhauer si muove su un terreno molto diverso da quello idealista; con lui ha inizio la formazione di una coscienza critica rispetto allo storicismo illuminista e idealista, all’ottimismo razionalista. La sua opera principale “Il mondo come volontà e rappresentazione”, (scritta tra il 1814 ed il 1818 e pubblicata nel 1819), sembra ricalcare le posizioni kantiane, di fatto se ne differenzia.

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Il nocciolo, il noumeno della realtà è costituito dalla volontà, una volontà né buona né santa, ma irrazionale, dominata dall’istinto, dalla passione, dagli impulsi, dalla sessualità. Come tale è creatrice di contraddizioni, ansie, paure, tensioni, insoddisfazioni, e infine, di dolore, di morte. Non esistono alternative se non nella conoscenza e nell’ascesi come momenti di presa di coscienza e di scelta per controllare una situazione che non avrebbe altri sbocchi che la noia e il dolore, non è una questione semplice perché tra noi e la realtà esiste un sottile ma resistente velo di Maya che ci impedisce di vivere appieno le nostre condizioni esistenziali. Il conservatore Schopenhauer non si faceva illusioni, sul processo storico, sulle rivoluzioni sociali, economiche, politiche, sulla democrazia; guardava alle tensioni del suo tempo con occhi molto disincantati, come non si fa illusioni sulla possibilità di fare emergere il popolo, la massa, gli handicappati. È su questa convinzione che Schopenhauer innesta le sue riflessioni sulla vita umana, sui diversi stati e momenti della vita individuale, e in particolare dell’infanzia, della giovinezza, dell’età matura. L’età infantile è caratterizzata più dal desiderio di conoscere che dalla volontà. La giovinezza è contrassegnata dal desiderio e dalla volontà di conoscere, creare ma anche dalla malinconia, dalla tristezza, dall’irrequietezza. Comincia la caccia alla felicità e con essa le delusioni, il malcontento. Purtroppo i giovani vengono a conoscere la vita attraverso la letteratura più che tramite la realtà. La maturità dovrebbe essere l’età dell’esperienza, della conoscenza, della riflessione. Thomas Mann ha scritto che Schopenhauer come psicologo della volontà è il padre della moderna psicologia. Quella di Schopenhauer è la pedagogia del disincantamento: è pura illusione quella di cercare la felicità nel seguire il flusso (o i flutti) della volontà, altrettanto illusorio è quello di affidarsi ai concetti, alle categorie, alla ragione. Non c’è altra alternativa che quella di capire il significato e il senso dell’esistenza; intuire tramite il gioco, la poesia, la musica, la filosofia la trama di delusioni, ansie, paure, che interessano la nostra vita. La strada da percorrere è quella che tende a contenere l’ansia di vivere partecipando, (compassione) al dolore altrui, seguendo la giustizia fino all’annullamento ascetico. Educare significa rendere cosciente l’uomo e l’umanità dei rischi e dei limiti di una vita impostata secondo l’illusione della felicità. La realtà vera è un’altra e l’unico modo di coglierne il senso è il disinganno e il disincanto. Ancora una volta l’arte, la morale, la filosofia devono trasformarsi in pedagogia. L’educazione infantile: Robert Owen, Ferrante Aporti, Friedrich W. A. Froebel (‘700 – ‘800) Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 esplode, in modo particolare in Europa il problema dell’educazione e dell’istruzione popolare e infantile con valenze diverse dalle impostazioni della riforma protestante e della riforma cattolica. L’accentuarsi e il diffondersi della rivoluzione industriale avevano prodotto i fenomeni dell’urbanesimo, della concentrazione operaia, dell’orario prolungato del lavoro maschile e femminile, dell’impiego della manodopera infantile. I fenomeni dell’abbandono, dell’istituzionalizzazione, della mortalità infantile si erano fatti più eclatanti, accanto alla trasformazione dell’assetto familiare, specie del ceto contadino e operaio. Il diffuso analfabetismo creava notevoli problemi che venivano collegati al degrado sociale, e al ritardo nell’acquisizione di competenze e di conoscenze da impiegare nei processi produttivi sia artigianali sia industriali. Si aggiunga che il problema dell’educazione e dell’istruzione popolare da questione religiosa e sociale diventa politica, perché le forze interessate alla gestione del potere individuano nei ceti popolari le condizioni per conservare o introdurre concezioni del mondo e della vita, per controllare o proporre nuovi valori. Sotto questo aspetto istituzioni private e pubbliche cercano di mettere a punto iniziative per affrontare la situazione; si va dalla scuola di catechismo a quelle serali e festive, dai corsi per formare artigiani o tecnici, a scuola a carattere professionale, mentre sul versante dell’educazione infantile assumeranno molta importanza le scuole di mutuo insegnamento, e le scuole e gli asili infantili. Le prime nacquero per merito di Andrew Bell, (1753 – 1832), Joseph Lancaster, (1778 –

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1838), partendo dal presupposto che essendo alto il numero degli allievi e scarso quello degli insegnanti, era possibile organizzare un tipo di insegnamento e di apprendimento che utilizzasse gli allievi più preparati, (monitori, tutori). Suddividendo la scolaresca in gruppi e impostando in modo razionale i tempi e le attività. Un sistema molto rigido perché si trattava di controllare presenze, movimenti, apprendimenti, utilizzando mezzi molto economici, (cassette piene di sabbia per scrivere) e un insieme di comandi, di recitazione che rendeva l’apprendimento monotono, specie della lettura e della scrittura. Quasi nulla era l’iniziativa personale e quindi il controllo e la disciplina risultavano prevalenti. In grossi stanzoni le lettere dell’alfabeto, le sillabe, le parole, venivano pronunciate in modo corale, ma il controllo era anche individuale. Ugualmente per le quattro operazioni, per lo studio elementare della storia e geografia. Di fatto lo spirito che informava gli organizzatori dei corsi, sia nell’esperienza britannica, sia francese, sia italiana, era tale da renderle invise ai conservatori, per i seguenti motivi:

1) Introduzione di idee liberali e, in ogni caso, di uno spirito innovatore. 2) Fiducia nell’educazione e nell’istruzione popolare. 3) Promozione dell’emancipazione delle classi povere e meno abbienti. 4) Funzione pubblica della scuola, anche quando l’iniziativa veniva dai privati. 5) Ruolo del principio della collaborazione, del mutuo insegnamento. 6) Messa a punto di nuovi metodi in grado di ridurre le piaghe dell’ignoranza e

dell’analfabetismo. Bisogna rilevare, infine, che accanto a tutto questo c’era un’intensa attività editoriale che proponeva sillabari, di tutte le materie ad uso e costume degli allievi e dei maestri. Le scuole infantili, (asili), ebbero origine in Scozia, (New Lanark), per iniziativa di Robert Owen, (1771 – 1858), proprietario di filande, filantropo, socialista utopista, tenace sostenitore del ruolo dell’educazione e dell’istruzione nel processo di emancipazione dell’umanità. Rivelativo è il sottotitolo della sua opera: Una nuova visione della società: saggi sulla formazione del carattere umano preparatori allo sviluppo di un piano per migliorare gradualmente la condizione dell’umanità. Condizioni più umane di esistenza: alimentazione adeguata felicità sono i punti di maggiore riferimento, il tutto legato alla produttività, all’educazione e all’istruzione. Egli criticava le posizioni di Th. R. Malthus, ( 1766 – 1834), un progetto di riforme il suo che va da una diversa e più nuova organizzazione della fabbrica alla riduzione dell’orario di lavoro, a una più giusta retribuzione, al non impiego dei ragazzi inferiori ai 10 anni, alla costruzione di quartieri e di case modello per le famiglie dei lavoratori, all’organizzazione di scuole infantili ed elementari e di biblioteche. I bambini erano allevati ed istruiti senza punizione alcuna. Gli infanti e i bambini più piccoli, oltre ad essere istruiti per mezzo di cose che potevano percepire e di conversazioni familiari, dai 2 anni in su erano quotidianamente esercitati nel canto e nella danza e i genitori erano incoraggiati a venire a vedere i loro figlioli durante qualsiasi lezione o esercitazione fisica. Dall’Inghilterra le scuole infantili si diffusero in Europa. In Italia Ferrante Aporti, (1791 – 1858), nel 1828 creava a San Martino dell’Argine, (Mantova), il primo asilo infantile, (per bambini appartenenti a famiglie agiate, la scuola è affidata dallo stesso Aporti ad un giovane sacerdote, Alessandro Gallina), per le caratteristiche sociali dell’Italia, gli asili si svilupparono parte in campagna, parte in città, su iniziativa di privati a orientamento liberale cattolico, registrando anche da noi l’opposizione dei conservatori e anche della stessa chiesa. Le caratteristiche dell’asilo di Aporti sono tutte particolari: hanno come intento la formazione morale, civile, religiosa, fisica, intellettuale senza trascurare l’istruzione, compreso l’insegnamento del leggere, dello scrivere e del far di conto per i più grandicelli; viene curato l’aspetto medico e sanitario e particolare cura viene prestata all’alimentazione. Dal punto di vista didattico prevale l’insegnamento scolastico con la divisione per sesso e per età. Venne dato poco spazio alla libertà del bambino, alla sua immaginazione, ai giochi. L’aspetto assistenziale prevale su quello pedagogico, anche perché, i

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mezzi a disposizione erano pochi, la preparazione delle educatrici era quanto mai elementare, la conoscenza della psicologia dei bambini era ancora all’inizio. L’ascolto, l’apprendimento a memoria, la recitazione,l’apprendimento delle nomenclature relative al corpo umano, ai vestiti, i saggi prevalevano rispetto alle iniziative attive, spontanee. Lo stesso insegnamento religioso aveva ancora una modulazione catechistica. Nei suoi scritti egli denuncia con vigore gli errori e le incongruenze che caratterizzano l’educazione infantile ai suoi tempi. Egli sottolinea in primo luogo la necessità dell’educazione fisica, “poiché gli uomini deboli sono inutili allo stato e di peso a sé stessi, oltre che le loro facoltà intellettuali e morali riescono fiacche”. All’educazione fisica Aporti abbina l’educazione intellettuale, la quale forma il giudizio dei bambini. Da sottolineare l’importanza attribuita da Aporti al metodo dimostrativo, consistente nel riferimento agli oggetti e alle loro immagini. L’educazione è quell’arte che insegna a sviluppare la facoltà del fanciullo, poiché le facoltà dell’uomo sono di triplice ordine: fisiche, morali, intellettuali. Così di tre specie è anche l’educazione. L’istruzione è l’arte che insegna a comunicare alla mente dei fanciulli cognizioni ed abilità. Anche l’istruzione può dividersi in fisica, morale, intellettuale. La distinzione tra educazione e istruzione denunciava un’impostazione abbastanza diffusa nell’area liberale cattolica italiana, a cominciare da Raffaello Lambruschini e da Gino Capponi, anche se in questi ultimi le argomentazioni educative, pedagogiche, religiose erano molto più approfondite sul piano storico e teologico. Gran parte del dibattito sull’educazione infantile in Italia, sarà centrato sulle modalità dell’educazione religiosa cattolica. Mentre in Gran Bretagna, in Francia e in Italia il movimento di educazione infantile cerca di conciliare esigenze sociali, umanitarie, religiose senza attingere a una concezione pedagogica, filosofica forte; in Germania assume caratteristiche decisamente filosofiche per merito soprattutto di Froebel, (1782 – 1852), che nel 1840 creò i primi Giardini d’infanzia, (in tedesco Kinder Garten), con impostazioni nuove. Riguardo all’educazione infantile occorrerà fare attenzione alle divisioni relative alle diverse istituzioni; scuole infantili, Owen; asili infantili, Aporti; scuola materna, Agazzi; case dei bambini, Montessori. L’educazione non deve sostituirsi alla natura, ma porsi solamente come intermedia tra questa e il fanciullo, tra il fanciullo e l’umanità, tra il fanciullo e Dio. Nel sistema educativo di froebel il fanciullo è accostato alla natura: viene paragonato a una pianta e la sua educatrice a un giardiniere che cura le piante. Come le piante anche i bambini hanno bisogno di aria pura, molta luce, ambienti puliti, seguiti con attenzione, in modo che possano crescere sani, equilibrati, coscienti dei propri compiti. Froebel specificava che l’educazione deve portare all’armonia con la natura e all’unione con Dio. Egli afferma che lo sviluppo psichico e la crescita educativa della persona è caratterizzato dalla continuità tra i diversi periodi dello sviluppo. Infanzia, fanciullezza, adolescenza, giovinezza, virilità, vecchiaia, ognuno dei quali dipende dal pieno svolgimento di quello che precede. Tale crescita educativa matura all’interno della famiglia, dei giardini d’infanzia, del gioco, della scuola, del linguaggio, delle esperienze, dell’insegnamento religioso, dell’attività artistica, delle scienze naturali e matematiche. L’espressione più importante dello sviluppo del fanciullo è data dal gioco, che Froebel definisce in questi termini: il più alto grado dello sviluppo infantile, dello sviluppo umano poiché esso è libera manifestazione del mondo interiore. Il gioco è il prodotto più puro e più spirituale. Esso procura gioia, libertà, soddisfazione. Dona tranquillità in sé e fuori di sé e pace col mondo. In esso si trovano e da esso scaturiscono le sorgenti di ogni bene. Il gioco può essere inteso come mezzo per sviluppare qualità morali quali la solidarietà,l’indulgenza, il rispetto dei più deboli. L’altro mezzo per esteriorizzare il proprio io è il linguaggio. al fare e all’agire del bambino i genitori devono accoppiare la parola e il disegno come principali forme espressive; per mezzo del disegno il bambino scopre il concetto di numero, in quanto si rende conto di riprodurre una certa quantità di oggetti. Collegato al disegno abbiamo lo sviluppo della capacità di cantare. Vengono poi il canto tramite il quale il bambino esprime la propria serenità e felicità. L’attività ludica deve essere inserita in un contesto nel quale hanno molta importanza l’attività psicomotoria, l’alimentazione, le passeggiate, le fiabe, ecc …

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La parte pratica del metodo froebeliano è rappresentato dai doni e dal giardino. Froebel consiglia di sottoporre ai bambini, quale primo materiale educativo, una serie di giochi che egli chiama doni: essi sono presentati al bambino secondo una teoria ispirata alla teoria dei contrasti e a quella dello sviluppo progressivo e continuo. I doni sono: La palla: simbolo dell’infinito, rappresenta l’unità, la stabilità; numerose palle rappresentano la pluralità. La sfera, il cubo, il cilindro, (legge dei contrasti), la sfera è il movimento, il cubo è il riposo, la divisibilità, il cilindro è la varietà. Altro materiale è costituito da scatole con il cubo suddiviso in cubi e mattoni, dai giochi con le stecche, con i bastoncini, hanno come fine la conoscenza delle forme geometriche e l’apprendimento del calcolo. Particolarmente interessanti sono le attività quali: tessitura, piegatura, intreccio, ritaglio, ginnastica, ecc,… Froebel impiegò tale materiale strutturato ai fini di promuovere lo sviluppo dell’attività sensoriale, percettiva, logica, linguistica, creativa. La cura personale e di gruppo delle piante, del giardino, delle aiuole, voleva saldare i momenti educativi personali, di gruppo, collettivi con quelli del gioco, del lavoro, dell’attività artistica in un sereno rapporto con la natura. Il giardino ha una forma rettangolare, va diviso in due parti: una in comune e l’altra contenente porzioni assegnate a ciascun bambino. le aiuole sono larghe 25 cm e sono separate tra loro da sentieri principali e secondari. Le piante che vengono coltivate sono quelle che più sono vicine al mondo del bambino, cioè piante utili all’uomo in campagna e nei giardini. Ogni pianta deve essere affiancata da un paletto che ne rechi il nome, in modo che si imprima meglio nella mente del bambino. Gino Capponi (1792 – 1876) il motivo fondamentale del pensiero pedagogico di Capponi è quello relativo alla possibilità dell’educazione di trasformare la società. Poiché la nostra educazione deve essere ricondotta a un fine unico, la religione, l’educazione dei giovani deve essere essenzialmente religiosa; tale educazione è anche virile, cioè capace di sottrarre l’uomo a ogni sorta di servilismo, sia morale, sia politico. Di questa virilità ha bisogno, secondo Capponi, la società italiana, per risollevarsi dallo stato di servilismo in cui è caduta. Solo intendendo l’educazione in questo modo, si possono trarre fuori delle inclinazioni buone. Quanto al metodo educativo egli condanna ogni metodismo, che pretenda di modellare il fanciullo invece di lasciarlo sviluppare autonomamente. Egli ritiene opportuno collegare armonicamente tra loro gli studi in modo che i primi elementi servano da base a quelli successivi; trova conveniente basare l’educazione sulle caratteristiche della personalità dell’alunno e segnala la necessità, da parte dei docenti, di verificare i loro piani di lavoro. Condivide, inoltre, il procedere dell’apprendere infantile dal concreto all’astratto. Scrive i Pensieri sull’educazione. era contrario sia all’educazione autoritaria che ai governi assoluto. Puntava su metodi che favorissero la formazione del carattere, avendo come punto di riferimento una religiosità evangelica. Raffaello Lambruschini (1788 – 1873) Condizione generale dell’educazione è la religione, e questa, per essere efficace sull’uomo, deve istruire ed educare. Lambruschini intende restaurare attraverso l’educazione, l’autorità della religione, distrutta dal razionalismo, e rivendicare la libertà dello spirito, contro il sensismo. Secondo Lambruschini esiste solo un mezzo per salvare l’umanità dallo sconvolgimento e dal declino: praticare la religione cristiana con purezza di cuore e spontaneità di sentimento. Educare

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religiosamente non significa soggiogare le coscienze, ma salvaguardare la libertà del credente e la spontaneità della coscienza religiosa. L’individuo è libero nel momento in cui si adegua alla legge divina universale ed eterna,. Occorre quindi far seguire al fanciullo la legge che è propria della sua natura umana, al fine di farlo vivere in armonia con sé stesso. Chi fa conoscere all’uomo questa legge? In primo luogo, risponde Lambruschini, la voce interiore costituita dalla coscienza, in secondo luogo la voce esteriore costituita dalla natura. L’uomo da solo non può distinguere con chiarezza la propria legge interiore e quindi Dio gli ha dato una terza parola più distinta: la rivelazione. Ora l’applicazione della legge morale alla società richiede la presenza dell’autorità della chiesa; occorre però, qualcuno che prepari il fanciullo a ricevere questo aiuto da parte della chiesa: per Lambruschini, questo soggetto educativo è la famiglia. Per Lambruschini l’educazione è un’attività che promuove il libero e autonomo formarsi del fanciullo, l’educazione è quindi un’opera di cooperazione tra docente e discente. Secondo lambruschini l’educazione indiretta è più difficile di quella diretta in quanto richiede maggiore vigilanza. L’educazione indiretta consiste nel rimuovere gli ostacoli e nel predisporre le condizioni favorevoli. L’educazione diretta, consiste principalmente nell’esercizio dell’autorità da parte dell’insegnante. Perché possa avere efficacia l’autorità deve essere esercitata tenendo conto dei caratteri diversi dei fanciulli, dell’educazione precedentemente ricevuta, della diversa età dell’allievo. L’autorità può servirsi di castighi e di premi, devono essere utilizzati quando non se ne può fare a meno. Lambruschini ritiene che per svolgere l’attività educativa occorra innanzitutto formare gli educatori, siano essi insegnanti o gli stessi genitori. Con questo spirito lambruschini fonda la rivista “Guida all’educatore” , un mensile che esce dal 1835 al 1845. gli articoli riguardanti i problemi dell’educazione e dell’istruzione vengono ripresi nell’opera dell’educazione e nei dialoghi dell’istruzione. Secondo Lambruschini l’educazione della famiglia è la sola ad essere conforme alle leggi della natura, in quanto nessuno sa essere educatore più di quanto non lo siano padre e madre. All’educazione in famiglia, si affianca l’educazione in comunità; entrambi i tipi di educazione sono necessari all’armonica e completa formazione dell’uomo. Il suo Istituto di Sancerbone si pone come un’istituzione all’avanguardia in fatto di metodi educativi, è un esempio di quello che dovrebbe essere la scuola rinnovata. Il metodo educativo dell’istituto fa leva sugli interessi del fanciullo e su attività, (giardinaggio, lavori agricoli), che fanno supporto all’istruzione. Si insegna il canto, il disegno geometrico, d’ornato e di figura; viene concesso molto spazio all’educazione fisica, (palestra, scherma, equitazione). Inoltre gli alunni collaborano alla stesura di un giornale interno all’istituto. Marxismo, positivismo, spiritualismo Karl Marx (nasce a Treviri nel 1818 e muore nel 1883) Nasce da famiglia ebrea. Per mezzo del padre, avvocato, riceve un’educazione di stampo razionalistico e ribelle. Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, poi passò a quella di filosofia. Abbandonati i progetti di carriera universitaria si dedica al giornalismo politico (caporedattore della

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Gazzetta Renana). Pubblica nel 1848 in collaborazione con Engels IL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA. Egli ha una visione globale della società e della storia; importante è il suo legame con Prassi, aveva la tendenza a fornire un’interpretazione dell’uomo e del suo mondo che sia anche impegno di trasformazione rivoluzionaria. Marx ha perseguito per tutta la vita l’ideale dell’unione tra teoria e prassi (azione pratica e concreta). Ciò che contraddistingue Marx è l’ideale di tradurre in atto quell’incontro tra realtà e razionalità che Engels aveva solo pensato e che Marx si propone di attuare con la prassi mediante l’edificazione di una nuova società. Marx critica la civiltà moderna e lo stato libero poiché egli afferma che mentre nella POLIS GRECA l’individuo si trova in una unità sostanziale con la comunità di cui faceva parte (quindi la polis = città stato è espressione dell’individuo singolo); lo Stato non fa che riflettere gli interessi particolari delle classi più forti (all’interno della società moderna vi è la separazione del singolo dal tessuto comunitario). Il tipo ideale di società che Marx ha in mente è una DEMOCRAZIA TOTALE O SOSTANZIALE, ovvero il comunismo. Egli ritiene che l’unico modo per realizzare tale modello di comunità è l’eliminazione delle disuguaglianze e del principio stesso di ogni disuguaglianza: La Proprietà Privata. L’arma cui egli fa appello è la RIVOLUZIONE SOCIALE guidata dal PROLETARIO. Attraverso il comunismo l’uomo può eliminare il regime della proprietà privata e dopo anche il meccanismo dell’ALIENAZIONE. Marx, intende per alienazione la situazione storica dell’operaio nella società capitalistica in cui il salariato si trova separato dal prodotto ottenuto con la sua attività. Produce, infatti, un oggetto (il capitale) che non gli appartiene; ed è alienato rispetto alla sua attività che assume la forma di LAVORO FORZATO E COSTRUTTIVO. Marx ha una concezione materialistica della storia. Il testo nel quale si concretizza tale processo è l’Ideologia tedesca scritta da Marx ed Engels; l’originalità di quest’opera risiede nel tentativo di cogliere il movimento reale della storia al di la delle rappresentazioni ideologiche (IDEOLOGIA oppure come una falsa rappresentazione della realtà per Marx). Secondo Marx l’umanità è una specie evoluta composta di individui associati che lottano per la sopravvivenza. Di conseguenza la storia non è un evento spirituale ma un processo materiale fondato sulla dialettica bisogno – soddisfacimento dove gli uomini si distinguono dagli animali per la società, per la religione ecc, ecc…, ma soprattutto per si distinguono quando cominciano a produrre il loro mezzi di sussistenza. Alla base della storia vi è dunque il lavoro. Nella storia si possono distinguer e due elementi di fondo: FORZE PRODUTTIVE E I RAPPORTI DI PRODUZIONE (che costruiscono la legge della storia). Le forze produttive sono i mezzi necessari al processo di produzione: gli uomini (forza/lavoro) e i mezzi (terra, macchine). Per rapporti di produzione s’intendono quei rapporti che si instaurano tra gli uomini nel corso della produzione e che regolano il processo e l’impegno dei mezzi di lavoro e anche la produzione di ciò che tramite essi si produce. L’insieme dei rapporti di produzione costituisce la struttura della società (ovvero la base economica). La sovrastruttura è l’insieme della situazione giuridico – politiche e delle teorie morali, religiose, filosofiche di una struttura economica. Secondo Marx la caratteristica del modo capitalistico di produzione, rispetto alla società precedenti, è di essere produzione generalizzata di merci. La produzione del capitalismo non è finalizzata al consumo, bensì all’accumulazione di denaro. Il ciclo economico del capitalismo è quello descrivibile nella forma D.M.D. (denaro, merce più denaro). Infatti, nella società borghese, abbiamo un soggetto, il Capitalista che investe nel denaro in merce per ottenere alla fine più denaro. Questo è un PLUS VALORE che deriva dal PLUS LAVORO dell’operaio e si identifica con l’insieme del valore da lui offerto al capitalista. Con questa teoria Marx ha voluto fornire una spiegazione dello sfruttamento capitalistico che si identifica con la possibilità da parte dell’imprenditore di utilizzare la forza – lavoro altrui a proprio vantaggio e a basso costo.

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Marx vuole una RIVOLUZIONE, ossia un processo con il quale il proletariato, che avvia alla trasformazione globale della vecchia società attuando il passaggio dal capitalismo al comunismo, che prevede un’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, la scomparsa delle classi e la realizzazione di una società di liberi produttori, nella quale no vi siano né sfruttatori né sfruttati. La dittatura del proletariato si configura come la misura politica fondamentale del processo rivoluzionario. Con il marxismo e il materialismo storico, si entra nel vivo delle problematiche pedagogiche ed educative moderne e contemporanee. Emerge in prima istanza la tesi che l’uomo non è un’entità metafisica ontologica, ma il risultato di un processo di una produzione naturale, sociale, economica, politica, istituzionale, culturale, storica. Il tipo e le modalità di riscontro spingevano Karl Marx, (1818 – 1883), Friedrich Engels, (1820 – 1895), e il movimento comunista ad approfondire la genesi, il ruolo, la presenza del capitalismo, l’organizzazione e gli esiti del processo industriale, la stratificazione sociale, le modalità di vita, la connotazione delle ideologie, il tutto secondo un metodo scientifico. Si trattava di superare la divisione tra scienza e filosofia, proponendo un’interpretazione della realtà storica, dialettica, critica, facendo emergere il ruolo della prassi, secondo la tesi che occorre conoscere la realtà per trasformarla. Marx sostiene che cambiando le condizioni di vita, di lavoro, di collocazione sociale, cambiano anche le concezioni. Le pagine di Marx e di Engels sull’educazione contengono da un lato, critiche forti nei confronti della scuola borghese, dall’altro proposte alternative. Il sistema capitalistico distrugge la famiglia e degrada moralmente la classe operaia. Si legge nel “Manifesto” del partito comunista, (1848). Analisi ribadita da Engels in “La situazione della classe operaia in Inghilterra”, con la denuncia della situazione di abbandono morale, fisico, intellettuale in cui era tenuta la classe operaia. Rilievo che era da associare alla critica dello smembramento dell’uomo tramite la divisione esasperata del lavoro, l’organizzazione e la parcellizzazione del lavoro che rendevano inutile l’istruzione e incentivavano l’impiego della mano d’opera infantile. Engels e Marx affermavano che l’infanzia non doveva essere sfruttata, ma nemmeno abbandonata a sé stessa e non era sufficiente l’educazione familiare. Proponevano un’educazione pubblica e gratuita che conciliasse l’istruzione con la produzione materiale, specie a partire dai 9 anni. Alla suddivisione dei fanciulli e degli adolescenti in 3 classi: 9/12; 13/15; 16/17, prevedeva l’occupazione lavorativa secondo un orario adeguato alle diverse età, un’istruzione quindi Politecnica. Per istruzione noi intendiamo 3 cose:

- Formazione spirituale. - Educazione fisica, (impartita nelle scuole di ginnastica e attraverso gli esercizi militari. - Istruzione politecnica che trasmetta i fondamenti scientifici generali di tutti i processi di

produzione e nello stesso tempo introduca il fanciullo e l’adolescente nell’uso pratico e nelle capacità di maneggiare gli strumenti elementari di tutti i mestieri.

Marx puntava su una società industriale socialista. Di contro alla tendenza a sviluppare in ogni operaio una sola delle attitudini a spese di tutte le altre e, quindi, a preferire un soggetto unilaterale, contrapponeva l’esigenza di formare l’uomo onnilaterale. L’organizzazione, le modalità, la qualificazione, la durata del lavoro, possono favorire la maturazione. L’educazione, l’istruzione, oppure determinare distorsione, alienazione; significativo a questo proposito è il passo del “capitale”, dedicato al tempo per un’educazione veramente umana. La causa del meccanismo globale dell’alienazione, la quale fa sì che l’operaio sia ridotto a strumento per produrre una ricchezza che non gli appartiene risiede nella proprietà privata dei mezzi di produzione in virtù della quale il possessore della fabbrica, (capitalista), utilizza il lavoro dei salariati per accrescere la propria ricchezza che Marx descrive in termini di sfruttamento.

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Il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività in quanto egli in virtù della sua forza lavoro produce un oggetto che non gli appartiene. Il lavoratore è alienato rispetto alla sua attività la quale prende la forma di un lavoro forzato o costrittivo in cui egli è lo strumento di fini estranei, (profitto del capitalista). Il capitalismo invece, secondo Marx, scavalca non solo i limiti massimi morali della giornata lavorativa, ma anche quelli puramente fisici, (crescita, alimentazione, tempo libero). Con il marxismo l’elemento più rilevante è costituito da una sua radicale politicizzazione nel senso che ora è l’identità di classe che contrassegna la stessa pedagogia. All’identità di classe si accompagna lo stretto rapporto tra istruzione, educazione, pedagogia, scuola, economia., i processi produttivi, il ruolo dei lavoratori, la loro emancipazione, i fini sociali della produzione, il non sfruttamento, la non alienazione, sono destinati a modificare l’assetto della società, della famiglia, dell’educazione tra pensiero e prassi. Si stabilisce un rapporto dialettico molto stretto, anche sul piano della produzione educativa. Sotto questo aspetto cambia il modo di concepire la scienza dell’educazione: il contesto sociale, economico, produttivo, politico, culturale e relative trasformazioni è primario rispetto all’identità dello stesso pensiero pedagogico ed educativo. Notevole è stato l’impegno della pedagogia marxista e socialista rispetto all’educazione popolare, all’istruzione tecnica e professionale, alla formazione onnilaterale delle classi popolari. Charles Robert Darwin e Auguste Compte Il motivo centrale che ha caratterizzato il positivismo pedagogico sta nell’avere proposto come metodo d’indagine quello scientifico. Una concezione del sapere che intendeva trasferire il modello scientifico proprio delle scienze matematiche, fisiche, naturali a quelle psicologiche, sociali, filosofiche e poter fruire di un criterio che offrisse il massimo della conoscenza e della certezza. Emergono e si affermano discipline come la medicina, la biologia, la psicologia, la sociologia, con una serie di collegamenti con la religione, il diritto, l’economia e la politica. Il soggetto e la società diventano punti centrali della ricerca, secondo lo schema che anche essi sono legati a leggi, a processi, che una volta individuati possono permettere interventi appropriati. Lo sforzo maggiore si compie riproponendo il principio dell’evoluzione, inteso non più soltanto come mutamento, ma come sviluppo di cui si cercava di cogliere le leggi fondamentali, ma soprattutto le cause, le forze, le caratteristiche e i risultati. Nasceva un’idea di progresso non lineare, ma come risultante delle convergenze e del contrasto tra forze. Oggetto di studio diventano l’organismo umano, l’organismo sociale, l’ambiente, i fenomeni di adattamento, di selezione, di ereditarietà. Importanti sono gli studi di Jean Baptiste de Monet Lamarck, (1744 – 1829), sull’ereditarietà dei caratteri acquisiti, (Filosofia zoologica, 1809,; Sistema analitico delle conoscenze positive dell’uomo, 1820) e in particolare quelle di Charles Robert Darwin sulla lotta per la vita, sul confronto tra individui e ambiente, sui fenomeni dell’adattamento, sui processi della selezione naturale, sull’origine della specie, sull’ereditarietà e sulla discendenza dell’uomo; opere, idee, ipotesi che mettevano in discussione antiche credenze. Nel Sommario generale e conclusioni dell’origine dell’uomo, 1871, troviamo affermazioni che meritano di essere riportate. Secondo Darwin l’uomo potrebbe, mediante la selezione, fare qualcosa non solo per la costituzione somatica dei suoi figli, ma anche per le loro qualità intellettuali e morali. Poveri, ammalati, deboli di mente e di corpo, dovevano astenersi dal matrimonio e il parlamento interveniva con leggi adeguate in modo da permettere ai più idonei di allevare un numero più grande di figli. Per molti aspetti l’orientamento di Auguste Compte, (1798 – 1857), si pone al centro del positivismo francese ed europeo, soprattutto per l’approfondimento di tematiche, che relative all’enciclopedia dei saperi, delle conoscenze, delle discipline per la particolare interpretazione evolutiva, per la costruzione di un sistema filosofico nel quale il progresso sociale si salda con una nuova religione dell’umanità.

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La maggiore preoccupazione di Compte stava nella constatazione del disordine sociale, economico, politico, educativo esistente per effetto di un mancato controllo sociale e la difficoltà di affermazione dello spirito scientifico. Riprende e approfondisce le tematiche relative alla statica e alla dinamica sociale, lo interessano da vicino le vicende dei costumi, delle credenze, e i momenti di evoluzione dell’umanità. Parlava di tre stadi: tecnologico, metafisico, positivo; ritenendo quest’ultimo più perfetto proprio per lo spirito attribuito da un lato ai fatti, ai dati, e dall’altro alle modalità di organizzazione scientifica. La sociologia concepita come studio dell’evoluzione della società, delle relative leggi, è in grado di offrire una conoscenza documentata attendibile. Anche in Compte è presente il Parallelismo tra l’evoluzione dell’umanità e l’evoluzione dell’uomo, filogenesi e ontogenesi; anche l’uomo passa attraverso diversi stadi, però proprio per la complessità e la compresenza nella società contemporanea di atteggiamenti contradditori, (industria, scienza, tecnica), è necessario un tipo di educazione che è nello stesso tempo, formazione e iniziazione. La difficoltà centrale di Compte sta nel cambiare le modalità di sviluppo razionale scientifico, tecnologico con la creazione di un assetto sociale e umano nel quale vengono ad assumere un ruolo importante i sentimenti, i valori, i comportamenti. L’iniziazione ha per Compte notevole importanza: i periodi indicati riguardano la presentation al 7° anno, con il passaggio dall’educazione materna domestica a quella pubblica, l’initiation con la pubertà e la giovinezza, (14/21 anni), l’admission, studi universitari, (21 anni), con l’apprendimento pratico per prepararsi al servizio dell’umanità, che diventerà completo con la destination, (28 anni), facendo il proprio ingresso nel mondo produttivo. Le discipline indicate per il periodo formativo dell’initiation sono: matematica, astronomia, fisica, chimica, successivamente scienze umane, biologia, sociologia morale, di fatto corrispondenti all’enciclopedia dei saperi da lui teorizzata. Inizia lo studio di carattere enciclopedico, in quanto si è uomini nella misura in cui si conoscono molte cose. John Stuart Mill (1806 – 1873) Interessante è il contributo offerto da Mill nel settore filosofico e pedagogico, ma ciò che lo contraddistingue sono la scelta e l’impegno di verificare idee, teorie, modalità di intervento alla luce dello sviluppo liberale e progressivo delle persone e della società e in particolare dell’uso della ragione, della logica, senza escludere il ruolo del sentimento. Sul piano della conoscenza non era tenero nei confronti degli innatismi, degli intuizionisti, che non tenevano conto dell’importanza dell’ambiente, della società dell’esperienza, dell’incidenza dell’educazione. la logica diventa la scienza della dimostrazione. Critica le impostazioni deduttive, specie sillogistiche e, propone quella induttiva secondo un’impostazione di tipo inferenziale, nel senso che è proprio l’uniformità della natura che permette di cogliere tra fenomeno e fenomeno, tra stato e stato, le costanti, le leggi, con il passaggio dai fatti osservati a quelli non osservati, secondo un’associazione di tipo empirico, organizzata secondo principi logici. A conti fatti la ragione, la logica assumono una notevole importanza in quanto assicurano una conoscenza di tipo oggettivo che rivaluta l’opinione, il ruolo del soggetto, la libertà, la responsabilità. È questo anche il motivo per cui Mill insiste sulla libertà di pensiero, di religione, di espressione, ed è contrario ad ogni forma di dogmatismo, di fideismo, di imposizione. Intesa la sociologia come “teoria empirica del progresso della società” attribuiva molta importanza alla solidarietà, alle riforme, perché riteneva che il progresso non fosse un processo naturale, automatico, ma che dipendesse da una serie di interventi e di riforme. Attribuiva molta importanza all’educazione, all’istruzione familiare, l’opera dello stato doveva essere solo integrativa, specie nei confronti delle famiglie che non assolvevano il proprio dovere con l’istituzione di un fondo.

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Le pagine più belle di Mill sono quelle dedicate all’istruzione e all’educazione femminile, non condivideva la separazione dei sessi e l’attribuzione alla donna di una natura inferiore agli uomini. Sottolineò il ruolo dell’informazione, in particolare dei quotidiani e dei periodici, di fronte alla diffusa chiusura di censo, di ceto, di famiglia, nello stesso tempo teneva la concentrazione a fini speculativi dell’informazione. Sottolineava l’importanza delle nuove idee, ma ne temeva la cristallizzazione conseguente alla conquista del potere da parte di un gruppo. Per Mill la logica, la ragione, i sentimenti, la scienza, l’esperienza, sono importanti per non impostare la vita individuale e personale su semplici basi non controllate, ma ciò è possibile solo in un sistema sociale e politico che offra garanzie di libertà e di critica. La difficoltà maggiore sta nel costruire un insieme di rapporti tra individui e società in grado di lasciare spazio all’evoluzione, al progresso, al cambiamento. Herbert Spencer (1820 – 1903) Tre affermazioni di Spencer mi hanno particolarmente colpito e riguardano la critica alla violenza del potere, la dedizione per la ricerca, il fine dell’educazione. Per Spencer il fine della disciplina è di formare un uomo atto a governare da sé. Spencer porta alle sue estreme conseguenze la teoria dell’evoluzione nel senso di trasferirne l’impostazione in tutti gli aspetti della vita naturale, biologica, psicologica, sociale, politica, educativa e pedagogica. (Principi di biologia 1864; Principi di psicologia, 1870 – 72; principi di sociologia, 1876 – 90; principi di etica, 1879 – 1892; Individuo e stato, 1884; Educazione, 1861) Evoluzione intesa come passaggio dal semplice al complesso, dal disorganico all’organico, dall’omogeneo all’eterogeneo, dall’empirico al razionale e nella sfera educativa come autosvolgimento, autoistruzione: processi biologici, processi psicologici, sono strettamente uniti, come uniti in termini di ricapitolazione sono l’ evoluzione della società e dell’individuo, (Filogenesi e Ontogenesi). La società è concepita secondo il principio di un organismo vivente con le sue trasformazioni, organi, funzioni, registrava il passaggio da una società militare a una industriale e puntava su una società caratterizzata dalla libertà, dall’autonomia dell’individuo, dall’autogoverno: formare un individuo atto a governare da sé. Nell’esame delle Istituzioni professionali prendeva in esame il ruolo degli insegnanti, sottolineandone il forte condizionamento sacerdotale e il lento avvio verso una professionalità autonoma. Un atteggiamento, il suo laico, attento alle problematiche fisiche, intellettuali, morali, in vista della preparazione dell’uomo nuovo per un nuovo tipo di società liberale. Denunciava come nei modelli educativi correnti si prestasse scarsa attenzione ai bisogni del soggetto e della società, al valore d’uso e di scambio dell’istruzione e dalla cultura. Spencer si lamentava per la scarsa attenzione da parte delle famiglie all’allevamento, all’alimentazione, alle cure fisiche e mediche del soggetto. Registrava la scarsa attenzione al ruolo dell’educazione, dell’istruzione rispetto alla vita economica e alla nuova rivoluzione industriale. Le nuove proposte disciplinari e curriculari riguardavano geometria, meccanica, fisica, chimica, scienze, astronomia, geologia, biologia, sociologia, lingue. Particolare attenzione veniva prestata all’autoistruzione. Nell’educazione bisogna incoraggiare al massimo il processo di autosvolgimento. I fanciulli devono essere spinti a fare da sé le proprie ricerche e a trarne le loro proprie conclusioni. Bisogna dir loro il meno possibile e indurli a scoprire il più possibile. Altro aspetto della didattica riguardava l’attenzione a proporre metodiche che favorissero il passaggio dal semplice al complesso, dall’indefinito al definito,dall’empirico al razionale. La formazione morale doveva tendere all’autosufficienza, alla formazione di una mentalità critica, al riconoscimento dell’indipendenza altrui, al rispetto delle opinioni. Spencer ritiene inoltre che i

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bambini non dispongono naturalmente di una bontà morale. Lo scopo della disciplina è di formare un individuo che sappia guidarsi da sé. Sottolineava che l’educazione fisica dei bambini, dei giovani maschi e delle donne era sbagliata, per quanto riguardava i cibi, i vestiti, gli esercizi fisici, l’applicazione mentale nello studio, non lo convinceva la teoria dell’indurimento risalente a Locke. Le nuove metodologie tenevano conto della necessità di un’impostazione progressiva, che facesse riferimento allo sviluppo fisico, psicologico, intellettuale del bambino, con una maggiore graduazione delle difficoltà e dei contenuti. In didattica i metodi devono favorire il passaggio dal semplice al complesso, dall’empirico al razionale. Positivismo italiano La parabola del positivismo italiano occupa la metà dell’800, e nel suo periodo di crisi e di confronto con l’idealismo il primo decennio del nostro secolo, una presenza molto articolata nelle regioni, nelle istituzioni scientifiche, politiche, scolastiche, nelle spinte riformistiche, nel tentativo di modificare costumi, mentalità, nel sanare arretratezze, sacche di miseria di analfabetismo. Il tutto in nome della scienza, del metodo scientifico, contrapposto alla metafisica, allo spiritualismo, al confessionalismo. Un avvio che aveva trovato in Gian Domenico Romagnosi, (1761 – 1835), e in Carlo Cattaneo, (1801 – 1869), uomini, specialmente Cattaneo,, di cultura e di azione, sensibile alle riforme, al pensiero scientifico, alle nuove tecnologie, alla cultura politecnica, (es. la rivista “Il Politecnico”), alle innovazioni educative, pedagogiche, scolastiche. L’impostazione filosofica di Cattaneo recepiva le motivazioni e gli orientamenti migliori dell’illuminismo, però l’integrava avendo presente la situazione italiana, europea, internazionale, con le nuove problematiche umane, sociali, economiche, politiche. Superare il vecchio individualismo proponendo una psicologia delle menti associate che non significa convergenza, uniformità, ma confronto, dato che Cattaneo sviluppa il ruolo dell’antitesi: L’antitesi delle menti associate è:- Quell’atto col quale uno o più individui, nello sforzarsi a negare un’idea, vengono a percepire una nuova idea, vengono a negare un’altra idea. Impostazione che lo portava ad analizzare le modalità di formazione dei sistemi, a individuare i limiti dei sistemi chiusi e a sostenere i sistemi aperti:”Un sistema compiuto e chiuso esclude ogni attività intellettuale”. Fedele ad un’impostazione scientifica e sperimentale di tipo galileiano, escludeva ogni caduta di carattere relativistico, perché il metodo di confronto era costituito da un lato dal metodo scientifico, e dall’altro dalla realtà con le sue leggi. Cattaneo criticava le impostazioni degli empiristi e dei sensisti, escludeva il carattere soggettivo della conoscenza sensibile, perché ogni forma di conoscenza è il risultato di rapporti, di confronti, tra situazioni, esperienze, culture, linguaggi, istituzioni sociali. La prima sensazione che ha il bambino fin dai suoi primi passi è un atto sociale. Gli intenti di Cattaneo sono da riferire ai progetti di riforma dell’Istruzione tecnica professionale”, al progetto di riforma scolastica della Lombardia, (1848), alla riforma degli studi nel Cantone del Ticino, (1852), al principio di salvaguardia dell’autonomia locale, dell’unitarietà della scuola, dell’inserimento di una cultura politecnica, dell’impostazione laica, dell’apertura europea. Significative furono le prese di posizione nei confronti della “Legge Casati”, (1859), e delle proposte di riforma dell’Università. Cattaneo voleva salvaguardare l’autonomia della gestione scolastica da interventi e controlli centralizzati, uniformi, fiscali, e inserire nella scuola la nuova cultura scientifica, e nuovi metodi di ricerca. Gli premeva un’impostazione educativa e scolastica improntata ai principi di libertà e di democrazia, nella prospettiva degli stati uniti d’Europa. Il positivismo pedagogico italiano aveva da confrontarsi con un paese purtroppo arretrato, con una classe politica non certo all’altezza della situazione, con la difficoltà di impostare e di attivare

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riforme, con un’economia che stentava a decollare, e con una diffusa mentalità che considerava l’Italia un paese dal destino contadino, agricolo, e non industriale. Il limite del positivismo italiano sta tutto in un sostanziale moderatismo che si riscontra anche a proposito delle riforme scolastiche. Tutti i positivisti: Pasquale Villari, Aristide Gabelli, Pietro Siciliani, Nicola Fornelli, Roberto Ardigò, Saverio Fausto De Dominicis esaltavano la nuova scienza, davano spazio alla psicologia e alla sociologia, però erano convinti, (con l’eccezione in parte di De Dominicis), della superiorità della cultura classica ai fini della formazione della classe dirigente, l’istruzione tecnica e professionale, rimane subalterna come anche l’istruzione popolare. Di Villari è significativo il passo contenuto nella prolusione del 1865 su: -La filosofia positiva rinuncia a tutte le conoscenze assolute, essa studia solo fatti e leggi sociali e morali. Gabelli si soffermava su due momenti del positivismo: uno critico e uno costruttivo; criticava il formalismo, il verbalismo, lo spiritualismo. Egli tendeva a formare lo strumento testa “senza il quale l’uomo rimane per tutta la vita una barca senza il timone”. Risolveva il problema del metodo fondamentale sull’osservazione e sull’esperienza, che corrispondeva al metodo positivo, intuitivo, oggettivo, (lezione delle cose), di contro ai metodi astratti, parolai. In Gabelli c’è un forte richiamo alla realtà, all’esperienza; la scuola sembra saldarsi finalmente con la vita, la cultura si confronta con la realtà, il quotidiano, viene anche proposta una nuova morale concretamente civile, la stessa religione sembra acquisire una connotazione più impegnata, meno retorica. Premeva al Gabelli, come a tutti i positivisti italiani, formare cittadini seri, onesti, laboriosi, rispettosi delle leggi, galantuomini. Gabelli non voleva cambiare soltanto le aule, i banchi, i libri, ma soprattutto cambiare gli uomini, perché il metodo di insegnare nelle scuole è relativo al modo di pensare del paese. Il meno chiaro dei positivisti fu Roberto Ardigò, (1828 – 1920), le sue avventure nel mondo della biologia, fisiologia, medicina, chimica delle scienze naturali, sono importanti per l’impostazione generale, ma restano esterne rispetto ad alcune sue idee sull’evoluzione intesa come passaggio dall’indistinto al distinto, ma nello steso tempo condizionata dal caso e caratterizzata dal ritmo. Ardigò insistette sulla costruzione di una psicologia e di una pedagogia scientifica, e si soffermò in modo particolare su ruolo delle abitudini nel senso che l’educazione può essere ricondotta sul piano naturale e istituzionale all’acquisizione di comportamenti sedimentati e certi, il che significa il passaggio da una pedagogia metafisica, astratta a una pedagogia concepita come scienza dell’educazione. Ardigò specificava che non tutte le abitudini erano da considerarsi educative, nel versante etico – civile erano da considerarsi positive le attitudini di persone civili, di buon cittadino e di individuo fornito di speciali abilità, utili, decorose, nobilitanti. Risparmio, capitale, lavoro, moralità, si intrecciano con una serie di considerazioni che riguardano le sensazioni, sentimenti, le passioni, l’igiene, il decoro secondo un’impostazione che prevede 4 momenti : attività, esercizi, abitudini, educazione. Dal punto di vista didattico privilegiava l’intuizione, il metodo oggettivo, le lezioni delle cose, il passaggio dal noto all’ignoto insegnando poche cose alla volta. Rivalutava il ruolo del gioco: esso offre al bambino l’occasione di vedere e di toccare gli oggetti, di riconoscere le proprietà, gli elementi e tutti quei rapporti che costituiscono in lui le cognizioni fondamentali del sapere, con esso inoltre egli provvede allo sviluppo muscolare, il quale deve procedere d’accordo col mentale. In riferimento al gioco Ardigò criticava Froebel e i metodi applicati nei giardini d’infanzia. Il problema di Ardigò era quello di coniugare la formazione di rette abitudini con la libertà e l’autonomia individuale e di raccordare lo sviluppo naturale con l’educazione.

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Il grande merito del positivismo è stato quello di avere capito che il problema educativo era un problema soprattutto sociale, che l’assetto della società, le riforme, il miglioramento del tenore di vita, le riforme giuridiche e penitenziarie, l’istruzione, la lotta all’analfabetismo, ai pregiudizi, erano autentiche forme di educazione. Sul versante dei diritti, dell’esercizio della giustizia, delle pene, del carcere, nacquero nuove idee e un modo diverso di affrontare il “delinquente”, l’emarginato. Medicina, psicologia, psichiatria, sociologia, pedagogia, costituivano le nuove fonti del sapere. Sarà proprio dal movimento positivistica e dalla pedagogia scientifica che verranno i maggiori stimoli e strumenti per affrontare il problema degli handicappati e per la messa a punto della pedagogia e della didattica speciale. Spiritualismo cattolico Prima, durante e dopo il Risorgimento, la presenza dei cattolici nell’ambito dell’educazione, della scuola e della pedagogia, è stata puntuale e costante. Pur nella varietà di posizioni, (San Giovanni Bosco e i Salesiani), i cattolici si ritrovarono di fronte a problemi molto importanti, quali quelli dell’educazione popolare, dell’intervento privato e pubblico nei processi di scolarizzazione, dell’educazione laica, dell’insegnamento della religione cattolica, della formazione della classe dirigente. Sul piano filosofico la Chiesa operò una scelta che confluì nell’indicare San Tommaso e il tomismo l’impostazione filosofica meglio rispondente ai principi cattolici, (Enciclica Eterni Patris di Leone XIII, 1879). La chiesa, tramite una serie di interventi dottrinari, specie encicliche, (Divini Illius Magistri, 1925), venne codificando il ruolo sopraeminente anche e soprattutto nel settore educativo della Chiesa rispetto allo stato e alla famiglia, la precisazione che la religione cattolica doveva costituire il fondamento e il coronamento dell’educazione. Rosmini si confrontò con tutti i movimenti filosofici moderni e contemporanei e, in particolare con l’empirismo, l’illuminismo, il sensismo, la filosofia Kantiana, l’ideologismo. Stabilito che è impossibile formulare qualsiasi giudizio senza l’apporto di idee, ma anche senza la presenza di un principio che permetta la saldatura tra idee stesse occorre disporre di un’idea fondamentale: questa era, per Rosmini, l’idea dell’essere. Quando Rosmini affermava che il supremo principio della morale sta nel riconoscimento pratico degli enti, raccordava la possibile azione morale con il riconoscimento della scala di valori intrinseci a ogni cosa fino al riconoscimento che il fondamento della virtù morale è l’essere assoluto, Dio. Rosmini stabiliva un forte rapporto tra intelligenza e persona, mettendo in evidenza i limiti e la grandezza dell’uomo. Sono importanti ed interessanti le tesi relative all’unitarietà e alla gradualità del processo educativo. Significative sono la suddivisione da parte di Rosmini dell’età dello sviluppo della vita infantile dal “primo svegliarsi della vita” alla percezione di sé stesso e quindi alla capacità di intendere il monosillabo e la sua insistenza sul ruolo dell’unità dell’educazione, (unità del fine degli oggetti, del metodo). Nell’intervento “Sulla libertà d’insegnamento” aveva indicato le istituzioni e le persone aventi diritto d’insegnare: Chiesa cattolica, Dotti, Padri di famiglia, Benefattori, Comuni, e Province, Governo. Rosmini sosteneva il diritto sovraeminente della Chiesa all’educazione e criticava le impostazioni tendenti a negare tale diritto e a dare un’educazione non conforme ai principi cristiani e cattolici. Centrale è stato nell’ambito del dibattito sul rinnovamento ecclesiale, religioso e cristiano, Lambruschini, da lui partì quel movimento che portò al confronto tra modernisti e tradizionalisti. Un movimento che tendeva a riscoprire le autentiche radice del cristianesimo, ma nello stesso tempo rimuovere la Chiesa, la religione cristiana secondo lo spirito dei tempi nuovi. Lambruschini e Capponi.

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Il movimento attivistico e John Dewey 1900 Caratteristiche dell’attivismo: individualizzazione dell’insegnamento. Individualizzazione significa tener conto delle caratteristiche dei singoli. Individualizzazione vuol dire che non si insegna tutto a tutti nello stesso momento e nello stesso modo, (va contro la simultaneità che pretendeva questo). Socialità significa stimolare nella scuola l’abitudine a confrontarsi, interagire con gli altri e vivere la dimensione degli altri. La socialità viene coltivata nel lavoro di gruppo L’attivismo è un movimento antiintellettualistico, cioè è un movimento che contesta il primato della formazione, solo intellettuale dell’uomo. Il movimento attivistico si afferma negli anni stessi in cui si afferma in Europa l’istruzione obbligatoria, cioè il concetto che l’alfabetizzazione va garantita a tutti i cittadini. Per attivismo si intende un insieme eterogeneo di esperienze e di teorie che hanno in comune la proposta alternativa rispetto al modo tradizionale di fare scuola. importanti elementi, che caratterizzano tutti gli autori teorici dell’attivismo e delle scuole nuove sono: l’aspirazione a una maggiore libertà degli allievi, (libertà di movimento, di comportamento), e una rivalutazione delle attività manuali, pratiche, operative del bambino. una prima caratteristica è l’agire del bambino; voleva essere un’iniziativa dell’allievo contro un atteggiamento di passività, minore autorità dei maestri e maggiore libertà di condotta sociale e di apprendimento lasciata agli allievi. Di contro ad una scuola tradizionale si poneva al primo posto “La centralità del bambino”, si parte da quello che per il bambino e rilevante. *Trasformazione industriale: le due guerre mondiali, la presenza del fascismo, del nazismo, dello stalinismo, la divisione del mondo in aree sviluppate e sottosviluppate, le difficoltà di intere popolazioni di poter fruire di un minimo vitale. L’emergere della psicologia sperimentale, della psicoanalisi, della sociologia danno origine a nuovi metodi d’indagine, a nuove modalità educative prima impensate.(vedi libro). Proprio il nostro secolo, definito il secolo del fanciullo, ha scoperto le tristissime condizioni di un’infanzia condannata alla morte, alla fame, all’emarginazione. Altri problemi, come quelli dell’alfabetizzazione, degli handicappati, delle donne, degli anziani, sono risultati strettamente legati alla possibilità di emancipazione sociale, economica, culturale, educativa. Grazie alla presa di coscienza della molteplicità dei problemi educativi e dell’affermarsi di nuove discipline, cambia il modo di intendere la pedagogia e sempre più si parla di scienza dell’educazione, mentre si affermano la didattica e le tecnologie educative in corrispondenza di un modo nuovo di intendere l’insegnamento, l’apprendimento. Il confronto tra le impostazioni filosofiche e scientifiche avvenuto nel passaggio tra l’800 e 900, sia coevo alla nascita dei movimenti delle scuole nuove e delle scuole attive. Le scuole nuove nacquero in Gran Bretagna, fondate da Cecil Reddie (1858 – 1932), nel 1889 e da J. Haden Badley, (1865 – 1967) nel 1893. Le diversità rispetto alla scuola tradizionale erano rilevanti negli scopi, nei contenuti, nei metodi, prevalevano la vita all’aperto, i laboratori, il lavoro, gli sport, i giochi, le escursioni, i viaggi. Sono questi i principi, ai quali si ispirò Edmond Demolins quando fondò nel 1899 in Normandia la scuola che prese il nome di Des Roches. Le scuole nuove si diffusero poi in Germania e negli Stati Uniti e trovarono la loro espressione nel 1912, e nel 1919 nei famosi 30 punti. La loro matrice sociale era borghese e corrispondeva alla richiesta di un nuovo tipo di scuola, che mirasse alla formazione di una classe dirigente. Collocate in “campagna” con la disponibilità di ampi spazi, architettonici e fisici, si contraddistinguevano per i rapporti più umani tra insegnanti e allievi, vita in comune, coeducazione, educazione fisica e sportiva, apprendimento delle lingue moderne, della storia, della geografia, delle scienze unitamente alle attività espressive, ai viaggi, all’acquisizione di capacità critiche, in un regime di tolleranza, di libertà, di dialogo, ma anche di impegno morale e civile, tramite il lavoro individuale e di gruppo e il metodo dell’autogoverno. Le

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scuole nuove si trasformarono in veri laboratori di pedagogia, dando origine a un movimento internazionale.(Lingue Internazionale Pour l’education Nouvelle). *Educatori scientifici quali Maria Montessori, Claparede, Decroly, Kilpatrik, Washburne, Parkhurst, sperimentatori impegnati ad apprestare modelli di organizzazione dell’apprendimento basato sull’osservazione e sulla verifica dei risultati e quindi ispirati ad una scientificità. Storicamente si considera J. Dewey, (1859 – 1952), il fondatore della scuola attiva sia per i fondamenti filosofici e pedagogici, sia per le sperimentazioni condotte, specie nella scuola elementare dell’Università di Chicago, (1896), una scuola che accoglieva dapprima ragazzi dai 6 ai 9 anni,e, in seguito, dai 4 ai 14 anni. Si trattava innanzitutto di una comunità e la sua organizzazione prevedeva l’individualizzazione, il lavoro di gruppo, la formazione di gruppi omogenei, il superamento del concetto di classe. Una scuola in cui, oltre all’insegnamento della storia, della geografia, della lingua, delle scienze, della matematica, ampio spazio era riservato all’addestramento manuale, al lavoro, (officina, cucina, tessitura), alle cure domestiche, all’educazione artistica, unitamente alla gestione sociale, comunitaria. Dewey puntava su una concezione comunitaria e democratica dell’educazione e della scuola, dava spazio agli aspetti psicologici e sociologici, cercava di coniugare l’esperienza con l’intelligenza. È significativo che “Il mio credo pedagogico”, (1897), abbia affermato che la scuola è prima di tutto un’”Istituzione sociale che l’educazione deriva dalla partecipazione dell’individuo alla coscienza sociale della specie e che l’educazione è il metodo fondamentale del progresso e dell’azione sociale.” Il mio credo pedagogico, unitamente a scuola e società, (18999, ha costituito il manifesto della scuola attiva; in esso è possibile cogliere il passaggio dal vecchio al nuovo pragmatismo. Dewey pone in luce la necessità di instaurare un rapporto più stretto tra la scuola e la vita della casa, quella quotidiana, invece di avere nella scuola un luogo dove il ragazzo si reca soltanto per imparare certe lezioni. Ciò non significa che il ragazzo debba riprendere a scuola soltanto cose già sperimentate a casa e studiate ma che per quanto è possibile esso debba avere lo stesso atteggiamento e lo stesso punto di vista sia a scuola che a casa e che esso provi nell’andare a scuola e nel farvi cose il medesimo interesse che trova nei giochi e nelle occupazioni della vita della sua casa e del vicinato. Il lavoro manuale è il metodo più facile e naturale che consenta al fanciullo di conservare il medesimo atteggiamento dentro la scuola e fuori. Charles Sanders Peirce (1839 – 1914) William James (1842 – 1910) aveva posto le basi di questo nuovo orientamento: in Peirce era vivo il senso della problematicità, della realtà e dell’esistenza, della fallibilità della conoscenza, del ruolo della messa a punto di un nuovo metodo che, puntasse su una nuova logica nella quale i segni, i simboli venivano ad assumere una funzione importante. Istanze presenti nelle opere Come rendere chiare le nostre idee, (1878), e Caso, amore e logica, (1923), puntava su un collegamento tra fatti, fenomeni, ipotesi, deduzioni e induzioni logiche, (metodo abduttivo). Si comincia ad affermare il ruolo pragmatico, attivo della conoscenza, delle idee, la necessità di una loro verifica pratica e razionale, nell’ambito di una conoscenza scientifica caratterizzata dal dubbio, dall’ipotesi. In James il rapporto tra idee, credenza, azione si fa stretto, in corrispondenza di un’impostazione psicologica, (Principi di psicologia 1890), caratterizzata dal flusso costante della coscienza, del pensiero, della vita soggettiva. Criticava la vecchia psicologia organicistica per proporre una psicologia attenta alla vita mentale, ai sentimenti, ai desideri, alla conoscenza, ai ragionamenti, alle decisioni. Inoltre James accedeva a una concezione pluralistica della realtà, caratterizzata dall’indeterminismo: la scelta, l’impegno, la credenza, la volontà, l’azione, diventano elementi fondamentali. Dio diventa un compagno e un ideale nella lotta contro il male e nella realizzazione del bene, in una situazione educativa nella quale conta l’organizzazione delle abitudini, delle

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condotte, delle tendenze. Con james la filosofia, la psicologia, la pedagogia, tagliavano i patti con un io, una natura, un Dio sostanzialmente già precostituite: l’esperienza, la mente diventano gli elementi costitutivi del flusso della condotta e dell’educazione. In Dewey si saldano la concezione della realtà caratterizzata da situazioni problematiche, ambigue, con l’esigenza di superare la separazione tra conoscenza e azione, teoria e pratica, mente e corpo, individuo e società. Intelligenza creativa e sapere progettuale, sperimentale sono i nuovi punti di riferimento. Dewey era molto attento ai bisogni, agli interessi, ai conflitti, naturali, umani, sociali; tra gli istinti si soffermò su quelli sociali, investigativi, operativi, artistici, che divennero la piattaforma su cui si articolò il suo modello educativo caratterizzato dall’attenzione ai rapporti e alla dinamica dell’interazione. La sua impostazione filosofica è profondamente pedagogica; del resto proprio in Democrazia ed educazione (1916), aveva sottolineato come “l’educazione è il laboratorio nel quale le distinzioni filosofiche diventano concrete e vengono saggiate da filosofia è la teoria dell’educazione nelle sue fasi più generali.”. Nelle Fonti di una scienza dell’educazione, (1929), ampliava il ventaglio dei saperi e delle competenze pedagogiche fino a comprendere, oltre la filosofia, la psicologia, la sociologia, l’antropologia culturale. L’educazione da necessità sociale viene ad articolarsi in termini di trasmissione e di controllo ma anche di crescita e di internazionalità; situazioni ed elementi che presuppongono la presenza di una comunità educante, di una organizzazione democratica della società e della scuola, in una fede comune, (Una fede comune 1934), non tanto rivolta verso la credenza in un Dio trascendente, quanto nell’impegno a realizzare un ideale supremo vincendo la disarmonia, il male, l’errore, il dogmatismo, i pregiudizi razziali. Le idee non sono innate, non derivano in modo lineare dall’esperienza, non si trasmettono perché sono il risultato di tutta una serie di tentativi, di errori, di esperienze, di scelte intelligenti e critiche di progetti. (Logica, teoria dell’indagine, 1938, esperienza ed educazione, 1938). Il tessuto della scuola attiva nasceva da questo contesto: si dava spazio al fare e al pensiero, alla persona e alla società, alla logica e all’arte, alla morale e alla fede comune, alla libertà e alla democrazia, alla natura e alla cultura. La pedagogia deweyana fu contrastata dai cattolici e dai marxisti; per i cattolici la sua pedagogia risultava essere caratterizzata da impostazioni naturalistiche e laiche; per i marxisti le sue tesi erano moderate e l’espressione di un neo illuminismo borghese che non metteva in discussione i rapporti di forza sociali e il modello capitalistico. Alfred Binet (1857 – 1911) Si è sviluppato, specie a partire dalla fine del secolo scorso un orientamento pedagogico e didattico a forte impronta scientifica e sperimentale, con rapporti molto stretti con la psicologia, la sociologia, la psicoanalisi. La conseguenza fu che la pedagogia individuò nella metodologia scientifica e sperimentale la via da seguire per capire e dare risposta ad antichi e nuovi problemi e, gli apporti maggiori vennero dalle scienze psicologiche. E di per sé significativo che il 1878 registrò l’uscita del volume di A. Bain “Education as a science, , il 1879 di P. Siciliani, “La scienza dell’educazione nelle scuole italiane in antitesi alla pedagogia ortodossa” e la fondazione a Lipsia da parte di W. Wundt del primo laboratorio di psicologia sperimentale; è del 1882 la fondazione negli Stati Uniti per merito di Stanley Hall, del laboratorio di psicologia, cui seguirà la nascita della rivista “Pedagogia seminary; sarà in seguito un fiorire in tutte le parti del mondo di laboratori e di riviste di psicologia, di pedagogia, di istituti di ricerca, di associazioni. L’attenzione al ruolo dell’intelligenza nella gestione della società, nei processi produttivi, nella dinamica dell’apprendimento è aumentata sino a diventare centrale nelle ricerche psicologiche ed epistemologiche. Le ricerche condotte da Alfred Binet, (1857 – 1911), e da Theodor Simon, (1873 – 1961), dal 1905 al 1911 sono quanto mai significative perché segnavano una svolta proprio nel modo di concepire l’intelligenza. Binet sottolineava come fosse possibile stabilire rapporti tra età cronologica e sviluppo fisico e psicologico, fino a fissare scale metriche comparative,; non diversamente era possibile costruire scale metriche per la misurazione dell’intelligenza, facendo

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riferimento all’età cronologica e all’età mentale, rapportate a prove oggettive non legate a particolari competenze di carattere culturale. Per Binet gli elementi costitutivi l’intelligenza sono dati dalla capacità di comprensione, invenzione; acquistano importanza però la comprensione, invenzione, la memoria: la capacità di descrivere, stabilire relazioni, orientarsi, progettare, ecc. Si può parlare di una tassonomia di elementi che già in Binet non sono più dei dati ma il risultato di un’azione educativa frutto del metodo attivo, dell’imparare agendo. Il QI esprime quindi il rapporto tra l’età mentale e l’età cronologica, moltiplicato per 100. QI = EM/ECx100. Da sottolineare l’attenzione rivolta da Binet alle stimolazioni culturali ambientali, all’importanza dell’educazione dell’intelligenza, alla necessità di impostare una nuova pedagogia. Le condizioni materiali, morali, intellettuali dell’ambiente, della famiglia, incidono sullo sviluppo e sulla maturazione psicologica dei ragazzi. Occorre puntare su una pedagogia scientifica, moderna, sperimentale, attenta ai programmi, ai metodi di un insegnamento, alle attitudini dei ragazzi all’ambiente, al ruolo degli insegnanti: un insegnante animatore, organizzatore di giochi, conoscitore della psicologia individuale, dei metodi, in grado di vedere, osservare, giudicare. Utili erano i laboratori di pedagogia. Alfred Binet con la collaborazione di Theodore Simon approntò una serie di prove, una “scala”, per valutare l’intelligenza. Il loro fine immediato fu la selezione di alunni da inviare nelle scuole speciali. Di revisione in revisione si è arrivati a quella, (scala), di Terman Merric del 1960. tale scala prevede 6 prove diverse per ogni età. Le prove si riferiscono a vari ambienti di abilità o di conoscenza: memoria, comprensione, capacità verbali, cultura, informazione, ecc. Maria Montessori (1870 – 1952) Nell’ambito dell’educazione infantile in Italia, il passaggio dal modello aportiano e froebeliano a quello scientifico montessoriano è contraddistinto dall’esperienza condotta da Rosa, (1866 - 1951), e Carolina Agazzi, (1870 - 1945), sotto il suggerimento di Pietro Pasquali a Brescia, (1892), e a Mompiano, (1895), (primi esperimenti di scuola materna). Veniva inserito uno spirito nuovo, quello materno, (di qui la dizione di “scuola materna”),legato alla concretezza del vissuto dei bambini e della vita quotidiana dei bimbi. Sono privilegiate le attività ludiche, il lavoro, gli esercizi di vita pratica, (lavare, preparare la tavola, pulire, …). Per le sorelle Agazzi, l’educazione linguistica è centrata nell’azione educativa della scuola materna; esse portano dei “contrassegni” per sviluppare un’analisi della lingua progressiva, inoltre l’uso dei contrassegni favorisce l’indipendenza e la collaborazione, avvia alla comprensione dei simboli. Strettamente legato all’educazione linguistica è quella che per le Agazzi è l’educazione sensoriale. Attraverso l’utilizzo del materiale povero, (cianfrusaglie), che di solito si trovano nelle tasche dei bambini, (chiodi, cocci, figurine, bilie, ecc …), può dare l’avvio a “conversazioni”, “osservazioni”, “riflessioni” senza fare ricorso a materiale artificiale e non sentito da bambini. Si sviluppa così la discriminazione sensoriale e ci si addentra nei segreti della produzione e della lavorazione degli oggetti. L’educazione sensoriale promuove anche quella intellettuale in quanto favorisce la curiosità per i diversi aspetti del mondo circostante. Privilegiati sono i dialoghi, le conversazioni, l’uso delle lingue, il canto, i momenti di vita religiosa che doveva risultare semplice, gioiosa, gradevole. Il bambino delle sorelle Agazzi è un bambino del fare e non solo del giocare; un posto particolare spetta al lavoro di giardinaggio. Un fatto importante è che con le sorelle Agazzi, la pedagogia cattolica e le istituzioni infantili cattoliche che gestivano gran parte degli asili infantili ebbero un punto di riferimento ortodosso sul piano religioso e affidabile su quello metodologico. La scelta di campo, invece, di Maria Montessori, (1870 – 1952), e, in particolare, dell’opera Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nella case dei bambini, (1909), riguarda il confronto sul tema della scienza e del metodo scientifico, dell’orientamento filosofico, della psicologia scientifica e sperimentale, della concezione della natura, del mondo, della vita. M. Montessori è stata ritenuta a lungo un’esponente della pedagogia scientifica, asse di una didattica fondata su basi scientifiche.

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Frequente è il ricorso della Montessori alla metafora della coltivazione della pianta: parlava della scienza, della coltivazione dell’uomo. Una scienza che si trovava a lottare con pregiudizi che avevano impedito di conoscere non solo il bambino, ma anche l’uomo. Nella Formazione dell’uomo, (1949), sosteneva che la pedagogia doveva risorgere alla guida della psicologia, di questa psicologia applicata all’educazione. con la Montessori si parla di psicopedagogia nel senso che anche lei è attenta ai meccanismi di pensiero dei bambini, non ignora il fatto che nell’organizzare l’insegnamento bisogna tenere conto dei meccanismi dell’apprendimento. Per i subnormali mette a punto dei materiali per recuperarne le deficienze, con risultati straordinari. La Montessori, dallo studio dei meccanismi di comprensione empirica dei bambini subnormali, transita la predisposizione di materiale didattico che vale anche per i bambini normali. Montessori, laureata in medicina, sottolineava l’origine medica della psicologia e auspicava un’impostazione degli studi rivolti alla natura del bambino, alle sue capacità, attitudini, al suo modo di apprendere, di autoeducarsi, di assimilare. Un metodo che non vuole restringersi alla sola età infantile ma che intende approfondire tutto l’arco dell’esistenza in nome del progresso. La Montessori tendeva al raffinamento dei sensi, all’allargamento del campo della percezione, allo sviluppo dell’intelligenza, all’acquisizione dell’abitudine, all’ordine, alla chiarezza. Secondo la Montessori è importante sviluppare l’esperienza sensoriale del bambino attraverso dei materiali sensoriali; l’esperienza sensoriale è fondamentale per lo sviluppo intellettuale. La discriminazione percettiva, (cioè cogliere le differenze),è alla base del potenziamento sensoriale. Un altro elemento importante della Montessori è la costruzione di un ambiente assolutamente idoneo e a misura del bambino, in cui i bambini abbiano la possibilità di fare tutte le esperienze che servono loro per uno sviluppo equilibrato. Nelle case dei bambini, (fondate nel 1907), nel quartiere popolare romano di San Lorenzo), materiali, suppellettili devono essere a misura dei bambini. (Programmi, obiettivi, riscontri, risultano molto chiari. La Montessori puntò su un ambiente e su un arredamento che avessero una propria estetica: l’organizzazione della attività corrispondeva all’intento di rendere autonomo il bambino stimolando processi di apprendimento ordinati, sequenziali. Il materiale di sviluppo si inserisce tra il mondo degli oggetti, delle impressioni, delle percezioni per favorire il passaggio dalla mentalità assorbente alla capacità di porre un ordine di stabilire collegamenti. Un materiale che aiuta e guida il bambino a cogliere in modo analitico le qualità primarie e secondarie di tutti i possibili oggetti, isolando le singole sensazioni; colore, forma, dimensione, suono, è un materiale limitato dal punto di vista della quantità, ma che aiuta a sperimentare le variazioni, le distinzioni, le gradazioni, le differenze, i contrasti e, in particolare, a controllare e a eliminare l’errore,, un materiale atto a stimolare l’ordine, la chiarezza, il ragionamento. La maestra controlla che il materiale venga usato secondo i criteri prescritti. Il materiale sensoriale è costituito da un sistema di oggetti che sono raggruppati secondo una determinata qualità fisica dei corpi come colore, forma, dimensione, suono, (per esempio: un gruppo di campane che riproducono i temi musicali: un insieme di tavolette che hanno differenti colori in gradazione); per cui ogni singolo gruppo rappresenta la medesima qualità ma in gradi diversi. L’opera dell’educazione è divisa tra maestra e ambiente. Alla antica maestra insegnante è sostituito un insieme complesso, cioè coesistono alla maestra molti oggetti che cooperano all’educazione del bambino. La differenza profonda che c’è tra questi metodi e le cosiddette lezioni oggettive dei vecchi metodi è che gli oggetti non sono in aiuto per la maestra che deve spiegare, cioè non sono dei mezzi didattici, ma sono un aiuto al bambino il quale li sceglie, li usa, secondo le proprie tendenze e bisogni cioè ci sono dei mezzi di sviluppo. C’era nella Montessori la convinzione che l’educazione passava attraverso i rapporti umani, ma soprattutto l’attività del bambino con e sui materiali atti a stimolare il passaggio dalla nebule alla razionalità, dalla sensazione al pensiero riflessivo. I modelli logici non sono innati, ma vengono acquisiti tramite l’esperienza, specie se questa è condotta su un materiale strutturato secondo forme logiche. L’esercizio porta all’acquisizione di competenze, nei più disparati settori, dalla lettura alla

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scrittura, dall’attività muscolare a quella espressiva, alle conoscenze scientifiche; mettere ordine nelle esperienze, nelle idee, nei comportamenti, nei sentimenti è una solida conquista. Con le case dei bambini l’asilo, la scuola materna, diventano una casa, un centro di vita e di formazione. Il discorso si allargava fino a comprendere un nuovo rapporto di conoscenza e di rispetto per la natura ormai intaccata dalle tecnologie, dall’artificialità, dallo sfruttamento. La Montessori, ampliava i possibili orizzonti dell’educazione e dell’istruzione all’adolescenza, agli studi superiori e universitari, ponendo in evidenza la necessità di dare spazi, possibilità, speranza a una fascia generazionale costretta a studiare in una situazione negativa, artificiosa, priva di stimoli ed ideali, (“Dall’infanzia all’adolescenza, 1939). Un tema quanto mai caro alla Montessori fu sempre quello della pace, dell’educazione alla pace. (Educazione e pace 1949). Ovide Decroly (1871 - 1951) Ovide Decroly occupa una posizione centrale nell’ambito delle ricerche condotte all’interno del movimento della scuola attiva e della scuole nuove, per le tematiche affrontate sul versante della psicopedagogia, della didattica, della cultura. Seguì da vicino il problema degli handicappati, (nel 1901), fondò l’istituto di insegnamento speciale per bambini anormali; compì esperienze come medico scolastico a Bruxelles, nel 1905 creò la societè de pedotecnie, e nel 1907 a Ixelles l’ecolede l’ermitage, aperta prima come scuola elementare poi anche come scuola infantile e scuola secondaria inferiore e superiore. Significativo il mito della scuola: Ecole pour la vie par la vie. Ciò sta a significare il ruolo che ormai assumeva un modo di organizzare l’attività educativa e didattica in relazione alla vita concreta, all’esperienza immediata, alle prospettive di inserimento sociale, il tutto impostato secondo tematiche e modalità scientifiche e sperimentali attente però ai bisogni esistenziali. Per questo egli cercò di individuare in prima istanza i bisogni fondamentali dell’individuo:

- nutrirsi - lottare contro le intemperie - difendersi contro i nemici e i pericoli esterni - di agire, di lavorare, e di ricrearsi - di elevarsi in modo solidale.

Bisogni che determinano raccordi, confronti, con il mondo esterno, la natura, la società, la cultura, e che fanno emergere gli interessi. Decroly spostava l’asse dell’attenzione dall’oggetto e dall’azione al soggetto. Sui bisogni, sugli interessi, imposta il metodo dei centri di interesse, secondo una programmazione nel tempo, nello spazio, nelle sequenze, nelle ricerche. Diventano oggetto di raccolta di materiali e di studio i bisogni dei fanciulli, i loro rapporti con l’ambiente, famiglia, scuola, società, animali, piante. Il fanciullo, prendendo contatto con il mondo passa attraverso le fasi:

- osservazione, (lavoro dei sensi) - associazione nello spazio e nel tempo, (elaborazione idee per associazioni) - espressione concreta, (lavori manuali, modellaggio, giochi, educazione fisica, attività

espressive) - espressione astratta, (linguaggio, lettura, scrittura, canto).

Il tutto secondo un programma che dovrebbe preparare il ragazzo alla vita sociale, attraverso la presa di coscienza del proprio “io”, dei suoi bisogni dei suoi fini, la conoscenza dell’ambiente naturale e umano. Il programma dovrebbe inoltre favorire l’individualizzazione dell’apprendimento e lo sviluppo funzionale dell’intelligenza intesa come pensiero, giudizio, capacità critica e di creazione di simboli,astrazioni. Riguardo all’apprendimento della lettura e della scrittura proponeva il metodo globale, (cioè la presentazione al bambino degli oggetti, delle riproduzioni, delle parole, delle frasi, in contrapposizione al metodo alfabetico e sillabico e ciò in base al principio della

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percezione globale da parte del bambino dei fenomeni, delle cose, delle immagini, delle parole, dei discorsi). La gradualità sarà ciò che è primo per il bambino, quindi graduale significa portare il bambino da ciò che egli è primum alla scoperta progressiva di dati di conoscenza che non sono però i primi; quindi gradualità sarà seguire la capacità del bambino di passare dall’esperienza più naturale che fa all’esperienza più artificiale. È la naturalità con la quale avviene lo sviluppo del bambino che sta alla base di tutto. La gradualità dell’insegnamento deve rispettare le tappe dello sviluppo evolutivo normale del bambino; si insegna prima il concetto e poi un altro, non in base all’importanza logica ma in base alla gradualità psicologica per il bambino. Edouard Claparède (1873 – 1940) Di Edouard Claparède occorre sottolineare il forte impegno per dare e per fare riconoscere un assetto scientifico e sperimentale alla pedagogia. Fondò nel 1901 con Flournoy la rivista Archives de psicologie, e nel 1912 con Pierre Bovet, a Ginevra, l’Institut J.J. Rousseau,destinato a diventare uno dei maggiori centri di ricerca e di sperimentazione nei settori della psicologia, della pedagogia, della formazione degli insegnanti. Autore, tra l’altro, della Psicologia del fanciullo e pedagogia sperimentale, (1905), di La scuola su misura, (1920), e di L’educazione funzionale, (1931). Le sue ricerche erano volte a chiarire la natura dei bisogni, degli interessi e dei principi dell’educazione funzionale. Nel rapporto presentato al congresso di igiene mentale a Parigi nel 1922, aveva chiarito che la concezione funzionale consisteva nel considerare il fanciullo al centro dei programmi e dei metodi scolastici, nel ritenere l’interesse il fondamento dell’educazione: elementi essenziali erano da ritenere la socializzazione, l’individuazione delle attitudini individuali, la preparazione professionale degli insegnanti, la costituzione di laboratori, l’attenzione alla problematiche morali. Proponeva una revisione dei sistemi d’esame, e di valutazione, sostenendo che la psicologia sperimentale era in grado di controllare metodi, rendimento scolastico, valutazione mentale mediante test, anche in vista di selezionare, a fini sociali, fanciulli ben dotati, in grado di formare un’elite intellettuale e morale. Pur partendo dalla constatazione che era possibile educare l’intelligenza, riteneva che di fatto, esistevano profonde differenze individuali di attitudini, di interessi, di capacità di osservazione, immaginazione, ragionamento. Pertanto, a una pedagogia a una dimensione, occorreva sostituire una pedagogia a più dimensioni, che tiene conto delle differenze e imposta un’azione educativa che ponga gli individui sullo stesso piano. Coerente con questa tesi aveva proposto un modello scolastico ispirato al principio della scuola su misura: classi parallele e omogenee, sezioni parallele. Sui temi dell’educazione individualizzata, dell’orientamento scolastico, della valutazione , degli esami, ecc. gli studi e gli interventi sono stati tanti. Claparède credeva di affrontarli dando più elasticità al sistema scolastico, favorendo l’omogeneità, salvaguardando il principio dell’individualizzazione e del rispetto dei criteri di apprendimento, usando strumenti di apprendimento scientifico. Si aggiunga che le sue tesi politiche e le sue impostazioni etiche andavano nella direzione di una concezione democratica rispettosa delle minoranze, delle differenze, ma molto attenta al ruolo delle elites, sembrava che tutto potesse risolversi, formando, educando queste elites. William Kilpatrick, Helen Parkhurst, Carleton W. Washburne. Risulta interessante il confronto tra i 30 punti relativi alle scuole nuove e i principi elaborati della Ligue internazionale pour l’education nouvelle, nel primo congresso internazionale dell’educazione nuova tenutosi a Calais nel 1921. mentre l’accento del primo documento tendeva a rendere pubbliche le caratteristiche delle scuole nuove, nel documento di Calais l’accento veniva posto sul fatto che scopo essenziale di ogni vera educazione è di preparare il fanciullo a volere e a realizzare

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nella sua vita la supremazia dello spirito; di qui puntare sulla collaborazione ai fini di formare un cittadino conscio della propria dignità e dei propri doveri. La ligue ebbe un ruolo molto importante a livello europeo e internazionale e perseguì ideali di libertà, di pace, di emancipazione, di diffusione di nuovi metodi. Una parte molto importante nell’elaborazione dei principi e nella loro diffusione ebbe Adolphe Ferriere, (1879 – 1960), con tutta una serie di scritti, (La scuola attiva 1920), di pubblicazioni. Si può dire che con il primo dopo guerra cambia l’orizzonte della cultura pedagogica e didattica, si approfondiscono le tematiche scolastiche, penetra l’esigenza di una maggiore razionalizzazione delle attività, si diffondono le tesi della programmazione e della pianificazione. Lo sforzo è quello di rinnovare la scuola, di aprirla alla realtà sociale, di tener conto delle trasformazioni economiche, di contemperare il principio della individualizzazione con quello della cooperazione. I principi di spontaneità, di libertà cominciano a fare i conti con la necessità di impostare curricoli, di stabilire obiettivi, di controllare l’iter dell’attività scolastica. In questo senso è utile per capire molte cose il confronto tra l’opera “Educazione per una civiltà in cammino, 1296 di H. Kilpatrik, (1871 – 1965), e i suoi scritti successivi alla crisi del 1929; c’è la presa di coscienza che le grandi tendenze della società americana dovevano fare i conti con il progresso. Le categorie chiave di Kilpatrik erano dunque: progresso, trasformazione, cambiamento, mutamento di prospettive e di finalità. Il metodo proposto è quello dei progetti. * Il metodo dei progetti, cioè un metodo intenzionalmente escogitato di trattare i ragazzi in modo tale da stimolare le loro migliori tendenze, interessi, e quindi di metterli in condizione di badare a sé stessi il più possibile. Parlava di quattro progetti fondamentali: del produttore, del consumatore, dei problemi, dell’apprendimento specifico. Il progetto del produttore: si ha tutte le volte che vi è un’attività dominata da proposito di produrre qualcosa, (produzione economica, creazione culturale). Il progetto del consumatore: di beni materiali, il cui proposito è quello di consumare, di usare per godere. Il progetto dei problemi: il cui proposito è di risolvere un problema, di far luce su qualche difficoltà intellettuale. Il progetto di apprendimento specifico: il cui proposito è quello di acquistare un qualche tipo o grado di abilità o conoscenza. Tutta l’attività è centrata sulla scelta dei progetti, sull’impostazione del metodo di ricerca, di riscontro, di documentazione, è sintomatico che nei suoi scritti abbiano spazio termini come conoscenze, competenze, cultura, lavoro, creatività, ecc… , la possibilità di disporre di spazi, di tempi, di materiali funzionali rispetto alle esigenze personali si coniuga con un intento attento ai risultati. È possibile riscontrare le stesse esigenze in un contesto ancora più sistematico qual è quello messo a punto da Helen Parkhurst, (1887 – 1969), nelle scuole di Dalton, (Massachussetts), 1919. un metodo, (The Dalton laboratory Plan), che tendeva a privilegiare nella scuola materna ed elementare, l’individualizzazione dell’apprendimento, (ritmi di maturazione, libertà di iniziativa), con l’accertamento delle possibilità e l’indicazione degli obiettivi si coinvolgevano i ragazzi con la stesura di un piano di lavoro concordato, semplice, chiaro, lineare, che si trasformava in un vero e proprio contratto di lavoro, con l’indicazione degli obiettivi, dei contenuti delle attività, dei tempi, delle modalità di riscontro. Una metodologia di lavoro, (L’educazione secondo il piano Dalton, 1922), che richiedeva la trasformazione della scuola in una serie di laboratori, e un’articolazione delle attività e delle ricerche con la precisazione dei problemi e degli argomenti, l’espressione orale, l’elasticità dell’orario, la biblioteca. Ovvia era la necessità di provvedere alla formazione degli insegnanti tramite laboratori educativi e pedagogici e incontri con esperti e le famiglie. Carleton W. Washburne, (1889 – 1968), importante posizione nella cultura e nell’organizzazione pedagogica internazionale. Fu presidente dell’associazione americana dell’educazione progressiva e dell’associazione mondiale per l’educazione nuova.

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Le sue opere, (Filosofia vivente dell’educazione, che cos’è l’educazione progressiva, le scuole di Winnetka), si ispirano a ideali di libertà, democrazia, a valori umanitari e universali. Fu fautore di un’organizzazione scolastica ed educativa, basata sull’individualizzazione dell’apprendimento e sul rispetto dei ritmi di maturazione. La ricerca poteva fruire di laboratori, di materiali autocorrettivi che permettevano di controllare nei diversi settori le procedure, i risultati: altre attività riguardavano la falegnameria, l’economia domestica, la pittura, la gestione della scuola, ecc. La sezione pedagogica e la sezione consultiva dell’educazione, permettevano agli insegnanti di aggiornarsi, di migliorare la propria preparazione professionale, di verificare i risultati acquisiti. La presenza dello psicologo, dello psichiatra, del medico, di esperti nei diversi settori, e la collaborazione delle famiglie assicuravano un apporto qualitativamente rilevante. Alcune esperienze tedesche In Germania nasce, all’inizio del ‘900, il movimento studentesco che passò da un atteggiamento di contrapposizione, di rivolta, ad uno più conformistico e nazionalistico, alla vigilia della prima guerra mondiale. Il desiderio di viaggiare, di vivere a contatto con la natura, di riprendere le antiche tradizioni collegandole con i valori di libertà, di emancipazione, di vita comunitaria era presente nella libera associazione giovanile degli uccelli migratori nata a Berlino nel 1896. Trasformata dopo il 1901 nel libero movimento giovanile tedesco e successivamente in movimento nazionalistico. Gustav Wyneken, (1875 – 1964), ne fu il maggiore interprete con la creazione della libera comunità scolastica di Wickersdorf, (1906). I gruppi di compagni e l’assemblea generale dei maestri e degli alunni si ponevano il problema di costruire una comunità basata sui rapporti affettivi, spirituali, comunitari, sulla collaborazione, sulla subordinazione. Cultura giovanile, valori eterni, si coniugavano con l’amore per la poesia, l’arte, la filosofia, il perfezionamento spirituale. Vita sana a contatto con la natura, raccordo tra studio, cultura, ricerca e vita comunitaria, canti, vita sotto la tenda e in accampamenti contrassegnavano le esperienze educative delle case di educazione in campagna promosse da Hermann Lietz, (1868 – 1919), Paul Geheeb promosse un’esperienza nella quale ragazzi e ragazze, ripartiti in famiglie e in case alternavano, sotto la guida degli insegnanti, lo studio, la vita all’aperto, il gioco secondo una scelta che privilegiava l’interesse, la sensibilità, personale. Su una posizione molto diversa si pose Georg Kerschensteiner, (1854 – 1932), attento alle forme problematiche del lavoro inteso come una forma essenziale, una legge del processo di cultura; criticava il lavoro meccanico e insisteva sulla necessità di puntare su attività ed esperienze lavorative che valorizzassero i principi e i contenuti della moralità, della bellezza, della coerenza spirituale, stimolatori della volontà, dell’intelligenza, della valutazione personale e critica. Il Kerschensteiner l’intreccio tra moralità, educazione, lavoro, istruzione popolare e professionale, risulta troppo semplificato e acritico; c’è un’esaltazione della condizione della classe operaia e contadina. La presenza di un filone filosofico – pedagogico facente capo a Otto Willman, (1839 – 1920); Friedrich W. Foerster, (1869 – 1966); Theodor Lett, (1880 – 1962); Edoardo Spranger, (1882 – 1963), attenti ai problemi del senso della vita, della storia, dei valori, della cultura, della moralità, in contrapposizione a una vita materiale. Si celebra una forma di sublimazione spirituale. Esemplare a tutti gli effetti risulta l’esperienza condotta da Ludwig Wittgensten, (1889 – 1951), in scuole elementari di montagna: esemplare per le motivazioni civili, culturali, sociali, per la sensibilità linguistica, scientifica, ecc. Tra tutte le esperienze pedagogiche, scolastiche, didattiche condotte in Germania nel primo dopoguerra, merita un’attenzione particolare il Piccolo piano di Jena, e cioè la scuola creata a fianco dell’università di Jena da Peter Peterson, (1884 – 1952). Peterson volle affrontare i problemi che nascevano da un sistema scolastico autoritario, dal rilevante fenomeno dell’emarginazione, delle bocciature, della scarsa attenzione alla vita comunitaria, al coinvolgimento delle famiglie. Alle divisioni in classi contrapponeva la formazione di gruppi di età diversa, (6 – 9 anni, 9 – 12; 12 – 14; 14 – 16), alla promozione o bocciatura annuale il passaggio di un terzo del gruppo a un altro; alla divisione tra maschi e femmine la coeducazione; alla separazione tra scuola e società la collaborazione delle famiglie.

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Insegnanti, educatori, esperti si trasformavano in coordinatori. Venne data molta importanza all’osservazione, all’esperienza, al gioco, alla conversazione, al lavoro, ecc. Particolarmente accoglienti erano gli ambienti a disposizione; le attività venivano, inoltre, impostate prevalentemente, all’aperto.

Capitolo VIII Istanze sociali, esistenziali, libertarie. Emile Durkheim, Roger Cousinet Molta è stata la strada percorsa da Montesquieu a Durkheim: l’educazione è l’azione esercitata dalle generazioni adulte su quelle che non sono ancora mature per la vita sociale. Ha il fine di sviluppare, nel bambino un certo numero di stati fisici, intellettuali, morali, che reclamano da lui, sia la società politica,nel suo insieme, sia l’ambiente particolare nel quale è destinato. La sociologia diventa la scienza delle istituzioni, della loro genesi e del loro funzionamento, un complesso di fatti che riguardano pratiche, usi, credenze, comportamenti, contraddistinguono l’economia, la politica, il diritto, lo Stato, informano la coscienza collettiva, ma finchè i desideri, le abitudini, le emozioni, le scelte di vita, (compreso il suicidio), il linguaggio. L’educazione costituisce una costante dei processi sociali, non può esistere società senza rapporti; pedagogia vuol dire meditare sui problemi dell’educazione, anche se non tutti i popoli hanno avuto una pedagogia propriamente detta. Si rendeva conto che il passaggio da una pedagogia filosofica a una scientifica richiedeva la messa a punto di un metodo, di uno statuto. Insisteva su una scuola pubblica, laica, su un’educazione che contemplasse le esigenze sociali, con la possibilità di innovazione, di libertà personale, di diversificazione di metodi, perché non ci fossero livellamenti o impostazioni meccaniche. Weber, (1864 – 1920), fu filosofo della sociologia e uno storico, prestò particolare attenzione al pensiero religioso, al lavoro intellettuale, al principio dell’oggettività, del rigore dell’insegnamento. Per lui il docente universitario, e ancor più il maestro e l’insegnante delle scuole medie, non deve inculcare la propria concezione del mondo. Vilfredo Pareto, (1848 – 1923), e Gaetano Mosca, (1858 – 1941), impostarono anche il problema della formazione dell’elites, dei gruppi e della classe dirigente; un problema su cui si confrontarono, In Italia, personalità come Salvemini, Gobetti, Lombardo Radice, Monti, partendo dalla convinzione che una scuola ben organizzata e selettiva, specie a livello medio superiore e universitario, può portare alla formazione di gruppi dirigenti. La riforma interessava: esami di ammissione, di passaggio e conclusivi, selezione, il tutto in base alle potenzialità di ognuno, comprese le classi popolari. Raymond Boudon, sul rapporto tra mobilità sociale e mobilità scolastica, ha studiato fenomeni come le disuguaglianze delle opportunità, domanda d’istruzione, crescita della scolarità, gestione dei sistemi scolastici, indirizzi scolastici, livelli di scolarità genitori – figli. Tutto questo in un contesto sociale che mette in discussione tutto ciò che sino a quel momento è stato considerato valido. Non dobbiamo dimenticare che dall’uscita del Journal of educational sociology, nel 1927, la sociologia dell’educazione ha avuto notevole peso nelle più svariate direzioni, dall’incidenza dell’istruzione sulle variabili sociali e culturali, sui controlli dei modelli dell’istruzione, sul ruolo e sulle collocazione sociale degli insegnanti. Seguendo queste tematiche si potrebbe, senza forzare troppo la ricostruzione storica, suddividere correnti e orientamenti pedagogici e didattici, a seconda dell’attenzione prestata all’educazione comunitaria, Dewey, all’individuazione dell’apprendimento, Claparède, al collettivo, Makarenko, al lavoro di gruppo. L’esponente più qualificato di questo metodo fu Roger Cousinet, (1881 – 1973), insegnante elementare, ispettore scolastico, docente di pedagogia alla Sorbona di Parigi. Mostrò particolare attenzione alla socializzazione infantile, alla fase ludica, all’uso oggettuale dei compagni di gioco, alla divisione dei ruoli, all’accettazione delle regole.

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Si sofferma sui fenomeni dell’affermazione di sé, dell’aggressività manuale e verbale, della rispettosità, della messa al bando della leadership, della organizzazione di bande, mettendo in evidenza l’incidenza dei diversi livelli sociali. Analizzò il comportamento degli adulti e degli insegnanti nei confronti della formazione dei gruppi e della socializzazione. Affermava, con convinzione, che il gioco era l’estremo limite della tolleranza degli insegnanti. Sua era l’idea di organizzare l’attività scolastica secondo un metodo di lavoro libero, per gruppi, una dizione nella quale ogni termine assume un particolare significato. Si soffermava sulla formazione dei gruppi, sull’organizzazione dei materiali, sulla scelta del lavoro artistico, (carta, colori, pennelli, linoleum, argilla, costumi, scenari, maschere, ecc.), manuale, intellettuale, (studio dei fenomeni naturali e fisici, seguendo il criterio dell’osservazione, della classificazione, della schedatura). Per il lavoro storico il materiale è costituito da documenti, schede su costumi, mentalità, vita quotidiana. Per il lavoro geografico carte, stampe, documenti relativi al materiale ferroviario, linee aeree e marittime, trasporti stradali, relazioni politiche e commerciali, scoperte, viaggi, studio particolareggiato dell’ambiente. Molto importante è il suo metodo, il suo modo di intendere la storia, non più soltanto centrata sugli avvenimenti politici e militari, ma sugli aspetti della vita quotidiana. Il controllo dei risultati, la messa a punto delle ricerche e della documentazione, l’elaborazione dei testi, sono una dimostrazione dell’avvenuto apprendimento. L’insegnante diventa un consigliere, un esperto, un organizzatore, capace di dare un colpo di pialla e uno di lima, di contare esattamente gli stami di un fiore, di distinguere un dettaglio in un documento illustrato. Antonio Gramsci, Celestin Freinet, Anton S. Makarenko, Bodgan Suchodolski Per quanto riguarda l’Italia, due sono state le figure di rilievo, per cui si può dire che abbiano avuto esperienze significative ed esemplari: Antonio Labriola, (1843 – 1904), e Antonio Gramsci, (1891 – 1937). In ambedue il marxismo è filtrato e arricchito da una serie di riflessioni e di istanze tali da rendere originali i modelli educativi e pedagogici proposti. Labriola passò attraverso l’esperienza politico – liberale, prese le distanze dal positivismo, approdò ad un socialismo e ad un marxismo, contrassegnato da una forte incidenza storicista, rivolto soprattutto alla genesi dei modelli educativi. “Le idee non cascano dal cielo, … si formano in date circostanze, …”l’analisi si sposta all’esame della situazione sociale, economica,, alla rivoluzione industriale, allo stretto rapporto tra classi, gruppi sociali, modelli educativi e pedagogici. Non metteva in discussione gli aspetti culturali dei processi educativi, criticava però coloro che tendevano a staccarli dal contesto storico e sociale, ritenevano che non garantissero la scientificità della pedagogia; contano le forze e le situazioni che producono le teorizzazioni pedagogiche. Un’impostazione che portava ad un diverso modo di proporre l’insegnamento della storia, di organizzare la scuola popolare, le medie e l’università, di concepire la libertà di insegnamento, il ruolo degli studenti, la questione scolastica meridionale, le proposte culturali. Gramsci aveva accusato Labriola di uno pseudo storicismo, di un meccanicismo più vicino al più volgare evoluzionismo. Di contro ribadiva la validità della filosofia e della prassi. La filosofia della prassi non è lo strumento di governo di gruppi dominanti, è l’espressione di queste classi subalterne che vogliono educare sé stesse all’arte di governo e che hanno interesse a conoscere tutte le verità, anche le sgradevoli e ad evitare gli inganni, (impossibili), delle classi superiori e tanto più di sé stesse. Non ci può essere in lui riconduzione ad un'unica unità di pensiero, tanto è vario e vasto il suo modo di concepire la filosofia e la pedagogia. Centrale è in lui il problema del rapporto tra cultura intellettuale e classe dirigente, ne aveva studiato la dinamica in sede nazionale ed internazionale. Centrale, ugualmente, era la formazione di un nuovo ceto intellettuale, all’interno della classe operaia, assumevano importanza gli intellettuali organici, gli intellettuali collettivi, il nuovo principe, cioè il partito politico. Non vuole una scuola stratificata, ma una scuola elementare, media,

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unica, politecnica, in grado di fornire tutti gli strumenti culturali, intellettuali, linguistici, logici, scientifici. *(per Gramsci il lavoro è formativo, per Marx è produttivo). La scuola unitaria e la scuola classica Gramsci propone una scuola unitaria. La scuola unitaria o di formazione umanistica dovrebbe proporsi di immettere nell’attività sociale i giovani dopo averli portati a un certo grado di maturità e capacità, alla creazione intellettuale e pratica e di autonomia nell’orientamento e nell’iniziativa. Per realizzarla occorre che lo Stato assuma le spese che fino adesso sono fatte dalla famiglia, trasformando tutta la scuola da privata in pubblica, estendendola a tutte le classi, moltiplicando gli insegnanti e gli istituti. Va distinta secondo Gramsci la scuola creativa da scuola attiva, poiché quest’ultima corrisponde a una fase libertaria sorpassata. Le scuole attive sono per Gramsci di tipo snobistico che non hanno niente a che vedere con la volontà di creare un tipo di scuola che educhi le classi subordinate a ruolo dirigente nella società come complesso e non come singoli individui, (lo studio secondo gramsci deve essere fatto collettivamente. Inoltre per Gramsci la scuola attiva insisteva eccessivamente sulla creatività, spontaneità, maturazione psicologica, mentre gramsci critica il principio della spontaneità. La scuola creativa tende ad espandere la personalità individuale, autonoma, con una salda coscienza sociale; è scuola di ricerca, di metodo. È molto criticata da Gramsci la riforma della scuola Gentiliana e ne sono criticati i presupposti. Egli nega che la coscienza del fanciullo sia alcunché di individuale; essa è il riflesso della società cui il fanciullo partecipa, dei rapporti sociali, nella famiglia, nel vicinato, ecc. Anche il maestro è l’espressione di tutto un complesso sociale. Contro i sostenitori di una scuola professionale Gramsci ammonisce che questa perpetua le differenze sociali, perché in essa i giovani vengono preparati per una funzione strumentale anziché direttiva. La scuola umanitaria vuole evitare questo inconveniente. Gramsci lamenta che le università italiane non esercitino una utile funzione culturale, e in essa manchi un lavoro organico di seminario. Critica l’insegnamento della filosofia nella forma attuale, (la storia della filosofia è presentata come un succedersi di follie e di deliri), difende l’insegnamento della logica formale. L’educazione alla nuova cultura La nuova scuola, (scuola unitaria), può sorgere in una società rinnovata da una nuova cultura, per l’iniziativa di un’elite capace e intelligente. Creare una nuova cultura insegna Gramsci non significa solo fare della scoperte originali, significa anche diffondere delle verità già scoperte, socializzarle e farle diventare basi di azioni vitali, elementi di coordinamento di ordine intellettuale e morale. Gli intellettuali italiani, per il loro distacco dal popolo, non hanno saputo elaborare un umanesimo moderno. La nuova cultura deve essere cultura di massa, cultura delle classi popolari che sono le più ricche di potenziale umano. (Il suo scopo era quello di creare un ceto intellettuale all’interno della classe operaia). Vita Antonio Gramsci è nato ad Ales, presso Oristano nel 1891 e muore in una clinica romana a soli 46 anni. Quella di Gramsci era una famiglia borghese. Il lavoro mise fine alla sua infanzia, anche lui dovette contribuire al mantenimento della famiglia e andò a lavorare al catasto di Ghilarza per 10 ore al giorno a una paga di 9 lire mensili, (pari a un chilo di pane giornaliero). Provava odio verso i figli dei ricchi che potevano continuare a studiare sebbene alle elementari fossero stati meno bravi di lui. La famiglia decise che Antonio doveva studiare e lo mandò a frequentare il ginnasio a Santu Lussurgiu. Studente all’Università di Torino nel 1911, nella facoltà di lettere. Tuttavia non terminò gli studi, essendo impegnato nelle fila del movimento socialista. Allo scoppio della guerra visse un periodo di sbandamento. Egli costruiva un’immagine mitica della classe operaia ed interpretava la rivoluzione di febbraio come una rivoluzione proletaria. Animatore

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dei consigli di fabbrica nel 1919 iniziò le pubblicazioni di una rivista da lui fondata, Ordine nuovo. Per lui il mondo capitalistico era in sfacelo, la produzione calava, i rapporti sociali saltavano e la borghesia non riusciva a dare una soluzione alla crisi. Gramsci trova rimedio nel creare un ordine nuovo guidato dai comunisti. Nasceva la democrazia operaia che si sarebbe sostituita allo stato borghese. La democrazia operaia differiva da quella teorizzata da Rousseau. Per Gramsci il partito socialista non poteva rappresentare la democrazia proletaria, proprio perché era fondata su una base contrattualistica ispirata più da Rousseau che dal marxismo. L’obiettivo di Gramsci era la dittatura del proletariato, come Marx. Gramsci fonda a Livorno, nel 1920, il partito comunista, che segna l’inizio di un’epoca. Nel 1921 il fascismo, (Mussolini), costituiva un serio pericolo per la sinistra, ma questa lo sottovalutava perché era assorbita dalle lotte interne. L’internazionale comunista decise di mandare Gramsci a Vienna; lì avrebbe dovuto mantenere i collegamenti tra l’Italia e Mosca, ma anche la nascita di un giornale, nel 1924, cui Gramsci propose il nome “Unità”, non solo politica tra operai e contadini, ma anche territoriali. Ritorna in Italia. L’Unità è l’organo del partito comunista italiano Nell’agosto del 1926 un commissario di polizia, Riccardo Pastore, era in attesa alla stazione di Pisa: la polizia aveva saputo da un informatore che vi sarebbe transitato proveniente da Roma un corriere clandestino del partito comunista. Nel Novembre 1926 venne arrestato dalla polizia fascista. Subito dopo l’arresto venne condotto al carcere di Regina Coeli e condannato a ventenni di carcere, (nel luglio 1919 era già stato arrestato a Torino), prima tappa poi a Napoli, (carcere del Carmine), poi Palermo e infine Ustica. Nel 1927 è al carcere di San Vittore. A luglio Gramsci lasciò Roma. Nel 1937 venne scarcerato e muore una settimana dopo in una clinica romana e soli 46 anni. Interpretazione del x canto dell’inferno che Gramsci aveva abbozzato in una lettera del 1931. l’interpretazione che Gramsci faceva del x canto dell’inferno si inseriva nella più generale polemica che conduceva a Croce, perché era diretta a dimostrare marxisticamente il nesso esistente tra poesia e struttura. Senza la struttura non ci sarebbe la poesia e quindi anche la struttura ha un valore di poesia. Al centro del canto dantesco è il tema della previsione del futuro. Era un argomento politicamente bruciante per i dirigenti comunisti italiani, perché la sconfitta subita si fondava anche su gravi errori di previsione. E la questione della previsione, era un elemento fondamentale nell’analisi del rapporto tra struttura e sovrastruttura, che Gramsci considerava essenziale per comprendere le vicende di quegli anni, e per studiare le modifiche da apportare alla tattica dell’internazionale comunista. Tutto il lavoro di Croce era stato rivolto ad approfondire la sua revisione del marxismo fino a trasformarla in liquidazione: Croce secondo Gramsci riteneva di potervi riuscire facendo battere l’accento esclusivamente su quel momento che in politica si chiama dell’”egemonia”, del consenso, della direzione culturale, per distinguerlo dal momento della forza, della costrizione, dell’intervento legislativo e statale e poliziesco. Gramsci riteneva che la teoria dell’egemonia e proprio nel senso indicato da Croce fosse stata elaborata dai più grandi teorici moderni del marxismo: alludeva senza dubbio a Lenin e Stalin. L’unificazione del mondo con la realizzazione di una civiltà superiore in cui si sarebbero annullate tutte le culture particolari, doveva essere per Gramsci l’obiettivo fondamentale del movimento comunista mondiale, in cui non ci sarebbero state più differenze. In una società economicamente omogenea e al suo massimo livello di sviluppo tutti avrebbero eguali modi di pensare e di comportarsi. Nel 1933 venne trasferito in una clinica. Il comunismo di Gramsci La fiducia di Gramsci nella possibilità di un intervento del governo sovietico non significa che egli approvasse le posizioni politiche e ideologiche di Stalin. Ovviamente Gramsci non poteva dare giudizi espliciti sui metodi di governo di Stalin, per timore di un sequestro delle sue carte che

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avrebbero potuto essere utilizzate in senso anticomunista. Per questo motivo indicò la dittatura di Stalin con la definizione di “centralismo burocratico”. La distinzione tra “centralismo burocratico e democratico” fatta da Gramsci nelle sue note è stata spesso interpretata come distinzione fra fascismo e comunismo. Al centro dell’attenzione di Gramsci non era l’individuo ma la classe: sia nella società capitalista che nella futura società socialista l’individuo era assorbito; erano le classi e non gli individui a dare origine ai più importanti processi economici. Nel 1933 Gramsci mosse a Croce una critica molto dura, accusandolo di non volersi impegnare a fondo perché distingueva tra l’intellettuale e il politico, come se l’intellettuale non fosse anche un politico. Il completo distacco di Gramsci da cRoce era avvenuto anche sul piano teorico come mostrava l’attenzione che dava al termine etico – politico. Gramsci aveva sostenuto che la storia crociana non avrebbe dovuto essere chiamata etico – politica, ma filosofica e speculativa.. la vera teoria etico – politica per Gramsci era quella dell’egemonia. (*Egemonia: capacità di direzione intellettuale e morale, si configura non solo come modalità di esercizio del potere ma anche come il principale obiettivo di una classe in ascesa. In altri termini il gruppo rivoluzionario deve sforzarsi di diventare dirigente e dominante prima di conquistare il potere.) gramsci riconosceva a Croce il merito di aver richiamato l’attenzione sul momento dell’egemonia e del consenso, ma dava il primato in questo campo al più grande teorico moderno della filosofia della praxis, cioè a Lenin che, in opposizione alle diverse tendenze economicistiche aveva rivalutato il fronte di lotta culturale costruendo la dottrina dell’egemonia. Il partito è il solo strumento in grado di esercitare l’egemonia sul piano pratico. Per Gramsci il marxismo avrebbe dovuto realizzare una trasformazione radicale del mondo di portata uguale a quella del cristianesimo. Per realizzare una trasformazione epocale della società era indispensabile una fase di dittatura del proletariato che era poi per Gramsci, (come per Lenin), la dittatura del partito. La mobilità sociale così intesa era molto diversa da quella che esiste nelle società liberali democratiche, perché serviva non all’affermazione individuale, ma a fornire nuovi quadri al gruppo dirigente del partito. (L’individualismo doveva lasciare il posto all’uomo collettivo). In carcere Gramsci analizzò non solo la società sovietica ma anche quella americana, considerava gli Stati Uniti il centro di produzione capitalistico. Nel 1934 Gramsci fu finalmente scarcerato; la sorveglianza diretta ebbe fine. Rimase solo quella esterna. Gramsci muore nel 1937, era stato colpito da un’emorragia cerebrale e aveva perso completamente i movimenti del lato sinistro. Il partito Gramsci dava al partito un’importanza fondamentale nella costruzione della società socialista nell’Unione Sovietica e gli attribuiva anche il compito di realizzare l’estinzione dello Stato. Secondo Gramsci il proletariato doveva esercitare la dittatura. (come Marx). (Vedi filosofie e filosofi nella storia) Quaderni dal carcere. La scuola seria, severa, impegnata, presupponeva il superamento di difficoltà inaudite. Significative sono le sue critiche, gli scioperi studenteschi, a matrice borghese, l’attenzione alle nuove sperimentazioni didattiche che stavano sorgendo in Europa ed in Russia. Per Gramsci la scuola attiva insisteva eccessivamente sulla creatività, sulla spontaneità, sulla maturazione psicologica, senza tenere in adeguata considerazione il carattere sempre più problematico della spontaneità. Altrettanto critico fu nei confronti di Freud, della psicoanalisi, per la matrice borghese, naturalistica. Tuttavia riconosceva che l’influenza freudiana nella letteratura tedesca è incalcolabile. La stessa attenzione prestava al problema sessuale ed alle donne. La questione etico – civile più importante legata alla questione sessuale è quella di una formazione di una nuova personalità femminile. Finché la donna non avrà raggiunto non solo una reale indipendenza di fronte all’uomo,

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ma anche un nuovo modo di concepire sé stessa e la sua parte nei rapporti sessuali, la questione sessuale rimarrà ricca di caratteri morbosi e occorrerà essere cauti in ogni innovazione legislativa. Più immediate, intime, sono le annotazioni nelle Lettere dal carcere, a proposito degli esiti educativi dei figli. Rimproverava a Giulia una concezione troppo metafisica dello sviluppo dell’infanzia, e cioè che nel bambino ci sia in potenza tutto l’uomo, e che occorra eccitarlo a sviluppare ciò che vi è in lui di latente, perché se non lo educassimo, la sua personalità si svilupperebbe accogliendo caoticamente tutti i motivi di vita dall’ambiente generale. Non dobbiamo dimenticare che il modello sovietico ha esercitato un forte richiamo e in molti casi è servito anche da modello però, se si vanno a ricostruire le esperienze condotte in Europa nell’immediato primo dopoguerra e si vanno a leggere le pagine di educatori e pedagogisti come Freinet e Makarenko, si noterà che il problema era costituito da una scelta di classe e di condizioni essenziali con atteggiamenti educativi e culturali di tipo promozionale, nel senso di formare un uomo nuovo per una società nuova.

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