Storia della parola «romanzo» e fortuna del genere romanzo lezioni corso B1+B2 2… · fantasy e...
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Storia della parola «romanzo» e
fortuna del genere romanzo
• Significato peggiorativo → irrealtà (Fiction=illusione)
• Romanzo → funzione conoscitiva
• Dizionario francese: romanzo → lingua comune e
popolare in opposizione al latino
• VIII sec. → da questa opposizione nascono le
protolingue nazionali (romanze o neolatine)
• XII sec. → romanzo = scritto in versi in lingua non latina
• Da «romanz» deriva il verbo «romancier» → tradurre dal
latino al francese, dal XV sec., raccontare in francese
Storia della parola «romanzo» e
fortuna del genere romanzo
• Da «romanz» deriva il verbo «romancier» → tradurre dal
latino al francese, dal XV sec., raccontare in francese
• «Romanz» assume anche i significati di:
a) ogni opera in lingua volgare, anche non tradotta dal
latino,
b) ogni opera d’immaginazione che non ha basi storiche,
c) la materia letteraria in opposizione alla materia orale
d) e, alla fine del Medioevo, anche le canzoni di gesta,
ossia quella grande fioritura di opere in versi volgari
composte nel secolo XII come il Perceval di Chrétien di
Troyes o Le roman de Tristan di Béroul.
Storia della parola «romanzo» e
fortuna del genere romanzo
• XVII sec. → romanzo pastorale o lacrimevole (analisi dei
sentimenti)
• XVIII sec. → romanzo illuminista = focus sull’individuo →
romanzo di formazione (Wilhelm Meister di Goethe)
• XIX sec. → analisi dell’individuo «borghese» e quindi
riflessione e descrizione della società industriale,
capitalistica e borghese nella sua parabola ascendente
(Dickens) e discendente (Th. Mann, I Buddenbrook)
• Proust, Joyce, Svevo, Woolf → romanzo come mezzo per
accedere alla «vera vita, la vita infine scoperta e chiarita,
la sola vita di conseguenza vissuta» e alla vita psichica
• Solženicyn → romanzo come mezzo di lotta
Storia della parola «romanzo» e
fortuna del genere romanzo
• «Sollecitato dalla realtà circostante e da quella che
portiamo in noi, combattuto tra la creazione del fittizio e
l’investigazione del reale, continuando a riprodurre forme
fisse e ad inventare possibilità, il genere è ad immagine
della parola che lo designa: fluttuante e in perpetua
espansione»
La letteratura come commercio: tipi
di pubblico e diffusione del romanzo
tra XVII e XX secoloa) Il romanzo, fin dalla sua nascita in età moderna, ha
riscosso una notevole fortuna non solo di pubblico, ma
anche commerciale.
b) Il romanzo viene incontro al lettore, mentre è il lettore che
deve andare incontro alla poesia, all’opera teatrale o al
saggio scientifico.
c) dall’antichità sino all’invenzione della stampa la lettura
appannaggio di pochi: aristocrazia, clero, alta borghesia (cfr.
Ian Watt, The rise of the novel)
d) Inoltre, dal Sei/Settecento aumento del pubblico
femminile
La letteratura come commercio: tipi
di pubblico e diffusione del romanzo
tra XVII e XX secoloe) Sec. XIX → aumento esponenziale di lettori per:
-l’istruzione obbligatoria e l’acculturazione delle classi sociali
meno abbienti;
-l’invenzione delle rotative
-la diffusione dei giornali (nascita del feuilleton)
-commercio ambulante che diffonde i romanzi, gli
almanacchi e le raccolte di canzoni anche nelle campagne.
f) Sec. XX → romanzo come genere di massa (bestseller)
Discussioni sul romanzo
• Dibattito sulla ‘crisi’ del romanzo,
• Dibattito quello sulla sua validità ed essenza estetica
• Polemiche (dal XVII secolo in poi) sulla sua moralità
• ecc. ecc.
Seduzioni del romanzo
• Romanzo come fenomeno che riflette, ma anche che crea
i gusti della pubblico (Il piacere; I dolori del giovane
Werther)
• Il romanzo come fenomeno che asseconda la sete di
«meraviglioso» di pubblico sempre più costretto in una
quotidianità ripetitiva e sostanzialmente noiosa (horror,
fantasy e science fiction)
• Science fiction = soddisfa il suo bisogno di meraviglioso
ed è catartica delle sue angosce più profonde
Seduzioni del romanzo: utopia,
distopia e science fictionDal secolo XVII → i romanzi utopistici (antesignani della
fantascienza) materializzano artisticamente i sogni
dell’umanità:
•Voyage dans la lune, Cyrano de Bergerac del 1675
•The Time Machine, H. G. Wells del 1895
•Vingt mille lieues spus les mers, Jules Verne del 1870)
Dal sec. XIX → i romanzi distopici descrivono anche gli
incubi dell’umanità:
•The Time Machine, H. G. Wells del 1895
•The War of the Worlds, H. G. Wells del 1898)
•1984, G. Orwell del 1948.
In principio era il racconto
• Per la nascita del romanzo e come patrimonio di storie da
raccontare:
• → importanza dei libri sacri dell’India, della Bibbia, delle
vite dei savi o dei santi, dei racconti arabi confluiti nelle
Mille e una notte (Mircéa Eliade studia come la letteratura
orale trova le sue origini nei racconti mitici scaturiti dalle
religioni primitive)
• → e quindi, importanza della letteratura narrativa orale:
leggende, fiabe (Vladimir Propp, Morfologia della fiaba),
cicli di canzoni di gesta germaniche, francesi, russe ecc.,
folclore popolare
Perché si leggono romanzi?
• Fascino e potere ancestrale della parola: la parola
incanta, distrae, diverte (come la musica) e, soprattutto, è
lo strumento fondamentale con cui la razionalità dell’uomo
ordina il caos dell’universo (Decameron di Boccaccio)
• La parola e il racconto, quindi, come mezzo per capire la
realtà
• O, al contrario, la parola e il racconto come mezzo per
fuggire da una realtà nella quale, in genere, «non capita
mai nulla»
Definizione di «romanzo»
• «Il romanzo è un genere inafferrabile e il suo ambito è
quello della ‘licenza’»
• Il romanzo ha una «ambizione panoramica» (R. Caillois)
• Il romanzo è quindi un genere letterario ‘vorace’, che
attinge dai diversi campi dell’arte e della conoscenza, è
anche vero che a sua volta li arricchisce
• Questo carattere aperto e duttile è proprio ciò che lo
rende «inafferrabile» e che impedisce di darne una
definizione assoluta
Definizione di «romanzo»
• Il romanzo è innanzitutto un racconto → il narratore si
pone tra il lettore e la realtà che vuole raccontare
• Il romanzo racconta una storia → successione di
avvenimenti concatenati nel tempo da un inizio e una fine
che il narratore gestisce come meglio crede (prolessi,
analessi ecc.);
• Quindi, il narratore ‘compone’ una storia con l’intento di
produrre un certo effetto sul lettore → facendo ciò,
organizza la materia narrativa per darle una forma
artistica
Definizione di «romanzo»
• La storia narrata è però fittizia, e ciò distingue il romanzo
dalla biografia, dall’autobiografia, dalla testimonianza
vissuta, dalla deposizione, dal racconto di viaggio e dalle
opere o cronache storiche
• Questa differenza fa insorgere alcuni problemi:
– il problema del rapporto tra vero e finzione,
– Il problema dell’impossibilità di creare un romanzo
completamente distaccato dalla realtà, e quindi della
verosimiglianza (ossia ciò che rende la storia possibile,
probabile e magari ‘vera’ → Manzoni).
Definizione di «romanzo»
• Differenza tra romanzo e novella → la novella è fatta di
poco materiale, ma ha una struttura densa, che lascia
passare un messaggio anche se all’apparenza vago,
impalpabile e a volte difficilmente definibile.
• Differenza tra romanzo e racconto → il racconto: si rivolge
a un uditorio determinato; come la favola, vuole
generalmente lanciare un messaggio chiaro; non cerca di
fare passare la storia che racconta per vera
• Rispetto alla novella e al racconto, nel romanzo gli
elementi che compongono la storia richiedono tempo per
essere sviluppati e possono essere trattati in molteplici
‘modi’; primi aspetti della struttura del romanzo: a) il
tempo della narrazione b) le infinite possibilità di
costruzione della storia.
Definizione di «romanzo»• Il lavoro dello studioso che si occupa di romanzo consiste
nel riuscire a cogliere in questi ‘modi’ le affinità e le
costanti che accomunano i diversi romanzi o gli elementi
divergenti che li allontanano
• Per fare ciò è necessario capire in cosa consistano le
scelte che hanno condizionato la costruzione di un
romanzo e la loro ragione d’essere basandosi su criteri
oggettivi: su quale aspetto della sua storia l’autore ha
posto l’accento? Quali procedimenti ha utilizzato per
narrarla? Quale forma essa prende? Quali sono le
intenzioni, le implicazioni, il significato che essa esprime?
Struttura della narrazione
romanzesca
• Le componenti principali della storia di un marinaio - il
marinaio, appunto, la donna che ama e i rivali (Odissea) –
possono generare narrazioni diversissime (i diversi ‘modi’:
avventura; crime story, romanzo sentimentale e/o
psicologico; romanzo sociale ecc.) a seconda delle scelte
del narratore.
• Le differenze determinate da queste infinite possibilità
combinatorie sono poi accresciute dal numero di
procedimenti narrativi di cui dispone il narratore:
Struttura della narrazione
romanzesca
Struttura della narrazione
romanzesca• Scena o riassunto? L’autore sceglie uno dei due o anche di usarli
entrambi:
– il racconto scenico è quello nel quale i personaggi parlano o
agiscono;
– il racconto panoramico è quello nel quale l’autore riassume una
determinata storia o situazione)
• fabula = storia → termine generale per distinguere l’insieme dei
personaggi e delle loro azioni;
• intreccio = plot → termine più specifico per definire la costruzione
letteraria della fabula, la concatenazione di eventi e il modo in cui essi
vengono raccontati articolandoli in episodi che costituiscono delle
unità narrative di lunghezza variabile
• L’intreccio si fonda sulla nozione basilare di movimento, di
mutamento a partire da uno stato determinato e sotto l’influsso di
certe forze (= azione) che si manifestano meglio quando incontrano
una forza antagonista.
La storia e la narrazione
• ritmo: è ciò che dà tono all’azione e, quindi, alla narrazione;
• tema: elemento fondamentale del testo di alto valore simbolico e che
quindi serve al narratore per creare un’unità di senso che lasci un
messaggio al lettore;
• motivo: elemento sporadico del testo di valore simbolico che spesso
serve a rafforzare l’unità di senso incentrata sul tema.
• La funzione della ripetizione di motivi, temi e immagini: la ripetizione
di questi tre elementi è associata ad uno stato d’animo o a un
sentimento importante (Wagner = Leitmotiv)
La storia e la narrazione• Inizio e fine (incipit ed explicit); l’opzione del finale aperto.
• L’ordine del/nel romanzo: la disposizione prospettica dei diversi
episodi gli uni in rapporto agli altri porta alla suddivisione e alla
concatenazione dei materiali che vanno a comporre i capitoli e le parti
→ la suddivisione o la sua apparente assenza, corrisponde a
un’estetica del racconto e a una percezione del mondo
• I racconti multipli: Decameron di Boccaccio e Manoscritto trovato a
Saragoza di Jan Potocki; tecnica della concatenazione, tecnica
dell’alternanza
Il patto narrativo
• Il patto narrativo: fra il lettore di una qualsiasi opera narrativa e il suo
autore viene stipulato un tacito patto, detto «patto narrativo», in base
al quale che legge si astrae dal mondo esterno e si immedesima nella
vicenda, partecipando fino in fondo alla vita segreta dei personaggi
che la animano; per rafforzare l’implicito accordo a credere nella
veridicità del suo racconto, lo scrittore può usare svariati
accorgimenti:
– la narrazione in prima persona,
– il ritrovamento di un finto manoscritto o d altre prove documentali,
– l’accumulo dei particolari o altri elementi realistici,
– la struttura dell’inchiesta,
– finte prefazioni dell’editore o di un curatore che giura
sull’autenticità del testo.
Tipi di lettore
• Tipi di lettore:
– il narratario: è il personaggio all’interno del racconto al quale l’io
narrante racconta dei fatti
– il lettore fittizio: prende posto nella trama stessa della storia
diventandone personaggio (Manzoni)
– il lettore ideale: è quello auspicato dall’autore
– il lettore virtuale: è colui che ‘potrebbe’ leggere il romanzo
– il lettore reale: è colui che effettivamente lo legge
Il punto di vista
• È il centro di narrazione, ossia il punto ottico in cui si pone un
narratore per raccontare la sua storia
• Differenza tra raccontare (narratore onnisciente) e mostrare (il
narratore cerca di sparire)
• Differenza tra “visione con” (l’autore sceglie un solo personaggio che
costituirà il centro del racconto e a partire dal quale il lettore vede la
storia e gli altri personaggi) e “visione dal di fuori” (l’autore esamina
dal di fuori il comportamento, l’aspetto fisico dei personaggi e
l’ambiente in cui vivono per coglierne l’interiorità e la vita psicologica)
• Il narratore omodiegetico: il narratore omodiegetico si ha quando il
soggetto narrante è anche l’oggetto della narrazione (cfr. soprattutto i
romanzi di memorie, i romanzi epistolari o i giornali intimi)
• Il narratore eterodiegetico: il narratore eterodiegetico si ha quando il
soggetto narrante è al di fuori dell’azione (cfr. il romanzo o racconto
storico).
Il punto di vista: i tempi del racconto
• Differenza tra racconto storico e racconto non storico:
– il primo può utilizzare come tempo della narrazione
preferibilmente il passato remoto/imperfetto, tempi ‘storici’ per
eccellenza, che oggettivano l’avvenimento staccandolo dal
presente
– il secondo, invece, può utilizzare sia il presente sia il futuro sia il
passato prossimo
• Il punto di vista come significato: riuscire a capire in quale punto
ottico si situa l’autore per la narrazione può anche aiutare a capire
qual è il vero significato da attribuire al romanzo. La scelta dell’autore
di scrivere in un dato modo riflette una particolare concezione
dell’esistenza e di se stesso.
Lo spazio e il rapporto tra
descrizione e narrazione• Il romanziere fornisce sempre un minimo di indicazioni ‘geografiche’ o
‘spaziali’: si va dai semplici punti di riferimento per catturare la
fantasia del lettore alle metodiche esplorazioni dei luoghi nei quali si
dipana la vicenda.
• Diverse tipologie di spazio letterario: chiuso o aperto, vago o preciso,
insignificante o determinante, simbolicamente unico o in
contrapposizione con un altro spazio ecc.
• Differenza tra descrizione e narrazione: entrambe si traducono con
una sequenza di parole (successione temporale del discorso), ma la
narrazione restituisce la successione temporale degli eventi
(diacronia), mentre la descrizione rappresenta oggetti simultanei e
coesistenti nello spazio (sincronia)
• Tradizionalmente, la descrizione doveva essere subordinata alla
narrazione, che invece era doveva restare la principale funzione del
testo romanzesco
Lo spazio e il rapporto tra
descrizione e narrazione• Importanza della descrizione a partire dal XVIII secolo → lo spazio
come elemento determinante di caratterizzazione dei personaggi
• Caratteristiche della descrizione e sue funzioni ‘musicale’ e ‘pittorica’
• La descrizione e il rapporto con il mondo → la descrizione dello spazio
rivela dunque il grado di attenzione che il romanziere accorda al
mondo e la qualità di questa attenzione; essa esprime cioè il rapporto,
fondamentale nel romanzo, tra l’uomo, autore o personaggio, e il
mondo circostante
• Ambiguità degli spazi: rappresentando uno stesso spazio, autori
diversi rappresentanti di periodi e momenti culturali diversi possono
voler trasmettere messaggi differenti: il tema/spazio del labirinto e il
tema del viaggio
Il tempo• A differenza delle arti spaziali quali la pittura e la scultura, il romanzo è
anzitutto considerato come un’arte temporale, esattamente come la
musica
• I tempi del romanzo sono tre: quello della scrittura, quello della lettura
e quello dell’avventura:
• Il tempo della scrittura: è un tempo da intendersi sia come ‘epoca’ nel
quale lo scrittore scrive il romanzo sia come ‘durata’ della
composizione
• Il tempo della lettura:
– il divario temporale tra il momento in cui una storia si verifica e
quello in cui lo scrittore la ‘legge’
– il divario temporale tra quando la storia viene scritta e quando
viene letta
– Il tempo di lettura del testo proprio di ciascun lettore
Il tempo• Il tempo dell’avventura:
– in quale epoca si situa l’avventura raccontata?
– e questa durata, più o meno considerevole, è puramente esteriore,
cronologica, o sfuma in una durata psicologica, esistenziale non
misurabile con l’orologio?
– c’è opposizione o differenza tra le durate esistenziali dei
personaggi?
– ogni durata si inserisce in un’altra collettiva o si oppone alla durata
sociale considerata dall’esterno?
• Gérard Genette: studio sistematico delle “anacronie narrativa” o
“forme di discordanze tra l’ordine della storia e quello del racconto”
con la designazione, con termini ‘prolessi’, di ogni anticipazione
rispetto al momento della storia in cui ci si trova (racconto primario) e
con il termine ‘analessi’ di ogni evocazione successiva di un
avvenimento anteriore
Il tempo• Genette definisce poi:
– con portata la distanza temporale tra l’anacronia prolettica o
analettica e il momento della storia in cui il racconto si interrompe
– con ampiezza la durata dell’anacronia
• Ancora Genette → differenti tipologie di anacronie:
– eterodiegetiche
– omodiegetiche
– completive
– ripetitive
• Discordanza tra tempo del racconto e tempo della finzione, che
segnala necessità e obiettivi particolari dello scrittore
• Destrutturazione del tempo nel romanzo novecentesco: accento
sull’istante più che sulla durata; il tempo non è più un fiume o un
circolo mitico, ma uno specchio rotto in mille pezzi.
I personaggi• I personaggi romanzeschi agiscono in una rete di rapporti che
riproduce, anche nei romanzi di fantasia, quella della realtà sociale in
cui vive lo scrittore
• Funzioni del personaggio romanzesco:
1) elemento decorativo
2) agente dell’azione, ossia del gioco delle forze opposte o
convergenti presenti in un’opera → le forze suscettibili di combinarsi in
un’azione drammatica sono sei: protagonista [non necessariamente
quello del romanzo]; l’antagonista [elemento necessario perché vi sia
un conflitto]; l’oggetto [del contendere: desiderato o temuto]; il
destinatore [qualsiasi personaggio possa esercitare un influsso sulla
destinazione dell’ ‘oggetto’; una sorta di arbitro]; il destinatario [il
beneficiario dell’azione, colui che eventualmente ottiene l’oggetto
desiderato o temuto; non è necessariamente il protagonista]; l’aiutante
[coadiuva nell’azione il protagonista o l’antagonista]
3) portavoce: il personaggio come prolungamento del suo autore
I personaggi• Rapporto dei personaggi (e dei protagonisti) dei romanzi con il mondo
e con la propria interiorità: i personaggi del romanzo non sono mai alle
prese solo con i loro demoni interiori, ma si inseriscono in una società,
nella quale possono integrarsi, alla quale possono opporsi o dalla
quale possono restare a margine → proiezione dell’autore nei suoi
rapporti con l’organizzazione sociale del suo tempo (Lukács)
• Modo di presentazione: il personaggio romanzesco può essere
presentato in quattro modi: a) dal personaggio stesso; b) da un altro
personaggio; c) da un narratore eterodiegetico; d) in modo misto
• Quando il personaggio si presenta da solo, si parla di «espressione
del sé»; dal diario al monologo interiore, l’espressione di sé nel
romanzo può assumere forme diverse:
– Il diario
– Il romanzo epistolare
– Le memorie
– Il monologo interiore
I personaggi• Personaggio presentato da altro personaggio → problemi di affidabilità
della presentazione
• La presentazione di un personaggio da parte di un narratore
extradiegetico
• La presentazione mista
La Scapigliatura
• La Scapigliatura è un movimento letterario e
artistico sorto a Milano negli anni Sessanta e
particolarmente attivo in Lombardia e Piemonte per
oltre un decennio
• Scapigliatura lombarda: Emilio Praga, Arrigo Boito,
Carlo Dossi (l’esponente di maggior valore, che
ebbe peraltro vita tranquilla e ben poco scapigliata)
• Scapigliatura piemontese: Igino Ugo Tarchetti e
Giovanni Faldella, Giovanni Camerana, Roberto
Sacchetti, Achille Giovanni Cagna, Giuseppe
Giacosa.
Esempio di lirica tardoromantica:
Giovanni Prati (1814-1884)
La culla a ribaciar torna e sospira
chi per suoi dolorosi esperimenti
apprese l’arti, onde si volve e gira
questa torbida razza de’ viventi.
Chi vide uscir dai ben orditi accenti
l’opre difformi, e il viver dolce in ira,
e poderosi i rei sugli innocenti,
la culla a ribaciar torna e sospira.
Io l’amo sì, dal vulgo inavvertita
quest’umil casa, ove sognar si ponno
le larve più soavi della vita.
Ma al par di questa, che con dolci tempre
chiama sugli occhi ai pargoletti il sonno,
amo quell’altra ove si dorme sempre!
La Scapigliatura
Obiettivi degli Scapigliati:
• una rinnovata adesione al vero (sia quello della
realtà esterna sia quello interiore, ma dei
sentimenti, non di facciata)
• All’interno di questo «vero», anche quella parte di
esso che gli scapigliati consideravano invisibile,
ma non per questo meno reale: il paranormale, con
l’occultismo, il fantastico ecc. (Romanticismo
nordico)
Cletto Arrighi, La Scapigliatura e il 6 febbraio (1862)
In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una
certa quantità di individui di ambo i sessi, fra i venti e i
trentacinque anni, non più; pieni d’ingegno quasi sempre; più
avanzati del loro tempo; indipendenti come l’aquila delle Alpi;
pronti al bene quanto al male; irrequieti, travagliati, […] turbolenti
– i quali – o per certe contraddizioni terribili fra la loro condizione
e il loro stato – vale a dire fra ciò che hanno in testa e ciò che
hanno in tasca – o per certe influenze sociali da cui sono
trascinati – o anche solo per una certa particolare maniera
eccentrica e disordinata di vivere – o, infine, per mille altre cause,
e mille altri effetti, il cui studio formerà appunto lo scopo e la
morale del mio romanzo – meritano di essere classificati in una
nuova e particolare suddivisione della grande famiglia sociale,
come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte
le altre. Questa casta o classe […] serbatoio del disordine, della
imprevidenza, dello spirito di rivolta e di opposizione a tutti gli
ordini stabiliti; – io l’ho chiamato appunto la Scapigliatura.
La Scapigliatura
• Perché proprio Milano e Torino?
• In questi centri urbani con maggiore chiarezza si
vedono e si imparano ad esprimere le
contraddizioni innescate:
• dall’industrializzazione forzata,
• dallo svuotamento delle campagne,
• dalla precettistica morale, economica e
lavorativa imposta dalla dominante classe
borghese
• Differenza tra l’ideale (risorgimentale) e il reale
(postunitario)
La Scapigliatura: riferimenti stranieri
o italiani• Gérard de Nerval (1808-55),
• Charles Baudelaire (1821-1867),
• Théophile Gautier (1811-72)
• Henri Murger (1822-61), Scènes de la vie de bohème
(Bohème di Giacomo Puccini)
• Ernst Hoffmann (1776-1822),
• Edgar Allan Poe (1809-49)
• Giuseppe Rovani (1818-74), Cento anni (attenzione «agli
svolgimenti graduali di tutte le parti che costituiscono la
civiltà del paese» in modo da costruire un’«epopea in
veste da camera»)
La Scapigliatura: riferimenti stranieri
o italiani
• Dossi su Rovani: «Ebbe sempre una grande
propensione per l’osteria – la casa di chi non ne
ha. L’osteria per lui si nobilitava in un’aula
universitaria»
• Dante Isella sugli scapigliati: essi si limitarono a
un’«importazione di un rinnovato campionario di
temi “maledetti” da surrogare a quello, pervaso di
ottimismo, della nostra provincia borghese, senza
che mutuati gli oggetti mutuasse propriamente
qualcosa di più» → poca originalità!
Aspetti innovatori della
Scapigliatura: il linguaggio
• Linguaggio nuovissimo ed eversivo di Dossi,
Faldella, Cagna e Vittorio Imbriani (scrittore
napoletano estraneo alle due grandi aree
geografiche scapigliate milanese e piemontese).
• In questi scrittori Gianfranco Contini ha
individuato i rappresentanti di una linea
espressionistica della letteratura italiana che
porterà, nel Novecento, alla straordinaria scrittura
di Carlo Emilio Gadda
Scapigliatura pittorica. Daniele
Ronzoni, Giovinetta inglese, 1880
Scapigliatura pittorica. Daniele
Ronzoni, La sommossa, 1863-64
Scapigliatura pittorica. Tranquillo
Cremona, i due cugini
Scapigliatura pittorica. Tranquillo
Cremona, Ripassando la lezione
Igino Ugo Tarchetti
• 1865: lascia la carriera militare e si trasferisce
a Milano
• Collabora a periodici come “La Rivista minima”, lo
“Spirito folletto”, la “Strenna italiana”; ne fonda
alcuni come la “Palestra musicale” e il “Piccolo
giornale”; entrò nella redazione del “Pungolo” e
del “Gazzettino rosa” di Achille Bizzoni
• 1865-1869: sono gli anni in cui si concentra la sua
attività letteraria
Igino Ugo Tarchetti
• Scrive alcune liriche, una ventina di racconti,
disseminati in varie riviste e cinque romanzi, tra i quali:
a) i 5 Racconti fantastici: I fatali, La leggenda del castello
nero, La lettera U, Un osso di morto e Uno spirito in un
lampone.
b) Una nobile follia (Drammi della vita militare), apparso
ne “Il Sole” nel 1866 e 1867 e incentrato sul tema
antimilitarista;
c) Fosca, pubblicato a puntate sul “Pungolo” nel 1869;
d) La raccolta di liriche intitolata Disjecta, cioè «cose
disperse», fu pubblicata postuma nel 1879 da
Domenico Milelli.
Igino Ugo Tarchetti
• Temi:
• La morte
• Il macabro
• Il dualismo
• Amore passionale e mortifero (Eros e Thanatos → ancora
dualismo)
• La malattia: le vicende di personaggi considerati come casi
clinici
• L’antimilitarismo
Igino Ugo Tarchetti• Fosca
• Pubblicato a puntate sul “Pungolo” dal febbraio all’aprile del
1869;
• Romanzo con elementi di autobiografismo
• Romanzo incompleto: il capitolo XLVIII, infatti, fu scritto da
Salvatore Farina
• Racconto ‘dualistico’
• Dialoghi importanti:
• cap. XVI;
• cap. XXIII;
• cap. XXVII;
• dialoghi minori: cap. XV, cap. XXXVII, cap. XL.
• Per quanto riguarda invece le lettere, va segnalato il
lunghissimo interludio monologico rappresentato dalla lettera-
storia di Fosca che occupa il capitolo XXIX.
Naturalismo e verismo• Emile Zola (1840-1902)
• Thérèse Raquin (1867)
• Ciclo dei Rougon-Macquart
• Le roman expérimental (1880)
• Naturalismo di Zola → laico, democratico e progressista:
mira, attraverso la conoscenza della realtà sociale, a un
miglioramento delle condizioni di vita.
• Mediatori in Italia di questo naturalismo:
• Francesco De Sanctis
• Felice Cameroni
• Luigi Capuana.
Naturalismo e verismo• Positivismo: movimento filosofico e culturale (Francia,
prima metà dell’800 → Illuminismo); nasce grazie alle
rivoluzioni industriali, si diffonde nella seconda metà
dell’800 in tutta Europa; caratteristica principale: è
l’incondizionata fiducia sia nella ragione sia nella scienza
e nel progresso scientifico-tecnologico, basi fondamentali
del progresso o evoluzione sociale.
• Determinismo: è una concezione filosofica per la quale
qualsiasi evento del presente è necessariamente
determinato da un evento avvenuto nel passato; implica
quindi che l’umanità e l’uomo non sono in grado di
determinare la propria storia presente, perché questa è
solo la meccanica conseguenza di quella passata: manca
il libero arbitrio!
Naturalismo e verismo• Esperienze realiste antecedenti al verismo nella letteratura italiana:
• Letteratura “campagnola”
• Ippolito Nievo
• Francesco Dall’Ongaro
• Francesco De Sanctis
• Giosue Carducci
• Scapigliatura
• Verismo: anni Sessanta-Ottanta dell’Ottocento
• Citta nelle quali si sviluppa il verismo: Firenze e Milano
• Intorno agli anni ottanta dell’Ottocento, massima espansione del
verismo grazie all’opera di Capuana e Verga, ma già appaiono
tendenze divergenti da questa linea, come in Antonio Fogazzaro.
• Anni Novanta: persistenza del verismo, che tuttavia va esaurendo la
sua influenza → Federico De Roberto, I Viceré (1894).
Macchiaioli. Telemaco Signorini (1835-
1901): Via Torta, Firenze (1870)
Telemaco Signorini (1835-1901): Bagno
penale a Portoferraio (1890 circa)
Tranquillo Cremona (1825-1908): Lo
staffato (1880)
Tranquillo Cremona (1825-1908):
Barrocci romani (1872-73)
Verismo• Scrittori siciliani (tutti dell’area catanese):
• Luigi Capuana (1839-1915)
• Giovanni Verga (1840-1922)
• Federico De Roberto (1861-1927)
• Canone dell’impersonalità: il narratore non deve partecipare
emotivamente agli avvenimenti, commentando,
condannando, approvando e giudicando; il narratore non
allude mai esplicitamente alla propria funzione narrativa; il
narratore si esprime imitando i linguaggi caratteristici dei
rispettivi personaggi e, come avviene nelle narrazioni
popolari, usa il discorso indiretto libero, passando, senza
soluzione di continuità, dalla narrazione di un fatto al
riportare le parole o i pensieri di un personaggio.
Giovanni Verga• I carbonari della montagna (romanzo, 1861-62)
• Sulle lagune (romanzo, 1862-63)
• Una peccatrice (romanzo, 1866)
• Storia di una capinera (romanzo, 1870)
• Eva (romanzo, 1873)
• Nedda (racconto, 1874)
• Tigre reale ed Eros (romanzi, 1875)
• Vita dei campi (racconti, 1880)
• I Malavoglia (romanzo, 1881)
• Novelle rusticane (racconti, 1882)
• Il marito di Elena (romanzo, 1882)
• Per le vie (racconti, 1883)
• Cavalleria rusticana (dramma, 1884) (musicata nel 1890 da Pietro Mascagni)
• Vagabondaggi (racconti, 1887)
• Mastro don Gesualdo (romanzo, 1889)
• I ricordi del capitano d’Arce (racconti, 1891)
• Don Candeloro e C.i (racconti 1894)
Carlo Collodi (Lorenzini)
(1829-1890)• Origini contadine
• 1848 → adesione ai moti e partecipazione alle battaglie di
Curtatone e Montanara
• 1859 → arruolamento nell’esercito piemontese
• Lavora malvolentieri come impiegato, ma è portato a una
vita più bohémien
• Attività intellettuale: soprattutto giornalismo («Fanfulla»,
«Fanfulla della Domenica» e «Giornale per i bambini»)
• Vive in un contesto letterario caratterizzato da numerose
opere di stampo «campagnolo», come Vita dei campi
(1880), I Malavoglia (1881), Novelle rusticane (1883),
Terra vergine (1882) e «educativo-prescrittivo», come
Cuore (1886) di De Amicis.
Carlo Collodi
• Dopo l’Unità d’Italia → sviluppo di un genere letterario
specificatamente dedicato all’infanzia per favorirne lo
sviluppo emotivo, caratteriale e morale
• Da ciò deriva anche lo sviluppo «industriale» anche di
questo settore industriale
• La libreria Paggi incarica Collodi di tradurre i racconti di
Perrault e successivamente di scrivere testi originali per
l’infanzia:
1) Giannettino (1876 → ripreso da un famosissimo libro
per ragazzi, Giannetto, della prima metà dell’Ottocento);
2) Minuzzolo (1878)
tutti testi piuttosto mediocri perché finalizzati al mercato
editoriale per l’infanzia.
Carlo Collodi
• Pinocchio → è invece un testo molto più libero e più
slegato da specifiche finalità educativo-pedagogiche
• Modello: la narrativa americano per l’infanzia Tom Sawyer
del 1876 di Mark Twain) a cui si ispirava il «Giornale per i
bambini»
• Pinocchio esce a puntate:
• Capp. I-XV, La storia di un burattino, «Giornale per i
bambini», luglio-ottobre 1881;
• Capp. XVI-XXIII, Le avventure di Pinocchio, «Giornale per
i bambini», febbraio-marzo 1882;
• Capp. XXIV-XXIX, «Giornale per i bambini», maggio-
giugno 1882;
• Capp. XXX-XXVI, novembre 1882-gennaio 1883.
Pinocchio: struttura
• Pinocchio I (Storia di un burattino → capp. dall’I al XV):
Pinocchio “nasce” dispettoso e cattivo (manda Geppetto in
prigione), poi buono (promette di andare a scuola), poi
cattivo (vende i libri per vedere lo spettacolo di
Mangiafoco), infine ancora redento ma inutilmente, perché
la sua ingenuità lo porterà a farsi sviare dalla coppia
Gatto/Volpe che lo porterà all’impiccagione
• Schema: ↓−↑−↓−↑ → ingenuità = morte;
• I capitoli sono brevi e concisi, il senso pedagogico della
vicenda è, in linea di massima, chiaro, ma non ancora
dominante.
Pinocchio: struttura
• Pinocchio II (Le avventure di Pinocchio → capp. XVI-XXXVI):
• I capitoli sono in media di una lunghezza quasi doppia rispetto a quelli
di Pinocchio I e le parti descrittive sono più diffuse, l’equilibrio tra le
parti dialogate e quelle descrittive è più curato, in generale il racconto
è più costruito;
• L’intento pedagogico si fa più evidente (promessa di umanizzazione);
• Il percorso cattivo → buono viene articolato in quattro momenti di
caduta/risalita (secondo lo schema seduzione-colpa-punizione-
pentimento che è alla base dello stesso concetto di “avventura”) più
un ultimo momento risolutivo così strutturati:
a) capp. XVI-XVII: Pinocchio salvato fa il proponimento di essere
buono, ma la sua maturazione verso la responsabilità è ancora
debole, e oltre a raccontare bugie si farà nuovamente irretire dalla
coppia Gatto/Volpe e finirà in galera (XVIII e XIX);
b) cap. XX: proposito più sincero di cambiar vita, seguito però da altre
avventure che solo nel cap. XXIV lo porteranno a ritrovare la fatina;
Pinocchio: struttura
c) nuovi proponimenti di diventare un bravo ragazzo nel cap.
XXV e nuova ricaduta che gli fa rischiare di essere mangiato
dal Pescatore nel capp. XXVI-XXVIII;
d) nel cap. XXIX, dopo la punizione viene nuovamente
perdonato dalla Fata, ma c’è una nuova ricaduta perché viene
tentato da Lucignolo, trasformato in ciuchino (capp. XXX-
XXXIV);
e) ultima svolta: ritrova Geppetto nel ventre del Pescecane
(cap. XXXV) e si avvia verso la redenzione finale e verso la sua
definitiva trasformazione in bambino in carne ed ossa.
• Schema: ↓−↑−↓−↑−↓−↑−↓−↑ → redenzione = umanizzazione
Pinocchio: struttura
• Personaggi reali (che non escludono le tonalità ironiche, grottesche o
parodistiche): mastro Ciliegia, mastro Geppetto, oste del Gambero
rosso, contadino che mette a fare il cane da guardia, gli abitanti
dell’isola delle Api industriose, il secondo contadino che mette
pinocchio al Bindolo, i compagni di scuola di Pinocchio, Lucignolo,
l’Omino di burro.
• Personaggi di fantasia: la Fata turchina, il serpente orribile, gli animali
parlanti classificabili nella categoria degli ammonitori: il Grillo parlante,
il Merlo bianco, il Pappagallo, la Lucciola, la Marmottina; gli animali
parlanti classificabili nella categoria degli “aiutanti”: il Falco della Fata,
i tre medici chiamati al capezzale di Pinocchio – il Corvo, la Civetta e
ancora il Grillo parlante – il Colombo, il Delfino, il Granchio, il cane
Alidoro, la Lumachina, il Tonno; gli animali parlanti con funzioni più
complesse e intenti ironico-satirici che guardano alla realtà: il Gatto e
la Volpe, il giudice Gorilla.
• Personaggi fiabeschi misti: Mangiafoco, il pescatore.
Pinocchio: struttura
• Spazio e tempo: sono di volta in volta indeterminati o precisissimi,
abnormi o rispondenti al desiderio di presentare un realistico
svolgimento degli eventi, e, proprio nell’unione di queste diversità,
enfatizzano l’elemento fiabesco.
«Dopo una corsa di quindici chilometri, Pinocchio non ne
poteva più» (cap. XIV); «E dopo una corsa disperata di
quasi due ore…» (cap. XV)
o, all’opposto:
«[…] una bonissima Fata, che da più di mille anni abitava
nelle vicinanze di quel bosco» (cap. XV)
Pinocchio: struttura
• Anche l’ambientazione generale degli spazi, almeno fino al
capitolo XXII evidentemente collocati in una Toscana
immaginaria e interiore, è vaga e transita velocemente in
tipologie differenti:
• la piccola cittadina (scenario della prima fuga di Pinocchio),
• la campagna (il ritorno a casa di Pinocchio dopo che hanno
arrestato Geppetto),
• il piccolo paese deserto (quando Pinocchio va a cercare il
pane), e questa veloce alternanza si ripete per tutto il
romanzo.
• Dal capitolo XXIII in poi → ambientazione marina che domina
nei capp. XXIII, XXIV, XXVII, XXXIV, XXXV e inizio XXXVI.
• Ambiguità di Pinocchio, burattino/ragazzo.
Pinocchio: temi• Il tema del corpo
– Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori e che
abbandonano capricciosamente la casa paterna! Non avranno
mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene
amaramente.
[…]
– Povero Pinocchio! Mi fai proprio compassione!...
– Perché ti faccio compassione?
– Perché sei un burattino e, quel che è peggio, perché hai la
testa di legno.
• Pinocchio: il suo corpo è una commistione di qualità «legnose» e
caratteristiche «umane»
• Differenza tra Pinocchio e il Franti di Cuore
Pinocchio: temi• Il tema del corpo
– Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori e che
abbandonano capricciosamente la casa paterna! Non avranno
mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene
amaramente.
[…]
– Povero Pinocchio! Mi fai proprio compassione!...
– Perché ti faccio compassione?
– Perché sei un burattino e, quel che è peggio, perché hai la
testa di legno.
• Il tema della paternità
• Il tema della cattiveria del mondo
Pinocchio: conclusione
• Quello di Pinocchio è un progetto pedagogico «minimale»
• Pinocchio, ma anche Geppetto (e quindi Collodi stesso) animati
da un forte senso di indipendenza e da uno spiccato spirito di
libertà che li spinge al ‘vagabondaggio’, trattenuti solo dalla
consapevolezza che la società punisce chi ne vuole stare al di
fuori e, quindi, dalla necessità di accettarne almeno le regole
basilari: rispetta i genitori, studia e sii buono, aiuta che sta
peggio di te, diffida dei cattivi compagni e dei cattivi maestri.
• Geppetto a mastro Ciliegia:
– Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di
legno; ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare,
tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino
voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un
bicchier di vino; che ve ne pare?
La crisi di fine Ottocento in Italia
• Italia → la Sinistra al governo (1876), ma potere sempre gestito
dalla classe borghese e trasformismo = impoverimento delle
idealità democratiche.
• Atteggiamento della classe dirigente:
• disprezzo per gli ideali democratici e per la prassi parlamentare,
• vagheggiamento dello Stato forte e suggestioni imperialistiche.
• Atteggiamento delle masse operaie e contadine e dei gruppi
democratici:
• contestazione degli ideali democratici e della prassi parlamentare,
• fondazione del Partito socialista 1892 e proposte di riforma
marxista.
• Reazione della classe dirigente alle sempre più pressanti
richieste delle masse popolari socialistizzate:
• repressione violenta dei Fasci siciliani (1892-93)
• proclamazione dello stato d’assedio a Milano per i mori del 1898
La crisi di fine Ottocento in Italia• La borghesia e la classe dirigente hanno paura delle masse
soprattutto dopo gli avvenimenti della Comune di Parigi (1871)
(→ Pellizza da Volpedo, Il quarto stato, 1901).
• Ultimo ventennio dell’Ottocento → crisi del positivismo, dei
valori e della fiducia borghesi.
• Ultimo ventennio dell’Ottocento → maggiori conflitti sociali +
mutamenti culturali; di fronte a questa situazione i giovani
intellettuali borghesi:
• o sognano un governo forte riservato agli «eletti» e vagheggiano
successi imperialistici,
• o disprezzano la realtà in cui vivono e si rifugiano in un mondo
ideale e in un atteggiamento di aristocratico distacco.
La crisi di fine Ottocento
• Pellizza da Volpedo, Il Quarto stato, olio su tela, 1901.
La crisi di fine Ottocento: la nuova
cultura decadente nasce in Francia
• Rimbaud → la poesia come attività visionaria, da
“veggente”, per dar voce all’ineffabile;
• Verlaine → la poesia serve a “suggerire” e il poeta deve
ricorrere alla vaga suggestione più che alla realistica
descrizione;
• Mallarmé → la parola poetica come potere sacrale,
incantatorio, di creazione – e non di rappresentazione di
realtà – estremamente intellettualizzata attraverso il
ricorso al simbolo.
• Pittura francese → Odillon Redon e nascita del
simbolismo figurativo
Il decadentismo pittorico: il
simbolismo
• Odillon Redon, Il pallonne-occhio (1871)
La cultura di fine Ottocento: il
decadentismo
• Positivismo/naturalismo/verismo → decadentismo (e
simbolismo poetico, che è una delle manifestazioni del
decadentismo)
• Impressionismo → simbolismo pittorico
• I nuovi poeti francesi, sulla scorta di Baudelaire, cercano
una nuova poesia che nasce:
• dalla insoddisfazione per la poesia accademica tradizionale
• dalla rinunzia al culto del dato oggettivo che, teorizzato dal
positivismo, era divenuto anche l’atteggiamento mentale
della borghesia tutta volta all’ordine e alla realizzazione del
guadagno.
La cultura di fine Ottocento: il
decadentismo• Se in Italia l’atteggiamento antiborghese avrà sia uno
sbocco politico (reazionario e imperialistico) sia uno
sbocco nichilistico (fuga dalla realtà in un mondo fi
bellezza artificiale), in Francia si verifica solo questa
seconda opzione, che si manifesta nei seguenti modi:
• cupo senso di stanchezza,
• tristezza,
• una sfiducia nell’agire umano,
• un’ebbrezza di rovina, dovuta alla coscienza di essere la
voce di un’età al tramonto
• Da ciò la definizione di «decadenti» (rivista Le Décadent,
1886)
• Verlaine:
«Je suis l’empire à la fin de la décadence»
La cultura di fine Ottocento: il
decadentismo
• Artista come uno sradicato dalla società che lo ha
generato e che cerca di costruirsi un mondo di bellezza
raffinata → estetismo.
• Differenza tra artista decadente e artista romantico.
• Per Edmund Wilson l’artista:
«Si isola dalla società educandosi alla disciplina dell’indifferenza:
disposto a coltivare la propria sensibilità unica e personale anche di
più di quanto non l’abbiano coltivata i romantici, ma non ad affermare
la propria individuale volontà, finisce per spostare i confini della
letteratura, trasferendola da un mondo oggettivo a un mondo
soggettivo, da un’esperienza condivisa con la società a
un’esperienza assaporata nella solitudine».
La cultura di fine Ottocento: il
decadentismo
• Artista come uno sradicato dalla società che lo ha
generato e che cerca di costruirsi un mondo di bellezza
raffinata → estetismo.
• Differenza tra artista decadente e artista romantico.
• Per Edmund Wilson l’artista:
«Si isola dalla società educandosi alla disciplina dell’indifferenza:
disposto a coltivare la propria sensibilità unica e personale anche di
più di quanto non l’abbiano coltivata i romantici, ma non ad affermare
la propria individuale volontà, finisce per spostare i confini della
letteratura, trasferendola da un mondo oggettivo a un mondo
soggettivo, da un’esperienza condivisa con la società a
un’esperienza assaporata nella solitudine».
La cultura di fine Ottocento: il
decadentismo• Due esempi da Baudelaire: la tristezza e la noia
per la realtà presente e la fuga da esso:
• Spleen (da I fiori del male, 1857)
• Elevazione (da I fiori del male, 1857)
(vedi fotocopie)
Componenti e aspetti del
decadentismo
• Il deteriorarsi del positivismo
• Dal dato reale alle suggestioni musicali
• Marxismo e decadentismo di fronte alla società
borghese
• Il superomismo di Nietzsche
• La scoperta dell’inconscio di Freud
Il deteriorarsi del positivismo
Perché:
• le premesse scientifiche che approdano nel
determinismo si trasformano in fatalismo
• il positivismo in letteratura diventa una gabbia
(per Huysmans i naturalisti «vedevano l’esistenza
tutta d’un pezzo, l’accettavano condizionata solo
ad elementi verosimili, quando invece nel mondo
l’inverosimile non è sempre un’eccezione»)
• La classe sociale borghese subisce un processo
involutivo
Dal dato reale alle suggestioni
musicali
• Decadentismo → arte = conoscenza
• Necessità di una nuova poesia che usi nuovi
strumenti espressivi
• Sparisce la rima; la poesia non deve più essere
un prodotto di classica perfezione, ma accogliere
in sé il disagio della modernità e accogliere
suggestioni delle altre arti (musica: Richard
Wagner, 1813-1883 - L’anello del Nibelungo,
1876)
Dal dato reale alle suggestioni
musicali
• «[…] l’ideale della fusione delle arti in una realtà superiore che
di tutte raccolga i pregi e li conglobi in una nuova
manifestazione, ritrovamento felice di un’antica unità perduta…
dove parola e suono nascono nell’animo di un solo creatore e la
danza – intendendo in senso lato tutta la parte visiva dell’azione
scenica – viene particolarmente curata a costo di gravi sacrifici
e di imponenti ostacoli da superare… Ed intanto Wagner si
allontanava sempre deliberatamente dal genere tradizionale
dell’opera storica, [realizzando] il più opportuno linguaggio
musicale per rendere il fondamentale stato d’animo romantico
dell’anelito a qualcosa di irraggiungibile, di sperato o rimpianto,
comunque fuori dalla realtà del presente» (M. Mila).
Marxismo e decadentismo di fronte
alla società borghese
• Karl Marx e Friedrich Engels attaccano lo sfruttamento, la
riduzione dell’uomo a cosa;
• gli artisti attaccano la volgarità, il cattivo gusto del
borghese, i suoi angusti orizzonti che non vedono altro
che il guadagno e, se sfiorano l’arte, la concepiscono
didascalica, piattamente realistica, filistea.
• Quindi per entrambi rifiuto della società borghese, ma con
antitetiche conclusioni:
• politico-sociali per Marx ed Engels, come politico-sociale era
stato il rifiuto;
• estetiche per gli artisti, come di ordine estetico era stato il
rifiuto.
Marxismo e decadentismo di fronte
alla società borghese• L’estetismo si configura come fuga dalla realtà che si
realizza nei modi più vari:
• o nei baudelairiani paradisi artificiali
• o nella rarefatta clausura del romanzo A ritroso di
Huysmans,
• o nella raffinata e intellettualistica poesia simbolista,
• o, sul piano della vita concreta, nella fuga vera e propria
verso altri lidi (Rimbaud in Africa, Gauguin in Polinesia)
• o nel fare della propria vita un’opera d’arte impreziosendola
con esperienze ed atteggiamenti raffinati, snobistici, dandy
(come per Wilde e d’Annunzio).
Marxismo e decadentismo di fronte
alla società borghese• Temi ricorrenti:
• l’età di decadenza e di lussuria (identificate ad esempio negli ultimi
decenni della città di Bisanzio prima della conquista ottomana, cfr.
la rivista “Cronaca bizantina” e la cosiddetta ‘terza Roma’ o ‘Roma
bizantina’,
• la stanchezza dei sensi e, all’opposto, una certa componente
sadica nella rappresentazione dei rapporti tra uomo e donna (→
Algernon Charles Swinburne, 1837-1909: poesia che parla di
sadomasochismo, lesbismo, suicidio, irreligiosità ecc.),
• la femminilità perditrice e satanica: Salomè (tema trattato dal
pittore Moreau, da Huysmans, da Wilde), Erodiade, tutte le donne
dannunziane,
• la contemplazione della morte delle cose e della società (si arriverà
attraverso Thomas Mann sino al Gattopardo e ai compiacimenti di
certi film di Visconti).
Erodiade di Gustave Moreau
Il superomismo di Nietzsche (1844-1900)
• Al di là del bene e del male (1881)
• Così parlò Zarathustra (1883)
• Esaltazione delle seguenti componenti che messe insieme
formano lo «spirito dionisiaco» su cui si forma il
«superuomo»:
• la forza,
• l’Eros gioioso e libero,
• il vitalismo
• lo spirito agonistico e
• la volontà di potenza
Il superomismo di Nietzsche (1844-1900)
• La dialettica tra dionisiaco e apollineo in Nietzsche, che li definisce
partendo dai suoi studi sulla civiltà, l’arte e la cultura della Grecia
classica
• Il concetto di apollineo → è il tentativo di spiegare la realtà tramite
costruzioni mentali ordinate, negando il caos che è proprio della realtà
e non considerando l’essenziale dinamismo della vita
• Il concetto di dionisiaco → l’abbandonarsi alla vita in maniera vitalistica
e senza la pretesa di volerla capire. Dioniso (Bacco per i romani) è il
dio della musica, dei teatranti e dei baccanali, colui il quale
rappresenta l'impeto dei sensi laddove Apollo è l'armonia e l'equilibrio.
Legato a Dioniso è l'ebrezza che deriva dall'arte sensuale, ovvero la
musica e la danza. Lo spirito dionisiaco è dunque per Nietzsche lo
spirito gaio e entusiasta dell'uomo che dice «sì» alla vita, la quale ha i
tratti autentici dell'imprevisto, nell'irrazionale e nell'impeto sensuale.
Conseguenze del pensiero nietzschiano
• L’interpretazione delle teorie nietzschiane si
evolve – in Francia, in Germania e anche in Italia
– in posizioni nettamente antidemocratiche
(d’Annunzio).
• L’elaborazione del pensiero di Nietzsche introduce
nuovi motivi nel decadentismo, cioè:
• l’attivismo,
• il vitalismo che si esprime nel gesto eroico, per attuare
le componenti superumane del protagonista,
• la “disponibilità, la ricerca del rischio e dell’esperienza
di vita al di là del bene e del male.
La scoperta dell’inconscio di Freud
(1856-1939)• L’interpretazione dei sogni, 1900
• Nietzsche e Freud → espressioni della crisi vissuta
dalla civiltà decadente
• Ma Freud indica però una via d’uscita da questa crisi.
• Per Freud l’uomo agisce in base all’istinto, alle
pulsioni sessuali, la repressione delle quali porta alla
nevrosi.
• La liberazione dalla nevrosi avviene tramite la presa
di coscienza e quindi la consapevolezza dei
meccanismi che inibiscono l’esistenza.
• La consapevolezza, che è dominio della propria vita,
si raggiunge tramite la ragione.
La scoperta dell’inconscio di Freud
(1856-1939)• «La voce dell’intelletto è tenue ma non tace prima
di avere ottenuto udienza. Alla fine, sovente dopo
innumerevoli ripulse, trova ascolto. Questo è uno
dei pochi punti per cui si può essere ottimisti
sull’avvenire dell’umanità, ma in sé non è cosa da
poco e vi si possono riannodare altre speranze. Il
primato dell’intelletto è certo molto, molto lontano,
ma verosimilmente non a distanza infinita».
Il decadentismo in Italia
• Il declinare del verismo → 1881 = I Malavoglia,
ma anche Malombra; 1889 = Mastro don
Gesualdo, ma anche Il piacere
• Diverse forme d decadentismo in Italia:
• decadentismo pascoliano
• decadentismo dannunziano (dall’estetismo al
nietzschianesimo)
• decadentismo crepuscolare
• decadentismo pirandelliano e sveviano
• decadentismo delle avanguardie storiche
• decadentismo ermetico
Antonio Fogazzaro (1842-1911)
• Famiglia di stretta osservanza cattolica e
impegnata nelle lotte risorgimentali.
• Importante per la sua formazione: Giacomo
Zanella.
• Autori di riferimento: Prati, Aleardi, Hugo, Balzac
ecc.
• Laurea in legge (1864) ed esercizio
dell’avvocatura .
• 1866 → matrimonio con Margherita di Valmarana
• Dal 1869 si dà completamente alla letteratura.
Antonio Fogazzaro (1842-1911)
• Opere poetiche:
• Miranda (1874)
• Valsolda (1876)
• Romanzi di Fogazzaro:
• Malombra, 1881;
• Daniele Cortis, 1885;
• Il mistero del poeta,1888;
• Piccolo mondo antico, 1895;
• Piccolo mondo moderno, 1901;
• Il Santo, 1905;
• Leila, 1910.
Antonio Fogazzaro (1842-1911)
• Fogazzaro e il modernismo teologico
• Il santo → messo all’Indice;
• Leila → messo all’Indice
• Il paesaggio in Fogazzaro serve:
- o a evidenziare lo scontro tra le esigenze spiritualistico-
religiose e quelle legate alla sensualità,
- o a mettere in rilievo proprio la conflittualità fra il
sentimento religioso e le sollecitazioni filosofiche e
sociali che in quei tempi tendevano a far sentire angusti
i confini della fede tradizionale.
Antonio Fogazzaro (1842-1911)
• I personaggi e gli eroi di Fogazzaro sono:
- ambigui ed incerti;
- macerati nella inclemente autoanalisi;
- malati nella volontà per il vano tentativo di neutralizzare
le opposte suggestioni del misticismo ed erotismo, ideale
e reale;
- coscienti della loro sensibilità d’eccezione.
• «In Corrado Silla, il protagonista di Malombra,
comincia la malattia morale del decadentismo,
quella che arriverà sino ad Alberto Moravia»
Antonio Fogazzaro (1842-1911)
• Con Fogazzaro si inaugura quindi una tipologia di
romanzo che si allontana profondamente dalla
coeva narrativa verista;
• Questa distanza si misura anche dal
declassamento dei canoni veristici, usati
unicamente per la descrizione delle classi
popolari.
Malombra (1881)
• Tempo del racconto: 1864
• Luogo del racconto: Milano, in piccola parte,
soprattutto R. (lago del Segrino, tra Lecco e
Como + Villa Pliniana)
• Partizione del romanzo:
1ª parte: Cecilia (9 capitoli)
2ª parte: Il ventaglio rosso e nero (7 capitoli)
3ª parte: Un sogno di primavera (3 capitoli)
4ª parte: Malombra (8 capitoli)
Malombra (1881)
Malombra (1881)
• Personaggi:
• Marina Crusnelli di Malombra
• Corrado Silla
• Cesare d’Ormengo
• Cecilia Varrega
• Reazioni critiche:
• Il romanzo venne giudicato negativamente da
Salvatore farina, mentre venne elogiato proprio da
Verga
Malombra (1881)
• Biglietto di Verga a Fogazzaro datato 27
settembre 1881:
«Finisco ora di leggere Malombra e sento il
bisogno di esprimerle l’impressione alta e grande
che sento per l’opera e per l’autore. Malombra
parmi una delle più alte e delle più artistiche
concezioni romantiche che siano comparse ai
nostri giorni in Italia e fra tanti giudizi
contraddittorii che avrà visti del suo libro, le farà
piacere il sentire l’impressione ch’esso suscitò in
uno che segue un indirizzo artistico diverso dal
Suo»
Malombra (1881)
• Malombra romanzo d’idee;
• Malombra romanzo psicologico;
• Malombra romanzo dell’occulto:
• «Prima di scrivere Malombra, mi ero occupato di
occultismo: ero affascinato da una filosofia strana
nella quale il misticismo indiano si mescolava al
misticismo cristiano. Non ero del tutto convinto di
questa filosofia, c’era al fondo del mio essere un
nodo di resistenza, ma io ero preso dal suo
fascino».
Malombra (1881)
• Intermezzi comici e personaggi speculari:
• Contessa Fosca Salvador (cugina di Cesare d’Ormengo)
• Conte Nepomuceno Salvador (figlio di Fosca)
• Edith Steinnege (figlia del segretario del conte Cesare
d’Ormengo)
• La politica in Malombra, il conte Cesare:
• «Questo mio buon bisavo ha assaggiati e sputati i re,
come vedete. È per questo che io non ne ho mai voluto
rigustare, e credo non servirei un re, se non quando
dovessi scegliere tra lui e il canagliume democratico. Un
uomo di ferro, quello lì. Non c’è che principi e democrazie
per rompere e buttar via uno strumento simile. Uuh! Voi
non credete quello?»
Malombra (1881)
• La politica in Malombra, il conte Cesare:
• «Voi vedete dove ho scelta la mia dimora, tra le
manifestazioni più alte della natura, in mezzo ad una
magnifica aristocrazia che non è punto ricca, ma è
potente, vede molto lontano, difende le pianure,
raccoglie forza per la vita industriale del paese, genera
aria pura e vivificante, e non prende niente per tutti
questi benefizi, altro che la sua preminenza e la sua
maestà. Io non so se Voi capite ora qual è il mio ideale
politico e perché vivo fuor del mondo; res publica mea
non est de hoc mundo. Andiamo».
Malombra (1881)
• La politica in Malombra, il conte Cesare:
• «Egli era un fiero dispregiatore d'ogni cosa francese,
salvo che del vino di Borgogna e di Bordeaux. Alto
repubblicano, soleva dire che i Francesi fanno
all'amore con le idee belle e grandi, le guastano senza
rispetto come fantesche, e finalmente le piantano
malconce e svergognate per modo che gli altri perdono
la voglia di toccarle. Li detestava come inventori della
formola: liberté, egalité, fraternité, dove il secondo
termine, diceva lui, si caccia dietro al primo per
ammazzarlo a tradimento».
Malombra (1881)
• La politica in Malombra, Marina:
• «A lei la uguaglianza della chiesa ripugnava quanto a
suo zio la uguaglianza politica. Non era irreligiosa di
natura; pensava qualche volta che vi dovrebbe essere
una religione speciale per le classi più alte, una
religione liberissima, senza pratiche, quasi senza legge
morale o almeno con una legge morale trasformata,
dove al concetto del bene e del male fosse sostituito il
concetto meno volgare del bello e del brutto, del buono
e del cattivo gusto. Lo squisito intelletto della bellezza e
dell'armonia starebbe invece della coscienza morale; i
sensi non sarebbero combattuti, ma governati con
l'intelletto della loro poesia».
Malombra (1881)
• Il paesaggio in Malombra:• «Piccina, tutta bianca, a mezz’altezza fra il paesello e la chiesa,
ma alquanto in disparte, la canonica di R... volta le spalle al
monte e guarda, acquattata nel suo orticello fiorito, i prati che si
spandono fino al fiume. L’orto, quadrato, è chiuso da un
muricciolo basso. Dalie e rosai vi fan la guardia, lungo i cordoni
di bosso, agli erbaggi e ai legumi. Dietro alla casa ascende il
declivio erboso, ombreggiato da meli, peschi e ulivi. Le
stanzette sono pulite e chiare. Quelle della fronte hanno un
paradiso di vista. Il curato la fece ammirare a’ suoi ospiti con
grande compiacenza, mostrò loro il suo salotto, il suo studio
dove teneva parecchi cocci di tegami preistorici trovati in certi
scavi presso il lago e ch’egli stimava un tesoro».
Malombra (1881)
• Il personaggio di Marina. La biblioteca del conte:• «Non vi era un libro di scienza fisica tra moltissime opere forestiere e
nostrali di scienze occulte: dietro a libri d'ascetica o di teologia si
celavano opuscoli soverchiamente profani. La biblioteca deve la sua
fama a copiose e bellissime edizioni antiche di classici greci e latini,
non che a un ricchissima collezione di novellieri italiani, di scritti
matematici e d'arte militare, tutti anteriori all'Ottocento. Il conte Cesare
scompigliò la raccolta dei classici greci e latini; cacciò i filosofi e i
teologi verso le nuvole, come diceva lui, si tenne sotto la mano storici
e moralisti; fece incassare e gittare in un magazzino umido i novellieri
e i poeti, tranne Dante, Alfieri e le canzoni piemontesi di Angelo
Brofferio. Vennero a prenderne il posto parecchie opere straniere di
soggetto storico, politico o anche puramente statistico, per lo più
inglesi; nessun libro entrò sotto il regime del conte che trattasse di
letteratura, né d'arte, né di filosofia, né di economia pubblica; quasi
nessuno che venisse di Germania, perché egli non sapeva il
tedesco».
Malombra (1881)
• Il personaggio di Marina. La sua biblioteca:• «D’inglese non aveva che Byron e Shakespeare in magnifiche
edizioni illustrate, regali di suo padre, Poe e tutti i romanzi di Disraeli,
suo autore favorito. Di tedeschi non ne aveva alcuno. Il solo libro
italiano era una Monografia storica della famiglia Crusnelli pubblicata
in Milano per le nozze del marchese Filippo, nella quale si facean
risalire le origini della famiglia a un signore Kerosnel venuto in Italia al
seguito della prima moglie di Giovan Galeazzo Visconti, Isabella di
Francia contessa di Vertu. C’era pure un Dante, ma nella tonaca
francese dell’abate di Lamennais, che lo rendeva molto più simpatico
a Marina, diceva lei. Non le mancava un solo romanzo della Sand; ne
aveva parecchi di Balzac; aveva tutto Musset, tutto Stendhal, le
Fleurs du mal di Baudelaire, René di Chateaubriand, Chamfort,
parecchi volumi dei Chefs d'oeuvre des littératures étrangères o dei
Chefs d'oeuvre des littératures anciennes pubblicati dall'Hachette,
scelti da lei con uno spirito curioso e poco curante di certi pericoli;
parecchi fascicoli della Revue des deux Mondes».
Malombra (1881)
• Il personaggio di Marina:• «Dall’ampio accappatoio usciva, come da una nuvola
bianca, il collo sottile, elegante, e fra due fiumi di capelli
biondo-scuri, ove lucevano due grandi occhi penetranti, fatti
per l'impero e per la voluttà. Il viso, il collo, il seno, di cui si
vedeva una riga tra il bianco, avevano lo stesso pallore
caldo. Si guardò un momento, si gittò alle spalle con una
scrollata di testa i due fiumi di capelli e chi sa quanti pensieri
torbidi, andò a posar la candela sul tavolino da notte,
picchiando forte il marmo con l'argento, come per fare
oltraggio al silenzio e alla solitudine».
• «[...] amava le onde e la tempesta [...]. La solitudine stessa,
la tristezza del vecchio Palazzo, pigliavano fra le pareti della
sua camera un che di fantastico e di patetico [...]».
Malombra (1881)• Il personaggio di Marina:
• Giulia, io non ho ancora conosciuto un uomo degno
d’essere amato da me, ma io amo l'amore, i libri e la
musica che ne parlano.
• «[...] amava le onde e la tempesta [...]. La solitudine
stessa, la tristezza del vecchio Palazzo, pigliavano fra
le pareti della sua camera un che di fantastico e di
patetico [...]».
Malombra (1881)• Il personaggio di Marina:
• L'umore di Marina era dei più mutabili. Da lunghe ore di
calma taciturna passava ad impeti di nervoso brio. Civettava
un momento con Nepo a segno di stordirlo, di levarlo da
terra; poi non lo guardava più, non gli rispondeva. Viveva, si
può dire, d'aria; e non era mai stata così bella. Sotto le due
bende ondulate di capelli che scendevano curve fin presso
le sopracciglia, quasi a nascondere un segreto pensiero, i
suoi grandi occhi gittavano fuoco assai più spesso del solito.
Nella sua persona, musica inesprimibile di curve armoniose
dall'orecchio finissimo alla punta del piede arcuato, si
vedeano alternarsi l'energia e il languore di una vita
nervosa, esuberante. Insomma ella era come un nodo di
ombra, di luce e di elettrico; che cosa chiudesse, nessuno lo
sapeva.
Malombra (1881)• Il personaggio di Marina:
• Questo concetto di una seconda esistenza terrena aveva esso
almeno qualche cosa di originale che potesse far sospettare
un'ispirazione superiore, far prendere sul serio le visioni di
Cecilia? No, era una ipotesi antica come il mondo, notissima,
che l’infelice poteva assai facilmente avere udita o letta, che
aveva trovato, al dì del dolore, nella propria memoria. Allora
essa l’aveva afferrata, ne aveva tratto il suo ristoro, ne aveva
vissuto: l’idea era diventata, a questo modo, sangue del suo
sangue. Visioni? Le pareti avevano risposto alla povera
demente ciò ch’ella chiedeva loro con la più grande energia di
volontà e di immaginazione. Avean risposto con fuoco, sì. Con
chiarezza? No. Che significavano i capelli, il guanto, lo
specchio? perché far paragonare la mano, i capelli morti con la
mano e i capelli vivi? Sperava costei di rinascere o di risorgere?
[…]
Malombra (1881)
• Il personaggio di Marina:• […] Non ricordava Camogli né Genova, Renato né Pellegrina
Concetta, non un giorno della esistenza precedente, non un'ora;
ma quanti istanti! Quante volte non le era balenata la ricordanza di
istanti perduti fra le tenebre d'un passato ignoto! Quella sera
stessa, le campane! Le corse un ghiaccio pel sangue,
un'oppressione indicibile la strinse alla gola. Ebbe allora lo
sgomento di affogare, l'istinto di salvarsi. Abbracciò quest'idea che
non poteva esser lei Cecilia, perché c'era del sangue d'Ormengo
nelle sue vene; ma il cuore implacabile disse: “No, che importa il
sangue? Tu odii, hai sempre odiato tuo zio, la vendetta è più
squisita così; Dio, perché tu la compia meglio, ti ha posto dentro,
irriconoscibile, alla famiglia del nemico».
• La detective story• “Ebbene, io sono convinto che l’altra notte una donna, una Cecilia,
è entrata nella stanza del conte Cesare e lo ha spaventato, lo ha
irritato a morte.”
Malombra (1881)• Il personaggio di Corrado:
• «Abbiamo nel palazzo un principe nero, un piccolo borghese in
apparenza...mostra una trentina d'anni, non è bello, ma neanche si
può dir brutto; ha degli occhi non privi di intelligenza.... A me è
antipatico, odioso, odiosissimo».
• «Vide in se stesso tutta la occulta via di un pensiero, dai giorni
dell'adolescenza sino a quel momento. Aveva cominciato da una
dolce malinconia, dal desiderio vago di una patria lontana: era
diventato poscia presentimento fugace, quindi sospetto sempre
combattuto, sempre più gagliardo, sempre coperto di segreto come
qualche lento male orribile che ci rode, di cui si vede il nome col
pensiero e non vogliamo confessarlo mai; prevaleva finalmente, alla
volontà, diventava un ragionamento irrefutabile, una sentenza
opprimente in tre parole: INETTO A VIVERE. Silla se le vedeva
dentro chiare queste tre parole, e il fantasma sorrideva sempre, si
avvicinava, gli procedeva pesante su per la persona, con gli occhi
sbarrati, mettendogli un gelo nelle ossa, fermandogli il respiro.
Quando giunse al cuore, Silla non vide né intese più nulla»
Malombra (1881)
• Il personaggio di Corrado:• «Inetto alle opere grandi che vagheggiava, alle piccole che lo
premevano, a farsi amare, a vivere».
• «La gente cominciava a spesseggiare, crescevano gli splendori
dei negozi, lo strepito delle carrozze. Alzò la testa e affrettò il
passo. Gli saliva dentro una foga d'orgoglio non del tutto insolita in
lui che in tali condizioni di spirito cercava, godeva la folla per la
voluttà acuta di sentirsele ignoto e di disprezzarla, di dominarla col
pensiero. Trovatosi a un tratto sul corso Vittorio, si gettò nel fiume
della gente».
Malombra (1881)
• Il personaggio di Corrado:• «Stava ora lavorando a un saggio sull'ipocrisia. Inconscio seguace
d'idee preconcette e assolute, voleva dimostrarvi che la menzogna
e la debolezza morale sono caratteristiche di questo tempo, salvo
a dedurne in seguito che discendono dalle sue tendenze
positiviste, ossia dall'essersi oscurato nelle anime il principio
metafisico del vero; e che le verità conquistate nell'ordine fisico,
infinitesimali raggi di quel principio, non hanno né possono avere il
menomo valore di sostituirlo quale generatore di salute morale.
Molto più grave gli pareva questo prosperare della menzogna in
tanta libertà di parola e d'azione. Perché ne trovava infetta la vita
sociale e politica, come le arti, le lettere e le industrie stesse, nelle
quali discende a complice abbietta d'inganno persino la scienza».
Joris-Karl Huysmans, A ritroso
(1884)
• Elio Vittorini sul «Politecnico» nel 1946:• «[La letteratura in crisi] è intrisa di individualismo
e di decadentismo. Ma è anche carica della
necessità di uscirne, ed è ricerca per uscirne… I
suoi motivi borghesi sono motivi di vergogna
d’essere borghesi e di disperazione d’essere
borghesi».
Joris-Karl Huysmans, A ritroso
(1884)
• Huysmans, Prefazione dell’autore scritta vent’anni dopo il
romanzo
• «Cercavo vagamente di sfuggire da una strada chiusa in cui
soffocavo, ma non avevo alcun piano prestabilito, e A ritroso, che mi
liberò da una letteratura senza uscita dandomi nuova aria, è opera
del tutto inconsapevole, immaginata, senza idee preconcette, senza
segrete intenzioni per un futuro, insomma senza nulla di simile. […]
A una cosa soprattutto tendevo in quel tempo: sopprimere l’intreccio
tradizionale, perfino la passione e la donna, concentrare il fascio di
luce su di un solo personaggio, fare a ogni costo del nuovo. […]
Bisogna pur confessarlo: nessuno capiva l’animo umano meno dei
naturalisti che si proponevano di osservarlo. Vedevano l’esistenza
tutta d’un pezzo; l’accettavano solo condizionata a elementi
verosimili; e ho imparato in seguito, per esperienza, che
l’inverosimile non è sempre, nel mondo, un’eccezione […]».
Joris-Karl Huysmans, A ritroso
(1884)• Huysmans, Prefazione dell’autore scritta vent’anni dopo il
romanzo
• «[…] ogni capitolo diveniva la sintesi di una specialità, il concentrato
di un’arte diversa; si condensava in un’essenza di pietre preziose, di
profumi, di fiori, di letteratura religiosa e laica, di musica profana e
sacra».
Joris-Karl Huysmans, A ritroso
(1884)• Huysmans, Prefazione dell’autore scritta vent’anni dopo il
romanzo:
il capitolo sui colori
il capitolo sulla letteratura latina della decadenza
il capitolo sulle pietre preziose
il capitolo sulla pittura
il capitolo sulla lussuria
il capitolo sul sacrilegio
il capitolo sui fiori
il capitolo sugli odori
i capitoli sulla letteratura laica e religiosa contemporanea
il capitolo sull’arte profana
il capitolo sul canto sacro
Joris-Karl Huysmans, A ritroso
(1884)• Chi è Des Esseintes (Notizia dell’autore alla prima
edizione):
• «A giudicare dai pochi ritratti di famiglia conservati nel castello di
Lourps, i Floressas des Esseintes discendevano nei tempi da atletici
soldatacci, da arcigni armigeri. Stretti, pigiati nelle vecchie cornici
che sbarravano con le gagliarde spalle, essi intimidivano con la
fissità dello sguardo, coi baffoni a scimitarra, con la possanza del
petto che s'avanzava a riempire l'enorme guscio della corazza».
• «La decadenza di quell'antica famiglia aveva evidentemente seguìto
il suo corso fatale; l'infemminirsi della linea maschile s'era andato via
via accentuando. Quasi a precipitare l'opera del tempo, durante dei
secoli i Des Esseintes avevano accoppiato i figli fra loro,
consumando quel po' di forza di cui ancora disponevano in unioni fra
consanguinei».
Joris-Karl Huysmans, A ritroso
(1884)• Chi è Des Esseintes (Notizia dell’autore alla prima edizione):
• «Tetra era stata la sua infanzia. Minacciato da scrofole, insidiato da
febbri ostinate, era riuscito tuttavia, a forza di cure e di vita all'aperto,
a superare le secche della pubertà; allora i nervi avevano preso il
sopravvento, avuto ragione dei languori e delle prostrazioni
dell'anemia e condotto a buon esito la crescenza»..
• Chi è Des Esseintes (Capitolo I):
• «Quasi solo di notte viveva, stimando che di notte in nessun luogo si
stava bene come in casa, in nessun luogo era più solo e che l'anima
non spiccava il volo e non fiammeggiava che nell'immediata
vicinanza dell'ombra. Trovava pure un particolare godimento a
restare in una camera bene illuminata, desta e all'erta essa sola, tra
tante case piene di buio e di sonno; godimento in cui entrava forse
una punta di vanità; compiacimento affatto egoistico, che conosce chi
lavora sin tardi, quando, alzando le tendine della finestra, constata
che tutto intorno a lui è spento, tutto è muto, tutto è morto».
Joris-Karl Huysmans, A ritroso
(1884)
• Equazione fondamentale sulla quale poggia
tutto il romanzo:
• Disgusto dell’umanità → fuga dalla realtà →
creazione di un mondo fittizio → malattia
Joris-Karl Huysmans, A ritroso
(1884)«Quei ritrosi fidanzati, quelle eroine protestanti
accuratamente accollate, si amavano fra le nuvole, si
limitavano ad avvallare gli occhi, a farsi di porpora, a
lacrimare di felicità, stringendosi a vicenda le mani.
All’istante, quell'esagerata pudibonderia lo fece balzare al
polo opposto; per legge di contrasto, saltato il fosso, cercò
scampo in ricordi piccanti, in visioni corpose; pensò ad
accoppiamenti frenetici, a bocche che si mescolano, a baci
in cui le lingue s'incontrano, a quei baci che il riserbo
ecclesiastico designa col nome di colombini».
Jan Luyken (1649-1712)
• «Di questo artista, lunatico e macabro, impetuoso e
selvaggio, Des Esseintes possedeva la serie delle
Persecuzioni religiose: raccapriccianti tavole che facevano
passare sott’occhio tutte le torture che la follia delle religioni
ha inventato; tavole nelle quali urlava lo spettacolo
dell’umano patire: corpi rosolati su bracieri, crani
scoperchiati da spade, trapanati da chiodi, morsi da seghe;
intestini dipanati dal ventre, avvolti su rocchetti; unghie
lentamente estirpate con tenaglie, pupille accecate,
palpebre rovesciate e imbullettate; arti slogati, infranti pezzo
per pezzo, ossa messe a nudo, accuratamente scarnificate
con lame».
Jan Luyken
Jan Luyken
Jan Luyken
Joris-Karl Huysmans, A ritroso
(1884)«“Come un maremoto, i flutti della umana mediocrità
arrivano al cielo. Un momento ancora e inghiottiranno il
porticciolo di cui io stesso apro le dighe. Ah che mi manca il
coraggio e il cuore mi si spezza! Signore, abbiate pietà del
cristiano che dubita, dell’incredulo che vorrebbe credere, del
forzato della vita che s’imbarca solo nella notte, sotto un
firmamento non rischiarato più dai consolanti fari dell’antica
speranza!”».
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)
- Prima fase dannunziana o periodo romano (1881-
1891): la nascita dell’estetismo;
- Seconda fase dannunziana (1891): la stanchezza
e il desiderio di rinascita
- Terza fase (dal 1892): l’invenzione del
superuomo
- Quarta fase: d’Annunzio panico e notturno
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)
- Seconda fase, caratteristiche dell’eroe decadente
dannunziano:
a) raffinato e gelido
b) cultore solo di quel bello che attraverso l’artificio si è
distaccato dalla piatta dimensione naturale: estetismo
c) aristocratico spregiatore del grigio diluvio democratico
e dell’avanzare impetuoso delle masse, che
sommergono con la loro brutalità tante cose belle e
raffinate
d) protagonista di relazioni sentimentali complesse,
travagliate, denotate da forti connotazioni passionali
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)
- Terza fase. Nel teatro dannunziano (La città morta; La
Gioconda, La Gloria, La Nave) si celebrano:
a) la morale superumana in uno sfondo compiaciuto di
preziosità archeologiche e mitologiche
b) l’esaltazione della lussuria e del sangue, della
violenza e del sacrilegio
c) l’esaltazione di un ideale femminile contraddistinto da
una passionalità sensuale, bramosa e istintuale. Il
modello di personaggio femminile dannunziano è
dunque una donna satanica e stregonesca
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)
- Terza fase. Le Laudi del cielo, del mare, della terra e
degli eroi:
1°: Maia (1903) il poeta esalta un superomistico ardore
di sperimentazioni e di avventura
2°: Elettra (1903) è dedicato alla celebrazione degli eroi
e risuona tutto di poesia patriottica
4°: Merope (1912) contiene la Canzone della guerra
d’oltremare, cioè la celebrazione della conquista della
Libia
5°: Asterope (postuma) esalta circostanze ed eventi
della Prima guerra mondiale
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)
- Quarta fase. Alcyone (1903) e il d’Annunzio panico e
notturno.
→ Il terzo libro delle Laudi, Alcyone (1903), ha una
fisionomia un po’ diversa dagli altri.
→ È questa forse la poesia più bella, sentita e
sincera di d’Annunzio, quella nella quale l’autore
esprime le proprie emozioni e i propri sentimenti
con una sincerità e una limpidezza inusuali.
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)
a) In Alcyone manca sia la dimensione superumana che caratterizza gli altri libri
delle Laudi, sia quella tribunizia da poeta vate che rievoca le glorie passate e
celebra le gesta eroiche del presente.
b) Sostanzialmente la raccolta è una celebrazione della natura, ma priva sia del
vitalismo che abbiamo visto contraddistinguere le prime raccolte (cfr. Canto
novo), sia di quella disposizione al languido e manierato abbandono che
caratterizza il Poema paradisiaco.
c) Prevale in Alcyone un tono che si potrebbe definire equilibrato fra queste due
istanze, ossia fra il Canto novo e il Poema paradisiaco: un rapporto con la
natura realizzato con una con una sensualità quasi casta, grazie alla quale
ogni dato sensoriale si alleggerisce e purifica e il paesaggio diventa
veramente uno stato d’animo. Alcyone rappresenta un magico momento di
tregua dell’autore dalla tensione della costruzione del modello di eroe
superuomo e tribuno.
Gabriele d’Annunzio
(1863-1938)→ Questo atteggiamento di tregua riscontrabile in Alcyone apre la strada a quella
fase che la critica recente definisce “notturna”. Questa definizione deriva
dall’opera intitolata appunto Notturno che d’Annunzio scrisse nel 1916,
quando a causa di una ferita agli occhi fu costretto a vivere nell’immobilità e al
buio per un certo tempo.
→ Caratterizzano quest’opera l’uso costante di brevi periodi, l’assenza di un vero
e proprio disegno narrativo, il prevalere di una prosa lirica e impressionistica
e, infine, il tema di fondo che è un senso cupo del finire delle cose e la
presenza della morte.
→ Fortemente in contrasto, dunque, con i moduli narrativi e poetici precedenti, il
Notturno si ricollega però ai moduli poetici che d’Annunzio aveva iniziato a
sperimentare proprio con Alcyone.
→ Notturno è composto da prose, confessioni e ricordi caratterizzati da una
spiccata disposizione di interiore ripiegamento che approda alla cupa
malinconia di un fallimentare bilancio esistenziale, e quindi si colloca al
culmine di una fase poetica ed esistenziale già iniziata alcuni anni prima.
Il Piacere (1889)
- Scritto in 6 mesi (26 luglio 1888-10 gennaio
1889) a Francavilla a Mare in Abruzzo (c/o
Francesco Paolo Michetti, l’amico «tanto grande
conoscitore di anime quanto grande artefice di
pittura»)
- Svolta decadente intorno alla metà del 1884:
Intermezzo di rime (1883) → Baudelaire e Gautier
- 1885: d’Annunzio alla direzione della «Cronaca
Bizantina» → estetica preraffaellita
Cronaca Bizantina
Il Piacere (1889)
- Da una lettera del 1887: «dramma di alta
passione» con tre personaggi «due donne
e un uomo, tutti e tre eletti di mente e di
spirito».
- Importanza delle esperienze giornalistiche
- Andrea Sperelli come erede della figura del
dandy baudelairiano.
Il Piacere (1889): Sperelli erede della
figura del dandy
Il Piacere (1889)
- Influenzato da: Huysmans, fratelli
Goncourt, Joséphin Péladan, Paul Bourget
ecc.
Il Piacere (1889)- Per d’Annunzio, in questo periodo, l’arte va intesa
come «verità perseguita con metodo»
- «Questo fondamentale errore letterario dei
romanzieri naturalisti proviene da un errore
scientifico. Essi credono che le cose esteriori
esistano fuori di noi, indipendentemente, e che
quindi dovrebbero avere per tutti li spiriti umani
medesima apparenza».
Il Piacere (1889)
Maria Hardouin di Gallese Barbara Leoni
- Dualismo: Elena Muti vs. Maria Ferres
- Tecnica della duplicazione (dualismo) → tecnica
della ripetizione
StrutturaDiviso in 4 libri:
I (5 capp.)
II (4 capp.)
III (4 capp.)
IV (3 capp.)
Tempo del racconto:
la vicenda inizia il 31 gennaio 1886, buona parte del
romanzo è occupata da un lungo flashback;
Sperelli arriva a Roma nel settembre del 1884;
viene lasciato da Elena il 25 marzo 1885;
la vicenda si conclude il 20 giugno 1887.
- Personaggi:
Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta
Elena Muti duchessa di Scerni
Lord Humphrey Heathfield
Marchesa d’Ateleta (cugina dello Sperelli)
Giannetto Rùtolo
Maria Ferres
- Dedicatoria:
A Francesco Paolo Michetti
Struttura e vicenda:
L’opera è composta di 4 libri
Libro primo, diviso in 5 capitoli:
presentazione del protagonista nel momento in cuiincontra Elena dopo quasi due anni diseparazione;
lungo flashback sulla vicenda d’amore;
dopo essere stato lasciato da Elena, Andrea si dàa una lunga serie di altre relazioni nelle qualicerca di rievocare l’antica amante attraverso ilcorpo di altre donne;
tentando di sedurre donna Ippolita Albonico,Andrea entra in contrasto con Giannetto Rùtolo;duello con Rùtolo: Andrea viene ferito.
Struttura e vicenda
Libro secondo, diviso in 4 capitoli:
la convalescenza di Andrea a villa Schifanoja,residenza immaginaria sulla costa dell’Adriatico,ospite della cugina marchesa d’Ateleta;
Incontro con Maria Ferres, di cui Andreas’innamora ricambiato;
lunghe descrizioni paesaggistiche dedicate almare e alla spiaggia: questi due ambientinaturali sono presenti in diversi romanzi diD’Annunzio (Il trionfo della morte) erappresentano il tentativo di molti protagonisti dirinnovarsi interiormente e di riconciliarsi con sestessi in uno spazio incontaminato e lontanodalle mistificazioni della civiltà urbana.
Struttura e vicenda
Libro terzo, diviso in 4 capitoli:
Rientro di Andrea a Roma e ricaduta nel mondomondano intriso di raffinatezza estetica e dicorruzione morale;
questo ambiente soverchia il sentimento d’amoredi Andrea per Maria e lo trasforma in purodesiderio fisico e in mero istinto di possesso;
a peggiorare le cose viene il ritorno di Elena aRoma in compagnia dal marito Lord HumphreyHeathfield;
Andrea è dilaniato tra due amori e due donnecompletamente diverse: Elena e Maria.
Struttura e vicenda
Libro quarto, diviso in 3 capitoli:
Andrea sovrappone sempre di più le immagini
delle due donne e alla fine, dilaniato
internamente dal fatto che Elena continua la sua
vita ignorandolo, ne invoca il nome mentre si
trova tra le braccia di Maria;
il romanzo si conclude con la vendita all’asta dei
mobili del palazzo di Maria Ferres, causata dal
fallimento del marito, e con Andrea che si aggira
smarrito per le stanze oramai vuote.
Andrea Sperelli
Il conte Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta, unico erede,
proseguiva la tradizione familiare. Egli era, in verità, l’ideal
tipo del giovine signore italiano nel XIX secolo, il legittimo
campione d’una stirpe di gentiluomini e di artisti eleganti,
l’ultimo discendente d’una razza intellettuale. Egli era, per
così dire, tutto impregnato di arte. La sua adolescenza,
nutrita di studi varii e profondi, parve prodigiosa. Egli alternò,
fino a’ vent’anni, le lunghe letture coi lunghi viaggi in
compagnia del padre e poté compiere la sua straordinaria
educazione estetica sotto la cura paterna, senza restrizioni e
constrizioni di pedagoghi. Dal padre appunto ebbe il gusto
delle cose d’arte, il culto spassionato della bellezza, il
paradossale disprezzo de’ pregiudizi, l’avidità del piacere.
(Libro I, cap. II)
Tutto penetrato e imbevuto di arte, non aveva ancora
prodotto nessuna opera notevole. (cap. II)
Nel tumulto delle inclinazioni contraddittorie egli aveva
smarrito ogni volontà ed ogni moralità. La volontà abdicando,
aveva ceduto lo scettro agli istinti; il senso estetico aveva
sostituito il senso morale. Ma codesto senso estetico
appunto, sottilissimo e potentissimo e sempre attivo, gli
manteneva nello spirito un certo equilibrio; così che si poteva
dire che la sua vita fosse una continua lotta di forze contrarie
chiusa ne’ limiti di un certo equilibrio. (Libro I, cap. II)
In casa della marchesa d’Ateleta sua cugina, sopra un albo di
confessioni mondane, accanto alla domanda «Che cosa
vorreste voi essere?» egli aveva scritto «principe romano».
Giunto a Roma in sul finire di settembre del 1884, stabilì il suo
home nel Palazzo Zuccari alla Trinità de’ Monti, su quel
dilettoso tepidario cattolico dove l’ombra dell’obelisco di Pio VI
segna la fuga delle Ore. Passò tutto il mese di ottobre tra le
cure degli addobbi; poi, quando le stanze furono ornate e
pronte, ebbe nella nuova casa alcuni giorni d’indicibile
tristezza. Era una estate di San Martino, una primavera de’
morti grave e soave, in cui Roma adagiatasi, tutta quanta d’oro
come una città dell’Estremo Oriente, sotto un ciel quasi latteo,
diafano come i cieli che si specchiano ne’ mari australi. Quel
languore dell’aria e della luce, ove tutte le cose parevano quasi
perdere la loro realtà e divenire immateriali, mettevano nel
giovine una prostrazione infinita, un senso inesprimibile di
scontento, di sconforto, di solitudine, di vacuità, di nostalgia.
(Libro I, cap. II)
Roma era il suo grande amore: non la Roma dei Cesari ma la
Roma dei Papi; non la Roma degli Archi, delle Terme, dei
Fori, ma la Roma delle Ville, delle Fontane, delle Chiese. Egli
avrebbe dato tutto il Colosseo per la Villa Medici, il Campo
Vaccino per la Piazza di Spagna, l’Arco di Tito per la
Fontanella delle Tartarughe. La magnificenza principesca dei
Colonna, dei Doria, dei Barberini l’attraeva assai più della
ruinata grandiosità imperiale. E il suo gran sogno era di
possedere un palazzo incoronato da Michelangelo e istoriato
dai Carracci, come quello Farnese; una galleria piena di
Raffaelli, di Tiziani, di Domenichini, come quella Borghese;
una villa, come quella d’Alessandro Albani, dove i bussi
profondi, il granito rosso d’Oriente, il marmo bianco di Luni, le
statue della Grecia, le pitture del Rinascimento, le memorie
stesse del luogo componessero un incanto intorno a qualche
suo superbo amore. (Libro I, cap. II)
Roma nel Piacere
La Roma dell’amore;
la Roma delle ville nobiliari;
la Roma del dissidio interiore e della morte;
la Roma fantastica e indeterminata,
trasfigurata in dimensione onirica
dell’esistenza;
la Roma degli altri: il popolo;
la Roma della speculazione.
La Roma dell’amore
Essi comprendevano l’alto grido del poeta:
«Eine Welt zwar bist Du, o Rom! Tu sei un
mondo, o Roma! Ma senza l’amore il
mondo non sarebbe il mondo, Roma
stessa non sarebbe Roma». E la scala
della Trinità de’ Monti glorificata dalla lenta
ascensione del Giorno, era la scala della
Felicità, per l’ascensione della bellissima
Elena Muti. (Libro I, cap. IV)
La Roma delle ville nobiliari
Per essi Roma s’illuminava d’una voce novella. Ovunquepassavano, lasciavano una memoria d’amore. […] Le villedei cardinali e dei principi: la Villa Pamphily, che si rimiranelle sue fonti e nel suo lago tutta graziata e molle, oveogni boschetto par chiuda un nobile idillio ed ove i balaustrilapidei e i fusti arborei gareggian di frequenza; la villaAlbani, fredda e muta come un chiostro, selva di marmieffigiati e museo di bussi centenarii, ove dai vestiboli e daiportici, per mezzo alle colonne di granito, le cariatidi e leerme, simboli d’immobilità, contemplano l’immutabilesimmetria del verde; e la Villa Medici che pare una forestadi smeraldo ramificante in una luce soprannaturale; e laVilla Ludovisi, un po’ selvaggia, profumata di viole,consacrata dalla presenza della Giunone cui Wolfgangadorò, ove in quel tempo i platani d’Oriente e i cipressidell’Aurora, che parvero immortali, rabbrividivano nelpresentimento del mercato e della morte; tutte le villegentilizie, sovrana gloria di Roma, conoscevano il loroamore. (Libro I, cap. IV)
la Roma del dissidio interiorePioveva. Per qualche tempo, egli rimase con la fronte contro i vetridella finestra a guardare la sua Roma, la grande città diletta, cheappariva in fondo cinerea e qua e là argentea tra le rapidealternative della pioggia spinta e respinta dal capriccio del vento inun’atmosfera tutta egualmente grigia, ove ad intervalli si diffondevaun chiarore, subito dopo spegnendosi, come un sorridere fugace.La Piazza della Trinità de’ Monti era deserta, contemplatadall’obelisco solitario. Gli alberi del viale lungo il muro checongiungeva la chiesa alla Villa Medici, si agitavano già seminudi,nerastri e rossastri al vento e alla pioggia. Il Pincio ancoraverdeggiava, come un’isola in un lago nebbioso. Egli, guardando,non aveva un pensiero determinato, ma un confuso viluppo dipensieri; e gli occupava l’anima un sentimento soverchiante ognialtro: il pieno e vivace risveglio del suo vecchio amore per Roma,per la dolcissima Roma, per l’immensa augusta unica Roma, per lacittà delle città, per quella ch’è sempre giovine e sempre novella esempre misteriosa, come il mare. Pioveva, pioveva. Sul MonteMario il cielo si oscurava, le nuvole si addensavano, diventavanod’un color ceruleo cupo d’acqua raccolta, si dilatavano verso ilGianicolo, si abbassavano sul Vaticano. La cupola di San Pietrotoccava con la sommità quell’enorme adunazione e parevasostenerla, simile a una gigantesca pila di piombo. (Libro III, cap. I)
la Roma della morte
La città giaceva estinta, come sepolta
dalla cenere d’un vulcano invisibile,
silenziosa e funerea come una città
disfatta da una pestilenza, enorme,
informe, dominata dalla Cupola che le
sorgeva dal grembo come una nube.
(Libro IV, cap. I)
la Roma fantastica e indeterminata, trasfigurata in
dimensione onirica dell’esistenza
Era una notte di gennaio fredda e serena, una di
quelle prodigiose notte iemali che fanno di
Roma una città d’argento chiusa in una sfera di
diamante. La luna piena, a mezzo del cielo,
versava la triplice purezza della luce, del gelo e
del silenzio. (Libro III, cap. II)
La Trinità de’ Monti splendeva nell’azzurro con
lineamenti netti, come intagliata in un marmo
appena roseo. Roma, sotto, aveva un luccicor
cristallino, come una città scavata in un
ghiacciaio. (idem)
la Roma fantastica e indeterminata, trasfigurata in
dimensione onirica dell’esistenza
Splendeva su Roma, in quella memorabile notte di febbraio,un plenilunio favoloso, di non mai veduto lume. L’aria parevaimpregnata come d’un latte immateriale; tutte le coseparevano esistere d’una esistenza di sogno, parevano imaginiimpalpabili come quelle d’una meteora, parevan esser visibilidi lungi per un irradiamento chimerico delle loro forme. Laneve copriva tutte le verghe dei cancelli, nascondeva il ferro,componeva un’opera di ricamo più leggera e più gracile d’unafiligrana, che i colossi ammantati di bianco sostenevano comele querci sostengono le tele dei ragni. Il giardino fioriva asimilitudine d’una selva immobile di gigli enormi e difformi,congelato; era un orto posseduto da una incantazionelunatica, un esanime paradiso di Selene. Muta, solenne,profonda, la casa dei Barberini occupava l’aria: tutti i rilievigrandeggiavano candidissimi gittando un’ombra cerulea,diafana come una luce; e quei candori e quelle ombresovrapponevano alla vera architettura dell’edifizio il fantasmad’una prodigiosa architettura ariostea. (Libro III, cap. III)
la Roma degli altri: il popoloCome i due entrarono, nella gente dell’osteria nonavvenne alcun moto di meraviglia. Tre o quattro uominifebricitanti stavano intorno a un braciere quadrato,taciturni e giallastri. Un bovaro, di pel rosso,sonnecchiava in un angolo, tenendo ancora fra i denti lapipa spenta. Due giovinastri, scarni e biechi, giocavano acarte, fissandosi negli intervalli con uno sguardo pienod’ardor bestiale. E l’ostessa, una femmina pingue,teneva fra le braccia un bambino, cullandolopesantemente. Mentre Elena beveva l’acqua nelbicchiere di vetro, la femmina le mostrava il bambino,lamentandosi. «Guardate, signora mia! Guardate,signora mia!» Tutte le membra della povera creaturaerano di una magrezza miserevole; le labbra violaceeerano coperte come di grumi lattosi. Pareva quasi che lavita fosse di già fuggita da quel piccolo corpo, lasciandouna materia su cui ora le muffe vegetavano. (Libro I, cap.I)
La Roma della speculazioneRoma splendeva, nel mattino di maggio, abbracciata dal
sole. Lungo la corsa, una fontana illustrava del suo risoargenteo una piazzetta ancor nell’ombra; il portone d’unpalazzo mostrava il fondo d’un cortile ornato di portici estatue; dall’architrave barocco d’una chiesa di travertinopendevano i paramenti del mese di Maria. Sul ponteapparve il Tevere lucido fuggente tra le case verdastre,verso l’isola di San Bartolomeo. Dopo un tratto di salita,apparve la città immensa, augusta, radiosa, irta dicampanili, di colonne e d’obelischi, incoronata di cupolee di rotonde, nettamente intagliata, come un’acropoli, nelpieno azzurro. «Ave, Roma. Morituri te salutant» disseAndrea Sperelli, gittando il residuo della sigaretta versol’Urbe. […] Erano nella villa Sciarra, già per metàdisonorata dai fabbricanti di case nuove; e passavano inun viale di lauri alti e snelli, tra due spalliere di rose.(Libro I, cap. V)
La prospettiva ideologica
Sotto il grigio diluvio democratico odierno,
che molte belle cose e rare sommerge
miseramente, va anche a poco a poco
scomparendo quella special classe di antica
nobiltà italica, in cui era tenuta viva di
generazione in generazione una certa
tradizione familiare d’eletta cultura,
d’eleganza e di arte. (Libro I, cap. II)
La prospettiva ideologica: la
rappresentazione della crisi dell’aristocrazia e
dell’alta borghesia
Il Piacere non è soltanto un manuale
dell’estetismo tardo ottocentesco, ma è
anzitutto il documento di una crisi
profonda, la rappresentazione della
povertà e del vuoto morale che si cela
sotto la raffinatezza e il vitalismo della
società aristocratica e alto-borghese di fine
Ottocento.
Il tema dell’amore tra spiritualità ed eros
Dicotomia dell’amore in Sperelli:
- amore spirituale: Maria Ferres
- amore carnale (eros): Elena Muti
- Impossibilità di ricomposizione di questi due aspetti →
prevalenza in Sperelli dell’influenza del secondo.
- Amore carnale = pulsione monomaniacale = dimensione sado-
masochistica = morte (perdita dell’identità e annichilimento della
volontà)
- Amore carnale → importanza dello sguardo come mezzo di
‘possesso’: → per Hugo von Hofmannsthal (Der neue Roman von
d’Annunzio), ognuno cade «sotto lo sguardo implacabile dell’altro,
ognuno viene divorato dall’attenzione dell’altro».
- Sguardo = Medusa
Il tema dell’amore tra spiritualità ed eros
Lo scudo con la testa di Medusa di Caravaggio (Firenze, Galleria
degli Uffizi)
Il tema dell’amore tra spiritualità ed eros
Andrea Sperelli lo seguì con lo sguardo, fin su la soglia, inquieto.
Rimasto solo, fu preso da una terribile angoscia. La stanza,
tappezzata di damasco rosso cupo, come la stanza dove Elena due
anni innanzi erasi data a lui, gli parve allora tragica e lugubre. Forse
quelle erano le tappezzerie medesime che avevano udite le parole di
Elena: – Mi piaci! – L’armario aperto lasciava vedere le file dei libri
osceni, le rilegature bizzarre impresse di simboli fallici. Alla parete
pendeva il ritratto di Lady Heathfield accanto a una copia della Nelly
O’Brien di Joshua Reynolds. Ambedue le creature, dal fondo della
tela, guardavano con la stessa intensità penetrante, con lo stesso
ardor di passione, con la stessa fiamma di desiderio sensuale, con la
stessa prodigiosa eloquenza; ambedue avevano la bocca ambigua,
enigmatica, sibillina, la bocca delle infaticabili ed inesorabili bevitrici
d’anime; e avevano ambedue la fronte marmorea, immacolata,
lucente d'una perpetua purità. […] Andrea avrebbe dato qualunque
prezzo per sottrarsi al supplizio che l’aspettava ed era attratto da
quel supplizio. (Libro IV, cap. I)
Il tema dell’amore tra spiritualità ed eros
Nelly o’Brian di Joshua Reynolds
Sintesi dei temi de Il piacere
I temi che emergono de Il Piacere sono quindi:
- l’affermazione della figura dell’esteta intellettuale inquieto, che
vive in un mondo tutto suo, dominato dal culto della bellezza;
- la descrizione della Roma rinascimentale-barocca come spazio
privilegiato per l’esistenza dell’intellettuale esteta;
- l’avversione nei confronti delle masse popolari e della folla:
- la critica alla società aristocratica e alto borghese di fine
Ottocento, completamente vuota di contenuti e sentimenti;
- la riflessione sui diversi tipi di amore: da quello finalizzato al
puro piacere, il cui raggiungimento diventa una vera e propria
ossessione, all’amore puro e spirituale.
Il tutto in un romanzo dove domina la tecnica narrativa dell’analessi
(flashback).
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)
Anno di pubblicazione: 1890 su rivista, 1891 in
volume.
Personaggi principali: Dorian Gray, Basil
Hallward; Henry Wotton, Sybil Vane
«L’artista è il creatore di cose belle… non
esistono libri morali o immorali. I libri sono
scritti bene o scritti male: questo è tutto… il
vizio e la virtù sono per l’artista materiale di
un’arte».
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)
Wilde, aforismi:
- Ho dei gusti semplicissimi, mi accontento sempre del
meglio;
- L'unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi;
- Le follie sono le uniche cose che non si rimpiangono
mai;
- Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni;
- Lo spreco della vita si trova nell’amore che non si è
saputo dare, nel potere che non si è saputo utilizzare,
nell’egoistica prudenza che ci ha impedito di rischiare e
che, evitandoci un dispiacere, ci ha fatto mancare la
felicità.
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)
Personaggi:
Dorian Gray, giovane bello e innocente all’inizio del
racconto che poi, dopo aver dichiarato che darebbe
la sua anima pur di non invecchiare mai, si dà a
una vita dissoluta e amorale, in netta opposizione al
moralismo dell’epoca vittoriana.
Lord Henry Wotton, amico di Dorian, ha la
personalità demoniaca di un cattivo maestro: è lui
che, attraverso la sua influenza, rende Dorian una
persona spietata e sempre desiderosa di provare
nuovi piaceri. Wotton prova «squisito piacere nel
giocare con l’inconscio egotismo del giovane».
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)
Personaggi:
Basil Hallward, pittore e autore del ritratto di Dorian,
nonché suo amico; Dorian lo ha ispirato in
numerose opere rendendolo un pittore di fama; il
rapporto tra i due adombra un legame di tipo
omosessuale: «È vero che ti ho adorato con molto
più sentimento amoroso di quello che un uomo
dovrebbe mai riservare a un amico. In qualche
modo non ho mai amato una donna».
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)
Personaggi:
Sybil Vane, la ragazza di cui Dorian s’innamora:
una giovane attrice di teatro di 17 anni che, dopo
essersi innamorata a sua volta di lui, perde la
capacità di recitare: per questo viene malamente
ripudiata da Dorian e decide di suicidarsi; Dorian a
Sybil: «Tu incarnavi i sogni dei grandi poeti e davi
forma e sostanza alle parvenze dell’arte […] hai
distrutto il romance della mia vita […] senz’arte tu
sei nulla».
E sul suicidio della ragazza: «La ragazza non è mai
realmente vissuta, né è mai realmente morta».
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)
Fallimento di Dorian Gray.
Perché Dorian fallisce? → perché la sua coscienza
morale non viene trasferita completamente nel ritratto
→ il problema della ‘memoria’: «La memoria, come
un’orribile malattia, corrodeva la sua anima»
Possibili conclusioni alternative del romanzo:
Wilde, attraverso il fallimento di Dorian, rinnega la
superiorità dell’arte sulla vita?
Oppure ne conferma la validità, ma ne mostra il
fallimento attraverso la parabola di un personaggio
non sufficientemente forte per incarnare in modo
perfetto questa superiorità e che ricade nella
‘volgarità’?
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)
Cap. XX: «Ogni delitto è volgare, come ogni
volgarità è un delitto […] un assassinio è sempre
un errore. Una persona non dovrebbe mai
commettere un atto del quale non può parlare
dopo a cena».
Il tema del doppio: «Ognuno di noi ha l’inferno e il
paradiso dentro di sé».
Il tema del rapporto tra arte e vita: tema già
romantico (John Keats, Théophile Gautier, Walter
Pater).
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)
Fonti:
- Balzac, La pelle di zigrino;
- Poe, William Wilson;
- Tutta la letteratura del Doppelgänger, da
Stevenson a Dickens;
- Tutta la letteratura sul mito di Faust, da Goethe a
Marlowe a Wagner.
Struttura del romanzo: la forma del thriller.
D’Annunzio, Temi e citazioni da Il fuoco
(1900)
- Il tema di Venezia
- Il personaggio di Èffrena
→ lo spirito del superuomo
→ la sua capacità oratoria
→ la missione
- Foscarina
- Il tema della folla
- Wagner e la sua musica
Il fuoco (1900)Il tema di Venezia:
E quella musica silenziosa delle linee immobili era così
possente che creava il fantasma quasi visibile di una vita più
bella e più ricca sovrapponendolo allo spettacolo della
moltitudine inquieta. Sentiva essa la divinità dell’ora; e nel suo
clamore verso quella forma novella di regalità approdante
all’antica riva, verso quella bella regina bionda illuminata da un
sorriso inestinguibile, esalava forse l’oscura aspirazione a
trascendere l’angustia della vita volgare e a raccogliere i doni
dall’eterna Poesia sparsi su le pietre e su le acque. L’anima
cupida e forte dei padri acclamanti ai reduci trionfatori del Mare
si risvegliava confusamente negli uomini oppressi dal tedio e
dal travaglio dei lunghi giorni mediocri; e rimembrava l’aura
mossa dai grandi vessilli di battaglia nel ripiegarsi come le ali
della Vittoria dopo il volo o il loro garrito, già onta alle flotte
fuggiasche, non placabile.
Il fuoco (1900)
Il tema di Venezia:
— La pace! L'oblio! Ritrovate voi queste cose laggiù, in
fondo al vostro canale deserto, quando tornate esausta e
riarsa dall'aver respirato il soffio delle platee che un vostro
gesto rende frenetiche? Io, per me, quando sono su
quest'acqua morta, sento che la mia vita si moltiplica con
una rapidità vertiginosa; e in certe ore mi sembra che i miei
pensieri s'infiammino come per l'imminenza del delirio. —
La forza e la fiamma sono in voi, Stelio — disse la donna,
quasi umilmente, senza sollevare gli occhi.
Quindi Venezia è: «Città della vita», perché…
Il fuoco (1900)
Il tema di Venezia:
«Ella ci persuade ogni giorno l'atto che è la genesi stessa di
nostra specie: lo sforzo di sorpassar sé medesimo, senza
tregua; ella ci mostra la possibilità di un dolore trasmutato
nella più efficace energia stimolatrice; ella c'insegna che il
piacere è il più certo mezzo di conoscimento offertoci dalla
Natura e che colui il quale molto ha sofferto è men sapiente
di colui il quale molto ha gioito».
Il fuoco (1900)
Il personaggio di Èffrena → lo spirito del superuomo:
Egli era giunto a compiere in sé stesso l'intimo connubio
dell'arte con la vita e a ritrovare così nel fondo della sua
sostanza una sorgente perenne di armonie. Egli era giunto
a perpetuare nel suo spirito, senza intervalli, la condizione
misteriosa da cui nasce l'opera di bellezza e a trasformare
così d'un tratto in specie ideali tutte le figure passeggiere
della sua esistenza volubile. Egli aveva indicato appunto
questa sua conquista quando aveva messo in bocca ad una
delle sue persone le parole: “Io assisteva in me medesimo
alla continua genesi d'una vita superiore in cui tutte le
apparenze si trasfiguravano come nella virtù di un magico
specchio”.
Il fuoco (1900)
Il personaggio di Èffrena → lo spirito del superuomo:
E per alcuni giorni mi compiacqui curiosamente nel
convivere con lo spirito d’un patrizio Veneto del secolo XVI,
ornato di tutte lettere come il cardinal Bembo, academico
degli Uranici o degli Adorni, frequentatore assiduo degli orti
muranesi e dei colli asolani.
Il fuoco (1900)
Il personaggio di Èffrena → la sua capacità oratoria:
Dotato d'una straordinaria facoltà verbale, egli riusciva a
tradurre istantaneamente nel suo linguaggio pur le più
complicate maniere della sua sensibilità con una esattezza e
con un rilievo così vividi che esse talvolta parevano non più
appartenergli, appena espresse, rese oggettive dalla potenza
isolatrice dello stile. La sua voce limpida e penetrante, che
pareva disegnare con un contorno netto la figura musicale di
ciascuna parola, dava maggior risalto a questa singolar qualità
del suo dire. Talché in quanti l'udivano per la prima volta si
generava un sentimento ambiguo, misto di ammirazione e di
avversione, manifestando egli sé medesimo in forme così
fortemente definite che sembravano risultare da una volontà
costante di stabilire tra sé e gli estranei una differenza profonda
e insormontabile.
Il fuoco (1900)
Il personaggio di Èffrena → la sua capacità oratoria:
[…] la parola orale, rivolta in modo diretto a una moltitudine,
non debba aver per fine se non l’azione, e sia pure un’azione
violenta. A questo solo patto uno spirito un po’ fiero può,
senza diminuirsi, comunicare con la folla per le virtù sensuali
della voce e del gesto.
Il fuoco (1900)
Il personaggio di Èffrena → la sua capacità oratoria:
Era nella parola e nell'atto un così vivo rincrescimento e, nel
tempo medesimo, una così strana evocazione della folla
aspettante, ch'egli ne fu turbato; poiché l'imagine del mostro
formidabile dagli innumerevoli volti umani gli riapparve tra
l'oro e la porpora cupa dell'aula immensa, ed egli ne
presentì su la sua persona lo sguardo fisso e l'alito estuoso,
e misurò d'un tratto il pericolo ch'egli era deliberato
d'affrontare affidandosi alla sola ispirazione momentanea, e
provò l'orrore dell'improvvisa oscurità mentale, della
repentina vertigine. — Rassicuratevi — disse. — Ho voluto
scherzare. Andrò ad bestias; e andrò inerme.
Il fuoco (1900)
Il personaggio di Èffrena → la missione:
Io penso che ogni uomo d'intelletto possa, oggi come
sempre, nella vita creare la propria favola bella. Bisogna
guardare nel turbinio confuso della vita con quello stesso
spirito fantastico con cui i discepoli del Vinci erano dal
maestro consigliati di guardare nelle macchie dei muri, nella
cenere del fuoco, nei nuvoli, nei fanghi e in altri simili luoghi
per trovarvi “invenzioni mirabilissime” e “infinite cose”. Allo
stesso modo, aggiungeva Leonardo, troverete nel suono
delle campane ogni nome e vocabolo che vi piacerà
d’imaginare.
Il fuoco (1900)
Il personaggio di Èffrena → la missione:
Era il sommo beneficio della Bellezza rivelata; era la vittoria
dell'Arte liberatrice su le miserie e su le inquietudini e su i
tedii dei giorni comuni; era il felice intervallo in cui cessano
le fitte del dolore e del bisogno, e sembrano aprirsi
lentamente le chiuse mani del Destino.
Tu devi congratularti teco perché sei riuscito a imprimere
per qualche ora il ritmo dell'arte alla vita d'una città
immemore e a farci intravedere di quali splendori potrebbe
abbellire la nostra esistenza il rinnovato connubio dell'Arte
con la Vita.
Il fuoco (1900)
Foscarina:
E una pesante tristezza lo inclinò verso l'estremo amore di
quella donna solitaria e nomade che pareva portare per lui
nelle pieghe delle sue vesti raccolta e muta la frenesia delle
moltitudini lontane dalla cui bestialità compatta ella aveva
sollevato il brivido fulmineo e divino dell'arte con un grido di
passione o con uno schianto di dolore o con un silenzio di
morte; una torbida brama lo piegò verso quella donna
sapiente e disperata in cui egli credeva scoprire i vestigi di
tutte le voluttà e di tutti gli spasimi, verso quel corpo non più
giovine, ammollito da tutte le carezze e rimasto ancora
sconosciuto per lui.
Il fuoco (1900)
La folla:
«folla aspettante”
“folla unanime e strepitosa”
“moltitudine che brulicava”
“moltitudine ammutolita e aspettante”
“meschina gente intrusa”
“popolo ammutinato”
“gente estranea, tolta per una sera alle sue occupazioni
mediocri”
Il fuoco (1900)
La folla:
Oppure con perifrasi come:
“il mostro formidabile dagli innumerevoli volti umani occupante la
vastità dell’aula sonora” (il sintagma in corsivo ripetuto 2 volte
nel primo capitolo)
“mostro effimero e versatile”
“mille petti inamidati”
“la viva massa umana”
“massa compatta”
“chimera occhiuta dal busto coperto di scaglie splendide” (è
l’immagine che gli viene in mente guardando la folla, anche
questa ripetuta 2 volte nel primo capitolo)
“volti innumerevoli”
“anima innumerevole” (anche questo ripetuto più volte)
Il fuoco (1900)
La folla:
A voi solo era riserbata questa gioia: di poter comunicare
per la prima volta con la moltitudine in un luogo sovrano
com’è la Sala del Maggior Consiglio, dal palco dove un
tempo il Doge parlava all’adunanza dei patrizii, avendo per
fondo il Paradiso del Tintoretto e sul capo la Gloria del
Veronese.
Sono tutti quelli che hanno bevuta la tua poesia, che hanno
respirato nell’etere infiammato del tuo sogno, che hanno
provato l’artiglio della tua chimera. Sono tutti quelli a cui tu
hai promesso una vita più bella e più forte, tutti quelli a cui
tu hai annunziato la trasfigurazione del mondo pel prodigio
di un’arte nuova. Sono molti, sono molti quelli che tu hai
sedotti con la tua speranza e con la tua gioia. Tu puoi
sollevare nelle loro anime un moto veemente che le volga e
Il fuoco (1900)
La folla:
Sono tutti quelli che hanno bevuta la tua poesia, che hanno respirato
nell’etere infiammato del tuo sogno, che hanno provato l’artiglio della
tua chimera. Sono tutti quelli a cui tu hai promesso una vita più bella
e più forte, tutti quelli a cui tu hai annunziato la trasfigurazione del
mondo pel prodigio di un’arte nuova. Sono molti, sono molti quelli
che tu hai sedotti con la tua speranza e con la tua gioia. Tu puoi
sollevare nelle loro anime un moto veemente che le volga e le
protenda per sempre verso l’Ideale. Per quanti di loro, Stelio, potrà
essere indimenticabile questa notte veneziana!
La parola del poeta comunicata alla folla era dunque un atto, come il
gesto dell’eroe. Era un atto che creava dall'oscurità dell’anima
innumerevole un’istantanea bellezza, come uno statuario portentoso
potrebbe da una mole d’argilla trarre con un sol tocco del suo pollice
plastico una statua divina.
Il fuoco (1900)
L’idea di Stelio su Wagner e sulla sua musica:
— L’opera di Riccardo Wagner — egli ripose — è fondata su lo spirito
germanico, è d’essenza puramente settentrionale. La sua riforma ha
qualche analogia con quella tentata da Lutero. Il suo drama non è se
non il fiore supremo del genio d’una stirpe, non è se non il compendio
straordinariamente efficace delle aspirazioni che affaticarono l’anima dei
sinfoneti e dei poeti nazionali, dal Bach al Beethoven, dal Wieland al
Goethe. Se voi imaginaste la sua opera su le rive del Mediterraneo, tra i
nostri chiari olivi, tra i nostri lauri svelti, sotto la gloria del cielo latino, la
vedreste impallidire e dissolversi. Poiché — secondo la sua stessa
parola — all’artefice è dato di veder risplender della perfezione futura un
mondo ancora informe e di gioirne profeticamente nel desiderio e nella
speranza, io annunzio l’avvento d’un’arte novella o rinnovellata che per
la semplicità forte e sincera delle sue linee, per la sua grazia vigorosa,
per l’ardore de’ suoi spiriti, per la pura potenza delle sue armonie,
continui e coroni l'immenso edifizio ideale della nostra stirpe eletta. Io mi
glorio d’essere un latino; e […] riconosco un barbaro in ogni uomo di
sangue diverso.