Storia della parola «romanzo» e fortuna del genere romanzo lezioni corso B1+B2 2… · fantasy e...

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Storia della parola «romanzo» e fortuna del genere romanzo Significato peggiorativo → irrealtà (Fiction=illusione) Romanzo → funzione conoscitiva Dizionario francese: romanzo → lingua comune e popolare in opposizione al latino VIII sec. → da questa opposizione nascono le protolingue nazionali (romanze o neolatine) XII sec. → romanzo = scritto in versi in lingua non latina Da «romanz» deriva il verbo «romancier» → tradurre dal latino al francese, dal XV sec., raccontare in francese

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Storia della parola «romanzo» e

fortuna del genere romanzo

• Significato peggiorativo → irrealtà (Fiction=illusione)

• Romanzo → funzione conoscitiva

• Dizionario francese: romanzo → lingua comune e

popolare in opposizione al latino

• VIII sec. → da questa opposizione nascono le

protolingue nazionali (romanze o neolatine)

• XII sec. → romanzo = scritto in versi in lingua non latina

• Da «romanz» deriva il verbo «romancier» → tradurre dal

latino al francese, dal XV sec., raccontare in francese

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Storia della parola «romanzo» e

fortuna del genere romanzo

• Da «romanz» deriva il verbo «romancier» → tradurre dal

latino al francese, dal XV sec., raccontare in francese

• «Romanz» assume anche i significati di:

a) ogni opera in lingua volgare, anche non tradotta dal

latino,

b) ogni opera d’immaginazione che non ha basi storiche,

c) la materia letteraria in opposizione alla materia orale

d) e, alla fine del Medioevo, anche le canzoni di gesta,

ossia quella grande fioritura di opere in versi volgari

composte nel secolo XII come il Perceval di Chrétien di

Troyes o Le roman de Tristan di Béroul.

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Storia della parola «romanzo» e

fortuna del genere romanzo

• XVII sec. → romanzo pastorale o lacrimevole (analisi dei

sentimenti)

• XVIII sec. → romanzo illuminista = focus sull’individuo →

romanzo di formazione (Wilhelm Meister di Goethe)

• XIX sec. → analisi dell’individuo «borghese» e quindi

riflessione e descrizione della società industriale,

capitalistica e borghese nella sua parabola ascendente

(Dickens) e discendente (Th. Mann, I Buddenbrook)

• Proust, Joyce, Svevo, Woolf → romanzo come mezzo per

accedere alla «vera vita, la vita infine scoperta e chiarita,

la sola vita di conseguenza vissuta» e alla vita psichica

• Solženicyn → romanzo come mezzo di lotta

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fortuna del genere romanzo

• «Sollecitato dalla realtà circostante e da quella che

portiamo in noi, combattuto tra la creazione del fittizio e

l’investigazione del reale, continuando a riprodurre forme

fisse e ad inventare possibilità, il genere è ad immagine

della parola che lo designa: fluttuante e in perpetua

espansione»

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La letteratura come commercio: tipi

di pubblico e diffusione del romanzo

tra XVII e XX secoloa) Il romanzo, fin dalla sua nascita in età moderna, ha

riscosso una notevole fortuna non solo di pubblico, ma

anche commerciale.

b) Il romanzo viene incontro al lettore, mentre è il lettore che

deve andare incontro alla poesia, all’opera teatrale o al

saggio scientifico.

c) dall’antichità sino all’invenzione della stampa la lettura

appannaggio di pochi: aristocrazia, clero, alta borghesia (cfr.

Ian Watt, The rise of the novel)

d) Inoltre, dal Sei/Settecento aumento del pubblico

femminile

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La letteratura come commercio: tipi

di pubblico e diffusione del romanzo

tra XVII e XX secoloe) Sec. XIX → aumento esponenziale di lettori per:

-l’istruzione obbligatoria e l’acculturazione delle classi sociali

meno abbienti;

-l’invenzione delle rotative

-la diffusione dei giornali (nascita del feuilleton)

-commercio ambulante che diffonde i romanzi, gli

almanacchi e le raccolte di canzoni anche nelle campagne.

f) Sec. XX → romanzo come genere di massa (bestseller)

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Discussioni sul romanzo

• Dibattito sulla ‘crisi’ del romanzo,

• Dibattito quello sulla sua validità ed essenza estetica

• Polemiche (dal XVII secolo in poi) sulla sua moralità

• ecc. ecc.

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Seduzioni del romanzo

• Romanzo come fenomeno che riflette, ma anche che crea

i gusti della pubblico (Il piacere; I dolori del giovane

Werther)

• Il romanzo come fenomeno che asseconda la sete di

«meraviglioso» di pubblico sempre più costretto in una

quotidianità ripetitiva e sostanzialmente noiosa (horror,

fantasy e science fiction)

• Science fiction = soddisfa il suo bisogno di meraviglioso

ed è catartica delle sue angosce più profonde

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Seduzioni del romanzo: utopia,

distopia e science fictionDal secolo XVII → i romanzi utopistici (antesignani della

fantascienza) materializzano artisticamente i sogni

dell’umanità:

•Voyage dans la lune, Cyrano de Bergerac del 1675

•The Time Machine, H. G. Wells del 1895

•Vingt mille lieues spus les mers, Jules Verne del 1870)

Dal sec. XIX → i romanzi distopici descrivono anche gli

incubi dell’umanità:

•The Time Machine, H. G. Wells del 1895

•The War of the Worlds, H. G. Wells del 1898)

•1984, G. Orwell del 1948.

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In principio era il racconto

• Per la nascita del romanzo e come patrimonio di storie da

raccontare:

• → importanza dei libri sacri dell’India, della Bibbia, delle

vite dei savi o dei santi, dei racconti arabi confluiti nelle

Mille e una notte (Mircéa Eliade studia come la letteratura

orale trova le sue origini nei racconti mitici scaturiti dalle

religioni primitive)

• → e quindi, importanza della letteratura narrativa orale:

leggende, fiabe (Vladimir Propp, Morfologia della fiaba),

cicli di canzoni di gesta germaniche, francesi, russe ecc.,

folclore popolare

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Perché si leggono romanzi?

• Fascino e potere ancestrale della parola: la parola

incanta, distrae, diverte (come la musica) e, soprattutto, è

lo strumento fondamentale con cui la razionalità dell’uomo

ordina il caos dell’universo (Decameron di Boccaccio)

• La parola e il racconto, quindi, come mezzo per capire la

realtà

• O, al contrario, la parola e il racconto come mezzo per

fuggire da una realtà nella quale, in genere, «non capita

mai nulla»

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Definizione di «romanzo»

• «Il romanzo è un genere inafferrabile e il suo ambito è

quello della ‘licenza’»

• Il romanzo ha una «ambizione panoramica» (R. Caillois)

• Il romanzo è quindi un genere letterario ‘vorace’, che

attinge dai diversi campi dell’arte e della conoscenza, è

anche vero che a sua volta li arricchisce

• Questo carattere aperto e duttile è proprio ciò che lo

rende «inafferrabile» e che impedisce di darne una

definizione assoluta

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Definizione di «romanzo»

• Il romanzo è innanzitutto un racconto → il narratore si

pone tra il lettore e la realtà che vuole raccontare

• Il romanzo racconta una storia → successione di

avvenimenti concatenati nel tempo da un inizio e una fine

che il narratore gestisce come meglio crede (prolessi,

analessi ecc.);

• Quindi, il narratore ‘compone’ una storia con l’intento di

produrre un certo effetto sul lettore → facendo ciò,

organizza la materia narrativa per darle una forma

artistica

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Definizione di «romanzo»

• La storia narrata è però fittizia, e ciò distingue il romanzo

dalla biografia, dall’autobiografia, dalla testimonianza

vissuta, dalla deposizione, dal racconto di viaggio e dalle

opere o cronache storiche

• Questa differenza fa insorgere alcuni problemi:

– il problema del rapporto tra vero e finzione,

– Il problema dell’impossibilità di creare un romanzo

completamente distaccato dalla realtà, e quindi della

verosimiglianza (ossia ciò che rende la storia possibile,

probabile e magari ‘vera’ → Manzoni).

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Definizione di «romanzo»

• Differenza tra romanzo e novella → la novella è fatta di

poco materiale, ma ha una struttura densa, che lascia

passare un messaggio anche se all’apparenza vago,

impalpabile e a volte difficilmente definibile.

• Differenza tra romanzo e racconto → il racconto: si rivolge

a un uditorio determinato; come la favola, vuole

generalmente lanciare un messaggio chiaro; non cerca di

fare passare la storia che racconta per vera

• Rispetto alla novella e al racconto, nel romanzo gli

elementi che compongono la storia richiedono tempo per

essere sviluppati e possono essere trattati in molteplici

‘modi’; primi aspetti della struttura del romanzo: a) il

tempo della narrazione b) le infinite possibilità di

costruzione della storia.

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Definizione di «romanzo»• Il lavoro dello studioso che si occupa di romanzo consiste

nel riuscire a cogliere in questi ‘modi’ le affinità e le

costanti che accomunano i diversi romanzi o gli elementi

divergenti che li allontanano

• Per fare ciò è necessario capire in cosa consistano le

scelte che hanno condizionato la costruzione di un

romanzo e la loro ragione d’essere basandosi su criteri

oggettivi: su quale aspetto della sua storia l’autore ha

posto l’accento? Quali procedimenti ha utilizzato per

narrarla? Quale forma essa prende? Quali sono le

intenzioni, le implicazioni, il significato che essa esprime?

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Struttura della narrazione

romanzesca

• Le componenti principali della storia di un marinaio - il

marinaio, appunto, la donna che ama e i rivali (Odissea) –

possono generare narrazioni diversissime (i diversi ‘modi’:

avventura; crime story, romanzo sentimentale e/o

psicologico; romanzo sociale ecc.) a seconda delle scelte

del narratore.

• Le differenze determinate da queste infinite possibilità

combinatorie sono poi accresciute dal numero di

procedimenti narrativi di cui dispone il narratore:

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Struttura della narrazione

romanzesca

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Struttura della narrazione

romanzesca• Scena o riassunto? L’autore sceglie uno dei due o anche di usarli

entrambi:

– il racconto scenico è quello nel quale i personaggi parlano o

agiscono;

– il racconto panoramico è quello nel quale l’autore riassume una

determinata storia o situazione)

• fabula = storia → termine generale per distinguere l’insieme dei

personaggi e delle loro azioni;

• intreccio = plot → termine più specifico per definire la costruzione

letteraria della fabula, la concatenazione di eventi e il modo in cui essi

vengono raccontati articolandoli in episodi che costituiscono delle

unità narrative di lunghezza variabile

• L’intreccio si fonda sulla nozione basilare di movimento, di

mutamento a partire da uno stato determinato e sotto l’influsso di

certe forze (= azione) che si manifestano meglio quando incontrano

una forza antagonista.

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La storia e la narrazione

• ritmo: è ciò che dà tono all’azione e, quindi, alla narrazione;

• tema: elemento fondamentale del testo di alto valore simbolico e che

quindi serve al narratore per creare un’unità di senso che lasci un

messaggio al lettore;

• motivo: elemento sporadico del testo di valore simbolico che spesso

serve a rafforzare l’unità di senso incentrata sul tema.

• La funzione della ripetizione di motivi, temi e immagini: la ripetizione

di questi tre elementi è associata ad uno stato d’animo o a un

sentimento importante (Wagner = Leitmotiv)

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La storia e la narrazione• Inizio e fine (incipit ed explicit); l’opzione del finale aperto.

• L’ordine del/nel romanzo: la disposizione prospettica dei diversi

episodi gli uni in rapporto agli altri porta alla suddivisione e alla

concatenazione dei materiali che vanno a comporre i capitoli e le parti

→ la suddivisione o la sua apparente assenza, corrisponde a

un’estetica del racconto e a una percezione del mondo

• I racconti multipli: Decameron di Boccaccio e Manoscritto trovato a

Saragoza di Jan Potocki; tecnica della concatenazione, tecnica

dell’alternanza

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Il patto narrativo

• Il patto narrativo: fra il lettore di una qualsiasi opera narrativa e il suo

autore viene stipulato un tacito patto, detto «patto narrativo», in base

al quale che legge si astrae dal mondo esterno e si immedesima nella

vicenda, partecipando fino in fondo alla vita segreta dei personaggi

che la animano; per rafforzare l’implicito accordo a credere nella

veridicità del suo racconto, lo scrittore può usare svariati

accorgimenti:

– la narrazione in prima persona,

– il ritrovamento di un finto manoscritto o d altre prove documentali,

– l’accumulo dei particolari o altri elementi realistici,

– la struttura dell’inchiesta,

– finte prefazioni dell’editore o di un curatore che giura

sull’autenticità del testo.

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Tipi di lettore

• Tipi di lettore:

– il narratario: è il personaggio all’interno del racconto al quale l’io

narrante racconta dei fatti

– il lettore fittizio: prende posto nella trama stessa della storia

diventandone personaggio (Manzoni)

– il lettore ideale: è quello auspicato dall’autore

– il lettore virtuale: è colui che ‘potrebbe’ leggere il romanzo

– il lettore reale: è colui che effettivamente lo legge

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Il punto di vista

• È il centro di narrazione, ossia il punto ottico in cui si pone un

narratore per raccontare la sua storia

• Differenza tra raccontare (narratore onnisciente) e mostrare (il

narratore cerca di sparire)

• Differenza tra “visione con” (l’autore sceglie un solo personaggio che

costituirà il centro del racconto e a partire dal quale il lettore vede la

storia e gli altri personaggi) e “visione dal di fuori” (l’autore esamina

dal di fuori il comportamento, l’aspetto fisico dei personaggi e

l’ambiente in cui vivono per coglierne l’interiorità e la vita psicologica)

• Il narratore omodiegetico: il narratore omodiegetico si ha quando il

soggetto narrante è anche l’oggetto della narrazione (cfr. soprattutto i

romanzi di memorie, i romanzi epistolari o i giornali intimi)

• Il narratore eterodiegetico: il narratore eterodiegetico si ha quando il

soggetto narrante è al di fuori dell’azione (cfr. il romanzo o racconto

storico).

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Il punto di vista: i tempi del racconto

• Differenza tra racconto storico e racconto non storico:

– il primo può utilizzare come tempo della narrazione

preferibilmente il passato remoto/imperfetto, tempi ‘storici’ per

eccellenza, che oggettivano l’avvenimento staccandolo dal

presente

– il secondo, invece, può utilizzare sia il presente sia il futuro sia il

passato prossimo

• Il punto di vista come significato: riuscire a capire in quale punto

ottico si situa l’autore per la narrazione può anche aiutare a capire

qual è il vero significato da attribuire al romanzo. La scelta dell’autore

di scrivere in un dato modo riflette una particolare concezione

dell’esistenza e di se stesso.

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Lo spazio e il rapporto tra

descrizione e narrazione• Il romanziere fornisce sempre un minimo di indicazioni ‘geografiche’ o

‘spaziali’: si va dai semplici punti di riferimento per catturare la

fantasia del lettore alle metodiche esplorazioni dei luoghi nei quali si

dipana la vicenda.

• Diverse tipologie di spazio letterario: chiuso o aperto, vago o preciso,

insignificante o determinante, simbolicamente unico o in

contrapposizione con un altro spazio ecc.

• Differenza tra descrizione e narrazione: entrambe si traducono con

una sequenza di parole (successione temporale del discorso), ma la

narrazione restituisce la successione temporale degli eventi

(diacronia), mentre la descrizione rappresenta oggetti simultanei e

coesistenti nello spazio (sincronia)

• Tradizionalmente, la descrizione doveva essere subordinata alla

narrazione, che invece era doveva restare la principale funzione del

testo romanzesco

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Lo spazio e il rapporto tra

descrizione e narrazione• Importanza della descrizione a partire dal XVIII secolo → lo spazio

come elemento determinante di caratterizzazione dei personaggi

• Caratteristiche della descrizione e sue funzioni ‘musicale’ e ‘pittorica’

• La descrizione e il rapporto con il mondo → la descrizione dello spazio

rivela dunque il grado di attenzione che il romanziere accorda al

mondo e la qualità di questa attenzione; essa esprime cioè il rapporto,

fondamentale nel romanzo, tra l’uomo, autore o personaggio, e il

mondo circostante

• Ambiguità degli spazi: rappresentando uno stesso spazio, autori

diversi rappresentanti di periodi e momenti culturali diversi possono

voler trasmettere messaggi differenti: il tema/spazio del labirinto e il

tema del viaggio

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Il tempo• A differenza delle arti spaziali quali la pittura e la scultura, il romanzo è

anzitutto considerato come un’arte temporale, esattamente come la

musica

• I tempi del romanzo sono tre: quello della scrittura, quello della lettura

e quello dell’avventura:

• Il tempo della scrittura: è un tempo da intendersi sia come ‘epoca’ nel

quale lo scrittore scrive il romanzo sia come ‘durata’ della

composizione

• Il tempo della lettura:

– il divario temporale tra il momento in cui una storia si verifica e

quello in cui lo scrittore la ‘legge’

– il divario temporale tra quando la storia viene scritta e quando

viene letta

– Il tempo di lettura del testo proprio di ciascun lettore

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Il tempo• Il tempo dell’avventura:

– in quale epoca si situa l’avventura raccontata?

– e questa durata, più o meno considerevole, è puramente esteriore,

cronologica, o sfuma in una durata psicologica, esistenziale non

misurabile con l’orologio?

– c’è opposizione o differenza tra le durate esistenziali dei

personaggi?

– ogni durata si inserisce in un’altra collettiva o si oppone alla durata

sociale considerata dall’esterno?

• Gérard Genette: studio sistematico delle “anacronie narrativa” o

“forme di discordanze tra l’ordine della storia e quello del racconto”

con la designazione, con termini ‘prolessi’, di ogni anticipazione

rispetto al momento della storia in cui ci si trova (racconto primario) e

con il termine ‘analessi’ di ogni evocazione successiva di un

avvenimento anteriore

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Il tempo• Genette definisce poi:

– con portata la distanza temporale tra l’anacronia prolettica o

analettica e il momento della storia in cui il racconto si interrompe

– con ampiezza la durata dell’anacronia

• Ancora Genette → differenti tipologie di anacronie:

– eterodiegetiche

– omodiegetiche

– completive

– ripetitive

• Discordanza tra tempo del racconto e tempo della finzione, che

segnala necessità e obiettivi particolari dello scrittore

• Destrutturazione del tempo nel romanzo novecentesco: accento

sull’istante più che sulla durata; il tempo non è più un fiume o un

circolo mitico, ma uno specchio rotto in mille pezzi.

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I personaggi• I personaggi romanzeschi agiscono in una rete di rapporti che

riproduce, anche nei romanzi di fantasia, quella della realtà sociale in

cui vive lo scrittore

• Funzioni del personaggio romanzesco:

1) elemento decorativo

2) agente dell’azione, ossia del gioco delle forze opposte o

convergenti presenti in un’opera → le forze suscettibili di combinarsi in

un’azione drammatica sono sei: protagonista [non necessariamente

quello del romanzo]; l’antagonista [elemento necessario perché vi sia

un conflitto]; l’oggetto [del contendere: desiderato o temuto]; il

destinatore [qualsiasi personaggio possa esercitare un influsso sulla

destinazione dell’ ‘oggetto’; una sorta di arbitro]; il destinatario [il

beneficiario dell’azione, colui che eventualmente ottiene l’oggetto

desiderato o temuto; non è necessariamente il protagonista]; l’aiutante

[coadiuva nell’azione il protagonista o l’antagonista]

3) portavoce: il personaggio come prolungamento del suo autore

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I personaggi• Rapporto dei personaggi (e dei protagonisti) dei romanzi con il mondo

e con la propria interiorità: i personaggi del romanzo non sono mai alle

prese solo con i loro demoni interiori, ma si inseriscono in una società,

nella quale possono integrarsi, alla quale possono opporsi o dalla

quale possono restare a margine → proiezione dell’autore nei suoi

rapporti con l’organizzazione sociale del suo tempo (Lukács)

• Modo di presentazione: il personaggio romanzesco può essere

presentato in quattro modi: a) dal personaggio stesso; b) da un altro

personaggio; c) da un narratore eterodiegetico; d) in modo misto

• Quando il personaggio si presenta da solo, si parla di «espressione

del sé»; dal diario al monologo interiore, l’espressione di sé nel

romanzo può assumere forme diverse:

– Il diario

– Il romanzo epistolare

– Le memorie

– Il monologo interiore

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I personaggi• Personaggio presentato da altro personaggio → problemi di affidabilità

della presentazione

• La presentazione di un personaggio da parte di un narratore

extradiegetico

• La presentazione mista

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La Scapigliatura

• La Scapigliatura è un movimento letterario e

artistico sorto a Milano negli anni Sessanta e

particolarmente attivo in Lombardia e Piemonte per

oltre un decennio

• Scapigliatura lombarda: Emilio Praga, Arrigo Boito,

Carlo Dossi (l’esponente di maggior valore, che

ebbe peraltro vita tranquilla e ben poco scapigliata)

• Scapigliatura piemontese: Igino Ugo Tarchetti e

Giovanni Faldella, Giovanni Camerana, Roberto

Sacchetti, Achille Giovanni Cagna, Giuseppe

Giacosa.

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Esempio di lirica tardoromantica:

Giovanni Prati (1814-1884)

La culla a ribaciar torna e sospira

chi per suoi dolorosi esperimenti

apprese l’arti, onde si volve e gira

questa torbida razza de’ viventi.

Chi vide uscir dai ben orditi accenti

l’opre difformi, e il viver dolce in ira,

e poderosi i rei sugli innocenti,

la culla a ribaciar torna e sospira.

Io l’amo sì, dal vulgo inavvertita

quest’umil casa, ove sognar si ponno

le larve più soavi della vita.

Ma al par di questa, che con dolci tempre

chiama sugli occhi ai pargoletti il sonno,

amo quell’altra ove si dorme sempre!

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La Scapigliatura

Obiettivi degli Scapigliati:

• una rinnovata adesione al vero (sia quello della

realtà esterna sia quello interiore, ma dei

sentimenti, non di facciata)

• All’interno di questo «vero», anche quella parte di

esso che gli scapigliati consideravano invisibile,

ma non per questo meno reale: il paranormale, con

l’occultismo, il fantastico ecc. (Romanticismo

nordico)

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Cletto Arrighi, La Scapigliatura e il 6 febbraio (1862)

In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una

certa quantità di individui di ambo i sessi, fra i venti e i

trentacinque anni, non più; pieni d’ingegno quasi sempre; più

avanzati del loro tempo; indipendenti come l’aquila delle Alpi;

pronti al bene quanto al male; irrequieti, travagliati, […] turbolenti

– i quali – o per certe contraddizioni terribili fra la loro condizione

e il loro stato – vale a dire fra ciò che hanno in testa e ciò che

hanno in tasca – o per certe influenze sociali da cui sono

trascinati – o anche solo per una certa particolare maniera

eccentrica e disordinata di vivere – o, infine, per mille altre cause,

e mille altri effetti, il cui studio formerà appunto lo scopo e la

morale del mio romanzo – meritano di essere classificati in una

nuova e particolare suddivisione della grande famiglia sociale,

come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte

le altre. Questa casta o classe […] serbatoio del disordine, della

imprevidenza, dello spirito di rivolta e di opposizione a tutti gli

ordini stabiliti; – io l’ho chiamato appunto la Scapigliatura.

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La Scapigliatura

• Perché proprio Milano e Torino?

• In questi centri urbani con maggiore chiarezza si

vedono e si imparano ad esprimere le

contraddizioni innescate:

• dall’industrializzazione forzata,

• dallo svuotamento delle campagne,

• dalla precettistica morale, economica e

lavorativa imposta dalla dominante classe

borghese

• Differenza tra l’ideale (risorgimentale) e il reale

(postunitario)

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La Scapigliatura: riferimenti stranieri

o italiani• Gérard de Nerval (1808-55),

• Charles Baudelaire (1821-1867),

• Théophile Gautier (1811-72)

• Henri Murger (1822-61), Scènes de la vie de bohème

(Bohème di Giacomo Puccini)

• Ernst Hoffmann (1776-1822),

• Edgar Allan Poe (1809-49)

• Giuseppe Rovani (1818-74), Cento anni (attenzione «agli

svolgimenti graduali di tutte le parti che costituiscono la

civiltà del paese» in modo da costruire un’«epopea in

veste da camera»)

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La Scapigliatura: riferimenti stranieri

o italiani

• Dossi su Rovani: «Ebbe sempre una grande

propensione per l’osteria – la casa di chi non ne

ha. L’osteria per lui si nobilitava in un’aula

universitaria»

• Dante Isella sugli scapigliati: essi si limitarono a

un’«importazione di un rinnovato campionario di

temi “maledetti” da surrogare a quello, pervaso di

ottimismo, della nostra provincia borghese, senza

che mutuati gli oggetti mutuasse propriamente

qualcosa di più» → poca originalità!

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Aspetti innovatori della

Scapigliatura: il linguaggio

• Linguaggio nuovissimo ed eversivo di Dossi,

Faldella, Cagna e Vittorio Imbriani (scrittore

napoletano estraneo alle due grandi aree

geografiche scapigliate milanese e piemontese).

• In questi scrittori Gianfranco Contini ha

individuato i rappresentanti di una linea

espressionistica della letteratura italiana che

porterà, nel Novecento, alla straordinaria scrittura

di Carlo Emilio Gadda

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Scapigliatura pittorica. Daniele

Ronzoni, Giovinetta inglese, 1880

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Scapigliatura pittorica. Daniele

Ronzoni, La sommossa, 1863-64

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Scapigliatura pittorica. Tranquillo

Cremona, i due cugini

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Scapigliatura pittorica. Tranquillo

Cremona, Ripassando la lezione

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Igino Ugo Tarchetti

• 1865: lascia la carriera militare e si trasferisce

a Milano

• Collabora a periodici come “La Rivista minima”, lo

“Spirito folletto”, la “Strenna italiana”; ne fonda

alcuni come la “Palestra musicale” e il “Piccolo

giornale”; entrò nella redazione del “Pungolo” e

del “Gazzettino rosa” di Achille Bizzoni

• 1865-1869: sono gli anni in cui si concentra la sua

attività letteraria

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Igino Ugo Tarchetti

• Scrive alcune liriche, una ventina di racconti,

disseminati in varie riviste e cinque romanzi, tra i quali:

a) i 5 Racconti fantastici: I fatali, La leggenda del castello

nero, La lettera U, Un osso di morto e Uno spirito in un

lampone.

b) Una nobile follia (Drammi della vita militare), apparso

ne “Il Sole” nel 1866 e 1867 e incentrato sul tema

antimilitarista;

c) Fosca, pubblicato a puntate sul “Pungolo” nel 1869;

d) La raccolta di liriche intitolata Disjecta, cioè «cose

disperse», fu pubblicata postuma nel 1879 da

Domenico Milelli.

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Igino Ugo Tarchetti

• Temi:

• La morte

• Il macabro

• Il dualismo

• Amore passionale e mortifero (Eros e Thanatos → ancora

dualismo)

• La malattia: le vicende di personaggi considerati come casi

clinici

• L’antimilitarismo

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Igino Ugo Tarchetti• Fosca

• Pubblicato a puntate sul “Pungolo” dal febbraio all’aprile del

1869;

• Romanzo con elementi di autobiografismo

• Romanzo incompleto: il capitolo XLVIII, infatti, fu scritto da

Salvatore Farina

• Racconto ‘dualistico’

• Dialoghi importanti:

• cap. XVI;

• cap. XXIII;

• cap. XXVII;

• dialoghi minori: cap. XV, cap. XXXVII, cap. XL.

• Per quanto riguarda invece le lettere, va segnalato il

lunghissimo interludio monologico rappresentato dalla lettera-

storia di Fosca che occupa il capitolo XXIX.

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Naturalismo e verismo• Emile Zola (1840-1902)

• Thérèse Raquin (1867)

• Ciclo dei Rougon-Macquart

• Le roman expérimental (1880)

• Naturalismo di Zola → laico, democratico e progressista:

mira, attraverso la conoscenza della realtà sociale, a un

miglioramento delle condizioni di vita.

• Mediatori in Italia di questo naturalismo:

• Francesco De Sanctis

• Felice Cameroni

• Luigi Capuana.

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Naturalismo e verismo• Positivismo: movimento filosofico e culturale (Francia,

prima metà dell’800 → Illuminismo); nasce grazie alle

rivoluzioni industriali, si diffonde nella seconda metà

dell’800 in tutta Europa; caratteristica principale: è

l’incondizionata fiducia sia nella ragione sia nella scienza

e nel progresso scientifico-tecnologico, basi fondamentali

del progresso o evoluzione sociale.

• Determinismo: è una concezione filosofica per la quale

qualsiasi evento del presente è necessariamente

determinato da un evento avvenuto nel passato; implica

quindi che l’umanità e l’uomo non sono in grado di

determinare la propria storia presente, perché questa è

solo la meccanica conseguenza di quella passata: manca

il libero arbitrio!

Page 52: Storia della parola «romanzo» e fortuna del genere romanzo lezioni corso B1+B2 2… · fantasy e science fiction) • Science fiction = soddisfa il suo bisogno di meraviglioso ed

Naturalismo e verismo• Esperienze realiste antecedenti al verismo nella letteratura italiana:

• Letteratura “campagnola”

• Ippolito Nievo

• Francesco Dall’Ongaro

• Francesco De Sanctis

• Giosue Carducci

• Scapigliatura

• Verismo: anni Sessanta-Ottanta dell’Ottocento

• Citta nelle quali si sviluppa il verismo: Firenze e Milano

• Intorno agli anni ottanta dell’Ottocento, massima espansione del

verismo grazie all’opera di Capuana e Verga, ma già appaiono

tendenze divergenti da questa linea, come in Antonio Fogazzaro.

• Anni Novanta: persistenza del verismo, che tuttavia va esaurendo la

sua influenza → Federico De Roberto, I Viceré (1894).

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Macchiaioli. Telemaco Signorini (1835-

1901): Via Torta, Firenze (1870)

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Telemaco Signorini (1835-1901): Bagno

penale a Portoferraio (1890 circa)

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Tranquillo Cremona (1825-1908): Lo

staffato (1880)

Page 56: Storia della parola «romanzo» e fortuna del genere romanzo lezioni corso B1+B2 2… · fantasy e science fiction) • Science fiction = soddisfa il suo bisogno di meraviglioso ed

Tranquillo Cremona (1825-1908):

Barrocci romani (1872-73)

Page 57: Storia della parola «romanzo» e fortuna del genere romanzo lezioni corso B1+B2 2… · fantasy e science fiction) • Science fiction = soddisfa il suo bisogno di meraviglioso ed

Verismo• Scrittori siciliani (tutti dell’area catanese):

• Luigi Capuana (1839-1915)

• Giovanni Verga (1840-1922)

• Federico De Roberto (1861-1927)

• Canone dell’impersonalità: il narratore non deve partecipare

emotivamente agli avvenimenti, commentando,

condannando, approvando e giudicando; il narratore non

allude mai esplicitamente alla propria funzione narrativa; il

narratore si esprime imitando i linguaggi caratteristici dei

rispettivi personaggi e, come avviene nelle narrazioni

popolari, usa il discorso indiretto libero, passando, senza

soluzione di continuità, dalla narrazione di un fatto al

riportare le parole o i pensieri di un personaggio.

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Giovanni Verga• I carbonari della montagna (romanzo, 1861-62)

• Sulle lagune (romanzo, 1862-63)

• Una peccatrice (romanzo, 1866)

• Storia di una capinera (romanzo, 1870)

• Eva (romanzo, 1873)

• Nedda (racconto, 1874)

• Tigre reale ed Eros (romanzi, 1875)

• Vita dei campi (racconti, 1880)

• I Malavoglia (romanzo, 1881)

• Novelle rusticane (racconti, 1882)

• Il marito di Elena (romanzo, 1882)

• Per le vie (racconti, 1883)

• Cavalleria rusticana (dramma, 1884) (musicata nel 1890 da Pietro Mascagni)

• Vagabondaggi (racconti, 1887)

• Mastro don Gesualdo (romanzo, 1889)

• I ricordi del capitano d’Arce (racconti, 1891)

• Don Candeloro e C.i (racconti 1894)

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Carlo Collodi (Lorenzini)

(1829-1890)• Origini contadine

• 1848 → adesione ai moti e partecipazione alle battaglie di

Curtatone e Montanara

• 1859 → arruolamento nell’esercito piemontese

• Lavora malvolentieri come impiegato, ma è portato a una

vita più bohémien

• Attività intellettuale: soprattutto giornalismo («Fanfulla»,

«Fanfulla della Domenica» e «Giornale per i bambini»)

• Vive in un contesto letterario caratterizzato da numerose

opere di stampo «campagnolo», come Vita dei campi

(1880), I Malavoglia (1881), Novelle rusticane (1883),

Terra vergine (1882) e «educativo-prescrittivo», come

Cuore (1886) di De Amicis.

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Carlo Collodi

• Dopo l’Unità d’Italia → sviluppo di un genere letterario

specificatamente dedicato all’infanzia per favorirne lo

sviluppo emotivo, caratteriale e morale

• Da ciò deriva anche lo sviluppo «industriale» anche di

questo settore industriale

• La libreria Paggi incarica Collodi di tradurre i racconti di

Perrault e successivamente di scrivere testi originali per

l’infanzia:

1) Giannettino (1876 → ripreso da un famosissimo libro

per ragazzi, Giannetto, della prima metà dell’Ottocento);

2) Minuzzolo (1878)

tutti testi piuttosto mediocri perché finalizzati al mercato

editoriale per l’infanzia.

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Carlo Collodi

• Pinocchio → è invece un testo molto più libero e più

slegato da specifiche finalità educativo-pedagogiche

• Modello: la narrativa americano per l’infanzia Tom Sawyer

del 1876 di Mark Twain) a cui si ispirava il «Giornale per i

bambini»

• Pinocchio esce a puntate:

• Capp. I-XV, La storia di un burattino, «Giornale per i

bambini», luglio-ottobre 1881;

• Capp. XVI-XXIII, Le avventure di Pinocchio, «Giornale per

i bambini», febbraio-marzo 1882;

• Capp. XXIV-XXIX, «Giornale per i bambini», maggio-

giugno 1882;

• Capp. XXX-XXVI, novembre 1882-gennaio 1883.

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Pinocchio: struttura

• Pinocchio I (Storia di un burattino → capp. dall’I al XV):

Pinocchio “nasce” dispettoso e cattivo (manda Geppetto in

prigione), poi buono (promette di andare a scuola), poi

cattivo (vende i libri per vedere lo spettacolo di

Mangiafoco), infine ancora redento ma inutilmente, perché

la sua ingenuità lo porterà a farsi sviare dalla coppia

Gatto/Volpe che lo porterà all’impiccagione

• Schema: ↓−↑−↓−↑ → ingenuità = morte;

• I capitoli sono brevi e concisi, il senso pedagogico della

vicenda è, in linea di massima, chiaro, ma non ancora

dominante.

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Pinocchio: struttura

• Pinocchio II (Le avventure di Pinocchio → capp. XVI-XXXVI):

• I capitoli sono in media di una lunghezza quasi doppia rispetto a quelli

di Pinocchio I e le parti descrittive sono più diffuse, l’equilibrio tra le

parti dialogate e quelle descrittive è più curato, in generale il racconto

è più costruito;

• L’intento pedagogico si fa più evidente (promessa di umanizzazione);

• Il percorso cattivo → buono viene articolato in quattro momenti di

caduta/risalita (secondo lo schema seduzione-colpa-punizione-

pentimento che è alla base dello stesso concetto di “avventura”) più

un ultimo momento risolutivo così strutturati:

a) capp. XVI-XVII: Pinocchio salvato fa il proponimento di essere

buono, ma la sua maturazione verso la responsabilità è ancora

debole, e oltre a raccontare bugie si farà nuovamente irretire dalla

coppia Gatto/Volpe e finirà in galera (XVIII e XIX);

b) cap. XX: proposito più sincero di cambiar vita, seguito però da altre

avventure che solo nel cap. XXIV lo porteranno a ritrovare la fatina;

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Pinocchio: struttura

c) nuovi proponimenti di diventare un bravo ragazzo nel cap.

XXV e nuova ricaduta che gli fa rischiare di essere mangiato

dal Pescatore nel capp. XXVI-XXVIII;

d) nel cap. XXIX, dopo la punizione viene nuovamente

perdonato dalla Fata, ma c’è una nuova ricaduta perché viene

tentato da Lucignolo, trasformato in ciuchino (capp. XXX-

XXXIV);

e) ultima svolta: ritrova Geppetto nel ventre del Pescecane

(cap. XXXV) e si avvia verso la redenzione finale e verso la sua

definitiva trasformazione in bambino in carne ed ossa.

• Schema: ↓−↑−↓−↑−↓−↑−↓−↑ → redenzione = umanizzazione

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Pinocchio: struttura

• Personaggi reali (che non escludono le tonalità ironiche, grottesche o

parodistiche): mastro Ciliegia, mastro Geppetto, oste del Gambero

rosso, contadino che mette a fare il cane da guardia, gli abitanti

dell’isola delle Api industriose, il secondo contadino che mette

pinocchio al Bindolo, i compagni di scuola di Pinocchio, Lucignolo,

l’Omino di burro.

• Personaggi di fantasia: la Fata turchina, il serpente orribile, gli animali

parlanti classificabili nella categoria degli ammonitori: il Grillo parlante,

il Merlo bianco, il Pappagallo, la Lucciola, la Marmottina; gli animali

parlanti classificabili nella categoria degli “aiutanti”: il Falco della Fata,

i tre medici chiamati al capezzale di Pinocchio – il Corvo, la Civetta e

ancora il Grillo parlante – il Colombo, il Delfino, il Granchio, il cane

Alidoro, la Lumachina, il Tonno; gli animali parlanti con funzioni più

complesse e intenti ironico-satirici che guardano alla realtà: il Gatto e

la Volpe, il giudice Gorilla.

• Personaggi fiabeschi misti: Mangiafoco, il pescatore.

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Pinocchio: struttura

• Spazio e tempo: sono di volta in volta indeterminati o precisissimi,

abnormi o rispondenti al desiderio di presentare un realistico

svolgimento degli eventi, e, proprio nell’unione di queste diversità,

enfatizzano l’elemento fiabesco.

«Dopo una corsa di quindici chilometri, Pinocchio non ne

poteva più» (cap. XIV); «E dopo una corsa disperata di

quasi due ore…» (cap. XV)

o, all’opposto:

«[…] una bonissima Fata, che da più di mille anni abitava

nelle vicinanze di quel bosco» (cap. XV)

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Pinocchio: struttura

• Anche l’ambientazione generale degli spazi, almeno fino al

capitolo XXII evidentemente collocati in una Toscana

immaginaria e interiore, è vaga e transita velocemente in

tipologie differenti:

• la piccola cittadina (scenario della prima fuga di Pinocchio),

• la campagna (il ritorno a casa di Pinocchio dopo che hanno

arrestato Geppetto),

• il piccolo paese deserto (quando Pinocchio va a cercare il

pane), e questa veloce alternanza si ripete per tutto il

romanzo.

• Dal capitolo XXIII in poi → ambientazione marina che domina

nei capp. XXIII, XXIV, XXVII, XXXIV, XXXV e inizio XXXVI.

• Ambiguità di Pinocchio, burattino/ragazzo.

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Pinocchio: temi• Il tema del corpo

– Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori e che

abbandonano capricciosamente la casa paterna! Non avranno

mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene

amaramente.

[…]

– Povero Pinocchio! Mi fai proprio compassione!...

– Perché ti faccio compassione?

– Perché sei un burattino e, quel che è peggio, perché hai la

testa di legno.

• Pinocchio: il suo corpo è una commistione di qualità «legnose» e

caratteristiche «umane»

• Differenza tra Pinocchio e il Franti di Cuore

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Pinocchio: temi• Il tema del corpo

– Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori e che

abbandonano capricciosamente la casa paterna! Non avranno

mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene

amaramente.

[…]

– Povero Pinocchio! Mi fai proprio compassione!...

– Perché ti faccio compassione?

– Perché sei un burattino e, quel che è peggio, perché hai la

testa di legno.

• Il tema della paternità

• Il tema della cattiveria del mondo

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Pinocchio: conclusione

• Quello di Pinocchio è un progetto pedagogico «minimale»

• Pinocchio, ma anche Geppetto (e quindi Collodi stesso) animati

da un forte senso di indipendenza e da uno spiccato spirito di

libertà che li spinge al ‘vagabondaggio’, trattenuti solo dalla

consapevolezza che la società punisce chi ne vuole stare al di

fuori e, quindi, dalla necessità di accettarne almeno le regole

basilari: rispetta i genitori, studia e sii buono, aiuta che sta

peggio di te, diffida dei cattivi compagni e dei cattivi maestri.

• Geppetto a mastro Ciliegia:

– Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di

legno; ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare,

tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino

voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un

bicchier di vino; che ve ne pare?

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La crisi di fine Ottocento in Italia

• Italia → la Sinistra al governo (1876), ma potere sempre gestito

dalla classe borghese e trasformismo = impoverimento delle

idealità democratiche.

• Atteggiamento della classe dirigente:

• disprezzo per gli ideali democratici e per la prassi parlamentare,

• vagheggiamento dello Stato forte e suggestioni imperialistiche.

• Atteggiamento delle masse operaie e contadine e dei gruppi

democratici:

• contestazione degli ideali democratici e della prassi parlamentare,

• fondazione del Partito socialista 1892 e proposte di riforma

marxista.

• Reazione della classe dirigente alle sempre più pressanti

richieste delle masse popolari socialistizzate:

• repressione violenta dei Fasci siciliani (1892-93)

• proclamazione dello stato d’assedio a Milano per i mori del 1898

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La crisi di fine Ottocento in Italia• La borghesia e la classe dirigente hanno paura delle masse

soprattutto dopo gli avvenimenti della Comune di Parigi (1871)

(→ Pellizza da Volpedo, Il quarto stato, 1901).

• Ultimo ventennio dell’Ottocento → crisi del positivismo, dei

valori e della fiducia borghesi.

• Ultimo ventennio dell’Ottocento → maggiori conflitti sociali +

mutamenti culturali; di fronte a questa situazione i giovani

intellettuali borghesi:

• o sognano un governo forte riservato agli «eletti» e vagheggiano

successi imperialistici,

• o disprezzano la realtà in cui vivono e si rifugiano in un mondo

ideale e in un atteggiamento di aristocratico distacco.

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La crisi di fine Ottocento

• Pellizza da Volpedo, Il Quarto stato, olio su tela, 1901.

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La crisi di fine Ottocento: la nuova

cultura decadente nasce in Francia

• Rimbaud → la poesia come attività visionaria, da

“veggente”, per dar voce all’ineffabile;

• Verlaine → la poesia serve a “suggerire” e il poeta deve

ricorrere alla vaga suggestione più che alla realistica

descrizione;

• Mallarmé → la parola poetica come potere sacrale,

incantatorio, di creazione – e non di rappresentazione di

realtà – estremamente intellettualizzata attraverso il

ricorso al simbolo.

• Pittura francese → Odillon Redon e nascita del

simbolismo figurativo

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Il decadentismo pittorico: il

simbolismo

• Odillon Redon, Il pallonne-occhio (1871)

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La cultura di fine Ottocento: il

decadentismo

• Positivismo/naturalismo/verismo → decadentismo (e

simbolismo poetico, che è una delle manifestazioni del

decadentismo)

• Impressionismo → simbolismo pittorico

• I nuovi poeti francesi, sulla scorta di Baudelaire, cercano

una nuova poesia che nasce:

• dalla insoddisfazione per la poesia accademica tradizionale

• dalla rinunzia al culto del dato oggettivo che, teorizzato dal

positivismo, era divenuto anche l’atteggiamento mentale

della borghesia tutta volta all’ordine e alla realizzazione del

guadagno.

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La cultura di fine Ottocento: il

decadentismo• Se in Italia l’atteggiamento antiborghese avrà sia uno

sbocco politico (reazionario e imperialistico) sia uno

sbocco nichilistico (fuga dalla realtà in un mondo fi

bellezza artificiale), in Francia si verifica solo questa

seconda opzione, che si manifesta nei seguenti modi:

• cupo senso di stanchezza,

• tristezza,

• una sfiducia nell’agire umano,

• un’ebbrezza di rovina, dovuta alla coscienza di essere la

voce di un’età al tramonto

• Da ciò la definizione di «decadenti» (rivista Le Décadent,

1886)

• Verlaine:

«Je suis l’empire à la fin de la décadence»

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La cultura di fine Ottocento: il

decadentismo

• Artista come uno sradicato dalla società che lo ha

generato e che cerca di costruirsi un mondo di bellezza

raffinata → estetismo.

• Differenza tra artista decadente e artista romantico.

• Per Edmund Wilson l’artista:

«Si isola dalla società educandosi alla disciplina dell’indifferenza:

disposto a coltivare la propria sensibilità unica e personale anche di

più di quanto non l’abbiano coltivata i romantici, ma non ad affermare

la propria individuale volontà, finisce per spostare i confini della

letteratura, trasferendola da un mondo oggettivo a un mondo

soggettivo, da un’esperienza condivisa con la società a

un’esperienza assaporata nella solitudine».

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La cultura di fine Ottocento: il

decadentismo

• Artista come uno sradicato dalla società che lo ha

generato e che cerca di costruirsi un mondo di bellezza

raffinata → estetismo.

• Differenza tra artista decadente e artista romantico.

• Per Edmund Wilson l’artista:

«Si isola dalla società educandosi alla disciplina dell’indifferenza:

disposto a coltivare la propria sensibilità unica e personale anche di

più di quanto non l’abbiano coltivata i romantici, ma non ad affermare

la propria individuale volontà, finisce per spostare i confini della

letteratura, trasferendola da un mondo oggettivo a un mondo

soggettivo, da un’esperienza condivisa con la società a

un’esperienza assaporata nella solitudine».

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La cultura di fine Ottocento: il

decadentismo• Due esempi da Baudelaire: la tristezza e la noia

per la realtà presente e la fuga da esso:

• Spleen (da I fiori del male, 1857)

• Elevazione (da I fiori del male, 1857)

(vedi fotocopie)

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Componenti e aspetti del

decadentismo

• Il deteriorarsi del positivismo

• Dal dato reale alle suggestioni musicali

• Marxismo e decadentismo di fronte alla società

borghese

• Il superomismo di Nietzsche

• La scoperta dell’inconscio di Freud

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Il deteriorarsi del positivismo

Perché:

• le premesse scientifiche che approdano nel

determinismo si trasformano in fatalismo

• il positivismo in letteratura diventa una gabbia

(per Huysmans i naturalisti «vedevano l’esistenza

tutta d’un pezzo, l’accettavano condizionata solo

ad elementi verosimili, quando invece nel mondo

l’inverosimile non è sempre un’eccezione»)

• La classe sociale borghese subisce un processo

involutivo

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Dal dato reale alle suggestioni

musicali

• Decadentismo → arte = conoscenza

• Necessità di una nuova poesia che usi nuovi

strumenti espressivi

• Sparisce la rima; la poesia non deve più essere

un prodotto di classica perfezione, ma accogliere

in sé il disagio della modernità e accogliere

suggestioni delle altre arti (musica: Richard

Wagner, 1813-1883 - L’anello del Nibelungo,

1876)

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Dal dato reale alle suggestioni

musicali

• «[…] l’ideale della fusione delle arti in una realtà superiore che

di tutte raccolga i pregi e li conglobi in una nuova

manifestazione, ritrovamento felice di un’antica unità perduta…

dove parola e suono nascono nell’animo di un solo creatore e la

danza – intendendo in senso lato tutta la parte visiva dell’azione

scenica – viene particolarmente curata a costo di gravi sacrifici

e di imponenti ostacoli da superare… Ed intanto Wagner si

allontanava sempre deliberatamente dal genere tradizionale

dell’opera storica, [realizzando] il più opportuno linguaggio

musicale per rendere il fondamentale stato d’animo romantico

dell’anelito a qualcosa di irraggiungibile, di sperato o rimpianto,

comunque fuori dalla realtà del presente» (M. Mila).

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Marxismo e decadentismo di fronte

alla società borghese

• Karl Marx e Friedrich Engels attaccano lo sfruttamento, la

riduzione dell’uomo a cosa;

• gli artisti attaccano la volgarità, il cattivo gusto del

borghese, i suoi angusti orizzonti che non vedono altro

che il guadagno e, se sfiorano l’arte, la concepiscono

didascalica, piattamente realistica, filistea.

• Quindi per entrambi rifiuto della società borghese, ma con

antitetiche conclusioni:

• politico-sociali per Marx ed Engels, come politico-sociale era

stato il rifiuto;

• estetiche per gli artisti, come di ordine estetico era stato il

rifiuto.

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Marxismo e decadentismo di fronte

alla società borghese• L’estetismo si configura come fuga dalla realtà che si

realizza nei modi più vari:

• o nei baudelairiani paradisi artificiali

• o nella rarefatta clausura del romanzo A ritroso di

Huysmans,

• o nella raffinata e intellettualistica poesia simbolista,

• o, sul piano della vita concreta, nella fuga vera e propria

verso altri lidi (Rimbaud in Africa, Gauguin in Polinesia)

• o nel fare della propria vita un’opera d’arte impreziosendola

con esperienze ed atteggiamenti raffinati, snobistici, dandy

(come per Wilde e d’Annunzio).

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Marxismo e decadentismo di fronte

alla società borghese• Temi ricorrenti:

• l’età di decadenza e di lussuria (identificate ad esempio negli ultimi

decenni della città di Bisanzio prima della conquista ottomana, cfr.

la rivista “Cronaca bizantina” e la cosiddetta ‘terza Roma’ o ‘Roma

bizantina’,

• la stanchezza dei sensi e, all’opposto, una certa componente

sadica nella rappresentazione dei rapporti tra uomo e donna (→

Algernon Charles Swinburne, 1837-1909: poesia che parla di

sadomasochismo, lesbismo, suicidio, irreligiosità ecc.),

• la femminilità perditrice e satanica: Salomè (tema trattato dal

pittore Moreau, da Huysmans, da Wilde), Erodiade, tutte le donne

dannunziane,

• la contemplazione della morte delle cose e della società (si arriverà

attraverso Thomas Mann sino al Gattopardo e ai compiacimenti di

certi film di Visconti).

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Erodiade di Gustave Moreau

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Il superomismo di Nietzsche (1844-1900)

• Al di là del bene e del male (1881)

• Così parlò Zarathustra (1883)

• Esaltazione delle seguenti componenti che messe insieme

formano lo «spirito dionisiaco» su cui si forma il

«superuomo»:

• la forza,

• l’Eros gioioso e libero,

• il vitalismo

• lo spirito agonistico e

• la volontà di potenza

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Il superomismo di Nietzsche (1844-1900)

• La dialettica tra dionisiaco e apollineo in Nietzsche, che li definisce

partendo dai suoi studi sulla civiltà, l’arte e la cultura della Grecia

classica

• Il concetto di apollineo → è il tentativo di spiegare la realtà tramite

costruzioni mentali ordinate, negando il caos che è proprio della realtà

e non considerando l’essenziale dinamismo della vita

• Il concetto di dionisiaco → l’abbandonarsi alla vita in maniera vitalistica

e senza la pretesa di volerla capire. Dioniso (Bacco per i romani) è il

dio della musica, dei teatranti e dei baccanali, colui il quale

rappresenta l'impeto dei sensi laddove Apollo è l'armonia e l'equilibrio.

Legato a Dioniso è l'ebrezza che deriva dall'arte sensuale, ovvero la

musica e la danza. Lo spirito dionisiaco è dunque per Nietzsche lo

spirito gaio e entusiasta dell'uomo che dice «sì» alla vita, la quale ha i

tratti autentici dell'imprevisto, nell'irrazionale e nell'impeto sensuale.

Page 91: Storia della parola «romanzo» e fortuna del genere romanzo lezioni corso B1+B2 2… · fantasy e science fiction) • Science fiction = soddisfa il suo bisogno di meraviglioso ed

Conseguenze del pensiero nietzschiano

• L’interpretazione delle teorie nietzschiane si

evolve – in Francia, in Germania e anche in Italia

– in posizioni nettamente antidemocratiche

(d’Annunzio).

• L’elaborazione del pensiero di Nietzsche introduce

nuovi motivi nel decadentismo, cioè:

• l’attivismo,

• il vitalismo che si esprime nel gesto eroico, per attuare

le componenti superumane del protagonista,

• la “disponibilità, la ricerca del rischio e dell’esperienza

di vita al di là del bene e del male.

Page 92: Storia della parola «romanzo» e fortuna del genere romanzo lezioni corso B1+B2 2… · fantasy e science fiction) • Science fiction = soddisfa il suo bisogno di meraviglioso ed

La scoperta dell’inconscio di Freud

(1856-1939)• L’interpretazione dei sogni, 1900

• Nietzsche e Freud → espressioni della crisi vissuta

dalla civiltà decadente

• Ma Freud indica però una via d’uscita da questa crisi.

• Per Freud l’uomo agisce in base all’istinto, alle

pulsioni sessuali, la repressione delle quali porta alla

nevrosi.

• La liberazione dalla nevrosi avviene tramite la presa

di coscienza e quindi la consapevolezza dei

meccanismi che inibiscono l’esistenza.

• La consapevolezza, che è dominio della propria vita,

si raggiunge tramite la ragione.

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La scoperta dell’inconscio di Freud

(1856-1939)• «La voce dell’intelletto è tenue ma non tace prima

di avere ottenuto udienza. Alla fine, sovente dopo

innumerevoli ripulse, trova ascolto. Questo è uno

dei pochi punti per cui si può essere ottimisti

sull’avvenire dell’umanità, ma in sé non è cosa da

poco e vi si possono riannodare altre speranze. Il

primato dell’intelletto è certo molto, molto lontano,

ma verosimilmente non a distanza infinita».

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Il decadentismo in Italia

• Il declinare del verismo → 1881 = I Malavoglia,

ma anche Malombra; 1889 = Mastro don

Gesualdo, ma anche Il piacere

• Diverse forme d decadentismo in Italia:

• decadentismo pascoliano

• decadentismo dannunziano (dall’estetismo al

nietzschianesimo)

• decadentismo crepuscolare

• decadentismo pirandelliano e sveviano

• decadentismo delle avanguardie storiche

• decadentismo ermetico

Page 95: Storia della parola «romanzo» e fortuna del genere romanzo lezioni corso B1+B2 2… · fantasy e science fiction) • Science fiction = soddisfa il suo bisogno di meraviglioso ed

Antonio Fogazzaro (1842-1911)

• Famiglia di stretta osservanza cattolica e

impegnata nelle lotte risorgimentali.

• Importante per la sua formazione: Giacomo

Zanella.

• Autori di riferimento: Prati, Aleardi, Hugo, Balzac

ecc.

• Laurea in legge (1864) ed esercizio

dell’avvocatura .

• 1866 → matrimonio con Margherita di Valmarana

• Dal 1869 si dà completamente alla letteratura.

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Antonio Fogazzaro (1842-1911)

• Opere poetiche:

• Miranda (1874)

• Valsolda (1876)

• Romanzi di Fogazzaro:

• Malombra, 1881;

• Daniele Cortis, 1885;

• Il mistero del poeta,1888;

• Piccolo mondo antico, 1895;

• Piccolo mondo moderno, 1901;

• Il Santo, 1905;

• Leila, 1910.

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Antonio Fogazzaro (1842-1911)

• Fogazzaro e il modernismo teologico

• Il santo → messo all’Indice;

• Leila → messo all’Indice

• Il paesaggio in Fogazzaro serve:

- o a evidenziare lo scontro tra le esigenze spiritualistico-

religiose e quelle legate alla sensualità,

- o a mettere in rilievo proprio la conflittualità fra il

sentimento religioso e le sollecitazioni filosofiche e

sociali che in quei tempi tendevano a far sentire angusti

i confini della fede tradizionale.

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Antonio Fogazzaro (1842-1911)

• I personaggi e gli eroi di Fogazzaro sono:

- ambigui ed incerti;

- macerati nella inclemente autoanalisi;

- malati nella volontà per il vano tentativo di neutralizzare

le opposte suggestioni del misticismo ed erotismo, ideale

e reale;

- coscienti della loro sensibilità d’eccezione.

• «In Corrado Silla, il protagonista di Malombra,

comincia la malattia morale del decadentismo,

quella che arriverà sino ad Alberto Moravia»

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Antonio Fogazzaro (1842-1911)

• Con Fogazzaro si inaugura quindi una tipologia di

romanzo che si allontana profondamente dalla

coeva narrativa verista;

• Questa distanza si misura anche dal

declassamento dei canoni veristici, usati

unicamente per la descrizione delle classi

popolari.

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Malombra (1881)

• Tempo del racconto: 1864

• Luogo del racconto: Milano, in piccola parte,

soprattutto R. (lago del Segrino, tra Lecco e

Como + Villa Pliniana)

• Partizione del romanzo:

1ª parte: Cecilia (9 capitoli)

2ª parte: Il ventaglio rosso e nero (7 capitoli)

3ª parte: Un sogno di primavera (3 capitoli)

4ª parte: Malombra (8 capitoli)

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Malombra (1881)

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Malombra (1881)

• Personaggi:

• Marina Crusnelli di Malombra

• Corrado Silla

• Cesare d’Ormengo

• Cecilia Varrega

• Reazioni critiche:

• Il romanzo venne giudicato negativamente da

Salvatore farina, mentre venne elogiato proprio da

Verga

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Malombra (1881)

• Biglietto di Verga a Fogazzaro datato 27

settembre 1881:

«Finisco ora di leggere Malombra e sento il

bisogno di esprimerle l’impressione alta e grande

che sento per l’opera e per l’autore. Malombra

parmi una delle più alte e delle più artistiche

concezioni romantiche che siano comparse ai

nostri giorni in Italia e fra tanti giudizi

contraddittorii che avrà visti del suo libro, le farà

piacere il sentire l’impressione ch’esso suscitò in

uno che segue un indirizzo artistico diverso dal

Suo»

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Malombra (1881)

• Malombra romanzo d’idee;

• Malombra romanzo psicologico;

• Malombra romanzo dell’occulto:

• «Prima di scrivere Malombra, mi ero occupato di

occultismo: ero affascinato da una filosofia strana

nella quale il misticismo indiano si mescolava al

misticismo cristiano. Non ero del tutto convinto di

questa filosofia, c’era al fondo del mio essere un

nodo di resistenza, ma io ero preso dal suo

fascino».

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Malombra (1881)

• Intermezzi comici e personaggi speculari:

• Contessa Fosca Salvador (cugina di Cesare d’Ormengo)

• Conte Nepomuceno Salvador (figlio di Fosca)

• Edith Steinnege (figlia del segretario del conte Cesare

d’Ormengo)

• La politica in Malombra, il conte Cesare:

• «Questo mio buon bisavo ha assaggiati e sputati i re,

come vedete. È per questo che io non ne ho mai voluto

rigustare, e credo non servirei un re, se non quando

dovessi scegliere tra lui e il canagliume democratico. Un

uomo di ferro, quello lì. Non c’è che principi e democrazie

per rompere e buttar via uno strumento simile. Uuh! Voi

non credete quello?»

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Malombra (1881)

• La politica in Malombra, il conte Cesare:

• «Voi vedete dove ho scelta la mia dimora, tra le

manifestazioni più alte della natura, in mezzo ad una

magnifica aristocrazia che non è punto ricca, ma è

potente, vede molto lontano, difende le pianure,

raccoglie forza per la vita industriale del paese, genera

aria pura e vivificante, e non prende niente per tutti

questi benefizi, altro che la sua preminenza e la sua

maestà. Io non so se Voi capite ora qual è il mio ideale

politico e perché vivo fuor del mondo; res publica mea

non est de hoc mundo. Andiamo».

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Malombra (1881)

• La politica in Malombra, il conte Cesare:

• «Egli era un fiero dispregiatore d'ogni cosa francese,

salvo che del vino di Borgogna e di Bordeaux. Alto

repubblicano, soleva dire che i Francesi fanno

all'amore con le idee belle e grandi, le guastano senza

rispetto come fantesche, e finalmente le piantano

malconce e svergognate per modo che gli altri perdono

la voglia di toccarle. Li detestava come inventori della

formola: liberté, egalité, fraternité, dove il secondo

termine, diceva lui, si caccia dietro al primo per

ammazzarlo a tradimento».

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Malombra (1881)

• La politica in Malombra, Marina:

• «A lei la uguaglianza della chiesa ripugnava quanto a

suo zio la uguaglianza politica. Non era irreligiosa di

natura; pensava qualche volta che vi dovrebbe essere

una religione speciale per le classi più alte, una

religione liberissima, senza pratiche, quasi senza legge

morale o almeno con una legge morale trasformata,

dove al concetto del bene e del male fosse sostituito il

concetto meno volgare del bello e del brutto, del buono

e del cattivo gusto. Lo squisito intelletto della bellezza e

dell'armonia starebbe invece della coscienza morale; i

sensi non sarebbero combattuti, ma governati con

l'intelletto della loro poesia».

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Malombra (1881)

• Il paesaggio in Malombra:• «Piccina, tutta bianca, a mezz’altezza fra il paesello e la chiesa,

ma alquanto in disparte, la canonica di R... volta le spalle al

monte e guarda, acquattata nel suo orticello fiorito, i prati che si

spandono fino al fiume. L’orto, quadrato, è chiuso da un

muricciolo basso. Dalie e rosai vi fan la guardia, lungo i cordoni

di bosso, agli erbaggi e ai legumi. Dietro alla casa ascende il

declivio erboso, ombreggiato da meli, peschi e ulivi. Le

stanzette sono pulite e chiare. Quelle della fronte hanno un

paradiso di vista. Il curato la fece ammirare a’ suoi ospiti con

grande compiacenza, mostrò loro il suo salotto, il suo studio

dove teneva parecchi cocci di tegami preistorici trovati in certi

scavi presso il lago e ch’egli stimava un tesoro».

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Malombra (1881)

• Il personaggio di Marina. La biblioteca del conte:• «Non vi era un libro di scienza fisica tra moltissime opere forestiere e

nostrali di scienze occulte: dietro a libri d'ascetica o di teologia si

celavano opuscoli soverchiamente profani. La biblioteca deve la sua

fama a copiose e bellissime edizioni antiche di classici greci e latini,

non che a un ricchissima collezione di novellieri italiani, di scritti

matematici e d'arte militare, tutti anteriori all'Ottocento. Il conte Cesare

scompigliò la raccolta dei classici greci e latini; cacciò i filosofi e i

teologi verso le nuvole, come diceva lui, si tenne sotto la mano storici

e moralisti; fece incassare e gittare in un magazzino umido i novellieri

e i poeti, tranne Dante, Alfieri e le canzoni piemontesi di Angelo

Brofferio. Vennero a prenderne il posto parecchie opere straniere di

soggetto storico, politico o anche puramente statistico, per lo più

inglesi; nessun libro entrò sotto il regime del conte che trattasse di

letteratura, né d'arte, né di filosofia, né di economia pubblica; quasi

nessuno che venisse di Germania, perché egli non sapeva il

tedesco».

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Malombra (1881)

• Il personaggio di Marina. La sua biblioteca:• «D’inglese non aveva che Byron e Shakespeare in magnifiche

edizioni illustrate, regali di suo padre, Poe e tutti i romanzi di Disraeli,

suo autore favorito. Di tedeschi non ne aveva alcuno. Il solo libro

italiano era una Monografia storica della famiglia Crusnelli pubblicata

in Milano per le nozze del marchese Filippo, nella quale si facean

risalire le origini della famiglia a un signore Kerosnel venuto in Italia al

seguito della prima moglie di Giovan Galeazzo Visconti, Isabella di

Francia contessa di Vertu. C’era pure un Dante, ma nella tonaca

francese dell’abate di Lamennais, che lo rendeva molto più simpatico

a Marina, diceva lei. Non le mancava un solo romanzo della Sand; ne

aveva parecchi di Balzac; aveva tutto Musset, tutto Stendhal, le

Fleurs du mal di Baudelaire, René di Chateaubriand, Chamfort,

parecchi volumi dei Chefs d'oeuvre des littératures étrangères o dei

Chefs d'oeuvre des littératures anciennes pubblicati dall'Hachette,

scelti da lei con uno spirito curioso e poco curante di certi pericoli;

parecchi fascicoli della Revue des deux Mondes».

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Malombra (1881)

• Il personaggio di Marina:• «Dall’ampio accappatoio usciva, come da una nuvola

bianca, il collo sottile, elegante, e fra due fiumi di capelli

biondo-scuri, ove lucevano due grandi occhi penetranti, fatti

per l'impero e per la voluttà. Il viso, il collo, il seno, di cui si

vedeva una riga tra il bianco, avevano lo stesso pallore

caldo. Si guardò un momento, si gittò alle spalle con una

scrollata di testa i due fiumi di capelli e chi sa quanti pensieri

torbidi, andò a posar la candela sul tavolino da notte,

picchiando forte il marmo con l'argento, come per fare

oltraggio al silenzio e alla solitudine».

• «[...] amava le onde e la tempesta [...]. La solitudine stessa,

la tristezza del vecchio Palazzo, pigliavano fra le pareti della

sua camera un che di fantastico e di patetico [...]».

Page 113: Storia della parola «romanzo» e fortuna del genere romanzo lezioni corso B1+B2 2… · fantasy e science fiction) • Science fiction = soddisfa il suo bisogno di meraviglioso ed

Malombra (1881)• Il personaggio di Marina:

• Giulia, io non ho ancora conosciuto un uomo degno

d’essere amato da me, ma io amo l'amore, i libri e la

musica che ne parlano.

• «[...] amava le onde e la tempesta [...]. La solitudine

stessa, la tristezza del vecchio Palazzo, pigliavano fra

le pareti della sua camera un che di fantastico e di

patetico [...]».

Page 114: Storia della parola «romanzo» e fortuna del genere romanzo lezioni corso B1+B2 2… · fantasy e science fiction) • Science fiction = soddisfa il suo bisogno di meraviglioso ed

Malombra (1881)• Il personaggio di Marina:

• L'umore di Marina era dei più mutabili. Da lunghe ore di

calma taciturna passava ad impeti di nervoso brio. Civettava

un momento con Nepo a segno di stordirlo, di levarlo da

terra; poi non lo guardava più, non gli rispondeva. Viveva, si

può dire, d'aria; e non era mai stata così bella. Sotto le due

bende ondulate di capelli che scendevano curve fin presso

le sopracciglia, quasi a nascondere un segreto pensiero, i

suoi grandi occhi gittavano fuoco assai più spesso del solito.

Nella sua persona, musica inesprimibile di curve armoniose

dall'orecchio finissimo alla punta del piede arcuato, si

vedeano alternarsi l'energia e il languore di una vita

nervosa, esuberante. Insomma ella era come un nodo di

ombra, di luce e di elettrico; che cosa chiudesse, nessuno lo

sapeva.

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Malombra (1881)• Il personaggio di Marina:

• Questo concetto di una seconda esistenza terrena aveva esso

almeno qualche cosa di originale che potesse far sospettare

un'ispirazione superiore, far prendere sul serio le visioni di

Cecilia? No, era una ipotesi antica come il mondo, notissima,

che l’infelice poteva assai facilmente avere udita o letta, che

aveva trovato, al dì del dolore, nella propria memoria. Allora

essa l’aveva afferrata, ne aveva tratto il suo ristoro, ne aveva

vissuto: l’idea era diventata, a questo modo, sangue del suo

sangue. Visioni? Le pareti avevano risposto alla povera

demente ciò ch’ella chiedeva loro con la più grande energia di

volontà e di immaginazione. Avean risposto con fuoco, sì. Con

chiarezza? No. Che significavano i capelli, il guanto, lo

specchio? perché far paragonare la mano, i capelli morti con la

mano e i capelli vivi? Sperava costei di rinascere o di risorgere?

[…]

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Malombra (1881)

• Il personaggio di Marina:• […] Non ricordava Camogli né Genova, Renato né Pellegrina

Concetta, non un giorno della esistenza precedente, non un'ora;

ma quanti istanti! Quante volte non le era balenata la ricordanza di

istanti perduti fra le tenebre d'un passato ignoto! Quella sera

stessa, le campane! Le corse un ghiaccio pel sangue,

un'oppressione indicibile la strinse alla gola. Ebbe allora lo

sgomento di affogare, l'istinto di salvarsi. Abbracciò quest'idea che

non poteva esser lei Cecilia, perché c'era del sangue d'Ormengo

nelle sue vene; ma il cuore implacabile disse: “No, che importa il

sangue? Tu odii, hai sempre odiato tuo zio, la vendetta è più

squisita così; Dio, perché tu la compia meglio, ti ha posto dentro,

irriconoscibile, alla famiglia del nemico».

• La detective story• “Ebbene, io sono convinto che l’altra notte una donna, una Cecilia,

è entrata nella stanza del conte Cesare e lo ha spaventato, lo ha

irritato a morte.”

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Malombra (1881)• Il personaggio di Corrado:

• «Abbiamo nel palazzo un principe nero, un piccolo borghese in

apparenza...mostra una trentina d'anni, non è bello, ma neanche si

può dir brutto; ha degli occhi non privi di intelligenza.... A me è

antipatico, odioso, odiosissimo».

• «Vide in se stesso tutta la occulta via di un pensiero, dai giorni

dell'adolescenza sino a quel momento. Aveva cominciato da una

dolce malinconia, dal desiderio vago di una patria lontana: era

diventato poscia presentimento fugace, quindi sospetto sempre

combattuto, sempre più gagliardo, sempre coperto di segreto come

qualche lento male orribile che ci rode, di cui si vede il nome col

pensiero e non vogliamo confessarlo mai; prevaleva finalmente, alla

volontà, diventava un ragionamento irrefutabile, una sentenza

opprimente in tre parole: INETTO A VIVERE. Silla se le vedeva

dentro chiare queste tre parole, e il fantasma sorrideva sempre, si

avvicinava, gli procedeva pesante su per la persona, con gli occhi

sbarrati, mettendogli un gelo nelle ossa, fermandogli il respiro.

Quando giunse al cuore, Silla non vide né intese più nulla»

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Malombra (1881)

• Il personaggio di Corrado:• «Inetto alle opere grandi che vagheggiava, alle piccole che lo

premevano, a farsi amare, a vivere».

• «La gente cominciava a spesseggiare, crescevano gli splendori

dei negozi, lo strepito delle carrozze. Alzò la testa e affrettò il

passo. Gli saliva dentro una foga d'orgoglio non del tutto insolita in

lui che in tali condizioni di spirito cercava, godeva la folla per la

voluttà acuta di sentirsele ignoto e di disprezzarla, di dominarla col

pensiero. Trovatosi a un tratto sul corso Vittorio, si gettò nel fiume

della gente».

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Malombra (1881)

• Il personaggio di Corrado:• «Stava ora lavorando a un saggio sull'ipocrisia. Inconscio seguace

d'idee preconcette e assolute, voleva dimostrarvi che la menzogna

e la debolezza morale sono caratteristiche di questo tempo, salvo

a dedurne in seguito che discendono dalle sue tendenze

positiviste, ossia dall'essersi oscurato nelle anime il principio

metafisico del vero; e che le verità conquistate nell'ordine fisico,

infinitesimali raggi di quel principio, non hanno né possono avere il

menomo valore di sostituirlo quale generatore di salute morale.

Molto più grave gli pareva questo prosperare della menzogna in

tanta libertà di parola e d'azione. Perché ne trovava infetta la vita

sociale e politica, come le arti, le lettere e le industrie stesse, nelle

quali discende a complice abbietta d'inganno persino la scienza».

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Joris-Karl Huysmans, A ritroso

(1884)

• Elio Vittorini sul «Politecnico» nel 1946:• «[La letteratura in crisi] è intrisa di individualismo

e di decadentismo. Ma è anche carica della

necessità di uscirne, ed è ricerca per uscirne… I

suoi motivi borghesi sono motivi di vergogna

d’essere borghesi e di disperazione d’essere

borghesi».

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Joris-Karl Huysmans, A ritroso

(1884)

• Huysmans, Prefazione dell’autore scritta vent’anni dopo il

romanzo

• «Cercavo vagamente di sfuggire da una strada chiusa in cui

soffocavo, ma non avevo alcun piano prestabilito, e A ritroso, che mi

liberò da una letteratura senza uscita dandomi nuova aria, è opera

del tutto inconsapevole, immaginata, senza idee preconcette, senza

segrete intenzioni per un futuro, insomma senza nulla di simile. […]

A una cosa soprattutto tendevo in quel tempo: sopprimere l’intreccio

tradizionale, perfino la passione e la donna, concentrare il fascio di

luce su di un solo personaggio, fare a ogni costo del nuovo. […]

Bisogna pur confessarlo: nessuno capiva l’animo umano meno dei

naturalisti che si proponevano di osservarlo. Vedevano l’esistenza

tutta d’un pezzo; l’accettavano solo condizionata a elementi

verosimili; e ho imparato in seguito, per esperienza, che

l’inverosimile non è sempre, nel mondo, un’eccezione […]».

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Joris-Karl Huysmans, A ritroso

(1884)• Huysmans, Prefazione dell’autore scritta vent’anni dopo il

romanzo

• «[…] ogni capitolo diveniva la sintesi di una specialità, il concentrato

di un’arte diversa; si condensava in un’essenza di pietre preziose, di

profumi, di fiori, di letteratura religiosa e laica, di musica profana e

sacra».

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Joris-Karl Huysmans, A ritroso

(1884)• Huysmans, Prefazione dell’autore scritta vent’anni dopo il

romanzo:

il capitolo sui colori

il capitolo sulla letteratura latina della decadenza

il capitolo sulle pietre preziose

il capitolo sulla pittura

il capitolo sulla lussuria

il capitolo sul sacrilegio

il capitolo sui fiori

il capitolo sugli odori

i capitoli sulla letteratura laica e religiosa contemporanea

il capitolo sull’arte profana

il capitolo sul canto sacro

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Joris-Karl Huysmans, A ritroso

(1884)• Chi è Des Esseintes (Notizia dell’autore alla prima

edizione):

• «A giudicare dai pochi ritratti di famiglia conservati nel castello di

Lourps, i Floressas des Esseintes discendevano nei tempi da atletici

soldatacci, da arcigni armigeri. Stretti, pigiati nelle vecchie cornici

che sbarravano con le gagliarde spalle, essi intimidivano con la

fissità dello sguardo, coi baffoni a scimitarra, con la possanza del

petto che s'avanzava a riempire l'enorme guscio della corazza».

• «La decadenza di quell'antica famiglia aveva evidentemente seguìto

il suo corso fatale; l'infemminirsi della linea maschile s'era andato via

via accentuando. Quasi a precipitare l'opera del tempo, durante dei

secoli i Des Esseintes avevano accoppiato i figli fra loro,

consumando quel po' di forza di cui ancora disponevano in unioni fra

consanguinei».

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Joris-Karl Huysmans, A ritroso

(1884)• Chi è Des Esseintes (Notizia dell’autore alla prima edizione):

• «Tetra era stata la sua infanzia. Minacciato da scrofole, insidiato da

febbri ostinate, era riuscito tuttavia, a forza di cure e di vita all'aperto,

a superare le secche della pubertà; allora i nervi avevano preso il

sopravvento, avuto ragione dei languori e delle prostrazioni

dell'anemia e condotto a buon esito la crescenza»..

• Chi è Des Esseintes (Capitolo I):

• «Quasi solo di notte viveva, stimando che di notte in nessun luogo si

stava bene come in casa, in nessun luogo era più solo e che l'anima

non spiccava il volo e non fiammeggiava che nell'immediata

vicinanza dell'ombra. Trovava pure un particolare godimento a

restare in una camera bene illuminata, desta e all'erta essa sola, tra

tante case piene di buio e di sonno; godimento in cui entrava forse

una punta di vanità; compiacimento affatto egoistico, che conosce chi

lavora sin tardi, quando, alzando le tendine della finestra, constata

che tutto intorno a lui è spento, tutto è muto, tutto è morto».

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Joris-Karl Huysmans, A ritroso

(1884)

• Equazione fondamentale sulla quale poggia

tutto il romanzo:

• Disgusto dell’umanità → fuga dalla realtà →

creazione di un mondo fittizio → malattia

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Joris-Karl Huysmans, A ritroso

(1884)«Quei ritrosi fidanzati, quelle eroine protestanti

accuratamente accollate, si amavano fra le nuvole, si

limitavano ad avvallare gli occhi, a farsi di porpora, a

lacrimare di felicità, stringendosi a vicenda le mani.

All’istante, quell'esagerata pudibonderia lo fece balzare al

polo opposto; per legge di contrasto, saltato il fosso, cercò

scampo in ricordi piccanti, in visioni corpose; pensò ad

accoppiamenti frenetici, a bocche che si mescolano, a baci

in cui le lingue s'incontrano, a quei baci che il riserbo

ecclesiastico designa col nome di colombini».

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Jan Luyken (1649-1712)

• «Di questo artista, lunatico e macabro, impetuoso e

selvaggio, Des Esseintes possedeva la serie delle

Persecuzioni religiose: raccapriccianti tavole che facevano

passare sott’occhio tutte le torture che la follia delle religioni

ha inventato; tavole nelle quali urlava lo spettacolo

dell’umano patire: corpi rosolati su bracieri, crani

scoperchiati da spade, trapanati da chiodi, morsi da seghe;

intestini dipanati dal ventre, avvolti su rocchetti; unghie

lentamente estirpate con tenaglie, pupille accecate,

palpebre rovesciate e imbullettate; arti slogati, infranti pezzo

per pezzo, ossa messe a nudo, accuratamente scarnificate

con lame».

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Jan Luyken

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Jan Luyken

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Jan Luyken

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Joris-Karl Huysmans, A ritroso

(1884)«“Come un maremoto, i flutti della umana mediocrità

arrivano al cielo. Un momento ancora e inghiottiranno il

porticciolo di cui io stesso apro le dighe. Ah che mi manca il

coraggio e il cuore mi si spezza! Signore, abbiate pietà del

cristiano che dubita, dell’incredulo che vorrebbe credere, del

forzato della vita che s’imbarca solo nella notte, sotto un

firmamento non rischiarato più dai consolanti fari dell’antica

speranza!”».

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Gabriele d’Annunzio

(1863-1938)

- Prima fase dannunziana o periodo romano (1881-

1891): la nascita dell’estetismo;

- Seconda fase dannunziana (1891): la stanchezza

e il desiderio di rinascita

- Terza fase (dal 1892): l’invenzione del

superuomo

- Quarta fase: d’Annunzio panico e notturno

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Gabriele d’Annunzio

(1863-1938)

- Seconda fase, caratteristiche dell’eroe decadente

dannunziano:

a) raffinato e gelido

b) cultore solo di quel bello che attraverso l’artificio si è

distaccato dalla piatta dimensione naturale: estetismo

c) aristocratico spregiatore del grigio diluvio democratico

e dell’avanzare impetuoso delle masse, che

sommergono con la loro brutalità tante cose belle e

raffinate

d) protagonista di relazioni sentimentali complesse,

travagliate, denotate da forti connotazioni passionali

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Gabriele d’Annunzio

(1863-1938)

- Terza fase. Nel teatro dannunziano (La città morta; La

Gioconda, La Gloria, La Nave) si celebrano:

a) la morale superumana in uno sfondo compiaciuto di

preziosità archeologiche e mitologiche

b) l’esaltazione della lussuria e del sangue, della

violenza e del sacrilegio

c) l’esaltazione di un ideale femminile contraddistinto da

una passionalità sensuale, bramosa e istintuale. Il

modello di personaggio femminile dannunziano è

dunque una donna satanica e stregonesca

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Gabriele d’Annunzio

(1863-1938)

- Terza fase. Le Laudi del cielo, del mare, della terra e

degli eroi:

1°: Maia (1903) il poeta esalta un superomistico ardore

di sperimentazioni e di avventura

2°: Elettra (1903) è dedicato alla celebrazione degli eroi

e risuona tutto di poesia patriottica

4°: Merope (1912) contiene la Canzone della guerra

d’oltremare, cioè la celebrazione della conquista della

Libia

5°: Asterope (postuma) esalta circostanze ed eventi

della Prima guerra mondiale

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Gabriele d’Annunzio

(1863-1938)

- Quarta fase. Alcyone (1903) e il d’Annunzio panico e

notturno.

→ Il terzo libro delle Laudi, Alcyone (1903), ha una

fisionomia un po’ diversa dagli altri.

→ È questa forse la poesia più bella, sentita e

sincera di d’Annunzio, quella nella quale l’autore

esprime le proprie emozioni e i propri sentimenti

con una sincerità e una limpidezza inusuali.

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Gabriele d’Annunzio

(1863-1938)

a) In Alcyone manca sia la dimensione superumana che caratterizza gli altri libri

delle Laudi, sia quella tribunizia da poeta vate che rievoca le glorie passate e

celebra le gesta eroiche del presente.

b) Sostanzialmente la raccolta è una celebrazione della natura, ma priva sia del

vitalismo che abbiamo visto contraddistinguere le prime raccolte (cfr. Canto

novo), sia di quella disposizione al languido e manierato abbandono che

caratterizza il Poema paradisiaco.

c) Prevale in Alcyone un tono che si potrebbe definire equilibrato fra queste due

istanze, ossia fra il Canto novo e il Poema paradisiaco: un rapporto con la

natura realizzato con una con una sensualità quasi casta, grazie alla quale

ogni dato sensoriale si alleggerisce e purifica e il paesaggio diventa

veramente uno stato d’animo. Alcyone rappresenta un magico momento di

tregua dell’autore dalla tensione della costruzione del modello di eroe

superuomo e tribuno.

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Gabriele d’Annunzio

(1863-1938)→ Questo atteggiamento di tregua riscontrabile in Alcyone apre la strada a quella

fase che la critica recente definisce “notturna”. Questa definizione deriva

dall’opera intitolata appunto Notturno che d’Annunzio scrisse nel 1916,

quando a causa di una ferita agli occhi fu costretto a vivere nell’immobilità e al

buio per un certo tempo.

→ Caratterizzano quest’opera l’uso costante di brevi periodi, l’assenza di un vero

e proprio disegno narrativo, il prevalere di una prosa lirica e impressionistica

e, infine, il tema di fondo che è un senso cupo del finire delle cose e la

presenza della morte.

→ Fortemente in contrasto, dunque, con i moduli narrativi e poetici precedenti, il

Notturno si ricollega però ai moduli poetici che d’Annunzio aveva iniziato a

sperimentare proprio con Alcyone.

→ Notturno è composto da prose, confessioni e ricordi caratterizzati da una

spiccata disposizione di interiore ripiegamento che approda alla cupa

malinconia di un fallimentare bilancio esistenziale, e quindi si colloca al

culmine di una fase poetica ed esistenziale già iniziata alcuni anni prima.

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Il Piacere (1889)

- Scritto in 6 mesi (26 luglio 1888-10 gennaio

1889) a Francavilla a Mare in Abruzzo (c/o

Francesco Paolo Michetti, l’amico «tanto grande

conoscitore di anime quanto grande artefice di

pittura»)

- Svolta decadente intorno alla metà del 1884:

Intermezzo di rime (1883) → Baudelaire e Gautier

- 1885: d’Annunzio alla direzione della «Cronaca

Bizantina» → estetica preraffaellita

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Cronaca Bizantina

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Il Piacere (1889)

- Da una lettera del 1887: «dramma di alta

passione» con tre personaggi «due donne

e un uomo, tutti e tre eletti di mente e di

spirito».

- Importanza delle esperienze giornalistiche

- Andrea Sperelli come erede della figura del

dandy baudelairiano.

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Il Piacere (1889): Sperelli erede della

figura del dandy

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Il Piacere (1889)

- Influenzato da: Huysmans, fratelli

Goncourt, Joséphin Péladan, Paul Bourget

ecc.

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Il Piacere (1889)- Per d’Annunzio, in questo periodo, l’arte va intesa

come «verità perseguita con metodo»

- «Questo fondamentale errore letterario dei

romanzieri naturalisti proviene da un errore

scientifico. Essi credono che le cose esteriori

esistano fuori di noi, indipendentemente, e che

quindi dovrebbero avere per tutti li spiriti umani

medesima apparenza».

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Il Piacere (1889)

Maria Hardouin di Gallese Barbara Leoni

- Dualismo: Elena Muti vs. Maria Ferres

- Tecnica della duplicazione (dualismo) → tecnica

della ripetizione

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StrutturaDiviso in 4 libri:

I (5 capp.)

II (4 capp.)

III (4 capp.)

IV (3 capp.)

Tempo del racconto:

la vicenda inizia il 31 gennaio 1886, buona parte del

romanzo è occupata da un lungo flashback;

Sperelli arriva a Roma nel settembre del 1884;

viene lasciato da Elena il 25 marzo 1885;

la vicenda si conclude il 20 giugno 1887.

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- Personaggi:

Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta

Elena Muti duchessa di Scerni

Lord Humphrey Heathfield

Marchesa d’Ateleta (cugina dello Sperelli)

Giannetto Rùtolo

Maria Ferres

- Dedicatoria:

A Francesco Paolo Michetti

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Struttura e vicenda:

L’opera è composta di 4 libri

Libro primo, diviso in 5 capitoli:

presentazione del protagonista nel momento in cuiincontra Elena dopo quasi due anni diseparazione;

lungo flashback sulla vicenda d’amore;

dopo essere stato lasciato da Elena, Andrea si dàa una lunga serie di altre relazioni nelle qualicerca di rievocare l’antica amante attraverso ilcorpo di altre donne;

tentando di sedurre donna Ippolita Albonico,Andrea entra in contrasto con Giannetto Rùtolo;duello con Rùtolo: Andrea viene ferito.

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Struttura e vicenda

Libro secondo, diviso in 4 capitoli:

la convalescenza di Andrea a villa Schifanoja,residenza immaginaria sulla costa dell’Adriatico,ospite della cugina marchesa d’Ateleta;

Incontro con Maria Ferres, di cui Andreas’innamora ricambiato;

lunghe descrizioni paesaggistiche dedicate almare e alla spiaggia: questi due ambientinaturali sono presenti in diversi romanzi diD’Annunzio (Il trionfo della morte) erappresentano il tentativo di molti protagonisti dirinnovarsi interiormente e di riconciliarsi con sestessi in uno spazio incontaminato e lontanodalle mistificazioni della civiltà urbana.

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Struttura e vicenda

Libro terzo, diviso in 4 capitoli:

Rientro di Andrea a Roma e ricaduta nel mondomondano intriso di raffinatezza estetica e dicorruzione morale;

questo ambiente soverchia il sentimento d’amoredi Andrea per Maria e lo trasforma in purodesiderio fisico e in mero istinto di possesso;

a peggiorare le cose viene il ritorno di Elena aRoma in compagnia dal marito Lord HumphreyHeathfield;

Andrea è dilaniato tra due amori e due donnecompletamente diverse: Elena e Maria.

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Struttura e vicenda

Libro quarto, diviso in 3 capitoli:

Andrea sovrappone sempre di più le immagini

delle due donne e alla fine, dilaniato

internamente dal fatto che Elena continua la sua

vita ignorandolo, ne invoca il nome mentre si

trova tra le braccia di Maria;

il romanzo si conclude con la vendita all’asta dei

mobili del palazzo di Maria Ferres, causata dal

fallimento del marito, e con Andrea che si aggira

smarrito per le stanze oramai vuote.

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Andrea Sperelli

Il conte Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta, unico erede,

proseguiva la tradizione familiare. Egli era, in verità, l’ideal

tipo del giovine signore italiano nel XIX secolo, il legittimo

campione d’una stirpe di gentiluomini e di artisti eleganti,

l’ultimo discendente d’una razza intellettuale. Egli era, per

così dire, tutto impregnato di arte. La sua adolescenza,

nutrita di studi varii e profondi, parve prodigiosa. Egli alternò,

fino a’ vent’anni, le lunghe letture coi lunghi viaggi in

compagnia del padre e poté compiere la sua straordinaria

educazione estetica sotto la cura paterna, senza restrizioni e

constrizioni di pedagoghi. Dal padre appunto ebbe il gusto

delle cose d’arte, il culto spassionato della bellezza, il

paradossale disprezzo de’ pregiudizi, l’avidità del piacere.

(Libro I, cap. II)

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Tutto penetrato e imbevuto di arte, non aveva ancora

prodotto nessuna opera notevole. (cap. II)

Nel tumulto delle inclinazioni contraddittorie egli aveva

smarrito ogni volontà ed ogni moralità. La volontà abdicando,

aveva ceduto lo scettro agli istinti; il senso estetico aveva

sostituito il senso morale. Ma codesto senso estetico

appunto, sottilissimo e potentissimo e sempre attivo, gli

manteneva nello spirito un certo equilibrio; così che si poteva

dire che la sua vita fosse una continua lotta di forze contrarie

chiusa ne’ limiti di un certo equilibrio. (Libro I, cap. II)

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In casa della marchesa d’Ateleta sua cugina, sopra un albo di

confessioni mondane, accanto alla domanda «Che cosa

vorreste voi essere?» egli aveva scritto «principe romano».

Giunto a Roma in sul finire di settembre del 1884, stabilì il suo

home nel Palazzo Zuccari alla Trinità de’ Monti, su quel

dilettoso tepidario cattolico dove l’ombra dell’obelisco di Pio VI

segna la fuga delle Ore. Passò tutto il mese di ottobre tra le

cure degli addobbi; poi, quando le stanze furono ornate e

pronte, ebbe nella nuova casa alcuni giorni d’indicibile

tristezza. Era una estate di San Martino, una primavera de’

morti grave e soave, in cui Roma adagiatasi, tutta quanta d’oro

come una città dell’Estremo Oriente, sotto un ciel quasi latteo,

diafano come i cieli che si specchiano ne’ mari australi. Quel

languore dell’aria e della luce, ove tutte le cose parevano quasi

perdere la loro realtà e divenire immateriali, mettevano nel

giovine una prostrazione infinita, un senso inesprimibile di

scontento, di sconforto, di solitudine, di vacuità, di nostalgia.

(Libro I, cap. II)

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Roma era il suo grande amore: non la Roma dei Cesari ma la

Roma dei Papi; non la Roma degli Archi, delle Terme, dei

Fori, ma la Roma delle Ville, delle Fontane, delle Chiese. Egli

avrebbe dato tutto il Colosseo per la Villa Medici, il Campo

Vaccino per la Piazza di Spagna, l’Arco di Tito per la

Fontanella delle Tartarughe. La magnificenza principesca dei

Colonna, dei Doria, dei Barberini l’attraeva assai più della

ruinata grandiosità imperiale. E il suo gran sogno era di

possedere un palazzo incoronato da Michelangelo e istoriato

dai Carracci, come quello Farnese; una galleria piena di

Raffaelli, di Tiziani, di Domenichini, come quella Borghese;

una villa, come quella d’Alessandro Albani, dove i bussi

profondi, il granito rosso d’Oriente, il marmo bianco di Luni, le

statue della Grecia, le pitture del Rinascimento, le memorie

stesse del luogo componessero un incanto intorno a qualche

suo superbo amore. (Libro I, cap. II)

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Roma nel Piacere

La Roma dell’amore;

la Roma delle ville nobiliari;

la Roma del dissidio interiore e della morte;

la Roma fantastica e indeterminata,

trasfigurata in dimensione onirica

dell’esistenza;

la Roma degli altri: il popolo;

la Roma della speculazione.

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La Roma dell’amore

Essi comprendevano l’alto grido del poeta:

«Eine Welt zwar bist Du, o Rom! Tu sei un

mondo, o Roma! Ma senza l’amore il

mondo non sarebbe il mondo, Roma

stessa non sarebbe Roma». E la scala

della Trinità de’ Monti glorificata dalla lenta

ascensione del Giorno, era la scala della

Felicità, per l’ascensione della bellissima

Elena Muti. (Libro I, cap. IV)

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La Roma delle ville nobiliari

Per essi Roma s’illuminava d’una voce novella. Ovunquepassavano, lasciavano una memoria d’amore. […] Le villedei cardinali e dei principi: la Villa Pamphily, che si rimiranelle sue fonti e nel suo lago tutta graziata e molle, oveogni boschetto par chiuda un nobile idillio ed ove i balaustrilapidei e i fusti arborei gareggian di frequenza; la villaAlbani, fredda e muta come un chiostro, selva di marmieffigiati e museo di bussi centenarii, ove dai vestiboli e daiportici, per mezzo alle colonne di granito, le cariatidi e leerme, simboli d’immobilità, contemplano l’immutabilesimmetria del verde; e la Villa Medici che pare una forestadi smeraldo ramificante in una luce soprannaturale; e laVilla Ludovisi, un po’ selvaggia, profumata di viole,consacrata dalla presenza della Giunone cui Wolfgangadorò, ove in quel tempo i platani d’Oriente e i cipressidell’Aurora, che parvero immortali, rabbrividivano nelpresentimento del mercato e della morte; tutte le villegentilizie, sovrana gloria di Roma, conoscevano il loroamore. (Libro I, cap. IV)

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la Roma del dissidio interiorePioveva. Per qualche tempo, egli rimase con la fronte contro i vetridella finestra a guardare la sua Roma, la grande città diletta, cheappariva in fondo cinerea e qua e là argentea tra le rapidealternative della pioggia spinta e respinta dal capriccio del vento inun’atmosfera tutta egualmente grigia, ove ad intervalli si diffondevaun chiarore, subito dopo spegnendosi, come un sorridere fugace.La Piazza della Trinità de’ Monti era deserta, contemplatadall’obelisco solitario. Gli alberi del viale lungo il muro checongiungeva la chiesa alla Villa Medici, si agitavano già seminudi,nerastri e rossastri al vento e alla pioggia. Il Pincio ancoraverdeggiava, come un’isola in un lago nebbioso. Egli, guardando,non aveva un pensiero determinato, ma un confuso viluppo dipensieri; e gli occupava l’anima un sentimento soverchiante ognialtro: il pieno e vivace risveglio del suo vecchio amore per Roma,per la dolcissima Roma, per l’immensa augusta unica Roma, per lacittà delle città, per quella ch’è sempre giovine e sempre novella esempre misteriosa, come il mare. Pioveva, pioveva. Sul MonteMario il cielo si oscurava, le nuvole si addensavano, diventavanod’un color ceruleo cupo d’acqua raccolta, si dilatavano verso ilGianicolo, si abbassavano sul Vaticano. La cupola di San Pietrotoccava con la sommità quell’enorme adunazione e parevasostenerla, simile a una gigantesca pila di piombo. (Libro III, cap. I)

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la Roma della morte

La città giaceva estinta, come sepolta

dalla cenere d’un vulcano invisibile,

silenziosa e funerea come una città

disfatta da una pestilenza, enorme,

informe, dominata dalla Cupola che le

sorgeva dal grembo come una nube.

(Libro IV, cap. I)

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la Roma fantastica e indeterminata, trasfigurata in

dimensione onirica dell’esistenza

Era una notte di gennaio fredda e serena, una di

quelle prodigiose notte iemali che fanno di

Roma una città d’argento chiusa in una sfera di

diamante. La luna piena, a mezzo del cielo,

versava la triplice purezza della luce, del gelo e

del silenzio. (Libro III, cap. II)

La Trinità de’ Monti splendeva nell’azzurro con

lineamenti netti, come intagliata in un marmo

appena roseo. Roma, sotto, aveva un luccicor

cristallino, come una città scavata in un

ghiacciaio. (idem)

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la Roma fantastica e indeterminata, trasfigurata in

dimensione onirica dell’esistenza

Splendeva su Roma, in quella memorabile notte di febbraio,un plenilunio favoloso, di non mai veduto lume. L’aria parevaimpregnata come d’un latte immateriale; tutte le coseparevano esistere d’una esistenza di sogno, parevano imaginiimpalpabili come quelle d’una meteora, parevan esser visibilidi lungi per un irradiamento chimerico delle loro forme. Laneve copriva tutte le verghe dei cancelli, nascondeva il ferro,componeva un’opera di ricamo più leggera e più gracile d’unafiligrana, che i colossi ammantati di bianco sostenevano comele querci sostengono le tele dei ragni. Il giardino fioriva asimilitudine d’una selva immobile di gigli enormi e difformi,congelato; era un orto posseduto da una incantazionelunatica, un esanime paradiso di Selene. Muta, solenne,profonda, la casa dei Barberini occupava l’aria: tutti i rilievigrandeggiavano candidissimi gittando un’ombra cerulea,diafana come una luce; e quei candori e quelle ombresovrapponevano alla vera architettura dell’edifizio il fantasmad’una prodigiosa architettura ariostea. (Libro III, cap. III)

Page 164: Storia della parola «romanzo» e fortuna del genere romanzo lezioni corso B1+B2 2… · fantasy e science fiction) • Science fiction = soddisfa il suo bisogno di meraviglioso ed

la Roma degli altri: il popoloCome i due entrarono, nella gente dell’osteria nonavvenne alcun moto di meraviglia. Tre o quattro uominifebricitanti stavano intorno a un braciere quadrato,taciturni e giallastri. Un bovaro, di pel rosso,sonnecchiava in un angolo, tenendo ancora fra i denti lapipa spenta. Due giovinastri, scarni e biechi, giocavano acarte, fissandosi negli intervalli con uno sguardo pienod’ardor bestiale. E l’ostessa, una femmina pingue,teneva fra le braccia un bambino, cullandolopesantemente. Mentre Elena beveva l’acqua nelbicchiere di vetro, la femmina le mostrava il bambino,lamentandosi. «Guardate, signora mia! Guardate,signora mia!» Tutte le membra della povera creaturaerano di una magrezza miserevole; le labbra violaceeerano coperte come di grumi lattosi. Pareva quasi che lavita fosse di già fuggita da quel piccolo corpo, lasciandouna materia su cui ora le muffe vegetavano. (Libro I, cap.I)

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La Roma della speculazioneRoma splendeva, nel mattino di maggio, abbracciata dal

sole. Lungo la corsa, una fontana illustrava del suo risoargenteo una piazzetta ancor nell’ombra; il portone d’unpalazzo mostrava il fondo d’un cortile ornato di portici estatue; dall’architrave barocco d’una chiesa di travertinopendevano i paramenti del mese di Maria. Sul ponteapparve il Tevere lucido fuggente tra le case verdastre,verso l’isola di San Bartolomeo. Dopo un tratto di salita,apparve la città immensa, augusta, radiosa, irta dicampanili, di colonne e d’obelischi, incoronata di cupolee di rotonde, nettamente intagliata, come un’acropoli, nelpieno azzurro. «Ave, Roma. Morituri te salutant» disseAndrea Sperelli, gittando il residuo della sigaretta versol’Urbe. […] Erano nella villa Sciarra, già per metàdisonorata dai fabbricanti di case nuove; e passavano inun viale di lauri alti e snelli, tra due spalliere di rose.(Libro I, cap. V)

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La prospettiva ideologica

Sotto il grigio diluvio democratico odierno,

che molte belle cose e rare sommerge

miseramente, va anche a poco a poco

scomparendo quella special classe di antica

nobiltà italica, in cui era tenuta viva di

generazione in generazione una certa

tradizione familiare d’eletta cultura,

d’eleganza e di arte. (Libro I, cap. II)

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La prospettiva ideologica: la

rappresentazione della crisi dell’aristocrazia e

dell’alta borghesia

Il Piacere non è soltanto un manuale

dell’estetismo tardo ottocentesco, ma è

anzitutto il documento di una crisi

profonda, la rappresentazione della

povertà e del vuoto morale che si cela

sotto la raffinatezza e il vitalismo della

società aristocratica e alto-borghese di fine

Ottocento.

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Il tema dell’amore tra spiritualità ed eros

Dicotomia dell’amore in Sperelli:

- amore spirituale: Maria Ferres

- amore carnale (eros): Elena Muti

- Impossibilità di ricomposizione di questi due aspetti →

prevalenza in Sperelli dell’influenza del secondo.

- Amore carnale = pulsione monomaniacale = dimensione sado-

masochistica = morte (perdita dell’identità e annichilimento della

volontà)

- Amore carnale → importanza dello sguardo come mezzo di

‘possesso’: → per Hugo von Hofmannsthal (Der neue Roman von

d’Annunzio), ognuno cade «sotto lo sguardo implacabile dell’altro,

ognuno viene divorato dall’attenzione dell’altro».

- Sguardo = Medusa

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Il tema dell’amore tra spiritualità ed eros

Lo scudo con la testa di Medusa di Caravaggio (Firenze, Galleria

degli Uffizi)

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Il tema dell’amore tra spiritualità ed eros

Andrea Sperelli lo seguì con lo sguardo, fin su la soglia, inquieto.

Rimasto solo, fu preso da una terribile angoscia. La stanza,

tappezzata di damasco rosso cupo, come la stanza dove Elena due

anni innanzi erasi data a lui, gli parve allora tragica e lugubre. Forse

quelle erano le tappezzerie medesime che avevano udite le parole di

Elena: – Mi piaci! – L’armario aperto lasciava vedere le file dei libri

osceni, le rilegature bizzarre impresse di simboli fallici. Alla parete

pendeva il ritratto di Lady Heathfield accanto a una copia della Nelly

O’Brien di Joshua Reynolds. Ambedue le creature, dal fondo della

tela, guardavano con la stessa intensità penetrante, con lo stesso

ardor di passione, con la stessa fiamma di desiderio sensuale, con la

stessa prodigiosa eloquenza; ambedue avevano la bocca ambigua,

enigmatica, sibillina, la bocca delle infaticabili ed inesorabili bevitrici

d’anime; e avevano ambedue la fronte marmorea, immacolata,

lucente d'una perpetua purità. […] Andrea avrebbe dato qualunque

prezzo per sottrarsi al supplizio che l’aspettava ed era attratto da

quel supplizio. (Libro IV, cap. I)

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Il tema dell’amore tra spiritualità ed eros

Nelly o’Brian di Joshua Reynolds

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Sintesi dei temi de Il piacere

I temi che emergono de Il Piacere sono quindi:

- l’affermazione della figura dell’esteta intellettuale inquieto, che

vive in un mondo tutto suo, dominato dal culto della bellezza;

- la descrizione della Roma rinascimentale-barocca come spazio

privilegiato per l’esistenza dell’intellettuale esteta;

- l’avversione nei confronti delle masse popolari e della folla:

- la critica alla società aristocratica e alto borghese di fine

Ottocento, completamente vuota di contenuti e sentimenti;

- la riflessione sui diversi tipi di amore: da quello finalizzato al

puro piacere, il cui raggiungimento diventa una vera e propria

ossessione, all’amore puro e spirituale.

Il tutto in un romanzo dove domina la tecnica narrativa dell’analessi

(flashback).

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Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)

Anno di pubblicazione: 1890 su rivista, 1891 in

volume.

Personaggi principali: Dorian Gray, Basil

Hallward; Henry Wotton, Sybil Vane

«L’artista è il creatore di cose belle… non

esistono libri morali o immorali. I libri sono

scritti bene o scritti male: questo è tutto… il

vizio e la virtù sono per l’artista materiale di

un’arte».

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Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)

Wilde, aforismi:

- Ho dei gusti semplicissimi, mi accontento sempre del

meglio;

- L'unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi;

- Le follie sono le uniche cose che non si rimpiangono

mai;

- Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni;

- Lo spreco della vita si trova nell’amore che non si è

saputo dare, nel potere che non si è saputo utilizzare,

nell’egoistica prudenza che ci ha impedito di rischiare e

che, evitandoci un dispiacere, ci ha fatto mancare la

felicità.

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Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)

Personaggi:

Dorian Gray, giovane bello e innocente all’inizio del

racconto che poi, dopo aver dichiarato che darebbe

la sua anima pur di non invecchiare mai, si dà a

una vita dissoluta e amorale, in netta opposizione al

moralismo dell’epoca vittoriana.

Lord Henry Wotton, amico di Dorian, ha la

personalità demoniaca di un cattivo maestro: è lui

che, attraverso la sua influenza, rende Dorian una

persona spietata e sempre desiderosa di provare

nuovi piaceri. Wotton prova «squisito piacere nel

giocare con l’inconscio egotismo del giovane».

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Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)

Personaggi:

Basil Hallward, pittore e autore del ritratto di Dorian,

nonché suo amico; Dorian lo ha ispirato in

numerose opere rendendolo un pittore di fama; il

rapporto tra i due adombra un legame di tipo

omosessuale: «È vero che ti ho adorato con molto

più sentimento amoroso di quello che un uomo

dovrebbe mai riservare a un amico. In qualche

modo non ho mai amato una donna».

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Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)

Personaggi:

Sybil Vane, la ragazza di cui Dorian s’innamora:

una giovane attrice di teatro di 17 anni che, dopo

essersi innamorata a sua volta di lui, perde la

capacità di recitare: per questo viene malamente

ripudiata da Dorian e decide di suicidarsi; Dorian a

Sybil: «Tu incarnavi i sogni dei grandi poeti e davi

forma e sostanza alle parvenze dell’arte […] hai

distrutto il romance della mia vita […] senz’arte tu

sei nulla».

E sul suicidio della ragazza: «La ragazza non è mai

realmente vissuta, né è mai realmente morta».

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Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)

Fallimento di Dorian Gray.

Perché Dorian fallisce? → perché la sua coscienza

morale non viene trasferita completamente nel ritratto

→ il problema della ‘memoria’: «La memoria, come

un’orribile malattia, corrodeva la sua anima»

Possibili conclusioni alternative del romanzo:

Wilde, attraverso il fallimento di Dorian, rinnega la

superiorità dell’arte sulla vita?

Oppure ne conferma la validità, ma ne mostra il

fallimento attraverso la parabola di un personaggio

non sufficientemente forte per incarnare in modo

perfetto questa superiorità e che ricade nella

‘volgarità’?

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Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)

Cap. XX: «Ogni delitto è volgare, come ogni

volgarità è un delitto […] un assassinio è sempre

un errore. Una persona non dovrebbe mai

commettere un atto del quale non può parlare

dopo a cena».

Il tema del doppio: «Ognuno di noi ha l’inferno e il

paradiso dentro di sé».

Il tema del rapporto tra arte e vita: tema già

romantico (John Keats, Théophile Gautier, Walter

Pater).

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Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray (1890)

Fonti:

- Balzac, La pelle di zigrino;

- Poe, William Wilson;

- Tutta la letteratura del Doppelgänger, da

Stevenson a Dickens;

- Tutta la letteratura sul mito di Faust, da Goethe a

Marlowe a Wagner.

Struttura del romanzo: la forma del thriller.

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D’Annunzio, Temi e citazioni da Il fuoco

(1900)

- Il tema di Venezia

- Il personaggio di Èffrena

→ lo spirito del superuomo

→ la sua capacità oratoria

→ la missione

- Foscarina

- Il tema della folla

- Wagner e la sua musica

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Il fuoco (1900)Il tema di Venezia:

E quella musica silenziosa delle linee immobili era così

possente che creava il fantasma quasi visibile di una vita più

bella e più ricca sovrapponendolo allo spettacolo della

moltitudine inquieta. Sentiva essa la divinità dell’ora; e nel suo

clamore verso quella forma novella di regalità approdante

all’antica riva, verso quella bella regina bionda illuminata da un

sorriso inestinguibile, esalava forse l’oscura aspirazione a

trascendere l’angustia della vita volgare e a raccogliere i doni

dall’eterna Poesia sparsi su le pietre e su le acque. L’anima

cupida e forte dei padri acclamanti ai reduci trionfatori del Mare

si risvegliava confusamente negli uomini oppressi dal tedio e

dal travaglio dei lunghi giorni mediocri; e rimembrava l’aura

mossa dai grandi vessilli di battaglia nel ripiegarsi come le ali

della Vittoria dopo il volo o il loro garrito, già onta alle flotte

fuggiasche, non placabile.

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Il fuoco (1900)

Il tema di Venezia:

— La pace! L'oblio! Ritrovate voi queste cose laggiù, in

fondo al vostro canale deserto, quando tornate esausta e

riarsa dall'aver respirato il soffio delle platee che un vostro

gesto rende frenetiche? Io, per me, quando sono su

quest'acqua morta, sento che la mia vita si moltiplica con

una rapidità vertiginosa; e in certe ore mi sembra che i miei

pensieri s'infiammino come per l'imminenza del delirio. —

La forza e la fiamma sono in voi, Stelio — disse la donna,

quasi umilmente, senza sollevare gli occhi.

Quindi Venezia è: «Città della vita», perché…

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Il fuoco (1900)

Il tema di Venezia:

«Ella ci persuade ogni giorno l'atto che è la genesi stessa di

nostra specie: lo sforzo di sorpassar sé medesimo, senza

tregua; ella ci mostra la possibilità di un dolore trasmutato

nella più efficace energia stimolatrice; ella c'insegna che il

piacere è il più certo mezzo di conoscimento offertoci dalla

Natura e che colui il quale molto ha sofferto è men sapiente

di colui il quale molto ha gioito».

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Il fuoco (1900)

Il personaggio di Èffrena → lo spirito del superuomo:

Egli era giunto a compiere in sé stesso l'intimo connubio

dell'arte con la vita e a ritrovare così nel fondo della sua

sostanza una sorgente perenne di armonie. Egli era giunto

a perpetuare nel suo spirito, senza intervalli, la condizione

misteriosa da cui nasce l'opera di bellezza e a trasformare

così d'un tratto in specie ideali tutte le figure passeggiere

della sua esistenza volubile. Egli aveva indicato appunto

questa sua conquista quando aveva messo in bocca ad una

delle sue persone le parole: “Io assisteva in me medesimo

alla continua genesi d'una vita superiore in cui tutte le

apparenze si trasfiguravano come nella virtù di un magico

specchio”.

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Il fuoco (1900)

Il personaggio di Èffrena → lo spirito del superuomo:

E per alcuni giorni mi compiacqui curiosamente nel

convivere con lo spirito d’un patrizio Veneto del secolo XVI,

ornato di tutte lettere come il cardinal Bembo, academico

degli Uranici o degli Adorni, frequentatore assiduo degli orti

muranesi e dei colli asolani.

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Il fuoco (1900)

Il personaggio di Èffrena → la sua capacità oratoria:

Dotato d'una straordinaria facoltà verbale, egli riusciva a

tradurre istantaneamente nel suo linguaggio pur le più

complicate maniere della sua sensibilità con una esattezza e

con un rilievo così vividi che esse talvolta parevano non più

appartenergli, appena espresse, rese oggettive dalla potenza

isolatrice dello stile. La sua voce limpida e penetrante, che

pareva disegnare con un contorno netto la figura musicale di

ciascuna parola, dava maggior risalto a questa singolar qualità

del suo dire. Talché in quanti l'udivano per la prima volta si

generava un sentimento ambiguo, misto di ammirazione e di

avversione, manifestando egli sé medesimo in forme così

fortemente definite che sembravano risultare da una volontà

costante di stabilire tra sé e gli estranei una differenza profonda

e insormontabile.

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Il fuoco (1900)

Il personaggio di Èffrena → la sua capacità oratoria:

[…] la parola orale, rivolta in modo diretto a una moltitudine,

non debba aver per fine se non l’azione, e sia pure un’azione

violenta. A questo solo patto uno spirito un po’ fiero può,

senza diminuirsi, comunicare con la folla per le virtù sensuali

della voce e del gesto.

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Il fuoco (1900)

Il personaggio di Èffrena → la sua capacità oratoria:

Era nella parola e nell'atto un così vivo rincrescimento e, nel

tempo medesimo, una così strana evocazione della folla

aspettante, ch'egli ne fu turbato; poiché l'imagine del mostro

formidabile dagli innumerevoli volti umani gli riapparve tra

l'oro e la porpora cupa dell'aula immensa, ed egli ne

presentì su la sua persona lo sguardo fisso e l'alito estuoso,

e misurò d'un tratto il pericolo ch'egli era deliberato

d'affrontare affidandosi alla sola ispirazione momentanea, e

provò l'orrore dell'improvvisa oscurità mentale, della

repentina vertigine. — Rassicuratevi — disse. — Ho voluto

scherzare. Andrò ad bestias; e andrò inerme.

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Il fuoco (1900)

Il personaggio di Èffrena → la missione:

Io penso che ogni uomo d'intelletto possa, oggi come

sempre, nella vita creare la propria favola bella. Bisogna

guardare nel turbinio confuso della vita con quello stesso

spirito fantastico con cui i discepoli del Vinci erano dal

maestro consigliati di guardare nelle macchie dei muri, nella

cenere del fuoco, nei nuvoli, nei fanghi e in altri simili luoghi

per trovarvi “invenzioni mirabilissime” e “infinite cose”. Allo

stesso modo, aggiungeva Leonardo, troverete nel suono

delle campane ogni nome e vocabolo che vi piacerà

d’imaginare.

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Il fuoco (1900)

Il personaggio di Èffrena → la missione:

Era il sommo beneficio della Bellezza rivelata; era la vittoria

dell'Arte liberatrice su le miserie e su le inquietudini e su i

tedii dei giorni comuni; era il felice intervallo in cui cessano

le fitte del dolore e del bisogno, e sembrano aprirsi

lentamente le chiuse mani del Destino.

Tu devi congratularti teco perché sei riuscito a imprimere

per qualche ora il ritmo dell'arte alla vita d'una città

immemore e a farci intravedere di quali splendori potrebbe

abbellire la nostra esistenza il rinnovato connubio dell'Arte

con la Vita.

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Il fuoco (1900)

Foscarina:

E una pesante tristezza lo inclinò verso l'estremo amore di

quella donna solitaria e nomade che pareva portare per lui

nelle pieghe delle sue vesti raccolta e muta la frenesia delle

moltitudini lontane dalla cui bestialità compatta ella aveva

sollevato il brivido fulmineo e divino dell'arte con un grido di

passione o con uno schianto di dolore o con un silenzio di

morte; una torbida brama lo piegò verso quella donna

sapiente e disperata in cui egli credeva scoprire i vestigi di

tutte le voluttà e di tutti gli spasimi, verso quel corpo non più

giovine, ammollito da tutte le carezze e rimasto ancora

sconosciuto per lui.

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Il fuoco (1900)

La folla:

«folla aspettante”

“folla unanime e strepitosa”

“moltitudine che brulicava”

“moltitudine ammutolita e aspettante”

“meschina gente intrusa”

“popolo ammutinato”

“gente estranea, tolta per una sera alle sue occupazioni

mediocri”

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Il fuoco (1900)

La folla:

Oppure con perifrasi come:

“il mostro formidabile dagli innumerevoli volti umani occupante la

vastità dell’aula sonora” (il sintagma in corsivo ripetuto 2 volte

nel primo capitolo)

“mostro effimero e versatile”

“mille petti inamidati”

“la viva massa umana”

“massa compatta”

“chimera occhiuta dal busto coperto di scaglie splendide” (è

l’immagine che gli viene in mente guardando la folla, anche

questa ripetuta 2 volte nel primo capitolo)

“volti innumerevoli”

“anima innumerevole” (anche questo ripetuto più volte)

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Il fuoco (1900)

La folla:

A voi solo era riserbata questa gioia: di poter comunicare

per la prima volta con la moltitudine in un luogo sovrano

com’è la Sala del Maggior Consiglio, dal palco dove un

tempo il Doge parlava all’adunanza dei patrizii, avendo per

fondo il Paradiso del Tintoretto e sul capo la Gloria del

Veronese.

Sono tutti quelli che hanno bevuta la tua poesia, che hanno

respirato nell’etere infiammato del tuo sogno, che hanno

provato l’artiglio della tua chimera. Sono tutti quelli a cui tu

hai promesso una vita più bella e più forte, tutti quelli a cui

tu hai annunziato la trasfigurazione del mondo pel prodigio

di un’arte nuova. Sono molti, sono molti quelli che tu hai

sedotti con la tua speranza e con la tua gioia. Tu puoi

sollevare nelle loro anime un moto veemente che le volga e

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Il fuoco (1900)

La folla:

Sono tutti quelli che hanno bevuta la tua poesia, che hanno respirato

nell’etere infiammato del tuo sogno, che hanno provato l’artiglio della

tua chimera. Sono tutti quelli a cui tu hai promesso una vita più bella

e più forte, tutti quelli a cui tu hai annunziato la trasfigurazione del

mondo pel prodigio di un’arte nuova. Sono molti, sono molti quelli

che tu hai sedotti con la tua speranza e con la tua gioia. Tu puoi

sollevare nelle loro anime un moto veemente che le volga e le

protenda per sempre verso l’Ideale. Per quanti di loro, Stelio, potrà

essere indimenticabile questa notte veneziana!

La parola del poeta comunicata alla folla era dunque un atto, come il

gesto dell’eroe. Era un atto che creava dall'oscurità dell’anima

innumerevole un’istantanea bellezza, come uno statuario portentoso

potrebbe da una mole d’argilla trarre con un sol tocco del suo pollice

plastico una statua divina.

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Il fuoco (1900)

L’idea di Stelio su Wagner e sulla sua musica:

— L’opera di Riccardo Wagner — egli ripose — è fondata su lo spirito

germanico, è d’essenza puramente settentrionale. La sua riforma ha

qualche analogia con quella tentata da Lutero. Il suo drama non è se

non il fiore supremo del genio d’una stirpe, non è se non il compendio

straordinariamente efficace delle aspirazioni che affaticarono l’anima dei

sinfoneti e dei poeti nazionali, dal Bach al Beethoven, dal Wieland al

Goethe. Se voi imaginaste la sua opera su le rive del Mediterraneo, tra i

nostri chiari olivi, tra i nostri lauri svelti, sotto la gloria del cielo latino, la

vedreste impallidire e dissolversi. Poiché — secondo la sua stessa

parola — all’artefice è dato di veder risplender della perfezione futura un

mondo ancora informe e di gioirne profeticamente nel desiderio e nella

speranza, io annunzio l’avvento d’un’arte novella o rinnovellata che per

la semplicità forte e sincera delle sue linee, per la sua grazia vigorosa,

per l’ardore de’ suoi spiriti, per la pura potenza delle sue armonie,

continui e coroni l'immenso edifizio ideale della nostra stirpe eletta. Io mi

glorio d’essere un latino; e […] riconosco un barbaro in ogni uomo di

sangue diverso.