Storia della filosofia contemporanea

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Storia della filosofia contemporanea di Carlo Cilia Appunti corposi sui maggiori filosofi dell'età contemporanea. Dal post kantismo a dalla riflessione di Fichte, attraverso i lavori fondamentali di Schopenhauer, Marx e Kierkegaard; un'ampia parte è dedicata al pensiero di Hegel e a quello di Nietzsche, che ha condizionato tutto il Novecento. Si arriva fino alla situazione italiana a cavallo del fascismo, con Gentile e Croce. Università: Università degli Studi di Catania Facoltà: Lettere e Filosofia Esame: Storia della filosofia contemporanea

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Storia della filosofia contemporanea

di Carlo Cilia

Appunti corposi sui maggiori filosofi dell'età contemporanea. Dal post kantismo

a dalla riflessione di Fichte, attraverso i lavori fondamentali di Schopenhauer,

Marx e Kierkegaard; un'ampia parte è dedicata al pensiero di Hegel e a quello

di Nietzsche, che ha condizionato tutto il Novecento. Si arriva fino alla

situazione italiana a cavallo del fascismo, con Gentile e Croce.

Università: Università degli Studi di Catania

Facoltà: Lettere e FilosofiaEsame: Storia della filosofia contemporanea

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1. Discussione post-kantiana sul criticismo Alla fine del 700 i contemporanei di Kant erano consapevoli dell’enorme importanza del pensiero criticoperò consideravano il criticismo di Kant non ancora definitivo: l’eterogeneità tra oggetto sensibile eintelletto, la distinzione dualistica tra soggetto conoscente e soggetto agente, la problematicità del significatoda dare alla “cosa in sé” furono le problematiche che affrontarono un gruppo di pensatori tedeschi a cui èdato il nome di post kantiani.

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2. Fichte e la prima dottrina della conoscenza Fichte (1762-1814): in questa accesa discussione rientra anche Fichte Egli studiò intensamente Kant e nel1791 volle conoscere personalmente il suo maestro ideale consegnandogli il suo manoscritto Saggio di unacritica di ogni rivelazione dove sosteneva che la rivelazione divina va ricondotta a contenuti morali erazionali. Fu grazie a questo saggio pubblicato da Kant che Fichte fu improvvisamente famoso. Pian pianoFichte eaborò il suo passaggio dal criticismo all’idealismo. Egli aveva denunciato la frammentarietà delpensiero di Kant, sostenendo che il principio unificatore della conoscenza è l’Io. Questa dottrina ai primordipuò essere definita come “Prima dottrina della conoscenza”: le opere ad essa legate e che vanno dal 74 al 97sono: Sul concetto della dottrina della conoscenza o della cosiddetta filosofia Fondamento dell’intera dottrina della conoscenza Profilo della particolarità della dottrina della scienza Prima introduzione alla dottrina della scienza Seconda introduzione alla dottrina della scienza

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3. Fichte. Ateismo e seconda dottrina della conoscenza Nel 1799 Fichte si lascia coinvolgere nella cosiddetta polemica sull’ateismo: essa si scatenò quando fupubblicato un articolo anonimo che sosteneva che la religione dovesse essere ridotta ai suoi contenutirazionali e morali: egli insieme a Forberg furono accusati di ateismo. Fu costretto allora a trasferirsi aBerlino dove venne in contatto con il circolo romantico e grazie a questo contatto l’idealismo di Fichteassunse dei caratteri più metafisici e religiosi. Questo nuovo orientamento viene solitamente indicato comela “Seconda dottrina della scienza”: questa seconda tendenza si sviluppò su due strade differenti, quellaaccademica attraverso la continua pubblicazione di nuove formulazioni della Dottrina della scienza e quelladivulgativa con scritti più “popolari” come La destinazione dell’uomo (1800) L’essenza del dotto (1805),L’introduzione alla vita beata (1806).

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4. Dottrina della scienza in Fichte. Autoposizione del soggetto Fichte ritiene che per fondare il criticismo su basi veramente solide occorra individuare un principioassolutamente primo e incondizionato. La filosofia non sarà così solo amore per la scienza, ma scienza dellascienza in generale o meglio sia una “dottrina della scienza”. Nel principio primo si deve realizzare unaperfetta unità di forma e materia. Essa allora non può essere soltanto formale e dipendere dalla logica perchénon esistono (come sosteneva Kant) leggi del pensiero che valgano indipendentemente dal contenuto. Inrealtà Kant però faceva derivare dalla logica la metafisica, mentre Fichte considera la logica dipendente dalprincipio assoluto e quindi non un principio essa stessa così che in Fichte viene affermato il principiodell’identità tra logica e metafisica. Il principio primo è allora considerato la radice comune sia dellastruttura logico-formale che del contenuto materiale del sapere. Il principio primo non può essere un fattoderivato dall’esperienza perché esso dipenderebbe sempre da qualcos’altro. Esso sarà allora un attoassolutamente libero e incondizionato attraverso il quale la coscienza si autodetermina, cioè costituisce ilprincipio di se stessa. L’intera scienza allora si fonda su un atto di autoposizione del soggetto attraverso ilquale l’io conferisce realtà  se stesso e a ciò che lo circonda. Tale attività del soggetto si articola in tremomenti che sono la tesi, l’antitesi, la sintesi. Questi tre momenti corrispondono alle tre leggi fondamentalidella logica che per Fichte sono: il principio di identità, il principio di opposizione, il principio di ragione.

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5. Principio di identità in Fichte Il primo principio suona come l’Io pone se stesso, cioè è causa del proprio essere. È a questa affermazioneappunti che corrisponde il principio logico di identità, universalmente riconosciuto e quindi in grado di starealla base del discorso. La cosa importante da tenere presente è il fatto che Fichte riscontra come già abbiamoaccennato identità tra metafisica e logica per cui se A = A viene applicato ad una realtà diversa dall’Io(inteso come Io penso, non come Io individuale) avrà un valore esclusivamente formale, ma se lo si applicaall’Io penso esso assumerà anche significato sostanziale e quindi Io = Io indicherà anche la sua esistenza,ossia la sua autoaffermazione. Il fatto che l’Io si riconosca come essere capace di attività conoscitiva poneautomaticamente la sua stessa realtà. Fichte in questo atto riconosce anche la possibilità di un’intuizioneintellettuale (esclusa da Kant per ogni intelletto finito) mediante il quale il soggetto non conosce soltantoimmediatamente se stesso ma è in grado di cogliere quel principio incondizionato che altrimenti in nessunaltro modo può essere conosciuto. Questo principio è detto tetico in quanto occupa la posizione della tesi,l’atto del porre.

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6. Principio di opposizione in Fichte Il secondo principio suona come all’Io è opposto in seno assoluto un Non-io. L’io infatti così come pone sestesso, “oppone” a se stesso un Non-io ossia pone una realtà diversa da se stessa. Questa opposizione ponetuttavia un problema: come può un Io considerato come infinito (ossia in senso assoluto) opporre a sequalcosa di finito (la realtà esterna)?

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7. Principio di ragione in Fichte Il terzo principio suona come all’interno dell’Io, l’Io pone all’Io divisibile un Non-io divisibile. L’io a cui ilNon-io si oppone non è secondo Fichte l’Io considerato in senso assoluto come principio primo di ogniattività pratica e conoscitiva, bensì un Io divisibile ossia un Io individuale ed empirico in cui l’Io assoluto sirifrange. L’opposizione allora è un’attività interna all’Io assoluto che si esplica come opposizione reciprocatra un’insieme di Io divisibili (le singole coscienze) e un insieme di Non-io altrettanto empirici (i singolioggetti del mondo esterno).

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8. Conoscenza in Fichte. Immaginazione produttiva L’Io e il Non-io allora si oppongono e si determinano a vicenda. Queste due forme di determinazionerappresentano entrambe l’unica attività propria dell’Io assoluto. Da un lato allor l’Io pone se stesso comedeterminato dal Non-io dall’altra si pone come determinante il Non-io. Queste due attività coincidonorispettivamente con l’attività teoretica (conoscenza) e quella pratica (morale). Fichte si pone allora questoproblema: partendo dal presupposto che la conoscenza parte sempre da un’intuizione sensibile, cioè dallapresenza di un oggetto esterno al soggetto conoscente, si chiede come sia possibile che il soggetto in unprimo momento sia passivo nei confronti dell’oggetto, (ossia la sua determinazione dipende dall’oggetto chegli sta di fronte) e nello stesso tempo sia attivo nella determinazione di quello oggetto come qualcosa di altroda sé. Egli risponde a questa questione attraverso la nozione di immaginazione produttiva, di derivazionekantiana. Per Kant essa era la facoltà preposta alla conoscenza degli schemi trascendentali, ossia quellafacoltà che permetteva di attuare una prima sintesi dei dati empirici che sarebbero successivamente passatisotto la sintesi trascendentale dell’Io penso per poi essere finalmente trasformati in concetti. Per Kant alloral’immaginazione produttiva si limitava a unificare empiricamente un’insieme di dati empirici provenientidalla cosa in sé e non dal soggetto. Fichte invece concepisce l’immaginazione produttiva come una vera epropria produzione del contenuto empirico della conoscenza, dal momento che l’immaginazione èproduzione inconsapevole. Questo vuol dire che inconsciamente il soggetto produce un Non-io al quale sicontrappone, sebbene il Non-io sia un oggetto empirico esterno alla realtà del soggetto. È come se Fichteaffermasse che senza tale produzione da parte del soggetto l’oggetto non possa esistere, non solo nella suaforma ma anche a livello sostanziale.

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9. Morale in Fichte. Idealismo etico L’opposizione tra Io e Non-io riguarda non solo l’ambito teoretico ma anche quello pratico. In questo casoperò l’attenzione va posta nell’azione inversa, non quella del Non-io sull’Io (che nello sviluppo del discorsosembra all’inizio essere passivo) ma dell’Io sul Non-io ossia dell’Io come determinante il Non-io.Quest’azione dell’Io sul Non-io viene definita da Fichte come sforzo inteso come capacità del soggetto diopporre resistenza alla materia considerata come ciò che ostacola il soggetto nel raggiungimento di unapurezza della volontà razionale. Il supremo valore morale per Fichte è allora la libertà. Tale libertà però nonsarà mai definitivamente raggiunta poiché tutte le volte che l’Io vincerà sul Non-io inconsciamente ne creeràun altro. La morale di Fichte allora si racchiude in un’etica dell’azione; l’attività pratica diventa la “veramissione dell’uomo” superando in importanza quella teoretica: per questo motivo quello di Fichte è statodefinito idealismo etico. È giusto notare però che non può esserci attività pratica senza che il soggettodetermini se stesso e ciò che lo circonda per cui spesso l’importanza dell’azione dell’Io coincide con ilvalore pratico di un puro atto di pensiero. Da ciò deriva il suo concetto di male: esso non è un principiometafisico (mancanza del bene) ma è considerato almeno per il momento come una carenza di azione, ossial’accidia. Nulla c’è di più spregevole che perdersi nel piacere fine a se stesso. All’etica illuministica fondatasulla felicità e sull’obbedienza alla natura, Fichte oppone un’etica del sacrificio.

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10. Filosofia dell’Assoluto in Fichte Lo sviluppo del pensiero di Fichte non poté essere conosciuto interamente a causa della pubblicazionepostuma delle successive versioni della Dottrina della scienza. L’idealismo conosciuto di Fichte rimaseallora un idealismo soggettivo (così lo definì Hegel) ossia un idealismo che rimandava tutto all’attività delsoggetto, contrapposto a quello oggettivo di Schelling. In realtà Fichte sviluppa il suo idealismo dando adesso un carattere sempre più religioso. Per sfuggire alle critiche mosse al suo sistema, considerato troppochiuso in se stesso e nella soggettività dell’Io Fichte vuole dare al suo sistema un fondamento ontologico.Questo comporta una nuova nozione di infinito. Egli infatti aveva parlato di infinito, o meglio di assoluto, intermini i “produzione” che l’Io era in grado di compiere (distinguendo quindi l’Io assoluto dall’Io empirico).Fichte adesso intende assegnare all’assoluto un carattere metafisico, parlando perciò di un Essere infinitocome principio ontologico di ogni realtà e dunque staccato completamente da un Non-io. L’origine di questoprincipio ontologico non è come volevano i romantici la natura, bensì (rimanendo in questo legato a Kant) lamorale. È la morale che necessita di una volontà infinita che è principio e garanzia di un ordine morale. Perquesto motivo non si tratta di intuire (attraverso l’arte o la natura) ma l’Assoluto può essere afferrato soloattraverso l’esperienza morale. Inoltre l’Assoluto per Fichte non è identificabile data appunto la sua natura(nemmeno con l’identità o l’indifferenza come voleva Schelling). Sarà la fede l’unico strumento adisposizione dell’uomo per conoscere o meglio avvicinarsi all’Assoluto.

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11. Assoluto e Vangelo di Giovanni in Fichte Per spiegare la sua concezione di Assoluto Fichte fa riferimento alla concezione presente nel Vangelo diGiovanni (di origini neo-platoniche) e per questo è anche detta dottrina giovannea. Tale dottrina articola ilconcetto di Dio gerarchicamente in tre livelli: Dio in sé e per sé => a questo livello Dio è assolutamente in conoscibile L’idea di Dio => ossia la manifestazione di Dio in forma di ragione assoluta. In questo caso l’uomo nonconoscerà certamente Dio ma un’immagine frutto di quella ragione vicina all’uomo; è ciò che Giovannichiama Logos, Verbo incarnato L’immagine dell’immagine di Dio => ossia la manifestazione in forma sensibile non più di Dio ma“dell’idea” di Dio. Il destino dell’uomo sta nella beatitudine ossia la sua unità con Dio. La ragione sente l’esigenza di unfondamento che vada al di là di sé stessa: tale fondamento è l’Assoluto con il quale l’uomo si puòricongiungere non già con un atto conoscitivo, bensì con un atto di amore.

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12. Giusnaturalismo in Fichte Anche il pensiero politico presenta un percorso evolutivo per cui nella sua prima fase egli rimane legato aquei principi secondo cui al di là del diritto positivo, esiste un diritto naturale o razionale per cui è la ragioneil principio primo. Essa in realtà lo è anche della morale con la differenza che quest’ultima riguarda l’ambitodei rapporti personale che l’individuo intrattiene con se stesso, mentre quello riguarda la società. Esse hannoanche in comune la promozione della libertà umana. Fichte distingue allora tra diritti inalienabili che entrano nella definizione essenziale del concetto di uomo diritti alienabili che differiscono per coscienza; essi possono essere ceduti o scambiati attraverso contratti =>così nasce la società. Un tipo di contratto particolare è il contratto sociale attraverso il quale si passa da una società naturale alloStato. In esso i comandi della ragione diventano vere e proprie leggi positive e nello stesso tempo vi è lapossibilità di allargare la giurisdizione per disciplinare i rapporti sociali. Ma lo Stato non è indispensabilesecondo Fichte per il mantenimento dell’ordine sociale nel momento in cui gli uomini sviluppassero appienola loro coscienza morale. In realtà lo Stato potrebbe diventare un impedimento per il normale godimentodella proprietà per cui è auspicabile una società senza Stato. Per questo motivo Fichte legittimava larivoluzione francese vista come lo sforzo di sostituire un contratto sociale iniquo con uno più aderente aprincipi egualitari e liberali.

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13. Organicismo e nazionalismo in Fichte A partire dal 1800 il pensiero politico di Fichte assume una configurazione notevolmente diversa. Egli iniziaa concepire la società e lo Stato come “organismi” nei quali le parti esistono solo in funzione del tutto.L’organiscismo politico si oppone allora al giusnaturalismo perché schiaccia l’individuo per affermare iltutto e considera la società non come un insieme di persone libere, ma come una totalità organica di membri.Adesso la sua sfiducia verso lo stato si trasforma in importanza della presenza di un organismo politicopreposto alla pianificazione dell’economia nazionale. Questo vuol dire che lo Stato è essenzialmenteimportante per disciplinare i rapporti commerciale e deve essere una Stato commerciale chiuso dove nonpossono esserci interferenze con gli altri stati. Nell’opera Tratti fondamentali dell’età presente l’organicismoassume un fondamento metafisico: lo Stato va concepito come una totalità unitaria dove tutti sono prepostiallo stesso obiettivo. Lo stato diventa immagine della totalità assoluta per cui vi è assoluta subordinazionedegli interessi individuali a quelli generali: l’iniziale antistatalismo di Fichte si capovolge nelriconoscimento del valore assoluto dello Stato. Poco dopo nei Discorsi alla Nazione tedesca, l’organicismopolitico viene applicato al concetti di nazione che il romanticismo aveva da poco introdotto: per superare ilmomento difficile di una Germania oppressa da Napoleone l’unico modo è una nuova educazione nazionalein cui l’egoismo individuale venga superato in favore di un rinnovato senso della comunità. Fichte riconoscenel popolo germanico l’unico vero popolo. Questa unicità deriva in parte anche dalla lingua che a differenzadi quelle neolatine conserva i caratteri originari e quindi è l’unica in grado di cogliere il legame essenzialetra parola e azione, perché la parola non è stata “adattata” trasformata come in tutte quelle lingue cheprovengono dal latino.

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14. Assolutizzazione dello Stato in Fichte Nella sua ultima opera politica La dottrina dello Stato del 1813, Fichte unisce insieme le nozioni di Stato edi nazione, che prima aveva usato distintamente: qui egli auspica che un organismo politico che funzioninon si realizzi attraverso un’istituzione che governa, ma sia il frutto della spontanea e amorosa fusionedell’individuo nella totalità; questo organismo politico da lui chiamato Reich (impero) è insieme uno Statodi ragione (perché frutto della razionalità) e uno Stato etico (perché in esso l’individuo realizza la suamorale). Lo Stato diventa allora il punto di riferimento fondamentale dell’individuo che agirà razionalmentesolo se si sforzerà progressivamente di aderire alla Ragione assoluta, quel principio che sta a fondamento ditutto, sia della razionalità che dell’etica. In quest’ultima fase si vede come il pensiero politico sia intrisoanche di religiosità.

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15. Fasi della filosofia in Schelling Schelling: (1775-1854): anche il pensiero di Schelling conosce un processo evolutivo che ha come punto dipartenza gli studi teologici e poco dopo quelli filosofici: in particolare egli mostra interesse per Rousseau,Kant e Fichte. Nel suo periodo fichtiano egli scrive Sulla possibilità di una forma della filosofia in generale (1794) Dell’io come principio della filosofia (1795) Dove Schelling manifesta le sue simpatie per Spinoza, rileggendolo alla luce dell’idealismo fichtiano. Passa a studiare matematica e scienze naturali ed è per questo motivo che sviluppa una filosofia della naturache danno vita a diversi scritti: Le idee per una filosofia della natura (1797) Dell’anima del mondo (1798) A questa filosofia succede la filosofia dello spirito che dà vita al suo capolavoro: Sistema dell’idealismo trascendentale (1800). A questo stesso anno corrisponde la rottura di S. con i romantici per la sua inimicizia personale conSchlegel. La sua filosofia continua a svilupparsi e da filosofia dello spirito diventa filosofia dell’identità;anche a questo orientamento corrispondono diversi scritti: Esposizione del mio sistema filosofico (1801) Filosofia e religione (1804) L’ulteriore sviluppo del suo pensiero lo portò ad una filosofia della libertà caratterizzata dall’accentuazionedel carattere religioso già presente nel suo scritto Filosofia e religione; scrisse: Le ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana (1809) L’ultimo stadio del suo pensiero sfociò in una filosofia positiva espressa nelle due opere La filosofia della mitologia (1842-1854) La filosofia della rivelazione (1842-1854)

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16. Filosofia della natura in Schelling La sua filosofia della natura deriva da alcuni problemi che Schelling pone quando studia Kant e Fichte: delprimo egli vuole recuperare la cosa in sé sostituendolo con un principio assoluto da cui deriva ogniconoscenza sia della forma sia del contenuto. Mentre di Fichte non lo soddisfa il concetto secondo il qualeanche la realtà esterna sia priva di una propria esistenza autonoma e dipenda dall’attività del soggetto. Oraegli è molto attento alle affermazioni di Kant a proposito della natura e del meccanicismo, ossiadell’applicazione del principio causa - effetto a certi ambiti della scienza; ora Kant aveva affermato che setale principio non poteva essere applicato ai più semplici fenomeni organici, sostenendo che essi potesserospiegarsi solo attraverso il concetto di “fine”. Inoltre Kant aveva affermato che il mondo può essereconcepito come una totalità unitaria, ossia un sistema di fini. Fichte invece concepisce la natura come ungrande organismo unitario guidato da un’anima del mondo che anima anche la più piccola materia (un filod’erba) che quindi non è inerte.

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17. Circolarità tra natura e spirito in Schelling La natura è allora vita, quindi attività esattamente lo stesso principio che anima lo spirito. Per questo motivoSchelling concepisce una piena circolarità tra natura e spirito. Essi non sono né indipendenti né conseguentima aspetti paralleli di un unico processo: La natura è lo spirito visibile, lo spirito è la natura invisibile. Inquesto modo Scheling può applicare alla natura quel principio dialettico che era stato applicato solo all’Io.Egli però non lo fa utilizzando il concetto di contrapposizione tra oggetto e soggetto ma utilizza il concettodi polarità, interna alla natura stessa, per cui la tensione tra due elementi esprime insieme la loro unità e laloro opposizione. Queste polarità secondo Schelling si manifestano in tre modi differenti, ossia a tre livelli: al livello inferiore si colloca l’opposizione tra forze attrattive e repulsive => fisica al II livello la forza è più dinamica e l’opposizione è tra sintesi e analisi => chimica al III vi è la forza propulsiva che è continua opposizione data la sua dinamicità => organica Un’altra cosa che unisce lo spirito e la natura è il loro carattere finalistica: a differenza di Kant checoncepiva la possibilità di spiegare la natura attraverso una interpretazione finalistica solo per la forma nonconoscitiva del giudizio riflettente (quello cioè che portava il soggetto che conosce all’errore perché non haa che fare con l’uso empirico delle categorie, considerato quest’ultimo l’unico uso legittimo per una correttaconoscenza), Fichte concependo l’unità tra spirito e natura considera la natura necessariamente organizzatasecondo fini. Ma in ultima analisi, qual è il principio unico che lega natura e spirito? Mondo della natura emondo dello spirito derivano da un’unica intelligenza, la quale opera però in due modi diversi: se creainconsapevolmente crea la natura, se ha coscienza della propria creazione dà vita alle creazione dello spirito.

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18. Filosofia dello spirito in Schelling Essa è descritta nel Sistema sull’idealismo trascendentale ed è fondata sul concetto di autocoscienza e di Io.A differenza di Fichte egli non concepisce l’autocoscienza come soggettività pura, ma come sintesi di dueattività dialetticamente opposte: da un lato infatti essa contiene un’attività limitata (detta reale)che producel’oggetto che diventa come un limite per il soggetto. Tale attività è inconscia così che l’oggetto appaia comedato esternamente al soggetto. Dall’altro lato vi è un’attività illimitata e limitante (detta ideale), la qualeconsapevolmente va oltre il limite dell’oggetto e lo riconosce come una produzione inconsapevole dell’io.Esse allora non sono due attività separate ma incarnano la sintesi assoluta propria dell’autocoscienza. È inquesto processo di sintesi infinito che si colloca l’intuizione intellettuale che esprime l’essenza dell’io, il suoessere produttore inconsapevole (attività reale) e consapevole(attività ideale) in un processo infinito. Vi èallora nel suo sistema una sorta di unione tra realismo e idealismo. L’Io è unità indissolubile di soggetto eoggetto, di spirito e natura, di attività consapevole e inconscia. Il vero idealismo allora non può che essereautentico realismo.

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19. Tre gradi tra soggetto e oggetto in Schelling Schelling inoltre sviluppa il concetto di sintesi attraverso la descrizione di tre gradi, detti epoche, attraversole quali è possibile raggiungere la piena unione tra soggetto e oggetto: dalla sensazione all’intuizione: nella sensazione il soggetto riconosce in senso passivo un oggetto a luicompletamente estraneo; nell’intuizione invece il soggetto riconosce l’oggetto come estraneo (non ancoracome suo prodotto) ma risolve questa situazione attraverso un momento attivo in cui egli si percepisce comesenziente, ossia colui che ha prodotto l’oggetto. dall’intuizione alla riflessione: è attraverso la riflessione che il soggetto coglie l’unità tra la propriacostituzione e quella del suo prodotto (ossia la natura) dalla riflessione alla volontà: è successivamente grazie alla volontà che il soggetto attraverso un processo diastrazione si accorge che la sua è pura attività spirituale - intellettiva e che nulla ha a che fare con la materia. Con la volontà si passa al primo livello della vita dello spirito (la filosofia teoretica); il secondo livello èinvece rappresentato dalla filosofia pratica. La volontà, frutto di astrazione dalla materialità, è espressione dilibertà. Perché però la libertà dei diversi singoli venga disciplinata deve entrare in gioco il diritto. Ma ildiritto da solo anche per Schelling rischia di ledere la libertà di uno per consentire quella di un altro: essoallora va accompagnato dalla necessità. L’unione tra libertà e necessita si attua nella storia: sicuramentel’individuo possiede libertà di azione ma contemporaneamente le sue azioni rispondono ad un pianoprovvidenziale che egli non può conoscere e che cmq non gli strappa via la sua libertà. La storia appare cosìcome dominio dell’Assoluto (unità di libertà e necessità). È nella storia che questa unità trova realizzazione;ma perché tale unità venga colta bisogna giungere al terzo e più alto grado dello spirito: l’arte. È solo l’artequella in grado di far cogliere all’uomo l’Assoluto; con l’intuizione artistica l’uomo coglie l’unità di spiritoe natura, di soggetto e oggetto. L’arte diventa allora la conoscenza assoluta e a buon diritto allora si puòparlare di idealismo estetico di Schelling

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20. Filosofia dell’identità in Schelling Questa non è tanto una fase nuova quanto una fase in cui Schelling rende esplicito ciò che magari rimanevaimplicito nei suoi due primi orientamenti: se il primo sembrava dare più diritto al soggetto e il secondoall’oggetto, ora Schelling vuole affermare chiaramente che l’oggetto e il soggetto si identificano, ossia iprocessi che apparentemente riguardano separatamente l’uno e l’altro in realtà coincidono. Il manifesto diquesta filosofia è l’Esposizione del mio sistema filosofico. Schelling intende partire non più dallo spirito(soggetto) per arrivare alla natura (oggetto) quanto partire direttamente dalla loro assoluta identità perderivare da essa l’opposizione. Il fondamento di ogni realtà è ora ricercato nell’Assoluto che è ciò che puòspiegare l’assoluta identità tra spirito e natura. Esso è infatti concepito come identità indifferenziata (ossiadove vi è assenza di differenziazione). Adesso però il problema diventa un altro: come si spiega laderivazione di qualcosa di differenziato (natura e spirito) da qualcosa di indifferenziato. Come si passadall’Assoluto all’opposizione soggetto oggetto? Per rispondere a questa domanda Schelling nello scrittoFilosofia e religione introduce il concetto di “salto” o di “caduta”. Ma questa nozione sposta la speculazioneche fino a qui era stata prettamente filosofica ad una speculazione a sfondo religioso (la caduta è un concettoreligioso).

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21. Filosofia della libertà in Schelling Ma la svolta in senso religioso del suo pensiero si ha con lo scritto Ricerche filosofiche sull’essenza dellalibertà umana. Alla base del suo pensiero adesso vi è il teismo: né il panteismo di Spinoza né la teologiamorale di Fichte che esaurisce l’essenza divina nell’ordine morale del mondo lo soddisfano. Il vero Dio èvita e persona. Anche Dio allora è soggetto al divenire: solo così in Lui possono essere distinti un momentoattuale nel quale perviene all’esistenza e un momento potenziale che rappresenta il fondamento della suaesistenza. Il fondamento è inteso come una radice oscura: in un certo senso esso può essere descritto come ilprofondo desiderio che prova l’eterno Uno di generare se stesso. È questo fondamento che indica la presenzadella natura in Dio stesso. Dall’altra parte invece l’esistenza indica lo spirito, ciò che è azione, amorecoscienza. La creazione consiste allora nel passaggio graduale dall’oscurità del fondamento alla luce, ossiaall’attualizzazione di quel fondamento. Nell’uomo così come in Dio questo processo avviene completamentecon la differenza che in Dio questi due principi sono inseparabili e raggiungono l’unità perfetta, come se taleprocesso procedesse all’infinito e si realizzasse in ogni istante. Nell’uomo il principio oscuro si manifestacome volontà egoistica che non vede nulla all’infuori del suo essere. L’uomo però, dotato di intelletto è ingrado di passare alla luce e realizzare invece la volontà universale. Il male allora non sarà mancanza di bene,ma il rimanere bloccati alla volontà egoistica. È in questa possibilità tra egoistico e universale che risiede lalibertà.

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22. Filosofia positiva in Schelling. Mitologia e rivelazione Essa scaturisce dal bisogno da parte di Schelling di combattere le idee di Hegel, prima suo compagno e oraacerrimo avversario, che sfociavano in una filosofia negativa: la ragione sosteneva Hegel non può conoscerel’esistenza delle cose nel suo fondamento ultimo, ma soltanto la loro essenza. A queste posizioni Schellingrisponde appunto con una filosofia positiva che sa trovare il fondamento metafisico dell’essere. Il principiometafisico però non va più rintracciato in un a priori speculativo (filosofico) ma deve rimandareall’esperienza. L’esperienza però è qui intesa da Schelling come esperienza metafisica ed extra-storica.Questo vuol dire che la filosofia positiva studierà gli eventi empirici alla luce della fede, scorgendo appuntonei dati sensibili la manifestazione progressiva di Dio. La filosofia positiva non è allora ragionamento maattività pratica, una vera e propria religione filosofica nel senso che aiuta a capire il senso dello sviluppodell’uomo nei secoli: essa è divisa in Filosofia della mitologia => ha per oggetto la religione naturale ossia quell’insieme di manifestazioni di Dioattraverso una coscienza poco sviluppata. Tutte le rappresentazioni che l’uomo faceva delle divinità nonerano frutto della sua fantasia ma del necessario processo attraverso il quale l’uomo ha sviluppato sempre dipiù la propria coscienza di Dio. Filosofia della rivelazione. => si riferisce invece alla diretta manifestazione di Dio che liberamente siautorivela all’uomo così che egli lo ha potuto conoscere come uomo.

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23. Filosofia dello Spirito Santo in Schelling Oltre a queste Schelling crede che ne verrà una terza, quella dello Spirito Santo nella quale la religionefilosofica supera entrambe le prime due. Questa doveva corrispondere alla terza delle tre epoche cosìchiamate da Schelling attraverso le quali Dio si era manifestato nel mondo. Se la prima rappresentaval’uscita di Dio dall’oscurità del fondamento, la seconda era la sua manifestazione nel mondo, la terzaavrebbe rappresentato il necessario ritorno del mondo a Dio. Questa concezione era sviluppata in uno scrittomai concluso: Età del mondo.

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24. Hegel. "Scritti teologici giovanili" e religione popolare La prima fase di attività speculativa di Hegel è raccolta nei cosiddetti Scritti teologici giovanili dove si vedeche la sistematicità che ha reso famoso il filosofo è qui ancora soltanto abbozzata. Il fulcro tematico è lareligione, ma in realtà già a partire dallo studio di questo fenomeno e del cristianesimo in generale egli iniziaa sviluppare la concezione della realtà come totalità unitaria nella quale i suoi diversi aspetti trovano la lorocollocazione razionale. Già dal primo scritto che fa parte della raccolta sopra citata, Religione popolare ecristianesimo, egli distingue la religione popolare la quale impegna la fantasia e il cuore di chi la vive,dunque è soggettiva, dal cristianesimo il quale è invece una religione oggettiva, scritta per sempre in un libroe conservata dalla tradizione. Inoltre mentre la prima è oggettiva, cioè si concretizza negli usi e costumi diun popolo, la seconda è privata perché è basata sul rapporto personale tra Dio e l’uomo. Fatta questadistinzione Hegel si chiede in quale tipo di “culto”si esprime meglio la libertà dell’individuo e in questoscritto conclude che è la polis (città-Stato) greca l’emblema della comunità dove l’uomo è libero. Il cultodell’antica Grecia infatti era appunti soggettivo e pubblico (religione popolare) e quindi la libertà secondoHegel coincideva con l’indipendenza di ogni individuo dall’altro e nello stesso tempo nel riconoscimentoche la sua volontà e uguale a quella degli altri individui e viene incarnata dalla realtà socio-politica.

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25. Hegel. "Vita di Gesù" e religione naturale Se nel primo scritto egli contrappone il cristianesimo alla religione popolare dando alla seconda maggiorpeso, nell’altro scritto La vita di Gesù Hegel contrappone il cristianesimo alla religione naturale intendendocon essa quella religione che si costruisce entro i limiti della sola ragione. Questa contrapposizione a luiserve per dimostrare, così come nel caso precedente, una certa degenerazione che si è concretizzata nelcristianesimo. Hegel allora riconduceva la figura di Cristo ad una figura che aveva esortato a stabilire dellemassime razionali del tipo: agite in maniera tale che ciò che volete che gli altri facciano, sia valido anche pervoi. La domanda che Hegel allora si pone è in che modo il cristianesimo, da religione naturale quale erastata istituita da Cristo sia diventata religione positiva, ossia una religione piena di dogmi, precetti,istituzioni, leggi (quindi qui positivo non è inteso in senso di “buona” ma in senso giuridico quindiorganizzata per leggi). Egli risponde a questa domanda nello scritto La positività della religione cristiana(1795). Egli risponde che la causa di questa “degenerazione è da riscontrarsi nell’ambiente ebraico chedurante la vita di Gesù non è stato in grado di cogliere l’essenza del suo messaggio. Ed inoltre, affermaHegel, il limite sta anche nella stessa figura di Gesù: egli stesso ebreo fu condizionato dall’ambiente in cui sitrovò a parlare, dalle istituzioni che in quell’ambiente vi erano. Per cui egli utilizzò degli strumenti in modoche potesse essere capito.

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26. Hegel. "Lo spirito del cristianesimo" e priorità della totalità Passato qualche anno e trasferitosi da Berna a Francoforte, il pensiero di Hegel sul cristianesimo, primanegativo, diventa positivo e caratteri di negatività vengono assegnati alla religione ebraica. Nel suo scrittopiù importante di questo periodo Lo spirito del cristianesimo e il suo destino egli ravvisa nel popolo ebreol’incapacità di cogliere l’unità del reale. Ritenendo di essere il popolo eletto da Dio essi si contrappongono atutti gli altri popoli, ed inoltre all’interno di esso vi sono delle tribù più importanti di altre. Gli ebrei sonoallora l’esatto contrario del popolo greco. Ma in quest’opera Hegel non pone il popolo greco incontrapposizione a quello ebreo ma il cristianesimo, dando a quest’ultimo connotati di positività. Allaseparatezza dell’ebraismo il cristianesimo oppone l’amore universale verso tutti gli uomini senza distinzionedi razza, colore della pelle o condizione sociale. Il cristianesimo allora non è solo fede in un Dio particolare,che si è incarnato, ma è amore per l’intera umanità e quindi amore per la totalità concetto molto caro allosviluppo filosofico di Hegel Egli esprime quindi la priorità della totalità, ossia la priorità del concretosull’astratto (termine inteso etimologicamente come “tratto da”, separato dal tutto). Anche se qui non èancora espressa esplicitamente, si trova già contenuto il procedimento dialettico per cui ad una faseaffermativa (il mondo greco) si oppone una fase negativa (la frantumazione del mondo ebraico) checonvergono poi ad una sintesi tra le due (l’amore del cristianesimo permette di ritrovare il senso dellatotalità fondendola con la tradizione ebraica).

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27. "Frammento di sistema" di Hegel L’ultimo degli scritti giovanili è Frammento di sistema del 1800 dove Hegel sviluppa ulteriormente ilconcetto di totalità. La totalità, dice, è qualcosa che la filosofia non può cogliere perché in essa ci saràsempre contrapposizione tra soggetto e oggetto, cioè tra un soggetto che pensa e una cosa che è pensata.L’unità totale può invece essere raggiunta dalla religione, la quale è in grado di attingere la vita infinita, al dilà di ogni riflessione. La vita infinita è appunto lo spirito infinito, la totalità assoluta che però non è unitàindifferenziata come aveva voluto Schelling (anche se nella filosofia della libertà anche lui cambia idea) maè unione dell’unione e della non - unione ossia possiede in sé sia i principi dell’unione sia quellidell’opposizione. Se non possedesse anche i principi dell’opposizione non sarebbe totalità.

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28. Hegel a Jena. Ragione e inteletto Hegel nel 1800 lascia Francoforte per trasferirsi a Jena. Qui egli guarda ai due filosofi che in quel momentosono più conosciuti: Fichte e il vecchio compagno Schelling. Ma già dal suo primo scritto di questo periodosi intravede un suo parziale allontanamento da loro. Di Fichte egli non accetta la soggettività ossia il fattoche tutta la conoscenza venga ricondotta al soggetto. Di Schelling invece non accetta l’esatto contrario, ossiail fatto che riduca tutto all’Assoluto, ossia un momento in cui il soggetto e l’oggetto sono totalmenteunificati in senso oggettivo. Anche per Hegel la ragione deve cogliere un momento di “indifferenza” ossiaun momento in cui il soggetto e l’oggetto sono uniti; dall’altra parte però vi è l’intelletto che è la facoltàdell’analisi e della distinzione, ossia quella facoltà contrapposta alla ragione che analizza il soggetto el’oggetto nella loro individualità. Questo è stato fatto da Schelling, però egli ha esagerato irrigidendo laragione la quale secondo Hegel non deve cancellare del tutto la differenza tra soggetto e oggetto. Dall’altraparte la ragione deve rifiutare ciò che fa l’intelletto, ossia la separazione netta tra soggetto e oggetto. Laragione deve allora cogliere nell’Assoluto contemporaneamente l’identità e l’opposizione di soggetto eoggetto. Questo è possibile solo attraverso il procedimento dialettico.

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29. Critica di Hegel a Fichte e Schelling L’unificazione razionale che l’intelletto compie è propria di una scienza precisa: la logica. Essa èconsiderata una scienza propedeutica alla filosofia perché non si può pensare, come alcuni hanno fatto, chein essa si risolva tutta la conoscenza della totalità. Ed inoltre non va presa in considerazione la logicatradizionale, che faceva delle semplici distinzioni tra i concetti; la logica va intesa come sviluppo deiconcetti che trapassano l’uno nell’altro, così come avviene nella dialettica in modo che si giunga sempre allasintesi di un concetto nuovo che verrà a sua volta superato in un processo dinamico che potrà portare allacomprensione dell’Assoluto. Ma intendiamoci: non sarà la logica a cogliere l’Assoluto; essa sarà solo unprimo passo verso l’Assoluto. Hegel allora contesta la filosofia di Kant e Fichte che partendo dall’intelletto,qualità del soggetto, chiaramente non sono stati in grado di cogliere l’Assoluto. L’errore di Kant e di Fichteè stato quello di partire dal soggetto: partendo da esso per forza di cose non si arriverà a qualcosa dioggettivo. La realtà assoluta è qualcosa che va al di là del soggetto e dell’oggetto, e anche al di là della loroopposizione. Per questo motivo hanno sbagliato anche nella comprensione del diritto e dello Stato: partendodal soggetto ci sarà sempre frantumazione tra ciò che egli desidera e ciò che desidera la comunità. Questafrantumazione scompare se si coglierà l’eticità organica in cui consiste la vita di un popolo: è in questosenso di organicità che il punto di vista dell’individuo si amalgama con la vita della comunità e si perde lafrantumazione (pur rimanendo all’interno di essa la differenziazione).

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30. Fenomenologia dello spirito in Hegel Principio basilare di quest’opera è: il vero è l’intero: la verità si consegue solo quando i diversi aspettiparziali della realtà sono considerati non più nella loro astratta separazione, bensì come momenti earticolazioni della totalità di cui fanno parte. Ma la conoscenza della totalità non è qualcosa di contrappostoal soggetto che gli si offre come diverso da lui; essa è il frutto di un processo conoscitivo. La verità alloradice Hegel non è sostanza (intesa come qualcosa di statico) ma spirito inteso come attività, movimento. LaFenomenologia allora descrive il processo che fa la coscienza nel suo passaggio progressivo dai gradi piùbassi della conoscenza al sapere assoluto. È importante allora capire che il soggetto della conoscenza (ossiacolui che conosce) è sempre l’Assoluto (esso è allora soggetto e oggetto della conoscenza). Il fatto è che aigradi più bassi della conoscenza esso non si riconosce ancora come Assoluto, ossia non ha piena coscienzadi sé. Solo al termine del processo esso riesce a cogliere la sua essenza interamente. I diversi momenti delprocesso si esprimono in quelli che Hegel chiama figure dello spirito: esse da un lato manifestano il punto divista acquisito dalla coscienza (per intenderci se la coscienza passa dalla figura 1 alla figura 2 entrambe lefigure manifestano il fatto che la coscienza prima stava in 1 e poi è passata in 2 e che quindi è passata da unpunto di vista ad un altro). Dall’altro lato esse assumono un valore importante perché sono riflesso dellatotalità, o meglio rappresentano i passaggi verso la totalità. Da questo punto di vista lo spirito è in grado dicogliere non solo ciò che esse contengono ma anche i caratteri del loro superamento (per cui se oggi guardola foto del mio battesimo so che in quel momento mi stavano battezzando ma so anche che a distanza diqualche anno avrò fatto la cresima).

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31. Fasi del processo dialettico in Hegel il soggetto appare dapprima in sé (l’in sé indica ciò che è concepito in maniera immediata) il soggetto percepisce un oggetto come qualcosa che lo nega, come qualcosa di altro il soggetto diventa un per sè (capisce che ciò che ha percepito come qualcosa di altro in realtà è laproiezione di se stesso al di fuori di sé, cioè diventa cosciente di sé stesso) Il processo dialettico non è altro che una progressiva interiorizzazione dell’oggetto da parte del soggetto. Ladialettica è allora insieme la legge del pensiero e dell’essere poiché è il principio che spiega il ragionamentoed insieme la realtà stessa (frutto della manifestazione dell’Assoluto). La dialettica inoltre assume duevalenza: da una parte essa esplica lo sviluppo dei singoli individui nella loro particolarità; dall’altra essa èesplicazione di come l’Assoluto si manifesta nella realtà (e quindi nella storia). Inoltre Hegel rifiuta tutta latradizione che si basava sul principio di identità e quindi sulla proposizione identica, per cui ad un soggettoapplico un predicato per avere conoscenza. Egli afferma che si deve ricorrere alla proposizione speculativache consiste nel connettere dialetticamente una realtà, o un concetto, con il suo opposto. Inoltre Hegel entrain contrasto con quella concezione romantica secondo cui non potendo cogliere la verità assoluta con laragione, essa è raggiungibile solo attraverso l’intuizione immediata. È ovvio che per Hegel non è così dalmomento che egli sostiene che soltanto attraverso la dialettica (che è un procedimento razionale) e laricomposizione articolata dei vari momenti dialettici, si può cogliere la totalità. Se si applicano dellescorciatoie, come quella dell’intuizione si finisce per dare alla totalità caratteri di unità indifferenziata senzaconsiderare tutte le sue articolazioni e si scadrà in una “notte dove tutte le vacche sono nere”.

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32. Gradi di conoscenza in Hegel. Coscienza, percezione, intelletto e

autocoscienza Così come esistono delle figure nel processo dialettico esistono delle “figure” nel processo conoscitivo. Essecostituiscono una scala, il primo gradino della quale è la coscienza; essa come abbiamo visto rappresentaquel momento in cui il soggetto sente l’oggetto come altro da sé. Questo suo sentire si esplica in un primomomento in una certezza sensibile dell’esistenza dell’altro da sé. Ma ad un gradino superiore all’internodella coscienza sta la percezione, che non coglie più l’oggetto nella sua particolarità, ma si accorge che laconoscenza di un oggetto particolare può essere ampliata a qualsiasi oggetto. La conoscenza allora si fa piùgenerale. Il terzo momento dello sviluppo della coscienza è l’intelletto il quale coglie l’oggetto comefenomeno (e non più ambiguamente solo come oggetto) inteso come manifestazione di forze che agisconosecondo una legge che stabilisce l’unità dell’oggetto. Il soggetto però si accorge che questa legge in realtànon appartiene più al fenomeno ma è extra-sensibile e dipende dal soggetto stesso. Una volta che lacoscienza diventa consapevole di ciò passa alla figura successiva: l’autocoscienza. Essa è un’autocoscienzaindividuale che incontrando altre autocoscienze entra in conflitto con loro. Quello che a lei serve è allora ilriconoscimento della sua superiorità nei confronti delle altre. Essa allora, così come tutte le altre, ingaggiauna “lotta a morte”.

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33. Da autocoscienza a ragione in Hegel L’autocoscienza che prevarrà sarà considerata “signore” mentre le altre “servitù”. È ciò che avviene nelmondo antico. La servitù lavorerà per il signore ma grazie a questo essa ingaggerà un processo diliberazione che il signore non sarà in grado di fare: mentre il signore dipenderà dalla servitù, questa siaccorgerà che senza il proprio lavoro il signore non è in grado di vivere (perciò è come se si ribaltasse lasituazione). Questo processo di liberazione dell’autocoscienza passerà poi per altri stadi: lo stoicismo (conl’indifferenza) lo scetticismo (attraverso la negazione della realtà); ma con lo scetticismo la coscienza nonriesce a risolvere la consapevolezza della separazione tra sé stessa e la divinità e diventa coscienza infelice.Da questa situazione riesce ad uscirne attraverso il tuffo nell’infinito proprio del cristianesimo medioevale.In questo modo l’autocoscienza riconosce la propria assolutezza, conquista in maniera più piena la sualibertà e passa ad essere ragione. Ciò che appariva esterno alla coscienza adesso non è altro che un momentointerno. Essa giunge all’idealismo ossia la consapevolezza che la realtà è il pensiero stesso, l’idea.

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34. Da ragione a spirito in Hegel La ragione allora in un primo momento si concepisce come individuale e tende a soddisfare egoisticamente ipropri desideri; ma con un ulteriore processo di auto-liberazione scorge nell’universale l’elemento più fortedell’eticità. È così che la ragione diventa spirito. Lo spirito diventa a questo punto non più unamanifestazione dell’autoliberazione della coscienza, ma manifestazione di un mondo, ossia concretizzazionein momenti oggettivi della storia. La sua prima concretizzazione è nel mondo greco nel quale l’unità delsoggetto è in stretta relazione con sua la natura. Ma abbandonato il mondo della natura si entra nel mondodella cultura dove si assegna valore solo a ciò che è “riflesso” (ossia frutto di riflessione). La filosofia dellariflessione (che Hegel aveva condannato per la sua incapacità a cogliere il tutto) mantiene il suo aspettonegativo ma allo stesso tempo assume un valore positivo perché decreta l’uscita da un mondo istintuale.L’apice di tale filosofia è stato raggiunto dall’Illuminismo che ha avuto il difetto di presumere chel’intelletto avesse potere assoluto e ciò che a lui era negato doveva essere scartato. Una filosofia distruttivaallora che non propone un ulteriore sviluppo nella comprensione della totalità poiché elimina tutta quellatradizione di fede che appartiene all’uomo e alla natura stessa.

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35. Dallo spirito alla religione, sapere assoluto in Hegel Al termine di tale processo di appropriazione del tutto da parte della coscienza diventata ormai spirito vi è lareligione che ha per oggetto Dio, ossia l’Assoluto. Nella religione tuttavia esso è concepito sotto forma dirappresentazione diversa in base allo sviluppo della coscienza di un popolo. Dio inoltre appare ancora comequalcosa di distaccato dalla coscienza. Solo attraverso il sapere assoluto lo spirito può cogliere la totalità.Solo attraverso di esse lo spirito può pensare se stesso, come soggetto pensante e oggetto del pensiero (ossiaoggetto su cui si riflette). La Fenomenologia non è allora solo storia della coscienza, ma anche scienza ossiaconoscenza totalizzante e sistematica dello spirito. Entrambi gli aspetti come si è visto non posso esserescissi perché da uno dipende l’altro.

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36. Definizione di idea e logica come metafisica in Hegel Obiettivo della filosofia hegeliana è la conoscenza dell’intero: essa tuttavia può avvenire in due modalitàdifferenti. Se all’interno della fenomenologia dello spirito (primo strumento per cogliere l’intero) la logicaera considerata scienza propedeutica, quando Hegel passa dalla fenomenologia alla costituzione di unsistema filosofico componendo cioè pezzo per pezzo la realtà per poi coglierla nella sua totalità, la logicadiventa la prima tappa (e non più scienza che introduce) del sistema. In questo caso la totalità è intesa comeragione assoluta e infinita che Hegel chiama idea. Dunque all’interno della logica l’idea è concepita come“elemento astratto del pensiero” e dunque la logica è scienza dell’idea pura o dell’idea in sé. Hegel però citiene a distinguere la sua idea di logica dall’idea tradizionale di logica formalistica (detta anche logicagenerale). Hegel infatti concepisce le categorie logiche non solo come strutture formali utili alla conoscenzalogica appunto, ma come strumenti di conoscenza in senso anche ontologico. Per Hegel allora la logicacoincide con la metafisica. Con ciò Hegel vuole affermare che, dal momento che le categorie hanno unaportata insiem logica e metafisica, la struttura razionale del mondo non è qualche cosa che esiste soltantonella mente finita dell’uomo, ma è un tutt’uno con l’essenza del reale. Nella Scienza della logica (primaparte dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche) le categorie vengono definite astratte non perché prive dicontenuto materiale, ma perché Hegel le considera qui come separate dai loro contenuti reali (quindi in sé)ossia espressioni del pensiero puro.

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37. Ragione speculativa in Hegel La facoltà di concepire logica e metafisica (cioè razionale e reale, soggetto e oggetto) risiede per Hegel nellaragione speculativa. Viceversa, ogni filosofia che non giunga a questa unità, irrigidendo l’astrazione deidiversi aspetti e consolidandola in un’opposizione definitiva e irresolubile, rimane sul piano dell’intelletto.Sono state diverse le tendenze in questo senso. La metafisica tradizionale che aveva avuto il merito dipensare che la ragione potesse conoscere la realtà in senso assoluto; essa però rimane una metafisica esternaalle facoltà del pensiero soggettivo, rinviando a qualcosa di poco concreto. Poi l’empirismo dove si risolve ilconflitto soggetto-oggetto accontentandosi del valore soggettivo della conoscenza. Dall’altra parte ilcriticismo kantiano aveva voluto recuperare l’oggettività fenomenica attraverso la sintesi dell’Io penso, manello stesso tempo era nuovamente ricaduta nell’analisi della realtà attraverso la coscienza soggettiva. Allafine vi era stata la filosofia romantica che voleva basarsi su un sapere immediato attraverso una conoscenzarazionale che coglie il proprio oggetto immediatamente come una forma di fede. Per Hegel allora solo unaragione che operi dialetticamente le determinazioni soggettive possono assumere valore oggettivo. È aquesto punto che Hegel esprime i tre momenti del procedimento dialettico (la posizione, la negazione,superamento). Nella logica questi tre momenti vengono considerati come momento intellettuale che cogliela realtà nella sue diverse determinazioni (quindi non cogliendo ancora la realtà nella sua totalità); momentopropriamente dialettico in cui la cosa determinata viene confrontata con il suo opposto, l’infinito; momentorazionale speculativo che toglie ai due momenti la lontananza, la separazione e li fa coincidere.

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38. Logica dell'essere in Hegel All’interno dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche la Scienza della logica si divide in “Logicadell’essere”, “Logica dell’essenza” e “Logica del concetto”. È in queste parti dell’opera che egli sviluppa ilconcetto di essere (concepito in maniera immediata come assolutamente indeterminato) a cui si contrapponequello di nulla grazie al quale si è in grado di capire che in realtà si tratta di due momenti di un’unica realtàche si spiega solo con la loro sintesi che è il divenire. Il divenire conduce all’essere determinato ossiaall’essere finito cioè limitato da qualcos’altro. Dal concetto di finito arriva infine al concetto di infinitoconcepito logicamente (e ontologicamente) come l’insieme dei finiti, ossia quello che qualcuno dopo di luichiamerà il “Tutto abbracciante”; la figura che meglio lo definisce è il cerchio (e non la retta) il quale non hainizio né fine. L’infinito è ciò che non lascia nulla fuori di sé. Il finito allora non avrà un’esistenza propriama risulterà un momento dell’infinito.

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39. Logica dell'essenza in Hegel Nella Logica dell’essenza egli invece parte dal concetto di essenza (l’essere considerato non nella suaimmediatezza ma come oggetto di riflessione) affermando che essa si manifesta in tre modi: attraversol’identità che non è per Hegel la tradizionale identità A = A ma si ottiene dialetticamente attraverso lanegazione e il ritorno in sé dell’identico. Essa deve allora passare attraverso la differenza. La differenza simanifesta dapprima come diversità poi come opposizione ed infine come contraddizione. Alla logicaaristotelica della non contraddizione Hegel oppone la logica della contraddizione attraverso la quale èpossibile evidenziare ciò che oppone due concetti e allo stesso tempo ciò che li lega insieme. Il fondamentonon sarà altro allora che la contraddizione risolta in una superiore unità. La logica del concetto alloracomporterà l’unione dell’essere (immediato) e dell’essenza (riflessa).

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40. Filosofia della natura in Hegel Se nella logica l’idea è considerata in sé, come pensiero astratto, è chiaro che perché proceda dialetticamenteessa deve uscire dall’in sé, quindi essere altro; questa idea nella forma dell’essere altro è la natura. Quindi sel’idea in sé è sinonimo di universalità, unità, la natura è al contrario particolarità è il momento in cui vi è unadispersione di quella unità originaria i più momenti particolari. La filosofia della natura all’interno delprogetto hegeliano ha una funzione prevalentemente sistematica: essa è il necessario momento di passaggiodalla logica alla filosofia dello spirito. Quella unità logica che nella filosofia della natura si disperde indiversi momenti particolari distinti tra loro per gradi, piano piano porterà all’affermazione dell’individualitànell’ultima parte del sistema hegeliano cioè nella filosofia dello spirito. Il primo grado della natura (estremaparticolarità) è incarnato dalla meccanica, poi vi è la fisica ed infine la fisica organica nella quale emergesopra tutti l’elemento di individualità che non è più solo particolarità ma possiede in sé caratteri di unità etotalità. Hegel rifiuta ogni concezione romantica della natura che vede in essa una sostanza divina: le duecose non possono coincidere poiché la natura è solo una tappa per giungere dialetticamente a Dio. Incomune con la concezione romantica ha invece la profonda ostilità per la tradizione newtoniana che sibasava sui due metodi empirico e matematico. All’esperienza Hegel oppone il metodo speculativo, l’unicoin grado di non fermarsi a qualche testimonianza della sensibilità; alla matematica oppone invece ladialettica che non è astrazione e non si accontenta del dato (come la matematica che si serveconvenzionalmente di formule) ma si serve dell’opposizione interna ad ogni dato che studia per potergiungere alla totalità infinita.

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41. Filosofia dello spirito in Hegel. Spirito soggettivo L’idea completa il circolo dialettico ritornando in se stessa dopo essere passata dalla natura (quindi dopoessere uscita fuori da sé). Il pensiero puro e la natura sono ormai uniti in un’intera realtà. La filosofia dellospirito si articola ovviamente a sua volta in altri tre momenti ce sono lo spirito soggettivo, lo spiritooggettivo e lo spirito assoluto. Lo spirito soggettivo: lo spirito soggettivo si articola in tre momenti: l’anima intesa come principio vitale che è alla base dello sviluppo biologico del’uomo. In qusta fase lospirito è ancora uno spirito naturale perché le sue manifestazioni sono ancora strettamente connesse con labase naturale da cui scaturiscono. L’anima allora non è intesa come principio spirituale dell’uomo a cui devecontrapporsi la materialità corporea, ma come un principio vitale dove materia e spirito sono ancorastrettamente connessi. La coscienza è il momento in cui lo spirito soggettivo aumenta il suo grado di consapevolezza dell’unità trase stesso e l’oggetto che conosce e che all’inizio considera come altro da sé. Lo spirito indica ancora la coscienza individuale (quindi dell’uomo) che però è giunta ad una completaconsapevolezza dell’unità tra il soggetto che conosce e l’oggetto conosciuto (il soggetto adesso si consideracome volontà libera ossia come soggetto in grado di studiarsi e quindi di rendersi “oggetto” di studio).

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42. Filosofia dello spirito in Hegel. Spirito oggettivo Lo spirito oggettivo: è il momento in cui lo spirito si realizza anche esteriormente nella concretezza delleistituzioni storicamente esistenti. È qui che egli esprime la sua famosa affermazione: Tutto ciò che èrazionale è reale, tutto ciò che è reale è razionale. Con questa frase Hegel vuole dire che tutto quello cheappartiene alla razionalità non può non essere reale (ma non nel senso di esistere necessariamente, come unacosa che deve per forza essere in quel modo e non in un altro, ma nel senso di essere concreto) poiché laragione e la realtà sono per lui la stessa cosa. Lo Stato allora, che è manifestazione della ragione assoluta,non può non esistere. Anche lo spirito oggettivo si divide in: diritto astratto è la prima manifestazione dello spirito oggettivo; esso infatti si manifesta dapprima nellapersona giuridica ossia in tutti gli individui che per il solo fatto di esistere sono portatori di diritti. La moralità l’universalità del diritto astratto viene concretizzata e interiorizzata nella coscienza morale laquale è responsabile delle leggi che dà a sé stessa. L’eticità esprime la fusione tra l’universalità del diritto astratto e la concretizzazione della legge in unacoscienza individuale; essa si manifesta nella vita di un popolo. La caratteristica principale dell’eticità èallora la concretezza.

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43. Eticità e Stato in Hegel L’eticità a sua volta si manifesta in tre momenti differenti: la famiglia prima espressione concreta di società organica la società civile intesa innanzitutto come manifestazione dei bisogni dei singoli; essi infatti seguono piùl’intelletto che la ragiona poiché mentre la seconda conosce la totalità della realtà e grazie ad essa è in gradodi stabilire un equilibrio, l’intelletto costruisce non tanto una totalità ma soltanto un aggregato di parti unitetra loro forzatamente (come sono gli individui in una società che non è ancora giunta alla condizione diStato). Lo Stato è la piena realizzazione dell’eticità. Esso per Hegel è la più bassa manifestazione della ragioneassoluto. Anche lo sviluppo dialettico dello Stato si articola in tre momenti: 1. la costituzione dello Stato che determina i tre poteri che regolano lo Stato (legislativo, governativo esovrano) 2. diritto statale esterno cioè l’insieme dei rapporti che connettono uno Stato con gli altri Stati 3. la storia universale che si colloca in uno stadio intermedio tra lo spirito oggettivo e lo spirito assolutopoiché in essa gli Stati (che sono la massima espressione dello spirito oggettivo) si rivelano anche comemanifestazione della ragione assoluta. Questo processo è illustrato più ampiamente da Hegel nelle Lezionisulla filosofia della storia universale.

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44. Spirito assoluto in Hegel. Arte, religione e filosofia Lo spirito assoluto: all’interno della storia universale l’Idea non è ancora tornata del tutto in sé. Questoavviene soltanto nel terzo ed ultimo momento dello spirito, nello spirito assoluto. È chiaro che lo spirito assoluto si articola dialetticamente in tre momenti. Il contenuto delle tredeterminazioni dello spirito assoluto è sempre lo stesso, poiché unico è definitivo è il loro oggetto:l’Assoluto, l’infinito, o in termini religiosi Dio. Ciascuno dei tre momenti concepiti anch’essidialetticamente esprime una maggior adeguatezza ad esprimere l’Idea assoluta. - l’arte è il momento in cui l’Assoluto viene colto in maniera immediata, attraverso l’intuizione sensibile.Ma non tutte le intuizioni sensibili hanno lo stesso valori così che ad un grado inferiore starà l’arte simbolicache si esprime soprattutto attraverso l’architettura; poi ci sarà l’arte classica espressa prevalentemente informa di scultura; all’apice ci sarà l’arte romantica che trova espressione soprattutto nella pittura, musica epoesia. Il motivo di questa superiorità è dato dal fatto che l’arte romantica trascura quelle espressioni in cui èpiù forte l’elemento sensibile dando così maggior sfogo allo spirito. L’arte romantica segna la mortedell’arte intendendo con questa espressione non che dopo di essa non si possa più fare arte ma che in essa lospirito raggiunge pienamente la consapevolezza che l’arte è una forma inadeguata di espressionedell’Assoluto. - la religione succede all’arte poiché esprime l’Assoluto sotto forma di rappresentazione intellettuale. Inrealtà la rappresentazione in quanto conoscenza riflessa è ancora qualcosa di limitato, nonostante abbia ilvantaggio di essere frutto di uno spirito razionale. - la filosofia supera i limiti della religione poiché essa non opera più sotto forma di rappresentazione maattraverso il concetto della ragione: solo in questo modo l’uomo diventa pienamente consapevoledell’assoluta unità del reale. La filosofia è lo spirito assoluto stesso che per mezzo dell’autocoscienza umanapensa se stesso e giunge alla consapevolezza di sé. Ma tale consapevolezza proviene da uno sviluppo, quindil’autoconsapevolezza dello spirito coincide con la consapevolezza della sua storia. È per questo motivo cheper Hegel c’è assoluta identità tra filosofia e storia della filosofia.

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45. Vita e opere principali di Schopenhauer Schopenauer nasce nel 1788 e muore nel 1860 di polmonite. siamo più o meno negli in cui visse Hegel.Ascolta le lezioni degli idealisti e si disgusta. Nella sua brevissima carriera accademica fissò le lezioni neglistessi orari e giorni in cui le teneva Hegel: il risultato fu quello che dovette lasciare la cattedra per mancanzadi studenti. Scrisse anche un saggio contro la vita accademica e i suoi eccessivi formalismi. A lui in realtànon interessava la carriera e Hegel, da un punto di vista di successo di pubblico, lo schiaccia letteralmente.Due le opere che vanno ricordate Il mondo come volontà e rappresentazione (opera che pubblica a spese proprie non guadagnando nulla;arriva addirittura a bruciare tutte le copie. Paralipomeni è l’opera che decreta il suo successo nel 1851. Hegel era ormai morto

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46. Conoscenza e rappresentazione in Schopenhauer A fondamento della sua dottrina della conoscenza vi è la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in séanche se da di essi un’interpretazione originale: il fenomeno è parvenza e non apparenza (ciò chesemplicemente appare) dunque assume un significato negativo. Il fenomeno è simile al velo di Maya di cuiparla la filosofia indiana che copre la realtà, che è quella della cosa in sé. Il fenomeno allora non è come perKant un punto di arrivo ma un punto di partenza per una maggiore e “vera” conoscenza della realtà. Ilmondo come volontà e rappresentazione inizia con questa frase: Il mondo è una mia rappresentazione. Larappresentazione è il risultato del rapporto necessario tra soggetto e oggetto. Nessuno dei due può staresenza l’altro. Il soggetto è ciò che tutto conosce, senza essere conosciuto da alcuno, ossia è ciò che nondiventa mai oggetto della conoscenza. D’altra parte però il soggetto non ha motivo di esistere se non fosseche esiste un oggetto esterno ad esso che egli può conoscere; se non ci fosse un oggetto il soggetto nonpotrebbe conoscere nulla. Ma in tal caso non potrebbe definirsi neppure soggetto poiché si definiscesoggetto ciò che ha la capacità di conoscere. Erroneamente di Schopenhauer il realismo fa derivare ilsoggetto dall’oggetto, ossia partendo da un dato materiale senza il quale il soggetto non può esistere; ealtrettanto erroneamente l’idealismo risolve l’oggetto nel soggetto, considerando il primo unamanifestazione del secondo. Ma in realtà né il soggetto può prevalere sull’oggetto né l’oggetto sul soggetto.La conoscenza è data dall’unione di entrambi.

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47. Forme a priori dell'intuizione in Schopenhauer A differenza della concezione che Kant ha delle forme a priori Schopenhauer indica come elementoveramente originario la rappresentazione: le forme a priori saranno sue conseguenze. Le forme a priori sonotre: spazio tempo causalità. Ma se Kant contrapponeva le prime due (appannaggio della sensibilità) alla terza(appannaggio dell’intelletto) S. le considera indissolubili e tutte e tre appannaggio dell’intuizione.L’intelletto infatti non è come per Kant facoltà di giudicare, ma capacità di intuire. L’intuizione alloraavverrà secondo le forme dello spazio del tempo e della causalità (intesa come azione che stabilisce laconnessione tra l’azione stessa e il perché di quell’azione). Se le rappresentazioni della sensibilità edell’intelletto hanno carattere intuitivo, quelle della ragione sono invece mediate, cioè rappresentazioni dirappresentazioni ovvero concetti. La ragione svolge allora una funzione analoga a quella che per Kant èsvolta dall’intelletto.

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48. Mondo come volontà in Schopenhauer Condanna Hegel considerandolo un ciarlatano e riprende Kant, nonostante egli non appartenga alle scuoleneo-kantiane, anche se apporta qualche modifica al suo pensiero. Sschopenhauer sente la necessità di andareoltre il fenomeno. Quello che lui chiama velo di maia è il confine che sta dietro la rappresentazione che eglivoleva squarciare. In un certo senso è lo stesso processo adottato da Hegel anche se quest’ultimo volevacogliere ciò che sta al di là del fenomeno in maniera logico-deduttiva. Il noumeno è la volontà. La volontànon è intesa come la volontà del singolo individuo, ma un principio cosmico che anima tutto l’universo.Esso allora non ha a che fare con la nostra concezione. È un impulso a procedere sempre oltre, quasi unprincipio metafisico. Questo impulso ci fa passare dal dolore (senso della privazione che la volontà cerca dicolmare attraverso il soddisfacimento dei desideri) alla noia (uscita dalla sensazione di dolore per un brevearco di tempo, dopo che è stato soddisfatto il desiderio o bisogno, e ritorno allo stato di dolore una volta chela sensazione di appagamento è finita). Per fare un esempio basta pensare ad uno dei bisogni primaridell’uomo: il cibo. Nel momento in cui esso manca il mio obiettivo più grande è quello di riuscire a trovarequalcosa da mettere sotto i denti. Ma nel momento in cui il cibo inizia ad esserci quotidianamente, la miatendenza è quella di ricercare cibo sempre più raffinati, fino ad arrivare ad un punto limite che mi caderenella noia, appurando che il senso di appagamento è precario.

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49. Distacco dalla volontà in Schopenhauer. Arte e ascesi La vita è allora continua oscillazione tra dolore e noia. Questo processo avviene proprio a causadell’esistenza di questo principio irrazionale che ci spinge incessantemente a ricercare sempre di più. Si puòpensare anche al fatto che l’uomo, anche nelle condizioni peggiori di vita, sente la spinta irrefrenabile aperpetuare la specie, soggiogato dall’impulso dell’istinto sessuale. L’uomo è allora vittima di questoprincipio irrazionale. Egli allora prova a trovare una soluzione a questa vita necessaria e “obbligante”: eglicrede che l’alternativa si possa trovare attraverso la negazione della volontà e quindi attraverso la volontà. Èquesta una via estremamente difficile e solo in pochi sono in grado di percorrerla. Il primo grado di distaccodalla volontà è l’arte: grazie ad essa sono in grado di estraniarmi. Schopenhauer è però consapevole che ladedizione all’arte dà vita a momento circoscritti e quindi non risolve il problema permanentemente. Affermacmq che la musica è forse fra tutte la forma d’arte più estatica. Il gradino successivo per il graduale distaccodalla volontà è la giustizia o compassione: è questo il momento in cui si arriva alla consapevolezza che nonsi è da soli a soffrire di questo male che è la necessità o volontà, e che quindi altri sperimentano il dolore e lanoia. Questo in un certo senso dovrebbe confortare e allo stesso tempo creare una catarsi nell’atto dellacondivisione del proprio dolore e di quello altrui. Ma è questa più una consolazione che una soluzione.L’ultimo gradino per compiere in maniera completa il distacco dalla volontà e quindi conquistare la volontà,è l’ascesi. In questo senso l’esempio simbolico che si può ricordare è quello dell’uomo eremita che vieneaccucciato su una colonna nel deserto, che non ha bisogno di nulla.

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50. Introduzione e opere di Kierkegaard Oppositore di Hegel insieme a Schopenauer, anche se sviluppano concezioni completamente diverse aproposito della ripresa di Kant. Non sono allievi di nessuno e non lasciano allievi. Egli non un filosofotedesco perché nasce a Copenaghen nel 1813 e morto nel 1850. Egli è un uomo pieno di problemiesistenziali. Le sue opere più importanti sono: Aut aut (1843) Il concetto dell’angoscia (1844) La malattia mortale (1849)

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51. Esistenza in Kierkegaard “Io stupido hegeliano”! Con questa frase contenuta nelle Carte Kierkegaard rimprovera a se stesso la breveadesione alla filosofia di Hegel. Il perno di questa opposizione è il concetto di esistenza. L’oggetto dellaspeculazione di Hegel non era l’esistenza quanto l’essenza delle cose e più precisamente la loro essenzarazionale. L’esistenza sembrava essere inclusa nell’essenza razionale. Al di fuori di questo rapporto con larazionalità, l’esistenza per Hegel era pura accidentalità. Kierkegaard allora sostiene che l’esistenza è altracosa rispetto all’essenza concettuale: esistere deriva da ex-sistere ossia stare fuori dal concetto. E già Kant loaveva precisato: “io posso avere ben chiaro in mente il concetto di cento talleri, ma il fatto che esistano èben altra cosa”. Occupandosi di essenze la filosofia hegeliana aveva per oggetto l’universale: inveceKierkegaard vuole concentrare la sua attenzione su ciò che universale non è, ossia sull’esistenza el’importanza del singolo.

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52. Soggettività e possibilità in Kierkegaard A Hegel interessano solo i “generi” (termine aristotelico) ossia il concetto di uomo, non i singoli uomini.Del resto la realtà ultima dell’uomo è anche nel cuore dell’insegnamento del cristianesimo che non si rivolgemai all’uomo in generale, ma tende ad instaurare un rapporto strettissimo tra il singolo e Dio. La filosofia diHegel è allora sostanzialmente anti-cristiana e solo attraverso ragionamenti ingannevoli Hegel aveva fattocredere il contrario. È da questo che consegue un primato assoluto alla soggettività. Hegel è interessatoall’Assoluto dove il soggetto diventa un momento parziale e incompiuto di esso. Ma per Kierkegaard èimpossibile porsi dal punto di vista dell’Assoluto. Per quanti sforzi faccia l’uomo non esce mai dalla suasoggettività. Ciò però non impedisce secondo Kierkegaard che la soggettività assuma un valore assoluto.Nella sua tesi di laurea Il concetto di ironia egli analizza l’ironia socratica e sostiene che essa è unasoggettività infinitamente negativa perché nega ogni determinazione (ossia ogni volta che qualcuno sostieneuna tesi Socrate è pronto a negargliela). Ma allo stesso tempo questa negatività infinita apre la possibilità aduna soluzione positiva. Infatti Socrate che rappresenta una soggettività finita, si accorge dell’esistenza di unasoggettività infinita nel momento in cui ogni soggetto esprime una tesi soggettiva dell’esistenza che alla finerisulta errata o contraddittoria, infondendo in Socrate la consapevolezza di un principio indeterminatodell’esistenza stessa, che egli non conosce ma di cui intuisce la possibilità. Ponendosi dal punto di vistadell’Assoluto, Hegel si era proposto di comprendere filosoficamente la necessità dell’essere. Invecerimanendo nella sfera del soggetto non esiste più necessità ma possibilità (egli può scegliere o non scegliere,o addirittura scegliere di non scegliere).L’esistenza è un insieme di possibilità. La nostra vita è un insieme dipossibilità. Dalle più importanti alle più marginali; è in questo modo che si giunge all’aut aut.

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53. Vita estetica in Kierkegaard Gli stadi della vita. negli Stadi del cammino della vita, Kierkegaard distingue tre condizioni o possibilitàesistenziali fondamentali che risultano essere un po’ gli stadi di uno sviluppo dell’individuo verso una vitapiù nobile. La vita che può definirsi “estetica” è quella del Don Giovanni che vive inseguendo le emozioni epassando rapidamente da una cosa all’altra senza soffermarsi a pensare per paura di cadere nell’angoscia. Ilseduttore vive nell’elemento dell’immediatezza, non compie mai una scelta definitiva, non si impegna maiin nulla. Egli passa da un’esperienza all’altra senza che quella precedente lascia traccia di sé su quellasuccessiva. L’unico elemento costante nella sua vita è la ricerca del nuovo, il rifiuto della ripetizioneconsiderata fonte di noia. L’esito finale della vita estetica è la disperazione, ossia la presa di coscienzadell’assoluta vanità di ogni cosa, della propria incapacità a dare un senso alle esperienze vissute.

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54. Vita etica in Kierkegaard La vita “etica” invece è quella del marito ossia di colui che fermandosi a pensare sviluppa una dimensioneche porta ad una maggior stabilità. La sua è contrassegnata dalla scelta. L’uomo etico non teme allora laripetizione, ma anzi trova in essa la conferma della sua iniziale decisione e quindi arriva ad amare laripetizione. Ma la vita etica non rappresenta ancora la piena realizzazione dell’uomo, il quale sente, manmano che sviluppa la sua coscienza morale, un desiderio sempre più forte di eternità che il mondo non puòdonargli. Anche l’etica è frutto del mondo e muore con il mondo anche attraverso tanti fallimenti. Scatta inlui il pentimento a causa dell’inadeguatezza che sente di fronte all’immensa moralità di Dio. È in questomodo che anche nel caso in cui si viva una vita etica si può sfociare nell’angoscia (intesa in particolare comeimpotenza) e nella disperazione. L’angoscia rappresenta uno stato d’animo generale, indeterminato chetende a far sentire l’individuo vuoto. È per questo motivo che una volta caduti in questo stato d’animo èrealmente difficile uscirne. La disperazione ha gli stessi connotati dell’angoscia ma non riguarda il rapportodell’uomo con il mondo ma con se stesso.

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55. Vita religiosa in Kierkegaard È solo partendo dal sentire di questi due sentimenti che l’uomo giunge alla scelta => la vita religiosa. La vitareligiosa è descritta in Timore e tremore. La vita umana in tutte le sue forme non è in grado di soddisfarel’uomo che ne è protagonista. È vero però che la vita religiosa è spesso contraria alla ragione: essa è unrischio e possiede per questo un carattere paradossale. Kierkegaard Si accorge allora che non solo la ragionenon è tutto ma che addirittura chi sceglie la vita religiosa va spesso contro la ragione che è nella maggiorparte dei casi apportatrice d’angoscia (anche in questo si rivolge criticamente a Hegel). Il paradossoinsuperabile ma che pur va accettato a cui si arriva è quello dello scontro di due filosofie: una che è condottadalla ragione, (che è fondamento dell’essenza dell’uomo), ma che paradossalmente porta l’uomo alladisperazione; e un’altra che, sempre attraverso la ragione, è capace di cogliere il suo limite portando cosìl’individuo alla scelta della vita religiosa, che risulta essere vera proprio in quanto esterna all’uomo, manecessaria ad esso. Una scelta che, a sua volta, possiede al suo interno un paradosso: quello tra la grandezzamorale incommensurabile verso cui la fede spinge e la moralità esteriore del mondo, nei confronti dellaquale un uomo di fede spesso si scontra, andando appunto anche contro la razionalità (questo concetto èespresso perfettamente dall’invito evangelico “Ama il tuo nemico”). Kierkegaard non è contrario allascienza ma sostiene che la fede e la ragione vanno necessariamente separati. La scienza è utile all’uomonella misura in cui gli dà gli strumenti per vivere nel mondo, ma non aiuta per la salvezza dell’anima. Nonaccetta lo “scientismo” che esalta eccessivamente la scienza.

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56. Vita di Marx Marx nasce nel 1818 a Treviri nella Renania e muore nel 1883 a Londra. Abbraccia ben presto la filosofiafilosofia hegeliana ed è vicino agli hegeliani di sinistra. Egli intraprende la strada del giornalismo politico edal 1842 collabora alla “Gazzetta renana”. Egli pubblica una serie di articoli in cui affronta le questioni dellalibertà di stampa e del libero scambio che interessava un gruppo di contadini della zona. Ma ben presto lacensura prussiana lo sopprime. Nel Marzo del ’48 la rivoluzione dilagante raggiunge anche Colonia doveMarx insieme con Engels si reca e li fanno apparire il quotidiano “Nuova Gazzetta Renana”. La lineapolitica propugnata è quella dell’alleanza di tutti i democratici contro l’assolutismo, ma non ha successo. Ilfallimento della rivoluzione borghese convince i due amici a lasciare la Germania per spostarsi in Inghilterradove la rivoluzione è più forte data la maggiore industrializzazione del paese. Qui collabora con varigiornali. Dopo anni vissuti in miseria, il libro che gli dà più successo e soldi per campare è Il Capitale. Nellostesso tempo si costituisce la Prima Internazionale (associazione internazionale degli operai intenti a farerivoluzione contro i potenti capitalisti). In essa l’influenza di Marx è predominante.

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57. Marx contro Hegel Rovesciamento della filosofia hegeliana: la domanda che da subito Marx si pone è: è possibile un nuovocominciamento dopo le grandi sintesi fatte dalle filosofie sistematiche (ultima delle quali quella hegeliana)?Egli risponde alla domanda sostenendo che un tale inizio è possibile solo nel momento in cui, vistal’inadeguatezza della realtà rispetto alla razionalità, la teoria diventa prassi. Questo significa che potràricominciare da zero solo se si sarà raggiunta la consapevolezza che la realtà non rispecchia ciò che ilprocesso speculativo e razionale auspica o comunque propone pretendendo che si realizzi. È per questomotivo che la filosofia non dovrà più essere solo ragionamento ma dovrà trasformarsi in una forza capace diagire nella realtà diventando prassi. Bisognerà allora trasformare la teoria in una forza materiale capace dismuovere le masse ad agire. Marx si accorge che quella critica mossa da Feuerbach alla religione va mossaanche alla politica e allo Stato. Per Hegel lo Stato era la realtà incondizionata da cui dipendeva tutto, perchéfrutto dello sviluppo dello spirito in un processo aumentava gradualmente la consapevolezza dell’individuo.Feuerbach aveva a tal proposito mostrato come si dovessero invertire il soggetto e il predicato (a propositodella religione) per cui non è Dio che crea gli uomini, ma gli uomini che creano il concetto di Dio. Questorovesciamento secondo Marx va applicato anche al rapporto Stato società civile. Non è lo Stato che crea icittadini ma i cittadini che creano lo Stato. Per questo la priorità non spetta allo Stato ma al popolo. Marxcondivide l’analisi che Hegel aveva fatto della società come di un insieme di individui che rincorronointeressi individuali, ma non condivide il fatto che lo Stato rappresenti un superamento di questoindividualismo.

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58. Democrazia e emancipazione in Marx In realtà secondo Marx il processo storico è caratterizzato da una tendenza a realizzare l’idea di democraziaintesa come la massima partecipazione possibile del popolo all’azione legislativa (ossia quella che si occupadi fare le leggi). a proposito del concetto di emancipazione, rispondendo alle tesi di Bauer secondo cuil’emancipazione degli ebrei si sarebbe realizzata soltanto se lo Stato avesse cessato di essere cristiano, Marxafferma che l’emancipazione politica non ha ancora a che fare con quella umana. Secondo Marx nellasocietà in cui vive, l’uomo conduce una doppia vita: la vita nella comunità politica e la vita nella societàcivile; per questo motivo nella società industrializzata il cittadino è solo astrattamente membro della societàcivile.

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59. Religione "oppio dei popoli" e proletariato in Marx Allo stesso tempo sviluppando il concetto di religione Marx appoggia le tesi di Feuerbach secondo cui lareligione è prodotta dall’uomo inteso non come singolo, bensì come società, Stato, “mondo dell’uomo”. Lareligione è espressione della profonda miseria in cui l’uomo si trova: essa è “l’oppio dei popoli”; perché cisia vera libertà da parte dell’uomo, egli deve assumere una maggiore libertà a livello sociale. La religione èoppio soprattutto per quelle civiltà fortemente industrializzate dove la maggioranza degli individui vive incondizioni economiche e sociali pessime e solo pochi ricchi detengono il potere; proprio in queste società ipiù poveri giustificano la loro miseria attraverso qualcosa che trascende la loro condizione umana e in essatrovano consolazione. Ma questa emancipazione dalla religione può scaturire da un’emancipazione politicache soltanto una “classe sociale universale” può rivendicare, ossia quella classe che non s’incarna con unacerchia ristretta di persone che hanno subito un torto particolare, ma quell’insieme di persone che hannosubito un torto molto grave, un’ingiustizia totale: questa classe è il proletariato. È questa classe che detienein sé la forza di trasformare la società perché è da essa che dipende la società industriale stessa.

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60. Lavoro, alienazione e conflitti in Marx Le convinzioni di Marx circa l’importanza del proletariato nella società si rafforzarono quando Engelsnell’Abbozzo di una critica dell’economia politica mostrava come l’aumento dell’accumulazione diricchezze da parte di pochi generava crisi economiche per cui la maggior ricchezza di pochi industrialisignificava maggior povertà per i molti operai. Questi dati smentivano l’importanza che molti teoricidell’economia davano alla proprietà privata. Per questo motivo una conseguenza ovvia per risolvere ilproblema era l’eliminazione della proprietà privata. Ma per giungere a queste considerazioni bisognavastudiare approfonditamente le leggi che regolano le società industrializzate in modo tale da capire cosapermetteva la formazione di quella classe povera e che subiva ingiustizie, il proletariato. Marx allora siaccorse che il mondo dell’economia è un mondo di conflitti che contraddicono le teorie degli economisti chesostengono la felicità per la maggioranza degli individui. Marx sostiene che l’economia politica trascura irapporti tra l’operaio e l’importanza del suo lavoro all’interno della società, nascondendo in questo modo idisagio che nel mondo operaio vengono a crearsi. Il concetto di alienazione era già stato sviluppato daHegel, il quale però lo aveva inteso semplicemente come il “diventare altro” ossia nel processo dialetticoconsegnare qualcosa di proprio a qualcun altro per progredire verso una sintesi finale.

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61. Operaio e prodotto in Marx In economia tale concetto assume caratteristiche diverse. Innanzitutto essa riguarda il rapporto tra l’operaioe il prodotto del suo lavoro. Infatti a differenza di una produzione artigianale dove colui che costruisce adesempio una sedia,  parte dall’idea che egli ha della sedia fino a costruirla interamente così da sentirla allafine il risultato dei suoi sacrifici e la vede come un prodotto del “suo” lavoro. In una catena di montaggioinvece ogni operaio è impegnato a fare una e una sola operazione per tutto il giorno, così da non sentire ilprodotto come “suo”ma semplicemente come frutto di una catena in cui collaborano migliaia di persone.Inoltre il concetto di alienazione entra in gioco nel momento in cui l’operaio viene ridotto ad una macchina,costretto a compiere sempre lo stesso gesto e a privarsi della sua “essenza di uomo” ossia di essere pensante,estraniandosi da sé. La sua vita reale allora sarà staccata dalla sua vita lavorativa, perché durante le sue oredi lavoro non potrà far altro che compiere ripetutamente lo stesso gesto. Inoltre il concetto di alienazioneentra in gioco anche nel rapporto tra l’uomo e la comunità. Durante il suo lavoro egli si sente solo, deverimanere concentrato a compiere il suo gesto senza fermarsi perché il rischio sarebbe quello di distruggere lacatena di montaggio per cui anche solo un bullone stretto male recherebbe danni a chi dopo di lui devecompiere altri gesti per completare il lavoro.

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62. Proprietà privata e alienazione in Marx E questo senso della comunità è maggiormente frantumato dalla proprietà privata che appartiene solo allasfera personale e affettiva dell’uomo, vista come un rifugio e separazione dalla vita lavorativa. Ora aproposito di questo Marx si trova al tempo stesso in accordo e in disaccordo con Hegel. Ad Hegel infattiriconosce il merito di aver visto l’essenza dell’individuo come un processo storico e non statico, ossia unprocesso di crescita. Ma non condivide di Hegel la concezione secondo cui alienazione coincide conoggettivazione; in questo senso Hegel considera ogni rapporto del soggetto con un oggetto come un rapportoalienante che deve in qualche modo essere recuperato con una “disalienazione”. Nella concezione di Hegelinfatti nel momento in cui il soggetto (tesi) entra in rapporto con qualcosa di “altro” ossia un oggetto (quindisi aliena) si attua il momento “negativo” che sarà risolto soltanto nel terzo e ultimo momento quello dellasintesi in cui il soggetto tornerà in se stesso avendo assunto la consapevolezza che quell’ oggetto eraintrinseco in se stesso.

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63. Marx. Alienazione positiva e comunismo Marx invece sostiene che l’alienazione è negativa per i motivi che sopra sono stati evidenziati, ma assumeanche un carattere positivo; essa non va concepita in maniera idealistica (ossia come un processo cheriguarda solo il pensiero) ma in senso materiale, come rapporto dell’uomo con la natura e la società. È soloin questo modo che l’individuo (il soggetto) assume le caratteristiche di essere naturale ossia legatointrinsecamente alla natura. In effetti però anche in questo caso Marx considera l’alienazione noncompletamente positiva poiché essa implica in sé il concetto di uscita da sé, di estraniazione. Per questomotivo egli afferma che l’uomo oltre ad  essere naturale è anche un essere storico e in quanto tale non habisogno di alienarsi per entrare in contatto con la natura. Per eliminare l’alienazione allora bisogneràeliminare tutto quello che distacca l’uomo dalla natura e dalla società e cioè la proprietà privata e i rapportifondati su di essa. La soluzione all’alienazione è allora il comunismo. Ma comunismo per Marx nonsignifica regresso romantico verso un mondo primitivo che ormai non c’è più, bensì liberazione emanifestazione di tutte le facoltà umane che la società industriale ha represso. Solo on il comunismo si potràraggiungere il massimo dominio dell’individuo nei confronti della società e della natura: l’uomo non saràpiù schiavo dei rapporti sociale, ma sarà lui a stabilirli.

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64. Materialismo storico in Marx Partendo allora dal principio condiviso con Hegel che la realizzazione dell’uomo segue un processo storico,Marx sostiene che la storia è destinata inevitabilmente a portare ad uno Stato comunista. Per giungere aquesta conclusione Marx, insieme con Engels, parte dal materialismo di Feuerbach il quale è ancora moltolegato al materialismo illuminista che rintraccia l’essenza dell’uomo nel pensiero. Gli uomini sidifferenziano dagli animali perché hanno la facoltà di pensare, affermavano gli illuministi e con loroFeuerbach. Inoltre Feuerbach si era soprattutto soffermato sulla corporeità e sensibilità dell’uomo, concepitoquindi come un essere passivo che si rapporta alla natura (anch’essa sensibile) come qualcosa di già dato,spesso subendola Marx invece a questa concezione del rapporto uomo – natura contrappone il suomaterialismo storico che vede l’uomo superiore a tutte le altre specie non tanto per la sua capacità dipensare, quanto per la sua attività, ossia la sua capacità di agire e produrre i mezzi di sussistenza. Le societàche si creano e si sviluppano storicamente dipendono innanzi tutto dalle loro condizioni materiali, dai modidi produzione e dalla divisione del lavoro.

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65. Forme di proprietà nel pensiero di Marx È dai gradi di sviluppo della divisione del lavoro che dipendono forze produttive diverse e diverse forme diproprietà: la proprietà tribale basata su caccia, pesca, agricoltura la proprietà delle comunità antiche dove si è costituito lo Stato e dove sono gli schiavi la principale forzaproduttiva la proprietà feudale dove la società è organizzata gerarchicamente e ognuno svolge il suo compito la proprietà capitalistica in cui predomina l’industria e la forza produttiva è incarnata dagli operai Da questo sviluppo delle forme di produzione con le rispettive forme di proprietà si può capire come lastoria umana è determinata non tanto dallo sviluppo dell’essenza dell’uomo, quanto dagli strumenti di cuiuna società dispone e i rapporti sociali che si determinano da tali strumenti.

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66. Struttura, sovrastruttura e ideologia in Marx È per questo motivo che Marx afferma che non è la coscienza degli uomini a creare uno sviluppo della vita,ma è la vita a determinare la coscienza degli individui e i prodotti della società. Ed è per questo motivo cheMarx distingue una struttura (identificata appunto con gli strumenti di cui una società dispone) e unasovrastruttura (ossia le produzioni culturali, la religione, la filosofia che grazie a quegli strumenti sisviluppano in quella determinata società). E ciò che egli vuole sottolineare, per capire meglio gli sviluppi diuna società in tutti i suoi aspetti, è la distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Spesso puòsuccedere che i sistemi di pensiero che si sviluppano in una data società credono di essere autonomi daquella società (cioè per esempio che il pensiero illuminista sia separato dal contesto storico, politico eculturale in cui nasce); e questa convinzione dà vita all’ideologia, ossia quell’illusione che porta gli uomini asviluppare un pensiero considerato indipendente da tutto per potersi sentire liberi ed emancipati dal mondo,che magari non accettano. È lo stesso criterio con il quale secondo Marx nasce la religione, l’apicedell’ideologia.

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67. Lotta di classe e borghesia in Marx E' sempre a partire dalla proprietà privata che secondo Marx la società è destinata alla lotta di classe. Lalotta tra classi è visto come il motore della storia. La divisione del lavoro (da cui deriva la proprietà privata)genera la disuguaglianza sociale perché vede da una parte il datore di lavoro che ha come una fortuna quelladi possedere capitale, e l’operaio dovrebbe lavorare per i propri interessi ma si ritrova a lavorare per gliinteressi del suo datore di lavoro. Quando a un determinato sviluppo della divisione del lavoro noncorrispondono più rapporti sociali adeguati, per cui l’operaio diventa al servizio dell’accumulo di ricchezzedell’imprenditore, i rapporti di cooperazione per il raggiungimento dell’uguale benessere di tutti entrano incontraddizione e si crea una crisi e una volontà rivoluzionari da parte di chi ne è vittima. Così è avvenutoquando la borghesia si è ribellata all’antico regime feudale dove pochi aristocratici vivevano alle spalle della“classe media” detta anche borghesia. L’ascesa della borghesia coincide con lo sviluppo del capitalismo; conil capitalismo però nasce una nuova classe rivoluzionaria, che come abbiamo visto è la classe operaia o ilproletariato. È per questo motivo che Marx conclude il suo Manifesto con la frase: “proletari di tutti i paesiunitevi”.

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68. "Il capitale" di Marx, metodo di analisi economica Dopo il fallimento delle rivoluzioni in Europa, Marx ed Engels sono convinti che il centro della rivoluzionesi è spostato in Inghilterra, il paese più industrializzato in assoluto. Dal momento però che in Inghilterral’economia si era sviluppata esponenzialmente e questo era coinciso anche con una diminuzione delle orelavorative e un aumento dei salari (entrando in contrasto con le teorie di Marx che sosteneva che più lasocietà capitalistica cresceva più gli operai s’impoverivano) Marx riprende in mano la problematica da unpunto di vista un po’ diverso affrontando la questione della “correttezza” del metodo di analisi economica.L’indagine dovrà partire dalla realtà ossia dal concreto per poter ricavare da esso delle astrazioni ossia deiconcetti (meglio chiamati categorie) che possono essere validi per qualsiasi realtà economica si considera.Tali astrazioni poi dovranno essere applicate alla società che si vuole analizzare e quindi dovrannonuovamente essere calate nel concreto. Per fare un esempio si può dire che il concetto di lavoro può derivaresolo attraverso un’astrazione dal concreto di un sistema economico che ha una determinata concezione dellavoro. Per questo motivo Marx si rende conto che ogni epoca possiede un concezione propria del lavoro equindi è difficile, se non impossibile, stabilire un concetto assolutamente astratto di lavoro. Questo significache il concetto astratto di lavoro che deriva dall’analisi del sistema economico capitalistico, vale solo perun’analisi di quel sistema in cui l’astrazione nasce. Allo stesso tempo Marx afferma in maniera ancora piùsottile, che il concetto di lavoro astratto è potuto nascere solo in un sistema come quello moderno in cui perlavoro non si intende rapporto diretto tra uomo e natura, ma si intende più in generale “mezzo per crearericchezza”. La vera dialettica si articolerà quindi in concreto – astratto – concreto. Il problema adessoconsisterà nell’applicare le categorie astratte che si sono possono ottenere, al concreto della società modernache Marx vuole analizzare.

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69. Merce, valore d'uso e valore di scambio in Marx Per indagare il sistema economico della società moderna bisognerà partire dalla merce che è ciò che vieneprodotto e sta alla base dello scambio (e quindi alla base dell’economia). Essa è prima di tutto qualcosa cheserve all’uomo per soddisfare i propri bisogni ecco perché si dice che essa possiede un valore d’uso che puòcambiare in base alla merce e in base al bisogno del singolo. Ad esso è strettamente collegato il valore discambio che non è altro che il valore che la merce assume in base al suo valore d’uso  nel momento in cuideve essere scambiata con un’altra merce (una forchetta avrà un valore d’uso superiore ad un pettine perchéè strettamente legata ad un bisogno primario, quello di mangiare; questo vuol dire che per scambiareforchette con pettini ci vorranno, ad esempio, tre pettini per ogni forchetta).

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70. Concetto di forza-lavoro in Marx Ma chiaramente questo non basta: a stabilire il valore di scambio di una merce è anche la quantità di lavoro(considerato come “lavoro umano uguale in astratto) che deve essere impiegata per produrre quelladeterminata merce. Quindi il lavoro non è concepito come più o meno nobile più o meno faticoso, ma èconcepito esclusivamente in termini di forza – lavoro umana. È in virtù di tale lavoro che una merce assumeun valore. Ora per stabilire quale merce sia più pregiata (quindi abbia valore di scambio maggiore) oltre allasua utilità (valore d’uso) si dovrà considerare “quanto lavoro” viene impiegato per costruirla, e questolavoro viene misurato in base alla sua durata temporale. Ma è chiaro che se un operaio è più pigro di un altroci metterà più tempo a produrre un oggetto; questo però non vuol dire che la sua merce vale di più di quellaprodotta dall’operaio volenteroso. Per durata temporale si intende allora il tempo di lavoro socialmentenecessario, in media, in specifiche condizione storiche di produzione. L’errore della società capitalisticaperò è quello di astrarre dalla merce il lavoro che viene impiegato nella produzione di merce, nel senso cheil lavoro viene separato da chi lo compie; in questo modo un oggetto fabbricato dall’uomo è tramutato quasiin una divinità autonoma rispetto a colui che invece ha speso fatica per costruirlo.

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71. Denaro e profitto in Marx È a questo punto che entra in gioco il denaro: con esso viene determinato il prezzo delle merci in base alladomanda e alla disponibilità dell’offerta; il denaro è la concretizzazione in termini quantitativi del valore discambio delle merci. Siamo al punto focale della discussione: ciò che Marx vuole in luce è il fatto che uncapitalista investendo il denaro per comprare delle merci, una volta che è stato in grado di venderle ci haguadagnato (questo aumento del denaro lo chiama profitto). In una società mercantile (cioè basata sulloscambio delle merci, ossia ad esempio io ti do dieci uova tu mi dai una zucca più 1 euro) il rapporto è merce– denaro – merce, così che i soldi guadagnati dallo scambio della merce servono per comprare altra merce;invece nella società capitalistica il rapporto è denaro – merce – maggior denaro. Questo vuol dire che chipossiede denaro compra delle merci e ci guadagna sopra. Marx si accorge allora che c’è qualcosa che non vaperché se un uovo vale 100 lire non può essere rivenduto a 200 lire poiché il suo valore di scambio nonaumenta così dal nulla. Da dove viene allora il guadagno?

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72. Plusvalore e pluslavoro in Marx Secondo Marx il guadagno deriva dalla speculazione degli imprenditori sulla forza – lavoro spesa daglioperai. Questo vuol dire che se un imprenditore vuole arricchirsi deve sottopagare i propri operai oppurefarli lavorare più ore senza pagarli, in modo da vendere la merce sempre per quello che vale ma nonpagando adeguatamente il lavoro che per la produzione di quel prodotto è stato speso dagli operai. Glioperai d’altronde sono costretti a lavorare alle condizioni che detta l’imprenditore perché devono anche loroprocurasi denaro per mangiare (ed è questo il meccanismo che oggi porta le grandi multinazionali come laCoca-cola o la Nestlé, per dirne solo due, a sfruttare i paesi del terzo mondo con la scusante che se non cifossero loro, quella gente morirebbe di fame; in questo modo li fanno lavorare 15 ore al giorno, siarricchiscono alla faccia loro e agli occhi della gente passano anche per i salvatori del mondo). Dunque ilplusvalore che una merce acquista (ossia il profitto che l’imprenditore ricava da una merce investendo partedel suo capitale sotto forma di salario per i dipendenti per farli lavorare più del giusto) dipende dalpluslavoro (che è quel lavoro in più non retribuito che un operaio compie per produrre una merce; se adesempio per costruire un tavolo ci vogliono 5 ore di lavoro e si sa che in commercio quel tavolo vale 10euro, cioè 2 euro per ogni ora di lavoro, le possibilità di guadagno per l’imprenditore sono due: o pagal’operaio non 2 ma 1 euro l’ora così che speculando sul suo lavoro ci guadagna la metà, oppure fa lavorarel’operaio 10 ore ma gliene paga solo 5, così che l’operaio costruirà due tavoli ma sarà pagato solo per uno eil guadagno dell’altro tavolo andrà nelle tasche dell’operaio).

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73. Dittatura del proletariato in Marx C’è però da sottolineare un’altra cosa: parte del guadagno dell’imprenditore sarà speso da lui per acquistarealtre macchine più efficienti. Succederà così che più sofisticate saranno le macchine meno lavoro ci sarà perl’operaio che dovrà compiere movimenti sempre più semplici e ripetitivi, perdendo la capacità di compiereun lavoro compiuto. Per questo motivo quell’operaio sarà costretto sempre di più a svendere la propriaforza-lavoro e ad essere retribuito sempre meno, mentre l’imprenditore si arricchirà in maniera esponenziale.È per questo motivo allora che Marx odia la proprietà privata, intesa come la proprietà dei mezzi diproduzione da parte di singoli uomini, che solo perché hanno avuto la fortuna di possedere un minimo dicapitale hanno potuto arricchirsi sulle spalle degli altri. A Marx allora piacerebbe che i mezzi di produzioneli possedesse lo Stato: esso distribuirebbe così in maniera più equa le ricchezze del paese. In realtà eglisostiene che la rivoluzione della classe operaia sarebbe prima passata per un periodo di dittatura delproletariato che si sarebbe risolta in uno sviluppo della libertà e delle capacità umane che avrebbe permessola diminuzione delle ore di lavoro e una ricchezza pianificata, uguale per tutti dove il motto doveva essere:“A ciascuno secondo il suo lavoro”. Addirittura Marx auspicava una società senza Stato, in grado di gestirsiautonomamente e il motto così sarebbe diventato: “Ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo isuoi bisogni”.

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74. Nascita del positivismo Gli sviluppi costanti delle scienze, costituiscono lo sfondo culturale da cui emerge la filosofia delpositivismo. Questo movimento filosofico nasce in Francia all’indomani del congresso di Vienna, in pienaetà della restaurazione. Più tardi esso si svilupperà anche in Inghilterra, Germania e Italia. Il suo caratterefondamentale è la riconduzione di ogni forma di conoscenza ad un sapere positivo, cioè fondato su fattiempiricamente accertati e scientificamente connessi in un sistema di leggi. La ricerca deve sempre iniziarecon l’osservazione e la descrizione di fatti; è solo a partire da questi che si può costruire un sistema di leggiche varrà anche per fatti uguali che si verificheranno in futuro. Se è vero che il positivismo rappresenta unareazione tanto all’idealismo, di cui non condivide il tentativo di ricondurre la realtà al pensiero, quanto alromanticismo del quale rifiuta la validità conoscitiva che esso dà all’intuizione, è vero anche che per certiversi è vicino ad entrambi. Con il primo avrebbe in comune la concezione immanentistica della realtà,mentre del secondo accetta una certa aspirazione verso l’assoluto, questa volta ricercato nella scienza e nonnella poesia. Ma è con il movimento illuministico che il positivismo ha molto in comune: il rigoroso empirismo gnoseologico la stretta correlazione tra scienza e filosofia l’organizzazione enciclopedica del sapere la funzione pratica della conoscenza la concezione della storia come progresso

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75. Stato teologico, metafisico e positivo in Comte Comte: è generalmente considerato l’iniziatore del positivismo. Nasce nel 1798 e muore nel 1857. Già sin dal Piano dei lavori scientifici necessari per riorganizzare la società del 1824, Comte avevaformulato la “legge dei tre stati”. Attraverso questi tre stati o stadi, viene a costituirsi il processo di sviluppoche riguarda sia l’individuo che l’umanità. Essi sono: lo stato teologico: in esso gli uomini pretendono di conoscere l’essenza delle cose; a questo scopo essi fannoriferimento a una o più entità soprannaturali lo stato metafisico: dove l’essenza della natura viene ricercata non più in entità soprannaturali, ma in entitàastratte immanenti comunque alla realtà lo stato positivo: è culmine di tale processo; è il momento in cui gli uomini hanno ormai pienaconsapevolezza di se stessi e di ciò che li circonda per cui non si preoccupano più di ricercare l’essenza dellecose, ma viene cercato il criterio che unisce i semplici fatti fenomenici. La conoscenza umana risulta quindiessere soltanto relativa perché esclude la conoscenza delle cause prime e assolute delle cose. La conoscenzapositiva allora rinuncia secondo Comte alle concezioni teologiche e metafisiche e riconduce tutto a rigorosespiegazioni scientifiche.

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76. Definizioni di "positivo" in Comte Quali sono le implicazioni della filosofia positiva? Comte distingue cinque significati diversi di positivo reale e quindi che non si riferisce a ciò che trascende la condizione dell’uomo utile perché finalizzato non a speculazioni ma al miglioramento concreto della vita umana certo in contrapposizione all’incertezza delle interminabili speculazioni filosofiche preciso che non lasci spazio a interpretazioni ambivalenti, utilizzando un linguaggio preciso costruttivo e non come l’illuminismo votato alla distruzione del vecchio per il nuovo

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77. Classificazione delle scienze in Comte Decide di fare una classificazione delle scienze avendo come unità di misura la loro “positività”. Egli siaccorge allora che le scienze più semplici, ossia quelle che studiano oggetti più generali sono quelle cheprima giungono a diventare positive; mentre scienze che studiano oggetti particolari fanno più difficoltà adiventare positive perché hanno bisogno di maggior rigore. Una scala gerarchica in questo senso è alloraquella che parte dall’astronomia, per giungere fino alla sociologia. Nel mezzo si trovano la fisica, la chimicae la biologia. Le prime sono quelle che hanno come oggetto di studio l’inorganico. La chimica però al suointerno è divisa in fisica organica o biologia, che si occupa del movimento degli organismi naturali e fisicasociale o sociologia, che riguarda appunto gli organismi sociali. Poiché questi ultimi sono in assoluto i piùcomplicati perché implicano anche gli organismi naturali fanno si che la sociologia risulti essere la scienzapiù complicata. Da questo elenco sono esclusi la matematica e la psicologia. La prima è esclusa non perchénon sia scienza, ma perché anzi è scienza per eccellenza; è sulla matematica che si basano tutte quellediscipline che aspirano ad essere considerate scienze. La psicologia è invece esclusa perché, partendo dalpresupposto che non si dà scienza se non attraverso l’utilizzo di fatti concreti, e considerando il fatto che lapsiche non può essere separata da ciò che accade fuori di essa, la psicologia quando è legata a “fattifisiologici” si riduce a biologia, mentre quando si concretizza in “fatti sociali” si riduce a sociologia. Lafilosofia è esclusa perché non è ritenuta affatto una scienza, dal momento che non possiede un oggettoproprio. Essa piuttosto funge da coordinatrice delle varie scienze.

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78. Sociologia e filosofia della storia in Comte Ma è la sociologia la scienza che a Comte interessa di più, per un motivo ben preciso. Dal momento che essarisulta essere la più complicata, è quella che ancora non ha raggiunto completamente la sua maturità e la sua“positività” (ossia non è ancora diventata vera scienza). Siccome a Comte stava molto a cuore il problemadella riorganizzazione della società su nuove basi, egli vede chiaramente in questa disciplina la possibilità elo strumento per porre queste basi. A questa problematica Comte dedica metà del Corso di filosofia positiva.Come le varie branche della fisica, essa si divide in statica e dinamica. La prima ha per oggetto le formeimmutabili della società (la famiglia, la proprietà..) mentre la seconda si incentra sul concetto di progresso.È in questo modo che le dottrine reazionarie (ossia quelle che volevano un ritorno all’antico regime dovel’aristocrazia aveva il potere sul resto) vengono conciliate con quelle progressiste che vogliono tutto ilpotere nelle mani del popolo. Non è possibile secondo Comte un ordine che non sia finalizzato al progressocosì come non è possibile il progresso che non si realizzi nell’ordine. La parte dinamica della sociologiapone anche una vera e propria filosofia della storia, che sarà scandita nei tre stadi di cui già Comte avevaparlato. Essa va dall’epoca teologica dove il potere spirituale è detenuto dai sacerdoti e quello temporale daimilitari, (e la finalità fondamentale è la conquista), all’epoca positiva dove il potere spirituale è degliscienziati e quello temporale degli industriali, (dove la finalità principale sarà la produzione industriale). Inentrambi i casi siamo di fronte ad un sistema “organico” che ha delle basi e si pone degli obiettivi. Lo stadiointermedio sarà l’epoca metafisica, che fungerà da momento di transizione per una progressiva dissoluzionedel vecchio sistema che si risolverà solo nell’ultimo.

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79. Introduzione a John Stuart Mill John Stuart Mill: in questo filosofo è evidente la connessione tra l’utilitarismo inglese e il positivismofrancese. Se, come abbiamo visto, il carattere utilitario del sapere rientra in qualche modo nella concezionepositivista, considerando l’utile come miglioramento della vita in senso generale, l’utilitarismo  in sensostretto rimane nei limiti della ricerca della felicità e del piacere. Bentham fu un pensatore che influenzòmolto le idee di M.; quest’ultimo infatti ereditò da Bentham anche la passione per la politica.  Nasce nel1806 e muore nel 1873. la sua opera fondamentale è Il sistema della logica deduttiva  induttiva.

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80. Logica in Mill. Termini denotativi e connotativi La logica per Mill è la scienza della prova e dell’evidenza. Essa non si occupa della verità delle cose che civengono date immediatamente, come le sensazioni corporee, ma si occupa di verificare l’esattezza delleconoscenze derivate, ossia della connessione tra più proposizioni all’interno di un ragionamento. Essa allorasi preoccupa di sistemare i dati dell’esperienza in forma scientifica. È da questo che si capisce come Milladerisca sia all’empirismo che al positivismo. La prima operazione logica in assoluto che va fatta è quelladella denominazione ossia l’assegnazione di nomi ai dati empirici. Il linguaggio prima ancora che strumentodi comunicazione, disclipina il pensiero secondo Mill da questa concezione deriva la famosa distinzione tratermini denotativi e connotativi. Si “denota” quando un termine indica semplicemente un oggetto, senzaalcun riferimento alle sue proprietà o attributi. Sono invece termini connotativi quelli che fanno riferimentoad uno o più attributi (bianco, razionale, etc..); ma sono connotativi anche i nomi comuni come ad esempio“uomo” perché oltre a definire i singoli esseri umani, implica anche le loro qualità (la razionalità, lacorporeità) che appartengono loro in quanto uomini.  Questa distinzione è importante non solo per i nomima anche per le proposizioni; Mill infatti distingue le proposizioni verbali che sono quelle nelle quali ilpredicato ripete ciò che è già implicito nel soggetto (l’uomo è un animale razionale => la razionalità è giàcaratteristica dell’uomo), dalle proposizioni reali dove il predicato aggiunge delle qualità al soggetto.

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81. Inferenza in Mill. Da particolare a particolare Ora questa differenza tra ciò che risulta sterile (proposizioni verbali) e ciò che apporta nuova conoscenza(proposizioni reali) riguarda anche la connessione che tra le varie proposizioni si stabilisce. Viene così adessere messo in gioco quello che Mill chiama inferenza ossia ragionamento (o meglio “corretto”ragionamento). Due sono le strade che la logica tradizionale aveva adottato: la deduzione che porta alsillogismo (ossia dal generale al particolare) o l’induzione (dal particolare al generale). Per Mill esiste unaterza strada che è quella da particolare a particolare. Egli infatti sostiene che se si prende in considerazione ilfamoso sillogismo: “Tutti gli uomini sono mortali”; “Socrate è un uomo”; “Socrate è mortale” e si pretendedi dare ad esso qualità dimostrative, bisognerà ammettere che la conclusione in realtà ripete ciò che è giàcontenuto nella prima premessa. Mill infatti sostiene che se dico “Tutti gli uomini sono mortali” sto già inqualche modo rendendo implicito che anche Socrate è mortale. Il sillogismo allora potrà assumere un valoresolo se non lo si considera come una dimostrazione deduttiva che parte da una considerazione e arriva adaffermarne un’altra completamente nuova. Anche la prima affermazione non deve essere considerata unpunto di partenza assoluto ma un punto di arrivo di una serie di osservazioni che vanno da particolare aparticolare. Solo se io avrò appurato che Tizio, Caio, Sempronio sono degli uomini e sono mortali potròaffermare “Tutti gli uomini sono mortali” e in essi allora sarà compreso anche Socrate. Questa tesi per laquale ogni inferenza (o ragionamento corretto) parte dall’osservazione di casi particolari, poggiasull’assunto che ogni nostra conoscenza ha un’origine empirica.

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82. Induzione per enumerazione semplice in Mill Dalla critica che Mill muove al sillogismo si evince che l’inferenza si fonda non tanto sulla deduzione, masull’induzione. In realtà però il procedimento induttivo che amplia la nostra conoscenza non è quelloperfetto, L’induzione perfetta infatti avviene se io dico: “l’apostolo Pietro era ebreo, Paolo era ebreo,Giovanni era ebreo fino ad enumerare tutti i dodici apostoli per affermare: tutti gli apostoli erano ebrei”.Come si vede la conclusione non aggiunge nulla a ciò che l’esperienze mi aveva fatto conoscere.L’induzione che invece aggiunge conoscenza è quella “imperfetta” che Mill chiama induzione perenumerazione semplice. Se io dico: Tizio è mortale, Sempronio è mortale ect… e concludo che “tutti gliuomini sono mortali” io aggiungo conoscenza poiché da alcuni fatti particolari concludo un fatto generale;ma nello stesso tempo ho azzardato la conclusione perché non so esattamente se tutti gli uomini che esistononell’universo sono mortali. Questa conclusione nonostante sia imperfetta aggiunge alla mia inferenza nuovaconoscenza.

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83. Principio dell'uniformità della natura in Mill Per secoli gli europei hanno creduto che tutti i cigni fossero bianchi perché non ne avevano visto uno nero.Quindi la domanda è: se io procedo da particolare a particolare cosa mi garantisce la validità dellageneralizzazione cioè il passaggio ad un certo punto da particolare a generale? Secondo Mill esiste unprincipio che regola questo passaggio che è il principio dell’uniformità della natura che si realizza nellalegge della causalità necessaria. Si può generalizzare una legge che abbiamo appurato essere valida per ungruppo ristretto di dati, perché supponiamo – dice Mill – che la natura sia ordinata da leggi  per cui unadeterminata condizione naturale deve necessariamente valere per tutta la classe a cui quei dati appartengono.Ma è Mill stesso ad osservare che questo ragionamento è a sua volta frutto di un’induzione per cui quelprincipio che sembrava essere base della conoscenza scientifica è a sua volta frutto di un ragionamentoinduttivo (siccome 1000 uomini sono mortali suppongo che esiste una legge di natura che rende tutti gliuomini mortali).

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84. Psicologia, sociologia e politica in Mill L’uniformità delle leggi della natura ha come conseguenza diretta il fatto che si possano prevedere i fattifuturi: se oggi conosco ciò che è avvenuto ieri, ne studio i meccanismi di causa – effetto, domani sarò ingrado di stabilire ciò che avverrà studiando gli eventi di oggi come cause degli eventi futuri. Perciò cosìcome in astronomia è possibile prevedere esattamente il movimento degli astri, allo stesso modo per ciò cheriguarda le azioni umane, la psicologia sarà in grado di determinare i comportamenti futuri di un individuoin base alla sua condotta precedente. Questa prevedibilità non va tuttavia confusa con la fatalità: un uomorimane assolutamente libero di agire, soltanto che le scelte che farà ricadranno inevitabilmente sulla suastoria personale e le sue azioni future. Se la psicologia si occupa della previsione delle azioni individuali, lasociologia concerne la determinazione della regolarità e prevedibilità degli eventi sociali futuri. Da ComteMill mutua la concezione della sociologia come fisica sociale ed anche il concetto di progresso come criteriodell’evoluzione della società. Una volta determinata la legge del progresso storico sarà facile determinaretale progresso proiettato nel futuro prevedendo lo sviluppo della società futura. La posizione di Mill èdiversa invece rispetto a quella di Comte per quanto riguarda la concezione dell’economia e della politicaanalizzata nei principi di economia politica. Egli distingue infatti tra “leggi della produzione” cheobbediscono a leggi di necessità naturale, e “leggi di distribuzione” che dipendono invece dalla volontàumana. Il diritto e il costume possono modificare la distribuzione delle ricchezze. Mill infatti aspira ad unamodificazione delle leggi affinché esse aspirino al maggior benessere possibile per il maggior numero diindividuo e affinché esse siano utili al buon vivere. All’utilitarismo egli allora accosta l’altruismo,sostenendo che incrementare la felicità altrui sia una delle maggiori fonti di piacere per l’uomo.

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85. "Saggio sulla libertà" di Mill. Liberalismo radicale La sua politica sfocia allora in un liberalismo radicale che vuole una completa autonomia del singolo neiconfronti degli altri e dello Stato; lo Stato dovrà intervenire nella vita privata solo per garantire i diritti di unindividuo nei confronti degli altri. Nel suo Saggio sulla libertà egli parla di: libertà di coscienza di pensiero e di espressione libertà di perseguire la felicità secondo il proprio gusto libertà di associazione

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86. Morale e religione in Mill A fondamento della morale sta per lui l’utilità. Egli però a differenza di Bentham opta per unadeterminazione qualitativa dei piaceri e non semplicemente per un calcolo meramente quantitativo. Aproposito della religione egli sostiene che essa sia assolutamente conciliabile con la conoscenza scientificadel mondo. Sono le conoscenze scientifiche anzi ci fanno notare come debba esserci una forza superiore alcreato che mantenga l’ordine dell’universo e agisca per un fine. Questa forza non è onnipotente ma è daidentificarsi al massimo con un Demiurgo dalle capacità finite a causa anche della materia sulla quale egliagisce (che è di per sé finita). Per questo motivo l’uomo non può affidarsi totalmente alla provvidenza madeve adoperarsi per migliorare il mondo.

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87. Introduzione a Spencer e scritti Nasce nel 1820. egli dovrebbe essere considerato il padre della teoria evoluzionistica che già fu da luiformulata in un primo abbozzo nel 1852 con Ipotesi dello sviluppo (nella quale ancora però non compare iltermine evoluzione. Nel 1855 riprese la stessa tesi in Principi di psicologia applicandola allo sviluppogenerale della mente umana. Siccome le sue opere passarono inosservate la paternità della teoriaevoluzionistica fu assegnata a Darwin dopo la pubblicazione dell’Origine delle specie. Sviluppò in seguito lasua teoria in Principi di biologia, Principi di psicologia, Principi di sociologia e Principi di etica.

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88. Conoscenza e legge dell'evoluzione in Spencer Conformemente ai canoni del positivismo, per Spencer c’è continuità tra scienza e filosofia. Se le scienzeservono ad unificare i singoli fatti empirici in una legge che li generalizza, la filosofia ha il compito diunificare le varie scienze all’interno di una legge unica che le disciplina. La filosofia svolge allora lafunzione di scienza generale che connette sinteticamente i dati ultimi delle varie scienze. È per questomotivo che Spencer definisce il suo pensiero sistema di filosofia sintetica. Questo sistema si baserà su treprincipi: l’indistruttibilità della materia, la continuità del movimento, la persistenza della forza. Il compitodella filosofia sarà quello di unificare questi tre principi in un’unica legge che Spencer individua nella leggedell’evoluzione. Il merito più grande che si deve a Spencer fu quello di applicare questa legge a tutti gliambiti che interessano l’uomo. La formulazione di questa legge è contenuta nei Principi primi; distingue tretipi di evoluzione: l’evoluzione inorganica che riguarda lo sviluppo del pianeta Terra l’evoluzione organica che riguarda lo sviluppo della specie (secondo la teoria di Lamarck della selezionenaturale) l’evoluzione superorganica che riguarda lo sviluppo delle società da più semplici a più complesse, e piùprecisamente da quella di tipo militare a quella di tipo industriale.

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89. Vita e scritti di Nietzsche Anch’egli non appartiene a nessuna scuola ma è un libero pensatore che si pone in controtendenza con il suotempo. (1844 - 1900). È un personaggio brillante: va in cattedra all’università di Basilea a solo 24 anni; malì litiga con tutti i suoi colleghi anche per la malattia che non gli permette di star sereno. Per questoabbandona quasi subito l’insegnamento. Vive scrivendo e viaggiando e nel 1889 a Torino perdedefinitivamente la ragione. Affidato alla madre e alla sorella la sua opera viene fortemente manipolata concaratteri fortemente reazionari. È soprattutto a causa della sua opera Volontà di potenza che il suo pensieroviene strumentalizzato soprattutto dalla politica. Viene allora addirittura scioccamente considerato unrazzista: il superuomo viene ad esempio identificato con la razza ariana. Le sue opere più importanti: La nascita della tragedia Le considerazioni inattuali (73 - 76) Così parlò Zaratustra (83) Al di là del bene e del male (86) Genealogia della morale (87)

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90. Nietzsche. Apollineo e dionisiaco nella tragedia greca Nietzsche studiando il mondo greco mette in luce come siano presenti allo stesso tempo due impulsi vitaliche egli chiama apollineo e dionisiaco. Il primo è legato al Dio apollo, dio dell’armonia e dell’equilibrio.L’impulso apollineo è un impulso di bellezza, che genera un mondo illusorio (dato il suo legame con ilsogno) e trova la sua espressione sul piano artistico nelle arti figurative in particolare nella scultura. Maaccanto ad esso coesiste il dionisiaco: esso corrisponde con l’impulso di ebbrezza che spinge ad immergersisenza freni nel caos della vita. Sul piano artistico trova espressione nella musica. Quando predomina abbattel’apollineo e prota la vita alla deriva dell’eccesso. Solo in pochissimi casi i due impulsi trovano equilibrio:ciò secondo Nietzsche avviene nella tragedia greca, che egli considera culmine di quel mondo. L’uomogreco presocratico allora rappresenta meglio di ogni altro il superuomo perché è stato in grado diraggiungere la felicità e questa felicità l’ha raggiunta attraverso l’equilibrio tra la sua parte apollinea(eleganza) e quella dionisiaca (ebbrezza).

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91. Socrate e il cristianesimo contro il dionisiaco Con Socrate comincia a prevalere l’Apollineo: ed è proprio Socrate a stabilire il punto di partenzaimmaginario verso l’abbandono completo del dionisiaco. Socrate infatti aveva sostenuto che è bello evirtuoso soltanto ciò che è razionale. Con Socrate si afferma così l’uomo teoretico, il cui supremo interesse èla ricerca della verità. Il fatto è che dall’ottimismo proprio dell’uomo teoretico, alla continua ricerca dellaverità, scaturisce quella che Nietzsche chiama la cultura alessandrina, ossia la cultura della decadenza: essainfatti ha potenziato l’intelligenza umana a scapito della vita. Contro questo ottimismo ingiustificato lungo ilcorso degli anni Schopenhauer e Kant hanno avuto il merito di porre dei limiti alla ragione L’altro colpo nonindifferente lo ha dato il cristianesimo: esso arriva addirittura a condannare il dionisiaco. Si badi bene: eglisi riferisce al cristianesimo, non a Cristo visto come un grande personaggio: sono i cristiani che, volendoassoggettare le masse, piegano Cristo ai loro interessi. Il cristianesimo decreta l’annullamento dellacorporeità verso una prospettiva metafisica a cui Nietzsche non crede. Sarebbe a dire rinunciare ad un sanodivertimento per un obiettivo che nessuno ha mai visto. La morale in cui vive il presente è quella cristiana: ilcristianesimo è visto da Nietzsche più che come una religione, come una forma di dominio: accettare leingiustizie, le sopraffazioni, la non vita per un vita futura. L’obiettivo allora è quello, da parte dellagerarchia ecclesiastica, di assoggettare il “gregge” ossia gli “schiavi”.

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92. Nietzsche, Burckhardt e la storia La storia e la vita: con lo sguardo rivolto alla Grecia arcaica, Nietzsche si sente estraneo dal mondo in cui èstato costretto a vivere per l’evoluzione della “cultura dell’intelligenza” che ha avuto inizio con Socrate. Perquesto motivo si scaglia contro il presente accusandolo di non conoscere la vera cultura. Per questo motivotrova molto vicina la concezione dello storico dell’arte Burckhardt secondo il quale la storia è stata fatta dagrandi individui che sono stati determinanti nel deviare o invertire il corso della storia. In generale il criticod’arte sostiene che lo sviluppo storico sia stato vittima di potenze che si sono scontrate nel passaggio daun’epoca all’altra con la progressiva vittoria di quelle più forti che hanno spazzato via le culture precedenti.È vero però dice Burckhardt che esistono “potenze” ineliminabili, quali lo Stato e la religione, i quali sonostati un fattore soppressivo nei confronti di quei movimenti culturali locali che per la loro poca forza sonosempre stati destinati a soccombere. Nietzsche condivide questa diagnosi negativa della storia e ne accentuala drammaticità assumendo un atteggiamento ancora più polemico nei confronti della società moderna.

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93. Eccesso di storia in Nietzsche Nell’età moderna si è perso ogni legame tra storia e vita: la storia è vista come una scienza disinteressata chesi preoccupa solo della ricostruzione dei fatti passati. In questo modo non c’è più vera cultura: essa non èviva ma è soltanto una forma di sapere riguardante la cultura. Da qui nasce l’abitudine a non prendere piùnulla sul serio e quindi la “personalità indulgente e comoda”. Per eccesso di storia nasce la presunzione chel’epoca presente possegga la giustizia più di ogni altra epoca, poiché è in grado di misurare imparzialmenteil passato, ma in realtà non si fa altro che adattare il passato alle opinioni correnti del presente. Antidoti perquesta malattia storica sono l’arte (che è orza di poter dimenticare) e il sovrastorico cioè la religione che hala potenza di distogliere lo sguardo dal divenire storico verso ciò che è eterno e immutabile.

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94. Definizione di nichilismo in Nietzsche Nichilismo: voleva dire per il filosofo tedesco perdita di tutti i valori nel senso che tutto è stato sacrificatodal cristianesimo con i suoi valori falsi, perché spingono l’uomo a rinunciare ad una metà della sua essenza.Dio è morto dal momento che questo Dio viene concepito come un punitore, quasi che chieda all’uomo disoffrire e di accettare la sofferenza in silenzio, rinnegando in questo modo l’idea pura di Dio nella suatotalità.

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95. "Umano, troppo umano". Scienza, arte e morale in Nietzsche La pubblicazione di Umano, troppo umano (1878) segna una svolta decisiva nella filosofia di Nietzsche Daquesto momento la scienza non è più vista negativamente ma è sostituita dall’arte nel suo ruolo dicostruttrice di vera conoscenza. Essa più che come possibilità di giungere a conoscenze oggettive, nellascienza vede una “forma di atteggiamento metodico”. Quello che Nietzsche vuole dire è che la scienza non èimportante perché pretende di essere una scienza disinteressata alla ricerca della verità, quanto perchè faparte della vita, dell’impulso vitale che spinge l’uomo alla conoscenza, così come la filosofia. Anzi bisognariconoscere che spesso la scienza è passata attraverso gli errori e si è servita di quelli per progredire. Allostesso modo la morale si è costruita a partire da errori inconsapevoli, che la stessa tradizione filosofica nonha mai messo in discussione. Per riuscire a tirar fuori tutti i presupposti sbagliati sui quali la morale si èfondata per secoli bisogna fare un’analisi storica disinteressata, una sorta di genealogia della morale.L’uomo oggi non può essere considerato come unico a se stante, immutabile, ma un essere in divenire, fruttodi uno sviluppo che prosegue verso il futuro. Per questo motivo la morale si è basata prima di tutto supresupposti umani, “troppo umani”. Una filosofia storica è in grado di dimostrare lo sviluppo di un qualcosache oggi sembra assodato e parte integrante dell’uomo, mentre invece è solo il frutto di uno sviluppo storico.Il divenire è di per sé innocente afferma Nietzsche quindi la morale scaturisce da una falsa e spesso ingenuainterpretazione della natura.

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96. Azione e società in Nietzsche Anche l'“io penso” di Cartesio sembra essere un certezza ma è un’illusione: non è possibile che sia io apensare che debba esistere qualcosa che pensi e che pensare sia l’effetto di un essere concepito comepensiero. Per sostenere ciò dovrei già sapere che cosa significa pensare. Tra queste condizioni illusorierientra anche l’errore fondamentale di ritenere che esista una libertà del volere: da ciò scaturisce la credenzanell’esistenza di azioni morali di cui ciascuno sarebbe responsabile. L’azione sarebbe allora strettamentelegata alla conoscenza, ma secondo Nietzsche ciò è continuamente smentito dai fatti. Infatti nell’azioneentrano in gioco tanti fattori che non sono riducibili alla sola conoscenza, che spesso sfuggono a chi lacompie. Questo vuol dire che la causa delle azioni non è da rintracciarsi nella libera volontà del soggetto chele compie ma piuttosto all’interno di quello spirito di conservazione che spinge a procurare piaceri e aevitare dolori. In modo allora è possibile dare un giudizio di valore a proposito della moralità delle azioni?Cioè quando un’azione si può definire moralmente corretta oppure no? La concezione sbagliata che ci portaa giudicare le azioni come moralmente cattive parte sempre da quell’assunto falso che vuole che le nostreazioni siano spinte dalla libertà e che un uomo che infligge del male ad un altro uomo lo fa perché lo vuoleliberamente: è questa concezione che porta con sé anche lo spirito di vendetta da parte di chi subisce untorto. Questo modo di vedere le cose dimostra come l’azione è giudicata buona o cattiva in base all’effettoche essa ha non sull’agente, ma su chi subisce l’azione altrui: ciò determina l’acquisizione di una posizionedi primato degli altri, ossia della società, sul singolo. Ciò vuol dire che la società per imporsi ed imporre unamorale che valga per tutti ha dovuto negare il piacere del singolo in favore di quello comunitario.

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97. Gerarchia, signori e schiavi in Nietzsche È con la società che si forma storicamente anche la gerarchia, fondata sulla distinzione tra i più forti chedominano e i più deboli che sono assoggettati; i signori e gli schiavi. Nietzsche dimostra che basta studiarel’origine del termine “buono” nelle varie lingue per notare che esso è stato originariamente attribuito non achi dimostrava di essere realmente altruista, ma a chi era nobile, potente, ricco e quindi dominatore di unaclasse di individui considerati ignobili, cattivi. Sono stati allora i “buoni” ossia la classe dominante che manmano si è succeduta nel tempo a non permettere a tutti gli altri di perseguire arbitrariamente i propri piaceri.Bene o male è allora tutto ciò che garantisce e rafforza o minaccia e indebolisce il potere del gruppodominante. Ciò che induce i più ad accogliere la gerarchia dei valori imposta dai signori è la paura: con iltempo, anche se quel valore non è condiviso, diventa abitudine che porta ad attribuire valore supremo alsacrificio di sé e all’altruismo. Solo come animale sociale l’uomo sviluppa coscienza di sé, coscienza chenon appartiene all’uomo in quanto individuo: è questo che lo induce a subordinarsi all’utile della società. Èper questo motivo che secondo Nietzsche la civiltà presente è divenuta solo una forma generale diaddomesticamento.

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98. Cristianesimo in Nietzsche. Senso di colpa ebraico e malafede Nietzsche interpreta il cristianesimo come erede del platonismo che aveva costruito l’idea di un mondointelligibile staccato da quello sensibile e lo aveva considerato come sede della verità e della virtù. In questomodo il platonismo aveva anche posto le basi per una morale della rinuncia che il cristianesimo avevaaccolto e potenziato alla luce anche della tradizione ebraica. È dall’ebraismo che nasce la morale delrisentimento, basata sulla negazione da parte dei potenti nei confronti degli ebrei della possibilità di agireliberamente. Gli ebrei sviluppano così dei sentimenti di avversione nei confronti dei potenti; da questisentimenti però nasce il senso di colpa, ossia l’incapacità o meglio la scelta di non scaricare l’aggressionesugli altri, ma su se stessi. Questa sorta di autolesionismo secondo Nietzsche avrebbe le sue origini sullacredenza ebraica e poi sviluppata dal cristianesimo, secondo la quale esista sempre uno scarto e un debito traDio e l’uomo, che l’uomo potrà riscattare soltanto attraverso la sofferenza e la capacità di accettare delleingiustizie. È da qui che nasce il senso di colpa il quale innesca un motore a scoppio che porta l’uomo aindirizzare i suoi istinti verso l’interno, al punto che essi diventano strumenti di autopersecuzione. Nasceallora la malafede: il dovere di fare ciò che in realtà è contrario alla natura umana viene travestito come“amore”, per cui anche se esistono delle azioni che un uomo non compierebbe spontaneamente, quelleazione “devono” essere compiute per amore di Dio (ecco la malafede che in un certo senso potrebbe essereidentificata con l’ipocrisia).

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99. Morale e ideali ascetici in Nietzsche È su queste basi che si giunge a dare valore a tutto ciò che risulta essere altruistico e disinteressato. Sisviluppano in questo modo gli ideali ascetici che non guardano al piacere individuale ma anzi cercano dinegarlo in favore di quello altrui. Il cristianesimo è allora la religione dei sofferenti, che mantiene l’uomo algradino più basso, reprimendo la sua virilità. Esso rappresenta il nichilismo della vita: vita a niente. Secondo Nietzsche il bene comune è una contraddizione in termini, poiché non si può parlare di bene se nonin termini individualistici. Più una società tende a democratizzarsi, più rischia di creare uomini “forti” al suointerno che spesso possono tradursi in tiranni. Nietzsche allora auspica una “sana aristocrazia” che abbia unordine; una società aristocratica dove il rischio non è quello di scadere nella mediocrità, ma saranno imigliori, i più capaci, i più forti a stare al capo della società, mentre i più piccoli seguiranno la loro volontà.

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100. Gaia scienza e nichilismo attivo in Nietzsche Nietzsche auspica allora la costruzione di una civiltà superiore. A questa costruzione provvede quella cheNietzsche chiama gaia scienza, la quale si rivolge a tutti coloro che non si riconoscono nel tempo in cuivivono. Per far ciò bisogna rifiutare anzitutto la morale corrente e porsi al di là del bene e del male. Ma èpossibile distruggere completamente la morale tradizionale per costruirne una completamente nuova?Nietzsche sostiene che se si volesse fare un’operazione del genere si dovrebbero distruggere tutte le veritàche fino a questo momento sono state considerante in maniera erronea come tali; l’amore per la verità spingeallora alla distruzione della verità in modo da rendere l’uomo assolutamente libero di partire da zero. Ciò èpossibile con “ateismo assoluto” non è ha a che fare con la dimostrazione che Dio non esiste, quantopiuttosto con la dimostrazione che la fede si basa su presupposti falsi, così da poter eliminare nell’uomo ilsenso di colpa. In questo modo si apre lo spazio per un nichilismo attivo ossia un processo di annullamentoche porta però ad una rinascita.

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101. Morte di Dio e rinascita del superuomo Secondo Zarathustra (personaggio di una sua opera) Dio è morto. Questa espressione è stata interpretata intanti modi: essa da una parte indica il disprezzo di Nietzsche verso quella tradizione cristiana che loraffigurato come un punitore, un potenza da temere e quindi in questo modo ha sminuito la figura stessa delDio considerato Assoluto e Infinito. Dall’altra parte l’espressione messa in bocca a questo personaggio faquesta vuole sottolineare che “morti tutti gli dei è il superuomo colui che adesso vive”.  Il superuomo  èquell’uomo che può danzare libero senza costrizioni, sensi di colpa, principi morali che lo opprimono. Sitratta dunque di un superamento del tipo di uomo che c’è stato fino a questo momento. Ma Nietzsche citiene a sottolineare che non si tratta di un modello d’uomo bello e confezionato, un modello che gli altriuomini devono seguire. Con  quella espressione egli vuole solo parlare di un uomo “pienamente realizzato insé stesso”, ossia un uomo che svincolato dagli schemi che non gli permettono di essere uomo fino in fondonella sua singolarità, creatività e originalità. Se prima il superuomo era visto come un uomo capace diraggiungere l’equilibrio tra due impulsi vitali (apollineo e dionisiaco), dopo è stato concepito come l’uomopiù potente che sta a capo dell’aristocrazia e comanda sui più deboli e meno capaci, adesso Nietzsche loconcepisce come un “oltre” l’uomo, ossia, che è assolutamente in grado di autodeterminarsi poiché èautosufficiente.

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102. Volontà di potenza come creazione in Nietzsche La volontà di potenza: in uno scritto intitolato Aurora Nietzsche aveva affermato che “il primo effetto dellafelicità è la volontà di potenza”. Alla radice di ogni azione dell’uomo si nasconde sempre una volontà dipotenza. Anche quando si fa del bene ad altri, lo si fa in realtà per mostrare che è vantaggioso per essi (quelliche ricevono il bene) rimanere in nostro potere. È come se alla base dell’uomo vi sia la volontà do possederetutto e quindi di avere potenza. La cosa originale è che questa volontà di potenza non agisce per degli scopiprecisi, non ha finalità egoistiche: agisce solo in quanto energia accumulata che attende di esplicarsi. Essanon va quindi concepita come uno spirito di autoconservazione, o come volontà di vivere. Essa è piuttostoun perenne “sì” detto alla vita, anche nei suoi caratteri più tragici e di dolore. Non sarà la compassione(come voleva Schopenhauer) a confortare e stimolare alla vita un individuo, ma la sua capacità di accettarecoraggiosamente il dolore, sicuro della sua potenza. Egli così non sentirà l’esigenza di aggrapparsi a nessunaentità sovrannaturale. La volontà di potenza vorrà sempre più la sua potenza appunto e tenderà quindi adaccrescersi, portando l’uomo ad andare sempre “oltre”. Il superuomo allora sarà anche il risultato della suaaffermata volontà di potenza. Questo spiega anche che il superuomo non vuole intenzionalmente sovrastaregli altri: la sua crescita sarà frutto dell’evoluzione della sua volontà di potenza. La volontà di potenza èessenzialmente creazione.

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103. Arte apice della creazione in Nietzsche Con la morte di Dio l’uomo diventa libero di creare se stesso in ogni momento. E questo momentoincessantemente creativo è l’arte. La volontà di potenza tuttavia ha un vincolo: non può infrangere il tempo,ma può e deve essere libera da esso, altrimenti non sarebbe più volontà di potenza. Essa dirà a se stesso“Così volli che fosse”. Questa è la conferma del sì totale detto alla vita nelle sue gioie e nei suoi dolori: nonpuò esistere pentimento, non può esistere sbaglio, ma tutto ciò che la volontà di potenza detta nel suoimpulso vitale è così e va fatto perché tale è la sua natura. Nietzsche riprende dunque quel principio dellostoicismo dell’amor fati ossia l’amore per tutto ciò che accade (che sia esso buono o cattivo) per il fattostesso che accade: dunque non voler nulla di diverso da quello che è. È questo principio che soppiantacompletamente la morale della rinuncia in un eterno ritorno dell’uguale.

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104. Bergson e lo spiritualismo Nella prima metà dell’800 parallelamente al positivismo si sviluppa in Francia lo spiritualismo secondo ilquale ogni verità scaturisce dalla coscienza, attraverso il metodo dell’osservazione interiore. La componentespirituale assume allora un valore nettamente superiore all’elemento materiale: di qui l’opposizione dellospiritualismo ad ogni forma di materialismo, naturalismo, empirismo perché tutti pensieri strettamente legatial sapere scientifico. La maggior figura di questa corrente di pensiero è Bergson nato a Parigi nel 1889 emorto nel 1941 sotto i nazisti. Nel 1928 gli fu conferito il premio nobel per la letteratura Scrisse due opere importanti: Saggio sui datiimmediati della coscienza e poco dopo Materia e memoria. Negli ultimi anni i suoi interessi religiosidivennero sempre più forti e si accostò al cattolicesimo, senza tuttavia abbracciarlo ufficialmente persolidarietà nei confronti della comunità ebraica in cui era cresciuto.

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105. Qualità dei dati della coscienza in Bergson Già dalla sua prima opera saggio sui dati immediati della coscienza Bergson prende distanza dalla tendenzaa considerare gli atteggiamenti psichici come oggetto di una misurazione quantitativa. Egli difende invece ilcarattere qualitativo dei dati della coscienza. L’aumento dell’intensità di una gioia ad esempio non consistein una semplice espansione quantitativa, per cui questa gioia è prima racchiusa in piccolo spazio e poi in unosempre maggiore, ma da un aumento qualitativo che dapprima ti fa sentire in uno stato di pace e poi puòsfociare anche una qualità paragonabile ad una calore o una luce. Così anche avviene per i dati cheprovengono dall’esterno: per quanto essi siano dipendenti dal sensibile, vanno interpretati comeatteggiamenti diversi qualitativamente. Un foglio di carta colpito da una luce più o meno intensa daràdiverse percezioni che però non sono quantitative ma qualitative: il foglio di carta sarà percepito comebianchissimo (nel caso in cui la luce è forte) o grigiastro (nel caso in cui sia lieve).

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106. Tempo, durata reale e libertà in Bergson Questa concezione permette a Bergson di sviluppare quella problematica che gli stava a cuore già da tempo:il concetto di tempo. Egli da una parte sposa la concezione di Spencer secondo il quale la natura profondadel tempo è inconoscibile; dall’altra non vuole utilizzare il concetto tradizionale di tempo che lo concepiscein termini spaziali. A questa concezione del tempo Bergson dà il nome di durata reale: il tempo allora non èpiù concepito come una successione di momenti, che in questo caso devono per forza di cose essereconsiderati come spazializzati, ma come stati qualitativi della coscienza in cui un momento èindissolubilmente legato a quello precedente e a quello successivo senza che vi sia soluzione di continuità,ossia non vi siano separazioni tra l’uno e l’altro (così come le note sono singole ma non possiedono alcunsenso se concepite da sole). La coscienza subisce un’evoluzione che la porta non solo  svilupparsibiologicamente, ma essa stessa rappresenta un flusso costante che si risolve in una crescita spirituale chemantiene presenti sempre tutti i diversi momenti per i quali passa. La memoria giunge allora a coinciderecon l’interezza stessa della coscienza e dell’esistenza spirituale dell’io. È attraverso queste considerazioneche Bergson combatte anche il determinismo che impera nella concezione positivistica che vede nellosviluppo dell’individuo solo un processo di causa – effetto. Il tempo spazializzato non smette di avere la suarilevanza ma esso va inserito all’interno del flusso costante della coscienza che risulta quindi un unicum epermette all’uomo di non rinuncia alla libertà. Ogni scelta dell’uomo ricade necessariamente sulle sue sceltesuccessive; ma è vero anche che ogni scelta deve essere concepita all’interno dell’intero intreccio dei datiche la coscienza riceve man mano che si sviluppa. Ogni stato di coscienza nuovo che viene a crearsi non vadunque solo concepito come necessariamente conseguente a quello successivo ma è frutto anche dellaspontaneità e della novità. È in questo continuo “rigenerarsi e crescere” della coscienza che risiede la suacaratteristica più importante: la libertà.

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107. Immagine in Bergson Bergson a questo punto si chiede: quale relazione intercorre tra la coscienza e la materia, tra la coscienzainteriore del soggetto e la realtà corporea con la quale interagisce? Egli giunge ad una conclusione che sta inmezzo tra la concezione idealistica (che considera l’oggetto assolutamente determinato dal soggetto) equella realistica (che considera la realtà sensibile come a sé stante, cioè avente esistenza propria). Bergsonparla di immagini che stanno a metà tra la rappresentazione (idealisti) e la cosa sensibile (realisti).L’immagine è propriamente ciò che la coscienza crea attraverso l’unione tra l’interazione con la realtà e lasintesi, che essa stessa compie, delle rappresentazioni della realtà che l’io psichico costruisce al suo interno.Queste immagini chiaramente non sono accostate a caso ma seguono delle relazioni: queste relazionicoincidono con le leggi della natura (quindi si capisce come Bergson pur essendo uno spiritualista, considerafondamentali le leggi organiche e inorganiche che regolano la materia). Fra le diverse immagini ve ne è unaprivilegiata che sottostà a queste leggi ma che è anche in grado di modificarle a suo piacimento; ed inoltrementre tutte le altre immagini hanno ragione di esistere perché si creano partendo dall’esterno, questaimmagine vive la sua esistenza dall’interno: essa è il corpo.

 

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108. Percezione in Bergson La funzione del corpo è quella di selezionare le altre immagini in base a criteri soggettivi che seguonol’esigenza di soddisfare bisogni propri. In questo modo molte immagini vengono accettate, altre vengonoscartate: è questo il campo della percezione. Essa non può avere un carattere conoscitivo (in sensooggettivo) della realtà perché ognuno selezionerà le proprie immagini in base alla propria coscienza;percepire significa dunque modificare la realtà materiale in base alle esigenze del nostro corpo. Quello a cuivuole arrivare Bergson. è dimostrare che la conoscenza della realtà e la vita interiore di un individuo nonpuò risolversi solo nella sua attività psichica, che pure rappresenta una parte fondamentale della suaesistenza. Prima di tutto bisogna precisare secondo Bergson che la percezione attraverso la quale l’uomoconosce il mondo comporta un riferimento alla memoria: io percepisco in base a emozioni e bisogni che sicollocano anche all’interno delle esperienze passate.

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109. Memoria abitudinaria e memoria pura in Bergson Bergson distingue inoltre due tipi di memoria: la memoria abitudinaria e la memoria pura. Quando compioun’azione meccanica mi servo della memoria abitudine; quando penso invece a diversi momenti della miastoria personale, come ad esempio una serie di emozioni che ho provato nel vedere e rivedere un film, miservo della memoria pura. La memoria abitudinaria ricade esclusivamente nell’ambito dell’organismo; lamemoria pura costituisce la sostanza spirituale della mia coscienza, identificandosi con quella “durata reale”nella quale la coscienza si risolve. Ora nella percezione corporea entrambe le percezioni intervengono.Quella che agisce immediatamente è la memoria abitudinaria che determina le risposte motorie, quindi alivello di reazione fisica, sulla base delle esperienze passate tradotte dall’organismo in meccanismiautomatici. Ma quei meccanismi automatici che derivano da questo tipo di memoria in realtà non sono altroche una selezione di alcuni tra i numerosissimi ricordi contenuti nella memoria pura. Per questo motivo frale due memorie vi è uno strettissimo rapporto di interconnessione. La memoria abitudine sembra essere lapiù immediata, in realtà essa non può sussistere se non fa riferimento alla memoria pura. Allo stesso tempoperò è grazie alla memoria abitudinaria che molti ricordi possono essere recuperati, riportati alla superficie ematerializzati in ricordi-immagine. La memoria abitudine che allora può essere considerata comeespressione dei meccanismi del cervello dipende da quella materia che, coincidente con la durata reale dellacoscienza, è indipendente dalla sfera della materia ed appartiene esclusivamente alle regioni dello spirito. Inquesto modo Bergson vuole dimostrare come sia impossibile ridurre la vita psichica e i processi mentaliall’attività cerebrale.

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110. Intelligenza, intuizione e metafisica in Bergson Abbiamo detto quindi come la durata reale sia l’essenza della sua coscienza, continuo sviluppo in cui idiversi stati coscienziali si fondono l’uno all’altro. Tuttavia osserva Bergson, è per noi difficile cogliere latemporalità della coscienza, perché istintivamente l’uomo spazializza il tempo, lo considera un insieme dimomenti che scorrono idealmente su una linea. Ma perché avviene questo? Bergson allora sostiene cheesistono due modi dell’uomo di approcciarsi ad un oggetto: si può destrutturate nelle sue parti, analizzare ericomporre sinteticamente. Questo procedimento è proprio dell’intelligenza. Ma si può anche coglierequell’oggetto nella sua totalità cercando di penetrarlo fino in fondo. Questa forma di conoscenza èl’intuizione ed è la conoscenza valida. In virtù dell’intuizione si può riscoprire la validità della metafisicaintesa come scienza assoluta del reale. Se gli empiristi o i razionalisti hanno pensato male di considerarlafalsa, è solo perché, se pur per strade diverse, hanno utilizzato le procedure dell’intelligenza e non quelledell’intuizione. La conoscenza che scaturisce dall’intelligenza allora non avrà funzione teoretica (ossiaconoscitiva) ma pratica. L’errore dei positivisti è stato quello di credere che l’intelligenza che detta le leggimetodologiche alla scienza, piuttosto che avere una funzione pratica aveva una funzione teoretica. Lascienza, se pur relativa, non in grado di cogliere la realtà nella sua interezza come fa l’intuizione, ha ilmerito di disciplinare e orientare gli atteggiamenti umani, di prevedere gli avvenimenti futuri. Ora questacontrapposizione intuizione-intelligenza, metafisica-scienza non deve fare pensare che si privilegi un parte adiscapito dell’altra, ma semplicemente vuole esprimere quella concezione di Bergson secondo cui prima dispeculare (filosofare) si deve vivere!

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111. Istinto tra intelligenza e intuizione in Bergson La realtà è attingibile solo attraverso la metafisica (quindi l’intuizione) ma siccome l’uomo deve prima ditutto vivere nella materialità di tutti i giorni, egli tende ad applicare gli schemi del sapere scientifico allaquotidianità. Il ricorso all’intuizione è altresì difficile per l’uomo perché comporta la rinuncia di dueelementi di cui l’uomo riesce difficilmente a fare a meno: la concettualizzazione e il linguaggio. Ma questidue processi implicano necessariamente la spazializzazione e la frammentazione della realtà. Il rapporto traintelligenza e intuizione è sviluppata da Bergson sia nell’Introduzione alla metafisica che nell’Evoluzionecreatrice. Tuttavia se nella prima egli distingue nettamente le due facoltà, nella seconda trova uno strumento“mediatico” che permette all’intelligenza di diventare intuizione: esso è l’istinto. Ora l’intelligenza comeanche l’istinto sono facoltà dirette alla realizzazione di azioni pratiche; con la differenza però che l’istinto èproprio degli animali perché tende a servirsi di strumenti già organizzati, mentre l’intelligenza, propria degliuomini, implica la capacità di costruire strumenti fatti apposta per soccombere le mancanze che l’uomosente in determinate situazioni. Ma l’uomo è in parte anche istinto e questo mix istinto-intelligenza in certicasi permette all’uomo di “razionalizzare” il suo istinto. In questo modo l’istinto acquista la coscienzadell’intelligenza, conservando allo stesso tempo l’immediatezza che l’intelligenza ha perduto: è così chel’istinto diventa intuizione. L’intuizione estetica conferma dimostra questo passaggio.

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112. Evoluzione creatrice in Bergson Nell’Evoluzione creatrice la sua opera più importante egli sviluppa il concetto di durata reale riferendolonon più soltanto alla coscienza, ma alla realtà tutta anche quella materiale. Anche se egli ammette che questo“allargamento” del concetto di durata reale risulta difficile soprattutto per il mondo inorganico, alla fineafferma che anche un fenomeno come lo zucchero che si scioglie nel caffé può essere letto in due modidiversi: quello scientifico (utilizzando come abbiamo visto i processi dell’intelletto) che studia quindi ilmeccanismo di interazione fra sostanze chimiche; e quello intuitivo che risolve quell’evento nell’impazienzadi chi aspetta che lo zucchero sia completamente sciolto così da poter gustare il suo caffé: tale evento saràcosì inglobato all’interno della durata pura della mia coscienza. È chiaro che per il mondo organico ilprincipio della durata reale risulta maggiormente constatabile; innanzitutto un corpo organico tende acrescere e svilupparsi così come fa il flusso della coscienza. Inoltre un essere organico tende allariproduzione e quindi alla sua perpetuazione e sviluppo in un altro essere che non è propriamente quellooriginario ma porta con sé molto della sua origine.

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113. Definizione di slancio vitale in Bergson Per questo motivo Bergson può giungere ad affermare che anche l’universo dura. Alla base di tutto eglisostiene vi è uno slancio vitale che spinge in avanti la materia verso realizzazioni sempre più complesse,materia che si espande in diverse direzioni e con intensità diverse. Ciò spiega l’esistenza del mondo vegetaleseparato da quello animale. Il meccanicismo e il finalismo smettono di avere significato. L’evoluzioneconcepita da Bergson parte dal presupposto che nulla è dato ma tutto è realtà in movimento. Non ci sono dauna parte cose create e dall’altra un loro creatore, ma tutto proviene da una stessa realtà. L’evoluzione èinsieme soggetto e oggetto di se stessa perché segue un  processo che ha un’unica origine e che si realizza inun continuo slancio verso la vita, perciò è evoluzione creatrice. La materia adesso viene allora concepita in maniera diversa: essa non è l’ostacolo pesante con il quale lacoscienza deve fare i conti. La materia diventa il punto di arrivo dello sviluppo di una determinata branca diquesto slancio vitale che esaurendo le sue possibilità di evoluzione, incapace di proseguire ricade su sestessa. In quest’opera allora la materia si riduce ad una manifestazione dello spirito.

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114. Morale e religione in Bergson Nell’opera Le due fonti della morale e della religione Bergson si difende da quelle accuse di monismopanteistico. Qualcuno sosteneva che Bergson avesse sviluppato una sorta di religione in cui Dio, o meglioquesta forza vitale di cui parla, fosse in tutte le cose. Bergson per difendersi inizia col distinguere due tipi dimorale da cui derivano due tipi di società: le società chiuse sono caratterizzate da una certa “obbligazione morale” che non è una norma della ragione efa capo all’abitudine; gli uomini si comportano in un certo modo solo perché lo sviluppo naturale li haportati alle concezioni che hanno della vita e della morale. Le società aperte dove alla base sta la libertà. La morale aperta non è ristretta ad un singolo gruppo ma sirivolge a tutti in un appello a continuare in piena libertà lo slancio creatore. A questa contrapposizione corrisponde la contrapposizione tra religioni statiche => le quali hanno tutte un’unica origine naturale. Queste religioni si presentano come unasoluzione a quelle problematiche che l’evoluzione storica e biologica non ha saputo colmare come ildesiderio di eternità o la lotta all’egoismo religioni dinamiche => che coincide per Bergson con il misticismo. Solo i mistici possono conoscereintuitivamente la profonda natura di Dio che è “amore e oggetto di amore”. Ma l’amore di Dio richiede lacreazione di esseri che possano usufruire dell’amore e amare a loro volta; essere quindi creati e creatori. Lacreazione diventa un’aggiunta di essere degni di amore.

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115. Introduzione allo storicismo contemporaneo Il criticismo kantiano trova in Dilthey un’esponente originale, poiché egli estende queste forme di criticismoa discipline che studiano l’uomo e la realtà sociale nella sua dimensione storica. Questa prospettiva erachiaramente rimasta estranea alla riflessione di Kant. Questa tendenza su suole chiamarla storicismocontemporaneo, all’interno del quale chiaramente rientrano pensatori che spesso giungono a conclusioninettamente divergenti tra loro. Quello tedesco contemporaneo si caratterizza oltre che per il forte aspettometodologico, anche per il conseguente rifiuto di ogni filosofia della storia. L’inizio di questo movimento sifa storicamente risalire al 1883, anno della pubblicazione dell’opera introduzione alle scienze dello spirito diDilthey

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116. Critica della ragione storica di Dilthey Fin dagli scritti giovanili Dilthey si propone di condurre una critica della ragione storica. L’introduzione allescienze dello spirito costituisce il primo tentativo non concluso di raggiungere questo scopo. Qui egli dà uninsieme di criteri per distinguere le scienze della natura e le scienze della cultura. Il primo fondamentaleelemento per distinguerle è per Dilthey l’omogeneità tra soggetto e oggetto della ricerca. Bisogna cioèstabilire se il soggetto che conosce appartiene allo stesso “mondo” che si deve indagare. Nelle scienze dellamatura soggetto e oggetto sono distinti: nelle scienze della storia e della società essi si presentanoindissolubilmente connessi. La prima differenza sostanziale allora si riscontra nel fatto che la natura è ilmondo della necessità meccanica, esprimibile in forma di leggi. La storia è invece il dominio della libertà,anche se si tratta di una libertà condizionata dal fatto che l’uomo appartiene anch’esso al mondo dellanatura. A questa differenza di oggetto tra natura e spirito (in questo caso più precisamente storia) siaggiunge anche la distinzione tra esperienza interna ed esperienza esterna. I processi naturali possono essereconosciuto solo attraverso il ricorso alla percezione di dati empirici provenienti dall’esterno; i processistorico-sociali sono comprensibili solo dall’interno, dal rapporto diretto con il mondo umano che è lo stessomondo di colui che intende studiarlo. Si tratta dunque di un’esperienza immediata che si sviluppa nella vitainteriore e spirituale di un individuo. Questa esperienza Dilthey la chiama esperienza vissuta. Le scienzenaturali si propongono di dare una spiegazione causale dei fenomeni, mentre le scienze dello spirito miranoa una comprensione. In quel periodo la tesi più accreditata sostiene che il metodo delle s. dello spirito èquello causale, ossia un procedimento che vuole risalire alle cause partendo dagli effetti. Dilthey vuoledimostrare che il metodo non è quello causale ma il metodo della comprensione. Questa concezione da unpunto di vista gnoseologico ha conseguenze importanti: lo sguardo dello studioso non sarà maicompletamente distaccato da ciò che studia, ossia se stesso. All’interno dei due gruppi di scienze allora leproblematiche sono sostanzialmente diverse: se nelle scienze della natura è possibile utilizzare il metodocausale, in quelle dello spirito fondamentale è l’immedesimazione. Lo storico allora deve penetrarenell’orizzonte storico che studia. E dal momento che l’uomo è corpo e anima, perché si possa avere unaconoscenza esaustiva di esso si devono unire i risultati ottenuti dalle scienze della natura e dalle scienzedella cultura.

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117. Critica storica della ragione in Dilthey Negli scritti successivi egli tiene ben presenti le distinzioni che ha fatto nell’opera sopra citata ma ritiene diaver individuato il fondamento della validità delle scienze dello spirito nel nesso tra divenire della vita,espressione e comprensione. La conoscenza del mondo umano non è più data dall’introspezione, ma puòessere raggiunta solo attraverso la considerazione dei prodotti storici in cui esso si esprime. Lacomprensione si configura dunque come un riferimento retrospettivo al divenire della vita: l’individuo, lecomunità e le opere in cui si sono manifestati la vita e lo spirito dell’uomo. Accanto a quelle di vita e spiritol’altra nozione fondamentale per caratterizzare la struttura del mondo storico è quella di connessionedinamica. Con questa espressione Dilthey si riferisce al fatto che il mondo storico si presenta come unaconnessione generale che al suo interno comprende altre connessioni di aspetti particolari. In questo modo èdifficile secondo Dilthey giungere ad un sapere assoluto, poiché ogni connessione particolare è di per sé unmondo a sé stante e trova la sua ragion d’essere proprio nella sua particolarità. Ma soprattutto Dilthey nonvuole sottolineare il relativismo che sta dietro alle scienze dello spirito, quanto il suo carattere parziale,inteso come finito; in questo senso le scienze dello spirito non dovranno avere la presunzione di possedereuna conoscenza esaustiva. La liberazione della pretesa di un senso oggettivo dello sviluppo storicocostituisce l’ultimo passo verso la liberazione dell’uomo.

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118. "Idee per una psicologia analitica" di Dilthey In un’opera successiva Idee per una psicologia analitica Dilthey chiarito il rapporto natura cultura, sipreoccupa di come uno studioso, una volta immedesimatosi nel contesto storico che studia, possacomunicare “l’esperienza vissuta”. Come può far passare la comprensione dal piano oggettivo a quellosoggettivo; propone allora di ricorrere alla psicologia. Egli fa un tentativo disperato di scomporre lacoscienza umana in diverse parti per poi poterle studiare separatamente una per una. È un tentativo chefallisce. In una delle sue ultime opere La dottrina delle visioni del mondo fallito questo tentativo affronta ilproblema in modo diverso; egli concentra l’attenzione non più su ciò che appartiene all’interiorità dell’uomoma alle sue creazioni, a ciò che il suo spirito gli permette di creare: la filosofia, l’arte, la religione… questeoggettivazioni dello spirito le chiama visioni del mondo. Egli allora studia da un punto di vista storico lafilosofia. Partendo dai sistemi filosofici presocratici egli si accorge che in effetti tutti i sistemi di pensieroche si sono susseguiti hanno tratti in comune. Scopre inoltre che esiste un’altra forma di filosofia che siripete nel tempo: è l’idealismo della libertà ossia un sistema basato soprattutto sullo spirito. Arriva  questasoluzione studiando la filosofia attraverso la comprensione storica. È vero anche però che i risultati ai qualisi giunge sono sempre provvisori, parziali, mai definitivi. È per questo motivo che egli critica i sistemihegeliani che avevano la presunzione di considerarsi il punto di arrivo di un percorso filosofico duratosecoli. È per questo motivo che Dilthey si guarda bene dal costruire un sistema filosofico definitivo.

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119. Intuizione del mondo per cogliere la vita in Dilthey Di conseguenza la storia non ci insegna verità, ma forse solo parti di verità: il rischio è quello ancora unavolta di cadere nello scetticismo e nel relativismo. Egli in realtà non finisce in questa trappola: egli spiega ilfatto che i sistemi filosofici si contraddicano tra loro affermando la loro “parziale verità” e non la loroassoluta inconsistenza. È per questo motivo che la filosofia deve avere come obiettivo la “comprensionedella vita”; l’errore dei diversi filosofi è stato quello di pretendere di avere in pugno l’idea dell’Uno, dellatotalità della realtà. Le contraddizioni allora, se colte in un’ottica diversa, possono condurci ad una maggiorecomprensione e costruzione della verità. Il motivo per il quale le varie filosofie finiscono per ripetersi (inparticolare egli identifica tre sistemi che si susseguono ciclicamente) è dato dal fatto che tutte derivano dallamedesima struttura psichica dell’uomo: esiste infatti un nucleo essenziale comune a tutti gli uomini. L’uomointero è un insieme di rappresentare (logica, l’intelletto) sentire (sentimento) volere (volontà). Il soggettokantiano puro, solo rappresentativo è una pura astrazione: soggetto e oggetto non sono separati: uomo emondo (sul piano della vita) vengono prima di soggetto e oggetto (sul piano della conoscenza). Lostoricismo di Dilthey è da lui stesso definito problematico (che è il contrario di sistematico) ossia non creaun sistema. Egli non è quindi un dogmatico ma non è nemmeno un relativista. Per una conoscenza globale,la vita va colta -  dice nella sua ultima opera I tipi di intuizione del mondo – attraverso un’intuizione delmondo che non è semplicemente una forma di conoscenza ma un insieme di valori, di scopi di norme: essa èuna atteggiamento di fronte alla vita.

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120. Introduzione al pragmatismo Il pragmatismo costituisce il più originale contributo americano alla filosofia contemporanea. Essorappresenta una filiazione dell’empirismo nel senso che pone l’esperienza alla base di ogni conoscenzaumana. Il concetto di esperienza all’interno del pragmatismo è molto più elastico di quello che si riscontraall’interno dell’empirismo. L’esperienza infatti non è un dato passivo rispetto al quale l’uomo può esseresoltanto recettivo, ma comporta immediatamente una risposta attiva dell’uomo. Essa non è pertantocostituita da singole percezioni isolate, ma è data anche dalla relazione tra le cose. Si possono esperire nonsolo singoli oggetti specifici, ma anche situazioni complesse, nelle quali l’esperienza può anche essere datadalla mancanza anziché dalla presenza dell’oggetto. Sulla base di questi presupposti l’assunto fondamentaledel pragmatismo è che il significato di un termine o una proposizione non è dato da una definizioneessenziale, ma dalle conseguenze pratiche che ci si attende da essi.

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121. Pragmatismo di Dewey Il pragmatismo in Dewey assume una configurazione particolare. La prima formazione di Dewey è di tiponeo-hegeliano. Per quanto egli abbia successivamente superato la fase idealistica, di Hegel rimase sempre laconcezione che la realtà è una totalità rispetto alla quale le singole parti sono elementi costitutivi, nonindividualità indipendenti. Ma in seguita alla conoscenza dell’evoluzionismo darwiniano, egli concepisce latotalità non come spirito, bensì come natura, ossia come il risultato del continuo interagire tra il singoloorganismo e l’ambiente in cui esso vive. La filosofia non è più uno strumento conoscitivo teso alla scopertadell’Uno ma anzi deve essere strumento che deve rendere consapevole l’uomo dell’incessante conflittualitàe disordine che emergono tra individuo e ambiente. Per questo il suo pragmatismo si traduce instrumentalismo naturalistico.

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122. Esperienza, organismo e ambiente in Dewey Anche per Dewey il punto di partenza è l’esperienza, ma egli non riduce l’esperienza al concetto chel’empirismo aveva sviluppato e che la filosofia aveva tradizionalmente accettato. L’esperienza per Dewey sicolloca nell’ambito dell’azione pratica. L’esperienza è data infatti dall’interazione tra l’organismo el’ambiente dove entrambi hanno parte attiva e non solo il soggetto nei confronti dell’oggetto o viceversa.L’esperienza non è registrazione di dati che una volta percepiti sono passati ma una risposta proiettata versoil futuro. Inoltra se l’esperienza tende a percepire i dati come uno separato dall’altro, l’esperienzapragmatistica coglie le relazioni tra le cose (compresa la relazione tra chi esperisce e ciò che è esperito).L’esperienza inoltre non è sempre armonica poiché sia le cose tra loro che un soggetto nei confronti di essenon interagiscono tra loro allo stesso modo: questo spiega le diverse reazioni di fronte ad esempio un temacome quello della morte che possono passare dal rifugio in una religione ad un’assicurazione sulla vita. L’esperienza è precedente ad ogni intellettualizzazione. L’empirismo tradizionale ha sbagliato ritenendo chel’esperienza mi dia la sensazione del blu. Quella sensazione è già una conseguenza della mia successivariflessione sull’esperienza (il fatto non so che stia “guardando” un cartellone blu, o che stia “utilizzando”una penna blu). Ma allo stesso tempo questa riflessione sull’esperienza non coincide ancora con laconoscenza, poiché non è ancora riflessione consapevole sull’esperienza: la conoscenza si ha solo nelmomento in cui io “problematizzo” l’esperienza ossia potremmo dire “prendo sul serio” un datodell’esperienza. Se cioè per esempio ho intenzione di scrivere una lettera uso la penna blu, oppure vogliosottolineare una parola in rosso e sbagliando prendo la penna blu; solo in questo caso porto il fatto allacoscienza e ne faccio un problema, solo in questo modo non ho più soltanto esperienza maconcettualizzazione, inizio di conoscenza.

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123. Logica strumentale in Dewey Il problema della conoscenza viene trattato da Dewey nella forma più completa in Logica, teoriadell’indagine. Egli sostiene che logica sia intesa come teoria del giudizio concependo il giudizio non solocome un’operazione mentale, bensì come un processo concreto attraverso cui qualcuno giudica qualcosa peroperare una manipolazione dell’esperienza. Per questo Dewey definisce la conoscenza come un’attivitàpratica coronata da successo. Egli non accetta assolutamente quella che egli chiama “la teoria dellaconoscenza come spettacolo”, ossia quella dottrina che concepisce la conoscenza come pura contemplazionedi un oggetto. Per questo egli preferisce sostituirla con una teoria dell’indagine per cui da una situazioneindeterminata si passa ad una situazione determinata. Per situazione indeterminata Dewey intende unasituazione esistenziale in cui alcuni fattori entrano in conflitto con gli interessi e le esigenze dell’individuoche opera in tale situazione. Quando tali elementi vengono conosciuti e quindi trasformati (attraverso laproblematizzazione di tali elementi) si stabilisce una situazione determinata.

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124. Stadi della teoria dell'indagine in Dewey Ma esistono alcuni passaggi intermedi tra le due situazione. Infatti prima che la situazione si determini passaad essere una situazione problematica. Una volta definita questa situazione l’individuo deve formulareun’idea, intesa come una previsione generica sul tipo di soluzione che si intende dare. Ma tale idea forniscesolo un suggerimento vago, ma non consente ancora il passaggio all’azione pratica. Per risolver intanto lavaghezza dell’idea si deve utilizzare il ragionamento che formalizza l’idea traducendola in un linguaggiosimbolico. Tale formalizzazione può avvenire attraverso il senso comune oppure attraverso il linguaggiodella scienza. Sarà soltanto attraverso l’esperimento che si tradurranno le fasi precedenti di ricerca in azionepratica. Bisogna però notare dice Dewey che sia l’idea che il ragionamento hanno in sé carattere operativopoiché non consistono in una mera analisi teorica, ma implicano anche delle scelte che indirizzano. Ancorauna volta allora pensare e agire sono facce di una stessa medaglia, dunque non sono separati ma sicompenetrano. Se l’esperimento ha esito positivo si giunge ad un giudizio finale e quindi ad una scelta cheporta all’azione concreta. Con il giudizio la conoscenza è acquisita e l’analisi terminata. Le proposizione cheutilizziamo durante l’indagine non sono da considerarsi né vere né false, ma soltanto come strumenti che ciaiutano a chiarire l’idea e a verificarla poi sperimentalmente.

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125. Strumentalismo di Dewey e intelligenza consapevole Quindi l’intero apparato della logica non da conoscenza immediata ma è puramente strumentale. Per questomotivo Dewey stesso definisce il suo pensiero strumentalismo. Dewey inoltre, accogliendo in questo casouna concezione di Pierce, sostiene il principio del fallibilismo secondo cui i risultati di un’indaginescientifica saranno definitivi solo quando non interverranno altri giudizi a dimostrarne la falsità. I giudizisono verità stabilite solo nella misura in cui in un determinato momento non ne esistono altri che liconfutano (e non perché sono incorreggibili). Da questa teoria dell’indagine Dewey tira fuori anche unanuova concezione di filosofia: la filosofia non è come per anni si è creduto quello strumento in grado di faremergere l’armonia e l’ordine del mondo, ma il contrario. La filosofia è quello strumento attraverso il qualel’uomo prende consapevolezza della problematicità e della complessità delle situazione, ed inoltre graziealla filosofia è in grado di rendere tale realtà più omogenea, trasformandola in base alle proprie esigenze. Lafilosofia è l’intelligenza diventata consapevole della propria natura e dei propri metodi; per questo motivoessa si traduce in operosità.

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126. Soggetto e oggetto in Dewey Uomo e natura: è chiaro dunque che oggetto e soggetto non sono due realtà che possono essere scisse.Questo perché un soggetto che opera all’interno di un ambiente non è mai separato da esso. Per soggetto siintende in particolare “quell’organismo che diventa conoscente in virtù del suo impegno in operazioni diricerca controllata”; mentre per oggetto si intende quella parte di esperienza che il soggetto considera uninsieme di elementi permanentemente definiti come una realtà separata da esso (ecco cosa si intende per“ricerca controllata”, la selezione da parte del soggetto di ciò che può essere oggetto della sua indagine,ossia di ciò che è separato da sé). Naturalmente le funzione del soggetto e dell’oggetto sono interdipendenti:non esiste oggetto se non c’è un soggetto che lo indaga e non esiste soggetto se non c’è un oggetto daindagare.

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127. Concezione di coscienza in Dewey A proposito del rapporto mente – corpo Dewey sostiene che non esiste dualismo tra loro, ma l’uomo èun’unità psico-fisica. Essi rappresentano ancora una volta due funzioni dello stesso organismo. Stessodiscorso vale per la coscienza: essa non è come per i realisti qualcosa di indipendente rispetto alla realtà enon è nemmeno, come volevano gli idealisti, qualcosa che racchiude in sé tutta la realtà e la riduce a sestessa. Per Dewey la coscienza è il momento in cui l’esperienza rivela la sua dimensione problematica: secammino semplicemente per strada sto interagendo con l’ambiente circostante; ma se per strada incontrodelle pozzanghere prendo coscienza del mio camminare perché l’ambiente mi sottopone ad una situazioneproblematica che mi porta non semplicemente ad interagire con l’ambiente, ma anche a trasformarlo ocorreggerlo (dovrò correggere continuamente la direzione dei miei passi per non sprofondare in una diquelle pozzanghere). Dunque la coscienza non ha valore ontologico ma ha una funzione relativaall’esperienza. Per finire anche l’io assume un significato particolare all’interno di questa concezione: ancheper l’io non esiste alcuna valenza ontologica; esso non è concepito come sede ontologica e psichica dellaspecifica individualità dell’individuo. Dewey sostiene che nella stragrande maggioranza delle esperienzel’uomo si comporta esattamente come si comporta tutto il gruppo all’interno del quale vive. A questosistema di comportamenti Dewey dà il nome di “spirito” chiamando come Hegel “spirito del popolo”l’insieme degli aspetti che determina il comportamento di un ambiente. Soltanto quando un singolo riesce adandare oltre lo spirito del popolo si può parlare di io. Si parla allora di io solo quando l’individuo esercita lasua funzione creativa.

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128. Teoria della valutazione in Dewey La sua concezione “monastica” (cioè che non fa riferimento come abbiamo visto a principi nettamentecontrapposti) condiziona anche la sua concezione della morale. Per Dewey è impossibile distinguererazionalità e istinto. La stessa volontà è in stretta relazione con l’ambiente con il quale l’individuointeragisce: essa è piuttosto legata all’abitudine. La libertà non coincide con il libero arbitrio ma è data daglispazi di novità, di originalità di cui un individuo è capace all’interno del suo ambiente. In che cosa consisteil valore che permette di giudicare un’azione buona o cattiva? A questa domanda Dewey risponde con la suateoria della valutazione. Egli inizia col dire che i valori non sono dei principi in sé, ma nascono daun’esigenza insoddisfatta dunque strettamente legata all’esperienza. Come conseguenza diretta a ciò è ilfatto che è indispensabile, affinché si soddisfi un’esigenza, l’esame del rapporto tra mezzi e fini. Bisogneràcioè indagare quali strumenti servono per raggiungere la soddisfazione dell’esigenza.

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129. Rapporto tra mezzi e fini in Dewey In questo senso non esistono dei valori che debbano essere acquisiti a ogni costo, ma qualsiasi valore puòessere rifiutato nel momento in cui la sua realizzazione rende sproporzionato il rapporto mezzi-fini. Anchein questa cosa c’è forte interdipendenza tra mezzi e fini così che il mezzo non è inteso come qualcosa diestrinseco al fine ma una parte frazionaria di esso cioè una sua parziale realizzazione. Allo stesso modo èattraverso la consapevolezza del fine da raggiungere che vengono stabiliti i mezzi per perseguirlo. In questosenso se compio un lavoro che mi piace il mio lavoro non sarà svolto per un fine ben preciso (guadagnarmida vivere) ma sarà esso stesso un fine in quanto gratificante di per sé. Queste considerazioni hanno unriscontro importante nell’arte. Un’opera d’arte non rappresenta soltanto il fine dell’artista ma è anche unmezzo per esprimere attraverso gli strumenti che utilizza la sua creatività; allo stesso tempo gli strumentiche utilizza non hanno un fine esterno a sé (come un martello che batte su un chiodo per fissarlo) ma vivonoin relazione all’opera d’arte intesa come forma finale dell’insieme degli strumenti utilizzati. Questa teoria ha infine un’altra conseguenza a livello gnoseologico: a differenza di quello che ineopositivisti avevano sostenuto (e cioè che i giudizi di valore non hanno alcuna valenza conoscitiva perchénon partono dall’esperienza) D. sostiene che le proposizioni valutative possono essere ricondotte aragionamenti ipotetici che pongono un problema (“se” usi questo strumento “allora” avrai questi fini) che èsuscettibile comunque di verifica empirica.

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130. Democrazia e liberalismo radicale in Dewey In ambito politico Dewey fu uno strenuo difensore della democrazia considerata la più coerente traduzionepolitica della libertà legata all’esperienza (e quindi alla società). È nella democrazia che ognuno con leproprie forze collabora al benessere della totalità nella piena libertà. Il fatto però è che in effetti nelledemocrazie esistenti (quella americana tra tutte) non sempre l’interazione tra individuo e società si èsviluppata in modo equilibrato. Questo secondo Dewey è dovuto alla convinzione del liberalismo classico,secondo il quale accanto alla difesa del liberalismo (ossia la libertà degli individui politici) stia semprequella del liberismo (ossia la libertà in ambito economico). In questo modo è stata possibile la spaccatura traquei gruppi sociali più elevati che dal contributo che danno alla società hanno tratto maggiori vantaggio,mentre i gruppi di rango inferiore hanno finito per lavorare a vantaggio di pochi. Dewey propone invece unliberalismo radicale che si faccia realmente difensore della libertà e uguaglianza tra gli individui, ancheattraverso l’intervento dello Stato senza cadere obbligatoriamente in forme di socialismo o comunismo.

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131. Pedagogia e religione in Dewey Alla democrazia è strettamente legata la pedagogia che ebbe gran successo negli USA e non solo: secondoDewey una buona educazione dei bambini è l’unico vero strumento potente per una onesta democrazia. Mainoltre la pedagogia di Dewey è tutta legata alla sua filosofia: il suo principio fondamentale è impararefacendo. È attraverso l’esperienza che il bambino impara; è attraverso la situazione problematica che ilbambino è stimolato a trovare delle soluzioni attivando i suoi processi cognitivi, è attraverso l’attenzione alfine che il bambino è in gradi di costruire strumenti che siano atti a raggiungerlo. Infine a proposito della religione è chiaro che, a causa del suo naturalismo monistico, Dewey non fa alcunriferimento ad un ente trascendentale; e allo stesso tempo non accetta la concezione di un essere superioreche si risolva nella finitezza della natura. Per questo egli parla di religiosità quello stato d’animo che si creanel momento in cui l’individuo, interagendo con l’ambiente, partecipa di un senso di pienezza e di armoniacon la società nella quale vive.

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132. Vita di Benedetto Croce Nato a Napoli e trasferitosi a Roma si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, ma preferì seguire i corsi difilosofia tenuti da Antonio Labriola, rinunciando così a laurearsi. Stimolato dal professore si diede allostudio del marxismo. Nel frattempo strinse amicizia con Gentile, anch’egli impegnato nello studio delmarxismo e il quale divenne il maggior collaboratore alla rivista “La critica”, fondata per propugnare larinascita dell’idealismo. Nel 1910 divenne senatore e poi Ministro della pubblica istruzione nel governopresieduto da Giolitti. Di fronte all’avvento del fascismo assunse un atteggiamento di neutralità credendoche tale movimento “patriottico giovanile” si sarebbe spento presto. Dopo il delitto Matteotti divennenettamente antifascista, in difesa della libertà, rompendo definitivamente i rapporti di amicizia con Gentile.

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133. "La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte" di Croce Il primo scritto teorico di Croce La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte ha come presuppostopolemico quello di contrastare la tesi di stampo positivistico secondo la quale la storia è una scienza e devequindi comportarsi come tale. Per Croce la storia non può essere scienza poiché la scienza ha per oggettol’universale, ossia l’astratto, mentre la storia come l’arte riguarda il concreto, l’individuale ed assume quindila forma di narrazione di ciò che è accaduto senza presupporre un disegno prestabilito e provvidenziale delcorso storico.

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134. "Materialismo storico ed economia marxista" di Croce Se con questa concezione egli si distacca da Hegel, nell’altro volume Materialismo storico ed economiamarxista egli si distacca anche da Labriola, colui che lo aveva spinto allo studio del marxismo. Croce nonaccetta infatti che il materialismo storico sia considerato un canone di interpretazione storica. Il Capitale diMarx non può essere considerato secondo Croce né una descrizione storica né un trattato di economia. Dalpunto di vista economico esso contiene degli errori (ad esempio a proposito del plusvalore che si fa derivareesclusivamente dal pluslavoro, senza considerare il rapporto che si instaura tra il bisogno di quella merce ela scarsità della stessa che inevitabilmente fa alzare il suo valore). Ma dall’altra parte quella del Capitale nonè neppure una ricerca storica, bensì una costruzione ipotetica ed astratta di carattere sociologico ecomparativo. Da un sistema così generale secondo Croce è impossibile dedurre un programma socialemarxistico. Per questo motivo il marxismo, per essere realmente concreto, il marxismo doveva non solopoggiare su un presupposto morale ma anche essere accompagnato dalla persuasione e dal sentimento. Nel1917 Croce considererà benefiche le discussioni sul marxismo avvenute in Italia fra il 1890 e il 1900, il cuimerito consisteva nell’aver ridato nuova vita alla storiografia e all’indagine filosofica. Grazie al marxismoinfatti egli aveva riscoperto un Hegel calato nella concretezza della storia anziché teologo e metafisico. Edinoltre aveva riconosciuto l’importanza della lotta e della forza nelle vicende storiche e politiche, inopposizione alle vuote astrazioni del diritto naturale e degli ideali democratici.

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135. Quattro forme dello spirito in Croce Le forme dello spirito e l’arte: Croce elaborò a partire dal 1900 un vero e proprio sistema denominatofilosofia dello spirito. Per spirito non si deve intendere un’entità trascendente, ma l’attività spirituale umananella sua universalità. Già nell’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, Croceformulava la teoria delle “quattro forme dello spirito” ossia dei modi in cui lo spirito opera. La primadistinzione da fare è tra attività teoretica e attività pratica dello spirito. L’attività teoretica si distingue inestetica (ossia conoscenza dell’individuale) e logica (conoscenza dell’universale). L’attività pratica invece ineconomia (ossia l’atto di volontà che riguarda l’utile) ed etica (ossia l’atto di volontà che porta al benecomune).

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136. Arte e estetica in Croce ESTETICA: oggetto di essa è l’arte che Croce considera una forma di conoscenza. Bisogna capire di chetipo di conoscenza si tratta. Essa innanzitutto non è conoscenza dell’universale la quale è propriadell’intelletto e fa riferimento ai concetti. L’arte non ha bisogno di concetti per esprimersi dunque èconoscenza intuitiva. È vero però che essa non è neanche sensazione di un fatto particolare e concreto. Perl’arte è irrilevante il fatto che essa esprima con immagini cose reali o irreali. L’arte è in sé espressione: lospirito non intuisce se non facendo, formando, esprimendo. Nell’atto estetico, l’attività espressiva dà formaal materiale offerto dalle sensazioni: l’arte è dunque forma e non può essere ridotta all’imitazione passiva oalla riproduzione di una realtà naturale esterna. L’attività espressiva è quindi puramente interiore. Per questomotivo perdono di senso tutte le distinzioni tra le varie forme d’arte e la disputa a proposito di quale siaquella da considerare la più “alta”. Il bello non è da confondersi con il piacevole o con determinazionipsicologiche in generale, ma bello è il valore dell’espressione, ossia coincide con l’espressione riuscita.Un’espressione riuscita potrà essere considerata tale dice Croce soltanto ripercorrendo e rivivendointeriormente il processo spirituale dell’artista.

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137. "Breviario di estetica" e "La poesia" In seguito Croce tornò a riflettere sul fenomeno artistico in Breviario di estetica o in La poesia. Egli insistesul fatto che l’intuizione artistica ha un carattere lirico perché è strettamente legata al sentimento. Tuttavia,ribadisce, non si tratta di un’espressione sentimentale  immediata del particolare, bensì un’espressione cheplaca e trasfigura il sentimento, unendo insieme il particolare e l’universale. Perciò egli rifiuta ogniconcezione romantica dell’arte che vede in essa un’espressione potente delle passioni, bensì consideral’espressione artistica uno strumento di catarsi. Croce distingue altre forme di espressione che egli chiamaletteratura; la letteratura è distinta dalla poesia poiché quest’ultima risulta essere un tipo di espressione piùriuscita. Non esiste secondo Croce di per sé il brutto ma esiste ciò che espressivamente è meno riuscitopoiché ha a che fare con i fini pratici per i quali esso viene realizzato. È per questo motivo che l’arte èassolutamente autonoma e distaccata da tutte quelle altre forme espressive a sfondo pedagogico o morale.L’arte è fine a se stessa e non possono esserle affidati compiti educativi o politici. Anche se l’arte esprime alsuo interno qualcosa di riprovevole, non si deve assolutamente considerarla moralmente riprovevole perchéessa assume significato in se stessa e non ha per fine l’utile.

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138. Logica e concetto in Croce L’arte in quanto conoscenza dell’individuale (intuitiva) va distinta dalla conoscenza per concetti ossia dallaconoscenza dell’universale. Alla trattazione di questa problematica Croce dedicò La logica come scienza delconcetto puro. Croce parte con il sostenere che la conoscenza per concetti non può prescindere dallaconoscenza estetica che coglie il molteplice nella sua individualità. Tale conoscenza per concetti però vaoltre quella estetica perché vuole cogliere ciò che è universale nel particolare, l’unità nella molteplicità,ossia il concetto. Il concetto di bellezza, per esempio, in quanto universale è staccato dalle singolerappresentazione di bellezza concrete, ma al tempo stesso dipende da esse, per cui il concetto di bellezze nonesiste in un altro ipotetico mondo delle idee ma va concepito come un universale concreto. Rispetto aiconcetti Croce distingue quelli che sono gli pseudoconcetti: esistono pseudoconcetti empirici (come “casa”che è un concetto che ha riscontro nella realtà ma è falso perché non ha universalità dal momento che non dasempre è esistito); ed esistono pseudoconcetti astratti (come “triangolo” che è universale ma non esiste nellarealtà). Essi non sono errori ma svolgono la loro funzione di chiarificazione dei concetti veri e appartengonocmq all’attività teoretica e conoscitiva dello spirito.

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139. Scienze naturali e scienze matematiche in Croce Le scienze naturali secondo Croce incluse la sociologia e la psicologia sono edifici di pseudoconcettiempirici: le leggi che esse costruiscono sono utili ma arbitrarie, in quanto presuppongono come fissoqualcosa che è mobile. Le scienze matematiche sono invece edifici di pseudoconcetti astratti poiché partono da principi astratti,privi di alcuna rappresentazione e verità, assunti arbitrariamente come ipotesi comode; esse sono soltantoutili per il conteggio e il calcolo. Croce insiste allora sul carattere convenzionale pratico ed economico dellescienze, così che è impossibile ammettere una scienza matematica della natura. Le scienze smettono così diessere il modello per eccellenza della conoscenza. In posizione di primato può allora tornare a collocarsi lafilosofia che ha ora per Croce il suo punto di riferimento nella storia.

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140. Giudizio individuale e universale in Croce Il pensar consiste principalmente nel pensare concetti, e ciò significa propriamente connettere e distinguerefra loro i concetti. Ciò avviene secondo Croce attraverso il giudizio il quale può essere un giudizioindividuale (in cui il soggetto è individuale e il predicato universale come ad esempio “Quest’opera d’arte èbella”) o un giudizio universale o definizione (nella quale soggetto e predicato sono entrambi universali:“L’arte è intuizione”). In quest’ultimo si esprime l’universale concreto che è sintesi d’individualità euniversalità: essa è l’idea ossia il concetto puro. In questo senso la filosofia è essenzialmente idealismo(ossia sistema di concetti puri). Quando si pensa un concetto dunque, in realtà si pensa alla relazione cheesso ha con tutti gli altri concetti, relazione che può essere di unità o di distinzione rispetto a tutti glia altri.

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141. Identità tra filosofia e storia in Croce Ma il concetto puro ha sempre a che fare con il giudizio individuale, poiché non esiste concetto se nonattraverso il riferimento ad una realtà di fatto, ossia ad un fatto storico. Per questo motivo ogni giudizioindividuale (attraverso il quale un concetto puro si esprime) è un giudizio storico: è da qui che scaturisce lafamosa tesi crociana dell’identità tra filosofia e storia. Croce è per una storia che è sintesi dell’elementointuitivo e dell’elemento logico. Egli rifiuta la concezione della storia che smarrisce l’individuale in favoredell’universale; m allo stesso tempo si rende conto che non si può fare a meno dell’universale soprattuttonell’utilizzo di concetto come Stato o guerra e così via. Richiamandosi a Vico egli adesso sostiene che sipuò conoscere solo ciò che è stato fatto: quindi la storia coincide con la conoscenza tout court. La filosofiain quanto conoscenza della realtà coincide con la storia in quanto la realtà è storia, sicché ogni filosofia èstoricamente condizionata e muta storicamente: non esiste perciò una metafisica.

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142. "Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel" di

Croce In Hegel Croce ravvisa una filosofia antimetafisica e antiteologica che ha concepito se stessa comecomprensione esaustiva e razionale di tutte le attività dell’uomo, compresa quella dello spirito. L’errore diHegel però secondo Croce è stato quello di adottare una dialettica degli opposti senza considerare che esisteuna dialettica dei distinti, per spiegare le varie attività dello spirito nel suo sviluppo. Attraverso la negazioneHegel passava da un grado all’altro implicando che il precedente venisse superato e quindi eliminato. Maindebitamente egli nella sua dialettica ha opposto anche il bello al vero arrivando così a parlare di mortedell’arte. Ma bello è vero non stanno nello stesso rapporto in cui stanno bello e brutto o vero e falso: essisono allora distinti non opposti. Lo spirito allora passa dall’una all’altra forma svolgendosi e arricchendosi,senza che ciò conduca all’annullamento delle forme stesse (e quindi nel caso di Hegel all’annullamentoprima dell’arte, poi della religione per giungere alla filosofia). In ciò consiste allora la critica al panlogismohegeliano, ossia la pretesa di sostituire il pensiero filosofico a tutte le altre attività e processi dello spirito chedevono essere salvaguardati nella loro distinzione e connessione reciproca. Lo spirito secondo Croce passatra le varie forme per una necessità intrinseca alla sua natura che è di essere insieme teoria e prassi, filosofiae arte. L’unità nella distinzione del concetto non va rappresentata simbolicamente con la linea (come avevavoluto Hegel) bensì con il circolo inteso dinamicamente in cui ogni punto è insieme primo e ultimo. In ciòconsiste la circolarità dello spirito definizione che Croce utilizza per esprimere i continui passaggi dellospirito, continuamente arricchito, attraverso forme che già precedentemente ha attraversato senza negarle.

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143. Economia ed etica in Croce All’attività teoretica si accosta l’attività pratica che si esplica come dicevamo nell’economia e nell’etica. Maprima di vedere queste due forme di attività pratica bisogna precisare che tutta l’attività pratica dipende daquella teoretica ossia dalla conoscenza poiché nessun atto di volontà è possibile senza che prima ci siaconoscenza. La conoscenza non ha tanto a che fare con ciò che è buono o cattivo, utile o meno, ma con ilvero. Il pensiero in quanto tale, non compie errori ma pensa sempre il vero. L’errore secondo Croce haun’origine pratica, nasce cioè nel momento in cui motivi pratici (passioni, interessi) interferiscono conl’attività teoretica. Da questo si deduce anche che l’attività pratica si esplica nella volizione (o atto divolontà). L’attività economica è la volontà che ha per oggetto l’individuale, ossia l’utile. Ma l’utile non vaconfuso con l’egoistico, poiché la categoria di utile è da riferirsi esclusivamente alla sfera economica,mentre l’egoistico ha a che fare con l’ambito morale. Per Croce è invece vero il contrario: non può esisteremoralità che non sia calata nell’utile. È lo stesso rapporto che intercorre tra la logica e l’estetica. Volereeconomicamente è volere un fine, ma volere moralmente è volere il fine razionale, ossia il bene. Se non vi èun fine non può esserci un’azione morale che tende a raggiungerlo. E quel fine universale che è il bene nonsarebbe possibile se non ci fosse anche un interesse individuale che spinge a perseguire il bene. Per questoCroce critica al tempo stesso critica le etiche formalistiche che scindono il bene dall’utile, ma anche quellemateriali che identificano il bene con l’utile. Fra economia e morale c’è un rapporto di dipendenza dellaseconda nei confronti della prima e non viceversa perché può esserci un fine che economicamente èlegittimo a prescindere dalla sua moralità o meno. Anche la religione che contiene principi morali, varicondotta nell’alveo dell’attività morale e quindi della pratica. Analogamente il diritto è riconducibile allasfera pratica. Le leggi del diritto sono “comode” per agire nella società e “utili” per mantenere l’ordinesociale.

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144. Politica in Croce Anche la politica a cui Croce dedica vari saggi, in particolare Elementi di politica (1925) non è una sferaautonoma dell’attività dello spirito: essa rientra nell’economia. Per questo gli atti politici non sono né moraliné immorali, ma semplicemente utili. In questa concezione egli mette insieme la concezione utilitaristica diMachiavelli con l’importanza degli interessi economici nei rapporti di potere che Marx aveva messo in luce.Contrariamente a quanto pensano Hegel e Gentile, nella politica il primato spetta agli individui, non alloStato, che non esiste come entità superiore agli individui stessi, ma nasce da essi e per questo motivo nonpuò pretendere neanche di assorbire la vita etica dei cittadini. Per questo egli un fervido sostenitore dellacompleta libertà la via per promuovere non la democrazia ma l’aristocrazia dello spirito, ossia l’assolutalibertà di azione dello spirito.

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145. Storia in Croce Il terreno su cui si svolgono le azioni degli individui è la storia:  nell’ultimo volume della “Filosofia dellospirito”, Teoria e storia della storiografia, Croce afferma che tutto il suo sistema che ha sviluppato puntaverso il problema della comprensione storica. Ma il termine “storia” può assumer sia il significato di eventistorici sia quello di costruzione razionale degli eventi storici cioè la storiografia. Ora la storia non è mai fattada un individuo singolo, ma è sempre il risultato della trama di rapporti e delle azioni di tutti gli individui,ed è quindi l’espressione dell’attività dello spirito. Ma tale attività che dà vita agli eventi non è daconsiderarsi come qualcosa di trascendente gli individui, ma soltanto che alla storia partecipano tutti gliindividui, in un processo infinito.

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146. Teoria della storiografia in Croce Bisogna però precisare che nel momento in cui si agisce, il fatto non è ancora un evento storico; esso lodiventa soltanto in quanto è pensato come tale, ossia quando diventa oggetto di storiografia. La storiografiaè quindi la conoscenza dell’universale, ossia della vita dello spirito in tutte le sue manifestazioni (economia,etica, fantasia, pensiero). Ma a cosa “serve” studiare le cose passate? Non basta che lo studio di un fattostorico venga fatto semplicemente per riportarlo alla memoria perché questa sarebbe cronaca non storia.Secondo Croce solo un interesse presente ci può muovere ad indagare un fatto passato, che rielaboreremosecondo il nostro “utile”. Per questo motivo Croce afferma che si deve sempre parlare di storiacontemporanea. La conoscenza storiografica, sostiene Croce in Teoria e storia della storiografia, nonappartiene all’attività dello spirito, ma assume tale attività a proprio oggetto. È per questo motivo che allastoriografia non appartengono le categorie di bene e male per cui non esistono fatti positivi o negativi, mafatti che in quanto esistono non possono che essere, per la storiografia che li studia, “positivi”. È per questoche la storia non è mai giustiziera dei fatti del passato (che magari servono a svelare qualcosa che non siconosceva), ma giustificatrice di ciò che avviene.

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147. Libertà e storicismo per Croce dopo il fascismo Dopo l’avvento del fascismo Croce si trova in difficoltà a proposito del concetto di positività della storia, esi concentra soprattutto sul concetto di libertà. Considera il fascismo come un momento transitorio (ma pursempre un momento e quindi storia) un momento in cui, fedele alle teorie di Hegel, la libertà degli individuiviene meno, ma sarà uno spunto per il suo superamento in una progressiva riconquista, da parte dell’attivitàdello spirito, di maggiore libertà. Quindi la storia non deve assolvere o condannare gli eventi storici, madeve comprenderli; in questo senso la storiografia opera un’azione di chiarificazione e attraverso lamediazione tra passato e presente diventa un potente strumento di azione per costruire la storia  futura. È suquesta concezione che si costituisce la storia come azione. E tale azione si esplica nella libertà: alla lotta,all’accettazione o al rifiuto di certe situazioni. Croce a questo punto può affermare che la moralità è “lottacontro il male”. La storia si presenta dunque non come un idillio, né come una tragedia, ma come undramma nel quale male e dolore sono sempre presenti, ma sempre come stimoli o ostacoli da superare.Croce a questo punto ritiene che la definizione più appropriata della sua filosofia sia storicismo ossial’affermazione che la vita e la realtà è storia e nient’altro che storia nel suo perenne svolgimento e lotta.

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148. Definizione di "vitale" nell'ultimo Croce Nella sua ultima fase Croce mette al centro della sua speculazione non più l’utile, ma il vitale. Non è piùl’utile a spingere lo spirito universale ad agire, ma il vitale. Esso non è da considerarsi come un principioprimo, quasi ontologico, che guida dall’esterno l’attività dello spirito, ma anch’esso è una forma dello spiritoed è quindi espressione della razionalità. Il vitale è quell’elemento dialettico che si trova e si esprime comeforma dello spirito paradossalmente proprio in quei periodi di barbarie; esso è in grado di far uscire le altreforme dello spirito dalla loro immobilità, spingendole a lottare e ad affermarsi. Questa forza terribileconcepita come forma di negatività e irrequietezza che non si soddisfa mai, può secondo Croce addiritturaportare alla scomparsa di alcune civiltà all’interno delle quali questo vitale è insidiato (tesi sostenuta in Lafine della civiltà).

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149. Gentile e il marxismo Anche Gentile come Croce mosse i primi passi discutendo il marxismo, ma alla luce della tradizionehegeliana così come era stata interpretata da Spaventa. La filosofia di Marx affronta principalmente ilproblema se la concezione materialistica della storia sia o no una filosofia della storia. Secondo GentileMarx ha preso da Hegel la forma dialettica grazie alla quale è possibile, studiando il processo storico,determinare il suo corso e sviluppo futuro. Per questo motivo il materialismo non è utopia, m ha caratterescientifico. Da questo Gentile crede di poter affermare che per ciò che riguarda la forma il materialismo èuna filosofia della storia. Ciò che secondo Gentile rappresenta un grosso errore del marxismo è l’avertravisato la posizione hegeliana che parlava di un sviluppo dell’assoluto che contiene in sé la materia (nelcaso di Marx sarebbe il fatto economico) considerata come un momento relativo dell’assoluto. Marx inveceha fatto coincidere l’assoluto con la materia, così da sostenere che è determinabile a priori anche ciò che èpuramente empirico (il fatto economico) e che non appartiene alla filosofia della storia; il fatto è dipertinenza della storiografia, afferma Gentile e non della filosofia della storia. Per questo motivo ilmaterialismo storico appare a Gentile una deviazione del pensiero di Hegel poiché concepisce erroneamenteuna dialettica del relativo, determinabile a priori.

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150. Gentile e teoria della prassi in Marx Gentile invece rinviene in Marx una filosofia della prassi: il merito di Marx è stato quello di criticare ilmaterialismo tradizionale, concependo l’oggetto non come un dato, ma come un processo, intrinsecamentelegato all’attività umana. È l’azione che produce e modifica l’oggetto, il quale a sua volta viene a modificareanche il soggetto, così che da effetto diventa “causa della causa”. In ciò consiste il rovesciamento dellaprassi. La prassi che aveva come principio il soggetto e come termine l’oggetto si rovescia tornandodall’oggetto al soggetto. Per Marx reale è l’individuo sociale che non può sciogliersi dai legami della società(che è effetto della sua prassi). È studiando la prassi a priori che Marx si è arrogato il diritto di affermare chesi possa determinare a priori lo sviluppo della storia, ossia costruire una filosofia della storia. Essa ècaratterizzata dall’inevitabile lotta di classe ed è per questo che Gentile sostiene che la filosofia della storiadi Marx è caratterizzata dal determinismo e dal teleologismo. Dal momento che Marx era stato filosofoprima che rivoluzionario, la sua teoria poteva essere confutata solo filosoficamente e non attraversol’esperienza come voleva fare Croce. L’errore di Marx era stato quello di considerare il pensiero formaderivata e accidentale dell’attività sensitiva. A ciò Gentile opponeva una tesi che diventerà nucleo portantedel suo sistema filosofico: il pensiero è reale perché e in quanto pone l’oggetto (nel momento in cui ilpensiero esiste, pensa e se pensa, fa). In questo modo Gentile si accostava alla tradizione idealistica di Fichteed Hegel che avevano risolto il reale alla coscienza che il soggetto ha di esso.

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151. Attualismo in Gentile. Pensiero astratto e pensiero concreto La realtà non è pensabile se non in relazione con l’attività pensante per cui è pensabile. Il pensare èessenzialmente attività. Su questa base egli distingue il pensiero astratto dal pensiero concreto e identifica ilpensiero concreto con il pensare in atto. Nulla infatti esiste propriamente se non nell’atto in cui vienepensato. In questo senso Gentile definisce attualismo la propria posizione filosofica. Il pensiero che non è inatto, non è più nostro ma diventa qualcosa di pensato, ossia oggetto del pensiero. Nel momento in cui l’attodel pensiero è concepito come un fatto esso non è più propriamente in atto. Il pensare va concepito comeatto in atto e in quanto tale è in oggettivabile. Il pensiero pensante, in quanto attività non può essereconsiderato come un oggetto, perché si troverebbe fissato e irrigidito e non sarebbe più in atto. Non esistonoatti spirituali ma soltanto l’atto dello spirito che nel pensare pone perennemente se stesso. Gentile lodefinisce autoctisi e pertanto non dipende da alcun presupposto, nulla lo precede o lo trascende: è atto puro eassoluta immanenza del pensiero a se stesso.

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152. Dialettica del pensare in Gentile L’errore fondamentale di tutta la tradizione filosofica fino a Hegel è stato quello di cercare il pensiero (equindi la realtà che dipende dal pensiero) fuori dall’atto del pensiero. Alla base di tale errore sta il metododella trascendenza, consistente nel porre qualcosa di altro rispetto al pensiero in atto. Gentile allora ad unadialettica del pensato che considerava il pensiero stesso come oggetto, così da poterne studiare i suoimeccanismi, oppone una dialettica del pensare per la quale l’essere di partenza è il pensiero pensante, equindi riconoscendo l’essere non come oggetto ma come atto di pensare, che si sviluppa continuamente. Perquesto motivo Gentile è d’accordo con Vico nell’affermare che la verità non è un dato, ma un farsi, ossiasvolgimento. Perciò Gentile oppone al logo astratto (che esprime la posizione tradizionale di dialettica) checoncepisce la verità come già determinata, il logo concreto che no conosce un mondo che già sussiste comeun dato fisso e irrigidito. Il pensiero in atto non è limitato da qualcosa di esterno, egli sussiste in sé e per sé;ma la sua attività è strettamente legata al “pensare qualcosa” e questo può farlo soltanto negandosi eponendo l’altro da sé, la realtà, che Gentile chiama fatto o natura. Ma i fatti o la natura per Gentile sonoerrori poiché non rappresentano più l’atto pensante ma si trasformano in pensato.

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153. Io trascendentale e unità dello spirito in Gentile Il pensato in quanto finito, è un momento che viene continuamente superato nell’atto del pensare. Il soggettodel pensiero e della conoscenza non è l’io empirico, che è un dato quindi è un pensato, ma l’iotrascendentale: esso è unico e unificatore, e non va concepito come un essere o uno stato, ma un processocostruttivo. Per esso niente è già fatto ma tutto è da fare. Propriamente allora non si può dire che lo spirito ol’io trascendentale è, in quanto non è una sostanza e non è pensato. Esso dunque non è riducibile a dato e perquesto motivo Gentile può parlare di unità dello spirito o dell’Io trascendentale, in contrapposizione allamolteplicità degli io empirici e delle cose. Alla base di questa concezione vi è una dottrina secondo la qualeconoscere è identificare, superare l’alterità come tale: nel momento in cui qualcosa è conosciuta essa nonpuò esistere fuori ed essere altro dall’Io trascendentale, così da far tutt’uno con esso.

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154. Processo educativo di Gentile Le conseguenze di questa concezione emergono nella concezione che Gentile ha del processo educativo eche sviluppa in Sommario di pedagogia come scienza filosofica e La riforma dell’educazione. L’educazionedeve prescindere da tutte quelle tecniche didattiche o conoscenze psicologiche che implicano un’alterità fra iprotagonisti del processo educativo (maestro-alunno). L’educazione deve invece essere concepita come unprocesso autoeducativo attraverso il quale si raggiunge l’unità nell’Io trascendentale di maestro e allievo.

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155. Unità dello spirito e Stato in Gentile. Arte, religione e filosofia Gentile insiste sul carattere unitario della realtà spirituale, che scaturisce dall’unità dell’atto del pensiero.Egli non vuole in questo modo sminuire i piccoli fatti concreti, ma ricondurli all’unità che è fondamento ditutti. Per far ciò considera la dialettica hegeliana intesa come tesi – antitesi – sintesi applicandola ai tremomenti dello spirito assoluto: arte, religione, filosofia. L’arte è il momento dell’esaltazione del soggettoche vuole ridurre l’oggetto a sé, attraverso la creazione libera. La religione è l’antitesi in quanto esaltazionedell’oggetto (Dio) e negazione del soggetto. In essa contrapposto all’autoctisi si costituisce l’eteroctisi, ossiacreazione da parte di un’entità oggettiva. In essa c’è l’identificazione immediata del soggetto con l’oggetto. Ma sia l’arte che la religione sono per Gentile posizioni astratte del pensiero, in quanto isolano soltanto unlato dell’atto concreto del pensare, la soggettività o l’oggettività. La filosofia rappresenta il momento dellaloro sintesi: nella filosofia il pensiero crea se stesso e insieme il proprio oggetto: essa è allora il pensieroconcreto operante in tutte le forme dello spirito. Ma poiché il pensiero si sviluppa storicamente, la filosofiafa un tutt’uno con la propria storia. In questo modo si instaura il circolo di filosofia e storia della filosofia,nel senso che per fare storia della filosofia occorre filosofare e per fare filosofia occorre presupporre la storiadella filosofia.

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Page 157: Storia della filosofia contemporanea

156. Scienza in Gentile. Identità tra teoria e prassi La scienza dal canto suo assomma i difetti dell’arte e della religione poiché da una parte pretende di portaread una conoscenza puramente oggettiva, negando il soggetto, dall’altra parte presume di conoscere l’oggettoattraverso la sensazione, che invece, essendo soggettiva le impedisce i raggiungere l’universalità propriadella filosofia. Contrariamente a Croce, Gentile teorizza la sostanziale identità tra teoria e prassi. Infatti lateoria, dunque il conoscere, è pensiero pensante e quindi attività. Ciò significa che creando continuamente sestesso, lo spirito, che è positività e valore, crea al tempo stesso il bene all’infinito. In questa prospettiva ilmale è come l’errore, qualcosa che nel momento in cui è riconosciuto come tale, è superato e rappresentasoltanto un’attività precedente, ormai respinta.

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157. Soggetto e Stato in Gentile Il soggetto della prassi è libero, ma proprio per questo Gentile sostiene che ha bisogno di altri soggetti. Alchiarimento di questo punto e all’analisi della società Gentile dedicò lo scritto Genesi e struttura dellasocietà. Egli respinge la concezione atomistica della società che fa di essa un aggregato del molteplice. È quiche si racchiude la vera essenza dell’individuo: ogni io è anche un noi che ha vita nell’atto stessodell’individuo. Ogni io mira a farsi un noi e a raggiungere l’unione tra la sua particolarità e l’universale.Esiste quindi secondo Gentile una societas in interiore nomine. Già nel dialogo interiore di ciascuno di noic’è chi parla e chi ascolta, ossia una società trascendentale. La società è la realtà del volere nel suo processoe il volere come volere comune è lo Stato il quale è anch’esso atto. La nazione non si identifica con lamateria (il suolo, le istituzioni, le tradizioni) ma con la coscienza di tale materia che nel suo incessanteconcretizzarsi in atto è appunto lo Stato. Per questo motivo è lo Stato (in quanto volontà in atto) che crea lanazione e non viceversa.

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158. Diritto e Stato etico in Gentile La volontà dello Stato è il diritto: fuori dello Stato non esiste alcun diritto, neanche un presunto dirittonaturale. Il diritto è l’attuazione della volontà dello Stato in quanto volontà dei cittadini e quindi dellavolontà universale. Per questo motivo lo Stato rappresenta una forma dello spirito universale che superaquella dei singoli cittadini. Soltanto all’interno dello Stato l’uomo è propriamente libero di agire secondo lavolontà universale. Fuori di esso l’uomo si perde, si annulla, non possiede alcuna rilevanza, perché lontanodalla volontà universale. E su queste basi Gentile afferma anche che lo Stato è una persona morale, con finie volontà superiori a quelli degli individui, e quindi la suprema manifestazione della vita etica: è questa lanozione di Stato etico. E le leggi (che sono attuazione della volontà universale, quindi “volontà voluta”,come il “fatto” era pensiero pensato) vengono riconosciute come limite proprio; il momento coattivo dellaforza (cioè quello che permette allo Stato di imporre la legge) viene interiorizzato e fatto proprio sotto formadi consenso: è in questo modo che si ha una sintesi di autorità e libertà.

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159. Psicologia nella seconda metà dell'800 Nella seconda metà dell’800 uno dei modi più consueti di affrontare il problema della conoscenza consistenel chiedersi quali siano i meccanismi e i processi psicologici attraverso i quali si formano le idee e leassociazioni tra idee. A questa domanda è possibile rispondere per via empirica, attraverso i metodi dellapsicologia sperimentale, che studia i processi della percezione e dell’apprendimento. A questa posizionedenominata psicologismo, studiosi di logica come Frege, obiettano che essa non è in grado di affrontare ilproblema della validità della conoscenza stessa. Infatti la questione di quali siano le condizioni logiche cherendono vere le nostre conoscenze non può essere ridotta alla questione della loro genesi empirica.

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160. "Filosofia dell'aritmetica" e logica di Husserl Aritmetica e logica: il primo scritto di Husserl Filosofia dell’aritmetica è dedicato a Brentano dal qualeriprende il concetto di intenzionalità. Husserl esamina la genesi del concetto di numero: egli sostiene che lamente dirige intenzionalmente la sua attenzione su un aggregato di oggetti (tipo un insieme di mele) e apartire da ciò essa trae per astrazione il concetto generale di aggregato, inteso come collegamento di unamolteplicità di elementi. Da questa molteplicità egli successivamente ricava l’unità di ogni elemento eperviene al concetto di numero. Nonostante Husserl dia assoluta autonomia ai numeri come forme generali,che strutturano la conoscenza di un soggetto; ma rimane ancora legato allo psicologismo nella descrizione diqueste strutture e dei loro meccanismi. Per questo motivo Husserl vuole distaccarsi completamente dallapsicologismo riconoscendo allo stesso tempo che logica non è un insieme di regole formali utili percompiere ragionamenti corretti, ma ha anche a che fare on il significato dei concetti. Per questo motivo sipone il problema della relazione tra logica  e psicologia nelle Ricerche logiche. Egli capisce che le leggi chedesrivono i processi psicologici sono generalizzazioni che partono dall’esperienza pertanto non hannovalidità oggettiva e necessaria.

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161. Enunciato e proposizione nella logica di Husserl La logica pure allora non si può basare su principi empirico-psicologici, ma non può neppure avere uncarattere puramente formale. Sulla base di queste considerazioni Husserl esamina anche il concetto disignificato. Egli ritiene che l’unità minima di significato si ha non nel termine ma nelle proposizione cheesprime qualcosa che è o non è. La logica studia la proposizione a prescindere dal fatto che sia vera o meno,o che sia pensata da qualcuno o no. Per questa essa è indipendente dalla psicologia. Per proposizione peròHusserl intende non il singolo enunciato, ma l’unità o l’essenza di tutti gli enunciati che hanno lo stessosignificato (se la “bianchezza” è un universale che gode di autonomia e rappresenta l’essenza di ciò che èbianco, “tutto ciò che è bianco” gode anch’esso di autonomia e rappresenta l’essenza di una molteplicità dicose considerate singolarmente). Di queste essenze abbiamo un’esperienza autoevidente, caratterizzata dauna certezza superiore ad ogni certezza fornita dalle scienze empiriche: egli chiama tale esperienzaintuizione categoriale per distinguerla da quella empirica che coglie solo singoli oggetti. La logica puraconsiste nella descrizionedi queste essenze che stanno alla base di ogni vissuto (Erlebnis)

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162. Fenomenologia in Husserl Secondo Husserl l’ideale della vera filosofia è giungere ad una conoscenza assoluta, sulla base di unfondamento certo. Q questo si può giungere attraverso un atteggiamento fenomenologico e non unatteggiamento naturale che dà per ovvie le cose che appaiono. Questa concezione è sviluppata nellaFilosofia come scienza rigorosa, e soprattutto nelle Idee per una fenomenologia pura e una fenomenologiafenomenologica. Per uscire dall’ovvio di ciò che appare, bisogna operare attraverso l’epochè che non hanulla a che fare con l’atteggiamento scettico antico. L’epochè è un atteggiamento costruttivo che fa giungerealla consapevolezza che la conoscenza dei dati empirici, che appaiono ovvi all’atteggiamento naturale, èpossibile soltanto in riferimento alla soggettività. Sospendendo addirittura l’esistenza del mondo, ciò cherimane è la coscienza e l’insieme di fenomeni che i danno ad essa come correlati della sua intenzionalità;questo vuol dire che essi esistono perché vi è una coscienza che si rapporta ad essi. Bisogna allora tornare“alle cose stesse” attraverso un atteggiamento di spettatore interessato che ha messo tra parentesi l’esistenzadel mondo. Tale sguardo sarà allora diretto non verso i dati empirici nella loro accidentalità, bensì verso leessenze.

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163. Riduzione eidetica e coscienza in Husserl È attraverso una riduzione eidetica che si può giungere alle cose considerandole come intuizioni dellacoscienza nei suoi atti intenzionali. Ma questi atti intenzionali della coscienza che portano alla conoscenzadelle essenza possono a loro volta essere oggetto di riflessione, così che ogni Erlebnis può essere colto eanalizzato. Attraverso questa possibilità anche ammettendo che il mondo non esiste, so che la mia coscienzaguarda ad esso come esistente: è attraverso questa percezione immanente che posso dubitare di tutto ma nondel fatto che io pensi al mondo. Se quindi le cose del mondo possono essere o non essere, la coscienza deveessere, ed è il risultato ultimo della riduzione eidetica. Essa viene chiamata residuo fenomenologico. Maanche la coscienza può subire un’ulteriore riduzione perché si giunga ad una coscienza pura o trascendentaleche supera la coscienza empirica dei singoli individui. Essa trascende il mondo, ma allo stesso tempo ilmondo dipende da essa poiché la coscienza è intenzionalità, ossia sempre coscienza di qualcosa. È lacoscienza pura la garante di una conoscenza oggettiva.

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164. Cose materiali, corpo proprio e psiche in Husserl La fenomenologia è definita da Husserl come “eidetica” ossia “scienza delle essenze”: a differenza dei fattiempirici le essenze sono universali e necessarie (per questo motivo qualcuno ha parlato di platonismo inHusserl). il mondo e la realtà hanno senso quindi solo se riferiti alla coscienza, che ha appunto la funzione diconferire senso ad essi. Ogni vissuto intenzionale è costituito da un aspetto soggettivo detto noesi(l’operazione del pensare) e da uno oggettivo detto noema (ciò che è pensato) ossia il percepito, il pensato, ilricordato. Nel noema è dato il mondo intenzionato dalla coscienza, nei diversi modi in cui le cose si dannoad essa. Si costituiscono in base a queste differenziazioni le cosiddette ontologie regionali. Lafenomenologia però non è da confondersi con l’ontologia tradizionale, che vede le essenze come qualcosa disaldo e definito. La fenomenologia considera le essenze nel flusso che le correla al vissuto della coscienza.Alla trattazione di questi temi è dedicata la terza parte delle Idee. Mentre nella seconda parte Husserl riflettefenomenologicamente sui tre strati della realtà mondana. Il primo è quello delle cose materiali, oggetto dellapercezione e campo delle scienze naturali, governate dalla causalità. Il secondo è quello del corpo proprio,ossia della totalità, completamente mobile, degli organi di senso. Il terzo è quello della psiche che riguarda ilvissuto nel suo flusso continuo, in relazione con il corpo proprio, caratterizzato dalla storicità. Ma l’io habisogno degli altri io, del tu, del noi, del mondo. È in questo modo, ossia nell’incontro con le altre persone,che si forma il mondo spirituale. La vita spirituale ha come sua legge fondamentale la motivazione, così cel’io risulta essere libero: è per questo che il mondo spirituale ha priorità su quello naturale.

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165. Io e ego trascendentale in Husserl L’io e il mondo della vita: Husserl era consapevole di essere molto vicino a Cartesio nel suo programma dirifondazione della conoscenza. Egli per questo motivo scrive meditazioni cartesiane: qui egli chiarisce le sueposizioni alla luce di quelle cartesiane e parte dal concetto di evidenza. Ciò che egli non accetta di Cartesio èil fatto che egli abbia riconosciuto l’evidenza nel pensiero. L’evidenza, (che emerge attraverso la negazionedi tutto, compreso il mondo circostante) non è da intendersi come una sostanza pensante ma va identificatacon l’io o ego trascendentale, che è inseparabile dalle sue conoscenze vissute. Non ha senso dice Husserlvoler cogliere l’universo dell’essere vero come qualcosa che stia al di fuori dell’universo della coscienzapossibile. Il mondo e le cose acquistano senso solo attraverso l’io, sicché si può affermare che la soggettivitàtrascendentale è “l’universo delle possibilità di senso”. Avendo il suo fondamento nell’evidenza dell’iotrascendentale, la fenomenologia può essere definita come idealismo trascendentale. A differenzadell’idealismo tradizionale però, questo non nega l’esistenza del mondo, ma ha il suo unico scopo nelchiarimento del senso i questo mondo (senza pretendere di volerlo cambiare). Certo il rischio è quello dicadere in una forma di solipsismo, dando all’io un’importanza tale.

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166. Intersoggettività e mondo della vita in Husserl Ma Husserl si premura di notare che l’io ha come carattere costitutivo quello dell’intersoggettività. Io infattiesperisco un mondo che “è per tutti ed i cui oggetti sono disponibili a tutti”. Si dilegua così il solipsismo, marimane il fatto che tutto ciò che è per me, compresi gli altri soggetti, può attingere il suo sensoesclusivamente dalla mia sfera di coscienza. Tutti coloro che rientravano in una filosofia esistenzialista,accusavano Husserl di perdersi in intellettualismi che lo rendevano incapace di affrontare i problemidell’esistenza. Per contrastare questa concezione egli nella Postilla alle “Idee” pubblicata nel 1930 eglirivendica il carattere universale della fenomenologia, dotata di un metodo capace di affrontare tutti iproblemi della filosofia e quindi tutte le domande concrete che l’uomo può porre. È forse per rispondere aqueste accuse che Husserl sviluppa il concetto di mondo-della-vita.

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167. "La crisi delle scienze europee" di Husserl Alla fine della sua vita scrive La crisi delle scienze europee (1937) in cui rivede alcuni presupposti: riflettesulla crisi dell’ideale scientifico europeo su cui egli aveva basato il suo pensiero. In quest’opera infatti eglimostra un’altra faccia: quella scienza è tra le cause delle devastazioni delle culture mondiali, nonostantel’apparente progresso che portano con sé. Rivaluta allora la storia, il nostro divenire. Alla base della crisi, viè la riduzione dell’idea della scienza a scienza di fatti, la quale prescinde da qualunque riferimento alsoggetto che compie l’indagine scientifica. Ciò vale anche per le scienze dello spirito, nelle qualil’avalutatività, in quanto da giudizi arbitrari soggettivi, diventa l’ideale da perseguire. Escludendo in linea diprincipio i problemi del senso dell’esistenza, la scienza finisce con l’estraniarsi dagli uomini: ne consegueche le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto. Se prima egli aveva considerato l’essenza l’unicostrumento per conoscere l’uomo e il mondo, adesso si rende conto che per capire da dove viene la crisi intutti i campi e gli aspetti dell’agire umano, bisogna guardare alla sua evoluzione storica. In particolare lacrisi delle scienze parte dalla crisi dell’idea di filosofia, come scienza onnicomprensiva della totalitàdell’essere. Attraverso di essa l’uomo si accorge che deve guardare anche alla sua storia e alla storiadell’umanità per cogliere il senso dell’umanità. E a sua volta la storia sarà in grado di mostrare all’uomo inun’umanità fondata sulla ragione filosofica consiste il senso dell’umanità autentica.

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168. Definizione di umanità autentica in Husserl Questa nozione di umanità autentica nasce in Grecia, all’interno della quale la filosofia si sviluppa conl’obiettivo di giungere ad un sapere necessario ed universale, quindi dà origine ad un telos ossia un fine daraggiungere. La crisi delle scienze inizia già con Galilei che aveva preteso di ridurre l’intera natura amatematica. In tal modo è spianata la strada secondo Husserl al dualismo cartesiano tra natura e mondopsichico che è la premessa per la specializzazione delle scienze. Anche la oggettività diventa analoga allanatura e quindi indagabile con gli stessi criteri. In questo modo si è dimenticato il mondo-della-vita ossiaquella vita che esperisce il mondo prima di qualsiasi formazione di categorie o giudizi. Si tratta di un “regnodi evidenze originarie”; si arriva ad esso attraverso la riduzione fenomenologia, che sia nei mondiprescientifici che in quelli scientifici, mira a raggiungere il senso ultimo del mondo. Il primo “in sé” non èquindi, come vogliono le scienze naturali, l’essere del mondo nella sua ovvietà ed immediatezza sensibile,ma la soggettività, che nelle società prescientifiche pone ingenuamente il suo essere (e poi nelle variescienze e lo obiettivizza, e successivamente nelle società scientifiche assume consapevolezza attraverso lafenomenologia, che coglie la soggettività nella sua essenza, come principio di ogni conoscenza. Solo cosìsarà possibile fondare una filosofia universale in maniera pura e definitiva.

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169. Definizione di Neopositivismo Tra 800 e 900 hanno luogo grandi trasformazioni nelle scienze dovute all’emergere delle geometrie non-euclidee, della teoria della relatività, della teoria dei quanti. Alcuni filosofi attribuiscono alla filosofia ilcompito di indagare sui caratteri e sui metodi delle teorie scientifiche: la filosofia si configura comeepistemologia. Si viene a formare il cosiddetto Circolo di Vienna che ha come obiettivo quello di elaborareuna teoria scientifica del mondo: la scienza è linguaggio e precisamente l’unico linguaggio dotato disignificato. Il significato di una proposizione consiste infatti nella sua verificabilità, consistente nel rinvio aesperienze possibili; il linguaggio della metafisica invece, sottraendosi a ogni verificabilità, è privo disignificato, in quanto pretende di parlare di entità al di là di ogni esperienza possibile.

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170. Popper e la critica all'induzione Popper stesso ha descritto la genesi della sua teoria della conoscenza come il risultato del confronto tra larelatività di Einstein da una parte e il marxismo e la psicoanalisi dall’altra. Mentre queste ultime sipresentano come teorie capaci di spiegare qualunque fenomeno di loro pertinenza e, quindi, comeinconfutabili, la teoria di Einstein fornisce l’indicazione di esperimenti possibili che potrebbero confermarlao confutarla. Partendo da questa constatazione, Popper sviluppa nella Logica della scoperta scientifica unateoria delle teorie scientifiche. Le teorie scientifiche sono fondate su asserzioni universali e abitualmente sigiunge ad esse per induzione. Ma questo processo è sbagliato secondo Popper poiché dal fatto che molticigni sono bianchi non si può dedurre in maniera certa e necessaria che tutti i cigni sono bianchi. Eglisostiene che il metodo induttivo è un metodo antieconomico e mai definitivo: piuttosto che ricercare tanticigni bianchi, basta trovarne uno nero; ed inoltre per quanti cigni bianchi possa incontrare nessuno puòescludere che da qualche parte non ne esista uno nero. Popper critica due tipi di induzione: l’induzione perenumerazione (conto i cigni e tiro fuori la regola) e l’induzione per eliminazione (attraverso la quale simettono due teorie contraddittorie a confronto). La tendenza tra gli scienziati del tempo era quella diconfrontare due teorie per arrivare alla conclusione che una delle due doveva essere certamente vera. Inrealtà questo è un errore perchè potrebbe esisterne una terza. L’induzione allora non è una tecnicascientifica: l’induzione si basa sul principio di verificazione, ossia della continua conferma di una teoria giàsviluppata e accettata.

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171. Principio di falsificazione in Popper Il principio di verificazione non fornisce secondo Popper un criterio di demarcazione tra ciò che può essereconsiderato conoscenza autentica (che la scienza deve fornire attraverso il riscontro empirico) e metafisica(che si basa su principi a priori non verificabili sperimentalmente). Il principio di verificazione è quindi inuna parola limitativo, non definitivo. Perciò Popper sviluppa un principio opposto a quello di verificazione,il principio della falsificazione o ipotesi di falsificabilità: uno scienziato deve a tutti i costi cercare dismentire una data teoria di modo da verificare se essa regga oppure no: solo in questo modo la scienzaprogredisce. È solo in questo modo che si raggiunge quel criterio di demarcazione che stabilisce in manieranetta ciò che è scienza e ciò che non lo è. Le asserzioni universali non possono derivare da asserzionisingolari (come vuole l’induzione) ma possono essere controllate da queste. Ma anche le asserzionielementari (base) devono essere controllate intersoggettivamente, poiché non hanno uno stato privilegiato dicertezza attribuito loro dai neopositivisti. È a partire dalla presunta certezza dei presupposti di una teoria(presunta perché si credono necessari ma sono in realtà anch’essi frutto di teorie) che è facile trovareelementi che la verifichino e la confermino. Ad ogni modo Popper non vuole dire che prima che ognipresupposto venga accettato debba “necessariamente” esse controllato, ma che ci sia la “possibilità” di farlo.

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172. Progresso della conoscenza e fallibilismo delle teorie in Popper Contrariamente ai positivisti Popper sostiene che la base empirica delle scienze non ha qualcosa di assoluto;egli infatti paragona le teorie scientifiche ad edifici costruiti su palafitte. Quando la costruzione dell’edificiosi arresta non è perché esso è completo ma perché si ritiene che i sostegni almeno per il momento sianoabbastanza stabili. Sarà attraverso la critica che una teoria, una volta controllata, potrà essere sostituita conuna migliore. Qui è il risultato di un controllo che determina il progresso, che Popper interpreta sullafalsariga del modello evoluzionistico darwiniano. La conoscenza non parte mai da zero: essa può esserefrutto di miti, di tradizioni, di osservazioni ma nessuna di queste ha un’autorità privilegiata. In opposizionealle epistemologie ottimistiche e a quelle pessimistiche, Popper sostiene il carattere “fallibile” delle teorie. Ilsuo fallibilismo è allora frutto di una posizione moderata che ha le sue origini nell’antica Grecia, la quale hainsegnato all’Occidente il metodo razionalistico capace di mettere in dubbio attraverso la critica leconoscenze via via si vanno formando.

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173. Teoria dei tre mondi in Popper Il progresso della conoscenza e la società aperta: contrariamente ai positivisti Popper sostiene che la baseempirica delle scienze non ha qualcosa di assoluto; egli infatti paragona le teorie scientifiche ad edificicostruiti su palafitte. Quando la costruzione dell’edificio si arresta non è perché esso è completo ma perchési ritiene che i sostegni almeno per il momento siano abbastanza stabili. Sarà attraverso la critica che unateoria, una volta controllata, potrà essere sostituita con una migliore. Qui è il risultato di un controllo chedetermina il progresso, che Popper interpreta sulla falsariga del modello evoluzionistico darwiniano. Laconoscenza non parte mai da zero: essa può essere frutto di miti, di tradizioni, di osservazioni ma nessuna diqueste ha un’autorità privilegiata. In opposizione alle epistemologie ottimistiche e a quelle pessimistiche,Popper sostiene il carattere “fallibile” delle teorie. Il suo fallibilismo è allora frutto di una posizionemoderata che ha le sue origini nell’antica Grecia, la quale ha insegnato all’Occidente il metodorazionalistico capace di mettere in dubbio attraverso la critica le conoscenze via via si vanno formando.

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174. Società chiusa e società aperta in Popper I risultati che raggiunge dall’indagine sui caratteri delle scienze, Popper li applica alle teorie sulla storia e lasocietà, per testare la loro scientificità. Secondo Popper esiste una connessione tra storicismo (che eglicritica) essenzialismo e totalitarismo. Nella storia infatti si vede come la convinzione di possedere la veritàtotale sulla storia (essenzialismo) la conseguenza diretta è l’autoritarismo fondato sulla convinzione che solohi è malvagio si rifiuta di riconoscere la verità e di sottomettersi ad essa. A questa impostazionecorrispondono tipi di società chiusa, di tipo tribale, dove tutto è stabilito d un’insieme di credenze e daun’autorità atta a farle rispettare. Ad essa Popper oppone la società aperta fondata sulla libera discussionecritica. In questo contesto lo Stato appare come un male necessario, nella misura in cui non tanto devedecidere per gli individui, quanto piuttosto deve chiedersi come sia possibile organizzare le istituzionipolitiche di modo che i governanti cattivi non possano fare troppi danni. Anche la politica deve secondo P.essere continuamente sottoposta a controlli.

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Indice

1. Discussione post-kantiana sul criticismo 1

2. Fichte e la prima dottrina della conoscenza 2

3. Fichte. Ateismo e seconda dottrina della conoscenza 3

4. Dottrina della scienza in Fichte. Autoposizione del soggetto 4

5. Principio di identità in Fichte 5

6. Principio di opposizione in Fichte 6

7. Principio di ragione in Fichte 7

8. Conoscenza in Fichte. Immaginazione produttiva 8

9. Morale in Fichte. Idealismo etico 9

10. Filosofia dell’Assoluto in Fichte 10

11. Assoluto e Vangelo di Giovanni in Fichte 11

12. Giusnaturalismo in Fichte 12

13. Organicismo e nazionalismo in Fichte 13

14. Assolutizzazione dello Stato in Fichte 14

15. Fasi della filosofia in Schelling 15

16. Filosofia della natura in Schelling 16

17. Circolarità tra natura e spirito in Schelling 17

18. Filosofia dello spirito in Schelling 18

19. Tre gradi tra soggetto e oggetto in Schelling 19

20. Filosofia dell’identità in Schelling 20

21. Filosofia della libertà in Schelling 21

22. Filosofia positiva in Schelling. Mitologia e rivelazione 22

23. Filosofia dello Spirito Santo in Schelling 23

24. Hegel. "Scritti teologici giovanili" e religione popolare 24

25. Hegel. "Vita di Gesù" e religione naturale 25

26. Hegel. "Lo spirito del cristianesimo" e priorità della totalità 26

27. "Frammento di sistema" di Hegel 27

28. Hegel a Jena. Ragione e inteletto 28

29. Critica di Hegel a Fichte e Schelling 29

30. Fenomenologia dello spirito in Hegel 30

31. Fasi del processo dialettico in Hegel 31

32. Gradi di conoscenza in Hegel. Coscienza, percezione, intelletto e autocoscienza 32

33. Da autocoscienza a ragione in Hegel 33

Page 177: Storia della filosofia contemporanea

34. Da ragione a spirito in Hegel 34

35. Dallo spirito alla religione, sapere assoluto in Hegel 35

36. Definizione di idea e logica come metafisica in Hegel 36

37. Ragione speculativa in Hegel 37

38. Logica dell'essere in Hegel 38

39. Logica dell'essenza in Hegel 39

40. Filosofia della natura in Hegel 40

41. Filosofia dello spirito in Hegel. Spirito soggettivo 41

42. Filosofia dello spirito in Hegel. Spirito oggettivo 42

43. Eticità e Stato in Hegel 43

44. Spirito assoluto in Hegel. Arte, religione e filosofia 44

45. Vita e opere principali di Schopenhauer 45

46. Conoscenza e rappresentazione in Schopenhauer 46

47. Forme a priori dell'intuizione in Schopenhauer 47

48. Mondo come volontà in Schopenhauer 48

49. Distacco dalla volontà in Schopenhauer. Arte e ascesi 49

50. Introduzione e opere di Kierkegaard 50

51. Esistenza in Kierkegaard 51

52. Soggettività e possibilità in Kierkegaard 52

53. Vita estetica in Kierkegaard 53

54. Vita etica in Kierkegaard 54

55. Vita religiosa in Kierkegaard 55

56. Vita di Marx 56

57. Marx contro Hegel 57

58. Democrazia e emancipazione in Marx 58

59. Religione "oppio dei popoli" e proletariato in Marx 59

60. Lavoro, alienazione e conflitti in Marx 60

61. Operaio e prodotto in Marx 61

62. Proprietà privata e alienazione in Marx 62

63. Marx. Alienazione positiva e comunismo 63

64. Materialismo storico in Marx 64

65. Forme di proprietà nel pensiero di Marx 65

66. Struttura, sovrastruttura e ideologia in Marx 66

67. Lotta di classe e borghesia in Marx 67

68. "Il capitale" di Marx, metodo di analisi economica 68

69. Merce, valore d'uso e valore di scambio in Marx 69

Page 178: Storia della filosofia contemporanea

70. Concetto di forza-lavoro in Marx 70

71. Denaro e profitto in Marx 71

72. Plusvalore e pluslavoro in Marx 72

73. Dittatura del proletariato in Marx 73

74. Nascita del positivismo 74

75. Stato teologico, metafisico e positivo in Comte 75

76. Definizioni di "positivo" in Comte 76

77. Classificazione delle scienze in Comte 77

78. Sociologia e filosofia della storia in Comte 78

79. Introduzione a John Stuart Mill 79

80. Logica in Mill. Termini denotativi e connotativi 80

81. Inferenza in Mill. Da particolare a particolare 81

82. Induzione per enumerazione semplice in Mill 82

83. Principio dell'uniformità della natura in Mill 83

84. Psicologia, sociologia e politica in Mill 84

85. "Saggio sulla libertà" di Mill. Liberalismo radicale 85

86. Morale e religione in Mill 86

87. Introduzione a Spencer e scritti 87

88. Conoscenza e legge dell'evoluzione in Spencer 88

89. Vita e scritti di Nietzsche 89

90. Nietzsche. Apollineo e dionisiaco nella tragedia greca 90

91. Socrate e il cristianesimo contro il dionisiaco 91

92. Nietzsche, Burckhardt e la storia 92

93. Eccesso di storia in Nietzsche 93

94. Definizione di nichilismo in Nietzsche 94

95. "Umano, troppo umano". Scienza, arte e morale in Nietzsche 95

96. Azione e società in Nietzsche 96

97. Gerarchia, signori e schiavi in Nietzsche 97

98. Cristianesimo in Nietzsche. Senso di colpa ebraico e malafede 98

99. Morale e ideali ascetici in Nietzsche 99

100. Gaia scienza e nichilismo attivo in Nietzsche 100

101. Morte di Dio e rinascita del superuomo 101

102. Volontà di potenza come creazione in Nietzsche 102

103. Arte apice della creazione in Nietzsche 103

104. Bergson e lo spiritualismo 104

105. Qualità dei dati della coscienza in Bergson 105

Page 179: Storia della filosofia contemporanea

106. Tempo, durata reale e libertà in Bergson 106

107. Immagine in Bergson 107

108. Percezione in Bergson 108

109. Memoria abitudinaria e memoria pura in Bergson 109

110. Intelligenza, intuizione e metafisica in Bergson 110

111. Istinto tra intelligenza e intuizione in Bergson 111

112. Evoluzione creatrice in Bergson 112

113. Definizione di slancio vitale in Bergson 113

114. Morale e religione in Bergson 114

115. Introduzione allo storicismo contemporaneo 115

116. Critica della ragione storica di Dilthey 116

117. Critica storica della ragione in Dilthey 117

118. "Idee per una psicologia analitica" di Dilthey 118

119. Intuizione del mondo per cogliere la vita in Dilthey 119

120. Introduzione al pragmatismo 120

121. Pragmatismo di Dewey 121

122. Esperienza, organismo e ambiente in Dewey 122

123. Logica strumentale in Dewey 123

124. Stadi della teoria dell'indagine in Dewey 124

125. Strumentalismo di Dewey e intelligenza consapevole 125

126. Soggetto e oggetto in Dewey 126

127. Concezione di coscienza in Dewey 127

128. Teoria della valutazione in Dewey 128

129. Rapporto tra mezzi e fini in Dewey 129

130. Democrazia e liberalismo radicale in Dewey 130

131. Pedagogia e religione in Dewey 131

132. Vita di Benedetto Croce 132

133. "La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte" di Croce 133

134. "Materialismo storico ed economia marxista" di Croce 134

135. Quattro forme dello spirito in Croce 135

136. Arte e estetica in Croce 136

137. "Breviario di estetica" e "La poesia" 137

138. Logica e concetto in Croce 138

139. Scienze naturali e scienze matematiche in Croce 139

140. Giudizio individuale e universale in Croce 140

141. Identità tra filosofia e storia in Croce 141

Page 180: Storia della filosofia contemporanea

142. "Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel" di Croce 142

143. Economia ed etica in Croce 143

144. Politica in Croce 144

145. Storia in Croce 145

146. Teoria della storiografia in Croce 146

147. Libertà e storicismo per Croce dopo il fascismo 147

148. Definizione di "vitale" nell'ultimo Croce 148

149. Gentile e il marxismo 149

150. Gentile e teoria della prassi in Marx 150

151. Attualismo in Gentile. Pensiero astratto e pensiero concreto 151

152. Dialettica del pensare in Gentile 152

153. Io trascendentale e unità dello spirito in Gentile 153

154. Processo educativo di Gentile 154

155. Unità dello spirito e Stato in Gentile. Arte, religione e filosofia 155

156. Scienza in Gentile. Identità tra teoria e prassi 156

157. Soggetto e Stato in Gentile 157

158. Diritto e Stato etico in Gentile 158

159. Psicologia nella seconda metà dell'800 159

160. "Filosofia dell'aritmetica" e logica di Husserl 160

161. Enunciato e proposizione nella logica di Husserl 161

162. Fenomenologia in Husserl 162

163. Riduzione eidetica e coscienza in Husserl 163

164. Cose materiali, corpo proprio e psiche in Husserl 164

165. Io e ego trascendentale in Husserl 165

166. Intersoggettività e mondo della vita in Husserl 166

167. "La crisi delle scienze europee" di Husserl 167

168. Definizione di umanità autentica in Husserl 168

169. Definizione di Neopositivismo 169

170. Popper e la critica all'induzione 170

171. Principio di falsificazione in Popper 171

172. Progresso della conoscenza e fallibilismo delle teorie in Popper 172

173. Teoria dei tre mondi in Popper 173

174. Società chiusa e società aperta in Popper 174