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Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com 1 Newsletter n. 7 - 22 febbraio 2011 NEWSLETTER N. 7 DEL 15/21 FEBBRAIO 2011 a cura di Guida al Diritto ANTEPRIMA EDITORIALE. CON L’UTILIZZO DI METODI ALTERNATIVI SUI RICORSI AL TAR GIUSTIZIA AMMINISTRA- TIVA SOGNA L’USCITA DALLA CRISI di Marcello CLARICH ONLINE LASENTENZA DEL GIORNO - SANZIONI Anche una pattuglia in transito può multare la guida senza auricolare Corte di cassazione - Sezione II civile - Sentenza 21 febbraio 2011 n. 4219 LA SENTENZA DEL GIORNO - APPROPRIA- ZIONE INDEBITA Il rifiuto di restituire il corredo fa scattare il reato Corte di cassazione - Sezione II - Sentenza 10 dicembre 2010-21 febbraio 2011 n. 6438 IN PRIMO PIANO - MEDIAZIONE E FORMA- ZIONE L’Oua annuncia lo sciopero Formazione: i numeri del Cnf di Patrizia Maciocchi a cura di Lex24 CIRCOLAZIONE STRADALE E CODICE DELLA STRADA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTAN- ZA FAMILIARE DIFFAMAZIONE BENI DEMANIALI RESPONSABILITA’ ’ PROFESSIONALE PUBBLIGO IMPIEGO AVVOCATI24 - AVVOCATO DEL GIORNO Avvocato del giorno: Paolo Bernasconi, partner dello Studio legale e notarile Bernasconi Martinelli Alippi & Partners PROFESSIONI E IMPRESE24 - DIRITTO FALLI- MENTARE L’intervento dei terzi nel giudizio pre-fallimentare: una decisione condivisibile, con riserva di Rosario Di Legami IL MERITO ONLINE - PENALE - DELITTI A MEZ- ZO STAMPA Le fonti informative nel delitto di diffamazione a mezzo stampa di Scodnik Nicola DOCUMENTAZIONE Da Repertorio24 Gazzetta Ufficiale

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1Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 2011

NEWSLETTER N. 7 DEL 15/21 FEBBRAIO 2011

a cura di Guida al Diritto

ANTEPRIMA

EDITORIALE.CON L’UTILIZZO DI METODI ALTERNATIVISUI RICORSI AL TAR GIUSTIZIA AMMINISTRA­TIVA SOGNA L’USCITA DALLA CRISIdi Marcello CLARICH

ONLINE

LASENTENZA DEL GIORNO ­ SANZIONIAnche una pattuglia in transito può multare laguida senza auricolareCorte di cassazione ­ Sezione II civile ­ Sentenza 21 febbraio2011 n. 4219

LA SENTENZA DEL GIORNO ­ APPROPRIA­ZIONE INDEBITAIl rifiuto di restituire il corredo fa scattare il reatoCorte di cassazione ­ Sezione II ­ Sentenza 10 dicembre2010­21 febbraio 2011 n. 6438

IN PRIMO PIANO ­ MEDIAZIONE E FORMA­ZIONEL’Oua annuncia lo sciopero Formazione: i numeridel Cnfdi Patrizia Maciocchi

a cura di Lex24

CIRCOLAZIONE STRADALE E CODICE DELLASTRADA

VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTAN­ZA FAMILIARE

DIFFAMAZIONE

BENI DEMANIALI

RESPONSABILITA’ ’ PROFESSIONALE

PUBBLIGO IMPIEGO

AVVOCATI24 ­ AVVOCATO DEL GIORNOAvvocato del giorno: Paolo Bernasconi, partnerdello Studio legale e notarile Bernasconi MartinelliAlippi & Partners

PROFESSIONI E IMPRESE24 ­ DIRITTO FALLI­MENTARE

L’intervento dei terzi nel giudizio pre­fallimentare:una decisione condivisibile, con riservadi Rosario Di Legami

IL MERITO ONLINE ­ PENALE ­ DELITTI A MEZ­ZO STAMPALe fonti informative nel delitto di diffamazione amezzo stampadi Scodnik Nicola

DOCUMENTAZIONE

Da Repertorio24

Gazzetta Ufficiale

GUIDA AL DIRITTO IL SOLE-24 ORE 10 N˚ 9 26 FEBBRAIO 2011

Q uest’anno la giustizia amministrativa cele-bra ben tre ricorrenze: 180 anni dall’istitu-zione del Consiglio di Stato; 40 da quelladei tribunali amministrativi regionali; un

anno dall’approvazione del codice del processo am-ministrativo.Ci si attendeva dunque che la relazione sull’attivi-

tà della giustizia amministrativa per l’anno 2011letta a Palazzo Spada lo scorso 8 febbraio dal presi-dente del Consiglio di Stato, Pasquale de Lise, aves-se un respiro ampio. E così è stato.Nella sua lunga vita il giudice amministrativo ha

assunto sempre più, comeha chiarito de Lise, «unaposizione di rilievo nel si-stema-Paese» diventando,tra l’altro, il «giudice natu-rale dell’interesse pubbli-co dell’economia». Priva-tizzazioni e liberalizzazio-ni, qualità delle prestazio-ni, provvedimenti delle Au-torità indipendenti, nuovidiritti civili e sociali (anchedegli extracomunitari),pubblici concorsi: questi ealtri sono i campi di inter-vento del giudice ammini-strativo.Nei 180 anni di vita il Consiglio di Stato ha raffor-

zato e aggiornato la sua doppia vocazione, sancitadalla Costituzione (articolo 100), di giudice delle litiche coinvolgono i poteri pubblici e di alto consulen-te del Governo.Il ruolo consultivo è peròmutato perché è divenu-

ta recessiva la formulazione di pareri su singoli attidell’amministrazione.Molto più rilevanti sono oggii pareri della sezione per gli atti normativi. Nel 2010al suo vaglio sono passati gli schemi dei codici degliappalti, dell’ordinamento militare, dell’agricoltura,i regolamenti sulla mediazione civile, sui servizipubblici locali. Anche la funzione consultiva nel-l’ambito del ricorso straordinario al Presidente del-

la Repubblica ha molto più peso, visto che ormai ilparere non è più modificabile dal Governo ed èdunque simile a una sentenza. È di questi giorni, adesempio, una pronuncia della Cassazione che am-mette la possibilità di proporre il normale giudiziodi ottemperanza nel caso di decisioni di ricorsi stra-ordinari rimaste ineseguite (sezioni Unite n.2065/2011).Il peso crescente della funzione giurisdizionale è

attestato da un fatto istituzionale di poche settima-ne fa: l’attribuzione anche alla terza sezione di fun-zioni giurisdizionali in luogo di quelle consultive

esercitate per tanti decen-ni. Secondo il presidentedel Consiglio di Stato, si hacosì una conferma ulterio-re che la crisi della giustiziae la sfiducia dell’opinionepubblica «non ha colpito lagiustizia amministrativa»alla quale cittadini e impre-se si rivolgono con sempremaggior frequenza.I numeri riportati dalla

relazione dimostrano an-che la buona produttivitàdei giudici, nonostante levacanze di organico au-

mentate soprattutto in seguito alla manovra finan-ziaria del maggio 2010. I collocamenti a riposo han-no riguardato il 30% dei magistrati in servizio alConsiglio di Stato e il 6% di quelli in servizio ai Tar.L’emorragia ha colpito anche i dirigenti del perso-nale amministrativo.Nel 2010 il Consiglio di Stato ha definito 10.589

ricorsi con un abbattimento dell’arretrato di 2.971pendenze (si veda tabella a pagina 11); i Tar hannodefinito 179.162 ricorsi rispetto i 56.716 pervenuti,con un saldo positivo di 122.446 ricorsi. L’arretratocontinua però a pesare (si veda tabella a pagina 12).Dinanzi al Consiglio di Stato pendono 22.700 ricor-si; dinanzi ai Tar 511.000 circa. La fissazione diudienze monotematiche per eliminare i ricorsi che

Il tema della settimana

A d ampio raggio. Si può riassumere così la relazione delpresidente del Consiglio di Stato Pasquale de Lise, che

ha aperto, l’8 febbraio scorso, l’anno giudiziario del settoreamministrativo. Dall’analisi di de Lise ne viene fuori un quadrocon molte luci, che rappresentano un punto di speranza perl’aumento della funzionalità degli uffici. Infatti, la buona produt-tività dei giudici, nonostante l’aumento delle vacanze, e lebuone risposte che vengono dal nuovo Codice sono un contri-buto importante alla tenuta del sistema. Per migliorare, infine,il quadro de Lise propone anche il ricorso a strumenti didefinizione più rapida delle liti.

Con l’utilizzo di metodi alternativi sui ricorsi al Tarla giustizia amministrativa sogna l’uscita dalla crisi

DI MARCELLO CLARICH - Ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università “Luiss-Guido Carli” di Roma

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non presentano più interesse e l’uso più frequentedelle sentenze rese in forma semplificata potrebbe-ro costituire, secondo de Lise, un buon rimedio.Ma la proposta più innovativa su questo versante è

stata quella di rilanciare le Adr (alternative disputeresolution) anche nel settore della giustizia ammini-strativa. Bisognerebbe cioè ripensare il sistema deiricorsi amministrativi, da rendere obbligatori in mo-do tale da inserire un filtro al processo amministrati-vo. Fino alla riforma del 1971, il ricorso gerarchicoaveva proprio questa funzione,ma andrebbero intro-dotte garanzie affinché «tali nuovi ricorsi siano decisiin modo autonomo rispetto alle ragioni dell’ammini-strazione». La terzietà è una condizione necessariaper il successo di questi strumenti.Anche il quarantennale dei Tar è stato al centro

della relazione. Quanto più si imbocca la strada delfederalismo, tanto più i Tar devono farsi «interpretie tutori delle regole» a livello locale e aver ben pre-sente «il loro ruolo di elemento unificante desumi-bile dalla Costituzione». De Lise ha ripreso l’idea,che emerge ogni tanto nel dibattito, di attribuire aiTar funzioni anche consultive a favore delle ammi-nistrazioni regionali e locali. Si estenderebbe così ilmodello duale che caratterizza il Consiglio di Statoe che non compromette la terzietà e l’indipenden-za del giudice. Secondo de Lise, infatti, anche l’atti-vità consultiva è un’attività neutrale di garanzia,complementare a quella giurisdizionale. Non èchiaro però quanto aspirino a questa nuova funzio-

ne i magistrati dei Tar, selezionati solo tramite con-corsi, e che hanno consolidato l’habitus mentaledel giudice puro.La relazione si è soffermata sul codice del pro-

cesso amministrativo in vigore dal 16 settembrescorso.Come ha fatto in altre occasioni, de Lise ha difeso

dalle critiche le modifiche al testo elaborato dallaCommissione istituita presso il Consiglio di Statointrodotte all’ultimo dal Governo. Esse hannoespunto, in particolare, l’azione di accertamento el’azione di inadempimento e hanno generalizzato ilprincipio della competenza territoriale inderogabi-le. La responsabilità politica e istituzionale dellariforma è certamente del Governo e l’impianto fon-damentale del codice è rimasto immutato.Proprio per la sua struttura di testo snello, il codi-

ce non intacca il ruolo creativo del giudice ammini-strativo. De Lise ha ricordato, ad esempio, che inmateria edilizia il Consiglio di Stato ha stabilito direcente che la dichiarazione d’inizio di attività (co-siddetta «Dia» ora trasformata in «Scia») può esserecontestata dal terzo leso con un’azione di accerta-mento atipica.Tra le tante novità del codice, la relazione ha sot-

tolineato il nuovo ruolo nomofilattico dell’Adunan-za plenaria del Consiglio di Stato. Le sezioni giuri-sdizionali, ove non condividono un precedente del-l’Adunanza plenaria, non possono più, come si di-ce in gergo, «andare di contrario avviso», ma devo-

Affari Numero procedimenti

1. Pervenuti 10.791

2. Definiti 10.589

3. Provvedimenti emessi 15.109

4.

Pendenti al 31 dicembre 2008 32.249

Pendenti al 31 dicembre 2009 29.921

Pendenti al 31 dicembre 2010 27.225

Passati in decisione e/o per i quali è in corso la pubblicazione 1.484

Fissati al 31 dicembre 2010 2.962

Totale stima affari pendenti 22.536

Fonte: Consiglio di Stato - Relazione sull’attività della giustizia amministrativa

Attività giurisdizionale 2010

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no rimettere la questione all’organo di vertice. Neguadagnerà così la certezza del diritto.Contro “l’abuso del processo”, de Lise ha ricorda-

to il nuovo potere di condannare alle spese nel casoin cui la decisione sia fondata su ragioni manifesteo su orientamenti giurisprudenziali consolidati (ar-ticolo 26). Ha anche richiamato il principio di chia-rezza e sinteticità degli atti difensivi, oggetto di unasua recente circolare, che richiede un maggior im-pegno da parte degli avvocati.

Insomma, con l’entrata in vigore del codice, cherazionalizza le novità legislative e giurisprudenzia-li dell’ultimo decennio, la giustizia amministrativaè in grado di riprendere slancio ed efficacia. Moltodipenderà anche dalla capacità dei giudici e delforo di valorizzarne tutte le potenzialità. n

Per saperne di più:

Tar Pervenuti Ricorsi definiticon sentenza

Ricorsi definiticon sentenza

breve

Ricorsi definiticon decreto

decisorioTotale ricorsi

definiti

Ancona 1.127 376 98 3.329 3.803Aosta 82 73 3 9 85Bari 2.156 1.454 280 2.609 4.343Bologna 1.559 803 211 7.428 8.442Bolzano 316 275 5 71 351Brescia 1.654 966 352 3.612 4.930Cagliari 1.163 971 168 1.812 2.951Campobasso 536 268 14 1.295 1.577Catania 3.624 1.778 313 2.639 4.730Catanzaro 1.565 1.256 164 1.563 2.983Firenze 2.335 1.268 234 5.449 6.951Genova 1.374 2.184 179 9.303 11.666Latina 1.256 638 46 1.366 2.050Lecce 2.111 1.409 212 1.279 2.900L’Aquila 719 626 59 189 874Milano 3.223 1.720 580 5.432 7.732Napoli 7.425 4.698 845 22.632 28.175Palermo 2.471 1.395 312 12.595 14.302Parma 364 280 24 290 594Perugia 584 312 47 202 561Pescara 597 679 87 555 1.321Potenza 467 431 2 699 1.132Reggio Calabria 812 494 98 1.508 2.100Roma 12.211 6.136 1.331 31.493 38.960Salerno 2.056 1.138 96 12.155 13.389Torino 1.576 850 202 3.541 4.593Trento 290 185 36 25 246Trieste 698 260 142 504 906Venezia 2.365 1.288 513 4.714 6.515Totale (*) 56.716 34.211 6.653 138.298 179.162(*) Non sono computate le ordinanze cautelariFonte: Consiglio di Stato - Relazione sull’attività della giustizia amministrativa

www.giustizia-amministrativa.it

Ricorsi definiti presso i tribunali amministrativi nell’anno 2010

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LA SENTENZA DEL GIORNO ­ SANZIONI

Anche una pattuglia in transito può multare la guidasenza auricolare

Corte di cassazione ­ Sezione II civile ­ Sentenza 21 febbraio 2011n. 4219

Legittima la multa comminata a chi guida parlando al telefonosenza auricolare anche se gli accertatori non hanno potutofermare il veicolo ma hanno rilevato la sanzione mentre transi­tavano nella corsia opposta. Lo ha confermato la Cassazionecon la sentenza 4219/2011 secondo la quale nel giudizio diopposizione a verbale è ammessa la contestazione e la provaunicamente delle circostanze di fatto della violazione che nonsono attestate nel verbale del pubblico ufficiale. In questocaso, infatti, anche se gli accertatori si trovavano nella corsia dimarcia opposta e quindi potevano essere caduti in errore,l’unico rimedio possibile è la proposizione della querela difalso.

LA SENTENZA DEL GIORNO ­ APPROPRIAZIO­NE INDEBITA

Il rifiuto di restituire il corredo fa scattare il reato

Corte di cassazione ­ Sezione II ­ Sentenza 10 dicembre 2010­21febbraio 2011 n. 6438

Il rifiuto di restituire al coniuge la biancheria del corredo puòcostare il carcere per appropriazione indebita. Solo il ritirodella querela da parte della ex moglie ha salvato da tre mesi direclusione e 300 euro di multa il marito che, accettato ilfallimento del matrimonio, non si era rassegnato all’idea disepararsi da: due piumoni, cinque coperte (tre estive e dueinvernali, come specifica la Cassazione), quattro tovaglie, duepaia di lenzuola e vari asciugamani. La sottrazione della ”dote”aveva fatto scattare la condanna, sia in primo grado sia insecondo, per appropriazione indebita. Reato a cui i giudici diTribunale e Corte d’Appello avevano aggiunto l’aggravante del”possesso di cose a titolo di relazioni domestiche e di coabita­zione”, una contestazione supplementare che, secondo i giudi­ci di seconda istanza, rendeva il crimine perseguibile d’ufficio.Più generosa la Cassazione che, pur confermando il reato,ricorda che tutti i delitti contro il patrimonio commessi adanno di un coniuge separato sono punibili solo se c’è unaquerela della persona offesa, anche quelli in cui è presenteun’aggravante.

PRIMO PIANO ­ MEDIAZIONE & FORMAZIONE

L’Oua annuncia lo sciopero Formazione: i numeri delCnf

di Patrizia Maciocchi

Roma,21 febbraio 2011 ­ Avvocati in ordine sparso versol’appuntamento con la mediazione. Se da una parte l’Organi­smo unitario dell’avvocatura annuncia una settimana di sciope­ro, dal 16 al 22 marzo prossimo, dall’altra gli Ordini incontra­no ”informalmente” i tecnici di Via Arenula e, pur suggerendogli opportuni correttivi alle norme che saranno in vigore dal20 marzo, non sembrano intenzionati a negare una collabora­zione per far partire una riforma che presenta comunque piùdi un’incognita. Il tutto senza rinunciare a giocarsi la carta deiricorsi di incostituzionalità. Un passo su cui punta tutto ilvertice dell’Oua, Maurizio de Tilla che, nel corso dell’Assem­blea dei delegati, tenuta a Roma venerdì scorso, ha deciso diproclamare una settimana di astensione della udienze, conun’assemblea nazionale a Roma convocata per il 16 marzo,contro la mediazione obbligatoria.La delibera dell’Oua ­ La delibera messa a punto dall’Oua,sottolinea tutti i punti deboli e gli effetti collterali della media­zione obbligatoria. ”La media­conciliazione obbligatoria, con­fermata in vigore e in funzione per un numero spropositato diprocessi all’anno (quasi 500 mila), limita il diritto del cittadinoall’accesso alla giustizia con scelte inadeguate ­ afferma de Tilla­ che impongono costi non giustificati anche per chi vuoleaccedere direttamente al giudizio, e comportando la possibili­tà di concludere il tentativo di conciliazione con una propostache può avere effetti negativi per la parte vittoriosa in giudi­zio”. Non manca il documento di sottolinerare l’inopportunitàdella scelta dell’Esecutivo di far partire le norme, con l’ecce­zione di due sole materie, malgrado la diversa indicazionedella Commissione Giustizia di Palazzo Madama. ”Il Governocon la presentazione di un maxi­emendamento al ”Decretomille proroghe”, votato con la fiducia, ha disatteso il pareredella Commissione Giustizia del Senato ­ si legge nella nota ­che proponeva lo slittamento dell’obbligatorietà della media­conciliazione in attesa delle modifiche legislative ed ha, inoltre,contrastato ed eluso l’emendamento approvato dalle Com­missioni Riunite Bilancio ed Affari Costituzionali di prorogaper tutte le materie”. Per finire c’è il problema del suppostocontrasto dell’obbligatorietà, per eccesso di delega, con l’arti­colo 24 della Costituzione.E se la mediazione è iscritta alla voce emergenze nell’agendadell’avvocatura rientra invece nell’ordinaria amministrazione laformazione dei legali italiani che, aspettando il varo delle rifor­ma, fanno lievitare il numero delle istanze ricevute e accredita­te dal Consiglio nazionale forense per eventi e attività diformazione continua, come dimostra il rapporto 2010, pre­sentato dal Cnf.La formazione continua ­ In aumento le istanze ricevute eaccreditate dal Cnf per eventi e attività di formazione continuadegli avvocati. Nel 2010 sono state 731 le istanze ricevute(484 nel 2009) per 1139 iniziative formative (992 nel 2009) e

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3Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 2011

sono state rispettivamente 578 (376 nel 2009) e 880 (713 nel2009) quelle accreditate dalla Commissione per l’accesso e laformazione e per l’assegnazione dei crediti formativi del Con­siglio nazionale forense. Il tasso di accreditamento generale siè mantenuto costante, il 79 per cento.Sono aumentati del 12% gli eventi aggiornamento promossi daenti formativi (come master. convegni, corsi di aggiornamen­to), mentre si è registrata una riduzione delle attività formati­ve organizzate e promosse dagli studi legali.Stesso trend al ribasso per gli eventi in modalità e­learning,che rappresentano il 21% delle iniziative formative promossein generale. Le istanze presentate nel 2010 sono state 118 per195 iniziative formative, di cui 132 accreditate. La prassi diaccreditamento delle iniziative in modalità e­learning, conside­rata la loro specificità, è centrata sulla valutazione dei sistemidi monitoraggio dell’effettiva e continua partecipazione delprofessionista, ulteriore e fondamentale requisito per l’accre­ditamento di tali iniziative nei termini del Regolamento sullaformazione continua.In merito all’adempimento della formazione continua, il Consi­glio nazionale forense ha deliberato, nella seduta amministrati­va del 22 gennaio, di ammettere un recupero di 15 creditiformativi entro il 31 luglio prossimo per gli avvocati che nonhanno maturato i 50 crediti formativi nel corso del primotriennio (2007­2010) di applicazione del regolamento sullaformazione, fermo restando in ogni caso l’assolvimento del­l’obbligo di formazione continua per il triennio 2011­2013. Ladecisione del Cnf nasce dalla considerazione che il primotriennio ha costituito una fase sperimentale ”impegnativa”quanto alle modalità di offerta e di assolvimento dell’obbligo.La delibera dell’OuaIl rapporto sulla formazione

A CURA DI LEX24CIRCOLAZIONE STRADALE E CODEICE DELLA

STRADA

Pa senza discrezionalità assoluta sulla posizione degliautovelox fissi

Guida al Diritto ­ LE SENTENZE DEL GIORNO

Corte di cassazione ­ Sezione II civile ­ Sentenza 15febbraio 2011 n. 3701

L’automobilista che ha preso una multa può impugnare lasanzione contestando il posizionamento dell’autovelox fisso.Questa scelta, infatti, non rientra nell’ambito dell’attività di­screzionale della pubblica amministrazione ma deve avvenirenel pieno rispetto dei parametri contenuti nel Codice dellastrada.Lo ha affermato la seconda sezione civile della Cassazione conla sentenza 3701/2011 che ha accolto il ricorso di un automo­bilista multato per eccesso di velocità da un autovelox fisso.

Secondo il trasgressore la via non aveva i requisiti per esseredefinita ”strada urbana di scorrimento” con la conseguenzache la sanzione doveva essere annullata. Il tribunale ha respin­to la domanda affermando che far rientrare una strada traquelle urbane di scorrimento rappresenta una questione didiscrezionalità tecnica riservata agli organi della Pa. La Cassa­zione, però, ha rovesciato il verdetto affermando che esuladalla discrezionalità amministrativa l’inclusione di una stradanell’elenco contenuto nel decreto del Prefetto e che, di con­seguenza, il giudice può valutare che si stata rispettata lanormativa.

Corte di Cassazione Sezione 2 CivileSentenza del 15 febbraio 2011, n. 3701Integrale

CIRCOLAZIONE STRADALE E CODICE DELLA STRADA ­ RILEVA­ZIONE AUTOMATICA DELLA VELOCITA’ CON AUTOVELOX ­AUTORIZZAZIONE DEL PREFETTO ­ MULTA ANNULLABILE

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESECONDA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. GIOVANNI SETTIMJ ­ Presidente ­Dott. STEFANO PETITTI ­ Consigliere ­

Dott. IPPOLISTO PARZIALE ­ Rel. Consigliere ­Dott. PASQUALE D’ASCOLA ­ Consigliere ­Dott. CARLO DE CHIARA ­ Consigliere ­

ha pronunciato la seguenteSENTENZAsul ricorso 8417­2009 proposto da:Ar. Fa. S.r.l. (...), in persona del legale rappresentante protempore sig. Gi. Ca. elettivamente domiciliato in Ro., V.le delleMi. (...), presso lo studio dell’avvocato Gi. Ro., che lo rappre­senta e difende unitamente all’avvocato Pa. Ia.;­ ricorrente ­controComune Tr. (...), elettivamente domiciliato in Ro., Via Sa. (...),presso lo studio dell’avvocato Fr. Pi., che lo rappresenta edifende unitamente agli avvocati Gi. De Pi., Ga. Pi., Al. Ta., An.Co.;­ controricorrente ­avverso la sentenza n. 160/2009 del TRIBUNALE di TREVISO,depositata il 20/01/2009;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del21/10/2010 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;udito l’Avvocato Pa. Ia., difensore del ricorrente che si riportaagli atti;udito l’Avvocato Fr. Pi., difensore del resistente che si riportaagli atti;udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore GeneraleDott. COSTANTINO FUCCI che ha concluso per il rigettodel ricorso.

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Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 20114

FATTO E DIRITTO1. ­ La controversia trae origine dalla violazione dei limiti divelocità consentiti su strada compresa all’interno del perime­tro urbano del Comune di Tr., toponomasticamente denomi­nata viale Ob., illecito accertato da autovelox collocato inposizione fissa secondo quando previsto dall’art. 4 del decre­to­legge 20 giugno 2002, n. 121 (conv. in legge, con modifica­zioni, dalla legge 1° agosto 2002, n. 168).2. ­ Giudicando in grado di appello, il Tribunale di Treviso, consentenza depositata il 20 gennaio 2009, ha rigettato il gravameproposto dalla proprietaria dell’autoveicolo, S.r.l. Ar. Fa., neiconfronti del Comune di Tr. L’appellante aveva sostenuto l’ille­gittimità dell’uso dell’apparecchio di rilevazione della velocitàcon postazione fissa, perché effettuato all’interno di una stradadi viabilità, priva delle caratteristiche richieste dalla legge peressere classificata, ai sensi dell’art. 2 del Codice della Strada,come strada urbana di scorrimento. L’illegittimità del provve­dimento prefettizio di inserimento della strada in questionenell’apposito elenco predisposto ai sensi del secondo commadell’art. 4 della legge del 2002, determinava l’illegittimità del­l’uso della apparecchiatura in questione e di conseguenza del­l’accertamento della sanzione.Il Tribunale ha ritenuto che far rientrare una strada tra lestrade urbane di scorrimento rappresenta una questione didiscrezionalità tecnica riservata agli organi della pubblica am­ministrazione, insindacabile da parte del giudice ordinario,rigettando quindi l’appello.3. ­ Per la cassazione della sentenza in epigrafe propone ricor­so S.r.l. Ar. Fa., affidato a due motivi. Resiste con controricor­so l’Amministrazione.4. ­ Il primo motivo del ricorso denuncia violazione e falsaapplicazione dell’art. 2, commi 2, lett. C e D del codice dellastrada e dell’art. 4 del decreto­legge n. 121 del 2002. Si trattanon già di esercizio di discrezionalità amministrativa, ma dimera applicazione delle norme di legge che disciplinano lemodalità con le quali è possibile da parte del Prefetto proce­dere alla individuazione delle strade come ”strade di scorri­mento” in presenza dei requisiti strutturali previsti dalla nor­mativa richiamata. Col secondo motivo si deduce vizio dimotivazione.5. ­ All’esito della disposta trattazione del ricorso in camera diconsiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., il ricorso veniva rinviatoalla pubblica udienza. Le parti depositavano memorie e ilProcuratore Generale concludeva per il rigetto del ricorso.6. ­ Il ricorso è fondato e va accolto per quanto di seguito sichiarisce.La questione posta col ricorso consiste nello stabilire se inordine alla qualificazione delle strade urbane come strade discorrimento ai fini della applicazione della normativa citata peril controllo delle infrazioni ai limiti di velocità, si sia in presenzadi una completa discrezionalità amministrativa, oppure sel’Amministrazione ne sia priva, dovendo al riguardo soltantoverificare puntualmente la presenza dei requisiti strutturaliprevisti.Occorre osservare al riguardo che, secondo la giurisprudenza

di questa Corte (Sez. II, 9 gennaio 2009, n. 310), al fine delladisapplicazione, in via incidentale, dell’atto o del provvedimen­to amministrativo, il giudice ordinario può sindacare tutti ipossibili vizi di legittimità ­ incompetenza, violazione di leggeed eccesso di potere estendendo il proprio controllo allarispondenza delle finalità perseguite dall’Amministrazione conquelle indicate dalla legge, ma non ha il potere di sostituirel’Amministrazione stessa (operando un sindacato di merito ditipo sostitutivo del giudizio espresso dall’Amministrazione)negli accertamenti e valutazioni di merito, quali sono quelliinerenti alla scelta in concreto degli strumenti adeguati perassicurare gli interessi generali contemplati dalla legge o nellavalutazione delle situazioni di fatto in funzione dell’applicabilitào meno delle misure previste dalla legge, che sono d’esclusivacompetenza degli organi ai quali è attribuito il potere di perse­guire in concreto le finalità di pubblico interesse normativa­mente determinate. Nella fattispecie regolata dall’art. 4 deldecreto­legge 20 giugno 2002, n. 121, è rimessa al Prefetto,previa consultazione degli organi di Polizia Stradale competen­ti per territorio e su conforme parere dell’ente proprietario,l’individuazione delle strade (o di singoli tratti di esse), diversedalla autostrade o dalle strade extraurbane principali, nellequali non è possibile il fermo di un veicolo, ai fini della conte­stazione immediata delle infrazioni, senza recare pregiudizioalla sicurezza della circolazione, alla fluidità del traffico odall’incolumità degli agenti operanti o dei soggetti controllati, eciò sulla base della valutazione del tasso d’incidentalità nonchédelle condizioni strutturali, plano­altimetriche e di traffico. E’del tutto evidente come nella formazione del provvedimentoin questione converga una pluralità di valutazioni, effettuate daparte degli organi ed uffici indicati (anche con efficacia vinco­lante: parere conforme dell’ente proprietario), di natura nonsolo strettamente tecnica, ma anche ampiamente discreziona­le, in quanto formulate sulla base d’apprezzamenti ponderatisia delle situazioni di fatto, sia delle molteplici esigenze daprendersi in considerazione al fine di regolare il traffico sullastrada considerata, o tratto di essa, nell’ambito della gestionecomplessiva della circolazione stradale sul territorio. Tali valu­tazioni, che costituiscono le condizioni dell’esercizio del pote­re prefettizio previsto dalla norma in esame, in quanto attinen­ti al merito dell’attività amministrativa, non sono suscettibili disindacato da parte dell’autorità giudiziaria, ordinaria od ammi­nistrativa che sia, il cui potere di valutazione, ai fini delladisapplicazione per l’una e dell’annullamento per l’altra, è limi­tato all’accertamento dei soli vizi di legittimità dell’atto. Ma levalutazioni attinenti al merito dell’attività amministrativa, equindi insindacabili, sono esclusivamente quelle relative al tas­so d’incidentalità, alle condizioni strutturali, plano­altimetrichee di traffico per le quali non è possibile procedere al fermo diun veicolo senza recare pregiudizio alla sicurezza della circola­zione, alla fluidità del traffico o all’incolumità degli agenti ope­ranti e dei soggetti controllati. L’art. 4 del decreto­legge citatonon conferisce al Prefetto il potere di inserire nello specificoelenco una strada, facendo uso di criteri diversi da quelliprevisti dall’art. 2, comma 3, del codice della strada: di talché,

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5Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 2011

ove il Prefetto ecceda dai limiti segnati dalla norma del codicedella strada, il giudice ordinario può disapplicare, in via inci­dentale, l’atto o il provvedimento amministrativo.Di conseguenza l’esame richiesto a tal fine dall’appellante circala sussistenza o meno dei requisiti strutturali nel tratto distrada in questione, necessari ai fini dell’inserimento dellastessa nel decreto prefettizio, doveva essere compiuto dalgiudice dell’appello, non trattandosi di attività della Pubblicaamministrazione nell’ambito della sua discrezionalità ammini­strativa. Di qui l’accoglimento del ricorso e la cassazione dellasentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame ad altromagistrato del Tribunale di Treviso, che verificherà se l’inclu­sione della strada in questione nell’elenco contenuto nel de­creto prefettizio sia stata operata o meno nel rispetto dellanormativa del Codice della Strada che individua le caratteristi­che strutturali che deve possedere una strada per esserequalificata come ”strada urbana di scorrimento”.P.T.M.La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata erinvia, anche per le spese, ad altro magistrato del Tribunale diTreviso.Riferimenti:Legge Giurisprudenza© Copyright Il Sole 24 Ore ­ Tutti i diritti sono riservati

VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZAFAMILIARE

Il coniuge separato non può autoridurre l’assegno dimantenimento

Guida al Diritto ­ LE SENTENZE DEL GIORNO

Corte di cassazione ­ Sezione VI ­ Sentenza 14 dicem­bre 2010­15 febbraio 2011 n. 5752

Il coniuge separato non può decidere autonomamente di ri­durre l’assegno che versa all’ex. La Corte di cassazione, con lasentenza 5752 specifica che, soltanto la comprovata incapacitàdi far fronte all’impegno, consente di diminuire l’importo diquanto dovuto. Incorre dunque nel reato di violazione degliobblighi di assistenza familiare chi, in assenza di una prova diindigenza o di impossibilità a rispettare la cifra pattuita, tra­sgredisce quanto stabilito dal giudice in sede di separazione,grazie a un confronto fra le parti e nell’interesse del minore.

Corte di Cassazione Sezione 6 PenaleSentenza del 15 febbraio 2011, n. 5752

VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE ­RIDUZIONE ASSEGNO DI MANTENIMENTO ­ PROVA DI INDI­GENZA ­ NECESSITA’

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo ItalianoLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE PENALEComposta da:

Saverio F. Mannino ­ Presidente ­Arturo Cortese ­ Consigliere ­Anna Maria Fazio ­ Relatore ­

Anna Petruzzellis ­ Consigliere ­Giorgio Fidelbo ­ Consigliere­

ha pronunciato la seguenteSENTENZA

sul ricorso proposto da:Fr. Ci.avverso la sentenza del 17 febbraio 2009 della Corte di Appel­lo di Napoli;visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere Anna Maria Fazio;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procura­tore Generale Luigi Riello, che ha concluso chiedendo il riget­to del ricorso;.RITENUTO IN FATTO1. La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza indicata inepigrafe, ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale diSanta Maria Capua Venere, con cui Fr. Ci. è stato ritenutoresponsabile del delitto di cui all’art. 570 c.p. per avere fattomancare i mezzi di sussistenza alla moglie ed ai figli minori,non corrispondendo l’assegno mensile di Euro 416,17, stabili­to in sede di separazione consensuale, e del delitto di ingiuriain danno della moglie, apostrofata con epiteti offensivi.2. Ricorre il difensore nell’interesse del condannato e deduceerroneità ed illogicità della motivazione per avere, senza ade­guata spiegazione, definito sporadici i versamenti operati infavore dei familiari, laddove egli aveva comunque versato quasi6 mila Euro e cioè una somma considerevole. La Corte avreb­be dovuto, invero, dare adeguata spiegazione del suo convinci­mento in ordine all’irrilevanza di tale parziale adempimento,inoltre sarebbe superficiale la considerazione delle di lui capa­cità economiche. Con un secondo motivo nega che il giudicedistrettuale abbia dato riposta ai motivi di gravame concer­nenti il delitto di ingiuria.CONSIDERATO IN DIRITTO1. Preliminarmente è da dare atto che la parte offesa Fr. Sf. harimesso la querela, in data 21 settembre 2009, ed Fr. Ci. haaccettato tale atto, come risulta dal verbale redatto dai CC diSa. Ni. La St., allegato al ricorso.2. Ciò comporta l’annullamento senza rinvio della impugnatasentenza limitatamente al reati di ingiuria e mancata prestazio­ne dei mezzi di sussistenza in favore del coniuge, per l’avvenu­ta remissione, in difetto, peraltro, di una evidente incolpevo­lezza del ricorrente ai fini di una più favorevole declaratoria.3. Il primo motivo, il cui esame, va limitato, dunque, allaposizione dei minori, non ha fondamento.Il corretto adempimento dell’obbligazione gravante sul genito­re in favore dei minori consiste nella dazione (messa a disposi­zione del minore) dei mezzi di sussistenza, nella qualità e nel

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Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 20116

valore fissato dal giudice e comporta, di necessità ed agli effettidell’applicazione del disposti normativi dell’art. 570 c.p.v. c.p.,n. 2, l’apprestamento solo ed esclusivamente di quel bene o diquel valore che il giudice della separazione o del divorzio haritenuto di determinare, nel dialettico confronto delle parti enel superiore interesse del soggetto debole, oggetto di tutelaprivilegiata. Non è pertanto consentito al soggetto tenuto diautoridurre l’assegno disposto a favore dei minori, salva la suacomprovata incapacità di far fronte all’impegno.4. Nel caso in esame, in relazione agli individuati parametridella norma penale, il giudice distrettuale ha correttamenteosservato che Fr. Ci. da un lato non aveva soddisfatto compiu­tamente alla propria obbligazione, in favore dei minori, il cuistato di bisogno era da presumere, non avendo costoro capa­cità lavorativa e reddituale; e daII’altro non aveva nemmenodimostrato di versare in condizioni di indigenza o di impossibi­lità ad adempiere compiutamente, nonostante fosse certo cheegli avesse un’attività lavorativa stabile.5. Tale ragionamento puntuale ed aderente alle circostanze difatto emerse nel corso della istruttoria è, pertanto sottratto alsindacato di questa corte, che ne deve riscontrare la logicità ela congruenza e quindi la insindacabilità ai sensi dell’art. 606lett. E c.p.p.6. in conseguenza della avvenuta rimessione, è da ridetermina­re la pena per il delitto in danno dei minori, cui questa cortepuò procedere direttamente, non dovendosi operare alcunnuovo accertamento di fatto. Infatti, va eliminata la pena pecu­niaria di Euro 80 relativa al delitto di ingiuria e diminuitaproporzionalmente quella per il capo A, di un terzo, cherappresenta la misura della pena per ciascuna delle parti offe­se; pertanto, la pena base da tre mesi di reclusione ed Euro100 di multa, va portata a due mesi di reclusione ed Euro 100di multa, su cui va operata la diminuzione per effetto delleconcesse attenuanti generiche. Si perviene al risultato di unmese e dieci giorni di reclusione ed Euro 67 di multa.P.Q.M.Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alreato di ingiuria ed a quello di cui al capo A per la imputazionecon riguardo al coniuge perché estinti per remissione di que­rela. Rigetta il ricorso nel resto, rideterminando la pena in unmese e dieci giorni di reclusione ed Euro 67 di multa.Riferimenti:Legge Giurisprudenza© Copyright Il Sole 24 Ore ­ Tutti i diritti sono riservati

DIFFAMAZIONE

Forza Nuova si può definire razzista e fascista

Guida al Diritto ­ LE SENTENZE DEL GIORNO

Corte di cassazione ­ Sezione V ­ Sentenza 28 ottobre 2010­10febbraio 2011 n. 4938

La Corte di cassazione conferma l’assoluzione, dal reato didiffamazione, del giornalista del Corriere della sera PaoloBrogi e del direttore responsabile Paolo Mieli, querelati dalsegretario di Forza Nuova Roberto Fiore. A scatenare le ire diFiore era stato un articolo in cui la formazione di estremadestra veniva definita, dall’allora vice presidente della provinciadi Roma Nando Simeone, portatrice di valori come la ”xeno­fobia, il razzismo, la violenza e l’antisemitismo”. Nell’articoloincriminato ­ scritto in occasione del corteo di Forza Nuova apiazza Mazzini a Roma ­ Simeone dichiarava non tollerabileche ”a organizzazioni chiaramente fasciste” fossero concessispazi politici e di espressione. Espressioni legittime secondo lacassazione che rientrano in un legittimo esercizio del diritto dicritica politica. Altrettanto lecito, per gli ermellini, il compor­tamento del giornalista che, esercitando il suo diritto di crona­ca, le ha riportate. I giudici ricordano, infatti, di aver ricono­sciuto l’esimente del diritto di critica storica e politica quandola stessa associazione era stata bollata come ”neofascista eneonazista”. Definizioni ­ conclude il collegio ­ che alla luce deidati storici e dell’assetto normativo vigente durante il venten­nio fascista , in particolare delle leggi razziali, non possonoessere considerate lontane dalla verità.

Corte di Cassazione Sezione 5 PenaleSentenza del 10 febbraio 2011, n. 4938

Reati contro la persona ­ Delitti contro l’onore ­ Diritto di criticastorica e politica ­ Razzista e nazista ­ Esponente fascista ­ Diffa­mazione ­ Reato ­ Esclusione

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESezione V Penale

Composta dagli Ill.mi Signori:dr. Andrea COLONNESE ­ Presidente

dr. Vito SCALERA’ ­ Consiglieredr. Gian Giacomo SANDRELLI ­ Consigliere

dr. Maurizio FUMO ­ Consiglieredr. Paolo Antonio BRUNO ­ Consigliere

ha pronunciato la seguenteSENTENZA

sul ricorso proposto il 24.5.2010 dal Procuratore della Repub­blica presso il Tribunale di Roma avverso la sentenza emessadal GUP di quello stesso Tribunale del 23 aprile 2010 nelprocedimento penale a carico di Na. Si., nato a Ca. il (...), Pa.Br., nato a La. il (...) e Pa. Mi., nato a Mi. il (...).Letto il ricorso e la sentenza impugnata.Letta la memoria difensiva depositata in favore dell’imputato.Sentita la relazione del Consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO.Udite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona delSostituto dr. Francesco Salzano, che ha chiesto il rigetto delricorso.SVOLGIMENTO DEL PROCESSOCon la sentenza indicata in epigrafe, il GUP del Tribunale di

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7Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 2011

Roma, pronunciando ai sensi dell’art. 425 c.p.p., dichiarava nondoversi procedere nei confronti di Na. Si., Pa. Br. e Pa. Mi., conformula, per i primi due, perché il fatto non costituisce reato,e nei confronti di Pa. Mi. perché il fatto non sussiste.La vicenda in questione riguardava un articolo pubblicato nellaCr. di Ro. del quotidiano Co. De. Se., a firma di Pa. Br. (Pa. Mi.era il direttore responsabile), riproducente le dichiarazioni diNa. Si. (al tempo vice presidente della Provincia di Ro.), oltreche di Ma. Sm. (al tempo parlamentare), nei confronti delquale era stato già disposto il proscioglimento per improcedi­bilità dell’azione penale, in quanto le dichiarazioni rese avreb­bero dovuto ritenersi esercizio di funzione politica. Le dichia­razioni di Na. Si. riguardavano il corteo che la formazionepolitica Fo. Nu. aveva organizzato e programmato per le viedel quartiere Pr. di Ro. ed il relativo contenuto era statoritenuto diffamatorio dal querelante Ro. Fi. costituitosi partecivile. In particolare l’articolo, intitolato ”Co. di Fo. Nu. daPiazza Ma. Paura nel quartiere Pr.”, riportava le dichiarazionedi Na. Si. secondo cui non è tollerabile infatti che spazi politicie di espressione siano lasciati a disposizione di organizzazionichiaramente fasciste e che sono portatori di valori quali laxenofobia, il razzismo, la violenza e l’antisemitismo, A carico diNa. Si. e di Pa. Br. era stato ipotizzato il reato di cui agli artt.110, 595, commi 1, 2, 3 in relazione all’art. 13 L. n. 47/48,mentre a carico di Pa. Mi. era configurato il reato di cui all’art.57 c.p. per omesso controllo sulla pubblicazione, in rapportoal reato di cui all’art. 595 c.p.Reputava il giudicante che, quanto a Na. Si., il fatto fossescriminato dal legittimo esercizio del diritto di critica politica,indipendentemente dalla corrispondenza al vero che l’organiz­zazione cui si era fatto riferimento avesse le caratteristicheindicate nell’imputazione; e che, quanto all’articolista, ricorre­vano gli estremi dell’esimente del diritto di cronaca, essendosiegli limitato a riportare, virgolettandole, le dichiarazioni disoggetto politico, alla cui conoscenza vi era certamente uninteresse pubblico.Avverso la decisione anzidetta il sostituto procuratore pressoil Tribunale di questa città ha proposto ricorso per cassazioneaffidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.MOTIVI DELLA DECISIONE1. ­ Il P.M. ricorrente denuncia errata interpretazione ed appli­cazione degli artt. 51 c.p. e 21 Cost. in relazione all’art. 595c.p., in tema di critica politica. Contesta, in particolare, l’assun­to secondo cui la scriminante del diritto di critica fosse deltutto svincolata dal rispetto del limite della verità del fatto. Asuo dire, il limite della verità dei fatti era invece operante, inquanto diversamente la critica politica travalicava in pura esemplice aggressione alla reputazione altrui. Nel caso di spe­cie, Na. Si. aveva espresso giudizio sul conto dell’associazionepresieduta dal querelante, che aveva tacciato di antisemitismo,benché varie pronunce giudiziarie avessero escluso che l’anti­semitismo rientrasse nei programmi e nella prassi di quellastessa associazione.2. ­ Non ricorrono, per vero, i denunciati vizi di legittimità,avendo il GIP motivato, con argomentazioni logiche e formal­

mente corrette, il suo convincimento in ordine all’insussisten­za di elementi sufficienti a sostenere l’accusa in dibattimento.Al riguardo, ha tenuto conto della ritenuta configurabilità, inconcreto, dell’esimente del diritto di critica politica tale dapoter giustificare il fatto asseritamente lesivo della reputazionedella persona offesa; e, per quanto riguarda l’articolista, dellacorrettezza del suo operato nell’esercizio del diritto di crona­ca, essendosi egli limitato a riportare, virgolettandole, le di­chiarazioni del parlamentare, la conoscenza delle quali rispon­deva ad un interesse pubblico, secondo indiscusso insegna­mento di questa Corte regolatrice in tema di intervista.Sotto il primo profilo, afferente alla posizione di Na. Si., non èmeritevole di censura l’apprezzamento del GUP in ordine allimitato rilievo che il rispetto della verità del fatto assume inriferimento all’esercizio del diritto di critica politica, necessa­riamente affievolito rispetto alla diversa incidenza sul versantedel diritto di cronaca, sul condivisibile rilievo che la critica, inquanto espressione di opinione meramente soggettiva, ha persua natura carattere congetturale, che non può, per definizio­ne, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (cfr. Cass.sez. 5,16.11.2005, n. 6416). Il limite immanente all’eserciziodel diritto di critica, allora, é essenzialmente quello del rispet­to della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire meraoccasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie ag­gressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l’utilizzodi argomenta ad hominem (cfr., tra le altre, Sez. 5, 25.9.2001,n. 38448; id. Cass. Sez. 1,10.6.2005, n. 23805, rv. 231764).Nel caso di specie, il giudicante ha ritenuto irrilevante, proprioin quanto la fattispecie non debordava dai limiti della criticapolitica, la verifica della verità della presenza dei connotati dixenofobia, razzismo, violenza ed antisemitismo nel modo diessere e di porsi dell’associazione Fo. Nu., attestandosi così,sul piano concettuale e giuridico, su una linea di valutazioneanche meno incisiva rispetto all’assunto di questa Corte rego­latrice, che ha riconosciuto l’esimente del diritto di criticastorica e politica nell’attribuzione ­ agli appartenenti a quellastessa associazione ­ di espressioni quali nazifascismi e neona­zisti, sul riflesso che, alla luce dei dati storici e dell’assettonormativo vigente durante il ventennio fascista, segnatamentedelle leggi razziali ­ r.d. n. 1728 del 1938 e relative leggi diattuazione la qualità di fascista non può essere depurata dallaqualità di razzista e ritenersi incontaminata dall’accostamentoal nazismo, il che fornisce base di verità alle espressioni dicritica in quella sede esaminate (cfr. Cass. Sez. 5, 8.1.2010, n.10449, rv. 247132). E, sempre in dimensione storica, qualifichedi xenofobia, razzismo, violenza ed antisemitismo attengono aprincipi o valori (o disvalori, a seconda della diversa angolazio­ne prospettica), intimamente connaturati e strutturalmentecoessenziali alla ideologia nazista e fascista. Il giudice di meritonon ha ravvisato gli estremi del denunciato pregiudizio allareputazione, nei termini di un apprezzamento squisitamente difatto, che, in quanto adeguatamente e logicamente formulato,si sottrae al sindacato di legittimità.Tale delibazione sostanzia, quindi, il giudizio di insussistenza dielementi sufficienti, univoci e comunque idonei per sostenere

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Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 20118

l’accusa in un giudizio dibattimentale, nel pieno rispetto, dun­que, dei limiti della valutazione prognostica che è demandataal giudice dell’udienza preliminare, ai fini dell’emissione dellasentenza di non luogo a procedere. Valutazione che deverisolversi nel rilievo della mancanza di condizioni su cui fonda­re la prognosi di evoluzione, in senso favorevole all’accusa, delmateriale di prova raccolto (cfr. Cass. sez. 2, 18.3.2008, n.14034, rv. 239514), in funzione del richiesto giudizio di inutilitàdel dibattimento.2. ­ Per quanto precede, il ricorso deve essere rigettato, con leconsequenziali statuizioni espresse in dispositivo.P.Q.M.Rigetta il ricorso.Riferimenti:Legge Giurisprudenza© Copyright Il Sole 24 Ore ­ Tutti i diritti sono riservati

BENI DEMANIALI

Beni pubblici con flessibilità

Negri Giovanni, Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi, 17 febbraio 2011 ­Pagina 31

MILANOBene pubblico anche senza proprietà dello Stato. Flessibilitànell’attribuzione dei beni al demanio. Impegno dello Stato auna governance che renda effettive le varie forme di godimen­to e di uso pubblico. La Cassazione, nella sentenza delleSezioni unite civile n. 3811 depositata ieri, fa il punto sullanatura e le condizioni dei beni da considerare di rilevanzapubblica. E lo fa risolvendo una causa che aveva visto unasocietà a responsabilità limitata che ha costruito un complessoedilizio nella laguna di Venezia all’amministrazione pubblica. LeSezioni unite hanno concluso per la natura pubblica della vallidi pesca in comunicazione per parte dell’anno con il mareapertoLa Cassazione ricostruisce il tessuto normativo che conducealla determinazione del bene pubblico, sottolineando innanzi­tutto che il riferimento del Codice civile è ormai del tuttoinsufficiente: va infatti integrato con le misure successive alledisposizioni del 1942, a partire da quelle costituzionali. E quivengono in primo piano norme come quelle dell’articolo 9della Costituzione sulla tutela del paesaggio oppure comel’articolo 42 sul riconoscimento dell’esistenza di una dupliceforma di proprietà. Emerge allora «l’esigenza interpretativa di”guardare” al tema dei beni pubblici oltre una visione pretta­mente patrimonaile­proprietaria per approdare ad una pro­spettiva personale collettivistica». Non più lo Stato apparatoquindi, ma lo Stato collettività.In questo senso, ad attenuarsi è il vincolo di proprietà, quando,per esempio, un bene immobile, indipendentemente dalla suatitolarità, ha una particolare connotazione, come quella am­bientale, tale da essere collegato alla realizzazione degli inte­

ressi di tutti i cittadini. Naturalmente vale poi anche una sortadi contraltare, con forme di trasferimento dei beni apparte­nenti al demanio: «se quindi da un lato sono già ipotizzabili nelnostro ordinamento norme caratterizzanti il godimento e lafruizione, a vario titolo, di beni da parte della collettività,dall’altro lato, altre norme risultano destinate a scindere ilbinomio bene pubblico demaniale­indisponibilità, nel sensoche prevedono il trasferimento, sulla base di determinati pre­supposti e in relazione a specifici fini, di beni dello Stato».Diventano cioè aspetti «scindibili» la proprietà pubblica delbene e la destinazione dello stesso ad usi e finalità pubbliche.In questo quadro devono essere incasellate, nella ricostruzio­ne delle Sezioni unite, le leggi che hanno per oggetto latrasformazione degli enti pubblici economici in società perazioni o il trasferimento a società di capitali di beni pubblici daparte degli enti locali.Quanto alla demanialità, rilevante nel caso in questione, leSezioni unite avvertono che questa esprime una duplice appar­tenenza alla collettività e all’ente deputato, con la seconda adavere caratteristiche soprattutto ”di servizio” perché è l’enteche deve assicurare la conservazione delle caratteristiche delbene e la loro fruizione da parte del pubblico. Ed è a questopunto che la sentenza parla esplicitamente di «oneri di unagovernance» che renda effettive le varie forme di godimento edi uso pubblico del bene.© RIPRODUZIONE RISERVATALa distinzioneSezioni unite civili, sentenza n. 3811Sicchè, al fine di riconoscere se in concreto il particolare benedi cui si discute fa parte della realtà materiale che la norma,denominandola, inserisce nel demanio, si deve tenere conto inmodo specifico del duplice aspetto finalistico e funzionale checonnota la categoria dei beni in questione. Ne consegue anco­ra che la titolarità dello Stato (come Stato­collettività, vale adire come ente espositivo degli interessi di tutti) non è fine asè stessa e non rileva solo sul piano proprietario ma comportaper lo stesso gli oneri di una governance che renda effettivi levarie forme di godimento e di uso pubblico del beneRiferimenti:Legge© Copyright Il Sole 24 Ore ­ Tutti i diritti sono riservati

Corte di Cassazione Sezioni Unite CivileSentenza del 16 febbraio 2011, n. 3811I

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. PAOLO VITTORIA ­ Primo Presidente f.f. ­

Dott. ENRICO PAPA ­ Presidente Sezione ­Dott. VINCENZO PROTO ­ Presidente Sezione ­

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9Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 2011

Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO ­ Consigliere ­Dott. RENATO RORDORF ­ Consigliere ­Dott. SAVERIO TOFFOLI ­ Consigliere ­

Dott. GIOVANNI AMOROSO ­ Consigliere ­Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO ­ Rel. Consigliere ­

Dott. PAOLO D’ALESSANDRO ­ Consigliere ­ha pronunciato la seguenteSENTENZAsul ricorso 17073­2009 proposto da:Bl. Va. S.r.l., già Bl. Va. S.p.a. (...), in persona del legale rappre­sentante pro­tempore, elettivamente domiciliata in Ro., ViaAr. (...), presso lo studio dell’avvocato Fr. Di Ma., che la rap­presenta e difende unitamente agli avvocati Vi. Bi., Gi. Ma., perdelega a margine del ricorso;­ ricorrente ­controMinistero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero del­l’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro­tem­pore, Agenzia del Demanio, in persona del Direttore pro­tem­pore, elettivamente domiciliati in Ro., Via dei Po. (...), pressol’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difendeope legis;­ controricorrenti ­avverso la sentenza n. 181/2009 della CORTE D’APPELLO diVENEZIA, depositata il 03/02/2009;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del28/09/2010 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;uditi gli avvocati Fr. Di Ma., Fr. Le. e Ma. Di Ca. dell’AvvocaturaGenerale dello Stato;udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. DOME­NICO IANNELLI, che ha concluso per l’accoglimento p.q.r.del ricorso.Svolgimento del processoCon atto di citazione notificato in data 29.6.1994, la Bl. Va.S.p.a. conveniva innanzi al Tribunale di Venezia, l’Amministra­zione delle Finanze, l’Amministrazione dei Trasporti e dellaNavigazione e l’Amministrazione dei Lavori Pubblici per sentiraccertare la privata proprietà del complesso immobiliare, sitonella laguna No. di Ve., parte nel Comune di Mu. di Pi.,denominato Va. Do. Ma., accertare l’invalidità degli atti didiffida e di intimazione in data 4.7.1989, 10.6.1991 e 19.5.1994,contro di essa emessi dall’Amministrazione al fine di ottenereil rilascio del complesso in ragione della sua presunta apparte­nenza al demanio marittimo ”necessario” e per sentir condan­nare le amministrazioni convenute al risarcimento dei danniderivati dall’illecita pretesa di demanialità della valle, avanzatecon le sopra richiamate diffide. Deduceva di essere proprieta­ria della Va. Do. Ma. sulla base di regolari titoli di compraven­dita risalenti sino al diciannovesimo secolo; sottolineava che levalli da pesca (aree lagunari definite comunemente ”lagunamorta”, separate dalla laguna aperta ”o viva” da una recinzio­ne fissa costituita da pali o argini, nelle quali si pratica da secolila ”vallicoltura” e che, da epoca antichissima, sono state ogget­to di non contrastati atti di trasferimento di proprietà traprivati) compresa la Va. Do. Ma., erano sempre state di pro­

prietà privata come gli studi storici, la dottrina e la giurispru­denza susseguitisi nel tempo avevano costantemente afferma­to e come poteva ricavarsi dalla stessa legislazione austriaca edal c.d. Catasto de Bernardi (1843­1844) e, prima ancora daquello napoleonico, catasto quest’ultimo nel quale i vallicoltoririsultavano censiti come proprietari ed in quanto tali assogget­tati ad imposizione fondiaria; deduceva che la Va., anche sullascorta della legislazione speciale per la Laguna veneta (legge n.366/63), per la sua conformazione morfologica e per l’assenzadi libera comunicazione con la laguna (e dunque anche con ilmare) è incontestabilmente estranea al demanio marittimo,anche per l’assoluta inidoneità agli usi marittimi quali la naviga­zione, la balneazione e la pesca c.d. vagantiva.Le Amministrazioni convenute si costituivano ritualmente edeccepivano preliminarmente il difetto di legittimazione passivadel Ministero dei Trasporti e della Navigazione nonché deilavori pubblici, assumendo che l’attrice occupava i beni immo­bili in questione senza alcun titolo, trattandosi di beni apparte­nenti al Demanio. Richiamavano in proposito il disposto del­l’articolo 28 del codice della navigazione sulla scorta del qualesono ricompresi nel Demanio marittimo il lido, la spiaggia, iporti e le rade ma anche le lagune, le foci dei fiumi chesboccano in mare e i bacini di acqua salsa e salmastra chealmeno durante una parte dell’anno comunicano con il mareed infine i canali utilizzabili ad uso comune marittimo; sottoli­neavano come il regime di proprietà pubblica. della lagunarisaliva almeno al 1725, quando cioè la Repubblica di Veneziaaveva riservato il territorio lagunare alle esigenze di sicurezzae agli interessi di Venezia, determinandone definitivamente iconfini con decreto 5.3.1791; che in detta situazione era inter­venuto il Regolamento del Governo austriaco 20.12.1841, cheaveva confermato l’appartenenza, ab origine, dei bacini dellevalli allo Stato in quanto ”fondi pubblici”; che un siffatto regimeaveva trovato conferma, nella successiva normativa dello Statoitaliano, sino alla legge n. 366/1966; concludevano per il rigettodella domanda chiedendo che, accertata la proprietà demania­le dei beni, l’attrice fosse condannata al rilascio dell’immobileed al pagamento della indennità di occupazione, da liquidarsi inseparato giudizio.Espletata consulenza di ufficio, l’adito Tribunale, con sentenzan. 3086/2003, depositata in data 1/12/2003, accertata la caren­za di legittimazione del Ministero dei Trasporti e del Ministerodei Lavori Pubblici accoglieva la domanda e dichiarava la Bl. Va.S.p.a. piena proprietaria del complesso immobiliare denomina­to ”Va. Do.”; rigettava la domanda di risarcimento danni pro­posta dall’attrice e le riconvenzionali dei convenuti.A seguito dell’appello, in via principale, da parte del Ministerodell’Economia e delle Finanze, del Ministero delle Infrastruttu­re e dell’Agenzia del Demanio e dell’appello in via incidentale,da parte della Bl. Va., la Corte d’Appello di Venezia, con ladecisione in esame, n. 181/2009, depositata in data 3.2.2009,così decideva:”la Corte, definitivamente pronunciando, dichiarata l’inammis­sibilità dell’appello proposto dall’Amministrazione delle Infra­strutture e dei Trasporti, in parziale riforma dell’impugnata

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sentenza del Tribunale di Venezia, accerta e dichiara la naturademaniale dei beni vallivi di cui è causa limitatamente aglispecchi d’acqua e non anche delle terre emerse poste entro isuoi confini; condanna l’appellata Bl. Va. all’immediato rilasciodi detti beni, e, in via generica, al pagamento in favore dell’Am­ministrazione dell’Economia e delle Finanze nonché dell’Agen­zia del Demanio, dell’indennità di occupazione, da liquidarsi inseparato giudizio; respinge l’appello incidentale. ...”.Affermava in particolare la Corte territoriale che ”come giàall’epoca del regolamento approvato dal competente organodell’Impero (giusta dispaccio 8 ottobre 1841 della cancelleriaaulica e pubblicato con notificato 20.12.1841), la laguna eraconsiderata demanio pubblico, nel senso attuale di bene ap­partenente al demanio marittimo necessario che l’art. 28 delcod. nav. individua in beni di origine naturale, la cui proprietànon può che essere pubblica, e quindi distinti da quelli per iquali la demanialità è condizionata dalla loro appartenenza alloStato.Ed invero, il preambolo stesso del predetto regolamento,adottato in conformità ai §§ 287 e 1455 del c.c. austriaco erimasto in vigore fino al r. d.l. 18.6.1936 n. 1835 (essendo delresto pacificamente riconosciuto in vigore, al di là della previ­sta attuazione provvisoria e sperimentale, e dopo alcune ini­ziali incertezze, dall’uniforme giurisprudenza di legittimità siacivile che penale di fine (800 e v 900), evidenzia, senza ombradi dubbio, la sua natura normativa cogente, propria delle leggi(come già inequivocabilmente riconosciuto da Cassazione Fi­renze, sentenza 14.7.1904). In detto regolamento risultaespressamente affermata la demanialità della laguna, concepitaquale sistema comprendente anche le valli da pesca; la lagunainfatti è descritta quale seno d’acqua salsa che si estende dallafoce del Si. alla Co. di Br., che è compreso tra il mare e laterraferma e presenta quindi quelle caratteristiche di unitarie­tà che non consentono di enucleare singoli beni acquei in essoricadenti, al fine di farne risultare caratteristiche differenti.Il che comporta, come ineludibile conseguenza, l’affermazioneper cui tutte le situazioni determinatesi sotto la vigenza dellanormativa sopra indicata (riconfermata in tempi più recentidalle ulteriori disposizioni di legge; v. l’art. 1 della L. 5.3.1963 n.366), non possono che essere regolate alla stessa e dunquedeve ammettersi che i beni acquei di cui si sta discorrendo, inquanto appartenenti al demanio necessario marittimo di origi­ne naturale, non potevamo e non possono formare oggetto diproprietà privata e neppure di altro godimento privato se nonalle condizioni a tal riguardo fissate dalla stessa legge (conces­sione amministrativa, ove possibile e così via).In definitiva, va rilevato che l’appartenenza di un bene aldemanio naturale marittimo (necessario) si pone quale conse­guenza della presenza delle connotazioni fisiche consideratedalla legge, e ciò indipendentemente da atti ricognitivi dell’am­ministrazione o da formalità pubblicitarie (v. Cass. 19.2.1990 n.1228)”.Ricorre per cassazione la Bl. Va. S.r.l. (già Bl. Va. S.p.a.) concinque motivi, e relativi quesiti. Resiste con controricorsol’Amministrazione.

Motivi della decisioneCon il primo motivo si deduce ”falsa ed erronea applicazionedi norme di legge ed in particolare dell’art. 12 delle disp. prel.al c.c.; del regolamento di polizia lagunare austro­ungarico del20.12.1841, del r.d.l. 1853/1963; convertito nella L. 191/1937,della L. 366/1963; violazione e/o falsa applicazione degli artt.822, 823 c.c. e degli artt. 28 e 35 cod. nav. (art. 360 n. 3 c.p.c.);omessa o contraddittoria motivazione su punti decisivi dellacontroversia in prosieguo specificati (art. 360 n. 5 c.p.c.)”.Con il secondo motivo si deduce ”violazione e falsa applicazio­ne dell’art. 28 cod. nav., dell’art. 822 c.c. e contraddittoria einsufficiente motivazione su un punto decisivo e controverso:gli accertamenti del C.t.u. relativi alla non comunicazione delleacque di Va. Do. con il mare e la loro inidoneità a soddisfare gliusi pubblici del mare”. Con il terzo motivo si deduce ”violazio­ne e falsa applicazione del regolamento austriaco del 1841,della L. n. 191/1937, della L. n. 366/1963 con riferimento alrogito notarile 24.11.1805 (versato in atti dal C.t.u. qualeallegato alla sua relazione) e ai suoi effetti (art. 360 n. 3 c.p.c.)ed omessa motivazione su fatto controverso e decisivo per ilgiudizio costituito dal predetto atto notarile”.Con il quarto motivo si deduce ”violazione e falsa applicazionedel combinato disposto degli artt. 2043, 1147, 1148, 1149,1150, 1151, 1152 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)”.Con il quinto motivo si deduce ”violazione e falsa applicazionedi legge: art. 2043 c.c. da valutarsi anche riferimento all’art.1170 c.c. (turbative del possesso), art. 360 n. 3 c.p.c.”.In relazione a detti motivi nella formulazione dei relativi quesitisi chiede alla Corte, rispettivamente di accertare:1) se sia configurabile una demanialità speciale di tipo ”funzio­nale e dinamico” prevalente sulla nozione fisico­geografica;2) se la non comunicazione delle acquee della vale con lalaguna e quindi con il mare rende inidonea la valle a soddisfaregli usi tradizionali del mare;3) se l’atto pubblico del 24.11.1805 costituisca una sdemania­lizzazione dell’area;4) se, la accolta richiesta dell’Amministrazione in ordine alriconoscimento di un credito per l’occupazione della valle noncontrasti con le norme in tema di responsabilità e con lanormativa in tema di possesso in buona fede (artt. 114 9,1150, 1151 e 1152 c.c.) e se, inoltre, una assoluta non inden­nizzabilità per l’asserita natura demaniale del bene non contra­sti con il disposto degli artt. 42, 43, 44 e 47 Cost.;5) se, infine, gli atti di diffida, indirizzati dalla P.a. alla ricorrentenel corso di diversi anni, fossero di per sé idonei a turbare il dilei possesso sulla valle e a compromettere la gestione e laprogrammazione della sua attività di impresa, e ad arrecarledanno.Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte lesuesposte doglianze, da trattarsi congiuntamente (in particola­re il primo, secondo e terzo motivo, con assorbimento degliultimi due), avendo le stesse ad oggetto il medesimo themadecidendum.Deve innanzitutto rilevarsi, sulla base delle argomentazionisopra esposte dalla Corte di merito, che la ratio decidendi

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dell’impugnata decisione, anche al fine di una compiuta valuta­zione delle censure in esame, evidenzia come già all’epoca delregolamento approvato dal competente organo dell’Impero, lalaguna era considerata demanio pubblico, nel senso attuale dibene appartenente al demanio marittimo necessario che l’art.28 del cod. nav. individua in beni di origine naturale, la cuiproprietà non può che essere pubblica, e quindi distinti daquelli per i quali la demanialità è condizionata dalla loro appar­tenenza allo Stato. In particolare, sul punto, la Corte di meritosostiene, da un lato, che anche in base alla normativa previgen­te la laguna (e quindi le valli da pesca) era considerata demaniopubblico, e, dall’altro lato, che tale demanialità trova confermanella vigente legislazione in relazione alle caratteristiche fisichedella laguna (e con essa delle valli da pesca), con particolareriferimento all’art. 28 lettera b c.n. ed ai relativi collegamentifunzionali con il mare.Tale ratio non è di per sé censurabile (e ”resiste” alle censuredella società ricorrente), pur se la Corte ritiene di ampliarlaed integrarla con ulteriori argomentazioni, in virtù del sistemapluralistico delle fonti del diritto civile con particolare riferi­mento alla Costituzione.Il richiamo all’art. 42 Cost., come effettuato dalla societàricorrente, coinvolge non solo il prospettato profilo di censu­ra dell’eventuale indennizzabilità a favore dei ”possessori” mapone l’esigenza (proprio al fine della suddetta necessaria inte­grazione della motivazione dell’impugnata decisione) di rivisi­tare in via interpretativa il sistema normativo vigente, conparticolare riferimento ai dati costituzionali,” al fine della indi­viduazione dei criteri indispensabili per attribuire natura ”nonprivata” ad un bene immobile.La disciplina positiva dei beni pubblici, peraltro, risiede ancora,almeno nelle sue linee fondamentali, nel codice civile (artt.822­831 il quale, com’è noto, con una classificazione non deltutto soddisfacente, divide i beni pubblici, ossia i beni ”appar­tenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici”, intre categorie: beni demaniali, beni patrimoniali indispensabili ebeni patrimoniali disponibili.I beni demaniali, elencati nell’art. 822 c.c., secondo un criteriodi tassatività, hanno come caratteristica comune il fatto diessere beni immobili o universalità di mobili e di appartenerenecessariamente ad enti territoriali, ossia lo Stato, le regioni,le province e i comuni (art. 824 c.c.). Questi beni sono tali oper loro intrinseca qualità (c.d. demanio necessario, ossia ildemanio marittimo, idrico e militare, art. 822 primo comma)o per il fatto di appartenere ad enti territoriali (c.d. demanioaccidentale od eventuale: strade, autostrade, aerodromi, im­mobili di interesse storico ed artistico, raccolte dei musei etc.,art. 822 primo comma c.c.).II regime giuridico di tali beni, contenuto nell’art.. 823 c.c.,prevede che essi sono ”inalienabili e non possono formareoggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limitistabiliti dalle leggi che li riguardano”, il che vuol dire che essinon possono costituire oggetto di negozi giuridici di dirittoprivato, né possono essere usucapiti, in quanto sono del tuttonon commerciabili.

Inoltre, la disciplina del demanio marittimo si completa con lanormativa di cui agli artt. 28­35 del codice della navigazione; inparticolare, l’art. 28, primo comma, lettera c c.n., stabilisceche fanno parte del demanio marittimo ”le lagune, le foci deifiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastrache almeno durante una parte dell’anno comunicano libera­mente col mare”.I beni patrimoniali indisponibili, invece, possono essere siamobili che immobili e possono appartenere anche ad entipubblici non territoriali (art. 3 80 c.c.; a titolo esemplificativo,si pensi ai beni appartenenti agli enti di previdenza). Essi han­no, nella sistematica del codice, carattere residuale. L’art. 826,primo comma, c.c., infatti, esordisce, in negativo, osservandoche i beni ”appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, iquali non siano della specie di quelli indicati dagli articoliprecedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispetti­vamente, delle province e dei comuni”. Anche per questi benisi profila una distinzione tra patrimonio necessario e patrimo­nio accidentale, riconducibile in parte al secondo e terzocomma dell’art. 826 c.c., poiché vi sono beni patrimoniali pernatura (miniere, acque minerali termali, cave e torbiere etc.) ebeni patrimoniali per destinazione (edifici destinati a sede diuffici pubblici, arredi, dotazione del Presidente della Repubbli­ca etc.); l’elencazione dell’art. 826 c.c., inoltre, non è conside­rata tassativa. Riguardo al regime giuridico, l’art. 828, secondocomma, c.c. si limita a stabilire che tali beni ”non possonoessere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabilitidelle leggi che li riguardano”. I beni patrimoniali indisponibili,perciò, sono commerciabili, ma sono gravati da uno specificovincolo di destinazione all’uso pubblico, pur potendo formareoggetto di negozi traslativi di diritto privato.Residuano, infine, i beni patrimoniali disponibili, ai quali non siapplica né il regime dei beni demaniali, né quello dei benipatrimoniali indisponibili, ma quello ordinario del codice civile(art. 828, primo comma, c.c.); essi, proprio in quanto beni didiritto privato, sono commerciabili, alienabili, usucapibili e sog­getti ad esecuzione forzata. Si tratta, in altre parole, di beniche possono appartenere allo Stato e agli enti pubblici allostesso modo in cui possono appartenere a soggetti privati,ossia di beni per i quali non ha senso parlare di vincolo didestinazione.Oggi, però, non è più possibile limitarsi, in tema di individua­zione dei beni pubblici o demaniali, all’esame della sola norma­tiva codicistica del 42, risultando indispensabile integrare lastessa con le varie fonti dell’ordinamento e specificamentecon le (successive) norme costituzionali.La Costituzione, com’è noto, non contiene un’espressa defini­zione dei beni pubblici, né una loro classificazione, ma si limitaa stabilire alcuni richiami che sono, comunque, assai importan­ti per la definizione del sistema positivo.Tuttavia, dagli artt. 2, 9 e 42 Cost., e stante la loro direttaapplicabilità, si ricava il principio della tutela della umana per­sonalità e del suo corretto svolgimento nell’ambito dello Statosociale, anche nell’ambito del ”paesaggio”, con specifico riferi­mento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislati­

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va­codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della ”pro­prietà” dello Stato ma anche riguardo a quei beni che, indipen­dentemente da una preventiva individuazione da parte dellegislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino,sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistemanormativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimentodegli interessi della collettività.L’art. 9 Cost., in particolare, prevede infatti che la Repubblicatutela ”il paesaggio e il patrimonio storico e artistico dellaNazione”, con una affermazione, contenuta nell’ambito deiprincipi fondamentali, che negli ultimi anni ha costituito fonda­mento per una ricca legislazione in tema di beni culturali (ilrichiamo va, in particolare, al decreto legislativo 29 ottobre1999, n. 490, poi abrogato, a decorrere dal l°maggio 2004, daldecreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che contiene ilcodice dei beni culturali e del paesaggio, il cui art. 10 prevedeuna definizione dei beni culturali).A sua volta l’art. 42 Cost., pur essendo centrato prevalente­mente sulla proprietà privata, esordisce sulla significativa affer­mazione secondo cui la proprietà ”è pubblica o privata”, il checostituisce un implicito riconoscimento di una diversità difondo tra i due tipi di proprietà. Più di recente, ancora, lariforma attuata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3, che ha modificato il titolo V della parte seconda dellaCostituzione, ha ricondotto alla competenza legislativa esclu­siva dello Stato la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e deibeni culturali (art. 117, secondo comma), mentre ha stabilitola competenza concorrente dello Stato e delle Regioni per ciòche riguarda la valorizzazione dei beni culturali e ambientali(art. 117, terzo comma); l’art. 118, terzo comma, Cost., inol­tre, dispone che la legge statale disciplina ”forme di intesa ecoordinamento nella materia della tutela dei beni culturali”.Da tale quadro normativo­costituzionale, e fermo restando ildato ”essenziale” della centralità della persona (e dei relativiinteressi), da rendere effettiva, oltre che con il riconoscimentodi diritti inviolabili, anche mediante ”adempimento dei doveriinderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, emer­ge l’esigenza interpretativa di ”guardare” al tema dei benipubblici oltre una visione prettamente patrimoniale­proprieta­ria per approdare ad una prospettiva personale­collettivistica.Ciò comporta che, in relazione al tema in esame, più che alloStato­apparato, quale persona giuridica pubblica individual­mente intesa, debba farsi riferimento allo Stato­collettività,quale ente esponenziale e rappresentativo degli interessi dellacittadinanza (collettività) e quale ente preposto alla effettivarealizzazione di questi ultimi; in tal modo disquisire in terminedi sola dicotomia beni pubblici (o demaniali)­privati significa, inmodo parziale, limitarsi alla mera individuazione della titolaritàdei beni, tralasciando l’ineludibile dato della classificazione de­gli stessi in virtù della relativa funzione e dei relativi interessi atali beni collegati.Ne deriva quindi che, là dove un bene immobile, indipenden­temente dalla titolarità, risulti per le sue intrinseche connota­zioni, in particolar modo quelle di tipo ambientale e paesaggi­stico, destinato alla realizzazione dello Stato sociale come

sopra delineato, detto bene è da ritenersi, al di fuori dell’ormaidatata prospettiva del dominium romanistico e della proprietàcodicistica, ”comune” vale a dire, prescindendo dal titolo diproprietà, strumentalmente collegato alla realizzazione degliinteressi di tutti i cittadini.Del resto, già da tempo, la dottrina ma anche la stessa giuri­sprudenza hanno fatta proprio l’idea di una necessaria funzio­nalità dei beni pubblici, con la conseguente convinzione che ilbene è pubblico non tanto per la circostanza di. rientrare inuna delle astratte categorie del codice quanto piuttosto peressere fonte di un beneficio per la collettività, sino ad ipotizza­re casi di gestione patrimoniale dei beni pubblici (come la loroalienazione e cartolarizzazione). In proposito vale la pena ri­cordare che già il codice prevede espressamente, all’art. 825,la figura giuridica dei diritti demaniali su beni altrui; osservaquesta norma che il regime del demanio pubblico si estende aidiritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuniquando essi ”sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beniindicati negli articolari precedenti o per il conseguimento difini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono ibeni medesimi”. In tal modo vengono in evidenza le servitùpubbliche e i diritti di uso pubblico, quali le strade vicinali, gliusi civici e le proprietà collettive.Tali figure, generalmente assimilate fra loro, presentano singo­larmente caratteristiche peculiari.Le servitù pubbliche, soprattutto la servitù di elettrodotto,costituiscono il tipico esempio di ius in re aliena, cui possonoper certi aspetti essere paragonate le strade vicinali, che han­no la caratteristica di essere strade di proprietà privata etuttavia soggette al pubblico transito (i comuni deliberanoperiodicamente l’elenco di queste strade e l’inserimento inesso fa presumere iuris tantum l’esistenza di un diritto di usopubblico).Mentre in dette servitù pubbliche risulta evidente la distinzio­ne tra titolarità del diritto di proprietà e uso pubblico sullacosa altrui, tale distinzione è meno netta negli usi civici che,quali espressione della proprietà in senso collettivo non cono­sciuta dal legislatore del codice civile, trova una sua specificadisciplina nella legge (e relativo regolamento) n. 1766/1927 enella più recente legge n. 97/1994 (Nuove disposizioni per lezone montane); tali ”usi” presentano la caratteristica della nonappartenenza, a titolo di proprietà individuale, a persone fisi­che od enti in quanto spettanti ad una comunità di abitanti chene godono collettivamente. La finalità che il legislatore haperseguito con detti usi è quella della liquidazione, in realtànon raggiunta, perché negli anni è andato sempre più emer­gendo il collegamento funzionale tra disciplina degli usi pubbli­ci e la tutela dell’ambiente (sul punto, le sentenze della CorteCostituzionale n. 46/95, 345/97 e 310/2006).Infine, con la legge quadro 6 dicembre 1991, 394, il legislatoreè intervenuto creando e regolando le aree protette.Sulla base di questa legge, il cui obbiettivo è quello di dareattuazione agli artt. 9 e 32 della Costituzione (art. 1, comma1), possono essere individuate aree naturali protette sottopo­ste a particolari vincoli, la cui costituzione, però, non modifica

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l’appartenenza proprietaria delle aree medesime; non si crea­no, quindi, diritti demaniali su beni altrui, ma vincoli finalizzatialla tutela del paesaggio e della salute dei consociati. E’ semprenecessario, però, un apposito provvedimento di individuazio­ne e delimitazione (v. art. 8, che prevede un decreto delPresidente della Repubblica per l’istituzione di un parco e undecreto del Ministero dell’ambiente per l’istituzione delle ri­serve naturali statali).Se quindi, da un lato, sono già ipotizzabili nel nostro ordina­mento norme caratterizzanti, il godimento e la fruizione, avario titolo, di beni da parte della collettività, dall’altro lato,altre norme risultano destinate a scindere il binomio benepubblico demaniale­indisponibilità, nel senso che prevedono iltrasferimento, sulla base di determinati presupposti e in rela­zione a specifici fini, di beni dello Stato.Pertanto, la regola della non commerciabilità di detti beni,originariamente prevista dal legislatore in modo assoluto, in­contra sempre più eccezioni, con la conseguenza, lungi peròdal diventare ”sistematica” nella normativa civilistica ed anziconfigurando una diversità di enunciati tra codice civile e leggiordinarie, che in alcune ipotesi la proprietà ”pubblica” delbene e la destinazione dello stesso ad usi e finalità pubbliche(della collettività) diventano aspetti scindibili. In tale quadrovanno inserite le leggi aventi ad oggetto la trasformazione deglienti pubblici economici in società per azioni (tra cui il d.l.386/91, convertito nella legge n. 35/92), quelle riguardanti laprivatizzazione di enti proprietari in maniera rilevante di benipubblici (come l’Enel, ex lege 3 59/92, e le Ferrovie dello Stato,mediante delibera Cipe del 92), nonché il d.lgs. n. 267/2000,che ha consentito il trasferimento a società di capitali di benipubblici da parte degli enti locali (con riferimento a ”i comuni,le province, le città metropolitane, le comunità montane, lecomunità isolane e le unioni di comuni”), il d.l. n. 63/2002(convertito nella L. n. 112/2002) che, tra l’altro, ha dato luogoalla costituzione di un’apposita società per azioni (la Infrastrut­ture S.p.a.), sotto la vigilanza del Ministro dell’Economia e delleFinanze) cui possono essere trasferiti beni pubblici sino allalegge n. 326/2003, con particolare riferimento all’art. 30 (chetra l’altro statuisce che ”ai fini della valorizzazione, trasforma­zione, commercializzazione e gestione del patrimonio immo­biliare dello Stato e con le procedure di cui al primo periododel comma 15 dell’articolo 3 del decreto­legge 2 5 settembre2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23novembre 2001, n. 410, vengono promosse le società di tra­sformazione urbana secondo quanto disposto dall’articolo120 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli entilocali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, cheincludano nel proprio ambito di intervento immobili di pro­prietà dello Stato, anche con la partecipazione del Ministerodell’economia e delle finanze, attraverso l’Agenzia del dema­nio, delle regioni., delle province, e delle società interamentecontrollate dallo stesso Ministero ...”), e la legge n. 112/2002che all’art. 7 prevede al primo e decimo comma che ”per lavalorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio delloStato è istituita una società per azioni, che assume la denomi­

nazione di ”Patrimonio dello Stato S.p.a.” e che ”alla Patrimo­nio dello Stato S.p.a. possono essere trasferiti diritti pieni oparziali sui beni immobili facenti parte del patrimonio disponi­bile e indisponibile dello Stato, sui beni immobili facenti partedel demanio dello Stato e comunque sugli altri beni compresinel conto generale del patrimonio dello Stato di cui all’articolo14 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, ovvero ognialtro diritto costituito a favore dello Stato. ...”.Pertanto, il solo aspetto della ”demanialità” non appare esau­stivo per individuare beni che, per loro intrinseca natura, osono caratterizzati da un godimento collettivo o, indipenden­temente dal titolo di proprietà pubblico o privato, risultanofunzionali ad interessi della stessa collettività.In tal modo, risultando la collettività costituita da personefisiche, l’aspetto dominicale della tipologia del bene in questio­ne cede il passo alla realizzazione di interessi fondamentaliindispensabili per il compiuto svolgimento dell’umana perso­nalità.Ed è appunto in tale seconda prospettiva che vanno inquadra­te le c.d. valli da pesca che, in virtù di un’indagine svolta dalgiudice di merito e documentata da ampia motivazione dellasentenza in esame, presentano (con esclusione delle zoneemerse dall’acqua) una funzionalità e una finalità pubblica­col­lettivistica; afferma, infatti, la Corte di merito che ”si j sottoli­nea infine che gli spazi acquei in contesa sono naturalmenteidonei a soddisfare pienamente i caratteri ora richiesti dall’art.28, lett. b, cod. nav., trattandosi di bacini di acqua salsa osalmastra che almeno durante una parte dell’anno ben posso­no comunicare liberamente con il mare, seppure con l’aziona­mento dei meccanismi idraulici approntati dai privati.Infatti, i requisiti della demanialità persistono sulla scorta dellalegislazione vigente, trattandosi in un bacino acqueo rimastopur sempre in collegamento con la laguna aperta e quindi conil mare, nonostante la realizzazione di sbarramenti più efficien­ti rispetto alle antiche cogolere; permane anche l’idoneità asoddisfare gli usi marittimi, in particolare la pesca e la naviga­zione (quest’ultima, ovviamente, solo con modeste imbarca­zioni).Va osservato a tal riguardo, in punto di fatto, che la Va. inquestione, già descritta nel catasto de Bernardi redatto neglianni 1843­1844 quale valle semiarginata, con presenza di novecogolere, risultava fino a tempi recenti precariamente chiusanel suo perimetro esterno mediante semplici palizzate di can­ne palustri, tavole e pali, la cui messa in opera doveva esseretemporanea e rinnovabile di anno in anno, a mente dell’art. 59del citato regolamento austriaco (e nello stesso senso cfr. gliartt. 45 e seguenti del r.d.l. 18.6.1936 n. 1853), essendo delresto la morfologia della valle non esattamente identica (anchenella distribuzione tra terre emerse e specchi d’acqua) allasituazione attuale, come ben chiarito nella relazione del con­sulente tecnico d’ufficio, per effetto sia dell’azione antropicache di fenomeni naturali. La valle si presentava dunque, fino adalcuni decenni orsono, senz’altro permeabile al flusso dellemaree, e non separata dalla laguna; la sua chiusura, attuatasolo nel dopoguerra, con la costruzione di argini con chiaviche

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controllate da paratoie, in attuazione del piano organico pre­sentato dall’utente della valle (secondo quanto previsto dallaL. 31.10.1942 n. 1471) ed approvato nell’agosto 1943 dalMagistrato alle Acque (cfr. pagg. 23 e 49 della relazione delC.t.u.), non è idonea a determinare un’effettiva e definitivaseparazione dal resto della laguna, in quanto la demanialitànaturalmente acquisita da tempo immemorabile con l’espan­dersi delle acque lagunari non può cessare per effetto di mereattività materiali eseguite da soggetti privati, sia pure nell’iner­zia o con la tolleranza degli organi pubblici”.Dunque, la ”demanialità” esprime una duplice appartenenzaalla collettività ed al suo ente esponenziale, dove la seconda(titolarità del bene in senso stretto) si presenta, per così dire,come appartenenza di servizio che è necessaria, perché èquesto ente che può e deve assicurare il mantenimento del lespecifiche rilevanti caratteristiche del bene e la loro fruizione.Sicché, al fine di riconoscere se in concreto il particolare benedi cui si discute fa parte della realtà materiale che la norma,denominandola, inserisce nel demanio, si deve tener conto inmodo specifico del duplice aspetto finalistico e funzionale checonnota la categoria dei beni in questione.Ne consegue ancora che la titolarità dello Stato (come Stato­collettività, vale a dire come ente espositivo degli interessi ditutti) non è fine a se stessa e non rileva solo sul pianoproprietario ma comporta per lo stesso gli oneri di una gover­nance che renda effettivi le varie forme di godimento e di usopubblico del bene.Del resto, tale impostazione già ha avuto nella stessa giurispru­denza della Cassazione delle preliminari ”intuizioni” e previ­sioni come quando (tra le altre Cass. nn. 1863/1984 e 1300/1999) si è affermato che agli effetti dell’art. 28 lett. B) c.n.,secondo cui fanno parte del demanio (necessario) marittimo ibacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una partedell’anno comunicano ”liberamente” con il mare, l’indispensa­bile elemento fisico­morfologico della comunicazione con ilmare, pur essendo irrilevante che questa sia assicurata attra­verso l’opera dell’uomo che impedisca il progressivo interra­mento delle acque, non costituisce di per sé solo il fattoredecisivo e qualificante della demanialità, ma esso deve essereaccertato e valutato in senso finalistico­funzionale, in quanto,cioè, si presenti tale da estendere al bacino di acqua salmastrale stesse utilizzazioni cui può adempiere il mare, rilevandol’idoneità attuale, e non meramente potenziale e futura, delbene, secondo la sua oggettiva conformazione fisica, a servire ipubblici usi del mare, anche se in atto non sia concretamentedestinato all’uso pubblico.In definitiva, le valli da pesca configurano uno dei casi in cui iprincipi combinati dello sviluppo della persona, della tutela delpaesaggio e della funzione sociale della proprietà trovano spe­cifica attuazione, dando origine ad una concezione di benepubblico, inteso in senso non solo di oggetto di diritto realespettante allo Stato, ma quale strumento finalizzato alla realiz­zazione di valori costituzionali. Detta natura di tali beni (comedel resto per tutti i beni pubblici) ha la sua origine costitutivanella legge, quale ordinamento composto da una pluralità di

fonti (in particolar modo la Costituzione con le norme soprarichiamate), sulla base della sussistenza ”all’attualità” di deter­minate caratteristiche (fisiche­geografiche) in concreto previ­ste dal legislatore, e prescinde quindi da disposizioni e provve­dimenti di ordine amministrativo, come già affermato da que­sta Corte (in particolare, Cass. n. 1228/1990, ove si affermache l’inclusione di un bene nel demanio naturale discende dellapresenza delle connotazioni fisiche al riguardo consideratedalla legge, indipendentemente da atti ricognitivi o formalitàpubblicitarie).Non rilevano anche, trattandosi di beni comunque dello Stato,eventuali atti privatistici di trasferimento di detti beni risultan­do nulli per impossibilità giuridica dell’oggetto degli atti stessi,come pure eventuali comportamenti ”concludenti” posti inessere dalla pubblica amministrazione mediante suoi funziona­ri in quanto illeciti perché ovviamente contra legem (con taleargomento evidenziandosi in particolare l’infondatezza del se­condo motivo).Infine, sul punto, va ricordato che lo stesso legislatore ordina­rio, in particolare con la legge n. 366/1963 (e già con la legge n.191/1937, di conversione del d.l. n. 1853/1936, poi abrogata)ha previsto specificamente la tutela della laguna in un ambitopubblicistico (art. 1) e il collegamento funzionale tra ”valli” elaguna veneta in relazione alla pesca. In relazione alla naturadella controversia e alla complessità delle relative questionisussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensa­te tra le parti le spese della presente fase.P.Q.M.La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso edichiara interamente compensate tra le parti le spese dellapresente fase.Riferimenti:Legge© Copyright Il Sole 24 Ore ­ Tutti i diritti sono riservati

Corte di Cassazione Sezioni Unite CivileSentenza del 16 febbraio 2011, n. 3811Integrale

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. PAOLO VITTORIA ­ Primo Presidente f.f. ­

Dott. ENRICO PAPA ­ Presidente Sezione ­Dott. VINCENZO PROTO ­ Presidente Sezione ­

Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO ­ Consigliere ­Dott. RENATO RORDORF ­ Consigliere ­Dott. SAVERIO TOFFOLI ­ Consigliere ­

Dott. GIOVANNI AMOROSO ­ Consigliere ­Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO ­ Rel. Consigliere ­

Dott. PAOLO D’ALESSANDRO ­ Consigliere ­ha pronunciato la seguente

SENTENZA

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sul ricorso 17073­2009 proposto da:Bl. Va. S.r.l., già Bl. Va. S.p.a. (...), in persona del legale rappre­sentante pro­tempore, elettivamente domiciliata in Ro., ViaAr. (...), presso lo studio dell’avvocato Fr. Di Ma., che la rap­presenta e difende unitamente agli avvocati Vi. Bi., Gi. Ma., perdelega a margine del ricorso;­ ricorrente ­controMinistero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero del­l’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro­tem­pore, Agenzia del Demanio, in persona del Direttore pro­tem­pore, elettivamente domiciliati in Ro., Via dei Po. (...), pressol’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difendeope legis;­ controricorrenti ­avverso la sentenza n. 181/2009 della CORTE D’APPELLO diVENEZIA, depositata il 03/02/2009;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del28/09/2010 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;uditi gli avvocati Fr. Di Ma., Fr. Le. e Ma. Di Ca. dell’AvvocaturaGenerale dello Stato;udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. DOME­NICO IANNELLI, che ha concluso per l’accoglimento p.q.r.del ricorso.Svolgimento del processoCon atto di citazione notificato in data 29.6.1994, la Bl. Va.S.p.a. conveniva innanzi al Tribunale di Venezia, l’Amministra­zione delle Finanze, l’Amministrazione dei Trasporti e dellaNavigazione e l’Amministrazione dei Lavori Pubblici per sentiraccertare la privata proprietà del complesso immobiliare, sitonella laguna No. di Ve., parte nel Comune di Mu. di Pi.,denominato Va. Do. Ma., accertare l’invalidità degli atti didiffida e di intimazione in data 4.7.1989, 10.6.1991 e 19.5.1994,contro di essa emessi dall’Amministrazione al fine di ottenereil rilascio del complesso in ragione della sua presunta apparte­nenza al demanio marittimo ”necessario” e per sentir condan­nare le amministrazioni convenute al risarcimento dei danniderivati dall’illecita pretesa di demanialità della valle, avanzatecon le sopra richiamate diffide. Deduceva di essere proprieta­ria della Va. Do. Ma. sulla base di regolari titoli di compraven­dita risalenti sino al diciannovesimo secolo; sottolineava che levalli da pesca (aree lagunari definite comunemente ”lagunamorta”, separate dalla laguna aperta ”o viva” da una recinzio­ne fissa costituita da pali o argini, nelle quali si pratica da secolila ”vallicoltura” e che, da epoca antichissima, sono state ogget­to di non contrastati atti di trasferimento di proprietà traprivati) compresa la Va. Do. Ma., erano sempre state di pro­prietà privata come gli studi storici, la dottrina e la giurispru­denza susseguitisi nel tempo avevano costantemente afferma­to e come poteva ricavarsi dalla stessa legislazione austriaca edal c.d. Catasto de Bernardi (1843­1844) e, prima ancora daquello napoleonico, catasto quest’ultimo nel quale i vallicoltoririsultavano censiti come proprietari ed in quanto tali assogget­tati ad imposizione fondiaria; deduceva che la Va., anche sullascorta della legislazione speciale per la Laguna veneta (legge n.

366/63), per la sua conformazione morfologica e per l’assenzadi libera comunicazione con la laguna (e dunque anche con ilmare) è incontestabilmente estranea al demanio marittimo,anche per l’assoluta inidoneità agli usi marittimi quali la naviga­zione, la balneazione e la pesca c.d. vagantiva.Le Amministrazioni convenute si costituivano ritualmente edeccepivano preliminarmente il difetto di legittimazione passivadel Ministero dei Trasporti e della Navigazione nonché deilavori pubblici, assumendo che l’attrice occupava i beni immo­bili in questione senza alcun titolo, trattandosi di beni apparte­nenti al Demanio. Richiamavano in proposito il disposto del­l’articolo 28 del codice della navigazione sulla scorta del qualesono ricompresi nel Demanio marittimo il lido, la spiaggia, iporti e le rade ma anche le lagune, le foci dei fiumi chesboccano in mare e i bacini di acqua salsa e salmastra chealmeno durante una parte dell’anno comunicano con il mareed infine i canali utilizzabili ad uso comune marittimo; sottoli­neavano come il regime di proprietà pubblica. della lagunarisaliva almeno al 1725, quando cioè la Repubblica di Veneziaaveva riservato il territorio lagunare alle esigenze di sicurezzae agli interessi di Venezia, determinandone definitivamente iconfini con decreto 5.3.1791; che in detta situazione era inter­venuto il Regolamento del Governo austriaco 20.12.1841, cheaveva confermato l’appartenenza, ab origine, dei bacini dellevalli allo Stato in quanto ”fondi pubblici”; che un siffatto regimeaveva trovato conferma, nella successiva normativa dello Statoitaliano, sino alla legge n. 366/1966; concludevano per il rigettodella domanda chiedendo che, accertata la proprietà demania­le dei beni, l’attrice fosse condannata al rilascio dell’immobileed al pagamento della indennità di occupazione, da liquidarsi inseparato giudizio.Espletata consulenza di ufficio, l’adito Tribunale, con sentenzan. 3086/2003, depositata in data 1/12/2003, accertata la caren­za di legittimazione del Ministero dei Trasporti e del Ministerodei Lavori Pubblici accoglieva la domanda e dichiarava la Bl. Va.S.p.a. piena proprietaria del complesso immobiliare denomina­to ”Va. Do.”; rigettava la domanda di risarcimento danni pro­posta dall’attrice e le riconvenzionali dei convenuti.A seguito dell’appello, in via principale, da parte del Ministerodell’Economia e delle Finanze, del Ministero delle Infrastruttu­re e dell’Agenzia del Demanio e dell’appello in via incidentale,da parte della Bl. Va., la Corte d’Appello di Venezia, con ladecisione in esame, n. 181/2009, depositata in data 3.2.2009,così decideva:”la Corte, definitivamente pronunciando, dichiarata l’inammis­sibilità dell’appello proposto dall’Amministrazione delle Infra­strutture e dei Trasporti, in parziale riforma dell’impugnatasentenza del Tribunale di Venezia, accerta e dichiara la naturademaniale dei beni vallivi di cui è causa limitatamente aglispecchi d’acqua e non anche delle terre emerse poste entro isuoi confini; condanna l’appellata Bl. Va. all’immediato rilasciodi detti beni, e, in via generica, al pagamento in favore dell’Am­ministrazione dell’Economia e delle Finanze nonché dell’Agen­zia del Demanio, dell’indennità di occupazione, da liquidarsi inseparato giudizio; respinge l’appello incidentale. ...”.

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Affermava in particolare la Corte territoriale che ”come giàall’epoca del regolamento approvato dal competente organodell’Impero (giusta dispaccio 8 ottobre 1841 della cancelleriaaulica e pubblicato con notificato 20.12.1841), la laguna eraconsiderata demanio pubblico, nel senso attuale di bene ap­partenente al demanio marittimo necessario che l’art. 28 delcod. nav. individua in beni di origine naturale, la cui proprietànon può che essere pubblica, e quindi distinti da quelli per iquali la demanialità è condizionata dalla loro appartenenza alloStato.Ed invero, il preambolo stesso del predetto regolamento,adottato in conformità ai §§ 287 e 1455 del c.c. austriaco erimasto in vigore fino al r. d.l. 18.6.1936 n. 1835 (essendo delresto pacificamente riconosciuto in vigore, al di là della previ­sta attuazione provvisoria e sperimentale, e dopo alcune ini­ziali incertezze, dall’uniforme giurisprudenza di legittimità siacivile che penale di fine (800 e v 900), evidenzia, senza ombradi dubbio, la sua natura normativa cogente, propria delle leggi(come già inequivocabilmente riconosciuto da Cassazione Fi­renze, sentenza 14.7.1904). In detto regolamento risultaespressamente affermata la demanialità della laguna, concepitaquale sistema comprendente anche le valli da pesca; la lagunainfatti è descritta quale seno d’acqua salsa che si estende dallafoce del Si. alla Co. di Br., che è compreso tra il mare e laterraferma e presenta quindi quelle caratteristiche di unitarie­tà che non consentono di enucleare singoli beni acquei in essoricadenti, al fine di farne risultare caratteristiche differenti.Il che comporta, come ineludibile conseguenza, l’affermazioneper cui tutte le situazioni determinatesi sotto la vigenza dellanormativa sopra indicata (riconfermata in tempi più recentidalle ulteriori disposizioni di legge; v. l’art. 1 della L. 5.3.1963 n.366), non possono che essere regolate alla stessa e dunquedeve ammettersi che i beni acquei di cui si sta discorrendo, inquanto appartenenti al demanio necessario marittimo di origi­ne naturale, non potevamo e non possono formare oggetto diproprietà privata e neppure di altro godimento privato se nonalle condizioni a tal riguardo fissate dalla stessa legge (conces­sione amministrativa, ove possibile e così via).In definitiva, va rilevato che l’appartenenza di un bene aldemanio naturale marittimo (necessario) si pone quale conse­guenza della presenza delle connotazioni fisiche consideratedalla legge, e ciò indipendentemente da atti ricognitivi dell’am­ministrazione o da formalità pubblicitarie (v. Cass. 19.2.1990 n.1228)”.Ricorre per cassazione la Bl. Va. S.r.l. (già Bl. Va. S.p.a.) concinque motivi, e relativi quesiti. Resiste con controricorsol’Amministrazione.Motivi della decisioneCon il primo motivo si deduce ”falsa ed erronea applicazionedi norme di legge ed in particolare dell’art. 12 delle disp. prel.al c.c.; del regolamento di polizia lagunare austro­ungarico del20.12.1841, del r.d.l. 1853/1963; convertito nella L. 191/1937,della L. 366/1963; violazione e/o falsa applicazione degli artt.822, 823 c.c. e degli artt. 28 e 35 cod. nav. (art. 360 n. 3 c.p.c.);omessa o contraddittoria motivazione su punti decisivi della

controversia in prosieguo specificati (art. 360 n. 5 c.p.c.)”.Con il secondo motivo si deduce ”violazione e falsa applicazio­ne dell’art. 28 cod. nav., dell’art. 822 c.c. e contraddittoria einsufficiente motivazione su un punto decisivo e controverso:gli accertamenti del C.t.u. relativi alla non comunicazione delleacque di Va. Do. con il mare e la loro inidoneità a soddisfare gliusi pubblici del mare”. Con il terzo motivo si deduce ”violazio­ne e falsa applicazione del regolamento austriaco del 1841,della L. n. 191/1937, della L. n. 366/1963 con riferimento alrogito notarile 24.11.1805 (versato in atti dal C.t.u. qualeallegato alla sua relazione) e ai suoi effetti (art. 360 n. 3 c.p.c.)ed omessa motivazione su fatto controverso e decisivo per ilgiudizio costituito dal predetto atto notarile”.Con il quarto motivo si deduce ”violazione e falsa applicazionedel combinato disposto degli artt. 2043, 1147, 1148, 1149,1150, 1151, 1152 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)”.Con il quinto motivo si deduce ”violazione e falsa applicazionedi legge: art. 2043 c.c. da valutarsi anche riferimento all’art.1170 c.c. (turbative del possesso), art. 360 n. 3 c.p.c.”.In relazione a detti motivi nella formulazione dei relativi quesitisi chiede alla Corte, rispettivamente di accertare:1) se sia configurabile una demanialità speciale di tipo ”funzio­nale e dinamico” prevalente sulla nozione fisico­geografica;2) se la non comunicazione delle acquee della vale con lalaguna e quindi con il mare rende inidonea la valle a soddisfaregli usi tradizionali del mare;3) se l’atto pubblico del 24.11.1805 costituisca una sdemania­lizzazione dell’area;4) se, la accolta richiesta dell’Amministrazione in ordine alriconoscimento di un credito per l’occupazione della valle noncontrasti con le norme in tema di responsabilità e con lanormativa in tema di possesso in buona fede (artt. 114 9,1150, 1151 e 1152 c.c.) e se, inoltre, una assoluta non inden­nizzabilità per l’asserita natura demaniale del bene non contra­sti con il disposto degli artt. 42, 43, 44 e 47 Cost.;5) se, infine, gli atti di diffida, indirizzati dalla P.a. alla ricorrentenel corso di diversi anni, fossero di per sé idonei a turbare il dilei possesso sulla valle e a compromettere la gestione e laprogrammazione della sua attività di impresa, e ad arrecarledanno.Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte lesuesposte doglianze, da trattarsi congiuntamente (in particola­re il primo, secondo e terzo motivo, con assorbimento degliultimi due), avendo le stesse ad oggetto il medesimo themadecidendum.Deve innanzitutto rilevarsi, sulla base delle argomentazionisopra esposte dalla Corte di merito, che la ratio decidendidell’impugnata decisione, anche al fine di una compiuta valuta­zione delle censure in esame, evidenzia come già all’epoca delregolamento approvato dal competente organo dell’Impero, lalaguna era considerata demanio pubblico, nel senso attuale dibene appartenente al demanio marittimo necessario che l’art.28 del cod. nav. individua in beni di origine naturale, la cuiproprietà non può che essere pubblica, e quindi distinti daquelli per i quali la demanialità è condizionata dalla loro appar­

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tenenza allo Stato. In particolare, sul punto, la Corte di meritosostiene, da un lato, che anche in base alla normativa previgen­te la laguna (e quindi le valli da pesca) era considerata demaniopubblico, e, dall’altro lato, che tale demanialità trova confermanella vigente legislazione in relazione alle caratteristiche fisichedella laguna (e con essa delle valli da pesca), con particolareriferimento all’art. 28 lettera b c.n. ed ai relativi collegamentifunzionali con il mare.Tale ratio non è di per sé censurabile (e ”resiste” alle censuredella società ricorrente), pur se la Corte ritiene di ampliarlaed integrarla con ulteriori argomentazioni, in virtù del sistemapluralistico delle fonti del diritto civile con particolare riferi­mento alla Costituzione.Il richiamo all’art. 42 Cost., come effettuato dalla societàricorrente, coinvolge non solo il prospettato profilo di censu­ra dell’eventuale indennizzabilità a favore dei ”possessori” mapone l’esigenza (proprio al fine della suddetta necessaria inte­grazione della motivazione dell’impugnata decisione) di rivisi­tare in via interpretativa il sistema normativo vigente, conparticolare riferimento ai dati costituzionali,” al fine della indi­viduazione dei criteri indispensabili per attribuire natura ”nonprivata” ad un bene immobile.La disciplina positiva dei beni pubblici, peraltro, risiede ancora,almeno nelle sue linee fondamentali, nel codice civile (artt.822­831 il quale, com’è noto, con una classificazione non deltutto soddisfacente, divide i beni pubblici, ossia i beni ”appar­tenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici”, intre categorie: beni demaniali, beni patrimoniali indispensabili ebeni patrimoniali disponibili.I beni demaniali, elencati nell’art. 822 c.c., secondo un criteriodi tassatività, hanno come caratteristica comune il fatto diessere beni immobili o universalità di mobili e di appartenerenecessariamente ad enti territoriali, ossia lo Stato, le regioni,le province e i comuni (art. 824 c.c.). Questi beni sono tali oper loro intrinseca qualità (c.d. demanio necessario, ossia ildemanio marittimo, idrico e militare, art. 822 primo comma)o per il fatto di appartenere ad enti territoriali (c.d. demanioaccidentale od eventuale: strade, autostrade, aerodromi, im­mobili di interesse storico ed artistico, raccolte dei musei etc.,art. 822 primo comma c.c.).II regime giuridico di tali beni, contenuto nell’art.. 823 c.c.,prevede che essi sono ”inalienabili e non possono formareoggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limitistabiliti dalle leggi che li riguardano”, il che vuol dire che essinon possono costituire oggetto di negozi giuridici di dirittoprivato, né possono essere usucapiti, in quanto sono del tuttonon commerciabili.Inoltre, la disciplina del demanio marittimo si completa con lanormativa di cui agli artt. 28­35 del codice della navigazione; inparticolare, l’art. 28, primo comma, lettera c c.n., stabilisceche fanno parte del demanio marittimo ”le lagune, le foci deifiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastrache almeno durante una parte dell’anno comunicano libera­mente col mare”.I beni patrimoniali indisponibili, invece, possono essere sia

mobili che immobili e possono appartenere anche ad entipubblici non territoriali (art. 3 80 c.c.; a titolo esemplificativo,si pensi ai beni appartenenti agli enti di previdenza). Essi han­no, nella sistematica del codice, carattere residuale. L’art. 826,primo comma, c.c., infatti, esordisce, in negativo, osservandoche i beni ”appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, iquali non siano della specie di quelli indicati dagli articoliprecedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispetti­vamente, delle province e dei comuni”. Anche per questi benisi profila una distinzione tra patrimonio necessario e patrimo­nio accidentale, riconducibile in parte al secondo e terzocomma dell’art. 826 c.c., poiché vi sono beni patrimoniali pernatura (miniere, acque minerali termali, cave e torbiere etc.) ebeni patrimoniali per destinazione (edifici destinati a sede diuffici pubblici, arredi, dotazione del Presidente della Repubbli­ca etc.); l’elencazione dell’art. 826 c.c., inoltre, non è conside­rata tassativa. Riguardo al regime giuridico, l’art. 828, secondocomma, c.c. si limita a stabilire che tali beni ”non possonoessere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabilitidelle leggi che li riguardano”. I beni patrimoniali indisponibili,perciò, sono commerciabili, ma sono gravati da uno specificovincolo di destinazione all’uso pubblico, pur potendo formareoggetto di negozi traslativi di diritto privato.Residuano, infine, i beni patrimoniali disponibili, ai quali non siapplica né il regime dei beni demaniali, né quello dei benipatrimoniali indisponibili, ma quello ordinario del codice civile(art. 828, primo comma, c.c.); essi, proprio in quanto beni didiritto privato, sono commerciabili, alienabili, usucapibili e sog­getti ad esecuzione forzata. Si tratta, in altre parole, di beniche possono appartenere allo Stato e agli enti pubblici allostesso modo in cui possono appartenere a soggetti privati,ossia di beni per i quali non ha senso parlare di vincolo didestinazione.Oggi, però, non è più possibile limitarsi, in tema di individua­zione dei beni pubblici o demaniali, all’esame della sola norma­tiva codicistica del 42, risultando indispensabile integrare lastessa con le varie fonti dell’ordinamento e specificamentecon le (successive) norme costituzionali.La Costituzione, com’è noto, non contiene un’espressa defini­zione dei beni pubblici, né una loro classificazione, ma si limitaa stabilire alcuni richiami che sono, comunque, assai importan­ti per la definizione del sistema positivo.Tuttavia, dagli artt. 2, 9 e 42 Cost., e stante la loro direttaapplicabilità, si ricava il principio della tutela della umana per­sonalità e del suo corretto svolgimento nell’ambito dello Statosociale, anche nell’ambito del ”paesaggio”, con specifico riferi­mento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislati­va­codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della ”pro­prietà” dello Stato ma anche riguardo a quei beni che, indipen­dentemente da una preventiva individuazione da parte dellegislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino,sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistemanormativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimentodegli interessi della collettività.L’art. 9 Cost., in particolare, prevede infatti che la Repubblica

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tutela ”il paesaggio e il patrimonio storico e artistico dellaNazione”, con una affermazione, contenuta nell’ambito deiprincipi fondamentali, che negli ultimi anni ha costituito fonda­mento per una ricca legislazione in tema di beni culturali (ilrichiamo va, in particolare, al decreto legislativo 29 ottobre1999, n. 490, poi abrogato, a decorrere dal l°maggio 2004, daldecreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che contiene ilcodice dei beni culturali e del paesaggio, il cui art. 10 prevedeuna definizione dei beni culturali).A sua volta l’art. 42 Cost., pur essendo centrato prevalente­mente sulla proprietà privata, esordisce sulla significativa affer­mazione secondo cui la proprietà ”è pubblica o privata”, il checostituisce un implicito riconoscimento di una diversità difondo tra i due tipi di proprietà. Più di recente, ancora, lariforma attuata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3, che ha modificato il titolo V della parte seconda dellaCostituzione, ha ricondotto alla competenza legislativa esclu­siva dello Stato la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e deibeni culturali (art. 117, secondo comma), mentre ha stabilitola competenza concorrente dello Stato e delle Regioni per ciòche riguarda la valorizzazione dei beni culturali e ambientali(art. 117, terzo comma); l’art. 118, terzo comma, Cost., inol­tre, dispone che la legge statale disciplina ”forme di intesa ecoordinamento nella materia della tutela dei beni culturali”.Da tale quadro normativo­costituzionale, e fermo restando ildato ”essenziale” della centralità della persona (e dei relativiinteressi), da rendere effettiva, oltre che con il riconoscimentodi diritti inviolabili, anche mediante ”adempimento dei doveriinderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, emer­ge l’esigenza interpretativa di ”guardare” al tema dei benipubblici oltre una visione prettamente patrimoniale­proprieta­ria per approdare ad una prospettiva personale­collettivistica.Ciò comporta che, in relazione al tema in esame, più che alloStato­apparato, quale persona giuridica pubblica individual­mente intesa, debba farsi riferimento allo Stato­collettività,quale ente esponenziale e rappresentativo degli interessi dellacittadinanza (collettività) e quale ente preposto alla effettivarealizzazione di questi ultimi; in tal modo disquisire in terminedi sola dicotomia beni pubblici (o demaniali)­privati significa, inmodo parziale, limitarsi alla mera individuazione della titolaritàdei beni, tralasciando l’ineludibile dato della classificazione de­gli stessi in virtù della relativa funzione e dei relativi interessi atali beni collegati.Ne deriva quindi che, là dove un bene immobile, indipenden­temente dalla titolarità, risulti per le sue intrinseche connota­zioni, in particolar modo quelle di tipo ambientale e paesaggi­stico, destinato alla realizzazione dello Stato sociale comesopra delineato, detto bene è da ritenersi, al di fuori dell’ormaidatata prospettiva del dominium romanistico e della proprietàcodicistica, ”comune” vale a dire, prescindendo dal titolo diproprietà, strumentalmente collegato alla realizzazione degliinteressi di tutti i cittadini.Del resto, già da tempo, la dottrina ma anche la stessa giuri­sprudenza hanno fatta proprio l’idea di una necessaria funzio­nalità dei beni pubblici, con la conseguente convinzione che il

bene è pubblico non tanto per la circostanza di. rientrare inuna delle astratte categorie del codice quanto piuttosto peressere fonte di un beneficio per la collettività, sino ad ipotizza­re casi di gestione patrimoniale dei beni pubblici (come la loroalienazione e cartolarizzazione). In proposito vale la pena ri­cordare che già il codice prevede espressamente, all’art. 825,la figura giuridica dei diritti demaniali su beni altrui; osservaquesta norma che il regime del demanio pubblico si estende aidiritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuniquando essi ”sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beniindicati negli articolari precedenti o per il conseguimento difini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono ibeni medesimi”. In tal modo vengono in evidenza le servitùpubbliche e i diritti di uso pubblico, quali le strade vicinali, gliusi civici e le proprietà collettive.Tali figure, generalmente assimilate fra loro, presentano singo­larmente caratteristiche peculiari.Le servitù pubbliche, soprattutto la servitù di elettrodotto,costituiscono il tipico esempio di ius in re aliena, cui possonoper certi aspetti essere paragonate le strade vicinali, che han­no la caratteristica di essere strade di proprietà privata etuttavia soggette al pubblico transito (i comuni deliberanoperiodicamente l’elenco di queste strade e l’inserimento inesso fa presumere iuris tantum l’esistenza di un diritto di usopubblico).Mentre in dette servitù pubbliche risulta evidente la distinzio­ne tra titolarità del diritto di proprietà e uso pubblico sullacosa altrui, tale distinzione è meno netta negli usi civici che,quali espressione della proprietà in senso collettivo non cono­sciuta dal legislatore del codice civile, trova una sua specificadisciplina nella legge (e relativo regolamento) n. 1766/1927 enella più recente legge n. 97/1994 (Nuove disposizioni per lezone montane); tali ”usi” presentano la caratteristica della nonappartenenza, a titolo di proprietà individuale, a persone fisi­che od enti in quanto spettanti ad una comunità di abitanti chene godono collettivamente. La finalità che il legislatore haperseguito con detti usi è quella della liquidazione, in realtànon raggiunta, perché negli anni è andato sempre più emer­gendo il collegamento funzionale tra disciplina degli usi pubbli­ci e la tutela dell’ambiente (sul punto, le sentenze della CorteCostituzionale n. 46/95, 345/97 e 310/2006).Infine, con la legge quadro 6 dicembre 1991, 394, il legislatoreè intervenuto creando e regolando le aree protette.Sulla base di questa legge, il cui obbiettivo è quello di dareattuazione agli artt. 9 e 32 della Costituzione (art. 1, comma1), possono essere individuate aree naturali protette sottopo­ste a particolari vincoli, la cui costituzione, però, non modifical’appartenenza proprietaria delle aree medesime; non si crea­no, quindi, diritti demaniali su beni altrui, ma vincoli finalizzatialla tutela del paesaggio e della salute dei consociati. E’ semprenecessario, però, un apposito provvedimento di individuazio­ne e delimitazione (v. art. 8, che prevede un decreto delPresidente della Repubblica per l’istituzione di un parco e undecreto del Ministero dell’ambiente per l’istituzione delle ri­serve naturali statali).

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Se quindi, da un lato, sono già ipotizzabili nel nostro ordina­mento norme caratterizzanti, il godimento e la fruizione, avario titolo, di beni da parte della collettività, dall’altro lato,altre norme risultano destinate a scindere il binomio benepubblico demaniale­indisponibilità, nel senso che prevedono iltrasferimento, sulla base di determinati presupposti e in rela­zione a specifici fini, di beni dello Stato.Pertanto, la regola della non commerciabilità di detti beni,originariamente prevista dal legislatore in modo assoluto, in­contra sempre più eccezioni, con la conseguenza, lungi peròdal diventare ”sistematica” nella normativa civilistica ed anziconfigurando una diversità di enunciati tra codice civile e leggiordinarie, che in alcune ipotesi la proprietà ”pubblica” delbene e la destinazione dello stesso ad usi e finalità pubbliche(della collettività) diventano aspetti scindibili. In tale quadrovanno inserite le leggi aventi ad oggetto la trasformazione deglienti pubblici economici in società per azioni (tra cui il d.l.386/91, convertito nella legge n. 35/92), quelle riguardanti laprivatizzazione di enti proprietari in maniera rilevante di benipubblici (come l’Enel, ex lege 3 59/92, e le Ferrovie dello Stato,mediante delibera Cipe del 92), nonché il d.lgs. n. 267/2000,che ha consentito il trasferimento a società di capitali di benipubblici da parte degli enti locali (con riferimento a ”i comuni,le province, le città metropolitane, le comunità montane, lecomunità isolane e le unioni di comuni”), il d.l. n. 63/2002(convertito nella L. n. 112/2002) che, tra l’altro, ha dato luogoalla costituzione di un’apposita società per azioni (la Infrastrut­ture S.p.a.), sotto la vigilanza del Ministro dell’Economia e delleFinanze) cui possono essere trasferiti beni pubblici sino allalegge n. 326/2003, con particolare riferimento all’art. 30 (chetra l’altro statuisce che ”ai fini della valorizzazione, trasforma­zione, commercializzazione e gestione del patrimonio immo­biliare dello Stato e con le procedure di cui al primo periododel comma 15 dell’articolo 3 del decreto­legge 2 5 settembre2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23novembre 2001, n. 410, vengono promosse le società di tra­sformazione urbana secondo quanto disposto dall’articolo120 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli entilocali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, cheincludano nel proprio ambito di intervento immobili di pro­prietà dello Stato, anche con la partecipazione del Ministerodell’economia e delle finanze, attraverso l’Agenzia del dema­nio, delle regioni., delle province, e delle società interamentecontrollate dallo stesso Ministero ...”), e la legge n. 112/2002che all’art. 7 prevede al primo e decimo comma che ”per lavalorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio delloStato è istituita una società per azioni, che assume la denomi­nazione di ”Patrimonio dello Stato S.p.a.” e che ”alla Patrimo­nio dello Stato S.p.a. possono essere trasferiti diritti pieni oparziali sui beni immobili facenti parte del patrimonio disponi­bile e indisponibile dello Stato, sui beni immobili facenti partedel demanio dello Stato e comunque sugli altri beni compresinel conto generale del patrimonio dello Stato di cui all’articolo14 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, ovvero ognialtro diritto costituito a favore dello Stato. ...”.

Pertanto, il solo aspetto della ”demanialità” non appare esau­stivo per individuare beni che, per loro intrinseca natura, osono caratterizzati da un godimento collettivo o, indipenden­temente dal titolo di proprietà pubblico o privato, risultanofunzionali ad interessi della stessa collettività.In tal modo, risultando la collettività costituita da personefisiche, l’aspetto dominicale della tipologia del bene in questio­ne cede il passo alla realizzazione di interessi fondamentaliindispensabili per il compiuto svolgimento dell’umana perso­nalità.Ed è appunto in tale seconda prospettiva che vanno inquadra­te le c.d. valli da pesca che, in virtù di un’indagine svolta dalgiudice di merito e documentata da ampia motivazione dellasentenza in esame, presentano (con esclusione delle zoneemerse dall’acqua) una funzionalità e una finalità pubblica­col­lettivistica; afferma, infatti, la Corte di merito che ”si j sottoli­nea infine che gli spazi acquei in contesa sono naturalmenteidonei a soddisfare pienamente i caratteri ora richiesti dall’art.28, lett. b, cod. nav., trattandosi di bacini di acqua salsa osalmastra che almeno durante una parte dell’anno ben posso­no comunicare liberamente con il mare, seppure con l’aziona­mento dei meccanismi idraulici approntati dai privati.Infatti, i requisiti della demanialità persistono sulla scorta dellalegislazione vigente, trattandosi in un bacino acqueo rimastopur sempre in collegamento con la laguna aperta e quindi conil mare, nonostante la realizzazione di sbarramenti più efficien­ti rispetto alle antiche cogolere; permane anche l’idoneità asoddisfare gli usi marittimi, in particolare la pesca e la naviga­zione (quest’ultima, ovviamente, solo con modeste imbarca­zioni).Va osservato a tal riguardo, in punto di fatto, che la Va. inquestione, già descritta nel catasto de Bernardi redatto neglianni 1843­1844 quale valle semiarginata, con presenza di novecogolere, risultava fino a tempi recenti precariamente chiusanel suo perimetro esterno mediante semplici palizzate di can­ne palustri, tavole e pali, la cui messa in opera doveva esseretemporanea e rinnovabile di anno in anno, a mente dell’art. 59del citato regolamento austriaco (e nello stesso senso cfr. gliartt. 45 e seguenti del r.d.l. 18.6.1936 n. 1853), essendo delresto la morfologia della valle non esattamente identica (anchenella distribuzione tra terre emerse e specchi d’acqua) allasituazione attuale, come ben chiarito nella relazione del con­sulente tecnico d’ufficio, per effetto sia dell’azione antropicache di fenomeni naturali. La valle si presentava dunque, fino adalcuni decenni orsono, senz’altro permeabile al flusso dellemaree, e non separata dalla laguna; la sua chiusura, attuatasolo nel dopoguerra, con la costruzione di argini con chiavichecontrollate da paratoie, in attuazione del piano organico pre­sentato dall’utente della valle (secondo quanto previsto dallaL. 31.10.1942 n. 1471) ed approvato nell’agosto 1943 dalMagistrato alle Acque (cfr. pagg. 23 e 49 della relazione delC.t.u.), non è idonea a determinare un’effettiva e definitivaseparazione dal resto della laguna, in quanto la demanialitànaturalmente acquisita da tempo immemorabile con l’espan­dersi delle acque lagunari non può cessare per effetto di mere

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attività materiali eseguite da soggetti privati, sia pure nell’iner­zia o con la tolleranza degli organi pubblici”.Dunque, la ”demanialità” esprime una duplice appartenenzaalla collettività ed al suo ente esponenziale, dove la seconda(titolarità del bene in senso stretto) si presenta, per così dire,come appartenenza di servizio che è necessaria, perché èquesto ente che può e deve assicurare il mantenimento del lespecifiche rilevanti caratteristiche del bene e la loro fruizione.Sicché, al fine di riconoscere se in concreto il particolare benedi cui si discute fa parte della realtà materiale che la norma,denominandola, inserisce nel demanio, si deve tener conto inmodo specifico del duplice aspetto finalistico e funzionale checonnota la categoria dei beni in questione.Ne consegue ancora che la titolarità dello Stato (come Stato­collettività, vale a dire come ente espositivo degli interessi ditutti) non è fine a se stessa e non rileva solo sul pianoproprietario ma comporta per lo stesso gli oneri di una gover­nance che renda effettivi le varie forme di godimento e di usopubblico del bene.Del resto, tale impostazione già ha avuto nella stessa giurispru­denza della Cassazione delle preliminari ”intuizioni” e previ­sioni come quando (tra le altre Cass. nn. 1863/1984 e 1300/1999) si è affermato che agli effetti dell’art. 28 lett. B) c.n.,secondo cui fanno parte del demanio (necessario) marittimo ibacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una partedell’anno comunicano ”liberamente” con il mare, l’indispensa­bile elemento fisico­morfologico della comunicazione con ilmare, pur essendo irrilevante che questa sia assicurata attra­verso l’opera dell’uomo che impedisca il progressivo interra­mento delle acque, non costituisce di per sé solo il fattoredecisivo e qualificante della demanialità, ma esso deve essereaccertato e valutato in senso finalistico­funzionale, in quanto,cioè, si presenti tale da estendere al bacino di acqua salmastrale stesse utilizzazioni cui può adempiere il mare, rilevandol’idoneità attuale, e non meramente potenziale e futura, delbene, secondo la sua oggettiva conformazione fisica, a servire ipubblici usi del mare, anche se in atto non sia concretamentedestinato all’uso pubblico.In definitiva, le valli da pesca configurano uno dei casi in cui iprincipi combinati dello sviluppo della persona, della tutela delpaesaggio e della funzione sociale della proprietà trovano spe­cifica attuazione, dando origine ad una concezione di benepubblico, inteso in senso non solo di oggetto di diritto realespettante allo Stato, ma quale strumento finalizzato alla realiz­zazione di valori costituzionali. Detta natura di tali beni (comedel resto per tutti i beni pubblici) ha la sua origine costitutivanella legge, quale ordinamento composto da una pluralità difonti (in particolar modo la Costituzione con le norme soprarichiamate), sulla base della sussistenza ”all’attualità” di deter­minate caratteristiche (fisiche­geografiche) in concreto previ­ste dal legislatore, e prescinde quindi da disposizioni e provve­dimenti di ordine amministrativo, come già affermato da que­sta Corte (in particolare, Cass. n. 1228/1990, ove si affermache l’inclusione di un bene nel demanio naturale discende dellapresenza delle connotazioni fisiche al riguardo considerate

dalla legge, indipendentemente da atti ricognitivi o formalitàpubblicitarie).Non rilevano anche, trattandosi di beni comunque dello Stato,eventuali atti privatistici di trasferimento di detti beni risultan­do nulli per impossibilità giuridica dell’oggetto degli atti stessi,come pure eventuali comportamenti ”concludenti” posti inessere dalla pubblica amministrazione mediante suoi funziona­ri in quanto illeciti perché ovviamente contra legem (con taleargomento evidenziandosi in particolare l’infondatezza del se­condo motivo).Infine, sul punto, va ricordato che lo stesso legislatore ordina­rio, in particolare con la legge n. 366/1963 (e già con la legge n.191/1937, di conversione del d.l. n. 1853/1936, poi abrogata)ha previsto specificamente la tutela della laguna in un ambitopubblicistico (art. 1) e il collegamento funzionale tra ”valli” elaguna veneta in relazione alla pesca. In relazione alla naturadella controversia e alla complessità delle relative questionisussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensa­te tra le parti le spese della presente fase.P.Q.M.La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso edichiara interamente compensate tra le parti le spese dellapresente fase.Riferimenti:Legge© Copyright Il Sole 24 Ore ­ Tutti i diritti sono riservati

RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE

Professionisti senza colpe sui conti

Iorio Antonio , Falcone Francesco, Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi,15 febbraio 2011 ­ Pagina 31

L’impresa non può addossare la responsabilità dell’irregolaretenuta delle scritture contabili sul commercialista che le tiene.A chiarirlo è la Corte di cassazione con l’ordinanza 3651depositata il 14 febbraio 2011.Nei confronti di una società, operante nella commercializza­zione dell’oro, era stato effettuato un accertamento induttivosul presupposto dell’inattendibilità delle scritture contabili.Mentre la commissione provinciale aveva respinto il ricorso, igiudici di appello lo avevano accolto, evidenziando, sostanzial­mente, che la contabilità non poteva ritenersi inattendibile inquanto, trattandosi di commercio di oro, esso avveniva nellamassima trasparenza sotto la vigilanza dell’Ufficio italiano cam­bi. Era stato, inoltre, precisato che, ai fini sanzionatori, leeventuali irregolarità contabili erano da imputare al commer­cialista dato che presso il suo studio era tenuta l’intera conta­bilità.Il ricorso per cassazione dell’agenzia delle Entrate è stato,invece, accolto. I giudici di legittimità hanno rilevato, innanzi­tutto, che non è possibile far discendere la legittimità dellacommercializzazione dell’oro, dal fatto che su tali operazioni

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viene esercitata la vigilanza dell’Uic, in quanto equivarrebbe aescludere, a priori, qualunque forma di contrabbando di oro inItalia.In merito, invece, all’esclusione della responsabilità della socie­tà ai fini sanzionatori per l’irregolare tenuta delle scritturecontabili ascrivibile, secondo la Ctr, al consulente fiscale, laCassazione ha evidenziato che, trattandosi di obbligazioni dicarattere pubblico/sanzionatorio, esse non sono delegabili equindi non è possibile addossare la responsabilità sul commer­cialista. Peraltro l’ordinanza precisa che «tutt’al più» il consu­lente potrebbe essere un concorrente nell’illecito.L’affermazione potrebbe, almeno da una prima lettura, riaprirela questione del possibile concorso del consulente nelle viola­zioni commesse dal contribuente. Tuttavia occorre tener con­to che, verosimilmente, i fatti oggetto del procedimento equindi le affermazioni della Corte riguardano contestazioniantecedenti al mese di ottobre 2003. Infatti, rispetto all’origi­nario impianto del sistema sanzionatorio tributario (decretolegislativo 472/1997) che prevedeva una rigorosa applicazionedel principio, di derivazione penalistica della personalizzazionedella sanzione, l’articolo 7 del Dl 269/2003 (in vigore daottobre 2003), ha fortemente mitigato tale impostazione, pre­vedendo esplicitamente la responsabilità esclusiva della perso­na giuridica per la sanzione amministrativa, allorché questa siarelativa al rapporto fiscale della stessa persona giuridica.Le ragioni di questo ritorno ai principi antecedenti al decreto472/1997 erano individuabili nell’evidente contraddizione de­terminatasi per la quale l’onere della sanzione veniva soppor­tato da un soggetto (dipendente, consulente, eccetera) diver­so da quello che aveva tratto vantaggio dalla commissionedell’illecito. E infatti la dottrina pressoché totalitaria con l’en­trata in vigore del Dl 269/2003 ha sempre escluso, in presenzadi violazioni commesse da società ed enti con personalitàgiuridica, la responsabilità, anche a titolo di concorso dellapersona fisica terza (sia essa dipendente o consulente). Diavviso talvolta diverso, invece, alcuni uffici dell’agenzia delleEntrate, secondo i quali, il concorso sarebbe compatibile conil mutato assetto normativo.Sul punto sembra dirimere ogni dubbio l’autorevole pareredell’avvocatura dello Stato secondo la quale, in sintesi, la com­patibilità tra le due normative deve essere intesa nella possibi­lità, fermo restando l’esclusiva responsabilità ai fini della san­zione della persona giuridica, di considerare gli elementi riferi­ti al soggetto autore materiale della violazione (imputabilità,colpevolezza, errori scusabili) ai fini dell’irrogazione della san­zione alla persona giuridica.© RIPRODUZIONE RISERVATAwww.ilsole24ore.com/normeIl testo dell’ordinanzaLe regoleResponsabilità della persona fisica terza (dipendente, consu­lente, collaboratore) rispetto alla violazione tributaria com­messa da altri01VIOLAZIONE COMMESSA DA DITTE INDIVIDUALI/SO­

CIETÀ DI PERSONE/ENTI SENZA PERSONALITÀ GIURIDI­CALa responsabilità sussiste02VIOLAZIONE COMMESSA DA SOCIETÀ DI CAPITALI EDENTI CON PERSONALITÀ GIURIDICA (ANTE OTTOBRE2003)La responsabilità sussiste03VIOLAZIONE COMMESSA DA SOCIETÀ DI CAPITALI EDENTI CON PERSONALITÀ GIURIDICA (POST OTTOBRE2003)La responsabilità non sussiste (la valutazione delle circostanzesoggettive dell’autore materiale possono essere considerateper la sanzione alla persona giuridica)Riferimenti:© Copyright Il Sole 24 Ore ­ Tutti i diritti sono riservati

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E’ responsabilità del medico informare il paziente sul­le carenze della struttura sanitaria

A cura di Lex24

Corte di Cassazione, III sez. civile, sentenza 17 feb­braio 2011, n. 3847

L’obbligo informativo circa i limiti di equipaggiamento o diorganizzazione della struttura sanitaria grava anche sul medico­ convenzionato o non con la causa di cura, dipendente o nondella stessa ­ che abbia concluso ­ in sede privata ­ con lapaziente un contratto di assistenza al parto presso la casa dicura ove si è convenuto per il ricovero in vista della prestazio­ne sanitaria stessa. E cio’ non solo per la natura ”trilaterale”del contratto, ma anche in ragione degli obblighi di protezioneche, nei confronti della paziente e dei terzi che con la stessasiano in particolare relazioni come ad esempio l’altro genitoreed il neonato, derivano da un contratto che abbia ad oggettotale tipo di prestazione.Ne consegue dunque che, in caso di violazione dell’obbligoinformativo, ove sia sostenibile che il paziente non si sarebbeavvalso di quella struttura se fosse stato adeguatamente infor­mato delle conseguenze derivate dalle carenze organizzative odi equipaggiamento della struttura risponde anche il medicocon il quale il paziente ha instaurato un rapporto di naturaprivatistica.

Corte di Cassazione Sezione 3 CivileSentenza del 17 febbraio 2011, n. 3847

Responsabilità del medico ­ Ipossia perinatale ­ Tetra­paresi spastica

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Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 201122

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONETERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. MARIO ROSARIO MORELLI ­ Presidente ­Dott. ALFONSO AMATUCCI ­ Rel. Consigliere ­

Dott. GIANCARLO URBAN ­ Consigliere ­Dott. ADELAIDE AMENDOLA ­ Consigliere ­Dott. RAFFAELLA LANZILLO ­ Consigliere ­

ha pronunciato la seguenteSENTENZA

sul ricorso 25849­2006 proposto da:Gi. Aq., (...), elettivamente domiciliato in Ro., Via Bu. (...),presso lo studio dell’avvocato Ma. Te. Ac., rappresentato edifeso dagli avvocati Ac. Mo., Co. Cl. giusta procura a marginedel ricorso;­ ricorrente ­controHy. S.p.a., (...), in persona del Presidente del Consiglio diamministrazione e suo legale rappresentante pro tempore,geom. Gi. Mi., elettivamente domiciliato in Ro., Viale Ti. (...),presso lo studio dell’avvocato Pa. Ri., rappresentato e difesodall’avvocato Ed. Ri. giusta delega a margine del ricorso;Ma. As. Ni., (...), nomine proprio e nella qualità di rappresen­tanti del minore Pi. St., St. Al., (...), elettivamente domiciliati inRo., Piazza Co. Di Ri. (...), presso lo studio dell’avvocato Lo.Na., rappresentati e difesi dall’avvocato En. La. giusta delega incalce al controricorso;­ controricorrenti ­nonché controAssitalia S.p.a.;­ intimato ­avverso la sentenza n. 408/2006 della CORTE D’APPELLO diSALERNO, Sezione civile, emessa il 04/05/06, depositata il15/05/2006; R.G.N. 714/03­748/03­775/03.udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del22/10/2010 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;udito l’Avvocato Cl. Co. e Mo. Ac.;udito l’Avvocato Ed. Ri.;udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore GeneraleDott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che ha concluso per ilrigetto.SVOLGIMENTO DEL PROCESSO1. ­ St. Pi., nato a termine il (...) da Ma. As. Ni. in una strutturasanitaria privata, accusò immediatamente dopo la nascita sin­drome asfittica ed encefalopatia anossico emorragica. Tra­sportato presso l’ospedale Sa. di Na., ne fu dimesso con ladiagnosi di ”sindrome di West in bambino con ritardo psico­motorio”.Nel 1993 i genitori, in proprio e nella qualità, agirono giudizial­mente per il risarcimento dei danni nei confronti della societàHy. Vi. De. So. e del ginecologo Gi. Aq., al quale imputarono lamancata diagnosi di ipossia intra partum in feto megalosoma el’omesso immediato ricorso al taglio cesareo.

I convenuti resistettero e chiamarono in causa le rispettivesocietà assicuratrici, chiedendo di esserne garantiti per l’ipote­si di condanna al risarcimento.L’espletata consulenza tecnica collegiale riscontrò che il bam­bino era affetto da ”paralisi cerebrale infantile ed espressionetetraparetica di tipo prevalentemente spastico di grado severo(quadro posturale) con epilessia e deficit cognitivo”, compor­tante un’invalidità permanente del 100%.Con sentenza n. 2042 del 2003 il tribunale di Salerno condan­nò solidalmente i convenuti al risarcimento dei danni, cheliquidò in complessivi Euro 1.201.039,45, oltre alla rivalutazio­ne ed agli interessi. Dichiarò cessata la materia del contenderetra Gi. Aq. e l’assicuratrice Assitalia (che aveva intanto versatoil massimale di L. 500.000.000) e condannò la CompagniaTirrena in l.c.a. a tenere indenne la società Hy. entro i limiti delpattuito massimale.2. ­ La sentenza fu autonomamente appellata con distinti atti dicitazione da Hy. s.r.l., da Nuova Tirrena in liquidazione e da Gi.Aq.Riunite le cause ed acquisita la prodotta documentazione, lacorte d’appello di Salerno ha ­ per quanto in questa sedeancora interessa ­ respinto i gravami della società Hy. e di Gi.Aq. con sentenza n. 408 del 2006.Sulla scorta delle conclusioni dei consulenti e dei chiarimentidagli stessi forniti, la corte territoriale ha in sostanza ritenutoche la paralisi cerebrale fosse conseguenza di un’imponente,prolungata asfissia intra partum; che la sofferenza fetale nonera stata diagnosticata a causa di inadeguati ed insufficientirilevamenti cardiotografici durante il travaglio, addiritturamancanti nelle tre ore e mezzo che avevano preceduto lanascita naturale; che il ritardato intervento di rianimazione delneonato tramite intubazione, avvenuto non prima di ventiminuti dopo il parto, aveva determinato l’aggravamento di unasituazione già fortemente pregiudicata in ragione del mancatoricorso al cesareo, concorrendo a cagionare l’evento nellamisura del 25%.3. ­ Avverso detta sentenza ricorre per cassazione Gi. Aq.,affidandosi a sette motivi.Resistono con controricorso St. Al. e Ma. As. Ni., in proprio enella qualità di esercenti la potestà su Pietro Strinati. Condistinto controricorso resiste anche la società Hy. S.p.a. Casadi cura Vi. De. So.Il ricorrente ha depositato ampia memoria illustrativa.MOTIVI DELLA DECISIONE1. Col primo e col secondo motivo (pp. 7­46 del ricorso) sonodenunciate violazione e falsa applicazione di norme di dirittosul nesso di causalità e sull’erronea commistione fra nessocausale e colpa, nonché motivazione insufficiente e contrad­dittoria su fatti decisivi e controversi.Col terzo (pp. 46­57) sono dedotti gli stessi vizi in punto didistribuzione dell’onere probatorio e di valutazione delle pro­ve sul nesso causale.Col quarto motivo (pp. 57­62) la sentenza è subordinatamen­te censurata per ogni tipo di vizio della motivazione sull’inci­denza eziologica della tardiva rianimazione neo­natale.

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Il quinto motivo (pp. 62­81) investe la decisione in punto diaccertamento della colpa di Gi. Aq., ancora deducendosi viola­zione di legge e vizi di motivazione sulle premesse dell’accer­tamento.Il sesto motivo (pp. 81­86) attiene all’avvenuto accertamentodi un contratto di assistenza al parto tra il ricorrente e lapartoriente, nonostante l’espressa deduzione di fatti seconda­ri incompatibili con l’esistenza di tale accordo.Col settimo (pp. 86­97) il ricorrente si duole di essere statoritenuto responsabile per omissioni e carenze imputabili adaltri (sanitari di turno, ostetrica addetta alla sala parto e casa dicura).2. ­ I primi tre motivi possono essere congiuntamente esami­nati per la connessione che li connota.2.1. ­ Col primo si nega, in particolare, che possa considerarsiaccertato che la paralisi cerebrale del bambino sia dipesa dacarenza di ossigenazione in travaglio da parto. Come ricono­sciuto in sentenza sostiene il ricorrente ­ s’è assistito ad uncontinuo ridimensionamento della valutazione del ruolo deglieventi perinatali nella produzione delle paralisi cerebrali, chesolo nel 3% dei casi derivano da ipossia in travaglio, mentre nelrestante 97% sono riconducibili a cause diverse preesistenti,quali fattori genetici, infettivi, tossici e traumatici. Per poteraffermare che la paralisi è dipesa da asfissia intra partum,devono ricorrere almeno tre condizioni: a) acidosi metabolicain prelievo dello scalpo, in arteria del cordone ombelicale o inun campione molto precoce di sangue neonatale; b) manifesta­zione precoce di encefalopatia neonatale in nati di almeno 34settimane; c) paralisi cerebrale del tipo quadriplegia spastica odiscinesia. Se manca uno solo di tali dati essenziali, la sofferen­za fetale come causa della paralisi è automaticamente esclusa.In proposito ­ continua il ricorrente ­ la corte d’appello habensì riconosciuto il difetto dell’accertamento dell’acidosi me­tabolica, ma ha superato tale carenza probatoria col rilievoche, non essendo stata l’analisi neppure tentata, ”la sua man­canza non può valere a favore di chi non vi ha proceduto” (apagina 51 della sentenza impugnata). Ma non ha consideratoche l’esame sull’acidosi metabolica poteva all’evidenza essereeffettuato dai sanitari in servizio presso l’ospedale Sa. di Na.,dove il nato alle 21,35 era stato trasferito alle 22,30; cosìarbitrariamente ritenendo provato il nesso causale tra la con­dotta omissiva del medico (che non aveva fatto immediatoricorso al cesareo a seguito del mancato rilevamento dellasofferenza fetale tramite controllo cardiotografico) e l’evento,rifiutando ulteriori indagini quali l’esame dello specifico tessu­to cerebrale interessato dalla patologia ed in definitiva ritenen­do provato che l’omissione del medico aveva.provocatol’evento benché fosse assai ”più probabile che non” che essofosse dipeso da altre cause.2.2. ­ Col secondo motivo si imputa alla corte di merito diaver considerato rilevanti, ai fini dell’apprezzamento del nessoeziologico, circostanze se mai idonee a qualificare la colpa,confondendo piani da tenere invece ben distinti.Così, la corte d’appello ha rilevato che la bassa frequenzastatistica del nesso causale tra paralisi cerebrale neonatale ed

asfissia perinatale è stata riconosciuta solo successivamenteall’epoca del parto in questione (pagina 45 della sentenza), poiritenendo (a pagina. 56) che se, per questo, si fosse dovutoescludere la colpa del medico, si sarebbe allora dovuto am­mettere che egli avesse anticipato i risultati della letteraturamedica consolidatasi solo successivamente.Osserva il ricorrente che se, ai fini del giudizio sulla rilevanzacausale, valesse il momento antecedente o successivo all’azio­ne in cui le conoscenze scientifiche sono state acquisite, siarriverebbe all’assurdo di dichiarare la responsabilità del medi­co per non avere applicato delle cure del tutto inutili, soloperché all’epoca del fatto ancora si ipotizzava che potesseroavere una qualche efficacia; mentre è noto che la colpa fungeda limite all’oggettiva predicabilità della responsabilità, unavolta accertata la relazione causale tra condotta ed evento,che ne costituisce un prius (Cass., n. 7997/2005).2.3. ­ Col terzo motivo si premette che la corte d’appello haaffermato: ”la sorprendente mancanza di tracciati cardi oto­grafici nelle tre ore e mezzo successive all’ultima, eppure nondel tutto tranquillante, lettura delle ore 18 ... rende impossibi­le l’accertamento della regolarità o meno del battito fetale,che costituisce un ulteriore criterio o parametro non specifi­co, ma poiché è ascritta alla condotta negligente di chi dovreb­be giovarsi, ritiene questa Corte che tale carenza probatoriaritorni a danno del professionista sanitario e del contraenteCasa di cura, poiché incombeva ad essi provare a vario titolo(...) l’assenza di colpa”.Si sostiene quindi che:­ non era stato però accertato che vi fosse stato un immedia­to e sostenuto deterioramento del battito cardiaco fetale,costituente uno dei 5 elementi che, nella ricorrenza degli altri3 cui s’è fatto sopra riferimento (ma l’acidosi non era stataaccertata), devono essere tutti insieme presenti per poterconfermare la diagnosi effettuata;­ s’era dunque fatta erronea applicazione del principio cosid­detto di vicinanza della prova, giacché il predetto esame pote­va ”all’evidenza” essere effettuato soltanto all’Ospedale Sa.,dove i sanitari addettivi non vi provvedettero e dove gli attoriquell’esame non richiesero (così il ricorso, a pagina 49);­ si era in definitiva conferita all’omessa compilazione dellacartella clinica (non ascrivibile a Gi. Aq., che nell’immediatezzadel parto aveva dovuto affrontare i seri problemi che interes­savano la partoriente ed il bambino) una valenza probatoriainusitata, del tutto estranea ai principi del nostro sistema;mentre presunzioni da difetto di compilazione sono possibilisolo se manchino possibilità alternative di accertamento deifatti;­ si erano disattese le dichiarazioni dei testi (l’ostetrica ed unmedico estraneo all’equipe medica che seguiva il. travaglio), iquali avevano deposto nel senso dell’assenza di sintomi chepotessero suscitare allarme e dell’intervenuta effettuazionedei rilevamenti cardiotografici, con un’apodittica opzione dellacorte d’appello nel senso dell’inattendibilità dei testimoni qua­le conseguenza di un loro (giuridicamente insussistente) inte­resse alla causa, mentre tanto potrebbe influire solo sulla

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capacità del teste ex art. 24 6 c.p.c., ma non vale comunque alegittimare, ex se, un giudizio di inattendibilità.3. ­ Le censure sono infondate.La questione di fondo concerne il mancato accertamentodell’acidosi metabolica mediante un’analisi che, secondo il ri­corrente, si sarebbe potuta effettuare ”solo” presso l’ospedaleSa. di Na., dove il bambino era stato trasportato dopo larianimazione eseguita nel luogo della nascita. Non è peraltrodetto in ricorso quale fosse la ragione per la quale l’indaginenon poteva esser fatta immediatamente, nella stessa strutturadove il parto era avvenuto; come invece ritenuto dalla corted’appello, laddove ha affermato che ”l’analisi non è stata nem­meno tentata, sicché la sua mancanza non può valere a favoreoli chi non vi ha proceduto” (a pagina 51, primo capoverso,della sentenza).La conclusione è conforme a diritto poiché, quante voltel’azione o l’omissione siano in se stesse concretamente idoneea determinare l’evento (nella specie, paralisi cerebrale daipos­sia intra partum), il difetto di accertamento di un fatto astrat­tamente idoneo ad escludere il nesso causale tra condotta edevento (nella specie, ipotetica presenza di una paralisi cerebra­le anteriore al travaglio da parto) non può essere invocato,benché sotto il profilo statistico quel fatto sia ”più probabileche non”, da chi quell’accertamento avrebbe potuto compieree non abbia effettuato (nella specie, dell’acidosi metabolica inprelievo dello scalpo, in arteria del cordone ombelicale o in uncampione molto precoce di sangue neonatale).Si tratta di un principio ”necessario”, in linea con quelloenunciato da Cass., n. 12103/00, concernente un caso nelquale si sosteneva che la morte di una paziente potesse bensìessere stata conseguenza delle accertate omissioni diagnosti­che degli ultimi giorni, ma si era tuttavia escluso che sussistes­se la prova del nesso causale tra comportamento omissivo edevento in quanto ­ non essendo stata effettuata l’autopsia,essendo lacunosa la cartella clinica e non essendo stati dispo­sti gli accertamenti clinici necessari ­ i consulenti non avevanopotuto escludere che la morte fosse sopravvenuta per causeautonome e non collegate allo stato patologico preesistente.Si affermò così che la possibilità, pur rigorosamente prospetta­ta sotto il profilo scientifico, che la morte della persona rico­verata presso una struttura sanitaria possa essere intervenutaper altre, ipotetiche cause patologiche, diverse da quelle dia­gnosticate ed inadeguatamente trattate, che non sia statotuttavia possibile accertare neppure dopo il decesso in ragionedella difettosa tenuta della cartella clinica o della mancanza diadeguati riscontri diagnostici (in quel caso anche autoptici),non vale ad escludere la sussistenza di nesso eziologico tra lacolposa condotta dei medici in relazione alla patologia accer­tata e l’evento (in quel caso la morte), ove risulti provata laidoneità di tale condotta a provocarlo. E ciò per la non nasco­sta ragione che qualunque diversa conclusione avrebbe di fattoprecluso la prova della responsabilità professionale del medico(e/o dell’ospedale) da omissione colposa tutte le volte che,per la mancanza dei dati che lo stesso medico avrebbe dovutorilevare e degli accertamenti che egli stesso (e/o la struttura

ospedaliera) avrebbe dovuto compiere, non possa poi esclu­dersi che la morte sia in ipotesi derivata da cause indipendentidalla accertata patologia, pur se quest’ultima era in se stessaidonea a provocarla senza interventi adeguati (così in motiva­zione, sub nn. 4.1 e 4.2.).La giurisprudenza successiva è conforme (cfr., ex multis, Cass.,nn. 11316/03, 9085/06, 15 38/10 e 10060/10), anche in riferi­mento alla possibilità di far ricorso a presunzioni, se la provanon possa essere data per un comportamento ascrivibile allastessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potutoessere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribu­zione dell’onere della prova ed al rilievo che assume a tal finela ”vicinanza alla prova”, e cioè l’effettiva possibilità per l’una oper l’altra parte di offrirla.Benché debba riconoscersi ­ come magistralmente posto inluce in ricorso e in memoria ­ che effettivamente nella partedella motivazione concernente il nesso causale i riferimentialla colpa sono talora impropri (così, ad esempio, alle pagine47 e 51; non anche a pagina 56, come subito si dirà), vatuttavia escluso che essi rivelino confusioni di sorta, comesarebbe stato fondatamente sostenibile se l’esistenza del nes­so causale fosse stata affermata per il solo fatto dell’esistenzadella colpa. Nel solido ed analitico impianto argomentativodella decisione la corte territoriale si fa, infatti, diffusamentecarico della riconosciuta minore frequenza statistica del nessocausale tra ipossia o anossia perinatale e paralisi cerebrale,nonché della proclamata minore utilità del ricorso alla diagno­stica cardiotocografica, tuttavia motivatamente concludendosiche ”nel caso di specie si e in presenza di quel nesso e quelladiagnostica sarebbe stata utile a prevenire, almeno in parte, ildanno” (per il 25% ascritto al ritardato intervento di rianima­zione, avvenuto venti minuti dopo il parto).In particolare, la sentenza dà puntuale conto della presenza ”dialmeno due criteri discretivi per l’attribuzione aliasfisia intra­partum della paralisi cerebrale: la precoce manifestazione se­vera di encefalopatia neonatale in nati di almeno 34 settimane...; e la paralisi cerebrale del tipo quadriplegia spastica o disci­nesia”, chiarendo anche che a tali parametri ”si aggiungonoalmeno due dei criteri o parametri non specifici, cioè l’indicedi Apgar tra 0 e 6 per più di cinque minuti ... e l’evidenzaprecoce ali”imaging di un’anomalia cerebrale acuta”, nonché la”sorprendente mancanza di tracciati cardiotocografici nelletre ore e mezzo successive all’ultima ­ eppure non del tuttotranquillante ­ delle ore 18” (pp. 49 e 50 della sentenza). Econclude nel senso della dipendenza della paralisi cerebraledalla anossia intrapartum non solo ”alla stregua delle cono­scenze mediche disponibili e generalmente accettate all’epocadei fatti, ma anche alla luce dei successivi sviluppi della scienzae dell’arte medica” (pag. 52 della sentenza), non senza averprecedentemente rilevato l’assenza di qualsiasi condizione in­dicativa di paralisi ante partum (pag. 47 della sentenza).Correttamente, la conclusione è riferita al nesso causale e nonalla colpa, la quale va ovviamente valutata alla stregua delleconoscenze scientifiche proprie del momento storico in cuicade la condotta, com’è stato esattamente fatto dalla corte

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d’appello. Che a pagina 56, affrontando il problema della colpadopo aver compiutamente analizzato quello del nesso causale,appunto chiarisce come non si faccia certo carico al ginecolo­go di aver anticipato i risultati della letteratura medica consoli­datasi solo successivamente, ma di aver imprudentementeusato lo strumento diagnostico costituito dai tracciati cardio­tocografici, sottovalutandone le implicazioni e discostandosidai criteri scientifici di settore in quel momento generalmenteaccertati e comunque non superati, se non in parte, neppurenelle elaborazioni successive.L’imponenza dell’interessamento cerebrale immediatamenteanteriore al parto, la prolungata asfissia, l’ampiezza e l’entitàdell’insulto al tessuto cerebrale riscontrato nell’immediatezzadel parto, con l’alterazione del parenchima cerebrale e ladilatazione degli spazi liquidali cerebrali, in una alla considera­zione dei sintomi riferiti ai primi minuti successivi al parto(neonato silente e cianotico, che ha iniziato a respirare dopol’intubazione, avvenuta ad almeno venti minuti dalla nascita perl’intervento del neonatologo; quadro clinico all’atto del ricove­ro presso l’ospedale Sa. di Na., avvenuto entro le tre ore dalparto, di sindrome apatica ipotonica con scarsa reattività)hanno indotto la corte d’appello a ritenere, con motivazionedel tutto immune da errori di diritto, ”che vi è stata asfissia ed.intra par tuia r che essa è stata imponente e che è stata allabase, con idonea efficacia causale, del quadro clinico finale”.Tale conclusione non è infirmata dal pur suggestivo rilievo delricorrente che, essendo la preesistenza della paralisi cerebralestatisticamente più probabile, l’applicazione del criterio ”delpiù probabile che non”, ormai invalso nell’apprezzamento dellasussistenza del nesso causale in campo civile, avrebbe dovutoindurre a conclusioni opposte a quelle raggiunte dalla corted’appello. Costituisce, invero, consolidato e condivisibile ap­prodo dottrinario e giurisprudenziale che la probabilità stati­stica consente solo di affermare con quale frequenza eventi diun certo tipo si verificano, ma non ha alcuna capacità esplicati­va e non può perciò garantire la spiegazione causale di unsingolo evento; essa indica solo la frequenza del rapporto traclassi di eventi, attenendo a tipi di fatto e non al rapporto traun determinato fatto, supposto causante, ed un determinatoevento, supposto causato. Nel processo giudiziario, dovendo ilgiudice ricostruire fatti determinati e non studiare fenomeninaturali o sociali, viene invece in rilievo la probabilità logica,che indica il grado di conferma razionale della conclusionededuttiva con la quale si afferma che un singolo evento è statocausato dalla condotta di chi si assuma responsabile del suoaccadimento.Nel caso di specie sono stati ampiamente e niente affattocontraddittoriamente esposti i fatti ritenuti dal giudice delmerito rilevanti ai fini della conclusione della sussistenza dinesso causale (da apprezzarsi, appunto, come grado di proba­bilità logica) tra il comportamento omissivo del medico el’evento e si è altresì affermato, del tutto in linea con leconsiderazioni appena svolte, che ”non è di per sé contraddit­torio dare conto della non frequenza statistica di un evento epoi riscontrarlo, dando conto delle modalità del rilevamento,

come realmente accaduto in un singolo caso” (così la sentenzaimpugnata, a pag. 45, dopo aver affermato ­ come s’è giàosservato sopra ma conviene ripetere ­ che i cc.tt.uu. si erano”fatti carico, con argomentazioni ampie, ponderate e appro­fondite, proprio delle critiche iniziali, per giungere poi allaconclusione che, nonostante la riconosciuta minore frequenzastatistica del nesso causale tra ipossia o anossia perinatale eparalisi cerebrale e la riconosciuta minore utilità del ricorsoalla diagnostica cardiotografica, nel caso di specie si è in pre­senza di quel nesso e quella diagnostica sarebbe stata utile aprevenire, almeno in parte, il danno”).Quanto all’argomento ­ ampiamente sviluppato in memoria ­che la sentenza gravata avrebbe in realtà equiparato la nozionegiuridica di condizione necessaria a quella di causa semplice­mente idonea dell’evento, in particolare omettendo di proce­dere alla progressiva eliminazione delle possibili (e preesisten­ti) cause alternative secondo il metodo ed. dell’analisi differen­ziale da condurre mediante il rinnovo della consulenza tecnica,va rilevato, per un verso, che il ricorrente non ha potutochiarire come, a distanza di oltre undici anni dalla nascita,sarebbe stato possibile il riscontro di possibili cause dellarisalente paralisi cerebrale diverse da quella ravvisata dallacorte d’appello (salvo di quelle di tipo genetico, peraltro giàescluse dai consulenti d’ufficio); e, per altro verso, che l’indagi­ne relativa all’acidosi metabolica (idonea, nella ricorrenza dialtri non specifici elementi, ad affermare con assoluta certezzala sussistenza di asfissia intra partum e, dunque, in caso diesito negativo dell’indagine, ad autorizzare a contrario l’infe­renza sull’esistenza di una causa alternativa) ben avrebbe potu­to essere effettuata subito dopo la nascita (evidentemente suiniziativa dello stesso medico che sovrintendeva al parto e noncerto dei genitori del neonato, come si pretende in altra partedel ricorso, anche se in riferimento al momento successivo alricovero del neonato nell’ospedale Sa. di Na.).Ma, come s’è osservato, non lo fu. Sicché, concludendo sulpunto, deve ritenersi che la decisione è conforme al principio(anch’esso enunciato dalla richiamata Cass. n. 12103/00) se­condo il quale, per escludere che un determinato fatto inconcreto causalmente idoneo abbia concorso a cagionare undanno, non basta affermare che il danno stesso avrebbe potu­to verificarsi anche in mancanza di quel fatto, ma occorredimostrare, avendo riguardo a tutte le circostanze del casoconcreto, che il danno si sarebbe ugualmente verificato senzaquell’antecedente.3.1. ­ Quanto alla censura relativa alla ritenuta inattendibilitàdei testi (sanitario di turno ed ostetrica), i quali avevanorispettivamente affermato che i rilevamenti cardiotograficinon erano preoccupanti e che erano state continuativamenteeffettuate auscultazioni del battito cardiaco fetale, le motivatevalutazioni della corte d’appello non prestano il fianco a criti­che rescindenti, essendosi in sentenza affermato (a) che insede di consulenza tecnica s’era invece ritenuto che i tracciatifossero tali da suscitare preoccupazione, considerate anche lamegalosomia e la rottura anticipata delle membrane; e (b) chel’auscultazione del battito da parte di un’ostetrica non presen­

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ta lo stesso grado di attendibilità, in ordine alla valutazionedello stato del feto, di un tracciato cardiotocografico letto daun medico.4. ­ Col quarto, subordinato, motivo di ricorso si assume chela corte d’appello abbia insufficientemente motivato in ordineall’incidenza causale del ritardato intervento di rianimazionedel neonatologo non prima di 20 minuti dopo il parto, perve­nendo alla conclusione dell’incidenza causale di quel ritardoper il (solo) 25%. Il netto miglioramento dello stato del neona­to dopo l’intubazione ­ qual era stato rappresentato da testiescussi dopo le operazioni peritali, delle cui dichiarazioni iconsulenti non avevano pertanto potuto tener conto ­ dimo­strava, invece, che la manovra era stata di indubbia efficacia eche, se fosse stata fatta prima, avrebbe notevolmente ridotto ildanno, sicché a quella condotta omissiva andava riconosciutaun’incidenza causale maggiore.La corte d’appello aveva, per contro, ricavato la modestaincidenza della rianimazione natale semplicemente dal dannocerebrale riscontrato, senza porre rimedio alla parzialità deidati sui quali i consulenti avevano basato le loro conclusioni.4.1. ­ Il motivo è infondato.La corte d’appello ha ritenuto che ”la situazione era già seria­mente compromessa al momento dell’espulsione del feto dal­l’alveo materno, sicché un’estrazione più precoce avrebbequanto meno grandemente limitato il danno, se non ancheconsentito un pieno recupero, essendo previsto nella stessaletteratura medica che un intervento di riossigenazione estre­mamente tempestivo potrebbe avere esiti altamente favorevoliper evitare la irreversibilità della lesione; che la situazione giàgrave è stata ulteriormente aggravata per il ritardo con cui lamanovra di intubazione o di rianimazione del neonato è stataeseguita” (pagina 53).Ha poi affermato che la manovra di intubazione aveva ”con­sentito al neonato di iniziare a respirare e di acquistare uncolorito roseo” (pp. 53 e 54).Ha infine tenuto conto delle risultanze successive ai chiari­menti offerti dai consulenti, laddove ha considerato che ”nep­pure l’ulteriore istruttoria modifica la ricostruzione del fatto:visto che l’intervento decisivo per la rianimazione è effettiva­mente avvenuto non prima di 20 minuti dopo il parto, comeriferito dai testimoni ascoltati dopo il deposito della consulen­za a chiarimenti” (pag. 59).Per un verso, allora, non appare determinante il rilievo che lamanovra di intubazione avesse sortito risultati positivi, postoche prima di quella manovra il bambino addirittura non respi­rava; per altro verso, la corte ha tenuto conto sia della lapositività del suo esito (ovvia, in relazione al fatto che ilneonato aveva potuto finalmente respirare), sia delle risultan­ze dell’ulteriore istruttoria, che tuttavia non l’hanno indotta adeterminare in una percentuale diversa da quella indicata daiconsulenti l’apporto causale della condotta del ginecologo equella della clinica per il ritardo ne1l’intervento di rianimazio­ne (quantificato quest’ultimo nel 25%).Non sussistono, dunque, le lacune della motivazione indicatedal ricorrente.

5. ­ Il quinto motivo di ricorso imputa alla corte territoriale diavere, benché fosse stata depositata documentazione dallaquale risultava che in alcuni casi la lesione cerebrale puòessere la causa piuttosto che la conseguenza dell’asfissia neo­natale, ravvisato l’imprudenza del ginecologo per l’essenzialerilievo conferito alla metodica della cardiotografia quale indicepredittivo di una sofferenza fetale acuta, idonea a dar corsoall’evento della paralisi cerebrale neonatale.Si contesta, in particolare: (a) che l’esame della cardiotografiasia un indice attendibile dello stato di sofferenza del feto,avendo la recente letteratura scientifica chiarito che, nellegravidanze a basso rischio, è vero il contrario; (b) che nel casodi specie i tracciati avessero effettivamente evidenziato delle”anomalie serie”, anziché ”modeste alterazioni”; (c) che i rile­vamenti si fossero protratti per non più di 25 minuti invece dei50 consigliati, come era stato ripetutamente sostenuto dalricorrente sulla base dei rilievi del proprio consulente di parte;(d) che fattori quali la macrosomia e la rottura anticipata dellemembrane fossero ulteriori indici dello stato di sofferenza, attiad integrare ed a confermare i risultati della cardiotografia eda consigliare il ricorso al cesareo.Il ricorrente si duole, in particolare, che la corte d’appelloabbia respinto la richiesta di una rinnovazione della perizia conesperto di cardiotografia ed abbia preferito procedere diretta­mente al riesame dei profili tecnici, dichiarando ­ con chiaroerrore di diritto ­ di aver deciso ”alla stregua della prevalenteletteratura scientifica del momento”, benché quella letteraturanon fosse versata in atti e le conclusioni della corte nonfossero in linea con le conclusioni e dei consulenti d’ufficio e diquelli di parte.Si sostiene, poi, che i tracciati cardiotografici avevano durata di50, 70 e 40 minuti (e che la risposta dei consulenti allecontestazioni avanzate sul punto dal ricorrente non eranoesaurienti), si svilisce la valenza della macrosomia e della rot­tura anticipata delle membrane come indici predittivi dellasofferenza fetale che avrebbe dovuto consigliare l’immediatoricorso al cesareo, si sostiene che l’evento non era concreta­mente prevedibile in relazione alla bassissima possibilità per­centuale che si verificasse e che, sotto tale aspetto, non pote­va considerarsi imprudente la condotta del medico che avevaoptato per una soluzione di vigile attesa del parto naturale.5.1. ­ Il motivo è infondato.Il profilo della colpa del medico è adeguatamente apprezzatodalla corte d’appello alle pagine 55­58 della sentenza, conmotivazione che tiene specificamente conto delle critichemosse dall’appellante e che contiene un apprezzamento sup­portato dalle conclusioni dei cc.tt.uu. laddove conclude nelsenso che ”gli esami presentavano quelle che, alla stregua dellaletteratura scientifica del momento, potevano comunque qua­lificarsi anomalie o comunque situazioni non tranquillanti, cheavrebbero dovuto indurre l’ostetrico ad un monitoraggio con­tinuo e più approfondito (di durata maggiore) e soprattuttonelle ultime ore prima del parto, siccome considerate in unaalla microsomia fetale ed alla rottura anticipata delle membra­ne. Né rileva che questi due ultimi elementi possano da sé soli

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risultare irrilevanti proprio in quanto, come detto, essi hannoconcorso ad un quadro generale di allarme che non poteva,con l’ordinaria diligenza professionale come richiesto anchedalle regole dell’arte accettate al momento del fatto, nonindurre Gi. Aq. ad adottare altre cautele: quali la ripetizionedell’esame e, verosimilmente per l’imponenza dell’interessa­mento cerebrale immediatamente anteriore al parto, la proba­bilità del rilievo di una sofferenza acuta nell’imminenza dellasua insorgenza e la decisione di tentare di evitarne le conse­guenze peggiori con una rapida decisione di parto cesareo oanche solo disponendo la presenza in sala parto di un neona­tologo o anestesista per un’eventualità di immediata rianima­zione”.Si tratta, all’evidenza, di apprezzamenti di fatto, sufficientemen­te e non contraddittoriamente motivati.L’affermata circostanza che i tracciati cardiotograflei in attiattestassero una durata del rilevamento di 50, 70 e 40 minuti,in luogo dei 25 erroneamente supposti dalla corte d’appello,non assume rilievo determinante (al di là della natura percetti­va dell’errore denunciato), essendo inequivoco che la corteterritoriale ha attribuito peso determinante alla ”sorprenden­te mancanza di tracciati cardiotografici nelle tre ore e mezzosuccessive all’ultima, eppure non del tutto tranquillante, lettu­ra delle ore 18” ed alla incontestata assenza in sala parto sia diun neonatologo che di un anestesista. Il che integra, in fatto,una valutazione opposta a quella del ricorrente, il quale avevasostenuto che la situazione consigliava nulla più che una vigileattesa, e dunque, implicitamente, che un comportamento cau­to fosse stato in concreto adottato.L’insussistenza dei prospettati vizi della motivazione in ordinealla prevedibilità dell’evento esclude la ricorrenza della viola­zione, denunciata in rapporto di consequenzialità logica, degliartt. 1176, 1218, 1223, 2236, 2697 c.c., 116 c.p.c, 40 e 41 c.p.6. ­ Col sesto motivo la sentenza è censurata per violazione dinorme di diritto e vizio della motivazione in punto di positivoaccertamento dell’esistenza di un contratto di assistenza alparto tra il ricorrente e la partoriente, nonostante l’espressadeduzione di fatti secondari incompatibili con l’esistenza di unsimile accordo (dimostrata qualità del ricorrente di dipenden­te della casa di cura, assoggettato alle direttive del responsabi­le del reparto), la non ammissione della prova per interpello eper testi sulla mancanza dell’accordo, l’omessa indicazione daparte della corte d’appello della fonte processuale del convin­cimento espresso in ordine all’esistenza di un rapporto trilate­rale tra paziente, ginecologo e casa di cura privata.6.1. ­ I controricorrenti St./Ma. As. Ni. oppongono che v’era inatti la prova relativa e che, in particolare, a tale contratto ilmedico dette esecuzione ”anche quando la paziente era rico­verata in travaglio nella fascia oraria in cui egli non prestavaservizio presso la casa di cura, rimanendo dal proprio studioprivato in contatto telefonico costante con l’ostetrica che laseguiva materialmente, alla quale dettava la terapia da pratica­re, disponendo i controlli necessari ed alla fine intervenendoquando era ormai giunto il momento della nascita”.6.2. ­ A pagina 23 della sentenza si legge che ”è risultato

provato che Ma. As. Ni. si era affidata al dott. Gi. Aq. affinchéla seguisse anche durante il parto e che ella si era ricoveratapresso la struttura sanitaria, ..., perché quivi ella poteva averela disponibilità di detto sanitario”.Ora, effettivamente la sentenza non dice che la prova eraintegrata dalle circostanze in questa sede esposte dai controri­correnti e che varrebbero a provare il patto di assistenza alparto in riferimento al comportamento del debitore nella fasedi esecuzione della prestazione, ma espone non di meno fattidi tale intrinseca forza probatoria in relazione al criterio digiudizio costituito dai dati di comune esperienza (dei quali ilgiudice ”deve” tener conto: Cass., nn. 22022/10 e 24143/10)che l’affermazione della corte d’appello è solo apparentemen­te apodittica. Quei fatti sono stati in motivazione esposti coirilievi: (a) che il ginecologo aveva seguito la paziente perl’intera durata della gravidanza, (b) che ella si era nel primopomeriggio ricoverata proprio nella casa di cura presso laquale egli operava, (e) che il parto avvenne (tardivamente,secondo le conclusioni della corte d’appello) solo dopo che ilginecologo di cui la partoriente era cliente fu chiamato, intor­no alle ore 20, dall’ostetrica di turno.Tale ultima circostanza, prospettata dallo stesso ricorrentenell’esposizione dell’ultimo motivo di ricorso (a pagina 87), èpiù di ogni altra logicamente compatibile solo con la sussisten­za di un contratto di assistenza al parto, giacché il ginecologonon fu solo chiamato, ma alla chiamata rispose, appunto re­candosi in clinica per assistere la partoriente. Né afferma diaver mai sostenuto che alle 20 reiniziasse un suo nuovo turnodi servizio, ulteriore rispetto a quello terminato alle 14.Il motivo va dunque respinto.7. ­ Col settimo ed ultimo motivo di ricorso, deducendosiviolazione e falsa applicazione di norme di diritto ed ogni tipodi vizio della motivazione su punti decisivi, la sentenza è censu­rata:per non avere specificamente esaminato la doglianza con laquale Gi. Aq. aveva sostenuto di non poter essere consideratoresponsabile delle inadempienze degli altri sanitari che si occu­parono del travaglio di Ma. As. Ni. dopo le ore 14 del giornodel parto (termine documentalmente provato del suo turno diservizio in clinica), e fino a quando fu chiamato dall’ostetrica diturno, ossia dopo le ore 20;­ per non aver considerato che l’ostetrica addetta alla salaparto dalle 14 alle 21 aveva, in sede testimoniale, affermato dinon aver notato nella partoriente sintomi che potessero in­durla a chiamare il medico (nessun medico), sicché l’affermata,significativa ipossia intra partum manifestatasi dopo il tracciatocardiotografico delle ore 18 si sarebbe dovuta ascrivere al nondiligente svolgimento del proprio compito da parte delle oste­triche, che erano dipendenti della clinica e non certo ausiliariedel ricorrente Gi. Aq., il quale non aveva alcun dovere divigilanza e controllo sulle stesse mentre non era in servizio;­ per non aver ritenuto, comunque inadeguatamente motivan­do, che la mancanza presso la casa di cura di attrezzature perpoter effettuare l’elettrocardiografia fetale e l’emogasanalisi sucampioni di sangue prelevati dallo scalpo fetale (mancanza che

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il ricorrente aveva chiesto di provare, avendo i consulentid’ufficio affermato che l’asfissia si sarebbe potuta diagnosticaretramite quegli ulteriori esami), così come la presenza in clinicadi un solo cardiotocografo usato anche per il controllo dipazienti non ricoverate e per controlli di routine e l’assenza diuno specifico servizio di guardia ostetrica (che pure il ricor­rente aveva inutilmente domandato di poter provare) costitui­vano connotazioni proprie della struttura sanitaria, la qualeavrebbe dovuto rispondere in via esclusiva di tale carenze perfatto proprio, con correlativa esclusione della responsabilitàdel dott. Aquilino o quantomeno, in subordine, con riduzionedella sua quota di responsabilità al di sotto del riconosciuto75%.7.1. ­ Anche questo motivo deve essere disatteso.Una volta inquadrato, con motivazione infondatamente censu­rata, il rapporto intercorso tra paziente, medico e casa di curaprivata come conseguito ad un contratto trilaterale e corret­tamente affermato che ”la struttura sanitaria aveva l’obbligo diuna compiuta informativa del paziente sui rischi di eventualidimensioni od entità del suo equipaggiamento non idonee afronteggiare particolari situazioni patologiche o devianti ­ siapure con una qualificabilita di normalità statistica ­ dalla nor­ma”, la corte d’appello ha più avanti rilevato che ”non interes­sa alla controparte del rapporto negoziale cioè alla gestante ­o ai danneggiati per colpa aquiliana quale fosse la strutturainternadell’organizzazione dei danneggianti, attesa la natura delle ob­bligazioni comunque assunte”.La conclusione è corretta in diritto, in quanto l’obbligo infor­mativo circa i limiti di equipaggiamento o di organizzazionedella struttura sanitaria grava, in ipotesi siffatte, anche sulmedico, convenzionato o non con la casa di cura, dipendenteo non della stessa, che abbia concluso con la paziente uncontratto di assistenza al parto (o, con qualunque paziente, ditipo comportante la possibilità dell’instaurarsi di situazionipatologiche che non sia agevole fronteggiare) presso la casa dicura in cui era convenuto che ella si sarebbe ricoverata. E ciònon solo per la natura trilaterale del contratto, ma anche inragione degli obblighi di protezione che, nei confronti dellapaziente e dei terzi che con la stessa siano in particolarirelazioni, come l’altro genitore ed il neonato, derivano da uncontratto che abbia ad oggetto tale tipo di prestazioni.Ne consegue che, in caso di violazione dell’obbligazione diinformare, ove sia sostenibile che il paziente non si sarebbeavvalso di quella struttura se fosse stato adeguatamente infor­mato (secondo uno schema analogo a quello descritto, intema di consenso informato, da Cass., n. 2847/10), delle con­seguenze derivate dalle carenze organizzative o di equipaggia­mento della struttura risponde anche il medico col quale ilpaziente abbia instaurato un rapporto di natura privatistica.Nella specie non è affermato che l’obbligazione informativafosse stata adempiuta dal ricorrente; ed è rimasto di conse­guenza estraneo al thema decidendum il punto relativo alladimostrazione, ovviamente possibile quasi esclusivamente at­traverso inferenza induttiva, che la partoriente avrebbe parto­

rito altrove se fosse stata informata dei rischi che potevacorrere presso la casa di cura privata dove prestava la propriaopera il ginecologo che la seguiva.La ripartizione delle quote di responsabilità nei rapporti inter­ni ha integrato un giudizio di fatto, infondatamente censuratosotto il profilo del vizio della motivazione.8. ­ Il ricorso è conclusivamente respinto.La complessità delle questioni poste induce all’integrale com­pensazione delle spese del giudizio di legittimità.P.Q.M.LA CORTE DI CASSAZIONErigetta il ricorso e compensa le spese.Riferimenti:Legge© Copyright Il Sole 24 Ore ­ Tutti i diritti sono riservati

PUBBLIGO IMPIEGO

Permessi studio retribuiti ai dipendenti a tempo de­terminato

Guida al Diritto ­ LE SENTENZE DEL GIORNO

Corte di cassazione ­ Sezione Lavoro ­ Sentenza 17febbraio 2011 n. 3871

Il diritto a usufruire di permessi retribuiti per motivi di studioper i dipendenti con contratto a tempo indeterminato «nonesclude che i medesimi permessi debbano essere concessi adipendenti assunti a tempo determinato, sempre che non visia un’obiettiva incompatibilità in relazione alla natura del sin­golo contratto a termine». Attraverso «un’interpretazione co­erente con il il principio di non discriminazione dei lavoratori atempo determinato», i giudici della Sezione Lavoro della Cas­sazione hanno respinto nella sentenza n. 3871/2011 il ricorsopromosso dal ministero della Giustizia avverso la sentenzadella Corte d’appello di Trento con cui si affermava che ladisposizione contrattuale con cui si prevedevano permessistudio per i dipendenti a tempo indeterminato non potevaessere interpretata «nel senso di escludere ­ scrivono gliermellini ­ i lavoratori assunti a tempo determinato» perché incontrasto con la direttiva Ce n. 70/1999 e il relativo decreto direcepimento (Dlgs n. 368/2001).

Corte di Cassazione Sezione Lavoro CivileSentenza del 17 febbraio 2011, n. 3871

PUBBLICO IMPIEGO ­ RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO DETER­MINATO ­ PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE ­ PERMESSODI STUDIO RETRIBUITO ­ SUSSISTENZA

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

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SEZIONE LAVOROComposta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FABRIZIO MIANI CANEVARI ­ Presidente ­Dott. VITTORIO NOBILE ­ Consigliere ­

Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO ­ Consigliere ­Dott. ULPIANO MORCAVALLO ­ Rel. Consigliere ­

Dott. ROSSANA MANCINO ­ Consigliere ­ha pronunciato la seguente

SENTENZAsul ricorso 11685­2007 proposto da:Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica,domiciliato in Ro., Via dei Po. (...), presso L’Avvocatura Gene­rale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;­ ricorrente ­controCa. Ma.;­ intimato ­avverso la sentenza n. 55/2006 della CORTE D’APPELLO diTRENTO, depositata il 18/10/2006 r.g.n. 47/06;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del26/01/2 011 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore GeneraleDott. COSTANTINO FUCCI, che ha concluso per l’accogli­mento del ricorso.Ritenuto in fatto1. Ca. Ma., dipendente del Ministero della Giustizia assunto atempo determinato, in servizio presso la Procura Generalepresso la Corte d’appello di Trento, si rivolgeva al Tribunale diquella città, in funzione di giudice del lavoro, per sentire dichia­rare il suo diritto a fruire dei permessi retribuiti per motivi distudio, con la conseguente disapplicazione del provvedimentodell’ufficio giudiziario in data 2 marzo 2005, con cui egli erastato escluso dalla graduatoria per le ”150 ore” con la motiva­zione che, ai sensi dell’art. 13 del c.c.n.l. del 16 maggio 2001, ipermessi erano fruibili solo dal personale assunto a tempoindeterminato. Il Tribunale adito accoglieva la domanda e ladecisone veniva confermata dalla Corte d’appello di Trento,che, con la sentenza qui impugnata, respingeva il gravameproposto dal Ministero. In particolare, la Corte di meritorilevava che la disposizione contrattuale, che testualmenteprevedeva i permessi di studio per i lavoratori a tempo inde­terminato, non poteva essere interpretata nel senso di esclu­dere, invece, i lavoratori assunti a tempo determinato, che laclausola, così intesa, sarebbe stata in evidente contrasto con ilprincipio di non discriminazione sancito dalla direttiva CE n.70 del 1999 e dall’art. 6 del d.lgs. n. 368 del 2001, attuativo ditale direttiva; d’altra parte, la concessione dei permessi distudio anche ai lavoratori a termine era stata esplicitamenteprevista dal successivo accordo sindacale del 28 luglio 2003, sìche la determinazione della p.a. doveva considerarsi comun­que invalida.2. Di questa decisone il Ministero della Giustizia domanda lacassazione con un unico motivo di impugnazione. Il dipenden­te intimato non ha svolto difese.Considerato in diritto

1. Con l’unico motivo si domanda alla Corte, ai sensi dell’art.366­bis c.p.c., di affermare che il diritto ai permessi retribuitiper motivi di studio non è applicabile in caso di rapporti dilavoro a tempo determinato, ai sensi dell’art. 13 del c.c.n.l. delcomparto Ministeri in data 16 maggio 2001, integrativo delc.c.n.l. 16 febbraio 1999. A sostegno della propria tesi il Mini­stero ricorrente osserva che la disposizione contrattuale (in­serita in un accordo modificativo del precedente c.c.n.l., equindi di pari livello, contrariamente a quanto ritenuto dallaCorte di merito nel ritenere inapplicabile la procedura diinterpretazione pregiudiziale) non contrasta con l’art. 6 deld.lgs. n. 368 del 2001, che si limita a garantire la parità ditrattamento, per i lavoratori a termine, con esclusivo riferi­mento agli istituti economici; d’altra parte, anche l’AEAN,investita della questione, con propria nota in data 7 febbraio2005 aveva chiarito che la parità non doveva intendersi inmodo assoluto, che alcuni istituti non sono compatibili con latemporaneità della prestazione; infine, nessun rilievo può assu­mere il contratto integrativo indicato dalla Corte d’appello,che non può contenere clausole difformi o contrarie rispettoalle previsioni della contrattazione collettiva nazionale, ai sensidell’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001.2. Il ricorso è infondato.2.1. La direttiva 1999/70 CE del Consiglio, del 28 giugno 1999,ha recepito, dandovi attuazione, l’accordo quadro sul lavoro atempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 fra le organiz­zazioni intercategoriali a carattere generale (Unione delle con­federazioni della Comunità europea­UNICE, Centro europeodell’impresa a partecipazione pubblica­CEEP, Confederazioneeuropea dei sindacati­CES). La clausola n. 1, lettera a), di taleaccordo stabilisce come obiettivo fondamentale quello di mi­gliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendoil rispetto del principio di non discriminazione; la clausola n. 4,più specificamente, dispone che i lavoratori a tempo determi­nato non possono essere trattati in modo meno favorevole,rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili, peril solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro atempo determinato, a meno che non esistano ragioni oggetti­ve; e, se del caso, deve trovare applicazione il criterio del prorata temporis; inoltre, la clausola n. 6 dispone che i datori dilavoro debbano agevolare l’accesso dei lavoratori a tempodeterminato a opportunità di formazione adeguate, per au­mentarne le qualifiche, promuoverne la carriera e migliorarnela mobilità occupazionale.2.2. La direttiva comunitaria ha trovato attuazione nell’ordina­mento interno mediante il decreto legislativo 6 settembre2001, n. 368. In particolare, l’art. 6, relativo al principio di nondiscriminazione, dispone che al prestatore a tempo determi­nato spettano le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesimamensilità, il trattamento di fine rapporto e ogni altro tratta­mento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto atempo indeterminato comparabili, intendendosi tali quelli in­quadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazionestabiliti dalla contrattazione collettiva, e in proporzione alperiodo lavorativo prestato, sempre che tale trattamento non

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sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto atermine. L’art. 7 recepisce la previsione dell’accordo quadrorelativo alla necessità di agevolare i lavoratori a tempo deter­minato per l’accesso ad opportunità di formazione adeguataper aumentarne la qualificazione, promuoverne la carriera efavorirne la occupazione. Infine, l’art. 10 dispone la esclusionedal campo di applicazione del decreto di alcuni contratti erapporti a termine, in quanto disciplinati da specifiche norma­tive, come i contratti di formazione e lavoro, i rapporti diapprendistato, le assunzioni nel settore del turismo e deipubblici servizi per l’esecuzione di lavori di durata non supe­riore a tre giorni, ecc.2.3. La ricognizione normativa consente di configurare il prin­cipio di non discriminazione in relazione a specifiche connota­zioni, rilevanti nella controversia in esame. In primo luogo, ilprincipio è esteso ad ogni trattamento, sia economico chenormativo, come indica il chiaro riferimento ad ”ogni altrotrattamento in atto nell’impresa”, oltre che la espressa men­zione, fra i diritti oggetto di applicazione della norma dettatadall’art. 6 cit., dell’istituto delle ferie, che solo indirettamenteè legato alla retribuzione ed è connesso, in via diretta, aldiritto al riposo del prestatore di lavoro. In secondo luogo, laprevisione di eccezioni al principio di non discriminazione siriferisce ad oggettive incompatibilità ­ di determinati tratta­menti previsti per gli altri lavoratori ­ con la natura del singolocontratto a termine: la incompatibilità, quindi, deve essereobiettiva e, in particolare, deve riguardare, non già la meraesistenza del termine di durata del contratto, bensì la naturadello specifico rapporto, con la conseguenza che l’ostacoloche impedisce il riconoscimento di un determinato diritto,non solo deve rivelarsi non eliminabile con frazionamenti tem­porali del trattamento mediante il criterio del pro rata tempo­ris, ma deve, altresì, essere valutato in concreto in relazionealle specifiche modalità di svolgimento del rapporto e alleobiettive esigenze e finalità su cui si fonda la legittima apposi­zione del termine di durata del contratto.2.4. In base a tali precisazioni va interpretata la disposizionedell’art. 13 del contratto collettivo del comparto Ministeri,che è oggetto di diretta esegesi in questa sede, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3, c.p.c., come sostituito dall’art. 2 deld.lgs. n. 40 del 2006. In particolare, nella parte in cui prevede ildiritto ai permessi retribuiti per motivi di studio, la clausolanon può essere intesa, in virtù del mero riferimento testuale ailavoratori a tempo indeterminato, come ostativa al riconosci­mento di un medesimo diritto per i lavoratori a tempo deter­minato, sì che l’esclusione dai permessi di studio consegua, inmaniera automatica, al fatto che il contratto preveda un termi­ne di durata; ed infatti una tale lettura, posta a fondamento delprovvedimento ministeriale di esclusione del dipendente dallagraduatoria dei permessi delle c.d. 150 ore, si porrebbe inevidente contrasto con il principio di non discriminazione,come recepito nell’art. 6 del d.lgs. 368/2001, là dove il manca­to riconoscimento, ai lavoratori a tempo determinato, di trat­tamenti previsti per i lavoratori a tempo indeterminato èammesso esclusivamente in ragione di un’oggettiva incompati­

bilità riferita, in concreto, alla natura del singolo rapporto atermine. Nella specie, al contrario, la difficoltà dedotta dal­l’Amministrazione datrice di lavoro prescinde del tutto davalutazioni afferenti alle specifiche modalità di svolgimentodella prestazione, in relazione agli obiettivi e alle esigenze chepoterono giustificare l’assunzione a tempo determinato, che,anzi, come la sentenza impugnata ha espressamente accertato,il dipendente, assunto a termine con successivi contratti, ave­va sempre fruito dei permessi di studio, anche successivamen­te alla stipula del c.c.n.l. del 2001, sino alle nuove determina­zioni ministeriali, assunte solo nell’anno 2005 a seguito di notedi chiarimento dell’ARAN.2.5. Non può avere rilievo l’assunto del Ministero ricorrente,secondo cui la tipologia del rapporto, in relazione alla limitatadurata del contratto, impedisce all’Amministrazione di avva­lersi della elevazione culturale conseguente alla fruizione deipermessi di studio. Ed infatti il riconoscimento di determinatibenefici, quali quelli in esame, prescinde da un siffatto interes­se del datore di lavoro, pubblico o privato, essendo diretto allaconcreta attuazione di fondamentali garanzie costituzionali,riconosciute nell’ordinamento internazionale e recepite altresìdal Legislatore nella definizione dei diritti spettanti ai lavorato­ri studenti (art. 2 e 34 Cost.; art. 2 Protocollo CEDU; art. 10legge n. 300 del 1970), le quali devono trovare una concretaed effettiva attuazione nell’ambito un equo bilanciamento congli interessi, pure essi tutelati, alla libera organizzazione del­l’impresa e all’efficienza della pubblica amministrazione (art. 41e 97 Cost.).2.6. Deve pertanto affermarsi il seguente principio di diritto:”In base ad un’interpretazione coerente con il principio di nondiscriminazione dei lavoratori a tempo determinato, sancitodall’art. 6 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, inattuazione della direttiva comunitaria 70/1999 relativa all’ac­cordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dal­l’UNICE, dal CEEP e dal CES, deve ritenersi che l’art. 13 delc.c.n.l. del 16 maggio 2001, relativo al comparto Ministeri eintegrativo del precedente c.c.n.l. del 16 febbraio 1999, nelprevedere la fruibilità di permessi retribuiti per motivi di stu­dio, nella misura di 150 ore, da parte dei dipendenti conrapporto di lavoro a tempo indeterminato, non esclude che imedesimi permessi debbano essere concessi a dipendenti as­sunti a tempo determinato, sempre che non vi sia un’obiettivaincompatibilità in relazione alla natura del singolo contratto atermine; né l’esclusione del beneficio potrebbe giustificarsi, inragione della mera apposizione del termine di durata contrat­tuale, per l’assenza di uno specifico interesse della pubblicaamministrazione alla elevazione culturale dei dipendenti, giac­ché la fruizione dei permessi di studio prescinde dalla sussi­stenza di un tale interesse in capo al datore di lavoro, pubblicoo privato, essendo riconducibile a diritti fondamentali dellapersona, garantiti dalla Costituzione (art. 2 e 34 Cost.) e dallaConvenzione dei diritti dell’uomo (art. 2 Protocollo addizio­nale CEDU), e tutelati dalla legge in relazione ai diritti deilavoratori studenti (art. 10 legge n. 300 del 1970)”.3. La sentenza della Corte d’appello di Trento è conforme a

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tale principio e, pertanto, il ricorso del Ministero va rigettato.Non si provvede sulle spese del giudizio in assenza di difese daparte del dipendente intimato.P.Q.M.La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.Riferimenti:© Copyright Il Sole 24 Ore ­ Tutti i diritti sono riservati

AVVOCATI24 ­ AVVOCATI DEL GIORNO

Paolo Bernasconi è partner dello Studio legale e nota­rile Bernasconi Martinelli Alippi & Partners, con sedein Lugano (Svizzera).

Dal 1986 ha collaborato con altri partner allo sviluppo delloStudio legale fondato a Lugano dall’avv. Carlo Sganzini. Quan­do si raggiunse la quota di oltre una trentina di professionisti, edopo il decesso dell’avv. Sganzini, Bernasconi e gli altri duepartner, avv. Henry Peter e avv. Fabio Gaggini, decisero dicontinuare, ciascuno in modo professionalmente indipenden­te. Oggi lo Studio Bernasconi Martinelli Alippi & Partnersconta dieci giuristi specializzati in diversi settori, sia nella con­sulenza che nel contenzioso.LA FORMAZIONECome nasce la sua passione per il diritto?Durante gli studi alle Università di Berna e Friborgo, dal 1962al 1966, si testava l’adeguatezza del diritto rispetto alle istanzedell’epoca: democratizzazione degli studi, squilibrio nella di­stribuzione mondiale delle risorse, corruzione e abusi delsistema bancario. Assieme ad altri abbiamo creduto, piuttostoche ascoltare cantautori, alla tenacia nel cambiamento delleregole. Quasi vent’anni come responsabile del Pubblico Mini­stero a Lugano, fino al 1985, mi hanno forzato a capire lestrutture economiche e a migliorarle, scrutando paure e pul­sioni degli individui.L’ATTIVITÀ PROFESSIONALEQual è il suo percorso professionale e formativo?Dal 1986, ho sempre occupato quattro uffici: all’Università diS. Gallo e al Centro di Studi Bancari a Lugano, un secondo perattività non profit e di social business, uno per scrivere libri econferenze ed il quarto come avvocato.Quali i settori di specializzazione dello Studio BernasconiMartinelli Alippi & Partners?Siamo avvocati generalisti, pronto soccorso per assistere per­sone ed imprese nel gestire una crisi e per l’allestimento delprofilo di rischio globale, per non più ricaderci.Un successo professionale che ricorda con piacere?I successi conseguiti nei quattro uffici servono soltanto permostrarci quanti e quali obiettivi vadano ancora perseguiti, ecome: studiare, studiare, studiare, il nostro contesto e l’inte­razione personale.LO STUDIO IN CUI OPERAI punti di forza del Suo Studio?Principalmente sono due i nostri punti di forza:

­ l’approccio interdisciplinare: attingere, allo stesso tempo, aldiritto civile, bancario, amministrativo, fallimentare, penale,fiscale e rogatoriale.­ l’approccio internazionale: assistere clientela radicata in piùgiurisdizioni; ci servono almeno quattro lingue e un poderosonetwork fondato solo sulle esperienze convissute invece chesulla carta.Come è strutturato il processo di aggiornamento dei Suoiprofessionisti?L’aggiornamento avviene tramite lo studio per pubblicazionionline, la promozione e partecipazione di convegni per pro­fessionisti, la formazione interna permanente.Quali sono i criteri di selezione delle nuove risorse?La selezione delle risorse è molto sofisticata; ci vuole fortuna,oltre ad un presupposto: ogni giornata dev’essere utile per ilcliente e per la propria crescita intellettuale; i soldi? farina deldemonio.Come è cambiato il rapporto con la clientela in questo perio­do?Gli avvocati americani ci fanno impazzire con mille domande, iclienti nordici sono pignoli, l’estro dei mediterranei talvoltainnesca troppi rischi, quelli dell’Est risentono dei decenni dellaburocrazia al potere, gli indiani esigentissimi, e ogni tanto cirilassiamo in dialetto (svizzero­tedesco).Quali sono i settori di specializzazione sui quali scommetteper soddisfare le nuove esigenze del cliente?E’ indispensabile saper gestire quei rischi legali e reputazionalidi cui la clientela non è (ancora) abbastanza consapevole.Il Suo Studio è impegnato in attività di volontariato?Il volontariato tocca tutti i professionisti. Stiamo sviluppandostrutture per entità Profit For Non Profit. Sullo stendardo:Low (financial) Profit; High (social) Value.LA PROFESSIONE DOMANIQuale istituto giuridico avrebbe bisogno di una regolamenta­zione più moderna?Tutti gli istituti giuridici vanno adattati costantemente: quelliutilizzati dalla banca e dalle assicurazioni, i tribunali, le conven­zioni internazionali, ecc.Nelle vesti di Ministero della Giustizia quale iniziativa prende­rebbe per migliorare il servizio?La Giustizia dovrebbe essere più accessibile a chi ha menomezzi. Viene continuamente delegittimata, ma tutti la cercano,perché tutti ne hanno bisogno. Forse è un istinto, come man­giare, dormire, parlare.PER I GIOVANIUn consiglio ad un giovane aspirante avvocato?Sicuramente lo svolgimento della pratica professionale all’este­ro e, poi, parlare, correntemente, almeno l’inglese.DIETRO LA TOGA...Qual è lo strumento tecnologico che preferisce utilizzare perlavoro?La testa, se c’è anche il cuore, ancora meglio!Quali hobby fuori dall’aula?L’attività professionale è molto impegnativa; ho quattro uffici;fuori, raccolgo suggerimenti e adesioni per nuovi progetti.

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La vacanza ideale?La vacanza: anche a Milano, se in compagnia di qualcuno da cuiimparare.Il libro preferito?Dopo quarant’anni passati a discernere i trucchetti stucchevolidegli impostori, sono più quelli che scrivo di quelli che leggo.Intanto fra i cembri secolari dell’Engadina e gli ulivi millenaridella Puglia, ho appena terminato un libro intitolato ”Banche eimprese nel procedimento penale. Strategie di diritto penale,civile, bancario, fiscale e rogatoriale”.­­­a cura della Redazione di Avvocati2422/02/2011

PROFESSIONI E IMPRESE24 ­ DIRITTO FALLI­MENTARE

L’intervento dei terzi nel giudizio pre­fallimentare:una decisione condivisibile, con riserva

di Rosario Di Legami

Avvocato ­ A CURA DI AVVOCATI24La sentenza del Tribunale di Palermo del 17 settembre 2010merita di essere segnalata poiché affronta la nuova e rilevantetematica inerente l’ammissibilità dell’intervento dei terzi cre­ditori nella fase pre­fallimentare.Il fattoIl Collegio Siciliano, a fronte di un ricorso per la dichiarazionedi fallimento di una S.p.A., in sede di verifica pre­fallimentaresi è trovato ad esaminare due interventi fondati su diversipresupposti.Nel primo, il terzo creditore ­ rappresentato da un istituto dicredito ­ agiva in via surrogatoria ex art. 2939 c.c. per eccepi­re la prescrizione parziale del credito vantato dalla ricorrenteverso la società fallenda, e quindi contestando la stessa legitti­mazione attiva del proponente; nel secondo, una società eraintervenuta nella qualità di debitrice della società insolvente.La decisione

Il Tribunale, pronunziandosi preliminarmente sugli interventinella fase pre­fallimentare, ha stabilito che la loro ammissibilitànon deve essere esclusa in termini astratti e pregiudiziali, madeve essere valutata in concreto, ed in particolare se sussistaun interesse giuridicamente apprezzabile inerente all’oggettodel procedimento ossia all’esistenza dei presupposti per ladichiarazione di fallimento.Conseguentemente, il Collegio ha ritenuto ammissibile l’inter­vento dell’Istituto bancario, ritenendo condivisibile la argo­mentazione secondo cui l’eventuale declaratoria di fallimentoavrebbe vincolato ogni possibilità satisfattiva del proprio credi­to alle regole del concorso con gli altri creditori; al contrario,non ha ravvisato alcun interesse giuridicamente apprezzabile

nel secondo intervento, motivandolo nel senso della assolutaindifferenza per la interveniente debitrice di adempiere infavore della curatela o della società “in bonis”.Analisi del provvedimento del Tribunale di PalermoLo scrivente considera in linea generale del tutto condivisibilela decisione del Tribunale di Palermo, pur se ­ come si vedrà ­ritiene che essa possa essere foriera di un ulteriore appesanti­mento del giudizio a scapito di altri diritti riconosciuti aicreditori.In particolare, tale sentenza si inserisce nel più ampio dibattitoinerente la natura della fase pre­fallimentare ­ disciplinata dal­l’art. 15 della legge fondamentale n. 267/1942 ­ alla luce siadella novella n. 5/2005 sia del decreto correttivo n.169/2007.In particolare, con i suddetti interventi modificativi, il Tribuna­le può ammettere ed espletare i mezzi istruttori richiesti dalleparti o disposti d’ufficio, nonché può disporre consulenzatecnica con facoltà di nomina dei consulenti di parte.Inoltre Il Collegio, ad istanza di parte, può emettere i provve­dimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio odell’impresa, che però hanno efficacia limitata alla durata delprocedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenzache dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto cherigetta l’istanza.Dalla introduzione delle superiori garanzie processuali, non­ché di possibilità istruttorie e probatorie concesse alle parti ­in ossequio al principio costituzionalizzato del giusto processo­ si è aperto un ampio dibattito in dottrina in merito almantenimento della natura “sommaria” del giudizio prefalli­mentare, considerato che gran parte della attività legislativa­mente riconosciute si sono ritenute assimilabili a quelle digiudizio ordinario.In particolare, un primo orientamento (Montanari, Ferro,Bonfanti) ha affermato che, pur nell’introduzione di incisivegaranzie e di un efficace contraddittorio, la fase prefallimenta­re non ha perso il suo intrinseco carattere sommario, inossequio al richiamo espressamente contenuto dal primocomma dell’art. 15 L.F.Un’ulteriore opzione ermeneutica invece (De Santis, Righetti)sostiene che la novella, a prescindere dal dato normativo sullasommarietà della procedura pre­fallimentare, abbia in realtàintrodotto un giudizio a cognizione ordinaria contenziosa, invirtù della estensione dei poteri istruttori ed officiosi ricono­sciuti al Tribunale.La sentenza in commento, nel rendere legittimi gli interventidei terzi, seppur con un giudizio di ammissibilità in concreto,sembra porsi nel solco di tale ultimo orientamento, atteso cheil procedimento pre­fallimentare viene ulteriormente arricchi­to dalla possibilità per gli intervenienti estranei al contraddit­torio di poter esporre e rappresentare le proprie ragioni.Considerazioni conclusiveSi ritiene che, ove si aderisca alla tesi di qualificare la fasepre­fallimentare come un giudizio cognitorio e non sommarioalla luce del riformato art. 15 L.F., la sentenza in commento siaassolutamente coerente, estendendo le garanzie di partecipa­zione piena al procedimento non solo alle parti ma, ove porta­

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tori di un interesse giuridicamente rilevante, anche ai terziintervenienti.Si esprime però più di una perplessità proprio sul sostanzialeabbandono del requisito della sommarietà, che invece dovreb­be strutturalmente caratterizzare il momento di valutazionepre­fallimentare, attesi gli effetti distorsivi che questa nuovaprospettiva può determinare sul fallimento.In particolare, è stato correttamente rilevato (Pajardi, Palu­chowski), che il 2° comma dell’art. 67 L.F. ha ridotto il periodosospetto per le revocatorie a soli sei mesi antecedenti alfallimento. Conseguentemente, è di palese evidenza che unarticolato giudizio pre­fallimentare di lunga durata renderà deltutto impossibile l’esercizio della revocatoria nei tempi anzi­detti, con l’effetto di abrogare di fatto il citato 2° commadell’art. 67 L.F.D’altra parte, l’ulteriore innesto nella procedura per la dichia­razione di fallimento della valutazione degli interventi non faràaltro che appesantire il procedimento, rendendo del tuttoprevedibile la suddetta sostanziale abrogazione.___________________________________________________LEGGI ANCHE ]CONSULTAZIONE RISERVATA AGLI ABBONATI DILEX24 ­ PER INFORMAZIONI CLICCA QUI]Nel giudizio di ammiissibilità del concordato non sindacabile larelazione sulla fattibilitàPaolo Pirruccio, Guida al Diritto, 29 gennaio 2011, n. 5 ­ Pagina 91Corte di Cassazione Sezione 1 Civile ­ Sentenza del 25 ottobre2010, n. 21860Integrale FALLIMENTO E PROCEDURE CONCORSUALI ­ CON­CORDATO PREVENTIVOMassima redazionale CONCORDATO PREVENTIVO ­ GARANZIADEL COMMISSARIO GIUDIZIALE DELLA VERIDICITÀ DEI DATIAZIENDALI ­ COMPITO DEL TRIBUNALE ­ VERIFICA DELLA DO­CUMENTAZIONE PRODOTTA DAL DEBITORE ­ VERIFICA DELLAMOTIVAZIONE DEL PROFESSIONISTA ATTESTATORE ­ PRESUP­POSTO PER LA SUCCESSIVA VERIFICA CRITICA DEMANDATA ALCOMMISSARIO GIUDIZIALE ­ POTERE DEL TRIBUNALE DI SO­VRAPPORSI ALLA VALUTAZIONE DEL COMMISSARIO DI FATTIBI­LITÀ DEL PIANO ­ ESCLUSIONE.Massima redazionale CONCORDATO PREVENTIVO ­ COMMISSA­RIO GIUDIZIALE ­ COMPITO DI GARANTIRE LA VERIDICITÀ DEIDATI ­ FUNZIONE DI GARANTIRE AI CREDITORI UN CONSEN­SO INFORMATO ­ SUSSISTENZA ­ ESTENSIONE DEL SINDACA­TO DEL TRIBUNALE ALL’ACCERTAMENTO DELLA VERIDICITÀDEI DATI ­ ESCLUSIONE.Massima redazionale CONCORDATO PREVENTIVO ­ AMMISSIO­NE ­ POTERE DI CONTROLLO DEL TRIBUNALE ­ CONTROLLOSULLA FATTIBILITÀ DEL PIANO ­ ESCLUSIONE ­ VALUTA­ZIONE DEL TRIBUNALE IN ORDINE ALLA SERIETÀ DEL­LE GARANZIE OFFERTE O ALLA SUFFICIENZA DEI BENICEDUTI PER LA REALIZZAZIONE DEL PIANO ­ ESCLUSIONE ­PREVALENZA DELLA NATURA CONTRATTUALE E PRIVATISTICADEL CONCORDATO.©RIPR

IL MERITO ON­LINE ­ PENALE ­ DELITTI A MEZ­ZO STAMPA

Le fonti informative nel delitto di diffamazione a mez­zo stampa

di Scodnik Nicola

Corte Appello di Milano, Sezione Prima Penale, Sen­tenza 8 aprile 2010, n. 1162

Con la sentenza n. 1162 dell’8 aprile 2010, la Prima SezionePenale della Corte di Appello di Milano ha avuto modo diapprofondire un tema di indubbia rilevanza avuto riguardo alpanorama mediatico­giudiziario che, di questi tempi, semprepiù spesso contraddistingue la quotidianità delle notizie gior­nalistiche riportate sulla carta stampata.Come noto, il potere­dovere di raccontare accadimenti realiper mezzo della stampa, in considerazione del loro interesseper la generalità’ dei consociati, essenziale estrinsecazione deldiritto di libertà di manifestazione del pensiero, per esserlegittimo, secondo la consolidata giurisprudenza, civile e pena­le, deve osservare le seguenti condizioni: a) la verità dellanotizia pubblicata; b) l’interesse pubblico alla conoscenza delfatto (cd. pertinenza); c) la correttezza formale dell’esposizio­ne (cd. continenza).Quanto al primo requisito soltanto la correlazione rigorosatra fatto e notizia di esso soddisfa all’interesse pubblico dell’in­formazione e cioè alla ratio dell’art. 21 Cost., e riporta l’azio­ne nel campo dell’operatività dell’art. 51 c.p., rendendo nonpunibile, nel concorso dei requisiti della pertinenza e dellacontinenza, l’eventuale lesione della reputazione altrui.Perciò, se il presupposto dell’esistenza del diritto di cronaca èil principio della verità, che ne legittima l’esercizio ­ comesancito dall’art. 2, comma 1 dell’art. 2 della legge professionale3.2.1963 n. 69, che esige il rispetto della verità sostanziale deifatti, osservati sempre i doveri di lealtà e di buonafede ­ neconsegue che il giornalista ha l’obbligo di controllare l’attendi­bilità della fonte informativa e di accertare la verità del fattopubblicato; pertanto, se egli pubblica una vicenda non vera elesiva della reputazione altrui ­ diritto anch’esso costituzional­mente protetto dagli artt. 2 e 3 della Costituzione ­ è respon­sabile del reato di diffamazione a mezzo stampa a meno chenon provi l’esimente di cui all’art. 59, ultimo comma, cod. pen.e cioè la sua buonafede (cd. verità putativa del fatto), che nonsussiste per la mera verosimiglianza dei fatti narrati, ma neces­sita che egli dimostri sia i fatti e le circostanze che hanno resoinvolontario l’errore, sia di aver controllato con ogni curaprofessionale ­ da rapportare alla gravità della notizia e all’ur­genza di informare il pubblico ­ la fonte della notizia, assicuran­dosi della sua attendibilità, al fine di vincere ogni dubbio edincertezza prospettabili in ordine alla verità dei fatti narrati.Viceversa, l’affidamento riposto sulla fonte informativa nonufficiale è a suo rischio, perchè egli ha il dovere di non appa­garsi di notizie rese pubbliche da altre fonti informative senza

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Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 201134

esplicare alcun controllo, altrimenti le diverse fonti propalatri­ci delle notizie, attribuendosi reciproca credibilità, finirebberoper rinvenire l’attendibilità in se stesse.La sentenza n. 1162/10 della Corte di Appello di MilanoLa vicenda esaminata dalla Corte distrettuale meneghina traeorigine dalle querele proposte da alcuni medici chirurghi, il cuinome era stato pubblicato su un noto quotidiano nazionale,nel quale si dava ampio risalto ad un’indagine giudiziaria dispo­sta nei loro confronti per varie ipotesi di reato in riferimentoalla prescrizione e vendita di medicinali prodotti da un’aziendafarmaceutica.A fronte del fatto che le risultanze documentali prodotte dalleparti lese dimostravano come all’epoca della pubblicazionealcun procedimento penale risultava iscritto nei loro confron­ti, gli imputati affermavano di aver assolto con diligenza aldovere del giornalista per aver ottenuto l’informazione, poipassata alle stampe, da fonte “altamente privilegiata”.Tuttavia, come aveva in precedenza già osservato il Giudice diprimo grado, la Corte ha avuto modo di evidenziare che, nelcaso di specie che tale fonte non è mai stata rivelata, tale percui non si è potuto apprezzare l’asserita alta qualità dellastessa, rimasta ignota per volontà degli imputati e rispetto allaquale che le sole assicurazioni fornite dai medesimi in tal sensonon possono costituire prova, non foss’altro perché prove­nienti da soggetti non obbligati a dir la verità.L’aver opposto il segreto professionale, pertanto, se, da unparte legittimamente consente al giornalista di non rilevare lasua fonte informativa, dall’altra non risolve il quesito sullaautorevolezza o attendibilità della stessa e, dunque, sul corret­to esercizio, almeno a livello putativo, del diritto di cronaca.La Corte di Appello ha ricordato che è ormai consolidatol’insegnamento della Suprema Corte secondo cui il giornalistanon può invocare l’esercizio del diritto di cronaca sotto ilprofilo della putatività se non abbia dimostrato di aver postoogni più oculata diligenza ed accortezza nell’individuazionedelle fonti informative, di aver esplicato ogni più attendo vaglioin ordine alla loro attendibilità, di aver operato ogni più pene­trante esame e controllo sulla rispondenza al vero della notiziae che non può ritenersi svincolato dall’onere fornire taledimostrazione, facendo semplice riferimento all’autorevolezzadella fonte (Cass., Sez. V, 18 giugno 2010, n. 23695; Sez. V, 17maggio 1992, Saltarelli)E’, infatti, ampiamente noto che, pur in presenza della diffusio­ne di una notizia non corrispondente a verità, l’autore puòinvocare l’ipotesi di esimente putativa, quando dimostri che ladiffusione della notizia non vera sia dovuta a un errore invo­lontario, che si riflette sul dolo; negandolo, come in ogni causadi giustificazione, l’errore può produrre questo effetto, quan­do l’autore dia prova: a) dei fatti e delle circostanze cherendono attendibile e giustificano il proprio errore; b) dei fattie delle circostanze che riscontrano la cura da lui posta nellaverifica della verità dei fatti narrati.Nel nostro caso, gli imputati s sono posti ben lontani dal­l’adempimento di quest’onere probatorio, in quanto, comeabbiamo detto, si sono limitati a rappresentate la figura di alto

livello professionale e,quindi, di presunta alta affidabilità cono­scitiva,la cui identità però è rimasta nell’ombra, mentre è statamessa in luce la sua assoluta disinformazione e inaffidabilità.E’ stato così reso impossibile un controllo da parte dei giudicidell’effettivo uso legittimo della fonteL’uso delle fonti informative e l’esercizio putativo del diritto dicronacaL’uso legittimo delle fonti informative costituisce un temacentrale nell’analisi delle possibili conseguenze di un erroneoesercizio di cronaca.Invero, una volta verificato il versante dei limiti obiettivi al­l’esercizio del diritto cronaca, l’indagine trova il necessariocompletamento nell’esame delle ipotesi di erroneo eserciziodi tale diritto e, dunque, di putatività della condotta.L’argomento assume notevole rilievo, quantomeno per la fre­quenza con cui, una volta fallito il tentativo di dimostrare laverità dell’addebito, l’esercizio putativo del diritto di cronacaviene evocato dalla difesa degli imputati del delitto in esame.Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con una notapronuncia ormai risalente nel tempo (Cass. S.U., 30 giugno1984, Ansaloni), hanno formulato una serie di imprescindibiliindicazioni in merito all’applicazione della scriminate putativadel diritto di cronaca, nel contesto delle quali l’uso legittimodelle fonti informative costituisce il nucleo centrale dell’indagi­ne svolta.In particolare, è stato affermato che, perchè tale uso legittimorimanga soddisfatto, è escluso possa farsi riferimento soloal’attendibilità della fonte perché “espressione di una valuta­zione soggettiva e probabilistica” incompatibile con la stessaintrinseca natura del concetto di cronaca.Da tale impostazione, ne consegue, pertanto che non esisto­no fonti informative privilegiate ovvero aprioristicamente at­tendibili o normativamente predeterminate, tali da legittimaredi per sè la condotta del cronista (Cass, Sez. V, 23 aprile 1992,De Simone; Sez. IV, 2 marzo 1990, Oliva, Sez. V, 26 gennaio1988, Manni).Con l’unica ed ovvia eccezione in cui la fonte informativa siarintracciabile nell’Autorità Giudiziaria (Cass. civ. Sez. III, 31marzo 2006, n. 7605).Qualora, poi, ci si debba confrontare con i contenuti di unintervista televisiva ”in diretta”, poiché tale attività presuppo­ne che siano comunicate notizie provenienti da una fonte ”nonfiltrata”, non si può esigere dal giornalista l’esecuzione di unsia pur rapido controllo prima della diffusione della notizia edin particolare un’attività di verifica sulla fondatezza della noti­zia comunicata e diffusa, in quanto essa viene diffusa nellostesso momento in cui il giornalista la apprende dall’intervista­to.Quindi, l’obbligo di controllo di veridicità che grava sul giorna­lista in ordine all’intervista ”in differita” non è applicabile algiornalista che effettui l’intervista ”in diretta”, trattandosi dicondotta inesigibile, posto che non si può controllare ciò cheancora non si conosce; tuttavia, il giornalista, in tal caso, deveosservare la diligenza ”in eligendo”, nel senso che nella sceltadel soggetto da intervistare deve adottare, sia pure nei limiti

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del diritto­dovere di informare, la cautela preordinata ad evita­re di dare la parola a soggetti che prevedibilmente ne approfit­tino per commettere reati, fermo restando l’obbligo di inter­venire, se possibile, nel corso dell’intervista (chiarendo, chie­dendo precisazioni ecc.), ove si renda conto che il dichiaranteecceda i limiti della continenza o sconfini in settori privi dirilevanza sociale. (Cass., Sez. V, 20 dicembre 2007, n. 3597)In definitiva, da quanto sopra ne consegue che quella sullaattendibilità della fonte si risolve, pertanto, in una valutazionesulla credibilità della medesima rapportata alla personalità delsoggetto da cui promana, alla natura della notizia ed allecircostanze del caso concreto.Si può, dunque legittimamente sostenere che l’applicazionedella regola normativa che equipara il “putativo” al reale pre­suppone il rispetto delle regole metodologiche per la verificacirca l’autenticità della notizia, non pretendendo dal giornalistala “verità assoluta”, ma solo che, quando divulga notizie lesivedella reputazione altrui, adotti un criterio di lavoro impronta­to alla correttezza.in collaborazionecon LEX24La Cassazione ha pubblicato in casi simili­ Corte di Cassazione, 18.06.2010, Sezione 5, CompetenzaPenale, Sentenza, n. 23695­ Corte di Cassazione, 31.03.2006, Sezione 3, CompetenzaCivile, Sentenza, n. 7605­ Corte di Cassazione, 31.03.2006, Sezione 3, CompetenzaCivile, Sentenza, n. 7605­ Corte di Cassazione, 31.03.2006, Sezione 3, CompetenzaCivile, Sentenza, n. 7605­ Corte di Cassazione, 18.06.2010, Sezione 5, CompetenzaPenale, Sentenza, n. 23695Altri documenti per la voce selezionataGiurisprudenza(1)Corte d’Appello, Milano, 26.04.2010, Sezione 1, Compe­tenza Penale, Sentenza, n. 1162Legge (5)Costituzione della Repubblica, Articolo n. 2Costituzione della Repubblica, Articolo n. 3Costituzione della Repubblica, Articolo n. 21Codice penale, Articolo n. 59Codice penale, Articolo n. 51Top Page>> torna all’archivio commenti di merito penale

DA REPERTORIO24

Corte di Cassazione Sezione Lavoro CivileSentenza del 10 febbraio 2011, n. 3237

LAVORO ­ CONCILIAZIONE ­ VERBALE ­ MANCANZAFIRMA CONTESTUALE DEL SINDACATO.Il verbale di conciliazione relativo alla conclusione di un rap­porto di lavoro non produce effetto se manca la sottoscrizio­ne contestuale del sindacalista, né l’accordo può valere comeeventuale transazione tra le parti se mancano le reciprocheconcessioni. (Nella fattispecie, il ricorrente si era dimesso pergiusta causa e aveva iniziato immediatamente un nuovo rap­porto, terminato con un licenziamento orale, con la stessa

azienda: la continuità della prestazione lavorativa è desumibilenon solo dal fatto che il dipendente ha continuato a svolgerele stesse mansioni senza soluzione di continuità, ma anchedalla circostanza che il verbale di conciliazione sindacale man­ca della firma del rappresentante. Di qui l’obbligo aziendale dipagare tutte le differenze retributive).Repertorio24PUBBLICAZIONEIl Sole 24 Ore, www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com, 2011

Corte di Cassazione Sezione 6 PenaleSentenza del 15 febbraio 2011, n. 5752

ASSISTENZA FAMILIARE ­ OBBLIGHI ­ VIOLAZIONE.

Il coniuge separato non può decidere autonomamente diridurre l’assegno che versa all’ex moglie; soltanto la compro­vata incapacità di far fronte all’impegno consente infatti didiminuire l’importo di quanto dovuto. Incorre dunque nelreato di violazione degli obblighi di assistenza familiare chi, inassenza di una prova di indigenza o di impossibilità a rispetta­re la cifra pattuita, trasgredisce quanto stabilito dal giudice insede di separazione, grazie a un confronto fra le parti e nel­l’interesse del minore.Repertorio24PUBBLICAZIONEIl Sole 24 Ore, www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com, 2011, n

Corte di Cassazione Sezione 5 PenaleSentenza del 10 febbraio 2011, n. 4938

Reati contro la persona ­ Delitti contro l’onore ­ Diritto dicritica storica e politica ­ Razzista e nazista ­ Esponente fasci­sta ­ Diffamazione ­ Reato ­ Esclusione

Sono espressioni legittime, che rientrano in un legittimo eser­cizio del diritto di critica politica, quelle con cui un vice presi­dente della provincia ha definito la formazione di estremadestra Forza Nuova come organizzazione chiaramente fasci­sta, portatrice di valori come la ”xenofobia, il razzismo, laviolenza e l’antisemitismo”. Altrettanto lecito è il comporta­mento del giornalista che, esercitando il suo diritto di crona­ca, ha riportate tali espressioni in un suo articolo. Tali defini­zioni, peraltro, alla luce dei dati storici e dell’assetto normati­vo vigente durante il ventennio fascista , in particolare delleleggi razziali, non possono essere considerate lontane dallaverità. >?Repertorio24PUBBLICAZIONEIl Sole 24 Ore, www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com, 2011

Corte CostituzionaleSentenza del 11 febbraio 2011, n. 46

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Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 201136

SERVIZIO POSTALE ­ POSTACELERE ­ RITARDATO RECA­PITO ­ RISARCIMENTO INTEGRALE.

In caso di ritardo nel recapito di una spedizione effettuatacon il servizio postacelere le Poste devono risarcire l’interodanno subito dal cliente. Va, infatti, dichiarato illegittimo l’art.6 del D.P.R. n. 156 del 1973, nella parte in cui il concessiona­rio non incontra alcuna responsabilità per il ritardato recapitodelle spedizioni. La previsione della mera corresponsione delcosto per la spedizione determina infatti, anche nel caso diservizio postacelere, una totale esclusione di responsabilità,non essendo in grado di assolvere a una funzione risarcitoriadel danno arrecato all’utente, che utilizza il predetto servizioproprio in vista della celerità del medesimo. (Nella fattispecie,una società che aveva spedito a mezzo postacelere la docu­mentazione necessaria per partecipare a una gara per l’affida­mento di un appalto ha visto recapitare la spedizione, a causadi un errore del vettore, a Reggio Calabria invece che a Reg­gio Emilia, con conseguente esclusione dalla gara dell’istante,essendo nel frattempo scaduto il termine di presentazionedelle offerte).>?Repertorio24PUBBLICAZIONEIl Sole 24 Ore, www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com, 2011

Consiglio di Stato Sezione 5Sentenza del 8 febbraio 2011, n. 841

ONERI DI URBANIZZAZIONE ­ MANCATO PAGAMEN­TO ­ FIDEIUSSIONE ­ SANZIONE.

Il Comune può raddoppiare gli oneri di urbanizzazione anchein presenza di una fideiussione. Il ritardato pagamento, infatti,rappresenta un vero e proprio inadempimento, tale da deter­minare la riscossione coattiva del credito. In tema di contrat­to di garanzia cosiddetta autonoma, con il quale il garante siobbliga a non opporre eccezioni concernenti la validità, l’effi­cacia e la vicenda del rapporto principale, nonché a eseguirela prestazione oggetto della garanzia ”a semplice richiesta”del creditore garantito, il meccanismo dell’adempimento delgarante ”a prima richiesta” scatta in seguito all’inadempimen­to dell’obbligazione principale, sebbene resti vietato al garan­te di chiedere la preventiva escussione del debitore principa­le. L’obbligo di diligenza gravante sul creditore non si estendealla sollecitudine nell’agire a tutela del proprio credito ondeevitare maggiori danni, i quali, al contrario, sono da imputaresolo alla condotta del debitore, tenuto al tempestivo adempi­mento della sua obbligazione. Tra l’altro, nel sistema previstodagli artt. 1936 e seguenti c.c. non si ravvisa alcun principio dipreventiva doverosa escussione del fideiussore alla scadenzadel termine fissato per l’adempimento dell’obbligazione ga­rantita, principio il quale, peraltro, colliderebbe con le finalitàdell’istituto, volto a rafforzare la garanzia del credito in fun­zione di un interesse proprio e specifico del creditore. Nederiva che, in materia di obbligazioni ”portable” quali quelle

pecuniarie, dotate di un termine di adempimento che esone­ra dalla costituzione in mora del debitore, il creditore ha lafacoltà di attivare la solidale responsabilità del fideiussore,senza che possa invece ritenersi tenuto a escutere il coobbli­gato, piuttosto che attendere il pagamento, ancorché tardivo,salva l’esistenza di apposita clausola in tal senso.Repertorio24PUBBLICAZIONEIl Sole 24 Ore, www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com, 2011

Consiglio di Stato Sezione 5Sentenza del 8 febbraio 2011, n. 841

Oneri di urbanizzazione; contratto di garanzia autonoma;adempimento del garante a prima richiesta; necessità dell’ina­dempimento dell’obbligazione principale; divieto per il garan­te di chiedere la preventiva escussione del debitore principa­le; diligenza ex art. 1227 c.c.; finalità dell’istituto della fideius­sione; obbligazioni pecuniarie con fissazione del termine; fa­coltà del creditore di attivare la solidale responsabilità delfideiussore.

In tema di contratto di garanzia cd. autonoma, con il quale ilgarante si obbliga a non opporre eccezioni concernenti lavalidità, l’efficacia e la vicenda del rapporto principale, nonchéad eseguire la prestazione oggetto della garanzia ”a semplicerichiesta” del creditore garantito, il meccanismo dell’adempi­mento del garante ”a prima richiesta” si aziona a seguito del­l’inadempimento dell’obbligazione principale, sebbene restivietato al garante di chiedere la preventiva escussione deldebitore principale. Sul punto, si evidenzia che l’onere di dili­genza gravante sul creditore ai sensi dell’art. 1227 c.c. non siestende alla sollecitudine nell’agire a tutela del proprio credi­to onde evitare maggiori danni, i quali al contrario sono daimputare esclusivamente alla condotta del debitore, tenuto altempestivo adempimento della sua obbligazione. Tra l’altro,nel sistema di cui agli artt. 1936 e ss. c.c. non si ravvisa alcunprincipio di preventiva doverosa escussione del fideiussorealla scadenza del termine fissato per l’adempimento dell’ob­bligazione garantita, principio il quale peraltro colliderebbecon le finalità dell’istituto, volto a rafforzare la garanzia delcredito in funzione di un interesse proprio e specifico delcreditore. Ne deriva che, in materia di obbligazioni ”porta­ble” quali quelle pecuniarie, dotate di un termine di adempi­mento che esonera dalla costituzione in mora del debitore, ilcreditore ha la facoltà di attivare la solidale responsabilità delfideiussore, senza che possa invece ritenersi tenuto ad escu­tere il coobbligato piuttosto che attendere il pagamento, an­corché tardivo, salva l’esistenza di apposita clausola in talsenso. Orbene, nel caso concreto, non sussistendo la clausoladi cui sopra, alla luce di quanto suesposto, si è ritenuto didover accogliere l’appello promosso avverso la gravata sen­tenza nella parte in cui sosteneva che la sanzione del raddop­pio degli oneri di urbanizzazione non avrebbe potuto essereapplicata, poiché il Comune appellante aveva omesso di escu­

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37Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 2011

tere il fideiussore (obbligatosi a pagare dietro semplice richie­sta scritta) per l’adempimento del pagamento dei medesimioneri, e che il ritardato pagamento non implicava un vero eproprio inadempimento tale da determinare la riscossionecoattiva del credito, allorché erano attivabili le garanzie fi­deiussorie.Repertorio24PUBBLICAZIONEIl Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24

Consiglio di Stato Sezione 6Sentenza del 16 febbraio 2010, n. 842

Contratti della P.A. ­ Gara ­ Consorzio ordinario ­ Esclusio­ne.

Dopo l’aggiudicazione, il recesso di una o più imprese del­l’a.t.i., se quelle rimanenti siano in possesso dei requisiti diqualificazione per le prestazioni oggetto dell’appalto: infatti ildivieto legislativo riguarderebbe solo l’aggiunta o la sostitu­zione di componenti, non anche il venir meno, senza sostitu­zione, di taluno.Repertorio24PUBBLICAZIONEIl Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24

Giudice di Pace Palermo Sezione 8 CivileSentenza del 11 febbraio 2011

CIRCOLAZIONE STRADALE ­ DANNO SUBITO DA TER­ZO TRASPORTATO ­ RISARCIMENTO ­ CASO FORTUI­TO.

Non ha diritto al risarcimento il passeggero del motorinofinito sull’asfalto in seguito alla perdita di controllo del mezzoda parte del conducente, se la caduta è dovuta al manto stra­dale sconnesso. Secondo l’art­ 141 del Codice delle assicura­zioni, il danno subito dal terzo trasportato deve essere risar­cito dall’impresa di assicurazione del veicolo a bordo del qua­le viaggiava al momento del sinistro. Non solo, ma ciò è do­vuto prescindendo dall’accertamento preventivo della re­sponsabilità del conducente. Unica eccezione, l’ipotesi disinistro cagionato da caso fortuito. Infatti, il caso fortuito,qualora rappresenti l’unica causa alla quale sia imputabile ilverificarsi dell’evento, come nel caso di specie, fa venir menola presunzione di colpa stabilita dall’art. 2054 c.c. in tema diincidenti derivanti dalla circolazione dei veicoli. Dal momentoche dall’istruttoria non è risultato alcun elemento che possadelineare una responsabilità neppure colposa del conducente,l’azione proposta da quest’ultimo, ai sensi dell’art. 141 delCodice delle assicurazioni, va rigettata.Repertorio24PUBBLICAZIONEIl Sole 24 Ore, www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com, 2011

Tribunale Pisa PenaleSentenza del 28 gennaio 2011, n. 2980

CIRCOLAZIONE STRADALE ­ GUIDA IN STATO DIEBREZZA ­ SEQUESTRO PENALE ­ REVOCA.

Va revocato il sequestro preventivo del veicolo, finalizzato allaconfisca, per guida in grave stato di ebbrezza, comminatoprima della L. 120/2010. Infatti, a seguito della riforma, laconfisca dell’auto è divenuta una sanzione amministrativaaccessoria che viene disposta dal giudice con la sentenza dicondanna e non ha più, quindi, le caratteristiche di una san­zione penale accessoria obbligatoria. Ragion per cui, in man­canza di una disciplina transitoria, e in assenza della possibilitàdi poter convertire il sequestro penale in quello amministrati­vo, si impone la revoca della misura cautelare reale, attesa lasua strumentalità rispetto ad un provvedimento definitivo (laconfisca quale sanzione penale accessoria) che non è più pre­visto dal codice della strada.Repertorio24PUBBLICAZIONEIl Sole 24 Ore, www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com, 2011

Tribunale Amministrativo Regionale Basilicata ­ Po­tenza Sezione 1Sentenza del 14 febbraio 2011, n. 82

EDILIZIA ED URBANISTICA ­ EDILIZIA RESIDENZIALEPUBBLICA ­ ASSEGNAZIONE ALLOGGIO ­ REVOCA ­COMPETENZA.

In tema di revoca di un alloggio popolare, la giurisprudenza hachiarito che la materia rientra nell’ambito dell’attività di ge­stione amministrativa, finanziaria e tecnica, riservata in viaesclusiva ai dirigenti o ai funzionari amministrativi preposti airispettivi uffici. In particolare, il potere di assegnazione dialloggi, comprensivo del correlativo potere di revoca, rientratra i provvedimenti di ”concessione... o analoghi il cui rilasciopresupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura di­screzionale...” elencati dall’art. 107, c. 3, lett. f) del T.U. di cuial D.Lgs. 8/8/2000, n. 267. Pertanto, è da escludere che ilsindaco, quale organo di governo al quale spettano, in quantotale, poteri di indirizzo e di controllo politico­amministrativo,abbia la competenza di adottare atti, quale quello di revocadell’assegnazione di un alloggio popolare, che impegnanol’amministrazione verso l’esterno e che rientrano nell’ambitodella gestione amministrativa, finanziaria e tecnica.Repertorio24PUBBLICAZIONEAvv. Costantino Tessarolo, Diritto dei servizi Pubblici, 2011

Tribunale Amministrativo Regionale Basilicata ­ Po­tenza Sezione 1Sentenza del 14 febbraio 2011, n. 82

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Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 201138

EDILIZIA ED URBANISTICA ­ EDILIZIA RESIDENZIALEPUBBLICA ­ ASSEGNAZIONE ALLOGGIO ­ DECADENZA­ CONTROVERSIA ­ GIURISDIZIONE ­ GIUDICE AMMINI­STRATIVO.

La controversia avente per oggetto la legittimità del provvedi­mento di decadenza dall’assegnazione di un alloggio di ediliziaresidenziale pubblica rientra nella giurisdizione del giudiceamministrativo e ciò in conformità a quanto disposto dall’art.5, L. 6/12/1971 n. 1034, a mente del quale appartengono invia generale al predetto giudice le controversie, come quelladel caso di specie, relative a provvedimenti incidenti sul rap­porto concessorio di alloggi di edilizia residenziale pubblica,anche se involgenti diritti soggettivi, salvo i casi espressamen­te indicati (indennità, canoni altri corrispettivi) derivanti darapporti di concessione di beni. In tal senso, anche il D.Lgs.2/7/2010, n. 104 (c.d. codice del processo amministrativo),all’art. 133, c. 1, lett. b), ha confermato la giurisdizione esclu­siva del giudice amministrativo in materia di ”controversieaventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti diconcessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversieconcernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelleattribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale su­periore delle acque pubbliche”.Repertorio24PUBBLICAZIONEAvv. Costantino Tessarolo, Diritto dei servizi Pubblici, 2011

Tribunale Amministrativo Regionale Basilicata ­ Po­tenza Sezione 1Sentenza del 14 febbraio 2011, n. 82

GIURISDIZIONE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO ­CONCESSIONE DI ALLOGGI DI RESIDENZA PUBBLICA ­ORDINANZA SINDACALE DI REVOCA DELLA CONCES­SIONE ­ IMPUGNATIVA ­ ECCEZIONE DEL DIFETTO DIGIURISDIZIONE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO ­CONTROVERSIE APPARTENENTI AL PREDETTO GIUDI­CE IN OSSEQUIO ALL’ART. 5 DELLA L. N. 1034 DEL 1971E ALL’ART. 133, COMMA 1, LETT. B) C.P.A. ­ INFONDA­TEZZA

Rientrano nella giurisdizione del Giudice Amministrativo lecontroversie concernenti la legittimità del provvedimento didecadenza dall’assegnazione di un alloggio di edilizia residen­ziale pubblica, conformemente al disposto normativo di cuiall’art. 5, L. n. 1034 del 1971. In virtù di tale previsione, ap­partengono in via generale al predetto organo giudicante lecontroversie, come quella in esame, relative a provvedimentiincidenti sul rapporto concessorio di alloggi di edilizia resi­denziale pubblica, anche se involgenti diritti soggettivi, salvo icasi espressamente indicati (indennità, canoni altri corrispetti­vi) derivanti da rapporti di concessione di beni. In tal senso,anche l’art. 133, comma 1, lett. b), c.p.a. ha confermato la

giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo in materiadi ”controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relati­vi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezionedelle controversie concernenti indennità, canoni ed altri cor­rispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubblichee al Tribunale superiore delle acque pubbliche”. Orbene, nelcaso concreto, concernente l’annullamento dell’ordinanzasindacale di revoca dell’assegnazione dell’alloggio popolare,risulta destituita di fondamento la sollevata eccezione di difet­to di giurisdizione, atteso che l’oggetto del giudizio è costitui­to in via immediata e diretta da un provvedimento ammini­strativo espressivo di funzione pubblica, cui accedono in posi­zione ausiliaria eventuali diritti soggettivi. La cognizione sullacontroversia non può che spettare, pertanto, al Giudice Am­ministrativo.Repertorio24PUBBLICAZIONEIl Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24

GAZZETTA UFFICIALE

Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 42 del 21­2­2011DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINI­STRI 12 febbraio 2011Dichiarazione dello stato di emergenza umanitaria nel territo­rio nazionale in relazione all’eccezionale afflusso di cittadiniappartenenti ai paesi del Nord Africa.ORDINANZA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MI­NISTRI 18 febbraio 2011Disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare lostato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in rela­zione all’eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesidel Nord Africa, nonché per il contrasto e la gestione dell’af­flusso di cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea.(Ordinanza n. 3924)DECRETO MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO23 dicembre 2010Tariffe postali agevolate per le associazioni ed organizzazionisenza fini di lucro.DECRETO PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRIDIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 10 dicembre2010Attuazione dell’articolo 11 del decreto­legge 28 aprile 2009, n.39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009,n. 77, in materia di risorse finanziarie.

Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 41 del 19­2­2011LEGGE 3 febbraio 2011, n. 4Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodot­ti alimentari.DELIBERAZIONE AUTORITA’ PER LE GARANZIE NELLECOMUNICAZIONI 20 gennaio 2011Mercato dei servizi di diffusione radiotelevisiva per la trasmis­

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39Newsletter n. 7 ­ 22 febbraio 2011

sione di contenuti agli utenti finali (mercato n. 18 fra quelliidentificati dalla raccomandazione sui mercati rilevanti dei pro­dotti e dei servizi dellaCommissione europea). (Deliberazione n. 24/11/CONS).­Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 40 del 18­2­2011DECRETO MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINAN­ZE 8 febbraio 2011Semplificazione della rilevazione degli aggi e dei compensi aisensi dell’articolo 23, comma 21­septies, del decreto­legge 1ºluglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.DECRETO MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 4febbraio 2011Procedure operative di attuazione del decreto 21 gennaio2011 e modalità di svolgimento delle attività di stoccaggio e dicontrollo, ai sensi dell’articolo 13, comma 4 del decreto 21gennaio 2011. (Suppl. Ordinario n. 43)

Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 39 del 17­2­2011CIRCOLARE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMI­CO 7 febbraio 2011, n. 4656Attività di valutazione sugli interventi di sostegno alle attivitàeconomiche e produttive.DECRETO MINISTERO DELLA SALUTE 18 gennaio 2011Valutazione straordinaria dello stato delle procedure ammini­strativo­contabili necessarie ai fini della certificazione dei bi­lanci delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere,degli IRCCS pubblici, anchetrasformati in fondazioni, degli IZS e delle aziende ospedalie­ro­universitarie, ivi compresi i policlinici universitari. (Suppl.Ordinario n. 42)

Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 38 del 16­2­2011DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINI­STRI 26 novembre 2010Proroga, ai sensi dell’articolo 68 del decreto­legge 25 giugno2008, n. 112, della Consulta nazionale per il servizio civile.PROVVEDIMENTO BANCA D’ITALIA 9 febbraio 2011Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari ­Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti ­ Recepi­mento della Direttiva sul credito ai consumatori. (Suppl. Ordi­nario n. 40)

Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 37 del 15­2­2011DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 15 di­cembre 2010, n. 270Regolamento recante modifiche al testo unico delle disposi­zioni regolamentari in materia di ordinamento militare, di cuial decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.90, a norma dell’articolo 2, commi da 8­bis a 8­sexies, deldecreto­legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con mo­dificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25.DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINI­STRI 26 novembre 2010Proroga, ai sensi dell’articolo 68 del decreto­legge 25 giugno

2008, n. 112, della Commissione per l’assegnazione del vitali­zio agli sportivi indigenti.