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Sr. Elisabetta la mitezza che si prende cura Profilo essenziale di Sr M. Elisabetta Speranza Franchi, Suora di Gesù buon Pastore - Pastorella Gargagnago 12.02.1934 Albano Laziale 22.07.1961 Casa generalizia Suore di Gesù buon Pastore – Pastorelle Via Leonardo Umile, 13, 00144 Roma – Italia [email protected]

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Sr. Elisabetta la mitezza che si prende cura

Profilo essenziale di Sr M. Elisabetta Speranza Franchi, Suora di Gesù buon Pastore - Pastorella

Gargagnago 12.02.1934 Albano Laziale 22.07.1961

Casa generalizia Suore di Gesù buon Pastore – Pastorelle Via Leonardo Umile, 13, 00144 Roma – Italia

[email protected]

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Presentazione

In occasione del 70° di fondazione della nostra Congregazione, Suore di Gesù buon Pastore e del 50°dell’apertura della comunità di Corbola, vogliamo fare speciale memoria della nostra sorella sr Elisabetta Franchi, che fu una delle tre Pastorelle che diedero inizio alla nostra presenza nella parrocchia S. Maria Maddalena di Corbola.

La ricordiamo in particolare per la sua testimonianza evangelica nella vita religiosa. La sua mitezza verso tutti, e la sua donazione semplice e sorridente, ne fecero una trasparente icona di Gesù buon Pastore, che si prende cura di tutte le sue pecorelle.

La sua vita consacrata fu così intensa e straordinaria nella semplicità del quotidiano, che si consumò in brevissimo tempo. Dopo quello della Professione religiosa il Signore le chiese un nuovo “Si”, a cui sr Elisabetta rispose con totale Amore. Così dopo appena quattro anni di professione e di missione apostolica a Corbola, fu pronta per incontrare Gesù buon Pastore ed entrare con Lui alle nozze eterne, dove la felicità è senza fine.

In un tempo in cui i giovani cercano modelli credibili di vita piena e vera, presentiamo queste brevi testimonianze sulla nostra giovane sorella, che a soli 27 anni ha compiuto, con estrema semplicità, l’intero cammino della santità cristiana.

Sr Marta Finotelli superiora generale

Roma 7 ottobre 2007

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Cenni biografici

Speranza Franchi è nata a Gargagnago (Verona) un paese della Valpolicella, nel Comune di Sant’Ambrogio, il 12 febbraio 1934, da Giuseppe Franchi e Maria Cisorio, genitori profondamente cristiani. Fu battezzata nella Chiesa parrocchiale il 25 febbraio successivo, a 13 giorni dalla nascita. Al fonte battesimale fu chiamata Bertilla Speranza. Ordinariamente però venne chiamata Speranza. I suoi padrini di battesimo furono Giacomo Galbusera e Maria Ragno, forse parenti o amici di famiglia. Fu cresimata a S. Ambrogio di Valpolicella il 7 novembre 1943.

Nel 1951, quando giunse a Gargagnago come parroco don Primo Benettoni, che diede impulso all’Azione Cattolica, Speranza vi partecipò con zelo, divenendo delegata delle piccolissime. Aveva un carattere mite, grande bontà d’animo, gentilezza e riservatezza nel modo di relazionarsi.

Intorno ai vent’anni si notò in Speranza un cambiamento notevole. Cominciò a partecipare alla Messa quotidianamente. In quegli anni sentì di voler vivere tutta la sua vita con Cristo e il 17 marzo 1954, fece il suo ingresso tra le Pastorelle ad Albano Laziale.

Dopo il periodo di postulato, entrò in noviziato il 2 settembre 1956 e fece la prima professione il 3 settembre 1957, ricevendo il nome di sr M. Elisabetta. Subito dopo venne mandata in missione pastorale a Corbola (RO), per aprire una nuova comunità di Pastorelle, insieme a sr. Timotea Borchia e sr Margherita Magarotto.

Qui per quattro anni visse una vita di donazione semplice e sorridente, nella gioia di servire tutti, specialmente i piccoli della scuola materna e i fanciulli del catechismo. Un buon numero di fanciulle e ragazze del paese, attratte dalla sua “vita bella con il bel Pastore Gesù”, entrarono in quegli anni e successivamente tra le suore Pastorelle.

Nella primavera del 1961, le venne diagnosticato un tumore maligno, che in pochi mesi la condusse alla fine. Concluse la sua breve ma intensa vicenda terrena il 22 luglio 1961, nel giorno in cui a Corbola si festeggiava la Santa patrona, Maria Maddalena.

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Testimonianze Il sì a Dio sino all’ultimo respiro

La nostra cara Sorella, Sr Maria Elisabetta Franchi, il giorno 22 luglio 1961, alle ore 19,05, ha lasciato la terra per l'eternità.

Era nata il 12.02.1934 a Gargagnago (Verona). Entrò in Congregazione il 17 marzo, 1954; e fece la Prima Professione il 3 settembre 1957.

Ci si domanda: come mai una morte in così giovane età? Si può rispondere: muore giovane chi al cielo è caro! Pensiamo che sr Elisabetta sia stata veramente cara al Signore, tanto da essere prescelta per il Cielo fra tutte le Pastorelle. Ella stessa mi diceva: "Madre, mi meraviglio che il Signore abbia scelto me per unirmi alla Sua sofferenza".

Si trovava a Corbola, in provincia di Rovigo, dove svolgeva il suo apostolato con entusiasmo e fervore. Già da un po’ di tempo accusava qualche disturbo, ma non ci faceva gran caso, tanto più che il dottore, visitandola, non le aveva trovato nulla di particolare, ma specialmente perché sapeva anche sopportare bene il dolore; ciò che soffriva le sembrava sempre cosa poca.

In maggio le riscontrarono l'appendicite e il 29 maggio fu operata. Sembrò cosa normale, solo il Professore che la operò consigliò un po' di cambiamento d'aria, possibilmente aria di mare.

Venne ad Albano il 20 giugno, contenta di trovarsi in Casa Madre, ma spiacente di aver lasciato le Sorelle della Casa di Corbola con molto lavoro. Diceva: "Ormai stavo bene. Potevo aiutarle". Difatti dall'aspetto non sembrava molto malata. A Madre Angela che era andata ad incontrarla alla stazione di Roma, non volle cedere neppure la valigia, volle aspettare di far cena in comune e poi andò a riposare. Al mattino del 21 si alzò per la S. Messa: non poté resistere a lungo in piedi; si sentì abbastanza male. Alla sera venne il nostro dottore e la fece subito ricoverare in clinica Regina Apostolorum, dalle Figlie di S. Paolo, qui ad Albano stesso. Dopo le lastre, le varie analisi e qualche giorno di osservazione, il dubbio che ci fosse qualche cosa di brutto andò

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sempre più affermandosi. Fu operata la seconda volta il 1° luglio e purtroppo il professore non poté fare nulla. Mi disse: "II cancro è ormai molto diramato, uno dei casi più gravi che mi sia capitato fino ad ora; povera figliola, avrà pochi giorni di vita!". Mi si strinse il cuore e non potei dire altro che: "Sia fatta la volontà di Dio, ciò che a Lui piace".

Comunicai alla Suora la gravità del suo male: "Sai, Sr. Elisabetta. I dottori non possono farti più niente, il male che hai non perdona, solo con un miracolo potresti guarire: noi preghiamo e confidiamo, ma non sappiamo quali siano i disegni di Dio su di te; sei pronta a dire il fiat se Egli volesse il dono della tua vita?" Rispose: "Sì, sia fatta la Sua volontà, ciò che Lui vuole".

Il 1° luglio, festa del Preziosissimo Sangue di Gesù e primo sabato del mese, ricevette con devozione e piena cognizione i sacramenti dell'Estrema Unzione e del S. Viatico.

Passando i giorni, il male si aggravava sempre più. Sr. Elisabetta continuava nella piena adesione alla volontà di Dio, soffrendo tutto per amor Suo e sopportando ogni dolore non solo con pazienza, ma con serenità, fino alla fine. Gli ultimi giorni sembrava quasi impaziente nell'aspettare la morte. Diceva: "Quando viene Gesù? Io Lo voglio vedere. Lo voglio vedere presto". Nella notte del 17 luglio ebbe una crisi fortissima, rimase per alcune ore senza parola, però si vedeva che capiva tutto. Riusciva ad inghiottire, quindi il sacerdote le portò il S. Viatico, dietro suo consenso. Al mattino mi disse: "Gesù non mi vuole ancora; certo sarei stata contenta di andare in Paradiso questa notte".

I giorni 21 e 22 furono molto penosi per lei e per noi. Si vedeva la fatica che faceva per respirare, qualche volta chiamava forte, sembrava si lamentasse, ma non era così, poiché dopo questi momenti di crisi, appena si riprendeva faceva subito un sorriso. Mi chiamò: "Madre, non si spaventi, lo faccio perché mi sembra di respirare meglio, stia tranquilla". Ed io: "Tu sei tranquilla? Hai paura della morte?" "No", mi rispose, "è bello morire, è bello morire!". Pregò con fervore, da sola e seguiva con la mente le preghiere che le si suggerivano. Circa due ore prima di morire recitò forte alcune giaculatorie, ripeté tre volte il "Gloria Patri" e baciò il crocifisso. Si mise poi come in atteggiamento di riposo, con gli occhi volti in alto e così rimase per circa venti minuti fino a che emise l'ultimo respiro.

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Morte veramente bella, invidiabile! Vorrei augurare a tutte le Pastorelle una morte così serena e ben preparata.

Pensiamo che sr Elisabetta ci aiuterà nelle nostre necessità. Prima di morire aveva promesso di pregare per tutte. Sia nostro impegno di imitare questa nostra Sorella nelle virtù di cui ci ha lasciato l'esempio.

Madre Celina Orsini

Desiderio di vedere il volto di Dio

Dal primo giorno che mi sono incontrata con sr Maria Elisabetta Franchi in Casa Madre ad Albano, mi ha subito fatto questa bella impressione: che fosse silenziosa, serena e laboriosa, e fu così.

Subito dopo la nostra Professione siamo state destinate a convivere nella stessa casa di apostolato a Corbola: non mi fu difficile allora scoprire in lei molte altre virtù come la pazienza, l'umiltà, ma in grado molto più alto, la grande carità fraterna e una bella perla di grande fortezza nel dolore.

Da un po' di tempo diceva spesso: "Ma io non muoio vecchia, mi sento che morrò presto"; e poco prima dell'operazione diceva: "Sento il desiderio di vedere il Signore".

Amava molto i bambini e loro quanto la riamavano; basta dire che molti non vollero più venire all'asilo quando lei fu assente per l'operazione, e quando venne a casa quale festa hanno fatto.

A lei erano state affidate anche le Beniamine dell’Azione Cattolica; anche queste quanto le amava, come stava volentieri con le sue care Beniamine; faceva l'adunanza, le faceva divertire, oh! Come rimanevano volentieri, stavano anche senza mangiare fino a tarda ora, perché si faceva dopo la S. Messa delle otto alla domenica. Lei, nei ritagli di tempo libero, era tutta occupata per prepararsi alle adunanze, per preparare materiale e giochi ricreativi, e come cominciava per tempo il tesseramento, facendo far loro piccole mortificazioni di gola per mettere da parte un soldino per la tessera. Quante volte mi chiese di insegnarle qualche iniziativa, di insegnarle dei giochi!

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Dovette partire per Roma. La notizia che per sr M. Elisabetta non c'era più speranza di guarigione, anzi che era molto grave, mise in tutto il paese un grande dolore, dico tutto il paese perché se ne parlava con profondo dolore sia dai buoni come da tutto il popolo, perfino nelle osterie si parlava di lei.

La superiora delle Suore Serve di Maria Riparatrici, che sono in paese, mi fermò a chiedermi notizie e quando sentì la gravità del male, mi rispose con vivo dispiacere: "Suora, quella Suorina era una angelo, lasciamo che si faccia la volontà di Dio, dal cielo farà di certo molto di più di quello che poteva fare in terra".

Il signor Arciprete, persona che non faceva lodi a nessuno, disse queste precise parole: "Come sta sr Elisabetta? Guardate, io dico una cosa di cui forse non vi siete accorte: quella Suora è come una miniera che tiene nascoste molte belle virtù, e se non avremo una santa da altare, avremo di certo una santa in Cielo".

Poche ore prima di morire, ebbi la grazia di vederla. Le dissi di parlare di me alla Madonna; mi guardò e mi assicurò che l'avrebbe fatto. Ho molta fiducia che sr M. Elisabetta ci può aiutare dal Cielo e come la prego e me la sento vicina! Era veramente tanto buona: lo dobbiamo affermare noi, prima di tutto il paese. Possedeva molte virtù, sapeva parlare e sapeva tacere, sapeva serenamente soffrire.

Vorrei poter descrivere le sue virtù ma mi sento incapace: vogliamole bene, invochiamola e ne vedremo l'efficacia.

Sr Margherita Magarotto

Una Speranza per la pastorale

Il ricordo di sr. Elisabetta, Speranza Franchi, mi riporta agli anni dell'adolescenza che ho trascorso a Gargagnano, un paesino della Valpolicella nel Comune di Sant'Ambrogio (Verona), paese dove erano domiciliante le nostre famiglie.

Avevo circa dodici anni quando, arrivò a Gargagnano il "nuovo parroco": d. Primo Benettoni, un sacerdote giovane e zelante che tra le

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altre iniziative pastorali, diede maggior impulso all'Azione Cattolica. Lei partecipava come Effettiva, io come Aspirante. Ovviamente e, per la sua età e, per il suo "buon esempio", ricordo che guardavo a lei con ammirazione.

Alla Speranzina, così la chiamavano le amiche, vennero affidate le Piccolissime, le bambine dai tre ai sei anni, perché più delle altre giovani sapeva trattare con i piccoli e stabilire una buona intesa con loro.

Ogni domenica, accompagnate da qualche sorella più grandicella, le Piccolissime partecipavano puntuali alla Messa e alla riunione che la delegata teneva subito dopo.

Speranza era ammirevole per bontà, pazienza e premura verso le "sue" Piccolissime. Sapeva parlare loro in modo semplice così da renderle attente ed interessate alla Lezione del Piano organico e sapeva intrattenerle con giochi e festose ricreazioni.

Prima di conoscerla nell'ambito dell'Azione Cattolica, la ricordo come una bella ragazza della bellezza tipica della gioventù, di statura piuttosto alta, corporatura snella, capelli castano-chiari, corti, un poco ondulati, occhi chiari. Vestiva sempre con buon gusto, una certa eleganza, ma sempre modesta. E modesto era il suo comportamento, anzi quasi riservato.

Apparteneva ad una famiglia di origine contadina che, per la laboriosità dei suoi membri e le buone terre coltivate, godeva di una certa sicurezza economica. Una famiglia molto unita soprattutto nella fede e nella pratica religiosa.

Una certa distanza della sua casa dalla Chiesa parrocchiale, negli anni della fanciullezza e prima adolescenza, non le consentiva una frequenza assidua agli incontri e alle celebrazioni, ma le sorelle sono concordi nel testimoniare il suo spirito di preghiera e di penitenza, nella solitudine della sua stanza, conforme alla spiritualità del tempo. E testimoniano il confronto con una guida spirituale fin dall'adolescenza.

Il carattere mite, la bontà d'animo, la gentilezza del tratto faceva di lei l'amica che molte avrebbero desiderato di avere, specialmente verso i diciotto-vent'anni, ma una in particolare fu veramente sua amica per qualche tempo, forse perché abitava vicino ed era più possibile incontrarla, che per una vera affinità di carattere.

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Fu all'incirca verso i vent'anni che si notò in Speranza un notevole cambiamento, una specie di passaggio: da una vita riservata, che si esauriva all'interno della casa e del lavoro nei campi, ad una vita di maggiore partecipazione ed impegno apostolico. Cominciò a frequentare la parrocchia: S. Messa quotidiana, meditazione, soste prolungate davanti al SS.mo Sacramento. Si iscrisse all'Azione Cattolica tra le Socie Effettive e cominciò ad interessarsi alle Piccolissime.

Questo comportamento di Speranza non passò inosservato, in paese fece notizia e fu oggetto di commenti favorevoli. Si era da poco smorzato l'eco di questa notizia e ci si stava abituando alla sua presenza in chiesa e in parrocchia, quando cominciò a diffondersi al suo conto una notizia ancor più sorprendente: "La Speranza va in convento!

Nell’ottobre 1952 era arrivata a Gargagnago Madre Claudia Da Sois, vocazionista delle Suore Pastorelle, per conoscere la famiglia di una giovane che si sentiva chiamata alla missione in tale Istituto. Chi ebbe modo di incontrarla, di vederla e di parlarle, ne rimase affascinata. Nel dicembre di quello stesso anno quella giovane entrò nell’Istituto delle Pastorelle; qualche mese più tardi la seguiva una seconda, quindi una terza, ed ora si preparava Speranza, il cui nome poteva alimentare davvero la speranza che anche lei avrebbe avuto un seguito, come di fatto avvenne.

Entrata tra le Suore Pastorelle la storia di Speranza appartiene alla Congregazione. Secondo l’iter formativo venne ammessa alle varie tappe della formazione iniziale: postulato, noviziato, prima professione, invio in una comunità apostolica.

Alla professione, emessa il 03 settembre 1957, prese il nome di sr Elisabetta e subito dopo venne inviata, con altre due consorelle, a dar inizio ad una nuova Comunità di Pastorelle nella parrocchia di Corbola (RO).

Il 03 gennaio 1959 anche chi scrive entrò tra le Pastorelle. Secondo la consuetudine del tempo non si tenevano relazioni con le compaesane. Ci si incontrava raramente durante l’estate e in occasione degli Esercizi Spirituali ci si scambiavano alcune notizie essenziali e poi ognuna al suo impegno, al suo apostolato. Praticamente persi di vista sr Elisabetta. Il 02 settembre 1960 entrai in

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Noviziato: l’anno decisivo riguardo alla scelta vocazionale, anno impegnativo riguardo allo studio e all’esperienza di vita propria dell’Istituto che si intende abbracciare.

Eravamo all’inizio del mese di luglio 1961, i mesi più faticosi sembravano superati. Una sera, durante la cena , ci venne comunicata la notizia che l’indomani sarebbe arrivata sr Elisabetta Franchi perché il medico, dopo l’intervento di appendicectomia aveva consigliato un po’ di aria di mare. La notizia colse tutte di sorpresa; soprattutto rimaneva il dubbio sulla novità del provvedimento trattandosi di un intervento considerato banale. Quando mai si era prescritta una vacanza al mare dopo l’operazione di appendice?

La suora fece il viaggio da sola: Rovigo-Roma. A Madre Angela che andò a prenderla alla stazione di Roma non volle cedere neppure la valigia: Madre Angela era l’”anziana” economa generale a cui tutte guardavamo con grande rispetto. Arrivò in Casa Madre, ad Albano e, dopo i saluti, si mise subito a letto. L’indomani venne ricoverata presso la Clinica “Regina Apostolorum” di Albano. Dalla suora professa, con la quale frequentavo la scuola di musica sacra a Roma, seppi che i disturbi accusati da sr Elisabetta erano molto sospetti, richiedevano degli accertamenti accurati e che le sue condizioni di salute si presentavano gravi, molto preoccupanti.

Dopo qualche giorno venne sottoposta ad un intervento chirurgico all’addome; purtroppo il male era già troppo diffuso: non c’era più nulla da fare. Trascorsero circa 15 giorni di grandi sofferenze, anche perché allora non esisteva la terapia del dolore. Sofferenze sopportate con piena coscienza, in unione a Gesù e alla sua Passione.

Il 22 luglio sr Elisabetta compiva il supremo atto di obbedienza, assistita da don Tommaso Dragone, ssp, che le amministrò i Sacramenti degli Infermi e l’accompagnò amorevolmente fino al suo ingresso nella Casa del Padre.

Dopo qualche giorno, il 25 luglio per la precisione, ci furono i funerali. Di ritorno dal Cimitero, poiché era il giorno onomastico di Madre Giacomina, Maestra delle Novizie, si passò a far festa: una commedia che raccontava la storia di una missionaria e poi qualche scenetta più allegra. In spirito di obbedienza cercai di recitare come meglio potei, ma la morte di sr Elisabetta mi pesava sul cuore e un

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grosso “perché” ingombrava la mia mente senza riuscire a trovare una risposta.

Ero stata testimone del cammino di conversione compiuto da Speranza, e non riuscivo a capire come mai, una storia d’amore così bella potesse finire così in fretta e in quel modo. L’interrogativo che mi portavo dentro era: “E, se, il Signore facesse anche a me una simile chiamata?”. Questa domanda mi accompagnò per tutto il mese di agosto, anche durante gli Esercizi Spirituali in preparazione alla Professione. Fu un vero travaglio spirituale. La tentazione era sottile: davvero assai strano questo Dio che attira a sé, mostra un ideale splendido, indica il cammino, accompagna per breve tratto e poi… interrompe bruscamente ciò che ha fatto sbocciare come per miracolo. No, un simile modo di agire era troppo difficile da comprendere. Intensificai la preghiera e cercai di conservare la serenità. Non feci parola con nessuno, ma con fiducia ripetevo con insistenza il versetto del Salmo 23: “ Se andassi per una valle tenebrosa, non temerei alcun male: Tu sei con me!”

Il giorno della Professione, davanti a Gesù Eucaristia solennemente esposto, noi Novizie eravamo schierate davanti all’altare, momento più suggestivo per la decisione di seguire il Buon Pastore manifestata davanti ai Superiori e a tutta l’assemblea. Don Alberione presiedeva il rito. Venne fatto l’appello. Ogni candidata rispose ad alta voce: “ECCOMI!”. Seguirono brevi parole di esortazione che si conclusero con queste, che non potrò dimenticare mai: “Finché avete tempo riflettete. Se intendete perseverare, in Nome di Dio fate un passo avanti!”. Come sospinta da una forza interiore, senza esitare, feci un deciso passo avanti, con lo sguardo fisso su Gesù Eucaristia, sicura di poter contare su di Lui e con la certezza che sr Elisabetta aveva pregato per me ed avrebbe continuato a farlo.

Sr Paola Zampini

Confetti per il paradiso

Sono andata a Corbola nel 1960 con sr Caritas Roboni, superiora della comunità, sr Margherita Magarotto e sr Elisabetta Franchi. Ho vissuto con sr Elisabetta dieci mesi, l’ho sempre vista buona, generosa,

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disponibile, timida, ma sempre con il sorriso sereno. Aveva una grande passione per la scuola materna. Alla sera si preparava con molta attenzione anche se era stanca. La ricordo con le riviste della scuola materna che consultava preparandosi per la lezione del giorno successivo. Voleva molto bene ai bambini e alcuni la chiamavano Madre Elisabetta. Attenta alla chiesa: suppellettili, fiori sull’altare sempre freschi e bene confezionati, al catechismo ecc....

Ricordo il suo primo intervento chirurgico subìto il 2 maggio 1961 e come al suo ritorno, pur accusando gonfiore addominale da far fatica a curvarsi, cercava di provvedere nel lavarsi la sua biancheria per sentirsi utile. Sr Margherita la invitava a darsi del tempo per riposare e un giorno le disse: “Margherì (così la chiamava) guarda la mia pancia, devo continuare ad allargare il cingolo facendo buchi con le forbici e fra poco non c’è più posto”. Consapevole della situazione precaria della sua salute, era preoccupata per il corso di esercizi spirituali che ogni anno era solita fare. Chiese a sr Margherita: “dove farò quest’anno gli esercizi spirituali?”. Sr Margherita rispose: “Elisabetta, li farai in paradiso!”. Più volte glielo chiedeva e la risposta era sempre quella. L’essere dello stesso noviziato dava a sr Margherita la possibilità di una tale risposta, fatta con tono scherzoso. In comunità c’era molta preoccupazione per la sua salute.

Su suggerimento del medico che aveva fatto l’intervento chirurgico, sr Elisabetta andò ad Albano per poter trascorrere un tempo nella nostra casa a Tor San Lorenzo, perché aveva bisogno di clima marittimo. Al suo arrivo ad Albano, sr Elisabetta non andò nella casa del mare ma fu ricoverata in clinica “Regina Apostolorum”. Dopo pochi giorni Madre Celina mi invitò ad andare ad Albano il 29 giugno, festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, per la vestizione di mia sorella Graziella. In quell’occasione ho accompagnato in Casa Madre Pasquina Crepaldi, che aveva 12 anni, e desiderava farsi Pastorella. Al ripensarci, ancora oggi mi sento commossa per la coincidenza con la situazione di sr Elisabetta. Infatti, lei offriva e soffriva la sua situazione di malattia per le vocazioni, pregava il Padrone della messe, Gesù buon Pastore, perché mandasse operai alla sua messe.

Dopo la vestizione di Graziella sono andata a far visita a sr Elisabetta in clinica e appena mi vide disse: “Vieni ti devo dare i confetti da portare a don Antonio” (parroco di Corbola che aveva una grande stima per sr Elisabetta). Con molta fatica si è seduta sul letto

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per poter aprire il cassetto del comodino e prendere i confetti e mi disse: “Di a don Antonio che sono i confetti per il Paradiso, i miei confetti per il cielo, confetti per il cielo… e portale i miei saluti.”. Questo disse, nonostante la sofferenza fisica, con un bel sorriso. Rimasi un po’ di tempo con lei e fui impressionata per il suo forte pallore e per la sua grande serenità.

Mentre, in questo tempo ho ripensato a questa esperienza descritta, ho sentito in sr Elisabetta un esempio di preghiera e di fedeltà in ogni cosa. Sono certa che lei ha pregato e continua a pregare per noi e soprattutto per le vocazioni. Penso che a lei si debba l’entrata in Congregazione di alcune giovani.

Sr Maria Cortese

Quando l’ordinario diventa straordinario

Sono stato invitato a richiamare alcuni ricordi di suor Elisabetta Franchi, al secolo Speranza. Lo faccio volentieri per un debito di riconoscenza verso la mia parrocchia (Gargagnago VR) che ho servito negli anni della mia giovinezza e dove parecchie vocazioni femminili sono sbocciate negli anni ’50 e ’60.

Fra queste un fiore, e oserei dire il più profumato, è senz’altro suor Elisabetta Franchi.

Quando sono arrivato a Gargagnago come pastore, Speranza aveva 17 anni. La sua famiglia era coltivatrice diretta, i suoi genitori profondamente religiosi. Abitavano in una località chiamata VAIOI, lontani dalla chiesa parrocchiale forse 600 metri.

A quei tempi era fiorente l’Azione Cattolica.

In quel paese c’era povertà, ma non miseria. Il clima agreste nella lussureggiante Valpolicella, ricca di vigneti e di uliveti, contribuiva a creare una profonda religiosità e perciò a favorire lo sbocciare di qualche vocazione. Inoltre, l’AC portava quel contributo di istruzione e di preghiera necessario per una solida formazione cristiana.

Di suor Elisabetta ricordo la sua dolcezza di carattere e gentilezza di modi che accattivava la simpatia di tutti. Per questo le abbiamo

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affidato il gruppo delle piccolissime di AC che lei amava come sorelline e alle quali donava amicizia e istruzione con i mezzi che allora l’AC forniva. Le portava spesso in chiesa e le faceva pregare e cantare. Quando Speranza arrivò ai 19 anni, da quelle parti arrivò suor Claudia, incaricata per le vocazioni. A quel tempo le Suore Pastorelle avevano aperto una casa a Borgo Milano, presso la parrocchia di Maria Immacolata, ad ovest di Verona. Mi pare che specialmente da quella sede partivano le iniziative per reclutare vocazioni. Per opera di suor Claudia hanno scelto l’Istituto delle Pastorelle Giulia Tacconi, Anna Maria Borchia, Anna Maria Zampini e Speranza Franchi.

La decisione di entrare nell’Istituto delle Pastorelle ha portato un po’ di opposizione in famiglia, specialmente da parte della mamma che me ne ha parlato con un po’ di tristezza. Il papà invece ha dimostrato maggiore generosità. Però sarà proprio questo papà che soffrirà terribilmente alla notizia della sua morte avvenuta il 22 luglio 1961. Ricordo però che è ritornato dal funerale molto confortato. Le parole del sacerdote celebrante, che egregiamente ha sviluppato nell’omelia il tema paolino “Hilarem datorem diligit Deus” (Dio ama chi dona con gioia) con evidente riferimento alla sua gioiosa donazione in vita e in morte, ha centrato il cuore dei presenti. Inoltre, la premurosa presenza delle Suore ha sollevato lo spirito affranto del caro papà.

“Mia figlia è morta da santa.” Ripeteva. “Ella senza dubbio pregherà per noi.” Non ho mai saputo di quale malattia sia morta. Anzi mi sono molto stupito della sua morte, perché in famiglia aveva sempre dimostrato buona salute.

Questo fiore è stato trapiantato nei giardini eterni per un imperscrutabile disegno di Dio. In suor Elisabetta Franchi nulla di straordinario ho notato, se non una fede, umiltà e sorriso per tutti. È il fatto di questa estrema ordinarietà che paradossalmente diventa straordinarietà della propria esistenza, come nella vita di S. Teresa di Lisieux.

Sono convinto che le Suore Pastorelle non solo hanno una piccola santa che prega per loro, ma anche un umile modello cui confrontarsi.

Don Pino Benettoni1

1 Parroco di Gargagnago, paese natale di sr Elisabetta.

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Il Signore ama chi dona con gioia

Il nostro saluto alla cara Sorella che è entrata nell’eternità, nel regno della verità e della bontà. In questo saluto, fatto col cuore più che con l’eloquenza, ci piace vedere compendiato il passaggio di sr. Elisabetta in quel detto scritturale: «Hillarem datorem deligit Deus – Il Signore ama l’offerta gioiosa» (2Cor 9,7).

Ella ha offerto gioiosamente il suo dono. Si era già offerta a Dio e per amore di Gesù e delle anime si offriva giorno per giorno nell’esercizio dell’apostolato che le aveva assegnato l’obbedienza. Ma il Signore volle perfezionare il suo dono, chiamandola a unirsi più intimamente alla sua passione dolorosa. Quando comprese che il Signore le chiedeva l’offerta totale della vita, di fronte all’alternativa di un vivere senza l’amore a Gesù e del morire nell’amore a Gesù non esitò e non perse la nota serenità, non perse il suo sorriso di donatrice gioiosa.

Il Signore ama chi dà con generosità. Il combattimento non è durato tanto, ma è stato duro, cruento. La ripugnanza che la natura sente di fronte allo spezzarsi della vita è veemente per tutti. Ebbene la fortezza che mostrava in questa lotta le veniva da Gesù, che ricambiava così la sua risposta, il suo sì generoso. Quest’anima ha vissuto in modo edificante: «Hillarem datorem deligit Deus.», per cui è diventata nostra maestra.

Certo la sua morte è stata invidiabile: pareva quasi il sollevarsi di un angelo in volo dalla terra al cielo. Così diafana, sembrava già spiritualizzata anche nel corpo. Il Signore ha gradito da quest’anima la sua generosità, la sua grande semplicità e fortezza. Da questa casa, ove ha trascorso l’ultimo periodo della sua prova terrena, ha ricevuto tanto bene; e, come lo comprendeva in vita e si è sforzata di darne segni sensibili di gratitudine, sarà riconoscente anche dal cielo.

L’agonia andava estinguendola, eppure, può dirlo anche la Madre, non perdeva l’infantile, semplice buon umore: «Hillarem … ». Il Signore premiava l’offerta, alleggerendole il peso della sofferenza.

Mentre tutta la nostra speranza è che sia già in cielo, noi siamo impegnati a suffragarla: solo Dio è pieno conoscitore degli spiriti e delle anime.

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Lei non dimenticherà nessuno, in primo luogo i familiari che hanno fatto con lei la generosa offerta, poi la Congregazione e tutte le anime consacrate: lei è impegnata a ricordarle tutte, secondo le amabili esigenze della carità.

I più bei ricordi sono i suoi esempi, il suo amore, il suo spirito di donazione gioiosa.

«Buona sr Elisabetta, ti accompagniamo al dormitorio, al Cimitero; tu ci puoi guardare con tanta bontà, ti raccomandiamo le nostre lotte e difficoltà, vogliamo essere fedeli sino alla fine come sei stata tu. Tu aiutaci presso Gesù».

Don Giovanni Pelliccia (ssp)2

Albano, 24 luglio 1961 – omelia nel giorno dei funerali

Una lettera del papà a Madre Celina

Rev.da Madre,

al mio ritorno da Albano dopo aver accompagnato all’estrema dimora la mia cara Speranza3 , sento il dovere di ringraziare Lei e tutte le buone Suore sia per l’assistenza prestata a mia figlia sia per il conforto che avete voluto dare a me e alla mia famiglia. Il dolore di un genitore è sempre grande, ma è raddolcito dalla fede e dalla morte santa fatta da mia figlia. Spero proprio che suor Elisabetta abbia a pregare per tutta la mia famiglia e per la vostra famiglia religiosa.

Si unisce in questo mio ringraziamento anche mia moglie e i miei figli e tutti troviamo conforto nelle vostre preghiere.

Il mio Arciprete mi incarica di domandarvi alcune note biografiche di suor Elisabetta per il suo bollettino parrocchiale: spero farete la cortesia di spedirmele.

2 Il Sacerdote che le fu vicino nelle ultime ore della sua vita. 3 Speranza è il nome di battesimo di sr Elisabetta.

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Prego estendere il mio ringraziamento anche a quel Padre che mi ha gentilmente dato ospitalità e che ha assistito spiritualmente mia figlia.

Di tutto conservo grato ricordo e perenne riconoscenza. Vogliate scusare ogni mio disturbo.

Con rinnovati ringraziamenti ed ossequi.

Giuseppe Franchi, papà di sr Elisabetta

Un esempio di ascesa verso la santità

In memoria di questa cara Sorella, che ancora in giovane età ha lasciato la terra per il cielo, voglio dedicare queste poche righe perché sul suo esempio ogni Pastorella possa facilitare la sua ascesa verso la santità.

Come tutte le anime semplici, Sr. Elisabetta trascorse la sua vita nel silenzioso compimento del suo dovere, con generosità e spirito di sacrificio. L’obbedienza volle che vivessimo assieme una buona parte dei suoi pochi anni di vita religiosa, difatti assieme abbiamo trascorso parte del postulato, il noviziato, alcuni anni di apostolato. E come tutte le cose belle si valorizzano quando ormai non sono più, così, ora che Sr. Elisabetta non è più tra noi, riconosco la grande grazia che il Signore mi ha fatto facendomi vivere accanto a lei.

Di lei una cosa più di tutto mi ha colpito e desidero rilevare: la sua pietà mariana. Dacché siamo state assieme, non ho tardato a scorgere in lei questa nota caratteristica: grande amore alla Madonna. Amore che esternava pregando con fervore, cantando le lodi mariane che preferiva a tutte, parlando della Madonna ogni volta che le si presentava l’occasione. Con particolare entusiasmo ne parlava ai piccoli, nei quali cercava con ogni mezzo di infondere questa devozione.

Sempre, ma soprattutto in prossimità delle feste e specialmente del mese di maggio, adornava con i fiori più belli ed abbelliva come meglio poteva l’immagine della Madonna, davanti alla quale ogni

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mattina la sua piccola scolaresca, da lei guidata, elevava a Maria la preghiera e la lode con tutto il candore dell’innocenza.

Questo è ciò che ho potuto scorgere io vedendo all’esterno, ma il Signore, che vede nell’intimo dei cuori, quanti fiori di virtù avrà visto compiere da quest’anima veramente mariana!

In conseguenza a questo vivo e sincero amore a Maria, si spiega la sua fortezza nella sofferenza, la sua costante tranquillità di spirito e la sua gioiosa accettazione della morte. Non poteva essere diversamente: lei ha amato la Madonna ed è stata largamente ricambiata, oltre a tutto anche con la grazia di morire in giorno di sabato.

L’esempio di questa buona sorella sia di sprone a tutte noi Pastorelle ad amare sempre più Maria, per godere della sua materna assistenza in vita e soprattutto nell’ora della nostra morte.

Sr Anna Timotea Borchia

Il sorriso anche nella sofferenza

I nove mesi passati in apostolato in compagnia di sr Elisabetta sono stati caratterizzati dal suo comportamento sempre lieto e sereno. Era bello stare con lei perché sapeva far sorridere anche nei momenti di maggiore lavoro e difficoltà. A tavola e nelle ricreazioni teneva sempre allegra la conversazione e anche quando le si faceva qualche osservazione sapeva accettare con il suo sì gioviale, che ne ero quasi un po’ gelosa.

Svolgeva l’apostolato con impegno e fervore, non badando a malesseri e stanchezza; sapeva soffrire tanto in silenzio. Tutta la parrocchia le era affezionata e tutti ne hanno sentito la sua mancanza. I bambini la ricordavano con vivo dispiacere: volevano bene alla loro maestra; anche lei amava tanto i suoi piccoli «universitari», come usava chiamarli. Il Parroco l’ha definita una piccola miniera dove vivevano nascoste preziose perle. Il suo modo semplice e gentile attirava la confidenza anche dei più anziani, che ascoltavano volentieri un

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conforto e anche dei consigli. Una vecchietta del ricovero, sapendo che era ammalata, ha mandato la sua piccola offerta per far vedere quanto le voleva bene.

Prima di partire per l’ospedale di Adria diceva che era contenta che il Signore le aveva concessa la grazia di poter soffrire un poco e poi aggiungeva anche la grazia di poter dormire un poco, perché soffriva molto il sonno. Mentre l’assistevo all’ospedale, mi diceva che chiedeva al Signore la grazia di morire e questo lo ha detto parecchie volte e anche seriamente.

Il giorno 28 maggio è entrata in l’ospedale e alle 9 e tre quarti è uscita dalla camera operatoria. Il giorno 12 giugno è tornata dall’ospedale: si sentiva bene, tanto che, essendo domenica, voleva fare anche il catechismo. Il 20 giugno è partita per Casa Madre.

Appena saputa la notizia della sua gravità, ho sentito tanto il desiderio di poterla vedere prima che morisse perché le volevo tanto bene, ma mancavano ancora parecchi giorni agli Esercizi e chiedevo al Signore questa grazia. E così, sabato 22 mattina, sono stata in clinica a farle visita; ero da poco arrivata e mi ha fatto tanto piacere rivederla, nonostante la brutta sorpresa nel trovarla in quelle condizioni.

Le ultime sue parole sono state: che era contenta di potermi vedere, che soffriva tanto ma volentieri e poi con un sorriso sereno disse che non poteva più parlare e dopo si sentì male; ci fece uscire dalla camera perché non voleva vedermi piangere.

Poi sono rientrata, stava ancora male; allora l’ho salutata e mentre l’ho baciata le ho detto che pregasse per noi e lei mi ha risposto con un sorriso.

Fiorangela Riboni