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92 LE SCIENZE 383/ luglio 2000 Lo scavo, nei Monti Altai, di una tomba in cui il ghiaccio ha conservato in modo straordinario i resti organici apre importanti prospettive di ricerca sulle culture nomadi dell'Asia centrale, ma pone anche numerosi interrogativi 93 Viaagi e spedizioni sqvali• • • •, Il mausoleo ghiacciato di Henry-Paul Francfort del principe scita S traordinari oggetti di legno dora- to e cuoio, finissime decorazio- ni in metalli preziosi, frammen- ti di stoffe decorate e i resti organici del principe scita e dei suoi cavalli inumati con gran pompa oltre 2300 anni fa: è l'eccezionale, e per certi versi quasi in- sperato, spettacolo che si è presentato, fra maggio e giugno 1999, agli archeo- logi al lavoro su un kurgan (tumulo se- polcrale) situato presso il villaggio di Berel, nei Monti Altai. La conservazione di materiali orga- nici normalmente deperibili è dovuta al fatto che la tomba era ghiacciata al suo interno. Di tutte le regioni euroa- siatiche, l'Altai, nel Kazakhstan orien- tale, è infatti l'unico ambiente nel qua- le, in determinate condizioni, sia possi- bile la formazione di uno strato di per- mafrost in profondità subito dopo l'i- numazione del corpo. Questo strato ghiacciato, una specie di pellicola in- trappolata sotto la massa di pietre del kurgan, preserva dalla decomposizione le vestigia deposte nella fossa funera- ria; in tal modo esse rimangono isolate nel loro blocco di ghiaccio e non subi- scono alcuna alterazione finché non in- tervenga un mutamento dell'ambiente circostante. Tombe di questo genere sono molto rare, in quanto la concomitanza di tut- ti i requisiti necessari alla loro conser- vazione - freddo invernale intenso, suf- ficiente profondità della fossa, adegua- to volume delle pietre del tumulo che sigillano l'aria gelida - è poco frequen- te; ma evento ancor più eccezionale è il ritrovamento di una tomba ghiacciata intatta o scarsamente depredata, poi- ché sin dall'antichità i cercatori di teso- ri hanno sventrato i kurgan di tutta la regione per impadronirsi di oggetti preziosi. Le incursioni sono state attua- te in modo così radicale che quasi tutte le tombe scoperte dagli studiosi risul- tano ormai del tutto svuotate oppu- re hanno subìto una ripresa del proces- Nel severo paesaggio montuoso degli Altai (in primo piano, un'area sacra di transito, contrassegnata da un trofeo di corna di stambecco), si rinvengono di frequente tombe monumentali di capi delle antiche popolazioni Saka (più note con il nome greco di Sciti); quella scava- ta dal gruppo dell'autore è situata nei pressi del villaggio di Berel (nella carti- na). Qui a fianco, un abitante degli Altai negli abiti tradizionali, con un vecchio fucile da caccia. LE SCIENZE 383/ luglio 2000

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Lo scavo, nei Monti Altai, di unatomba in cui il ghiaccio ha

conservato in modo straordinarioi resti organici apre importanti

prospettive di ricerca sulle culturenomadi dell'Asia centrale, ma pone

anche numerosi interrogativi

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Viaagi e spedizioni• sqvali• • • •,

Il mausoleoghiacciato di Henry-Paul Francfort

del principe scita

S

traordinari oggetti di legno dora-to e cuoio, finissime decorazio-ni in metalli preziosi, frammen-

ti di stoffe decorate e i resti organici delprincipe scita e dei suoi cavalli inumaticon gran pompa oltre 2300 anni fa: èl'eccezionale, e per certi versi quasi in-sperato, spettacolo che si è presentato,fra maggio e giugno 1999, agli archeo-logi al lavoro su un kurgan (tumulo se-polcrale) situato presso il villaggio diBerel, nei Monti Altai.

La conservazione di materiali orga-nici normalmente deperibili è dovutaal fatto che la tomba era ghiacciata alsuo interno. Di tutte le regioni euroa-siatiche, l'Altai, nel Kazakhstan orien-tale, è infatti l'unico ambiente nel qua-le, in determinate condizioni, sia possi-bile la formazione di uno strato di per-mafrost in profondità subito dopo l'i-numazione del corpo. Questo stratoghiacciato, una specie di pellicola in-trappolata sotto la massa di pietre delkurgan, preserva dalla decomposizionele vestigia deposte nella fossa funera-ria; in tal modo esse rimangono isolatenel loro blocco di ghiaccio e non subi-scono alcuna alterazione finché non in-tervenga un mutamento dell'ambientecircostante.

Tombe di questo genere sono moltorare, in quanto la concomitanza di tut-ti i requisiti necessari alla loro conser-vazione - freddo invernale intenso, suf-ficiente profondità della fossa, adegua-to volume delle pietre del tumulo chesigillano l'aria gelida - è poco frequen-te; ma evento ancor più eccezionale è ilritrovamento di una tomba ghiacciataintatta o scarsamente depredata, poi-ché sin dall'antichità i cercatori di teso-ri hanno sventrato i kurgan di tutta laregione per impadronirsi di oggettipreziosi. Le incursioni sono state attua-te in modo così radicale che quasi tuttele tombe scoperte dagli studiosi risul-tano ormai del tutto svuotate oppu-re hanno subìto una ripresa del proces-

Nel severo paesaggio montuoso degliAltai (in primo piano, un'area sacra ditransito, contrassegnata da un trofeo dicorna di stambecco), si rinvengono difrequente tombe monumentali di capidelle antiche popolazioni Saka (più notecon il nome greco di Sciti); quella scava-ta dal gruppo dell'autore è situata neipressi del villaggio di Berel (nella carti-na). Qui a fianco, un abitante degli Altainegli abiti tradizionali, con un vecchiofucile da caccia.

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discipline scientifiche, dalla geomorfo-logia, alla botanica, all'antropologia.Sapevamo fin dall'inizio che il kurganera stato depredato; dovevamo perciòstabilire rapidamente l'entità del sac-cheggio e verificare se si era formato lostrato ghiacciato e se aveva resistito altempo e all'apertura della tomba daparte dei cercatori di tesori.

Dopo circa due mesi di scavi, men-tre l'inverno scendeva sull'Altai, ap-prendemmo che, grazie al gelo, la con-servazione delle vestigia era effettiva-mente ottima a partire da una profon-dità di 4 metri dall'attuale superficieesterna e che questa ricchissima tombaprincipesca racchiudeva ancora copio-si materiali, soprattutto quelli a cuieravamo particolarmente interessati,ossia i resti organici. Numerosi indizi,per esempio le grandi dimensioni delkurgan (23 metri di diametro) e dellacamera funeraria costruita con tavoledi legno (2 x 4 metri), così come la pre-senza, sui cavalli sacrificati, di grandicorna posticce di stambecco in legnodorato, ci convinsero che avevamoscoperto la tomba di un importantemembro dell'aristocrazia locale.

Viaggi e spedizioni• on. awit • • • 4 ,n •• ***** I

so di decomposizione che ha elimina-to ogni traccia delle vestigia sepolte.Nella maggior parte dei casi gli archeo-logi rinvengono, nei punti non scon-volti dall'azione dei saccheggiatori, sol-tanto resti talvolta splendidi di tombeprincipesche.

Così è stato a Tuekta, Bashadar, Ka-tanda, Shibe e nel primo kurgan di Be-re!, esplorato nel 1865. Tuttavia, puòeccezionalmente accadere che nelloscavo di qualche kurgan ghiacciato sirecuperino insiemi completi di oggettiantichi, materiali organici e resti umaniche hanno attraversato i secoli senzaperire completamente, nonostante l'i-nevitabile degrado dovuto al tempo.

Nel continente euroasiatico tre sonoi casi noti di questo tipo di ritrovamen-to, tutti nell'Altai. Innanzitutto vi sonoi kurgan reali di Pazyryk, oggetto discavo da parte di S. I. Rudenko e M. P.Grjaznov nel 1929 e 1950: sebbene letombe fossero state depredate, l'ab-bondanza degli oggetti antichi raccoltiè tale che essi sono ora il vanto dell'Er-mitage di San Pietroburgo. Il secondocaso è, nel gruppo di kurgan dell'alto-piano Ukok, quello della tomba della«sacerdotessa» di Ak-Alakha, menovasta delle precedenti, ma contenenteuna delle mummie più interessanti. In-

fine vi è il nostro kurgan, il n. 11 di Be-rel, risalente alla prima metà del quar-to secolo a.C., che, grazie ai resti uma-ni, all'architettura funeraria e al buonostato di conservazione dei cavalli bar-dati offerti in sacrificio, si colloca fra legrandi scoperte del secolo in questocampo.

Uno scavo «sotto zero»Il kurgan oggetto dello scavo, situa-

to su un terrazzo del fiume Bukhtar-ma, era stato individuato già nell'au-tunno 1997 dall'autore e da Z. Sama-shev nel corso di un'esplorazione preli-minare. L'attenzione era stata puntataproprio su questa valle, un tempo terri-torio della Siberia, per via delle impor-tanti scoperte archeologiche qui avve-nute in passato e della potenziale esi-stenza di tombe ghiacciate.

Lo scavo fu avviato nell'agosto1998, a opera di un'équipe internazio-nale costituita nell'ambito di un accor-do tra il Centro studi ricerche Ligabuedi Venezia (rappresentato dall'archeo-loga Elena Barinova), il Centre natio-nal de la recherche scientifique france-se e l'Istituto di archeologia Margulandel Kazakhstan, e comprendente, oltreagli archeologi, specialisti di numerose

In alto, paesaggio lacustre degli Altai. Inquesta regione tuttora isolata si mantieneun forte carattere tradizionale: la donnanella pagina a fianco sta realizzando tap-peti con motivi decorativi simili a quelli

degli antichi Saka. La cultura nomadenon ha perso vigore, e ancora oggi l'equi-paggiamento del cavaliere (come la sellain legno e il frustino) viene realizzato conestrema cura nelle forme tradizionali.

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A questo punto, però, apparve chia-ra la necessità di procedere allo scavovero e proprio già alla fine dell'inver-no, per evitare una ripresa del processodi decomposizione. Inoltre, date lecondizioni in cui erano state trovate levestigia, prossime ormai al punto discongelamento, sarebbe stato impensa-bile procedere con i tempi di uno scavonormale: dovemmo dunque inventareun nuovo metodo di lavoro, in due fa-si, con il prelievo dei blocchi ghiacciatisul terreno e successivamente l'analisidei materiali in laboratorio.

Per condurre felicemente in portoquesto speciale tipo di scavo, era ne-cessario mantenere inalterata la catenadel freddo durante tutta l'operazione, eciò comportava una buona dose diproblemi tecnici. Bisognava scavare ra-pidamente, giungere ai reperti, identifi-care in modo corretto blocchi delle di-mensioni più grandi possibili, ripulirli,tagliarli, imballarli, numerarli e farliuscire dalla fossa. A questo punto sidovevano caricare i blocchi su un ca-mion frigorifero, che doveva rimanerevicino al cantiere in permanenza, e tra-sportarli ad Almaty per sistemarli, tut-ti insieme, in una camera frigoriferafatta arrivare appositamente dall'Euro-pa. Lo scavo, ogni tappa del quale eraun'innovazione, rappresentava una sfi-da tecnica soprattutto per i restaurato-ri, responsabili del mantenimento deireperti in buono stato durante tutto losvolgimento di queste operazioni. Fudunque con grande entusiasmo e spe-ranza che riprendemmo la via di Berelsei mesi dopo, nel maggio 1999.

Allestimmo rapidamente un campodotato di ampie tende militari per losvolgimento del lavoro e per la consu-mazione dei pasti; all'energia elettricaindispensabile per le postazioni di la-voro provvedemmo con linee collegatea un generatore autonomo; il luogodello scavo fu coperto con una struttu-ra in legno che sorreggeva un telonetrasparente per lasciar passare la luce.In tal modo ci fu possibile lavoraresenza interruzione con qualsiasi tem-po, anche durante i violenti temporalie tempeste tipici degli Altai in quellastagione. Eravamo tutti consapevoliche, una volta iniziata, un'operazionedi questo genere andava condotta atermine senza interruzione: non pote-vamo permetterci di esitare né di pren-dere una pausa. Per tutta l'équipe,dunque, fu un periodo molto intensonella steppa di Berel, verdeggiante epopolata di greggi e di cavalli, reso an-cor più bello dalle splendide vette inne-

vate dell'Altai e illuminato da scoperteeccezionali.

Dopo la riapertura della fossa (cheavevamo richiuso nel 1998) fino al li-vello precedentemente raggiunto, sca-vammo il primo strato di cavalli sa-crificati, chiaramente scompaginatodai saccheggiatori, e raggiungemmo lesepolture nella camera funeraria e ilsecondo livello di cavalli sacrificati,che ci apparve pressoché intatto. Lo

smontaggio della camera funeraria e ilprelievo del sarcofago furono docu-mentati con registrazioni video in si-multanea e fotografie e con la descri-zione e il disegno immediato dei reper-ti. Tutto il materiale trovato fu poitrasportato ad Almaty senza incidentie sistemato nella camera frigoriferaappositamente allestita nel laboratoriodi restauro in cui si sarebbe procedutoai lavori successivi.

La camera funeraria del principe Sakaconteneva un sarcofago ricavato da untronco d'albero, che si vede ancora chiu-so nella fotografia della pagina a fronte;qui sotto, le operazioni di sollevamentoed estrazione del sarcofago. Nel disegnoa destra è mostrata una ricostruzione delmausoleo, con la disposizione dei cavallidalle ricche bardature sacrificati al mo-mento dell'inumazione.

Una sepoltura doppia

Pur tenendo conto del fatto che i da-ti sono ancora in corso di elaborazionee che altri blocchi, conservati al freddoad Almaty, attendono di essere studia-ti, è già possibile anticipare qualche ri-sultato. Il kurgan esplorato è il primodi un allineamento di quattro, dei qua-li è il più importante; è stato costruitosopra una fossa rettangolare di 6 x 4

metri, con un orientamento est-ovest,profonda circa sei metri rispetto al li-vello della superficie attuale.

Il fondo della fossa è diviso in dueparti quasi uguali: la metà nord è occu-pata dai cavalli sacrificati e quella suddalla camera funeraria. Quest'ultima(4 x 2 metri) è costruita con grandi ta-vole di pino e larice incastrate l'unanell'altra mediante mortasa; non vi èpavimento, ma le pareti e il soffitto so-

no accura-tamente rivesti-

ti con grandi fogli dicorteccia di betulla e, a

tratti, con feltro. Il soffittopresenta due strati di corteccia inter-vallati da un diaframma di ramoscelliintrecciati.

La parte nord della camera contene-va soltanto una pala di legno e alcunidetriti lasciati dai saccheggiatori; asud, su una base di piccole lastre dipietra, giaceva un pesante sarcofagomonossile di larice, perfettamente inca-strato all'interno della camera.

Questo sarcofago, che era chiuso dauna tavola decorata in ogni angolo conl'immagine di un grifone bronzeo, erastato sventrato dai saccheggiatori. Lostato di conservazione del primo occu-pante, un uomo giovane, spogliato deisuoi addobbi, ci ha permesso comun-que di operare numerosi prelievi e ana-lisi. Il personaggio aveva una curiosaacconciatura a trecce; è inoltre possibi-le che un frammento di pelliccia - or-nato con un fregio policromo di perledi vetro - rinvenuto sul sarcofago pro-venga dal suo abbigliamento. Questaprima salma era stata spinta sul fon-do del sarcofago allorché, dopo il sac-cheggio, vi era stata inumata una se-conda salma, quella di una donna an-ziana, trovata nel medesimo stato diconservazione: uno scheletro che re-cava ancora frammenti di tessuto ecapelli.

Una doppia inumazione nel medesi-mo sarcofago è una pratica funerariainconsueta, e per spiegarla si possonofare diverse ipotesi; gli studi in corso ciforniranno nuovi dati per tentare dicomprendere questa particolarità. So-no già state avviate analisi parassitolo-giche, che saranno proseguite e com-pletate da laboratori italiani e francesi

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in collaborazione. La cosa più impor-tante, comunque, è l'aver potuto effet-tuare, anche in assenza di corpi mum-mificati, tutta una serie di prelievi checonsentiranno un insieme di analisi ta-li da approfondire numerosi aspettidella vita delle popolazioni altaiche.

La fossa dei cavalli conteneva dodicianimali, immolati con tutta la loro bar-datura, disposti su due livelli di sei ca-valli ciascuno, e ricoperti con fogli dicorteccia di betulla separati da strati diramoscelli. Tutti gli animali avevano latesta rivolta verso oriente. Quelli delprimo livello erano stati parzialmentescompaginati dai predoni, ma alcuneparti, così come gli animali del livelloinferiore, erano ben conservate grazieal ghiaccio; ciò nonostante essi avevanosubìto un inizio di decomposizione eapparivano appiattiti dalla notevolepressione esercitata dal peso del kur-gan. Comunque sia, impressiona vede-re, ben conservati, la pelle e il colore delmantello di questi cavalli. Anche inquesto caso i prelievi renderanno possi-bili tutta una serie di analisi organiche.

Per la prima volta qui a Berel, gliscavi in un kurgan dell'Altai hannoconsentito di raccogliere la totalità deicavalli ancora bardati; sarà perciò pos-sibile conoscere, dopo l'esame deiblocchi ancora refrigerati, la colloca-zione di ciascun animale e i dettagli deisuoi ornamenti. Per esempio, abbiamonotato che soltanto i cavalli di testa,vale a dire quelli più a est, recavano lecorna posticce di legno dorato che li«travestivano» da stambecchi giganti.Perché questo addobbo? Sappiamo an-che che, nella sua decorazione, ogni ca-vallo era contraddistinto da un propriotema simbolico: quello ornato con ilmuflone, quello con il grifone, quellocon l'alce e così via. È meno chiaroperò quale poteva essere il significatodi questi simboli. I morsi, i pendentidelle briglie e le ghirlande di legno do-rato presenti su queste montature con-tribuivano a far risaltare i tappetti dasella in tessuto rosso e le selle di feltrodecorate con applicazioni multicolori ericami. Questi ritrovamenti hannoaperto una nuova pagina nella storiadell'equitazione, ma anche nella storiadell'arte e della civiltà eurasiatica.

L'Alta i, crocevia di civiltàDavanti a noi si stende dunque un

vasto campo di studi, grazie alla preci-sione delle osservazioni e all'abbon-danza della raccolta di dati rese possi-bili dallo «scavo dei blocchi di ghiac-

cio». Già ora possiamo avanzare ta-lune ipotesi, sia pure con molta cau-tela. Lo studio dendrocronologico at-tuato dopo la campagna di scavi del1998 ha evidenziato la contempo-raneità del nostro kurgan con le tom-be dell'altopiano di Urok (Russia),sbocco naturale della Bukhtarma versomonte (così come l'apertura verso lasteppa e l'occidente lo è a valle): ci sipuò allora chiedere se le sepolture diBerel e di Urok siano opera delle stessetribù Saka, le quali percorrevano tuttoquesto territorio durante le migrazionistagionali.

Come oggi sappiamo, la civiltà di

questi nomadi pastori e cavalieri nonera affatto confinata alle sole terre del-l'Altai, ma partecipava a vaste correntidi scambio che, nel IV secolo a.C., an-davano dalla Persia achemenide allaCina: è certamente sorprendente l'e-stensione delle relazioni internazionalidi pastori nomadi che soltanto fino apoco tempo fa, perpetuando una con-cezione che risale alla storiografia gre-ca, la scienza considerava «barbari'>.L'insieme degli oggetti d'arte rinvenutia Berel ci impone un riesame del mate-riale trovato a suo tempo a Pazyryk enel resto dell'Altai: l'arte di questi no-madi è un'integrazione e una sintesi

All'interno del sarcofago i resti del prin-cipe Saka erano danneggiati dall'inter-vento dei predoni, che aveva causato ilparziale scongelamento della tomba.Ciò nonostante, si erano conservati mol-ti reperti in materiali deperibili, come lestraordinarie decorazioni in legno, spes-so dorato, che appartenevano alle bar-dature dei cavalli.

originale di elementi provenienti daantichissime tradizioni locali, dall'artecinese e da quella degli Achemenididopo il regno di Dario.

Talune figure di alci nelle bardatureda noi rinvenute in questi scavi, cosìcome alcune tecniche artistiche, non sicomprendono se non in riferimento a

immagini della Siberia meridionale ri-salenti all'Età del bronzo. Quanto aileoni cornuti, ai grifoni, alle sfingi, essiprovengono direttamente dal reperto-rio a cui si ispirava il programma deco-rativo dei palazzi di Persepoli e di Susain Iran. Infine, alcuni felini sembranorichiamare le decorazioni dei bronzidegli Zhou orientali, in Cina. Questielementi, qui citati come esempio, e al-tri ancora, sono ripresi, reinterpretati eintegrati nell'universo mentale e artisti-co dei nostri Saka; così, non apparepiù lecito ritenere, come si è fatto finoa oggi, che i rapporti con l'Iran e la Ci-na si limitassero all'importazione diqualche oggetto.

Il mistero dei Saka dell'Altai non èancora interamente chiarito, ma gliscavi di Berel consentono di avvicinar-si alla soluzione. Ed è suggestivo pen-sare che una delle chiavi di compren-sione possa essere l'oro di cui sono ric-che queste montagne; il metallo prezio-so custodito dai leggendari grifoni eambìto dalle principali culture sedenta-rie fu forse il fattore determinante cheinserì queste regioni, in apparenza cosìremote, nelle grandi correnti di civiltà.

HENRY-PAUL FRANCFORT è direttore di ricerca al CNRS francese. Lau-reato in archeologia all'Università di Lione, è direttore della Missione archeolo-gica francese in Asia centrale dal 1989. Dall'inizio degli anni settanta ha con-dotto scavi in Afghanistan, India e Kazakhstan.

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