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VALENTINA VASSELLI Il Medioevo è quel periodo collocato tra la fine dell'Impero Roma d'Occidente (nel 476 d.C.) , la nascita delle monarchie nazionali e il periodo rinascimentale (nel XIV secolo circa). Nel Medioevo il ruolo dello sport era piuttosto controverso, in quanto si trovava al centro di un grande dibattito. Nel periodo medievale, secondo alcuni, poteva rientrare la visione dello Stoicismo (corrente filosofica e spirituale fondata nel 308 a.C. ad Atene da Zenone di Cizio, con un forte orientamento etico), che condannava tutti gli sport cruenti poiché ledevano la natura umana e peggioravano la formazione morale. A questa teoria va' aggiunta l'ostilità del Cristianesimo (religione monoteista a carattere universalistico, originatasi nel I secolo a.C. dal Giudaismo (fondata sull'insegnamento di Gesù, riconosciuto come il cristo crocifisso e poi risuscitato) che lasciava aperto uno spiraglio al fattore igienico e salutistico dell'esercizio fisico ma condannava aspramente lo spettacolo. Effettivamente il carattere mistico e religioso e la pratica di culti al chiuso delle catacombe sembrava scontrarsi col trionfo corporale dei giochi e delle gare , ma la vera condanna tuttavia, non è da attribuirsi al Verbo Cristiano, bensì ai vescovi, i Padri della Chiesa, che accusano lo sport di cattivo gusto e di poco pudore. A tal proposito il vescovo Novaziano scrisse il "De spectaculis" che dice: "sono ripugnanti questi spettacoli in cui un uomo sta sotto a un altro; dove ci si avvinghia in maniera svergognata! Uno può vincere in una simile lotta ma la decenza ne esce sconfitta!". Secondo altri, tuttavia, l’emarginazione dello sport non fu né repentina né totale: dopo l’editto di Costantino ( promulgato nel 313 d.C. per porre ufficialmente fine alle persecuzioni religiose ), i giochi furono sospesi solo per un breve periodo e l’unica modifica fu la sostituzione della pena di morte ad opera delle belve, con i lavori a vita nelle miniere.

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VALENTINA VASSELLI

Il Medioevo è quel periodo collocato tra la fine dell'Impero Roma d'Occidente (nel 476 d.C.) , la nascita delle monarchie nazionali e il periodo rinascimentale (nel XIV secolo circa). Nel Medioevo il ruolo dello sport era piuttosto controverso, in quanto si trovava al centro di un grande dibattito. Nel periodo medievale, secondo alcuni, poteva rientrare la visione dello Stoicismo (corrente filosofica e spirituale fondata nel 308 a.C. ad Atene da Zenone di Cizio, con un forte orientamento etico), che condannava tutti gli sport cruenti poiché ledevano la natura umana e peggioravano la formazione morale. A questa teoria va' aggiunta l'ostilità del Cristianesimo (religione monoteista a carattere universalistico, originatasi nel I secolo a.C. dal Giudaismo (fondata sull'insegnamento di Gesù, riconosciuto come il cristo crocifisso e poi risuscitato) che lasciava aperto uno spiraglio al fattore igienico e salutistico dell'esercizio fisico ma condannava aspramente lo spettacolo. Effettivamente il carattere mistico e religioso e la pratica di culti al chiuso delle catacombe sembrava scontrarsi col trionfo corporale dei giochi e delle gare , ma la vera condanna tuttavia, non è da attribuirsi al Verbo Cristiano, bensì ai vescovi, i Padri della Chiesa, che accusano lo sport di cattivo gusto e di poco pudore. A tal proposito il vescovo Novaziano scrisse il "De spectaculis" che dice:

"sono ripugnanti questi spettacoli in cui un uomo sta sotto a un altro; dove ci si avvinghia in maniera svergognata! Uno può vincere in una simile lotta ma la decenza ne esce sconfitta!".

Secondo altri, tuttavia, l’emarginazione dello sport non fu né repentina né totale: dopo l’editto di Costantino ( promulgato nel 313 d.C. per porre ufficialmente fine alle persecuzioni religiose ), i giochi furono sospesi solo per un breve periodo e l’unica modifica fu la sostituzione della pena di morte ad opera delle belve, con i lavori a vita nelle miniere.

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La' , in effetti, poteva essere risolta riconoscendo il nuovo ruolo che lo sport assumeva in questo periodo, non più ginnastica educativa e spettacoli atletici, ma vera e propria attività ludica e ricreativa.

L'uomo medievale col pretesto della gara si accostava all'attività sportiva e al gioco, attraverso il quale vuole allargare la propria a di superiorità e affermare il proprio ruolo di vincitore, inoltre per vincere servivano intelligenza, forza e scaltrezza. L'obiettivo principale di chi gareggiava era un simbolo che lo gratificasse e che fosse sdoganato dal prezzo e dal rischio, non necessariamente un premio di valore: in poche parole gli atleti misuravano il proprio valore tramite l'incertezza del risultato finale e la tensione alla vittoria e quindi non si aspettavano un salario dovuto invece dalla fatica e dal lavoro ( come dire: se conosco il risultato, se so che un determinato sforzo mi porterà a raggiungere di sicuro quell’ obiettivo, non posso più considerarmi un atleta bensì un mercenario dello sport e non avrò più la “coscienza del gioco” ma quella del “lavoro” ).

Fondamentale per definire tale onore e status fu l’espansione e la diffusione dell’elemento sacrale nel gioco. Nel Medioevo l'elemento del gioco si accompagnava sempre all'elemento sacro: in Francia il gioco sacrale era praticato anche dai vescovi e dal clero durante le feste religiose ( la sera di Pasqua si giocava a palla! ) e in onore di alcuni santi era frequente vedere il popolo intero coinvolto in giochi collettivi nei prati subito dopo le funzioni sacre.

L'obiettivo degli atleti era caratterizzato anche dal sacro: a loro non importava se in palio ci fosse una figura femminile o un oggetto di valore, loro tendevano al premio come se fosse un segno della gratificazione dello spirito e della ricompensa celeste.

I tornei e le giostre furono un prodotto del Feudalesimo e della Cavalleria e si riallacciano ai giochi guerreschi popolari come fine di esercizio nell'arte militare, dei quali si fa menzione fin dall'epoca carolingia (IX secolo).

La parola "torneo " si trova spesso usata nel senso di "giostra", indifferentemente, benché "giostra" sia più propriamente un combattimento fra due cavalieri con lancia in resta e "torneo" un combattimento tra fazioni.

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La paternità del torneo è attribuita a G. de Prèvilly, ma sembra che questi abbia solo fissato e regolamentato le norme che lo governavano.

L'uso di tali giochi varcò le frontiere francesi e anche in Italia troviamo i tornei, numerosi già nel XII e XIII secolo.

All'origine si trattò di vere e proprie battaglie con morti e feriti. Ma nel XIII secolo si decise di spuntare le lance e di rendere inoffensive le spade sopprimendone la punta e il taglio in modo da passare al puro desport, divertimento: anche così, però, il più piccolo errore bastava a provocare un incidente e quindi giostre e tornei divennero sempre più complicati esercizi di abilità e di scaltrezza.

Dato il loro luogo d'origine, la terminologie delle giostre e dei tornei era generalmente francese e in francese sono redatti, infatti, i principali codici di regolamenti che riguardano queste manifestazioni. L'importanza di questi codici era enorme: ad essi ogni torneante era obbligato severamente ad attenersi pena l'accusa di fellonia, e tutto ciò che riguardava il torneo era trattato minuziosamente, dalla descrizione delle cerimonie iniziali di parata al saluto, alla vestizione dei torneanti, alla descrizione delle armi e delle armature, all' elencazione perfino del numero dei colpi da infliggersi da una parte e dall'altra, e così via.

Fra i tornei più famosi è il caso di citare quello del Pas de l'Arbre d'Or, tenuto nel 1468 per celebrare il matrimonio fra il Duca di Borgogna e la principessa Margherita, sorella di Edoardo IV d'Inghilterra. Inoltre, quello del Chevalier Sauvage à la Dame Noire, tenuto ad Edimburgo nel 1508; quello tenutosi a Parigi nel 1559 in occasione delle nozze fra la principessa Elisabetta, figlia di Enrico Il di Francia , e Filippo Il di Spagna, durante il quale il sovrano francese venne gravemente ferito al punto da soccombere dieci giorni dopo; e la celebre "disfida di Barletta" , avvenuta nel 1503 fra tredici Francesi e tredici Italiani. Ricca è pure la letteratura che ha per argomento giostre e tornei: l'esempio più valido è costituito dalle Stanze per la giostra, ottave scritte dal Poliziano in occasione della vittoria riportata nel 1475 in un torneo da Giuliano de' Medici. Come si è detto, giostre e tornei, inizialmente, avevano proprio lo scopo il mantenersi in esercizio nell'arte militare.

Essi nacquero per sottrarre i giovani (e anche i non più giovani) soprattutto all'influsso negativo

che i lunghi ozi invernali avevano sul fisico. Bisogna infatti tenere presente che le campagne militari (occupazione principale dell'uomo di rango nell'alto

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Medioevo) venivano tenute solamente nella bella stagione: con l'inizio dell'autunno gli eserciti venivano sciolti ed ognuno ritornava alla propria dimora. Rimaneva sì la possibilità di sfogare la propria esuberanza nelle cacce, ma anche queste erano attuabili dal mese di aprile al mese di ottobre: da novembre a marzo le uniche occasioni di menare le mani si potevano avere o contro i briganti di strada o contro orsi e lupi (occasioni, peraltro, non infrequenti a quel tempo!). In generale, però, accadeva che il lungo inverno venisse passato nelle grandi sale dei castelli, davanti a tavole imbandite mentre negli ampi camini di pietra ardevano interi tronchi, e a smaltire il grasso e l'apatia non bastavano certo gli esercizi nelle sale d'armi. Fu così che si pensò di trovare qualcosa che servisse ad esercitare i cavalieri nel nobile mestiere delle armi, nel maneggio del cavallo, della spada, della lancia e della mazza e si ritenne che nulla poteva esservi di meglio di quegli scontri che simulavano le battaglie, già in uso in epoca carolingia e che si trovano descritti, per esempio, nella "Cronique di Nithard" (842).

La passione per queste manifestazioni andò sempre più aumentando ed ogni occasione fu' buona ben presto per indire giostre e tornei: la celebrazione di una vittoria, di una ricorrenza, di una pace o lega, di una grande festa religiosa o qualsiasi importante avvenimento politico, e perfino per maritare le donzelle. Subito i tornei assunsero particolari caratteristiche di fasto e di lusso: ai vincitori venivano consegnati doni di grande valore; le armature, le armi e i cavalli sfoggiati erano quanto di meglio si potesse avere.

Il pubblico e in particolare le dame facevano a gara nell'indossare splendide vesti e gioielli di gran valore per stupire e far morire di invidia gli intervenuti dalle più lontane contrade: I'occasione della giostra o del torneo dava modo, infatti, alla gente di riunirsi anche se era necessario compiere un lungo viaggio. Era possibile così scambiare idee, conoscere nuove persone e, cosa assai importante, notare qualche giovane particolarmente abile nel maneggiare le armi i cui servigi sarebbero stati utili se accaparrati in tempo.

Nelle giostre e nei tornei, infatti, erano soprattutto i giovani che desideravano mettersi in mostra. Per molti, anzi, quella era la prima occasione per dimostrare in pubblico i frutti del tirocinio cui erano stati sottoposti sino dalI'infanzia.

Oltre ad una sommaria istruzione (più o meno ridotta al leggere e scrivere) impartita da qualche scrivano o da qualche vecchio religioso, il futuro cavaliere era stato fin da ragazzetto sottoposto ad un vero e proprio "rodaggio". Sotto lo sguardo vigile del padre o di

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qualche vecchio soldato rotto alle più fini astuzie, per ore e ore egli si era allenato alla lotta corpo a corpo, aveva appreso i primi rudimenti della scherma con il bastone, l'equitazione e le norme della caccia. Cavalli e falconi non avevano più segreti per lui, ma quante cadute e quante beccate prima di riuscire ad essere in grado di guidare la cavalcatura con il solo uso delle ginocchia e di lanciare correttamente il volatile sulla preda! Poi c'erano stati i cani, da allevare e da condurre con perizia alla caccia. Lunghi anni, e duri dunque? Sì, ma nel complesso anche divertenti e poi tutto si superava con gioia - ruzzoloni, lividi, graffi, occhi pesti - in vista del traguardo finale, della famosa cerimonia dalla quale si sarebbe usciti consacrati cavalieri.

Forse, il periodo più pesante era quello del tirocinio come "scudieri", durante il quale i futuri cavalieri dovevano imparare a servire un qualche signore, e "servire" non era certo detto per metafora: non dovevano infatti limitarsi a portare le armi del signore o a condurre il suo cavallo alla guerra o al torneo, dovevano anche servirlo a tavola, aiutarlo a vestirsi, strigliargli il cavallo, forbirgli le armi e così via.

Tuttavia anche questo periodo passava ed ecco che giungeva il momento tanto sospirato della veglia d'armi, che significava la nomina a cavaliere.

La cerimonia era solenne. Il futuro cavaliere, dopo un bagno di purificazione, indossava una tunica bianca (simbolo di purezza), un manto rosso (simbolo del sangue che era disposto a versare in nome di Dio), una cotta nera (simbolo della morte che non temeva) e vegliava un'intera notte in chiesa, immerso nella preghiera. La mattina seguente, durante la Messa, egli si presentava all'altare con la spada sulla spalla e la porgeva al celebrante che la benediva. Ripresa la spada, il giovane andava ad inginocchiarsi ai piedi del signore che doveva armarlo.

Questi gli chiedeva il motivo per cui voleva divenire cavaliere e se i suoi scopi erano diretti solo alla conservazione e all'onore della religione e della Cavalleria. Dopo avere risposto adeguatamente, egli prestava giuramento, quindi riceveva gli speroni e la spada.

Finita la vestizione restava in ginocchio e il signore che doveva ordinarlo cavaliere si alzava egli dava la collata, ossia tre colpi dati o di piatto con la spada nuda o con la mano, sulla spalla o sul collo pronunciando le parole: "Nel nome di Dio, di San Michele e di San Giorgio io ti nomino Cavaliere". Se ora il giovane cavaliere era pronto a cimentarsi in guerra e in torneo con il crisma dell'ufficialità, di due cose si doveva occupare anzitutto: del suo cavallo e delle sue armi.

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Per il cavallo, in particolare, era necessario una gran cura nell'addestramento e nell'armamento, perché esso era il compagno fedele del cavaliere e doveva obbedirlo ad ogni suo minimo ordine. E' anzi da un particolare tipo di addestramento per la giostra che sembra sia derivato il termine "destriero"; infatti, per combattere la giostra con barriera, nella quale i due giostranti erano separati da un divisorio di tela o di legno, era necessario che i cavalli tenessero il galoppo sul piede destro per permettere al loro cavaliere di toccare l'avversario nel modo più efficace possibile.

Quanto all'armamento l'animale gareggiava con l'uomo per equipaggiamento complicato e vistoso: oltre alla gualdrappa di stoffa a vari colori, esso portava una sella assai complessa con il davanti dell'arcione molto prolungato in modo da proteggere il basso ventre e da formare anche a volte due ali laterali (molto simili agli odierni paraspruzzi di una motocicletta) che dovevano servire per proteggere le cosce (garde -cuisses) del cavaliere. Infine, la testa del cavallo era protetta da una massiccia testiera che copriva anche gli occhi dell'animale (detta perciò « cieca ») in modo che questo, correndo la giostra, non si spaventasse alla vista dell'altro cavallo che gli muoveva incontro e non scartasse, rendendo così difficile al suo cavaliere il poter colpire l'avversario al punto giusto.

Tramite il re d'armi lo sfidante inviava la propria sfida allo sfidato: se questi accettava I'incontro, venivano nominati i giudici del torneo e scelti i cavalieri e gli scudieri che dovevano fare parte delle due fazioni. Poi, stabiliti data e terreno dello scontro, il torneo veniva dichiarato aperto .

Con un anticipo di alcuni giorni sulla data fissata i cavalieri contendenti muovevano in sfarzoso corteo di parata verso la località dove lo scontro avrebbe avuto luogo. Dopo l'ingresso trionfale nella città o borgo più prossimo, davanti agli sguardi ammirati e incantati del popolo, essi si insediavano ufficialmente nei quartieri a loro destinati e gli scudieri si preoccupavano di esporre immediatamente le bandiere e gli stendardi con i colori dei loro signori.

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Poi, sempre sfilando in magnifica processione, i contendenti si recavano in chiesa dove esponevano i loro elmi e le loro insegne per la benedizione; quindi gli elmi venivano trasferiti nel chiostro della chiesa dove, alla presenza del re d'armi e dei giudici del torneo, avveniva la cerimonia detta "della raccomandazione". Era questa una curiosa cerimonia, dal significato molto diverso da quello attuale del termine: infatti, invece di favorire, puniva il "raccomandato".

Non si è ancora detto dell'importanza che avevano le dame nei tornei. La loro presenza e il loro incitamento contribuirono infatti ad aumentare la foga delle mischie e spesso, per conquistare i loro favori, molti cavalieri rimasero uccisi. Nel caso della "raccomandazione" erano appunto le dame a stabilire chi dovesse essere raccomandato.

Una volta che gli elmi e le insegne dei cavalieri che partecipavano al torneo erano stati disposti nel chiostro in lunga serie, il pittoresco corteo delle dame sfilava lentamente davanti all'esposizione; passando davanti a quelli di un cavaliere di cui conoscevano qualche grave colpa (che avesse esercitato l'usura, avesse sparlato di qualche dama, avesse fatto falso giuramento o mancato alla parola data), esse si limitavano ad allungare la mano e a toccare il suo elmo. Il cavaliere, automaticamente, diventava "raccomandato", e, prima di poter entrare nella lizza dove si sarebbe svolta la tenzone, doveva purificarsi: la purificazione consisteva nell'essere battuto dagli altri cavalieri finché non si fosse arreso o non avesse chiesto grazia alla dama offesa.

Frattanto nel luogo stabilito per il torneo era stata eretta la "lizza" o arena, il cui suolo veniva abbondantemente cosparso di sabbia; ciò era fatto per evitare che durante gli scontri gli zoccoli dei cavalli o i piedi dei contendenti avessero a scivolare, provocando in tal modo cadute non imputabili al procedere del combattimento e ,che avrebbero potuto mettere in difficoltà il torneante incolpevole. Ai lati della lizza sorgevano i palchi destinati al pubblico (simili alle odierne gradinate degli stadi) e due tribune, una riservata alle autorità e ai giudici del torneo, l'altra alle dame. A una serie di pali o lance, in fondo alla lizza, erano appesi gli scudi con il blasone e le insegne di ciascun contendente, mentre dietro ogni palo era il padiglione o tenda destinata al cavaliere per compiervi la vestizione. Questi padiglioni erano solitamente fatti con stoffe dipinte a colori vivacissimi che ripetevano i colori del blasone del cavaliere occupante; davanti ad essi stavano di guardia gli scudieri pronti ad accorrere ad un'eventuale chiamata del loro signore. Il

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servizio d'ordine era tenuto dai soldati (suivants d'armes) alle dipendenze del signore che aveva indetto il torneo, mentre gli araldi erano incaricati di annunciare gli scontri e i nomi dei torneanti.

La vestizione del cavaliere era un'operazione molto lunga e complessa: per condurla a termine completamente (ossia armando anche il cavallo) erano necessarie due ore buone e l'intervento di numerosi scudieri ed anche di personale specializzato (fabbri, maniscalchi e simili).

Per prima cosa il cavaliere si spogliava dei sontuosi abiti di parata che aveva indossato durante la precedente cerimonia, e rivestiva le vesti leggere che gli lasciavano grande libertà di movimenti. Sopra queste vesti venivano quindi adattate particolari protezioni imbottite, le quali avevano la funzione di proteggere il corpo dallo sfregamento con le parti dell'armatura metallica nelle articolazioni, sulle spalle e intorno al collo. Sopra le imbottiture era infine letteralmente "montata" l'armatura: montata è il termine esatto perché il fabbro prendeva uno per uno dalle mani degli scudieri i vari pezzi dell'armatura metallica e li andava a poco a poco sistemando sul corpo del cavaliere, fissandoli con ganci e servendosi di strumenti affini alle nostri chiavi inglesi e ai nostri cacciavite. Queste operazioni richiedevano grande destrezza e abilità nell'accostare e nel coprire le varie giunzioni, in modo da non lasciare alle armi nemiche vie possibili per giungere a ferire il corpo: da esse, dunque, dipendeva in gran parte il buon esito dei combattimenti.

Da ultimo in testa al cavaliere veniva posto I'elmo d'acciaio di complicatissima fattura, alla cui sommità (coppo) era fissato l'emblema per il quale era stato organizzato il torneo: tale emblema era per lo più costituito dai "colori" della dama in onore della quale il cavaliere si proponeva di torneare, colori che erano

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rappresentati da un velo, da un guanto, da un fazzoletto della gentildonna in questione.

Contemporaneamente al cavaliere, fuori del suo padiglione alcuni maniscalchi e mozzi di scuderia, sotto l'attento esame di uno scudiero, bardavano il cavallo del torneante con la stessa accuratezza con cui veniva armato il suo padrone.

Anche l'animale era completamente "corazzato" con lastre metalliche, sistemate tuttavia in modo che II loro peso fosse equamente distribuito e le gambe potessero muoversi liberamente non solo al passo ma anche al trotto e al galoppo. Questa bardatura (barda) veniva poi ricoperta da una sgargiante gualdrappa di stoffa con i colori del cavaliere, sulla quale infine veniva sistemata una sella speciale particolarmente robusta in cui il torneante avrebbe dovuto essere incastrato.

Finalmente, terminate le lunghe operazioni della vestizione, il cavaliere si ergeva nel mezzo della sua tenda come una luccicante statua d'acciaio: solo il suo viso rimaneva per ora libero di difesa, poiché la celata dell'elmo sarebbe stata abbassata più tardi, al momento dello scontro. Allora,due o più persone fra servi e scudieri gli si accostavano per aiutarlo a uscire dalla tenda, il che avveniva con grande fastosità e cigolii di metallo.

Giunto vicino alla sua cavalcatura, ora il cavaliere doveva montare in sella. La cosa non era poi tanto semplice e spesso egli non era in grado di salire a cavallo con i propri mezzi: doveva ricorrere all'ausilio di un rialzo, o alle robuste braccia di numerosi amici o servi, o addirittura (e il caso era più frequente di quanto si possa immaginare) all'impiego di un robusto, anche se primitivo, paranco, grazie al quale egli veniva sollevato dal suolo fino a una certa altezza e poi preposto in sella, proprio come oggi avviene per una cassa che dal suolo debba essere sistemata a bordo di una nave.

In groppa al cavallo, venivano ultimate le operazioni di armamento: ai calcagni del cavaliere venivano fissati lunghi speroni speciali, adatti per essere usati su un cavallo bardato, quindi si procedeva alla consegna delle armi vere e proprie.

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Le armi potevano essere di due tipi: da guerra (ossia appuntite e affilate) oppure "cortesi" (cioè spuntate e prive di taglio); nelle giostre e nei tornei venivano solitamente usate le armi cortesi.

Fra le armi più usate c'erano la spada, la mazza, la scure o ascia di guerra e la lancia

• La spada era corta e spuntata, e la sua lama era di lunghezza non superiore a quella di un braccio teso (mano compresa), larga almeno quattro dita (perché non potesse passare attraverso la gabbia dell'elmo), di sezione romboidale e con un dito di spessore al taglio; per essere più leggera, senza perdere in robustezza, era scanalata.

• La guardia della spada era formata da un'impugnatura munita di un pomo pesante e massiccio (che aveva la funzione di equilibrare la lama), di una coccia accartocciata e di una sbarra trasversale le cui estremità incurvate in avanti avevano li compito di bloccare il corpo dell'avversario. A volte il pomo poteva essere cavo e contenere quindi una reliquia o qualche particolare pegno: in questo caso tutta l'impugnatura dell'arma veniva appesantita per mantenerle le funzioni equilibratrici della lama.

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• Una cinghia di cuoio a nodo scorsoio era attaccata al pomo e veniva fissata al polso del guanto di ferro del cavaliere.

• La mazza (mazza d'arme) era un corto tubo cilindrico in cima al quale era fissata una massa pesante di ferro: questa massa poteva essere lenticolare (e allora era munita di spuntoni che la rendevano vagamente simile a un grosso riccio di castagna) o costolata, fissata saldamente al manico di sostegno oppure unita ad esso mediante una asta o una catena (in questo caso la mazza prendeva il nome di flagello). Con quest'arma il torneante doveva vibrare un certo numero di colpi all'avversario, sull'elmo e sul petto, al fine di stordirlo.

• La scure o ascia di guerra era relativamente poco usata nei tornei: infatti, come arma cortese, i suoi risultati erano piuttosto scarsi. Poteva essere sostituita dal martello d'arme che, munito da un lato di una sorta di punta e dall'altro di una massa più pesante e squadrata, aveva realmente la forma di un martello e veniva utilizzato pressappoco come la mazza d'arme. Sia la scure sia il martello d'arme avevano manico corto come quello della mazza, e impugnatura massiccia per bilanciare il peso della testa.

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• Infine, vi erano due tipi di lance: quelle da torneo e quelle da guerra. Quella da torneo, a differenza di quella da guerra, aveva l'asta in legno di frassino in modo da potersi scheggiare con una certa facilità; era lunga circa quattro metri e poteva essere o semplicemente spuntata o tricuspidata, così da non offendere l'avversario colpito. Essa era inoltre munita di una rotellina paramano in Lancia da torneo metallo e di un anello di forma particolare che doveva servire da fermo contro la resta dell'armatura.

e da guerra

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Il torneo ormai aveva assunto la forma di uno spettacolo i cui protagonisti assoluti erano i nobili cavalieri che esibivano le loro virtù in questa occasione. Il torneo vero e proprio era composto da schiere di cavalieri che si affrontavano in furibonde mischie , ma presto fu' affiancato da un diverso tipo di scontro condotto da cavalieri che combattevano singolarmente uno contro l'altro. Questa nuova forma di torneo si chiamava giostra e nel tempo riscosse il maggior successo. Attorno alla giostra nacquero dei complessi apparati cerimoniali che caratterizzano il torneo medievale. Gli ideali di amore cortese trovarono nelle giostre una manifestazione ideale: i nobili cavalieri si battevano in nome della "servitù d'amore" e per compiacere le dame. Per simboleggiare questi ideali, i cavalieri facevano il loro ingresso nel luogo della giostra con il polso vincolato a una catena d'oro, tenuta da una dama. Le norme che codificavano la

giostra si fecero sempre più strette e dettagliate. L'introduzione, all'inizio del XV

secolo, di una barriera che teneva separati i due contendenti, costringendoli a

percorrere due corsie parallele, rappresentò il culmine dell'evoluzione della

giostra: i due cavalieri si lanciavano uno contro l'altro tentando di disarcionarsi

con un colpo di lancia. I colpi all'elmo erano proibiti e le lance erano costruite in

modo da spezzarsi all'impatto, per diminuire i rischi di penetrazione. In queste

forme le giostre vissero, tra il XV e il XVI secolo la loro epoca d'oro e divennero

l'occasione per sovrani e signori che le organizzavano di esibire la propria

potenza e ricchezza.

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A partire dalla seconda metà del XVI secolo il torneo e la giostra si svuotarono progressivamente dei significati originari, mantenendo solo quelli più coreografici, come la sfilata dei partecipanti che presto divenne un vero e proprio corteo in costume. Si inventarono nuovi momenti, come le esibizioni equestri, che lasciarono sempre meno spazio alla giostra: era nato il carosello, una forma di spettacolo tipica del mondo post-medievale e che ancora oggi viene praticata (si pensi alle fasi iniziali del palio di Siena e di manifestazioni similari, o anche alle parate militari). Un'altra eredità dell'antico torneo medievale è costituita dalle manifestazioni che ancora oggi si tengono in tante cittadine italiane: palii, giostre, quintane, etc. L'origine di molte di queste manifestazioni era quella di organizzare delle grandi "esercitazioni" per la cittadinanza: la finalità era infatti quella di addestrare il popolo allo scontro, in modo da poter disporre di milizie costituite da cittadini. L'origine militare è evidente in giochi come quelli, ad esempio, che richiedono la divisione della città in quartieri o cantoni, i quali devono battersi per il controllo di un ponte oppure per impedire il passaggio agli avversari.

• La quintana è invece un tipico

esercizio da giostra, sopravvissuto

sino ai giorni nostri: il cavaliere

deve infilare con la propria

lancia anelli sempre più piccoli,

allenandosi in questo modo a

centrare l'avversario al momento

dello scontro tra le corsie.

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Certamente, questa finalità della quintana oggi appare inutile, ma lo

spirito dei partecipanti e del pubblico che assiste è ancora quello delle

antiche giostre. O, almeno, ci piace credere che sia così.

http://www.basketincontro.it/news/Lo-sport-nel-Medioevo_Premessa/0000013862

http://www.bluedragon.it/medioevo/tornei.html

http://www.deagostiniedicola.it/ARTICOLI/modellismo/Torneo_Medioevo/index.html