Spiritualità in tempo di crisi

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Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 2 DCB - Filiale di Roma cristiani nel mondo Rivista della CVX Comunità di Vita Cristiana Anno XXV · Gennaio/Marzo 2010 · Nº 1 Spiritualità in tempo di crisi Spiritualità in tempo di crisi In questo numero Crisi economica e spiritualità ignaziana La crisi della politica Intervista a Giorgio Benigni e Mario Castagna L’Aquila, ricostruire la speranza In questo numero Crisi economica e spiritualità ignaziana La crisi della politica Intervista a Giorgio Benigni e Mario Castagna L’Aquila, ricostruire la speranza

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cristiani nel mondoRivista della CVX Comunità di Vita CristianaAnno XXV · Gennaio/Marzo 2010 · Nº 1

Spiritualitàin tempo di crisi

Spiritualitàin tempo di crisi

In questo numero � Crisi economica e spiritualità ignaziana �La crisi della politica � Intervista a Giorgio Benigni e MarioCastagna � L’Aquila, ricostruire la speranza

In questo numero � Crisi economica e spiritualità ignaziana �La crisi della politica � Intervista a Giorgio Benigni e MarioCastagna � L’Aquila, ricostruire la speranza

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cristiani nel mondoRivista della CVXComunità di Vita Cristiana d’Italia

1 editorialeLa nostra spiritualità in tempo di crisidi P. Vincenzo Sibilio S.I.

2 puntini sulle “ i ”Cosa si intende per spiritualità e crisidi Raffaele Magrone

5 scenariCrisi economica e spiritualità ignazianadi Leonardo Becchetti

7 scenariLa crisi e la speranza della politicadi P. Francesco Occhetta S.I.

10 intervista a giorgio benigni e mario castagnaLa crisi della politicatra identità e partecipazionea cura della Redazione

13 diamo i numeriLa torta e le bricioledi Maurizio Debanne

21 testimonianzeL’Aquila, ricostruire la speranzadi Gianvito Pappalepore

24 testimonianzeEssere giovani con Sant’Ignaziodi Giovanni Argiroffi

26 testimonianzePassaggio epocale,crisi economica e spiritualitàdi Cristina Allodi

29 dalle comunitàNon tutto è perdutodi Fabrizio Marchetti

16 testimonianzeCome la crisi incide sulla mia spiritualità e il mio stile di vita secondo il Vangelodi Cécile Renouard S.A.

Immagine in copertina di Vladimiro Campanelli, www.vladimirocampanelli.net

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S iamo a Gerico, la città dellepalme e delle rose; una dellecittà più antiche del mondo,

forse la più antica; una delle cittàpiù tormentate e distrutte e sem-pre di nuovo ricostruita; la cittàche, nell’immaginario collettivo,rappresenta il luogo della crisi,della distruzione, della morte. Lacittà pagana che si contrappone al-la città santa: Gerusalemme.

Prima di salire definitivamente aGerusalemme, Gesù decide di av-vicinarsi e attraversare questa città.Avrebbe potuto evitarla, facendoun altro percorso e invece scegliedi entrare, immergersi, attraversa-re questa città-simbolo. E appenafuori di essa, e proprio in mezzoad essa, interviene con due gestistrani e affascinanti: restituisce alcieco la possibilità di vedere; offreal ricco pubblicano la possibilitàdella gioia attraverso un atto digiustizia. (Lc 18,35-19,10)Gerico, la città pagana, in Barti-meo, un ottenebrato ripiegato sudi sé e buttato in margine di stra-da e in Zaccheo, in un ricco egoi-sta ladro che ha vissuto vessando ipoveri, accoglie la “visita” e passada una situazione di crisi, di abie-zione e di stasi ad una situazionedi movimento, di giustizia e digioia.

Salendo a Gerusalemme, giunto almonte degli Ulivi, vedendo “lacittà” sotto di sé, Gesù piange per-ché questa città, da sempre sacra-mento della presenza di Dio nelmondo e pure corrotta e venduta,non ha saputo “accogliere la visita”(Lc 20,41-44).

Prima metà del ’500, Iñigo, folledi Dio, desideroso di vivere la vita

stessa di Gesù e dei primi compa-gni, vuole ritornare alle origini sta-bilendosi lì dove tutto è comincia-to: la Terra Santa. Ma il progettodi Dio è un altro: egli non puòfuggire. Deve andare a Roma, immergersinella città, attraversarla tutta. Roma, nella prima metà del ’500,è la città che sintetizza in sé Geri-co e Gerusalemme: è pagana ed èsanta, profondamente corrotta epiena della presenza di Dio, luogo-simbolo della crisi della società edella Chiesa, del lavoro, della poli-tica, dei valori.

Primo decennio del 2000, il no-stro tempo, che raccoglie l’ereditàdi un secolo breve e violento e in-terminabile, che vive il crollo ditutte le certezze manifestandosicome società frammentata, debole,di “plastica biodegradabile”; chevive la doppia situazione di Barti-meo e Zaccheo (cecità ripiegata edegoismo succhiato dal sangue deipoveri). Chi avrà il coraggio di “attraversa-re” questo tempo? Chi non fuggirà verso il monte pernon contaminarsi? Chi accetterà di immergersi total-mente in questo “luogo di crisi edi non senso” per gettare in questoterreno il seme della speranza?

Questo tempo, il nostro tempo,non ha bisogno di teorici profetidi sventura, non ha bisogno di ul-teriori preoccupanti allarmi apoca-littici. Questo nostro tempo ha bisognodi uomini e donne che si facciano“prossimi”.

Noi cristiani di spiritualità igna-ziana non possiamo fuggire, non

possiamo invocare un tempo chenon torna, non possiamo ripiegar-ci su noi stessi giustificandoci conla nostra piccolezza. Abbiamo accettato di condividerela missione stessa del Cristo e, “fa-cendoci più coraggio e volendocidistinguere in tutto al servizio delRe eterno e Signore universale”(Esercizi Spirituali n. 97), abbia-mo deciso di “lottare, digiunare,vegliare con Lui” che non è ancoranella Gloria. Attraverso lo strumento del discer-nimento, umilmente ma cosciente-mente, inseriamo in questo nostrotempo l’asse della speranza attra-verso gli stessi due gesti compiutida Gesù: restituire al cieco la pos-sibilità di vedere; offrire al riccopubblicano la possibilità della gioiacompiendo un atto di giustizia.

Gli articoli presenti in questo nu-mero mettono a fuoco questo tem-po di crisi e si interrogano su qualerisposta può dare la nostra spiri-tualità. Da tutti io ricavo una convinzioneconfortante: questo tempo è il“tempo favorevole”, il “kairòs”, iltempo del quale dobbiamo profit-tare per immaginare, sognare e co-struire. Il tempo della crisi e della deca-denza è un tempo stimolante e af-fascinante perché, non essendovicertezze, tutto è nelle nostre mani:mani di distruzione o mani dicreazione.Un invito a chi legge perché ap-profondisca l’essenza della nostraspiritualità e la sappia utilizzareper diventare quel “prossimo che siprende cura”.

E D I TO R I A L E

La nostra spiritualitàin tempo di crisiDI P. VINCENZO SIBILIO S.I.

CVX GENNAIO-MARZO 2010 · 1

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L a parola spiritualità indicaciò che ha a che fare con lospirito, con diverse possibili

accezioni e interpretazioni. Rispet-to alla religione, la spiritualità as-sume connotazioni tipiche, a par-tire dalla dimensione più aperta al-l’esperienza di vita, in un percorsopersonale: sarebbe in altre parolela sostanza, rispetto alla forma, lapratica (per utilizzare un terminecaro anche ai buddisti) rispetto al-la teoria. Non è un caso che si par-li di esercizi spirituali, con la stessa

finalità, per lo spirito, che hannogli esercizi fisici per il corpo. Forsenon sarà un caso che, mentre icentri fitness e in generale la curadel corpo siano fenomeni in co-stante crescita, non altrettanta at-tenzione pare essere dedicata allacura dello spirito. Forse per affron-tare la crisi servono più i muscoli?Chissà...Possono esistere diversi percorsispirituali, poiché ogni persona èdiversa dalle altre: la scelta dipen-de dalla sensibilità e dal discerni-

mento di ciascuno. In ambito cri-stiano cattolico, ci sono varie spi-ritualità, a cominciare da quellafrancescana, sulle orme del santodi Assisi. La nostra Comunità diVita Cristiana (CVX), oltre a na-scere quasi negli stessi anni col no-me di Congregazioni Mariane, sirifà invece alla spiritualità ignazia-na, da sant’Ignazio di Loyola e deisuoi Esercizi spirituali, vera e pro-pria forma di allenamento dellospirito. Proprio l’esempio d’Igna-zio ci mostra come “il tempo di

P U N T I N I S U L L E “ I ”

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Cosa si intendeper spiritualità e crisiDI RAFFAELE MAGRONE

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crisi” sia probabilmente la condi-zione ideale per guardare conobiettività al proprio percorso divita e intraprendere eventuali svol-te radicali o anche discernere pernuove scelte di vita: egli era un ca-valiere di corte, uomo di spada e digalanterie, affascinato dalle con-quiste e dalle gesta eroiche. Unapalla di cannone che per lunghimesi compromette l’uso dellegambe e ti riduce a letto, di certoavvia un bel “tempo di crisi”: persant’Ignazio questo tempo, inveceche da romanzi di cappa e spada,trovandosi in un ospedale di suo-re, fu accompagnato dalla letturadei soli testi disponibili, Bibbia ealcune biografie di santi, che con-tribuirono a cambiare radicalmen-te il suo concetto di eroe e di for-za... avviando una profonda revi-sione di spirito e vita, con quelloche ne conseguì e che sarebbe con-sigliabile leggere integralmentenella sua stessa autobiografia.All’interno di una grande varietàdi concezioni culturali e religiose,la spiritualità è sempre parte diun cammino, lungo il quale siavanza per conseguire un obiettivodeterminato: un più alto stato diconsapevolezza, il raggiungimentodella saggezza o la comunione conDio e il creato, che solitamentepresuppone la liberazione dalleabituali gabbie dei sensi e del pen-siero, se non proprio (citandosempre sant’Ignazio) “l’indifferen-za verso le cose e verso se stessi”.Può essere un percorso di brevedurata, finalizzato a un obiettivospecifico, come ad esempio unadecisione importante di vita, o unprocesso costante nel tempo. Ogniattimo vissuto è parte di questocammino, ma in particolare vi sipossono inserire alcune tappe o

momenti significativi, come adesempio la pratica di varie discipli-ne spirituali (tra cui la meditazione,la preghiera, il digiuno), il confron-to con una persona che si ritienedotata di profonda esperienza spiri-tuale (chiamata maestro, assistente,guida o precettore spirituale, guru oin altro modo, a seconda del con-testo culturale e dell’eventuale am-bito religioso), nonché l’accosta-mento personale a testi sacri.

Di quale crisi parliamoAnche la parola crisi può avere va-rie accezioni: dal diritto interna-zionale alla politica, fino alle crisiconiugali, può interessare due sog-getti, dal momento in cui le partinon siano più disponibili a tratta-re per rendere compatibili i loroobiettivi o determinate esigenzepersonali. D’altro canto ci si puòriferire a un determinato processo,quale crisi economica, ... di risul-tati, ... di senso o di valori, ecc. ecc.Il nostro discorso parte chiara-mente dalla crisi dell’economiamondiale originata negli StatiUniti a inizio 2008 e non ancoraconclusa. Tra le principali eviden-ze: fallimenti in ambito bancario efinanziario USA, mutui immobi-liari rivelatisi non sostenibili, cre-scita dei prezzi delle materie pri-me, crisi alimentare mondiale, ele-vata inflazione globale, minacciadi recessione in tutto il mondo,crisi creditizia e di fiducia dei mer-cati borsistici. Molto più sempli-cemente, nel nostro quotidiano, lacrisi che interessa l’occupazione,con perdita di centinaia di mi-gliaia di posti di lavoro, il mondoproduttivo messo in ginocchio dacosti insostenibili rispetto alla con-correnza (che non sempre segue lenostre stesse regole) da parte dei

mercati emergenti (Cina su tutti)e di conseguenza la ridotta circola-zione di denaro, a cominciare dairitardi, se non sospensioni!, di pa-gamenti in ambito lavorativo e dialtri servizi.Non è ancora chiaro quanto diquesto doloroso processo dipendasemplicemente da selvagge specu-lazioni di pochi e assetati decisionmaker dell’economia globale, permantenere il controllo “della nave”anche sulla base della grande pau-ra e sfiducia generata nelle popola-zioni di tutto il mondo. Una pri-ma ed evidente conseguenza ri-guarda le tutele e i salari stessi inambito lavorativo, visto che a li-vello globale si sta puntando a unariduzione del costo del lavoro, an-che a discapito di qualunque dirit-to storicamente (o teoricamente)acquisito.I recenti fatti di Rosarno, al di làdi qualunque basilare interrogati-vo di tipo spirituale, hanno sco-perto una realtà che da oltre 10anni aveva ripristinato lo status dischiavo e non rappresentano certouna realtà isolata, ma andrebberoletti di pari passo con i capannoniin cui migliaia di cinesi (di cuigran parte irregolari) lavorano12/16 ore al giorno e produconobeni sul nostro territorio naziona-le, anche per conto delle maggiorifirme italiane, nonché con glismantellamenti dell’intero tessutoproduttivo nazionale, sostituito danuovi mercati in cui il lavoro costameno. Riusciamo a dare un sensoa tutto questo?Ecco il punto di partenza delle ri-flessioni proposte in queste pagi-ne, anche alla luce della nostrastessa vita, e dell’esperienza di spi-ritualità di ciascuno. Buona lettura.

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I recenti fatti di Rosarno, al di là di qualunque basilare interrogativo di tipo spirituale,

hanno scoperto una realtà che da oltre 10 anni aveva ripristinato lo status di schiavo

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S C E N A R I

4 · CVX GENNAIO-MARZO 2010

L a prospettiva cristiana sul-l’economia trova una pre-messa fondamentale nella

dovuta considerazione che i benisono un mezzo e non un fine. Lacrisi finanziaria globale, e quelladell’economia reale che ne è con-seguita, mettono però a dura pro-va questo assunto. Abitiamo infatti in un momentostorico particolarmente difficile nelquale per la prima volta da moltidecenni “il futuro non è più quellodi una volta”, ovvero le condizionie le prospettive delle nuove genera-zioni appaiono decisamente piùcritiche e incerte di quelle delle ge-nerazioni passate. In Italia il pro-blema è esasperato da una storia diaccumulazione di debito pubblico,di politiche delle pensioni, del wel-fare e del mercato del lavoro chehanno sistematicamente redistri-buito ricchezza dalle generazionigiovani a quelle adulte. Viviamo dunque una vicenda par-ticolare all’interno di questa crisiperché in nessun paese come l’Ita-lia tra i paesi ad alto reddito i gio-vani devono oggi contare così tan-to sulle risorse economiche degliadulti per poter sperare un giornodi poter conquistare la propria au-tonomia economica. Se il debito pubblico rappresentadi per sé una spia di come le gene-razioni passate abbiano vissuto aldi sopra delle proprie possibilità,scaricando l’onere dell’aggiusta-mento sulle generazioni future, lepolitiche del lavoro hanno sempreprivilegiato gli interni (chi già la-vora ed è iscritto al sindacato) ri-spetto agli esterni (coloro che era-no in cerca del lavoro) e la riformadelle pensioni ha risposto alla crisidel debito definendo condizioniprogressivamente peggiori per i la-

voratori più giovani al momentodella loro uscita dal mercato del la-voro. Il processo di integrazioneglobale dei mercati ha infine pre-sentato il conto alla storia dellepolitiche dei paesi occidentalimettendo in competizione massedi diseredati dei paesi poveri, di-sposte a lavorare a salari molto piùbassi dei nostri a parità di qualifi-ca, con i nostri lavoratori abituatia tutele e garanzie del lavoro mol-to maggiori. La conseguenza ine-vitabile è che, ormai da più di undecennio, si va realizzando unaconvergenza nel mezzo con uncerto miglioramento delle condi-zioni economiche nei paesi emer-genti (soprattutto nelle classi me-die dei paesi più dinamici) e unprogressivo deterioramento dellastabilità e delle condizioni di lavo-ro da noi. Altra conseguenza diret-ta della globalizzazione e del con-fronto tra i due mondi è la pres-sante esigenza di accresciutaflessibilità e mobilità del lavoroche rende la nostra società semprepiù “liquida” minando quelle stes-se premesse di stabilità e opportu-nità di frequenti contatti “faccia afaccia” che sono alla base della vitacomunitaria.Per tutti questi motivi, e per l’at-mosfera generale che viviamo diquesti tempi, appare difficile ricor-dare che i beni materiali sono unmezzo e non un fine quando si vadiffondendo una vasta area di pre-cariato giovanile che lambisce per-sino i quarant’anni e rende diffici-le costruire relazioni stabili e pro-gettare la vita adulta. Il declinoeconomico in corso ha infatti con-seguenze su molte dimensioni delvivere che ci interessano come cri-stiani quali quelle della generati-vità, della costruzione di relazioni

affettive durature, della possibilitàdi scegliere un’occupazione checonsenta una realizzazione inte-grale della persona e, infine, del-l’opportunità di costruire comu-nità con legami stabili.2

Esiste una via per tenere insieme larisposta a preoccupazioni materiali– che però producono conseguen-ze sul terreno dei legami e degli af-fetti – tenendo ferma la nostra sca-la valoriale che ci spinge a combat-tere ingiustizie e povertà subite mache ci chiama allo stesso tempo adun’ideale di sobrietà e di essenzia-lità desiderate? In che modo la spi-ritualità ignaziana e i suoi tesori disaggezza possono aiutarci a risolve-re questo dilemma? Per comprenderlo è opportuno faredue considerazioni fondamentaliche la nuova Enciclica Caritas inVeritate tratteggia. Primo, se vo-gliamo mettere assieme bene co-mune e costruzione di un’econo-mia che ci porti fuori dalla crisidobbiamo riscoprire il valore el’importanza di dono, responsabi-lità, gratuità e beni relazionali,non tanto e non solo nelle relazio-ni primarie della comunità e dellafamiglia, ma principalmente nellavita economica e nel mercato, co-gliendo fino in fondo il loro con-tributo fondamentale alla produt-tività e all’operosità economica.Secondo, dobbiamo insistere nellariforma della scala dei valori e de-gli obiettivi dell’economia, sfrut-tando il momento culturale favore-vole post-crisi nel quale l’accademiae le istituzioni hanno compresocome la crescita del PIL non puòessere in cima alla scala dei valorima va subordinata a criteri di be-nessere superiori più coerenti conil bene comune.Sul primo punto è necessario fare

Crisi economicae spiritualità ignazianaDI LEONARDO BECCHETTI 1

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tesoro di esperienze del mondo dellavoro, riflessioni teoriche e risul-tati empirici che dimostrano comel’amalgama e la qualità relazionalesiano ingredienti fondamentalidella vita economica. Il dono, lun-gi dall’essere un fenomeno da rele-gare all’ambito delle relazioni pri-marie di comunità e famiglia, èquella rottura della simmetria nel-lo scambio di prestazioni che ren-de fertile l’ambiente di lavoro (è

più proficuo dire “mi atterrò stret-tamente a quanto previsto dal mioruolo” o andare oltre per creareuna relazione di fiducia con l’altroe generare opportunità di ricam-bio e di reciprocità del gesto effet-tuato?). L’andare oltre lo schemadella giustizia commutativa, cherischia di essere disumanizzante seintesa come ricerca in ogni istantedi corrispondenza tra prestazionee quanto stabilito nel mansionariodel proprio ruolo, è in grado dicreare quella relazione di fiduciatrasformando un incontro tra ruo-li in un incontro tra persone. Lacrescita delle relazioni nell’am-biente di lavoro può poi diventare

veicolo di scambi produttivi dimaggiore qualità e flessibilità. La fiducia, alimentata dalla re-sponsabilità, è infine la variabilefondamentale su cui si fonda lastessa possibilità di rapporti eco-nomici. In un mondo necessaria-mente caratterizzato da informa-zioni incomplete su chi ho davantie dall’impossibilità di cautelarmicon un contratto che regoli tutte lepossibili contingenze solo se esiste

un elevato livello di fiducia reci-proca è possibile instaurare scambidi tipo economico e produttivo. Sembrano discussioni filosofichema in realtà, lo studio delle orga-nizzazioni produttive, dalle azien-de alle compagini sportive nelquale l’“amalgama” è la risorsa piùimportante, dimostra che propriole virtù relazionali sono in gradodi spiegare la differenza tra un fal-limento ed un successo a parità dicondizioni tecnologiche. Infine, ed è questo il collegamentocon il secondo punto, le motiva-zioni intrinseche sono un’altra ri-sorsa fondamentale che riconcilia-no felicità sul lavoro e produttività

e sono in grado di trasformare illavoratore da “timbratore di cartel-lino” a persona coinvolta in modoappassionato in una causa. Perprodurre questa trasformazione lastrada è facilmente individuabileanche se difficile da percorrere. Lemotivazioni intrinseche non pos-sono essere ingannate da false eti-che e possono essere alimentate so-lo da un genuino avvicinamentodegli obiettivi di un’organizzazio-

ne economica ad una causa ideale.Fino ad arrivare ad alcune orga-nizzazioni economiche a maggioremovente ideale che appaiono tal-mente credibili da questo punto divista da attirare lavoro volontario(ovvero persone disposte a prestareuno sforzo produttivo “per nulla”,ovvero senza chiedere un compen-so monetario). Non si esce da questa crisi se noninnovando e la spiritualità ignazia-na è sempre stata una sorgente diinnovazione per la sua stessa natu-ra che ci spinge sempre a studiarecontesti che cambiano, ad attualiz-zare in essi i principi fondamentalie a perseguire il magis che impone

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Titoli di giornaleai tempi della crisi

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di spostare sempre in avanti i con-fini rendendo la nostra speranzairriducibile ad ogni umano penul-timo. È questa spinta del magische può convalidare la bella im-magine della chiusa della Populo-rum Progressio, di respiro Tehillar-diano, quando afferma relativa-mente alle sue speranze di giustizia“Certuni giudicheranno utopistichesiffatte speranze. Potrebbe darsi cheil loro realismo pecchi per difetto, eche essi non abbiano percepito il di-namismo d’un mondo che vuol vive-re più fraternamente, e che, malgra-do le sue ignoranze, i suoi errori, eanche i suoi peccati, le sue ricadutenella barbarie e le sue lunghe diva-gazioni fuori della via della salvez-za, si avvicina lentamente, anchesenza rendersene conto, al suo Crea-tore. Questo cammino verso una cre-scita di umanità richiede sforzo e sa-crificio: ma la stessa sofferenza, ac-cettata per amore dei fratelli, èportatrice di progresso per tutta lafamiglia umana”.Questo avvicinarsi lentamente ali-mentato dalla ricerca di un di piùdi fraternità, come scritto efficace-mente nella Caritas in Veritate, èoggi rappresentato dall’incarnazio-ne nel mercato di valori e di virtùche, incorporati nei servizi e deiprodotti, li arricchiscono di storiedi valore per utenti e consumatori,sempre più alla ricerca di stili divita che di oggetti materiali. Chidiscerne e vede in anticipo le nuo-ve frontiere della sostenibilità so-ciale ed ambientale (si pensi al set-tore delle energie rinnovabili sucui pochissimi puntavano sino aqualche anno fa) è anche un inno-vatore che può creare valore eco-nomico e posti di lavoro in tempidi crisi. Proprio nell’annus horribi-lis del 2009 abbiamo registrato, a

fronte di un arretramento degli in-dicatori aggregati di produzione diconsumo, la crescita degli acquistiequosolidali, dei risparmi investitinei fondi etici, della produzionenel settore dell’eolico e del foto-voltaico oltre che nello sviluppoimpetuoso dell’economia dellecooperative sociali che ormai rap-presentano oggi più di 7500 im-prese e impiegano più di 250.000lavoratori producendo beni e ser-vizi pubblici per conto dello statoin un’ottica di sussidiarietà. È il nostro un momento difficilema anche di grandi opportunità.Da questo punto di vista la crisifinanziaria globale ha segnato iltramonto di quella visione cinicadell’economia per la quale, para-frasando Keynes, sulla scia dallamano invisibile Smithiana e dellafavola delle api di Mandeville, bi-sogna fare buon viso a cattivo gio-co e “fingere che i vizi siano virtù ele virtù siano vizi perché i vizi so-no utili mentre le virtù no ai finidello sviluppo economico”. La cri-si ci insegna che i vizi in un mon-do sempre più interdipendentepossono distruggere il sistemamentre si fa spazio un’economiache produce valore con i valori. Non tutte le opportunità di svilup-po e di innovazione vanno ovvia-mente in questa direzione ma èproprio dell’uomo ignaziano, spin-to dal magis e sulla frontiera del-l’innovazione, cogliere in anticipoqueste dinamiche dando forma evigore ad un’anima dell’economiache è già ma non ancora. Quellanella quale crescita umana e fe-condità economica scaturirannodall’incontro-soluzione di due po-vertà, la povertà di senso e di aper-tura all’altro dell’uomo occidenta-le, sazio e disperato, e quella legata

ai vincoli politico-economici dichi è ai margini del processo di svi-luppo.

1 Presidente della CVX.2 Efficace da questo punto di vista un pas-saggio del Messaggio del Consiglio Episco-pale Permanente per la 32a Giornata Nazio-nale per la vita (7 febbraio 2010) che recita:Avvertiamo perciò tutta la drammaticità del-la crisi finanziaria che ha investito molte areedel pianeta: la povertà e la mancanza del la-voro che ne derivano possono avere effetti di-sumanizzanti. La povertà, infatti, può abbru-tire e l’assenza di un lavoro sicuro può far per-dere fiducia in se stessi e nella propria dignità.Si tratta, in ogni caso, di motivi di inquietu-dine per tante famiglie. Molti genitori sonoumiliati dall’impossibilità di provvedere, conil proprio lavoro, al benessere dei loro figli emolti giovani sono tentati di guardare al futu-ro con crescente rassegnazione e sfiducia.

S C E N A R I

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D avanti alla crisi della poli-tica che provoca le nostrevite e quelle delle nostre

comunità, Italo Calvino direbbeche esistono due modi “per nonsoffrirne”. “Il primo – secondol’autore de La città degli invisibili –riesce fatale a molti: accettare l’in-ferno e diventarne parte fino alpunto di non vederlo più. Il secon-do è rischioso ed esige attenzioneed apprendimento continui: cerca-re e saper riconoscere chi e cosa, inmezzo all’inferno, non è inferno, efarlo durare e dargli spazio”.Così parlando di crisi, che temonon aiuterà molto il nostro umo-re, vorrei soprattutto tenere sull’o-rizzonte l’altra faccia della meda-glia, fatta di speranza e di testimo-nianze che uomini e donne digruppi, come quello della Cvx, so-no chiamati a offrire ai nostri con-temporanei.Partiamo da una premessa. La po-litica, è e resta lo strumento fonda-mentale per costruire la democra-zia. Non c’è democrazia senza po-litica ripete instancabilmente laChiesa nei suoi testi magisteriali.E ciò è possibile solo se – anzitut-to come cattolici – ci si preoccupaanche della “qualità” dell’agire po-litico e, dunque, si mette davveroin atto una politica di qualità 2.

Alcune ragioni che hanno gene-rato la crisiCi si chiede: è la crisi della politicaad aver generato sfiducia e disim-pegno o è il contrario? Partiamoda alcuni dati. Un recente studiodella rivista Limes indica che gliitaliani si sentono sempre menoidentificati con il livello della poli-tica nazionale, si sentono sempremeno europei e sempre più citta-dini del mondo. Al nord, una per-

sona su cinque ha dichiarato disentirsi solamente nordista e credeche il Meridione sia solamente unpeso. La crisi della politica sembranon riguardarci direttamente, inparte la si rimuove, oppure si fini-sce per rifugiarci in patrie virtuali,il mondo o il Nord3.I partiti politici, poi, hanno con-tribuito a esasperare la situazione.Si sono chiusi in un oligopolio,impongono i candidati da elegge-re, fino a scegliere nei fatti la com-posizione del Parlamento. Moltideputati eletti, oltre a non cono-scere il territorio del loro collegio,non hanno nessun interesse a farlodurante la legislatura. Invece gliamministratori locali, condiziona-ti dal piano di stabilità che vincolae limita le spese degli enti locali,guardano più all’Europa, attenta apromuovere e a finanziare i terri-tori, che alla politica nazionale. La politica soffre anche il tipo diinformazione dei media, mentre ilcosto della politica, necessario persalvaguardare i politici dai condi-zionamenti dei poteri forti, è lievi-tato troppo. Con il referendumdel 18 aprile 1993 gli italiani ave-vano abrogato i finanziamentipubblici ordinari ai partiti, ma nel2006 i rimborsi elettorali ai partitiè costato circa 200 milioni di eu-ro, più del doppio rispetto al 2001quando erano stati di circa 93 mi-lioni.Per recuperare credibilità la classepolitica deve ripartire da qui, esse-re trasparente a livello economicoe saper dimostrare come si è spesoil denaro pubblico. Dall’altra par-te c’è la politica fatta nelle centocittà d’Italia, quella a contatto conle persone e i loro problemi, fattae discussa nelle piazze anche vir-tuali come i blog, che riesce ancora

ad esprimere credibilità. Quale è ilvero rischio? Di ridurre l’azionepolitica all’efficienza tecnica; inve-ce molti problemi, legati allo svi-luppo del territorio, alla solitudinedegli anziani, allo smarrimento dichi cerca lavoro, alle tensioni chesi accumulalo nei quartieri ecc., sipossono risolvere solamente conuna sensibilità umana di chi go-verna. Ma c’è di più. È stato recen-temente dimostrato che intereparti della società civile sono di-sposte a chiedere aiuto e protezio-ne alla criminalità organizzata per-ché sentono sempre più deboli einaffidabili le garanzie e la prote-zione dello Stato. Studi comequelli del Censis e dell’Eurispes,affermano che la società italiana ècaratterizzata da disagio esistenzia-le delle classi medio - alte che inquesto contesto di crisi si caratte-rizza per paradossali sprechi. «Vi-viamo in un mondo – direbbe Be-nedetto XVI – in cui in una stanzasi crepa e nell’altra si spreca». Per utilizzare un linguaggio caroalla famiglia ignaziana, va sottoli-neato che il Paese attraverserà lacrisi politica, non tanto se glischieramenti troveranno equilibrimigliori di quelli attuali, ma se alivello culturale e formativo si ri-metterà al centro la propria capa-cità di governarsi. Viviamo unatensione interiore tra ciò che vor-remmo essere e ciò che invece sia-mo e facciamo. Il recupero dell’at-tenzione alla coscienza, che gli an-tichi chiamavano “cuore”, è unantidoto alla crisi4. Caterina daSiena in una lettera indirizzata adalcuni politici del suo tempo scris-se: «Non si può essere buoni poli-tici se prima non si signoreggia sestessi». Coloro che non si governa-no non possono governare la città

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La crisi e la speranzadella politicaDI P. FRANCESCO OCCHETTA S.I.1

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«le signorie delle città e le altre si-gnorie temporali sono prestate».In altre parole santa Caterina ri-cordava agli uomini politici unprincipio fondamentale: siete re-sponsabili di cose non vostre5.

Élites pensantiQualche mese fa andando ad Ao-sta per partecipare ad un forum digiovani amministratori6 insieme aGiuseppe De Rita, presidente delCensis, egli mi ribadiva l’urgenzadi interpretare le realtà per gover-narle. Ai giovani amministratoriha poi raccomandato: «Anche seviviamo un tempo caratterizzatodal fare e dall’immediatezza tipicidella cultura dell’empirismo con-tinuato, il pensare deve precedereil fare se si vuole deliberare pru-dentemente». Stando in mezzo a questi giovaniamministratori sono emersi treelementi su cui varrebbe la penariflettere: la gestione del tempo percoloro che fanno politica; la di-mensione della solitudine; la con-cezione della politica come profes-sione. Dalle loro parole potrebbesorgere un rischio, quello di pen-sare l’impegno politico come unaforma di carriera che deve essereben retribuita. La politica in unademocrazia, invece, deve essereuna forma alta di servizio in cui ilvalore del sacrificio, dell’amoreverso il proprio territorio e la scel-ta del bene comune rispetto al be-ne individuale, siano i valori su cuifondare il governo locale. Non sideve vivere di politica, ma per po-terla fare bisogna essere seri profes-sionisti della politica. Da qui la cura a formare politicipreparati. Il futuro del Paese, deveessere ripensato dalle élites, comefecero i grandi statisti nel Risorgi-

mento e molti dei costituenti du-rante la seconda guerra mondiale.Se si omette di interpretare larealtà, i politici finiranno per di-ventare “funzionari” chiamati adeseguire e a rincorrere i problemiquotidiani come uniche preoccu-pazioni, in cui le cose da realizza-re, come il marciapiede e le roton-de, sono gli unici compiti da assol-vere. Rimane una domanda: il mondocattolico riesce ancora a formareélites pensanti? Quando la politicadegli anni Ottanta, iniziò a teoriz-zare quattro nuove caratteristichedel potere – la concentrazione, laverticalizzazione, la personalizza-zione e la mediatizazzione –,aprendo una nuova fase in cui ilcittadino tende a non riconoscerelo Stato nell’istituzione ma nellapersona che lo rappresenta, ilmondo cattolico si è trovato im-preparato ad accogliere questa sfi-da al punto che il governo è di cul-tura socialista e laica e non più diispirazione cattolica.La storia dei politici cristiani delNovecento indica come il “mestie-re della politica” richieda tempilunghi di preparazione e un fortespirito di sacrificio. Ma oggi chitra noi è disposto a spendersi? Di-ciamoci la verità, è molto più gra-tificante fare volontariato socialeche impegnarsi in politica7. Sce-gliendo questa strada però dobbia-mo includere anche le conseguen-ze, quelle di una politica che caval-ca le paure e si riduce a dire quelloche la maggioranza vuole ascolta-re. Ma questo modo di fare rischiadi non garantire al Paese il suofondamento democratico. Invece,come aveva affermato Pio XII nelsuo Radiomessaggio natalizio del1944, la democrazia deve garanti-

re al cittadino due condizioni:«esprimere il proprio parere suidoveri e i sacrifici […] imposti;non essere costretto ad ubbidiresenza essere stato ascoltato».La politica deve dunque ripartiretenendo conto delle nuove istanzedelle comunità territoriali, comead esempio le nuove imprese, levecchie e nuove professioni, lebanche, il capitalismo diffuso, lesocietà no profit ecc.

Leggere la realtà con uno sguar-do profeticoNel pensare al famoso brano diLuca che ci invita a “rendere a Ce-sare quello che è di Cesare e a Dioquello che è di Dio”8, crediamoche il potere di Cesare vada con-quistato ad ogni costo. E inveceno. Ci sono periodi nella storia incui si vince perdendo. Quando ilpotere e il successo possono essereottenuti soltanto attraverso il sa-crificio di valori essenziali, è prefe-ribile rinunciare almeno momen-taneamente ad esso, pur conti-nuando a sostenere con fermezzaciò in cui si crede, nella prospetti-va di un’affermazione futura.Il Vangelo allarga il problema: nonteorizza l’autonomia delle realtàmondane o la separazione dei po-teri, ma chiede di prendere le radi-ci stesse del potere e di capovolger-le. Cesare gestisce le cose, di Dioinvece sono il cuore e la libertàdell’uomo. Per cui parte della crisidi autorità, direbbe il Papa nell’ul-tima Enciclica, Caritas in Veritate,è data dalla perdita della memoriasociale di Dio. Anche la Cvx italiana è chiamataad assumersi la propria responsa-bilità davanti a questa situazione,altrimenti la sua testimonianza ri-schia di rimanere disincarnata ri-

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spetto alla storia e nella culturache vive. In politica non ci sonosolo i risultati, contano anche imodi in cui si procede. Per la tra-dizione cristiana “il modo” lo inse-gna la via delle beatitudini, esseremiti, umili, moderati e coraggiosidi testimoniare attivamente valorie opzioni ideali che possono ancherisultare minoritari in un dato mo-mento storico. La testimonianzapolitica esige, fra l’altro, anche lariconciliazione delle parti, vale adire alla ricerca di ciò che unisceprima di ciò che divide. Un’autorità religiosa ha recente-mente ricordato che “L’Occidentedeve passare per una rivoluzionespirituale. L’attuale collasso econo-mico non è una questione di crisifinanziaria: è una crisi morale.Credo che l’Occidente sia colpe-vole di sette grandi peccati: benes-sere senza lavoro; educazione sen-za morale; affari senza etica; piace-re senza coscienza; politica senzaprincìpi; scienza senza responsabi-lità; società senza famiglia e ne ag-giungerei un altro, fede senza sa-

crificio. Qual è la soluzione? Sosti-tuire i senza con altrettanti con” 9.I “senza” sono la crisi che stiamovivendo, i “con” sono la nostrasperanza. Certo l’impegno è duro,ma possibile.

1 Scrittore di Civiltà Cattolica.2 Cfr. P. VACCHINA, Riflessioni sull’eserciziodi qualità. Sei dialoghi per approfondire, Ro-ma, Carocci, 2010.3 Cfr. «Esiste l’Italia. Dipende da noi», inLimes, 2 (2009), pp. 25-26.4 La Gaudium et Spes la definisce in modosuggestivo: «L’uomo ha una legge scritta daDio dentro il suo cuore; obbedire [ad essa]è la dignità stessa dell’uomo, e secondoquesta egli sarà giudicato. La coscienza è ilnucleo più segreto e il sacrario dell’uomo,dove egli è solo con Dio, la cui voce risuo-na nell’intimità» (n.16).5 F. OCCHETTA, «La coscienza morale e ilgoverno di sé», in La Civiltà Cattolica,2009 III, pp. 29-41.6 In Italia i giovani sindaci, assessori e con-siglieri comunali con meno di 35 anni so-no 27.304 e rappresentano il 18,7% del to-tale degli amministratori italiani che era di146.273 unità. Si tratta di un dato impor-tante che indica la capacità, spesso taciuta,di migliaia di Comuni di saper rinnovare ipropri rappresentanti.7 Va detto che gli amministratori devonodistricarsi tra circa 40.000 leggi, mentre itipi di reati in cui possono incorrere sonocirca 35.000.8 Lc 20,25.9 Intervista a Mustafa Ceric, Il Sole 24 Ore,30 agosto 2009, tratta dalla rivista Oasis.

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Aula del Senatodella Repubblica

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La crisi della politica è vera e pre-sente ma difficile da interpreta-re. Proviamo allora a sintetizzarlaper immagini.

Mario Castagna (M.C.) Mi ven-gono in mente due episodi recen-ti. Il primo risale al 18 novembre2007 quando Silvio Berlusconi,salendo sopra il predellino dellapropria macchina in Piazza SanBabila a Milano, annunciava lacreazione di un nuovo partito po-litico il cui nome sarebbe stato ad-dirittura scelto dal popolo del cen-trodestra. Il secondo, più recente,è invece datato al 5 dicembre2009. Quel giorno il popolo viola,centinaia di migliaia di persone, siradunava in piazza san Giovanni aRoma per chiedere le dimissionidel Presidente del Consiglio, Sil-vio Berlusconi. In questi due di-versi e contrapposti “appelli al po-polo” sta la crisi della politica. È lacrisi dell’arena pubblica, deglistrumenti della partecipazione de-mocratica e delle forme dell’iden-tità politica.

Giorgio Benigni (G.B.) PiazzaSan Babila e piazza San Giovannihanno dato luogo a due forme dipartecipazione politica contrappo-ste. Quella urlata del popolo violaè una rivendicazione confusa di

una propria identità, la nuovaidentità gridata dal predellino diun’automobile è invece una formadi identificazione tra massa e lea-der carismatico, tra elettorato dispettatori e leader mediatico.

Fino agli inizi degli anni ‘80, ladomanda di identità e partecipa-zione veniva raccolta e mediatadai partiti politici. Secondo voi èsolo la loro assenza a determina-re la crisi della politica?

G.B Fino a trent’anni fa i partitierano macchine complesse che or-ganizzavano la partecipazione po-litica e avevano la mission di realiz-zare un’identificazione forte tragovernanti e governati, tra rappre-sentanti e rappresentati. Oggi citroviamo davanti all’aumento deimeccanismi di partecipazione po-litica alternativi ai partiti, alla crisidi meccanismi istituzionali, so-prattutto elettorali, di raccolta delconsenso e selezione della classedirigente.

M.C. Il nucleo centrale da cui ri-partire, abbandonati i falsi miti ele scorciatoie referendarie degli an-ni ’90, dovrebbe essere una risco-perta di identità e partecipazione,pietre angolari e imprescindibilinella costruzione dello stato de-mocratico e nella conduzione del-la vita politica nazionale. Pensareche la politica possa essere l’unasenza l’altra vuol dire svuotare nonsolo di qualità la politica, masvuotarla anche di significato. Gliinteressi reali che, mediati dallapolitica, dovrebbero trovare unacomposizione in un sistema de-mocratico, rischiano di trovareuna composizione extrapolitica,più nell’immaginario che nella vi-

ta reale. Questa composizione al difuori del sistema, fuori da qualsiasicontrollo democratico, aggravasempre più lo stato di salute del si-stema stesso. È come far scendere ipasseggeri da un treno e portare ilconvoglio fuori dai binari. Vuoldire renderlo inutile e inutilizzabi-le. La politica corre lo stesso ri-schio: diventare un rottame o almeglio un bel pezzo d’antiquaria-to, utile per un’esposizione musea-le, per una dissertazione storica,ma inservibile per l’uomo di oggie anche per quello di domani.

C’è chi attribuisce le maggiori re-sponsabilità della crisi della poli-tica a Silvio Berlusconi, alle suetelevisioni e al suo modello poli-tico. È veramente così?

M.C. Se c’è qualcosa in cui SilvioBerlusconi è stato un campione,un vero leader politico, è la capa-cità di sintetizzare nella propriapersonalità un intero campo diforze, fino a diventarne un perso-naggio simbolico e sacrale, un og-getto di culto. Interessi diversi tro-vano in lui una forte identificazionenon attraverso la rappresentanzapropriamente detta, ma attraversola rappresentazione. Le elezionidel 1994 del resto lo avevano giàinsegnato. Già allora nessuno sidimostrò in grado di capire comela nuova carica identitaria portatada Berlusconi avesse potuto tra-sformare così profondamente e ra-dicalmente dall’interno lo scenariopolitico, la costituzione materialedel Paese. Spiegare tutto con la vulgata dellamanipolazione populista è nascon-dersi dietro un dito. La verità è cheBerlusconi ha saputo dare vita aduno spazio politico dentro il quale

I N T E RV I S TA A G I O RG I O B E N I G N I E M A R I O C A S TA G N A

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La crisi della politicatra identità e partecipazioneA CURA DELLA REDAZIONE

Chi sonoGIORGIO BENIGNI è consulente politico. Laureato inScienze Politiche, svolge attività di studio, consulenza e ri-cerca per soggetti politici e istituzionali su temi dell’attua-lità politica e socioeconomica.

MARIO CASTAGNA è responsabile per la Formazione po-litica dei Giovani Democratici, Partito Democratico.

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italiani delusi, interessi corporativie ansie palingenetiche, hanno po-tuto riconoscersi trovando così fi-nalmente una loro identità. Chia-mare tutto questo sprezzantementee snobbisticamente populismo nonaggiunge nulla. Populismo vuol di-re sicuramente parlare al popolosenza le mediazioni, ma vuol direanche creare un popolo, o meglioascoltare le sue richieste profonde.

G.B. Finisce il populismo e co-mincia la politica quando si riescea dare a queste richieste uno sboc-co politico. Si può imputare a Ber-lusconi l’assenza di uno sbocco po-litico, ma non la creazione di unpopolo, di un senso comune, diun immaginario condiviso. I po-poli come le nazioni del resto sonosempre costruzioni politiche, nonesistono in natura.

D’altra parte come potremmo de-finire il nuovo presidente degliStati Uniti, che non risparmia at-tacchi alla Washington dei poteriforti, delle lobby, del potere, comese fosse un Masaniello piombatoper caso in Pennsylvania Avenue.La differenza tra noi e gli USAnon è nell’essere più o meno im-muni al populismo, ma nell’esseregli Stati Uniti una democraziacompiuta, almeno dal punto di vi-sta istituzionale.

Ma allora quali potrebbero esse-re delle possibili vie d’uscita pervenire fuori dalla crisi della poli-tica coniugando la partecipazio-ne di popolo e la mediazione del-la politica?

G.B. Per restituire peso, dignità eruolo alla politica occorre innanzi-

tutto abbattere alcuni miti che cihanno accompagnato negli ultimi20-30 anni e che hanno guidatoscelte politiche e istituzionali. Ilprimo e più importante è il mitodell’elettore quale decisore razio-nale. L’elettore non è l’homo oeco-nomicus. Nella determinazionedella sua scelta entrano infatti ingioco elementi simbolici irraziona-li, psicologici che sembrano richia-mare quelli dell’appartenenza reli-giosa piuttosto che quelli dellascelta economica. Pensare ancorache gli elettori prima di votare leg-gano un programma elettorale èpura fantasia. La sfida per una democrazia dav-vero compiuta è allora quella di farconvivere identità e partecipazio-ne. Solo questo può far superare ilsenso di estraneità del cittadino ri-spetto allo Stato. L’alienazione de-mocratica, che è il male oscurodelle nostre democrazie, vive loStato al meglio come meccanismodecisionale efficiente, che producedecisioni giuridicamente inecce-pibili ma non come possibilità diognuno di essere parte di una co-munità.

M.C. Un’altra via sarebbe abban-donare la formula tautologica cheimpera da alcuni anni nel nostroPaese: “il governo che governa”.Quando il governo coincide con ilgoverno di un leader collegato di-rettamente al popolo, abbiamo unesecutivo che si autodefinisce co-me tale, ma non l’eliminazione diquel senso di estraneità dei cittadi-ni rispetto allo Stato, né la scom-parsa di quell’alienazione demo-cratica. In altre parole, siamo an-cora sul lato del problema e non suquello della soluzione. Il protago-nismo mediatico, i cui primi cenni

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Totò nel filmGli onorevoli (1963)

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si sono cominciati ad avvertire neiprimi anni ’80, non ha portato auna rifondazione della politica,ma un suo sostanziale abbandono.

Però in questi anni sono stati fat-ti tanti tentativi per uscire dallacrisi della politica. Basta pensarealle riforme elettorali degli anni‘90, la ricerca delle grandi rifor-me istituzionali… Tutto da but-tare?

G.B. La costruzione del bipolari-smo per via regolamentare si è di-mostrata inadeguata. Un bipolari-smo, che esiste in quanto una leg-ge elettorale lo supporta e loincentiva e non in quanto corri-spondente a proposte politicheconvincenti e alternative, non vamolto lontano. In questi anni èstato fatto un gran lavoro sulle re-gole ma non è stato fatto un equi-valente lavoro culturale. Così fa-cendo l’obiettivo è divenuto nontanto il governo ma il suo raggiun-gimento. Il potere come fine e noncome mezzo. Arrivati a questopunto il potere non logora più chinon lo possiede ma chi non sa chefarsene, dal momento che tutti glisforzi sono tesi a raggiungerlo, manon ad esercitarlo.

M.C. Deve esserci qualcosa di piùprofondo di un astratto morali-smo nella legittimazione dell’eser-cizio del potere. Qualcosa di piùprofondo che lo colleghi, allargan-do gli spazi della partecipazione,ad ogni individuo, ai suoi interes-si, ai suoi valori. E cioè arrivare alnodo delle culture politiche checollegando partiti e popolo, colle-gano stato e cittadini. È qui che leforme della partecipazione, intesenon solamente come adempimen-

ti formali per aumentare la legitti-mità delle decisioni, ma come ten-sione all’allargamento della basedemocratica, attraverso un conti-nuo e severo esercizio di mediazio-ne, diventano la ragione vera dellapolitica, che è uscire insieme dalledifficoltà e non uscirne da soli.

La crisi della politica è quindiuna crisi delle culture politiche enon solo delle istituzioni demo-cratiche.

M.C. La nostra democrazia rischiadi diventare affare per pochi. Lavera emergenza democratica non ètanto una concentrazione di pote-ri all’interno della stessa persona,una partitocrazia asfissiante o unostravolgimento delle gerarchie edegli equilibri. La vera emergenzaè la politica come accessorio dellastoria, come estetica, una politicache per un verso resta solo rappre-sentazione e per un altro solo or-ganizzazione, lasciando però senzaidentità e senza partecipazione lamaggior parte dei cittadini. È cosìche, se i partiti ridotti a comitatielettorali, a macchine per la co-struzione opaca del consenso fan-

no dire a molti di essere partiti sì,ma senza popolo, per altro versonon appare credibile rispondere aipartiti senza popolo, con il popolosenza partiti e senza istituzioni.Ogni appello al popolo a quelpunto si trasformerebbe in un ple-biscito su una sola persona. Si arri-verebbe infine ad una contrappo-sizione continua tra favorevoli econtrari, a un referendum perma-nente, che fa perdere la dimensio-ne del tempo e della costruzionedemocratica appiattendo tutto aun continuo ed eterno presente.

G.B. Uscire dalla crisi della politi-ca con i partiti senza popolo o alcontrario con il popolo senza ipartiti non è possibile. È necessa-rio tornare a dare un fondamentoal potere democratico la cui legit-timità non può essere nel carismadel singolo, né nelle regole ugualiper tutti. Il potere democratico peressere pienamente legittimo devefondarsi su un nesso nuovo e vita-le tra identità e partecipazione. Lamancanza di questo nesso è la crisidella politica. La sua ricostruzionedeve essere l’obiettivo delle nuovegenerazioni.

I N T E RV I S TA

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«C’è grossa crisi. La gen-te non sa più cosa stafacendo, dove sta an-

dando, c’è molto egoismo, moltamalafede». Parola di Quelo, il pre-dicatore impersonificato da Corra-do Guzzanti in un programmadella Dandini di tanti anni fa. Isuoi sketch bucarono gli schermiper l’ironia pungente con cui erariuscito a rappresentare la crisi divalori che aveva investito la societàitaliana. Oggi il quadro si tinge di tinte an-cor più fosche. Alla crisi dei valorisi aggiunge quella economica, chein questa fase colpisce particolar-mente il settore dell’occupazione. Nei momenti più bui, in cui sonoin molti a perdere la bussola, capitaspesso che sia la Chiesa a tracciarela linea rossa che conduce all’uscitadel tunnel. A parole, e nei fatti. Il monito lanciato da Papa Bene-detto XVI nell’Angelus dello scor-so 31 gennaio è cristallino: «La cri-si economica sta causando la per-dita di numerosi posti di lavoro equesta situazione richiede grandesenso di responsabilità da parte ditutti: imprenditori, lavoratori, go-vernanti». «Penso ad alcune realtàdifficili in Italia – ha continuato ilSanto Padre – come ad esempioTermini Imerese1 e Portovesme2,mi associo pertanto all’appello del-la Conferenza episcopale italiana –ha concluso il Papa – che ha inco-raggiato a fare tutto il possibile pertutelare e far crescere l’occupazio-ne, assicurando lavoro dignitoso eadeguato al sostentamento dellefamiglie». In piazza San Pietroquel giorno erano presenti anche ilavoratori dell’Alcoa di Portove-sme rimasti colpiti dall’esplicito ri-ferimento del Papa alla loro situa-zione. Un’esplicitazione che, al di

là della contingenza di cronaca, as-sume un valore generale. Ma per-ché nominare proprio questi duestabilimenti, quando i posti di la-voro persi in un anno sono oltre300mila e ci sono altre migliaia dilavoratori in bilico? «Se adesso ilPapa avverte l’urgenza di un nuo-vo richiamo così forte e circostan-ziato, in sintonia con quello dellaConferenza episcopale italiana diqualche giorno prima, crediamosia perché in quelle due vertenze –nel legame con due territori piagatidalla disoccupazione – vede l’espli-citarsi di uno snodo fondamentale,già illuminato nell’enciclica Cari-tas in veritate: la centralità dell’uo-mo anche nel processo economicoe la funzione sociale dell’impresa»,è la tesi sostenuta da FrancescoRiccardi3.Come detto, l’impegno della Chie-sa per combattere la crisi non è soloa parole, ma anche nei fatti. Nume-rose diocesi e parrocchie di tuttaItalia, d’intesa con la Caritas, han-

no lanciato una serie di progettivolti a sostenere i redditi dei lavora-tori attraverso strumenti innovativie il più possibile incisivi. Iniziativeche vanno dal microcredito ai fon-di ad hoc per i nuclei familiari indifficoltà, dalle collette alla raccoltadi aiuti economici. La priorità èstata quella di garantire un «paraca-dute» sociale sufficientemente fortesoprattutto per i disoccupati e, tradi essi, per chi è rimasto vittima dipesanti ristrutturazioni aziendalisenza poter neppure godere di am-mortizzatori sociali, a partire dallacassa integrazione. Vediamo allora nel dettaglio quantiin Italia sono rimasti senza lavoro,facendo poi un parallelo con gli al-tri paesi dell’Unione europea. Infi-ne, vedremo come la crisi ha grave-mente colpito anche gli aiuti deipaesi più ricchi verso quelli più po-veri.Dal microcredito ai fondi ad hocper i nuclei familiari in difficoltà,dalle collette alla raccolta di aiuti

D I A M O I N U M E R I

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La torta e le briciole

DI MAURIZIO DEBANNE

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economici, sono diverse le strate-gie messe in campo, sul territorio,dalla Chiesa italiana per dare unamano a chi, complice la recessio-ne, rischia di restare indietro. Lapriorità è stata quella di garantireun «paracadute» sociale sufficien-temente forte soprattutto per i di-soccupati e, tra di essi, per chi è ri-masto vittima di pesanti ristruttura-zioni aziendali senza poter neppuregodere di ammortizzatori sociali, apartire dalla cassa integrazione.Vediamo allora nel dettaglio quan-ti in Italia sono rimasti senza lavo-ro, facendo poi un parallelo congli altri paesi dell’Unione europea.Infine, vedremo come la crisi hagravemente colpito anche gli aiutidei paesi più ricchi verso quelli piùpoveri.

L’occupazione in ItaliaIl tasso di disoccupazione in Italiaa dicembre 2009 é salito all’8,5%dall’8,3% di novembre. Lo ha rile-vato l’Istat4, precisando che è il da-to peggiore da gennaio 2004. Isenza lavoro sono 2.138.000,57mila in più rispetto a novembree 392mila in più rispetto a dicem-bre 2008. Se si considerano anchei cassintegrati, la disoccupazionein Italia si attesta al 10,1%. La disoccupazione giovanile (tra i15 e i 24 anni) ha raggiunto a di-cembre 2009 il 26,2% con un au-mento di tre punti rispetto allostesso mese del 2008. Le donneappaiono leggermente meno pena-lizzate dalla crisi (soprattutto acausa del loro impiego nel terziariopiuttosto che nell’industria, com-parto questo che ha subito le per-dite maggiori) e sembrano prontea guidare la ripresa occupazionale.L’occupazione maschile a dicem-bre, infatti, è pari a 13.687.000

unità con un calo dello 0,1% ri-spetto a novembre (-10.000 unità)e dell’1,8% rispetto a dicembre2008 (-245.000 unità). L’occupa-zione femminile è pari a 9.227.000con un aumento rispetto a novem-bre dello 0,2% (+17.000 unità) afronte di una riduzione dello 0,7%(-61.000 unità) su dicembre 2008.Ci sono poi alcune differenziazio-ni tra Nord e Sud Italia su cui oc-corre riflettere. Al Nord si riscon-tra un maggiore aumento dei di-soccupati e dei cassintegrati: ilNord Ovest registra un tasso di di-soccupazione nel terzo semestredel 2009 al 5,5% dal 3,8% di unanno prima, il Nord Est dal 2,9%al 4,6%. Gran parte delle 392 mi-la persone che hanno aumentato ilnumero dei disoccupati italiani nel2009 vengono proprio dal Nord in-dustrializzato (in particolare Lom-bardia, Emilia Romagna e Veneto).Al Sud invece si riscontra un altropreoccupante fenomeno: l’aumen-tano dei cosiddetti “scoraggiati”,ovvero coloro che in età lavorativa(15-64 anni) non cercano più unimpiego. In Italia sono circa 14,8milioni, il 37,6% del totale, per lopiù giovani, meridionali e donne5. Altro fenomeno tipico del Sud Ita-lia è quello del lavoro sommerso.La quota di lavoro irregolare delMezzogiorno, infatti, è più chedoppia rispetto al Nord. Al Sud unlavoratore su cinque resta in nero.Il record spetta alla Calabria dovela quota di irregolari si attesta al27,3%. Il lavoro sommerso, oltrea essere più diffuso nelle unitàproduttive di minori dimensioni,è anche caratterizzato – rileva l’i-stituto di statistica – da forti speci-ficità settoriali. Nell’agricolturaquasi un quarto dell’occupazioneè irregolare, mentre è di gran lun-

ga inferiore la quota dei lavoratoriin nero nelle costruzioni, doveperò le regioni meridionali regi-strano un valore intorno al 19%.Molto più contenuto il tasso di ir-regolarità dell’industria, che è qua-si esclusivamente imputabile alMezzogiorno.

La disoccupazione in EuropaNel dicembre 2009 la disoccupa-zione nei 16 Paesi dell’area euro èsalita al 10%, contro il 9,9% dinovembre. Nel dicembre di un an-no fa era all’8,2%. Lo ha reso notoEurostat6, rilevando che si trattadel tasso più elevato nella zonadell’euro dall’agosto 1998. Il piùelevato della zona euro e tra i piùalti in Ue resta quello della Spagnaal 19,5%. Nell’intera Ue il tasso didicembre era al 9,6% (9,5% a no-vembre) e il 7,6% un anno fa. Inquesto caso è il tasso più elevatodal gennaio 2000. Secondo stimeEurostat, a dicembre i disoccupatierano nell’Ue 23,012 milioni dicui 15,763 milioni nell’eurozona.In un anno la disoccupazione è au-mentata di 4,628 milioni nell’Uee di 2,787 milioni nella zona del-l’euro.Tra i Paesi Ue, il tasso di disoccupa-zione più basso è stato quello regi-strato in Olanda (4,0%) e in Au-stria (5,4%), mentre quello più altoè in Lettonia (22,8%) e in Spagna(19,5%). Su base annua tutti i Pae-si Ue hanno visto un aumento del-la disoccupazione. Il tasso di cresci-ta più basso è stato osservato inGermania (dal 7,1% al 7,5%),mentre il più consistente è statoquello della Lettonia (dall’11,3%al 22,8%). In dicembre, rispettoallo stesso mese dell’anno prece-dente, il tasso di disoccupazionemaschile è aumentato dal 7,8% al

D I A M O I N U M E R I

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Il monito lanciato da Papa Benedetto XVI nell’Angelus dello scorso 31 gennaio è cristallino: «La crisi economica sta causando la perdita di numerosi posti di lavoro e questa situazione richiede grande senso di responsabilità da parte di tutti: imprenditori, lavoratori, governanti».

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10% nella zona dell’euro e dal 7,5%al 9,8% nell’Ue, mentre quellofemminile è cresciuto dall’8,7% al10,1% nella zona euro e dal 7,9% al9,3% nell’Unione europea. Quanto ai giovani con meno di 25anni, la disoccupazione in dicem-bre era pari al 21% nella zona del-l’euro e al 21,4% nell’Unione eu-ropea. Era stata invece rispettiva-mente del 17% e del 16,9% unanno fa. Il tasso più basso è statorilevato in Olanda (7,6%) e quellopiù alto in Spagna (44,5%). Inquesto caso l’Italia è sopra la me-dia Ue raggiungendo il 26,2%.

La crisi economica e la fame nelmondoLa fame nel mondo continua adaumentare a causa della crisi eco-nomica e oggi colpisce più di 1miliardo di persone, cioè un sestodella popolazione totale: lo affer-ma il rapporto annuale “The Stateof Food Insecurity”, pubblicatodalla Fao insieme con il Program-ma alimentare mondiale (Wfp),secondo cui gli affamati sono cre-sciuti del 9% nel 2009, arrivandoalla vetta di 1,02 miliardi, il livellopiù alto dal 1970. «Nessun paese èstato risparmiato e oggi sono ipaesi più poveri – e le popolazionipiù indifese – che ne soffrono dipiù le conseguenze», ha deploratoil direttore generale della Fao Jac-ques Diouf alla vigilia del Verticemondiale della sicurezza alimenta-re che si è tenuto lo scorso novem-bre a Roma.La maggior parte delle personemalnutrite, secondo il rapporto,risiedono nella regione Asia-Paci-fico (642 milioni), seguite dall’A-

frica subsahariana (265 milioni),dall’America latina (53 milioni),Vicino Oriente e Nord Africa (42milioni) e nei paesi sviluppati (15milioni). Dalle cifre emerge unatendenza negativa ormai decenna-le: «Anche prima dell’attuale crisi,il numero delle persone sottonu-trite era aumentato, in modo len-to ma costante». Passi in avantierano stati compiuti negli anni ‘80e inizio anni ‘90, grazie all’incre-mento degli investimenti in agri-coltura seguiti alla crisi degli anni’70, ma tra il 1995-97 e il 2004-06, con il calo sostanziale degliaiuti pubblici allo sviluppo desti-nati all’agricoltura, il numero deisottonutriti è aumentato quasi do-vunque. Sedici paesi sono statiidentificati dalla Fao come parti-colarmente vulnerabili a causa dicrisi nazionali o regionali: si tratta

di Somalia, Afghanistan, Etiopia,Iraq, Eritrea, Sudan, Haiti, Bu-rundi, Repubblica democratica delCongo, Liberia, Angola, Mongo-lia, Corea del Nord, Uganda, Ta-gikistan e Georgia.Infine, le stime future non preve-dono un quadro confortante. Perl’anno 2050 la popolazione mon-diale supererà i nove miliardi dipersone, vale a dire che rispetto aoggi ci saranno un terzo di bocchein più da sfamare. Questo significanon solo riuscire a produrre più dicibo, nonostante le incertezze e ledifficoltà derivanti dal cambia-mento climatico, ma anche far sìche vi sia una distribuzione piùequa. Sembra dunque lontano, senon ormai irraggiungibile, il primoobiettivo Onu del Millennio cheaveva come target di dimezzare illivello degli affamati entro il 2015.

1 Stabilimento della Fiat in Sicilia.2 L’Alcoa è il gigante americano dell’allumi-nio che ha fermato la produzione nella fab-brica di Portovesme. Si teme la chiusuradefinitiva. 3 Francesco Riccardi, Fare impresa è primadi tutto farsi carico di persone e territori, Av-venire, 2 febbraio 2010.4 Dati diffusi il 30 gennaio 2010 e disponi-bili su www.istat.it5 Cfr. Luca Iezzi, Disoccupati e cassaintegratial Nord, scoraggiati e sommersi al Sud, LaRepubblica, 1° febbraio 2010.6 Eurostat è l’Ufficio Statistico della Com-missione Europea. Raccoglie ed elabora datidell’Unione Europea a fini statistici, pro-muovendo il processo di armonizzazionedell’approccio statistico tra gli Stati membri.

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1,02 miliardi Le persone in condizioni di sottoalimentazione nel mondo.

0 I fondi stanziati dal vertice Fao di Roma dello scorso novembre. Restano i20 miliardi di dollari contro la povertà promossi dal G8 dell’Aquila. Erano in-vece 44 i miliardi di dollari in aiuti all’agricoltura richiesti dal direttore gene-rale della Fao, Jacques Diouff, per eliminare la fame in tutto il mondo. Tantisoldi, ma una briciola se paragonati ai 1340 miliardi di dollari che vengonospesi ogni anno nel mondo per gli armamenti.

2000 miliardi Non appena è scoppiata la crisi finanziaria sono bastatesolamente due settimane ai governi dei paesi più ricchi del mondo per stan-ziare 2000 miliardi di dollari allo scopo di salvare alcune banche.

2015 La data, fissata nel 2000, entro la quale dovrebbe essere dimezzato ilnumero di persone che soffrono la fame.

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PresentazioneNel 1991 sono entrata nella Con-gregazione delle religiose dell’As-sunzione. Avevo 23 anni. Al ter-mine dei miei studi in un istitutocommerciale francese (ESSEC) hoviaggiato con uno zaino in spallain Asia e in America Latina per seimesi. Dopo ho studiato filosofia eteologia e ho insegnato per varianni filosofia a studenti di 17-18anni in due collegi a Bordeaux e aParigi. La mia formazione mi haportata a lavorare sulla globalizza-zione nell’ottica della responsabi-lità sociale delle multinazionali neiPaesi del Sud. Ho scritto la mia te-si di dottorato in filosofia politicaa partire da un’analisi teorica maservendomi anche di indagini e in-terviste sul campo condotte in Ke-nia e in Nigeria nelle filiali dellaTotal, Lafarge, Unilever e Miche-lin, nel 2004. Alcune ricerche piùrecenti mi hanno portato a visitareil Ghana, le miniere di bacusite diRio Tinto Alcan e il Bangladeshper visitare il progetto GrameenDanone.

Oggi le mie attività si dividono trainsegnamento e ricerca. Insegnofilosofia ed etica sociale al CentroSévres (Facoltà di Parigi dei Gesui-ti) e do un corso alla Ecole des Mi-nes di Parigi (un’atta scuola per in-gegneri). Sono ricercatrice all’ES-SEC dove, da due anni, conducoun programma destinato a seguirele attività dei petrolieri nel deltadel fiume Niger, in Nigeria, e a ri-flettere sullo sviluppo locale e ter-ritoriale. Sto creando un istituto diricerca sul tema “Imprese e svilup-po locale” per approfondire la ri-flessione sull’apporto delle impre-se (in particolare quelle multina-zionali) nello sviluppo delle zonesottosviluppate dove le multina-zionali impiantano la loro attività.

Una crisi sistemica in un mondo adue velocitàMaterialmente la crisi non mi toc-ca. O molto poco: il costo del ciboè aumentato, prendere un caffèsulla terrazza in una caffetteria pa-rigina è diventato un piccolo lus-so; ma il mio essere religiosa e vi-vere in una comunità che bada allemie necessità attraverso il lavoro ditutti, mi fa toccare con manoquanto sono protetta. Il rischio dipassare al lato della sofferenza edell’angoscia degli altri è enormecome enorme la tentazione di rin-viare il momento di fare scelte con-crete. Da questo punto di vista lacrisi mi mette dinnanzi a due gran-di sfide.Innanzi tutto, per me come pergran parte dei francesi di classemedia o alta, la crisi finanziaria è avolte presente e a volte lontana.Presente perché io so, ad esempio,che la nostra Congregazione haperso parecchi soldi investiti in va-ri fondi; o ancora che in Francia il

13,4% della popolazione vive al disotto della soglia di povertà e cheil numero di persone aiutate dalbanco alimentare è aumentato del16% tra giugno 2008 e giugno2009; perché sento dire di famiglieamericane a tal punto indebitateche hanno dovuto lasciare la pro-pria casa o di pensionati senza re-tribuzioni; perché a un amico, pic-colo imprenditore, non concedo-no crediti e corre il rischio dichiudere la sua impresa; un altroamico impiegato in una banca èstato licenziato; perché il mio la-voro come investigatrice sulla re-sponsabilità delle imprese petroli-fere in Nigeria mi permette di co-gliere alcuni degli effetti disastrosidel sistema economico globalizzatosulle popolazioni più vulnerabili. Tuttavia la crisi è lontana nel sen-so in cui gli ordini di grandezza incausa – quando si parla di movi-menti di capitali o di bonus deibrokers – non hanno nulla a chevedere con le realtà quotidiane; nelsenso in cui i media ci annuncianogià il dopo-crisi; nel senso in cuiio non sono direttamente minac-ciata. Questa è l’espressione evi-dente del fossato che già da unadecina d’anni si è creato tra vinci-tori e vinti di un sistema finanzia-rio azionariale, fra ricchi e poveriall’interno nella nostra società. Perquanto abbia fatto voto di seguireCristo povero, per molti aspetti misento dalla parte dei ricchi. I mieiprivilegi sono per me motivo digrande malessere; per questo la sfi-da è di tipo spirituale di una com-promissione completa che mi con-senta di guardare la realtà con gliocchi dei più bisognosi, per esserepiù cosciente e più solidale con ciòche vivono milioni di persone ac-canto a me e in molti altri Paesi e

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Come la crisi incide sulla mia spiritualitàe il mio stile di vita secondo il VangeloDI CÉCILE RENOUARD S.A.1

Sito archeologicodella città di Avdat,Israele.Foto scattata durante il pellegrinaggio CVXin Terra Santanell’ottobre 2009.

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lottare contro le strutture ingiuste,costruendo ponti nella misura delpossibile. In effetti credo che siaimportante che noi religiosi ci de-cidiamo a metterci dalla parte deipiù poveri avviando un dialogocon i potenti per suscitare e ac-compagnare le trasformazioni ne-cessarie, ridurre le cause della mi-seria e creare nuove solidarietà.La seconda sfida dipende dal fattoche la crisi non è soltanto finanzia-ria ma ecologica, energetica, ali-mentare e in definitiva sistemica.Anche in questo caso si corre l’e-norme rischio di non misurare idanni legati al riscaldamento cli-matico per i più poveri del pianetae per le future generazioni. L’e-stensione delle mie e nostre re-sponsabilità nello spazio e nel tem-po davanti al prossimo vicino lon-tano rischia di assumere uncarattere astratto. È chiaro che cer-co di economizzare l’energia, di fa-re la raccolta differenziata. Di con-sumare meno carne in quanto lacoltura del foraggio esige moltapiù acqua; so che lo spreco energe-tico di un aereo è considerevole…e tuttavia continuo a utilizzarequesto mezzo di trasporto per at-traversare i mari… Partecipo agruppi di riflessione sui nostri stilidi vita e conduco una vita abba-stanza semplice. Eppure nella vitadi ogni giorno molti gesti e usi,apparentemente innocui, hannoeffetti così gravi che entro alcunidecenni potranno causare cata-strofi. Senza dubbio è immensa ladifferenza tra le piccole azioni in-dividuali e la mancanza di regola-mentazione ed i progetti politicivolontari e coordinati a diversi li-velli – locale, nazionale e interna-zionale. A che è dovuto tutto ciò? In primo

luogo come sottolinea il filosofoJean-Pierre Dupuj, riprendendoun’analisi di Bergson, non voglia-mo credere a ciò che sappiamo2;noi abbiamo capito bene le infor-mazioni degli esperti del GIEC sulriscaldamento climatico e i suoi ef-fetti, tanto ci sembra poco credibi-le la catastrofe che non abbiamoveramente voglia di cambiare. An-cora, non sempre sappiamo conci-liare esigenze opposte (per esem-pio: consumare per rilanciare l’e-conomia e contemporaneamentepromuovere la sobrietà), né sappia-mo come dare priorità e inventareinsieme nuovi modelli di società.Nè come stabilire una gerarchia dipriorità e inventare com’unitaria-mente dei nuovi modelli di so-cietà. Allora, come, a livello intel-lettuale e affettivo, lasciarci pren-dere per rispondere a questeprovocazioni? Su quali criteri fon-dare il mio e il nostro discerni-mento e le mie e le nostre scelte?Mi sembra che in questi tempi dicrisi sia necessario coltivare un tri-plice atteggiamento fatto di atten-zione concreta all’altro (care), di ri-cerca della giustizia e di libertà;ogni aspetto corrisponde ad unadisposizione interiore e a una com-promissione esterna nella città. Es-sere di più per agire in altro modoe se è possibile in un modo miglio-re. I due primi movimenti sonocomplementari: da un lato pren-dersi cura degli altri, umanizzare lenostre relazioni e, dall’altro lato in-ventare strutture più giuste; il terzomovimento ha a che fare con la ri-cerca dell’equilibrio instabile cheSimone Weille evoca quando parladella nozione di distacco3 (nel lin-guaggio ignaziano, indifferenza;nel vocabolario della mia fondatri-ce della mia Congregazione, Santa

Marie-Eugenie4, distacco-disinte-resse gioioso).Spiegherò questi tre movimenticon alcune riflessioni ricavate dallamia esperienza.

Umanizzare le nostre relazioniLa qualità delle relazioni umane,la fraternità universale, costituiscel’essenza del messaggio evangelico;le relazioni economiche devonoessere a servizio di un ordine socia-le nel quale ciascuno si mette a ser-vizio dell’altro riconoscendogli lasua dignità. La crisi è la manifesta-zione dell’empasse a cui ha condot-to un modello economico che hamesso come proprio obiettivo ildogma ingannatore della crescitaillimitata delle ricchezze materiali.Questo sistema si basa sulla illu-sione che la decentralizzazione e illibero mercato potranno generarequesta crescita in maniera efficacee alla fine ragionevole. Il pensieroutilitarista dominante ha giustifi-cato il sacrificio di alcuni sull’alta-re della crescita della gran maggio-ranza o della crescita media dellapopolazione. Da vari anni, attra-verso il mio lavoro, ho potutoconstatare le conseguenze di que-sta ideologia accanto al tema dellaresponsabilità sociale dell’impresa.In questi ultimi sei anni, ho potu-to visitare varie filiali di grandigruppi industriali in Africa e inAsia per studiare come queste im-prese vedono le proprie responsa-bilità e come le incarnano a diversilivelli: sociale (condizioni di vitadegli operai); ambientale (impattodelle attività sull’ambiente naturalee umano); politico (governo del-l’impresa e rischio di violare i dirit-ti umani); economico e finanziario(questione fiscale, contributo altessuto industriale ed economico

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locale). Sino a poco tempo fa igruppi industriali non si poneva-no neppure il problema di saperein che misura avrebbero potuto le-gittimamente contribuire allo svi-luppo. Difendevano l’idea che era-no sufficienti le imposte pagate aiPaesi finanziatori ai quali bastavafare qualche donazione caritativaalle comunità locali. La valutazio-ne e lo sforzo per minimizzare o ri-parare i danni collaterali provocatidalla loro attività sull’ambiente,erano lontani. Oggi, poiché que-sto modello ha raggiunto i suoi li-miti, la domanda che sorge alleimprese è la seguente: come pro-muovere uno sviluppo sostenibile?Lo sviluppo sostenibile è una no-zione vaga ma il fatto stesso che laparola sviluppo sia sulla bocca ditutti, compresa quella degli attorieconomici privati, apre ad un in-terrogativo collettivo sulle condi-zioni di uno sviluppo umano e so-ciale. Sono testimone di dibattitiin corso in alcuni grandi gruppiche riflettono, per interesse strate-gico ma anche per inquietudinemorale, su cosa consiste lo svilup-po e sui mezzi da utilizzare per av-viare, insieme con altri, progettiche ne rendano possibile la realiz-zazione. La prospettiva della Popu-lorum Progressio (1967) concordabene con l’affermazione attuale se-condo la comunità internazionaleche non si ha sviluppo se non in-tegrale (tutto l’uomo) e universale(tutti gli uomini). Si tratta alloradi vedere se e come la produzioneeconomica permette questo svi-luppo personale e collettivo; lemolteplici proposte che pullulanooggi nelle organizzazioni per mi-surare la ricchezza e la qualità dellavita dicono qualcosa sulla neces-sità riconosciuta di tener conto

delle differenti dimensioni dell’e-sistenza umana. Viene rivalorizza-ta la sollecitudine per l’altro, il de-siderio di risorse relazionali di unasocietà, la qualità delle relazioni edel clima sociale. Il lavoro chesvolgo con una équipe di ricerca-tori del Nord e del Sud5 mira a va-lutare lo sviluppo delle regioni pe-trolifere del Nigeria non solo intermini di qualità di vita e di usci-ta dalla povertà ma anche in ter-mini di capacità relazionale6: sitratta di vedere se i progetti econo-mici hanno degli effetti positivisulla qualità del tessuto sociale. Ildesiderio di relazioni umane, lacura di ciascuno, il riconoscimen-to della dignità e del prezzo infini-to di una vita umana è di fatto ilprimo modo di ribaltare le conce-zioni economiche dominanti: il va-lore di una cosa non sarà più sol-tanto il valore-lavoro o il valore-uti-lità, ma la capacità che questa cosaha di mettere in relazione le perso-ne in maniera più o meno diretta(si pensi al cellulare o all’acquisto diprodotti equi che permettono dientrare in relazione con il produt-tore locale anche più lontano). Riscoprire il care, l’attenzione al-l’altro è ugualmente un modo dirimettere le cose in ordine, di lot-tare contro la corsa sfrenata a gua-dagnare tempo, di coniugare effi-cacia e gratuità; questo vale ancheper la vita religiosa.

Creare insieme delle strutturegiusteAll’inizio del secolo ventesimo, ilbanchiere JP Morgan affermavache in una impresa lo scarto mas-simo tra i salari più alti e quelli piùbassi doveva essere da uno a venti;oggi purtroppo lo scarto, nei gran-di gruppi, è da uno a mille. Il sen-

so del moralmente ammissibile siè dunque notevolmente attenuato.Molteplici sono gli esempi di disu-guaglianza indotti dal nostro siste-ma economico neoliberista soprat-tutto negli anni ’80. Se è vero chequesti scatti hanno coinciso conuna forte crescita in un buon nu-mero di Paesi è tuttavia certo chesi è avuto un parallelo aumentodelle tensioni sociali sino a conflit-ti in alcuni Paesi. L’esempio della Nigeria è significa-tivo del fallimento dei dirigentinel favorire uno sviluppo omoge-neo: il settimo paese produttore dipetrolio è il paese che nel 2005 erail 158° sui 177 in termini di IDH(l’indicatore di sviluppo umanoche misura il PIB per abitante, iltasso di scolarizzazione e di alfabe-tizzazione adulta e la speranza divita alla nascita). Le responsabilitàe le colpe durante gli anni sonocontemporaneamente dei governiultracorrotti, delle imprese petro-lifere negligenti, dei capi tradizio-nali e di altri gruppi imprendito-riali; così una minoranza di perso-ne si arricchisce sulle spalle dipopolazioni vulnerabili; una mas-sa di giovani trova nella prostitu-zione in tutte le sue forme unafonte di guadagno e di lavoro. Perquel che concerne gli effetti delleazioni fatte dai petrolieri nella re-gione produttrice di petrolio, ildelta del Niger, tutti si ritrovanonella necessità e al tempo stessonella difficoltà di rendere le strut-ture più giuste.Non basta dire chele strutture devono evolversi per-ché la situazione cambi.Nelle zone che visito regolarmentetutti parlano dell’obiettivo dellosviluppo sostenibile e dell’attualecambio paradigmatico: passare dal-l’assistenza a l’empowerment delle

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masse ma numerosi sono i circoliviziosi che si sono installati e nu-merosi sono i benefit captors. Le re-sistenze al cambiamento sonoenormi e nessuno sa cosa fare. Unacosa è certa: sembra che alcuni,nelle imprese, nei poteri pubblici etra la popolazione locale, pensanoche le cose possono cambiare, chesi possono instaurare culture di-verse, che possono sorgere dellepiccole iniziative. È certamente unpasso avanti il solo fatto che degliingegneri (abituati a trovare solu-zioni a problemi tecnici comples-si) riconoscano che on hanno asso-lutamente la soluzione, che nonpossono arrivare da soli alla solu-zione e che devono imparare a la-sciarsi illuminare da altri (membridi comunità, ONG, agenzie di svi-luppo, poteri pubblici, ecc.). Il de-siderio dell’uguaglianza e la ricercadi istituzioni più giuste si poggia-no essenzialmente sulla motivazio-ne profonda di alcuni che rifiuta-no di abbassare la guardia, che ri-conoscono l’assoluta necessità dilavorare con altri, portatori dipunti di vista diversi dai loro e chehanno la lucidità e il coraggio ne-cessari per proseguire il camminoanche se tutto ristagna intorno aloro e devono scontrarsi con scet-ticismo e resistenze.Riassumerei questa disposizioneinteriore verso la giustizia attraver-so il doppio atteggiamento del pro-feta e del re7: il profeta, come il mi-litante di “Un altro mondo è possi-bile”, è colui che denunzia lecontraddizione del sistema senzamai accomodarsi al pensiero domi-nante, alla docsa; il re come il diri-gente d’azienda è colui che, nellacomplessità e nell’ambiguità delreale, usa la politica dei piccoli pas-si per andare avanti. Certamente

non c’è nulla di nuovo nell’appelloa coltivare entrambe le dimensionima mi sembra che attualmente laloro coesistenza è preziosa e persi-no indispensabile: non rinunziareall’utopia per iscrivere la propriaazione nell’orizzonte del Regno edessere inventivo e astuto comel’amministratore scaltro del Vange-lo (Lc 16,1-13) per tracciare vienell’attuale chiaroscuro.

Vivere un distacco-disinteressegioiosoUna terza figura biblica, oltrequella del profeta e del re, è quelladel sacerdote: nella Bibbia i leviti ei sacerdoti sono coloro che poichédevono assicurare il servizio delTempio, non hanno terra; dipen-dono totalmente dagli altri perprovvedere ai loro bisogni; e han-no una relazione distaccata dallaterra e dai beni. Così possono con-templare la creazione in modo gra-tuito e vivere la meraviglia che liporterà a celebrare il Creatore e lasua creazione. L’atteggiamento deldistacco-disinteresse gioioso èesattamente questo modo di colti-vare in sé la libertà interiore, la re-lazione con la sorgente nel più in-timo di se stessi al fine di aiutarciad affrontare senza paura, in ma-niera ordinata, gli avvenimentidell’esistenza. Nel contesto attualeil distacco da ogni sorta di idolo (ilcomfort, l’attaccamento ossessivoal lavoro, al prestigio, al potere)può orientarci verso nuove relazio-ni con gli altri e con le cose. Nien-te di nuovo sotto il solo: la tradi-zione spirituale da sempre ci invitaal cammino del distacco-disinte-resse. La novità forse è che quiquesto distacco-disinteresse ègioioso. Questa sfumatura di gioianon deve essere intesa come uno

sguardo ingenuo sull’esistenza, co-me una negazione del male e dellasofferenza, va piuttosto letta cometessuto di fondo, come la necessitaurgente di affrontare le sfide dellacrisi e le trasformazioni. Dire cheil distacco-disinteresse dagli idoli ègioioso significa dire che è inseritoall’interno dello Spirito di tenerez-za e d’amore, di Colui che mettein noi la speranza e ci dona la for-za di andare avanti senza disperaredi noi stessi e degli altri.Sono spesso colpita dall’inquietu-dine che percepisco nei giovani inFrancia circa il loro futuro. I corsiche do, soprattutto in una Scuolaper ingegneri, manifestano beneche, in maniera cosciente o meno,gli studenti hanno sete di apertu-ra, di promesse di vita. All’internodi un corso di etica delle multina-zionali dei Paesi del Sud ho pro-posto una riflessione a partire dalcaso “Grameen Danone” in Ban-gladesh. Un progetto che ho avutola possibilità di visitare lo scorsoanno: un’iniziativa condotta dallabanca Grameen e dal gruppo Da-none, dopo un incontro tra il pre-sidente di Grameen, MohamedYunus (premio Nobel per la Pacedel 2006 per la sua azione a servi-zio dei poveri attraverso il micro-credito) e Franck Riboud, il PDG(Presidente-Direttore Generale) diDanone. Il progetto consiste in uncambiamento del modello im-prenditoriale: invece di costruireuna grande fabbrica, si tratta dicostruire 50 microfabbriche verdi,poco meccanizzate, che si riforni-scono dagli agricoltori locali pervendere yogurt con micronutri-menti a basso costo alle popolazio-ni più povere delle zone rurali. Il97% dei profitti vengono reinve-stiti sul posto. Il modello di “social

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Sono spesso colpita dall’inquietudine che percepisco nei giovani in Francia circa il loro futuro.

I corsi che do, soprattutto in una scuola per ingegneri,manifestano bene che, in maniera cosciente o meno,

gli studenti hanno sete di apertura, di promesse di vita

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business” è appena all’inizio. Peresempio, lungo il cammino, gliimprenditori si rendono conto chedevono dare maggiore attenzionealle reti culturali e politiche legatea questo tipo di iniziativa econo-mica. Questo progetto è il segnodella volontà di cambiare modelli,di mettere innovazioni tecniche alservizio di un progetto che puntiad una utilità sociale forte e dipensare l’attività economica a par-tire dai bisogni e dai diritti dei piùpoveri.Gli studenti di ingegneria dellascuola Des Mines sono rimasti en-tusiasti all’idea di poter inventarcammini nuovi e significativi apartire dalle loro competenze. Al-cuni studenti delle scuole di com-mercio mi dicono del loro bisognodi imparare a pensare diversamen-te, di liberare il loro spazio interio-re per osare la creazione di nuovestrade.Mi sembra che questi esempi sia-no il volto pratico del distacco-di-sinteresse gioioso: lasciare che loSpirito apra le nostre porte, con-vertire le nostre ambizioni perso-nali in avventure collettive, libe-rarci delle nostre certezze e dellenostre paure, e credere nella possi-bilità di inventare insieme progettidi speranza e di vita.

Alla ricerca di un vivere-insiemeche sia duraturoIn definitiva, la crisi che stiamo at-traversando attualmente e le crisiche minacciano la sopravvivenzadel nostro pianeta, sono, cometutte le crisi, luoghi di discerni-mento: abitati dalla memoria delfuturo, il Regno di giustizia e dipace in cui Cristo sarà in tutto e intutti, siamo invitati a discernere isegni dei tempi e a ricercare insie-

me vie di umanizzazione. In unmondo portatore di violenza e diimmense ingiustizie, la pedagogiadel Risorto ci impegna a quei treatteggiamenti che ho descritto:l’attenzione quotidiana all’altro, lapriorità assoluta della qualità dellerelazioni umane e l’accoglienza diciascuno nella sua unicità in unacomunità di lavoro e di vita; losforzo, ispirato dalla triplice figuradel profeta del re e del sacerdote,per inventare delle strutture politi-che economiche e sociali che met-tano al primo posto le relazioniumane e che riducano le inegua-glianze materiali e relazionali; lospossessamento, il distacco-disin-teresse gioioso e finalmente la ce-lebrazione intima e comunitaria diColui che dona la forza di vita, ladynamis, ci spinge e ci precede8. Tutto ciò noi lo facciamo comecristiani ma in stretta collaborazio-ne con tutti gli uomini e le donnedi buona volontà che sono invisi-bilmente relati alla fonte che tuttidisseta e sostiene. E questa è unasfida della crisi attuale anche per lanostra Chiesa, a volte minacciatada un discorso autoreferenziale:così come gli ingegneri di unacompagnia petrolifera non hannoda soli le chiavi per la costruzionedi un vero sviluppo duraturo perle popolazioni, noi cristiani ugual-mente non possiamo da soli ricer-care la soluzione per un “vivere-in-sieme duraturo”. Lontani da qua-lunque ripiegamento identitariosaremo noi capaci di metterci,umilmente e gioiosamente, al ser-vizio di questa ricerca, etica e spi-rituale, realizzata con altri?

1 Insegna Etica sociale presso il Centre Sè-vres di Parigi. Autrice del libro La respon-sabilità etica delle multinazionali, Parigi,PUF, 2007. Questo articolo è tratto dallarivista CIS diretta da Padre Edward Mer-cieca S.I.2 Y.-P. DUPUJ, Pour un catastrophismeéclairé, Parigi, Seuille, 2002.3 S. WEILLE, “Quelques réflexions autourde la notion de valeur”, 1941, in Œuvres,Parigi, Gallimard, 1999, pp. 121-126.4 MARIE-EUGENIE MILLERET, 1817-1898, fondatrice delle Religiose dell’Assun-zione.5 Vedere GAEL GIAUD - CECILE RE-NOUARD (dir), Vingt propositions pourréformer le capitalisme, Paris, Flammarion,2009. 6 G. GIRAUD e C. RENOUARD, The re-lational capability, Essec WP.7 Questo conferma l’analisi fatta da Benja-min Buelta S.I. sulla doppia figura del pro-feta e del saggio in B. BUELTA, Tiempo decrear, Santander, Sal Terrae, 2009.8 C. THEOBALD, Transmettre un Evangilede Liberté, Paris, Bayard, 2007.

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C i sono momenti, nella vitadi una comunità, nei qua-li la storia sembra improv-

visamente accelerare, determinan-do dei cambiamenti radicali, a vol-te anche drammatici, nel suoapparentemente naturale e norma-le decorso.

Se poi si tratta di una comunitàche nasce intorno ad una ispirazio-ne religiosa, questi momenti rap-presentano importanti occasionidi verifica e, quindi, di verità sulrapporto con quella storia e sui si-gnificati che da quegli eventi pos-sono derivare alla luce della fede. È quello che è successo alla comu-nità che si radunava intorno allastorica presenza della Compagniadi Gesù nella città dell’Aquila, pri-ma con la decisione della Compa-gnia di lasciare nel 2008 la città,poi con il tragico evento sismicoche l’ha duramente colpita il 6aprile 2009.

La presenza della Compagnia diGesù all’AquilaSiamo alcuni laici che hanno avutola Grazia di iniziare un camminodi fede che ci ha portati a scoprirela bellezza e la forza del Vangelo e,soprattutto, il volto di un Dio di-

verso da quello insegnato da uncattolicesimo tradizionale, precet-tistico e devozionale. Grazie allaCompagnia di Gesù, abbiamo sco-perto che lo «Spirito è vita e dovec’è lo Spirito c’è libertà», come re-citava il primo slogan che, alla finedegli anni ’70, rilanciò l’azione pa-storale e di evangelizzazione deiGesuiti nella diocesi, nell’univer-sità e nella città dell’Aquila. LaCompagnia di Gesù nella nostracittà ha avuto i volti, le mani, leparole di tanti Padri ai quali anco-ra vogliamo bene e che ricordiamotutti: P. Vittorio Liberti, P. Dome-nico Fico, P. Sabino Le Noci, P.Mario Gioia, P. Vittorio Volponi,P. Giancarlo Gola, P. FerdinandoCastelli, P. Franco Gatti, P. Danie-le Libanori, P. Marino Riti, P. Bru-no Bois, P. Franco Annichiarico, P.Fausto Gianfreda, P. Sauro De Lu-ca, P. Stefano Fossi, P. Lino Dan etanti altri… Attraverso la loro opera, la Com-pagnia di Gesù ha saputo svolgerela sua «missione» di «servizio pre-sbiteriale della fede: un compitoapostolico che mira ad aiutare gliuomini ad aprirsi a Dio e a viveresecondo tutte le dimensioni ed esi-genze del Vangelo». Così è statoper noi: la Compagnia di Gesù ciha fatto scoprire la bellezza e laforza di essere laici oggi nellaChiesa e nella società. Abbiamo ricevuto un insegna-mento informato allo spirito igna-ziano che ci ha permesso di espri-mere sul piano sociale, politico,culturale, ecclesiale ed anche spiri-tuale, esperienze e testimonianzesignificative.

La decisione di lasciare la cittàRispetto a questa storia, dunque,la decisione della Compagnia di

Gesù di lasciare la città dell’Aquilaha rappresentato per noi un trau-ma, soprattutto per la paura checon questa decisione potesse cessa-re definitivamente ogni riferimen-to all’esperienza ignaziana nellanostra città, disperdendo quantodi buono era stato realizzato e fa-cendo mancare ai più giovani leopportunità di un insegnamento edi una testimonianza evangelicheuniche. Ma pur con questi sentimenti, ab-biamo compreso le ragioni cheavevano indotto la Compagnia adassumere questa decisione e, so-prattutto, abbiamo accettato – purcon qualche perplessità iniziale econ molte difficoltà - l’invito che iPadri ci hanno rivolto a continua-re, da laici, un’attività di ispirazio-ne ignaziana nella nostra città.Abbiamo dunque iniziato, conl’aiuto di Padre Lino Dan, un di-scernimento su come continuare,soprattutto alla luce di alcune con-clusioni della 35ª Congregazionegenerale che ha incoraggiato i laici«a vivere la loro vocazione in unodei molti modi […] in cui la Chie-sa è stata benedetta, soprattutto daquando il Concilio Vaticano II hacosì chiaramente precisato la mis-sione del laicato nella Chiesa. Fraquesti sono un crescente numerodi associazioni ispirate alla spiri-tualità ignaziana».

Il sisma del 6 aprile 2009Nel corso di questa riflessione ap-profondita, si è verificato l’altroevento che ha drammaticamentecambiato la nostra vita e la storiadella nostra città: il sisma del 6aprile. La tragicità dell’evento haindotto alcuni di noi a rivolgersiancora ai Padri Gesuiti, manife-stando i sentimenti, le preoccupa-

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L’Aquila,ricostruire la speranzaDI GIANVITO PAPPALEPORE1

Tendopoli nel centrosportivo di Centicolella.Fonte: Protezione Civile,www.protezionecivile.it

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zioni e le attese di uomini e donneappartenenti alla comunità civile ereligiosa aquilana.Il terremoto, infatti, non ha di-strutto solo le case, le chiese, lescuole, l’università ma ha, soprat-tutto, lacerato il tessuto sociale del-la città, di cui è ancora un simboloparadigmatico la disgregazione del-la popolazione aquilana nel territo-rio regionale ed extra-regionale.Questa dispersione della popola-zione porta con sé il rischio con-creto di compromettere le condi-zioni stesse che rendono possibileil vivere civile di una comunità.Mancano, infatti, non solo i luo-ghi ma i tempi stessi, i momenti,le occasioni per incontrarsi, cono-scersi e vivere insieme. In questa situazione così lacerata edisgregata, lo sconforto e la dispe-razione possono impadronirsi del-la coscienza individuale e colletti-va, mettendo a rischio la sopravvi-venza della città nel suo esserecomunità civile ed anche religiosa,che non solo condivide una storiaantica e prestigiosa, ma è soprat-tutto capace di pensare insieme unfuturo comune.In particolare i giovani, che si tro-vano a vivere la fase più delicata edecisiva della loro maturazione ecrescita personale, possono indele-bilmente risentire di questa situa-zione di incertezza, di precarietà,di oggettiva difficoltà. Di qui la richiesta di aiuto spiri-tuale alla Compagnia di Gesù, peresercitare una funzione di ascolto,di comprensione e condivisione diquesti problemi e per aiutare a tro-vare, anche in questa drammaticaesperienza, i segni della presenzadel Signore. Il ritorno dei Gesuiti, da concre-tizzare secondo le modalità, le for-

me e i tempi da loro ritenuti piùopportuni, avrebbe rappresentatoun significativo segno di speranza,contribuendo alla ricostruzionedella città a partire proprio dallastoria vissuta delle persone.

“Passa in Macedonia ed aiutaci”Questo appello è stato accolto, co-me per il Macedone apparso in vi-sione a Paolo. Grazie alla capacitàdi ascolto dimostrata da PadreCarlo Casalone e Padre ClaudioBarretta, oggi è possibile contareancora su una presenza dei Gesuitiall’Aquila. Una presenza certo noncontinua ma, grazie alla disponibi-lità di Padre Vincenzo Sibilio e Pa-dre Franco Annicchiarico, è statopossibile ricucire i fili di una storiache non poteva interrompersi. È la storia della presenza dello spi-rito ignaziano nella città e nellachiesa aquilane, che può giovarsidi una modalità apostolica itine-rante da parte dei Padri Gesuiti eche, proprio per questo, può por-tare a riscoprire una antica voca-zione per riproporla oggi in modonuovo.Proprio questo modo, per noinuovo, di vivere lo spirito ignazia-no, ha ispirato l’iniziativa che si ètenuta dal 27 al 30 dicembre2009, presso il convento di Cala-scio, dove con la guida di PadreClaudio Barretta e Padre Giancar-lo Gola e insieme ad altri laici an-che non aquilani, abbiamo ap-profondito insieme il grande temadella ri-costruzione della città. L’i-niziativa ha rappresentato anchel’occasione per riflettere più in ge-nerale sui grandi temi della costru-zione della città intesa come co-munità civile nella prospettiva piùpropria per un cristiano di “co-struzione della città dell’uomo a

misura d’uomo”. La domanda,impegnativa ma comunque inelu-dibile, è stata quella di approfon-dire se e come la Bibbia oggi, inun società secolarizzata e in unmomento storico in cui sembranoprevalere integralismi rigidamentecontrapposti, possa ancora direparole significative e utili per tuttigli uomini impegnati nella costru-zione della città.

Aggeo e la ricostruzione del tempio Lo spunto di riflessione è statotratto dal profeta Aggeo, la cuiazione profetica si muove nel 520a.c., allorché il popolo ebraico, fi-nalmente tornato dall’esilio babi-lonese, si trova di fronte all’arduaimpresa di ricostruire una Gerusa-lemme distrutta. Aggeo invita aprovvedere innanzitutto alla co-struzione del tempio, luogo e stru-mento dell’identità cultuale e cul-turale del popolo ebraico. Invitacioè a proiettarsi in un impresa co-mune e condivisa (“la mia casa è inrovina, mentre ognuno di voi si dàpremura per la propria casa”) chepossa essere in grado di superare levisioni individualistiche (“si atten-devano venti misure di grano e cen’erano dieci”) e privatistiche(“avete seminato molto e aveteraccolto poco”) e garantire invecele condizioni per una fruttuosa (ilgrano non “verrà a mancare”) e pa-cifica convivenza (“in questo luo-go porrò la pace”). Di fronte allosmarrimento degli israeliti, blocca-ti dal ricordo del “primitivo splen-dore” del tempio confrontato conle sue attuali condizioni, Aggeo in-vita a non aver paura (“coraggio,popolo tutto del paese…non te-mete”) e a non attardarsi nella no-stalgia del passato per proiettarsiverso un prospettiva nuova e co-

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munque magnifica (“la gloria fu-tura di questa casa sarà più grandedi quella di una volta”). Al di là deisignificati spirituali che questa let-tura può ispirare per coloro che vi-vono una dimensione religiosadell’esistenza (“parola del Signore,da oggi in poi io vi benedirò”), ilprofeta Aggeo quale significatopuò rappresentare per chi è laica-mente impegnato oggi nella co-struzione della città? In particola-re, il messaggio profetico di Aggeoquale direzione può indicare per lari-costruzione della città dell’A-quila, dopo la distruzione causatadal terremoto del 6 aprile?

La ri-costruzione della cittàLungi da noi ogni lettura fonda-mentalistica, a noi sembra che Ag-geo, profeta della ricostruzione diGerusalemme attraverso il tempio,possa invitare tutti noi ad indivi-duare ciò che nella storia dellacittà ha rappresentato una peculia-re identità culturale in grado oradi unire in una prospettiva condi-visa di nuova costruzione, vincen-do la pericolosa e paralizzante ten-tazione nostalgica di ricostruireciò che era esattamente come era. Si tratta, in altre parole, di guarda-re al di là degli aspetti esclusiva-mente materiali della ricostruzio-ne, che spesso sono fonte di visio-ni e divisioni individualistiche, perindividuare invece progetti in gra-do di unire, di mettere insiemeuna popolazione ancora troppo di-spersa sul territorio. Una disper-sione che sembra peraltro consoli-darsi, in considerazione delle mo-dalità con le quali sono statipensati e realizzati i nuovi nucleiabitativi e che non è risolvibile so-lo con la rapida ristrutturazionedel centro storico, inteso come

mera espressione topografica ecommerciale della comunità civi-le. L’invito di Aggeo rivolto agliisraeliti può oggi rappresentare pertutti uno stimolo a tornare a guar-dare all’essenziale indistruttibile,nell’individuazione di luoghi estrumenti in grado di facilitare leespressioni comunitarie della città,la cui mancanza – a guardare bene- il sisma del 6 aprile non ha cau-sato, ma forse ha solo rivelato. Puòessere significativo, infine, ricorda-re che da questa iniziativa abbia-mo tratto un articolo che è statopubblicato su un quotidiano adampia diffusione regionale che haforse avuto il merito di presentareun ulteriore punto di vista sulla ri-costruzione della città dell’Aquilarispetto alla quale come laici igna-ziani intendiamo impegnarci. Pa-radossalmente il terremoto, che hacosì gravemente lacerato il tessutosociale della nostra comunità civi-le, ha tuttavia contribuito a ricuci-re i fili di una storia – quella dellospirito ignaziano nella città dell’A-quila – che spetta ora soprattutto anoi laici testimoniare con coraggioe libertà.

1 Responsabile servizio urbanistico dellaProvincia de L’Aquila; presidente associa-zione Abitare Insieme; presidente CentroServizi Volontariato de L’Aquila.

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L’Aquila Centro, 24 dicembre 2009.La tradizione dell’aperitivo della vigilia.

Fonte: Protezione Civile.

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F requento il Centro Educati-vo Ignaziano di Palermo daquando avevo sei anni. Oggi

ne ho diciassette e sono al quartoanno del liceo classico. Ho condi-viso la scelta dei miei genitori diiscrivermi in una scuola cattolicadi spiritualità ignaziana soprattut-to dagli anni delle medie, quandoho cominciato a capire più a fondoil metodo formativo dell’istituto. Quelli dell’adolescenza sono annidi passaggio e di crescita, anni par-ticolarmente critici sul piano dellerelazioni con gli altri, in particola-re con il mondo degli adulti, in cuianche il rapporto di fede può co-noscere una crisi: è un dato di fat-to che la Chiesa riunisca sempremeno giovani.In questi anni di crescita è statofondamentale, per il mio cammi-no di fede, avere dei punti di rife-rimento, delle figure presenti, main modo discreto, e capaci diorientare chi cercasse liberamenteuna guida spirituale. Questo ilmodo di guidarci nella fede deiGesuiti in un clima sempre apertoal dialogo, che lascia liberi nelleproprie scelte, ma che dà puntifermi a chi ne cerca.La formazione ignaziana ci hasempre invitati a non essere egoistie indifferenti alle vicende umane,stimolandoci piuttosto ad una pre-cisa attenzione per il prossimo: uo-mini e donne “per” e “con” gli altri,come hanno detto Padre Arrupe ePadre Kolvenbach. La pedagogiaignaziana, infatti, ruota su treprincipi fondamentali: l’esperien-za, la riflessione e, infine, l’azione.Fare esperienza, riflettere sull’espe-rienza vissuta e rendere, di conse-guenza, l’azione più efficace.Molteplici sono le opportunitàproposte in questa direzione: fare

esperienza del prossimo nella no-stra città, tramite l’aiuto prestatodal Centro Astalli agli immigrati:il servizio mensa, il doposcuola peri bambini e la scuola di italianoper gli adulti, per i quali è fonda-mentale imparare la lingua per po-tersi integrare nella società. Molto importante un’attività diquesto tipo anche in considerazio-ne dei sempre più frequenti episo-di di intolleranza nei confrontidella presenza di immigrati nel no-stro paese, che devono metterci inallarme e spingerci a riaffermareprincipi di solidarietà e di acco-glienza, centrali nella nostra fede.Oggi, purtroppo, certa parte delmondo politico mostra di dare piùvalore alla forma che alla sostanzadella nostra fede, più alla difesa disimboli, pure importanti, che nonal rispetto di quei valori che stan-

no loro dietro. Perciò la formazio-ne da trasmettere deve essere basa-ta sul rispetto della diversità, chenon va considerata come un ri-schio, ma come fonte di arricchi-mento personale, prima, e cultura-le, poi.Altre iniziative rivolte alla nostrasensibilizzazione sui temi della so-lidarietà e dell’accoglienza sonostate : l’esperienza fatta da alcunidi noi in Romania o, dopo il terre-moto in Abruzzo, all’Aquila o an-cora i progetti di adozione a di-stanza tramite il MAGIS (Movi-mento e Azione dei GesuitiItaliani per lo Sviluppo) a cui ade-riscono varie classi. È proprio dal-l’attività del MAGIS nel mondoche emergono i tre punti della pe-dagogia ignaziana e la precisa vo-lontà, dopo l’esperienza e la rifles-sione, di costruire un’azione più

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Essere giovani con Sant’Ignazio

DI GIOVANNI ARGIROFFI1

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efficace non solo per affrontare iproblemi immediati ma per ana-lizzarne le cause e risolverli defini-tivamente. Dunque ci viene tra-smessa un’educazione volta ad agi-re in modo mirato e pianificato,solo dopo avere analizzato la realtàe avere riflettuto su di essa.Tutti questi sono spunti per trova-re un senso che ci orienti nella fe-de in questo periodo di passaggio,che viviamo in un contesto di crisimorale e economica del nostropaese. In più, qui in Sicilia, neigiovani si manifesta spesso unoscoraggiamento che li spinge a la-sciare definitivamente la nostra re-gione a causa delle scarse prospet-tive di buoni studi universitari e,soprattutto, di lavoro. Questa con-dizione che purtroppo interessa lanostra regione difficilmente in fu-turo potrà cambiare se non si sapràscommettere, tra l’altro, sulla no-stra educazione.In questo panorama è importanteun’educazione mirata ad un impe-gno nel sociale, che sintetizzi in séla morale cattolica e un sentimen-to di servizio per lo Stato, in parti-colare in una zona come la Siciliain cui si deve puntare molto sullalegalità e sulla lotta al fenomenomafioso. Quindi impegnarsi sullaformazione di una generazione diuomini che mettano a pieno frut-to i loro talenti, a disposizione del-la società.Spesso mi accorgo, quando affron-tiamo in classe dibattiti sull’attua-lità, che in molti hanno un giudi-zio critico nei confronti della ge-rarchia ecclesiastica e, inparticolare, di quella parte di essache si inserisce nel dibattito politi-co, a volte addirittura schierando-si apertamente, e che sembra percontro sempre più lontana dal

ruolo di guida dei fedeli, per cui èvotata. Potrebbe essere interessante, aquesto scopo, avviare un progettosulla storia della Chiesa e sul suoordinamento interno per com-prendere meglio i meccanismi chela caratterizzano e per guardare adessa con maggiore consapevolezza.Un’ attività a cui tutta la scuola,dalle materne ai licei, partecipa èla Fiera Missionaria, giornata diraccolta di fondi a sostegno dellemissioni delle Ancelle e dei Gesui-ti. E’ stimolante vedere come tuttiquanti, alunni, genitori, docenti edipendenti, collaborino, ognunonel campo che preferisce o in cuiriesce meglio; vengono proposte lepiù disparate attività in un climadi collaborazione, che sottolinea ilnostro senso di appartenenza aduna stessa comunità. La nostra scuola, sita in una via in-titolata ad una vittima di mafia,affronta un progetto mirato alla le-

galità che si articola durante tuttol’anno in svariate attività che com-prendono tutti gli alunni, dai piùgrandi ai più piccoli.Un’altra esperienza significativa sisvolge il 23 Maggio, giornata de-dicata al ricordo di tutte le vittimedi mafia, in occasione della qualepartecipiamo ad una marcia orga-nizzata ogni anno da varie orga-nizzazioni, che ripercorre alcunetappe significative della nostracittà, simbolo della lotta al feno-meno mafioso.Questa marcia si conclude a scuo-la con la celebrazione di una messaall’aperto, che è vissuta da tutti noiin modo molto intenso, perché cisentiamo uniti come scuola e co-me città, nel ricordo di modellicosì importanti, che hanno lascia-to una scia che noi dobbiamo se-guire …Potrebbe continuare ancora l’elen-co di esperienze da noi vissute, maemerge chiaramente l’intensità delprogramma della pedagogia igna-ziana, che mira a costruire una ge-nerazione sensibile alle situazionidi maggiore disagio e al tema del-la legalità, una generazione cherappresenti una svolta nel tessutosociale del nostro paese ma, in par-ticolare, nel mondo cattolico. Es-sere un buon cristiano e un buoncittadino, sapendo separare i duecampi, ma sapendo agire in ma-niera coerente in entrambi.

1 Alunno del IV classico sez. A, CentroEducativo Ignaziano, Palermo.

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S iamo nel mezzo di una crisiglobale, una crisi economicae finanziaria che, secondo gli

analisti, non ha ancora raggiuntoil suo culmine. Si tratta solo di unacrisi economica o piuttosto diqualcosa di diverso, di più impat-tante? Nelle città tradizionalmenteindividuate come “luoghi di be-nessere economico” si respira un’a-ria pesante, iniziano a scarseggiarele opportunità di lavoro, l’indivi-dualismo impera, non ci sono piùluoghi di aggregazione sociale. Sifa pressante l’emergenza educativae formativa. Tuttavia crescono leassociazioni di volontariato, c’è daparte della gente un rinnovato de-siderio di spiritualità.

Un passaggio epocalePochi si rendono conto che questanon è una “normale crisi” comequella degli anni ’90, o le altre chel’hanno preceduta, è più “grave”,più complessa, più profonda. Co-me sostengono i sociologi, siamoin un momento di transizione d’e-poca, parole forse troppo enfatichema che sottolineano l’intensità delcambiamento sull’impatto dellenuove tecnologie, prime tra tuttequelle informatiche, sul mondodella produzione, della quotidia-nità, della comunicazione dellacultura e anche della spiritualità.Un cambiamento che ogni giornoci rivela una realtà inedita che po-co alla volta prende consistenza eche dobbiamo seguire per forzacon spirito di adattamento. La sto-ria non ha mai vissuto un cambia-mento così “globale” e rapido findai tempi della scoperta dell’Ame-rica, forse, e delle altre scopertegeografiche. Dai tempi, cioè disant’Ignazio di Loyola e della na-scita della Compagnia di Gesù.

Siamo al termine di un’era caratte-rizzata dal positivismo, razionali-smo, estremamente tecnocentrica,della “fede in un progresso lineare”e delle verità assolute, della stan-dardizzazione di produzione econsumi e, purtroppo della stan-dardizzazione delle coscienze trop-po influenzate da fattori esterni edalle ideologie. Moltissime persone (e non si parlasolo di anziani, anzi) non riescono anon condividere il vecchio sistemadei valori e degli stili di vita di que-st’epoca che ormai è alla fine, nonriescono a staccarsi a “disapprende-re”, come direbbe Antony de Mello,per proiettarsi verso il nuovo e l’i-gnoto. Per contro, esiste tuttaviauna nuova serie di soggetti ancora“disorganizzati”, una nuova comu-nità allo stato nascente trasversale(non appartenente cioè a nessunareligione dichiarata o che si dichia-rano ad esempio atei) che interpretabene questa discontinuità perchériesce a catalizzare tutto ciò che dinuovo sta emergendo. Sono gli “in-novatori”, gli esploratori del cam-biamento, coloro che per carattere,professione, attitudini o forma men-tis, luogo di residenza o altro sonoabituati a vivere nella discontinuitàe a non sentirsi mai giunti alla finedi un percorso. Sono i curiosi. Poco per volta aumenterà questodivario tra stili di vita di coloroche non vogliono, per eccessivaautostima e paura, lasciare le pro-prie certezze e adeguarsi al cam-biamento e coloro che invece so-no, saranno, naturalmente portatiad andare avanti a scommettere suse stessi a cavalcare il cambiamen-to e seguire una “piena di curve”anziché una “strada diritta”. Colo-ro che saranno disposti a sentirsicostantemente incompiuti.

Ma cosa stiamo abbandonando?I sociologi dicono che stiamo ab-bandonando l’epoca delle ideolo-gie, delle certezze, della razionalitàdel vedere le cose sempre e solo se-condo modelli predefiniti e prede-terminati, del vivere la quotidia-nità secondo regole anacronistichee obsolete per il mondo che abbia-mo intorno modelli addirittura,come quelli psicologici, tendentiad “incasellarci” dentro categorieche “dovrebbero” avere un certocomportamento dal quale non bi-sogna discostarsi perché altrimentisi è ritenuti folli, pazzi, inadatti avivere questo mondo. Stiamo lasciando l’epoca dell’ec-cessiva “austerità o rigidità” che dàsicurezza e facilita l’ordine, perpassare ad un’epoca in cui anche ladimensione religiosa dovrà assu-mere connotati diversi, meno au-steri, più flessibili, più tolleranti equindi certamente veri e addirittu-ra più evangelici. Stiamo lasciando, in un certo sen-so, l’epoca del “cervello sinistro”(della razionalità, dell’ordine, delmaschilismo anche) per inoltrarciforse in un’epoca del frammento,della pluralità della volatilità dellamolteplicità dei punti di vista, del-l’assoluto rispetto delle diversità:un’epoca cioè del “cervello destro”quello delle emozioni, del sorriso,del pianto, del caos in un certosenso inteso come discontinuità,del femminino, come direbbeTeilhard de Chardin... ma senzadubbio un’epoca caratterizzata damaggiore Verità, umanità, nuoviparadigmi relazionali, e più spiri-tualità. Un’epoca più spirituale.Tuttavia occorre puntualizzare chela ricerca del “nuovo”, la necessitàdi innovazione in tutti i campi chesegna il passaggio tra epoche non è

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Passaggio epocale,crisi economica e spiritualitàDI CRISTINA ALLODI1

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solo una moda, un clichet maqualcosa di più, ossia un bisognopratico, “un’ansia intellettuale disegnare una demarcazione che diaconto di una sensazione che un po’tutti abbiamo: la sensazione di vive-re un’epoca di discontinuità rispettoal paradigma classico elaborato du-rante il secolo del fordismo e vigentecome modello di riferimento fino al-meno al 1970. Da allora ci stiamoallontanando da un centro di gra-vità senza averne ancora trovato unaltro2”.

La complessitàL’atteggiamento con cui inoltrarsiin queste tematiche è quello deigrandi esploratori del ’500 che siavventuravano nell’hic sunt leones,se vogliamo capire questo “nuovo”che ci circonda gestendo così lacomplessità senza subirla. Un at-teggiamento di disponibilità all’i-gnoto, all’incertezza, all’incom-piutezza...l’assunzione di un ri-schio. Ancora un volta vediamoemergere similitudini con l’epocadelle grandi scoperte geografichesolo che questa volta non c’è ilmondo da scoprire ma l’universo,e l’uomo nella sua più profondanatura, quella spirituale. La complessità, o la turbolenza,per usare un termine tecnico, inte-ressa tutto dai sistemi fisici e biolo-gici, a quelli economici e culturalie sociali. Nel recente passato, checome abbiamo detto era un perio-do più razionale e dei modelli, sitendeva a prendere distanza dallacomplessità mentre oggi dobbia-mo conviverci, abituarci a farloper non soccombere. In passato siparlava semmai di complicazione,parola semanticamente prossima,che tuttavia descrive qualcosa cheinvece può essere spiegato e reso

semplice; ciò che è complesso nonsi può semplificare se non perden-do irrimediabilmente qualcosa diessenziale. Nel risolvere una situa-zione complessa nel decidere chestrada prendere si dovrà per forzaoperare una rinuncia e fare unascelta, discernere. La ricerca della semplicità, infattiper non essere banalizzazione, de-ve nel caso essere volta all’elimina-zione del superfluo e dell’attribu-zione di un significato diverso aciò che resta, saper coglier invecela complessità trovando al suo in-terno anche una limitata conti-nuità è un atteggiamento “spiritua-le” e, in questo senso si può direche si sta andando verso un’epocapiù spirituale delle precedenti.L’uomo spirituale è l’uomo che ac-cetta l’incompiutezza naturale del-l’essere creatura di un Dio che crea ilmondo di continuo ed è spinto sem-pre oltre più in là sempre verso ilnuovo. L’uomo spirituale è coluiche osserva e ascolta la creazionecon riconoscenza, la percepisce co-me parte di sé, come frammentodi un Uno cosmico, la spiritualitànon è un evento lineare prevedibi-le, lo Spirito “soffia dove vuole enon sai da dove viene e dove va”. Il mondo complesso è quello carat-terizzato dalla complessità non li-neare, e in un mondo complessopiccole cose o persone alla’apparen-za insignificanti, possono dar luogoa grandi effetti a catena generandol’imprevedibilità. Per molti questacomplessità è fonte di estremosmarrimento perché non sono an-cora abituati a considerarla comeopportunità e potenziale ricchez-za, difetto enorme questo soprat-tutto nella vita di fede dove ci sisente a casa nell’uguaglianza e nonnella diversità e dove l’Altro da me

è una minaccia. In questo mondoperò la complessità sarà una con-dizione irriducibile ed ineluttabilee se da una parte genera confusio-ne ed incertezza, dall’altra offre lapossibilità di pensarci in modonuovo. Chi si smarrisce, si irrigidi-sce o si chiude o fa riferimento a“regole umane”, non vive la spiri-tualità ma si adatta ad una religio-ne che però a sua volta non si è an-cora adeguata ai tempi che cam-biano ma dovrà farlo.

Ma allora dove sta la sfida?La grande sfida è tra cambiamentoobbligato, che non si può scegliere,che non è appunto opzionale e la pe-ricolosissima inerzia del “tutto comeprima”: un cambiamento non finea se stesso per cambiare ma per en-trare in sintonia con una societànuova profondamente diversa dal-la precedente. Riappropriarsi diuna nuova armonia, un riallinearsicon nuovi paradigmi senza lapreoccupazione di controllare tut-to perché è impossibile, questo èun atteggiamento spirituale. Que-sto riappropriarsi questa rinnovataarmonia con una evoluzione e unprogresso naturale che è il segnoche la creazione non ancora ter-minata ed è segno che Dio esiste.Una goccia d’acqua che si spandenell’acqua, le fluttuazioni delle po-polazioni animali, la linea frasta-gliata di una costa, i ritmi della fi-brillazione cardiaca, l’evoluzionedelle condizioni meteorologiche,la forma delle nubi, gli errori deicomputer eccetera… sono tutti fe-nomeni che possono suscitare cu-riosità, stupore e meraviglia in unbambino o impegnare per anniuno scienziato con un solo trattocomune: per la scienza tradiziona-le appartengono ad regno del-

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l’informe dell’irregolare, in altreparole al caos. E sono decenni chegli scienziati di diverse disciplinestanno scoprendo che dietro alcaos c’è in realtà un ordine nascostoche dà origine a fenomeni com-plessi a partire da regole semplici.E che cosa può essere questo ordi-ne nascosto se non la mano di Diodel creatore, la prova della sua esi-stenza. La scommessa oggi sta pro-prio nell’individuare l’ordine chesottende al caos dipanando la ma-tassa senza banalizzarla avventu-randosi senza perdersi in un mon-do discontinuo.La linearità, infatti, è consideratasinonimo di comprensione, sem-plicità, ordine, il caos invece è ri-tenuto segno di disordine, di insie-mi magmatici, imprevedibili e didifficile comprensione, ma Dio èincomprensione, Dio è ignoto Dioè il mistero. Ma il sistema di cer-tezze su cui la moderna societàaveva edificato le sue convinzioniin particolare il primato dellascienza, la possibilità di prevederel’evoluzione di un fenomeno sullabase delle conoscenze e dei model-li comincia a manifestare nume-

rose falle. Il caos diviene espressio-ne della complessità e non può es-sere considerato come casualità,come random appare invece comeun ordine tanto complesso dasfuggire alla comprensione umana.

ConclusioniIl passaggio epocale che stiamo vi-vendo è caratterizzato da una cre-scente complessità dovuta al natu-rale sviluppo del progresso, giàammettere questo fatto, riconosce-re che nulla ormai può essere pre-visto con precisione, ammettereche prossimamente occorrerà esse-re capaci di “affidarsi” di più, si-gnifica trovarsi in un atteggiamen-to “spirituale”. Il non “sedersi” su vecchi paradig-mi significa essere pronti al cam-biamento e adeguarcisi, significaessere flessibili ed innovativi. Signi-fica vivere nell’incertezza, sentirsiincompiuti ed accettare il fatto chela creazione è ancora in atto. Signi-fica vivere una dimensione spiri-tuale. E lavorare per lo sviluppocon questo atteggiamento è coo-perare alla opera creatrice del Si-gnore.

1 Consulente in Marketing Strategico,membro dell’esecutivo CVX e della comu-nità di Parma.2 Enzo Rullani, L’impresa intelligente fattadi imprese e di servizi”, in «L’impresa», nº 2,2007.

T E S T I M O N I A N Z E

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Isola d’Elba in invernodurante la preghiera del mattino.

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Ho studiato ingegneria elet-tronica e lavoro in un’a-zienda leader nel settore

della strumentazione per la misurameccanica ad alta precisione, vici-no a Bologna. I primi mesi del2009 sembrava che la crisi econo-mica non ci riguardasse. L’annoprecedente l’azienda aveva ottenu-to ottimi risultati e l’onda della cri-si ancora non si vedeva all’orizzon-te. Poi a marzo cominciarono a gi-rare voci preoccupanti e dopo unpaio di settimane, come una doc-cia fredda, arrivò la notizia che l’a-zienda avrebbe chiesto la cassa in-tegrazione2 per 500 dipendentiperché gli ordinativi erano dram-maticamente calati, in alcuni re-parti anche del 50-60%. Da lì apoco ho iniziato a stare a casa duegiorni a settimana e una settimanaintera ogni mese. A conti fatti igiorni lavorativi in un mese sonodiminuiti di oltre la metà e lo sti-pendio ha subito un taglio signifi-cativo. La mia situazione non è frale peggiori. Pochi giorni fa all’in-gresso di un’azienda vicina alla miac’era un picchetto di lavoratori insciopero e uno di loro aveva uncartello con la scritta: “Dal 3 mar-zo 2009 ho lavorato 2 giorni al me-se”. Molte imprese in Italia, soprat-tutto medie e piccole, hanno dovu-to chiudere o operare drastici taglie licenziamenti per sopravvivere.Molte persone e famiglie sono inseria difficoltà e non vorrei conquesto articolo dare l’impressionedi voler liquidare semplicistica-mente le conseguenze della crisiche pesano sulla gente. Cercheròcomunque di raccontare quel chevivo e portare qualche riflessione apartire dal mio punto di vista che,come leggerete, è un punto di vi-sta particolare.

La comunità in cui vivoPrima di prendere in considerazio-ne come le conseguenze della crisieconomica abbiano cambiato ilmio quotidiano, è necessario fareuna premessa raccontando qualco-sa sul luogo dove abito perché haun’evidente influenza sul mio sen-tire e vivere questo particolaretempo. Si chiama “Maranà-tha” edè una comunità di famiglie legataalla spiritualità ignaziana e allaCompagnia di Gesù3. Siamo cin-que famiglie e un single e viviamoin due case vicine, in aperta cam-pagna, a nord di Bologna. Io e miamoglie siamo arrivati qui nel2000, sposati da meno di un an-no, e oggi abbiamo tre figli natu-rali e una figlia ormai maggioren-ne, che è stata in affido per diversianni. La comunità fa accoglienzain varie modalità: minori attraver-so l’affidamento familiare, fami-glie in difficoltà, adulti con disagipsichici e sociali, donne sole configli che necessitano di aiuto o diun allontanamento da casa, perso-ne in discernimento vocazionale.Ogni famiglia della comunità haun appartamento ma ci sono an-che degli spazi comuni per man-giare insieme o riunirci, degli spaziper le accoglienze ed una cappellaper la preghiera dove ci troviamoogni giorno, mentre una famigliaa turno si occupa dei bimbi di tut-ti. Pranziamo insieme, dal lunedìal venerdì, mentre le cene e i pastidei giorni festivi sono in famiglia.Ogni settimana abbiamo un in-contro comunitario, momentoprivilegiato di condivisione dove sidiscute e si prendono decisioni in-sieme, per esempio riguardo a ri-chieste di accoglienza o a spese daaffrontare. Periodicamente abbia-mo un tempo di preghiera partico-

lare che chiamiamo “condivisionecomunitaria”: nel silenzio, davantial crocifisso in cappella, chi lo de-sidera condivide qualcosa dellapropria vita. È un momento perraccontare, aprire il cuore, lodareed esprimere le fatiche, in un cli-ma di preghiera e ascolto. Alcuni di noi, come me, hanno unlavoro esterno alla comunità men-tre altri lavorano all’interno. Glistipendi confluiscono in un’unicacassa comune da cui poi ogni fa-miglia preleva il necessario. Le ca-se non sono di proprietà delle fa-miglie ma di un’associazione divolontariato che ne cura e garanti-sce l’uso per finalità sociali.Cerchiamo di mantenere uno stiledi vita caratterizzato da una certasobrietà e ci aiutiamo in questo at-traverso la raccolta di vestiti usati,che spesso utilizziamo per noi oper i figli, e aiuti alimentari (pro-dotti in scadenza, pasti avanzati damense comunali, frutta e verdurainvenduta del mercato ortofrutti-colo) che arrivano in comunità oche andiamo a prendere.Il nostro stile di vita nasce dal de-siderio di poter vivere insiememettendo al centro la Buona Noti-zia, la parola di Dio, la condivisio-ne e la fraternità, così come face-vano le prime comunità cristianedescritte nel capitolo 2 del librodegli Atti. E allo stesso modo diquelle comunità, capita anche anoi di dividerci, litigare o ferircima abbiamo sperimentato più diuna volta che è possibile gestire ilconflitto, perdonare, cercare dinuovo la relazione con l’altro equesto è vero, credo, nella misurain cui ciò che ci tiene insieme è so-prattutto l’amicizia comune con ilSignore Gesù.Per me le dirette conseguenze del-

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Non tutto è perduto

DI FABRIZIO MARCHETTI1

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la crisi sono state due: meno entra-te e più tempo a disposizione. Lamia riflessione e testimonianzaparte proprio dal primo punto,quello economico.

Crisi e PovertàNel secolo scorso il modello di fa-miglia era allargato: nonni, genito-ri, fratelli, zii e cugini vivevanonella stessa casa. Oggi invece la fa-miglia è mononucleare, con pochifigli e tendente a far diventare ilproprio appartamento un luogodove fare il nido, dove chiudersidentro lasciando fuori i problemidel mondo e delle altre persone.Questa crisi può diventare un’oc-casione per riprendere coscienzache non è possibile lasciare il mon-do fuori, che le nostre scelte eco-nomiche e il nostro stile di vitahanno un peso e un effetto sul pia-neta e sulla società. La crisi staportando ad un allargamento deldivario tra ricchi e poveri anche inItalia: i poveri aumentano, i ricchidiminuiscono e sono sempre piùricchi. Diventa un po’ più difficilenascondersi, fare finta di niente,non vedere la solitudine del vicinodi casa o della famiglia amica im-provvisamente in difficoltà. La no-stra comunità è un piccolo osserva-torio dove è possibile vedere comenegli ultimi anni le richieste di aiu-to e di accoglienza collegabili allacrisi economica, siano aumentate4.I problemi di lavoro, a volte dram-matici, tendono a disgregare ulte-riormente famiglie dove magarisono già presenti delle difficoltànella coppia. A volte invece sonointeri nuclei familiari che non ce lafanno più ad andare avanti. Sonoaumentate anche molto le doman-de di aiuto per persone adulte conproblemi di depressione che han-

no perso il lavoro o che fanno fati-ca a mantenerne uno. È impossibi-le rispondere a tutte le richiesteche arrivano ma è possibile inveceportare nel cuore le persone o le si-tuazioni e farle diventare preghie-ra. Così mi sembra che negli ulti-mi anni la preghiera di intercessio-ne stia diventando sempre piùimportante nella mia vita e semprepiù presente nell’incontro di pre-ghiera quotidiano della comunità.Quando ero più giovane pensavodi poter cambiare il mondo macon il passare degli anni sto pren-dendo coscienza di tanti miei limi-ti e di non essere capace a volte dicambiare neanche me stesso. È unlavoro di purificazione da un certoegocentrismo e idealismo, che ilSignore porta avanti nella vita diognuno. Credo che la preghiera diintercessione, fatta con semplicitàe amore, sia davvero uno strumen-to efficace e da riscoprire per alle-narci alla fiducia che il mondo e lepersone sono nelle mani del Si-gnore. Nello stesso tempo crescein me la consapevolezza che Dioagisce nella storia attraverso coloroche ascoltano il grido del povero ese ne fanno in qualche modo cari-co. A volte il farsene carico può es-sere uno sbilanciamento concreto,secondo le possibilità di ognuno.Altre volte la preghiera. Quelloche come cristiani non possiamopermetterci è invece l’indifferenza,figlia di un individualismo che ca-ratterizza questo tempo.

Crisi e stile di vitaVorrei tornare sull’idea della crisicome occasione per rivedere il pro-prio stile di vita. Il modello capita-listico, dopo la caduta del muro,non ha avuto più quella contro-parte che in qualche modo lo bi-

lanciava e si è trasformato in uncapitalismo sfrenato e senza rego-le. Il consumismo è la diretta con-seguenza di questo modello contutte le sue implicazioni negativein termini culturali ed ecologici.Inevitabilmente lo stile di vita, so-prattutto nei paesi occidentali, ècambiato e, quasi senza accorger-cene, oggi ci ritroviamo circondatida tante e troppe cose, molte dellequali forse poco necessarie. Quin-di la crisi ci può aiutare a rifletteresui nostri consumi e a pensare mo-delli di vita alternativi. A Maranà-tha stiamo sperimentando qualco-sa di nuovo in questo senso. Unodi noi si occupa nel tempo liberodi recuperare materiali riciclabilicome ferro, rame, alluminio, otto-ne e venderli a peso nei punti diraccolta. L’anno scorso abbiamoinstallato due impianti fotovoltai-ci piuttosto grandi. Non avevamoil denaro per questo progetto ma,grazie ad alcuni amici che ci han-no dato fiducia e fatto dei prestiti,oggi produciamo energia elettrica.Una bella scommessa sul sole checi fa risparmiare parecchio ed evitaqualcosa come 20 tonnellate al-l’anno di emissione di CO2. Maciò che più influenza il nostroquotidiano è la scelta di fare cassacomune e di condividere i beni,che in questi anni mi ha fatto spe-rimentare la verità del Vangelo:quando si dividono i pani e i pescisi scopre che ce n’è per tutti. Noncredo sia necessario pensare ad unmiracolo nel senso comunementeinteso. Il vero miracolo è che qual-cuno rinunci all’istinto di tenereper sé ed accumulare, a quel pun-to la condivisione può diventarecontagiosa ed il risultato è unamoltiplicazione. In comunità c’èchi guadagna di più e chi meno e

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alcune famiglie hanno dei redditiche non consentirebbero di viverein un contesto normale. La cassacomune e la condivisione dei beniinvece lo permettono e si liberanoenergie e risorse interne alla comu-nità. Diventa così possibile che al-cuni di noi possano seguire le ac-coglienze, essere una presenza perle persone che passano a trovarci(spesso bisognose di ascolto), ge-stire la struttura e l’associazione divolontariato, coltivare l’orto o pre-parare il pranzo comunitario.Dire però che le scelte economicheche abbiamo fatto nella vita comu-nitaria ci consentono di non averepreoccupazioni ed essere immuniad ogni conseguenza della crisi sa-rebbe falso. Non è un periodosemplice da questo punto di vista.Il mio stipendio è diminuito,un’altra persona ha perso il lavoroe fa fatica a trovarne uno nuovo,un’altra è da anni in una situazio-ne di precarietà lavorativa e si è vi-sta chiudere la possibilità di unposto fisso. Più volte la nostra cas-sa comune è arrivata quasi al rossoe questo ci ha costretti ad un mag-giore confronto e attenzione sullagestione dei beni e del denaro. Èun tema delicato perché muovedentro di noi paure che sono natu-ralmente insite in ogni uomo eperché il confronto su questi temiimplica una definizione di cosa èla sobrietà che può cambiare a se-conda del vissuto di ognuno.La spiritualità ignaziana è un gran-de aiuto in questo confronto:quando ci ritroviamo la sera per ilnostro incontro comunitario setti-manale, iniziamo sempre recitan-do “Principio e Fondamento”, peraiutarci a ricordare che nella vitanon ci sono cose buone o cattivema ogni realtà creata può essere

buona se ci aiuta a camminare ver-so Dio, o cattiva se ci allontana daLui. Faccio un esempio per spiega-re come questo criterio sia impor-tante: supponiamo che un fratellocondivida la volontà di comprarsiuna mountain bike. Io gli potròconsigliare un posto dove la trove-rebbe ad un buon prezzo, o maga-ri usata, ma non posso dirgli cheavere una mountain bike non èuna cosa necessaria perché se an-dare a fare ogni tanto delle escur-sioni in bicicletta in montagna èper lui un aiuto a stare bene e a lo-dare il Signore, allora la mountainbike è importante e necessaria.Questo criterio deve guidare il no-stro confronto e le decisioni eco-nomiche, anche in questo tempodi crisi. Ovviamente ciò è possibi-le se esiste una reciproca fiducia edil comune riconoscimento di unlimite di base: nessuno di noi pen-sa di comprarsi una Ferrari perchéquesta lo fa star bene e lo avvicinaal Signore!...

Crisi e tempoVeniamo alla seconda conseguen-za diretta della crisi nella mia vitaquotidiana: la questione del tem-po. Lavorare di meno significaavere più tempo, ma per cosa? Hosentito alcuni miei colleghi di la-voro affermare di essere in diffi-coltà di fronte a tutto questo tem-po a disposizione. È paradossale.Siamo talmente abituati a viverefreneticamente le nostre giornate,correndo di qua e di là nell’im-pressione costante che non ci siamai tempo per fare quello che vor-remmo davvero, che quando ilmeccanismo si inceppa e ci ritro-viamo fermi ci rendiamo contoche “quello che vorremmo davve-ro” non è poi così chiaro in noi. Il

tempo passa e ci scivola tra le ditae se non troviamo subito qualcosaper riempire nuovamente le gior-nate, abbiamo l’impressione dibuttarlo via. Certo il tempo è pre-zioso, così prezioso che nella scrit-tura la prima cosa che Dio santifi-ca non è uno spazio geografico mauno spazio temporale: il sabato.“Dio benedisse il settimo giorno elo consacrò, perché in esso avevacessato da ogni lavoro che eglicreando aveva fatto.” (Gn 2,3). Vi-vere il sabato non vuol dire soloastenersi dal lavoro ma anche en-trare in un tempo privilegiato perla relazione con chi ti è più vicinoe con il Signore. La scrittura noninvita all’ozio, ma ad usare bene iltempo che ci è donato e questa èun’arte che appartiene più alla spi-ritualità che alla capacità di orga-nizzare e ottimizzare concreta-mente i tempi. Significa cercare divivere il tempo, come insegna labibbia, un po’ più come una realtàqualitativa e meno quantitativa:“C’è un tempo per piangere e untempo per ridere, un tempo pergemere e un tempo per ballare,…un tempo per gettare sassi e untempo per raccoglierli,… un tem-po per serbare e un tempo per but-tar via.” (Qo 3,4 ss). Nel mio casopotrei dire: “C’è un tempo per la-vorare fuori e un tempo per staredentro e dedicarsi ad altro...”. Edogni tipo di tempo è un dono danon sprecare, nel senso che è dacomprendere e vivere pienamente.Seguendo queste riflessioni cercodi vivere le giornate a casa dal la-voro come un’occasione per im-mergermi in modo più intensonella vita familiare e di comunità.Ciò che sto vivendo mi fa dire cheè davvero un tempo prezioso. Ilmio lavoro è molto tecnico e piut-

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tosto povero dal punto di vista re-lazionale, così non essere per ottoore al giorno immerso con mentee corpo in quella realtà mi permet-te di capire meglio alcune dinami-che e, dono preziosissimo, ho piùtempo per le relazioni. E tra le re-lazioni c’è soprattutto quella conmia moglie. Spesso l’esperienzache faccio arrivando dopo unagiornata in ufficio è di trovarla di-strutta che dice: sono stanca mor-ta, ho passato la giornata fra lava-trici, pulizie, bimbi che litigano,compiti, pannolini da cambiare,pappe, cose da cucinare, telefoniche squillano, richieste, imprevisti,ecc... Ed io fatico a capire e a met-termi nei suoi panni. Adesso unpo’ meno.

ConclusioneCi sono molti segnali che mettonoin evidenza come la crisi che stia-mo vivendo non sia semplicemen-te una crisi finanziaria e dell’eco-nomia reale ma abbia una portatamolto più ampia. È una crisi glo-bale che riguarda le basi stesse delnostro modo di vivere: la cultura,l’identità, la politica, la democra-zia partecipativa e infine il model-lo economico capitalistico. È unacrisi strutturale perché siamo da-vanti ad un cambio di civiltà5. Manon dobbiamo spaventarci, questotempo escatologico è di fatto unagrande occasione per cambiare eripensare tante cose. Per un cre-dente che abbia una visione esca-tologica della storia, ogni tempo dicrisi e quindi di prova è uno spazioin cui è possibile crescere nella fe-de e nella libertà. Credo che siamochiamati a vivere sempre di piùun’azione concreta radicata nellacontemplazione. Le nostre opzionidi fondo, fondate sul Vangelo, de-

vono concretizzarsi e diventarequotidiane e questo richiede che sifacciano alcune scelte grandi masoprattutto molte piccole scelte.Per dirla con altre parole credo cheil Signore abbia bisogno di moltepersone che vivano le piccole cosedi ogni giorno in modo santo piùche di pochi santi che faccianograndi cose.

1 L’articolo è tratto dalla rivista CIS direttada Padre Edward Mercieca S.I. 2 La Cassa Integrazione Guadagni è un am-mortizzatore sociale introdotto in Italia nel1951 che consente ad un’azienda di ridurreil numero di giorni lavorativi dei dipenden-ti i quali riceveranno di conseguenza un’in-tegrazione dallo stato. Quando c’è una so-spensione totale dal lavoro si dice che lacassa è a “zero ore”.3 La comunità ha un sito web dove si pos-sono trovare maggiori informazioni:www.maranacom.it4 Le richieste di accoglienza ci pervengonoda diversi servizi sparsi sul territorio, siapubblici che privati (servizi sociali, Caritasdiocesana o parrocchie), spesso dalla rete diamicizie e conoscenze anche interna allaCompagnia di Gesù in Italia.5 Applicando gli strumenti concettuali for-niti dall’antropologia culturale, possiamodire che stiamo vivendo una crisi non me-ramente congiunturale, ma di natura strut-turale. La crisi congiunturale è data dalcambiamento degli equilibri interni alla so-cietà, ma senza variazioni apprezzabili delquadro generale della cultura e dei valori. Efinché questi reggono, reggono anche leistituzioni ad essi ancorate: la famiglia, lascuola, il sistema politico... Ovviamente,gli equilibri sociali si rinnovano col mutaredelle generazioni, ma rimangono all’inter-no del medesimo quadro di valori, dellamedesima civiltà, che può durare a lungo.Quando invece si trasformano la cultura e ivalori su cui si regge l’equilibrio istituzio-nale, allora la crisi diviene strutturale, leistituzioni non reggono più ma vannoriformate e ripensate. Finisce una civiltà ene inizia un’altra. La crisi strutturale è unacrisi di senso. (Bartolomeo Sorge S.I., Ag-giornamenti Sociali 01/2008 pag. 11)

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