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Whately Carington TELEPATIA FATTI TEORIA DEDUZIONI E' uno dei testi capitali su cui si fonda la moderna concezione della telepatia. E' la fonte a cui attingere quelle conoscenze certe e accettate in una materia che molto si presta alle contaminazioni dilettantistiche. Casa Editrice Astrolabio WHATELY CARINGTON TELEPATIA FATTI, TEORIA, DEDUZIONI La migliore presentazione del libro è quella fornita dall'autore nelle pagine conclusive, che riportiamo: « ... Vi sono almeno due cose che a me sembrano indiscutibili: primo, che l'intelligenza meccanica dell'uomo ha per ora sorpassato la sua saggezza, tanto che egli è sulla via di distruggere la sua vantata civiltà e con essa se stesso; secondo, che la sua sola speranza a lunga scadenza in opposizione ai palliativi immediati è una migliore conoscenza e comprensione della sua stessa natura, del posto che occupa nell'Universo e particolarmente dei rapporti fondamentali che sussistono per natura fra uomo e uomo e fra gruppo e gruppo. Su questi problemi la fisica non ci da alcun lume; la fisiologia assai poco, la psicologia non ancora abbastanza.

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Whately Carington

TELEPATIA FATTI

TEORIA DEDUZIONI

E' uno dei testi capitali su cui si fonda la moderna concezione della telepatia. E' la fonte a cui attingere quelle conoscenze certe e accettate in una materia che molto si presta alle contaminazioni dilettantistiche.

Casa Editrice Astrolabio WHATELY CARINGTON

TELEPATIA FATTI, TEORIA, DEDUZIONI

La migliore presentazione del libro è quella fornita dall'autore nelle pagine conclusive, che riportiamo:

« ... Vi sono almeno due cose che a me sembrano indiscutibili: primo, che l'intelligenza meccanica dell'uomo ha per ora sorpassato la sua saggezza, tanto che egli è sulla via di distruggere la sua vantata civiltà e con essa se stesso; secondo, che la sua sola speranza a lunga scadenza

in opposizione ai palliativi immediati

è una migliore conoscenza e comprensione della sua stessa natura, del posto che occupa nell'Universo e particolarmente dei rapporti fondamentali che sussistono per natura fra uomo e uomo e fra gruppo e gruppo. Su questi problemi la fisica non ci da alcun lume; la fisiologia assai poco, la psicologia non ancora abbastanza.

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« Ma la scoperta moderna (il termine non è illegittimo in questa circostanza) dei fenomeni paranormali, e particolarmente i fatti della telepatia, ci hanno aperto la strada a tutto un mondo nuovo di indagini, un mondo che manifestamente è collegato ai problemi relativi alla composizione ultima del-

l'Uomo quanto la scoperta dei fenomeni elettrici lo è alla composizione della materia. Attualmente possiamo esplorare questo nuovo mondo solo a tastoni e col rischio di fare molti capitomboli e perdere spesso la strada; ma è meglio cadere ad ogni passo piuttosto che non provare mai a camminare ».

WATHELY CARINGTON è largamente conosciuto per i suoi lavori sulla telepatia, al cui studio ha dedicato esperimenti particolari. Oltre a questo che qui appare, e ad altri scritti di rilievo, è l'autore dei libri The Meaning of Survivd (II significato della sopravvivenza) e Matter, Mini and Meaning (Materia, mente, e significato).

C U3-8 0 0

TELEPATIA

FATTI, TEORIA, DEDUZIONI di

WHATELY C A R I N G T O N

Titolo originale dell'opera TELEPATHY AN OUTLINE

OF ITS FACTS, THEORY, AND IMPLICATIONS

(Methuen & Co. Ltd. London)

Traduzione di

DOLETTA OXILIA CAPRIN

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1948, Casa Editrice Astrolabio, Roma.

WHATELY CARINGTON

TELEPATIA FATTI

TEORIA DEDUZIONI

ROMA

ASTROLABIO MCMLXXII

PREFAZIONE

La telepatia è forse l'argomento più studiato e meglio approfondito in Metapsichica. Dalle prime "inchieste" della Society for Psichical Research sino alle prove sperimentali recenti di Warcollier, Tyrrell, Hettinger, Soal e Rhine, si è venuto accumulando un materiale estrema-mente vasto, tale da togliere ogni e qualsiasi dubbio circa la realtà del fenomeno; e

ciò che più conta

la teoria della telepatia ha fatto notevoli progressi, cosicché certe ipotesi sono state definitiva-mente scartate, mentre altre ci presentano la telepatia da punti di vista scientificamente e filosoficamente molto più profondi e persuasivi che non per il passato.

Nella letteratura di questi ultimi anni sulla telepatia, il volume dì W. Carington ha un posto preminente. L'Autore, morto da poco tempo, era uno dei metapsichisti moderni più sagaci, e possedeva come pochi i tre requisiti che ogni studioso di metapsichica dovrebbe avere: rigorosità, pazienza e larghezza di vedute. Anche la sua cultura era assai grande, e basta a dimostrarlo la prima parte dì questo libro, nella quale si da conto nel modo più esatto di tutto il lavoro sperimentale sulla telepatia compiuto dalle orìgini sino al 1945.

Ma l'opera di Carington è soprattutto notevole per il cospicuo "contributo personale" che l'Autore ha recato all'appassionante argo-mento, e ciò sia in sede pratica, sia in sede teoretica. Le prove da lui effettuate con i disegni

riferite nel cap. Ili

ci presentano la telepatia sperimentale sotto un aspetto più vivo e mosso, e quindi più vicino alla realtà psichica, che non quelle di altri studiosi; e non va dimenticato che il Carington sì è posto fra i primi il problema del confronto fra "immagini dì partenza" e "immagini d'arrivo", e ha divisato in proposito sistemi elaborati di critica e di giudizio.

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La teorìa che secondo il Carington da ragione non solo della tele-patia, ma di vari altri fenomeni metapsichici, e che rinnova schemi psicologici tradizionali, è quella "associazionistica". L'A. abbina quanto conosciamo del processo di associazione mentale alla tesi secondo cui gli inconsci psichici non sono necessariamente divisi e possono dar luogo a vari aggregati indipendentemente dalle individualità somatiche (teorìa degli "psiconi"). Ciò, beninteso, non è del tutto nuovo: ma 6 Prefazione

il modo di presentazione fattone dal Carington è avvincente, e si deve riconoscere che la teoria si avvalora del fatto stesso della sua euristicità. Se si pensa che, valendosi dello strumento di lavoro da lui divisato, VA. riesce a dire cose interessanti e nuove non soltanto sulle facoltà e sui fenomeni metapsichici soggettivi, ma su temi grandiosi e impor-tantissimi quali la sopravvivenza, il genio, l'ispirazione, la religione e la sociologia, la nostra ammirazione e il nostro interesse per una teorìa così ricca e feconda non può non accrescersi.

L'impostazione, in ispecie, del problema della sopravvivenza, ci sembra singolarmente nuova ed originale. Nessuno aveva con tanta indipendenza di pensiero capovolto il modo "classico" di formulare la questione; e le deduzioni che VA. trae dalle sue premesse appaiono al tempo stesso logiche e sorprendenti.

Noi crediamo che gli studiosi italiani si avvantaggeranno non poco della lettura di questo bellissimo libro. Per i metapsichisti esso segna una pietra miliare; agli scienziati, l'opera mostrerà, con loro probabile meraviglia, come la metapsichica si sia sviluppata, e con quanto diritto essa batta alle porte della scienza "ufficiale".

EMILIO SERVADIO

TELEPATIA

FATTI, TEORIA, DEDUZIONI

INTRODUZIONE

Questo mio libro si trova di fronte a due svantaggi, di cui non vedo come liberarmi. Il primo è che avrebbe dovuto essere scritto incominciando dalla fine; il secondo, che dovrebbe avere un altro titolo.

Riguardo al primo, gli argomenti trattati nella Parte III sono tali da poter interessare quasi tutti e da risultare certamente impor-tanti; sono convinto che le possibilità e le idee che vi espongo appa-riranno a molti quasi altrettanto eccitanti quanto lo sono apparse a me. Per quanto si riferisce all'importante questione di tener desto l'inte-resse del lettore, la cosa naturale da farsi sarebbe quella di iniziare con la terza parte. Ma i problemi in essa esaminati dipendono tutti, in misura maggiore o minore, dalla correttezza delle vedute, elaborate nella Parte II, relative alla natura della mente umana e ai suoi rapporti con il mondo fisico. E queste vedute a loro volta derivano dalla grande massa di osservazioni ed esperimenti, passati in rassegna bre-vemente e superficialmente, nella Parte I, che pochissime persone conoscono a fondo e dei quali moltissimi non hanno quasi sentito parlare; di modo che ingolfarsi immediatamente nella discussione sulle deduzioni dei fatti, senza aver prima dato un resoconto e una spiega-zione dei medesimi, equivarrebbe a fare una conferenza sulla televi-sione senza avere alcuna nozione di elettricità.

Quindi l'ordine di procedimento razionale, dalla osservazione e l'esperimento alla teoria e la sua spiegazione e dalla teoria alle dedu-zioni ed induzioni è l'ordine inverso di quello dell'interesse, cioè di quello che si dovrebbe seguire per tener desta l'attenzione del lettore. Ma non vedo in che modo evitarlo, per cui il lettore deve prepa-rarsi a sorbirsi un numero di pagine piuttosto grosso su un argomento relativamente noioso prima di raggiungere la parte interessante. Ma nulla gli impedisce di saltare e, se vuole, incominciare dalla Parte II o anche dalla Parte III

per quanto io non lo consigli

per poi leggere la prima parte, se necessario; certo non farà un gran male.

Riguardo al titolo la situazione è questa: è stato raccolto via via, in parte dalla vita di tutti i giorni e in parte nei laboratorì e negli

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esperimenti speciali, un vasto numero di osservazioni che suggeriscono 10 Introduzione

anzi dimostrano

che almeno alcune persone in determinate

condizioni possono venire a conoscenza di avvenimenti passati o lon tani o anche futuri in un modo che non può essere quello solito della percezione attraverso i sensi o della intuizione razionale. Tal volta sembra che questa conoscenza provenga da un'altra mente e non da quella della persona in questione (personalmente per ora credo che sia sempre così, ma posso sbagliarmi); in altri casi, secondo le apparenze, sembra piuttosto che agisca una specie di "sesto senso"

mi esprimo in termini approssimativi

e non un'altra mente. Per tradizione si chiama "telepatia" la prima categoria di casi e

"chiaroveggenza" la seconda. Letteralmente la parola "telepatia", deri-vante dal greco, potrebbe tradursi in "sensazioni distanti", (è una for-ma ibrida che sta a mezzo fra "tele-ionia." = suono distante e "sim-patia"

sentire con). Ma "sentire", che per lo più significa sensa-zioni fisiche quale dolore, calore, freddo, o stati d'animo quali gioia, depressione, è un termine troppo limitato e non fa pensare che vi sia coinvolta più di una mente. Quindi, per comune consenso, il suo significato è stato esteso in modo da uniformarsi alla definizione classica data dal Myers e cioè "la comunicazione di impressioni di qualsiasi genere da una mente a un'altra indipendentemente dai tramiti riconosciuti dei sensi"; e questo è, approssimativamente, ciò che signi-fica per il grosso del pubblico che adopera anche i termini "lettura del pensiero" e "trasmissione del pensiero" più o meno nello stesso senso.

Ma negli ultimi anni si è verificata fra gli studiosi di questa materia, specialmente fra coloro che fanno lavoro sperimentale, una forte tendenza ad evitare di chiamare telepatia o chiaroveggenza i fatti che ci accingiamo a studiare, in base al concetto che i due termini implicano una specie di giudizio anticipato sulla natura o la spiega-zione dei fatti stessi per i quali essi non desiderano impegnarsi. Così 11 Rhine parla di "percezioni extra-sensoriali"

solitamente abbre viate in ESP

e il Dr. Hettinger di "facoltà ultra percettive"; ma le due espressioni possono essere criticate, sebbene la prima sia stata ampiamente adottata, specialmente in America, tanto che è poco pro babile che cada in disuso almeno per parecchi anni. Io stesso ho solitamente parlato di "conoscenza para-normale" che semplicemente si riferisce allo stato di coscienza o conoscenza cui si perviene con mezzi che agiscono lungo (para) quelli normali ma sono diversi da essi. Ritengo che questa definizione sia preferibile alle altre due, ma, come avviene per i linguaggi universali, nessuno se ne serve.

D'altra parte esiste una ampia serie di fenomeni riguardo ai quali la maggior parte degli studiosi (e fra questi anche io) sono convinti siano strettamente affini alla "telepatia" e alla "chiaroveg-

Introduzione 11

genza", ma che tuttavia non fanno parte esattamente né dell'una né dell'altra. Se, ad esempio, vedete un'"apparizione" di un amico e la interpretate come una indicazione che egli sia morto o sta per morire e dopo poco ricevete la notizia della sua scomparsa, si può pensare che voi siate venuti a conoscenza di un fatto con mezzi che non sono i soliti tramiti dei sensi o l'intuizione razionale; tuttavia sarebbe avventato saltare alla conclusione che vi sia coinvolta un'altra mente, oppure che abbiate usato una specie di "senso" extra. Eppure credo non si possa dubitare, per ragioni che tenterò di spiegare, che tutti questi fenomeni, da quelli della vittima degli esperimenti di laboratorio che deve pensare carte non viste, a quelli dei fantasmi e degli spettri veri e propri, siano strettamente collegati fra di loro tanto che capirne bene uno

almeno in teoria

vuoi dire capire tutto. Se così è, evidentemente abbiamo bisogno di un termine più comprensivo di quello menzionato più sopra.

Per sopperire a queste difficoltà, il Dr. Thouless propone di ser-virsi del termine "fenomeni psi*, suggerito dal Dr. Wiesner, per riferirsi a tutte le influenze di questo tipo generale, senza pregiu-

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dicare la loro natura precisa o la loro spiegazione. Ritengo che questa sia di gran lunga la miglior proposta fatta sino ad ora, in quanto il termine non è affatto impegnativo, magnificamente conciso, pratico e flessibile ed è naturalmente collegato all'argomento in quanto le parole "psicologia", "psichico" ecc. derivano dal greco "psyche" (ani-ma o mente) la cui prima lettera è appunto lo "psi".

Disgraziatamente, però, intitolare un libro "conoscenza paranor-male" o "fenomeni psi", come avrei preferito fare, sarebbe il miglior sistema immaginabile per togliere la voglia alla gente di leggerlo. E sarebbe un peccato perché sono convinto che una visione a lunga scadenza di questa materia sia importantissima per il mondo di do-mani, per ragioni che esporrò fra breve.

Quindi bisogna accettare la "telepatia" anche se tratterò un cam-po assai più vasto di quello generalmente inteso con questo termine. Almeno è abbastanza familiare; anzi, quasi chiunque si incontri ha da raccontare, per esperienza sia diretta che indiretta, qualche inci-dente più o meno "strano" che fa pensare che si sia verificato qual-che cosa del genere, difficilmente spiegabile con i metodi normali. Può trattarsi di una lettera di un amico che scrive molto raramente ricevuta proprio dopo aver pensato a lui; può essere un sogno che dopo si dimostra vero; può essere un "medium" che da notizie su noi stessi o su un parente morto "di cui non poteva assolutamente essere al corrente" attraverso i mezzi normali; in casi più rari può esservi una "apparizione" veridica di un amico nel momento in cui sta morendo o gli sta capitando qualche cosa di importante; o può anche 12 Introduzione

essere la trasmissione quasi magica di notizie in un paese selvaggio che manchi di mezzi di comunicazione "civili".

Talvolta è abbastanza facile, e indubbiamente esatto, attribuire tali coincidenze a una causa normale e talvolta è meno facile; ma che sia facile o difficile o impossibile, tutti questi casi comportano a prima vista l'acquisizione di conoscenze in un modo che la fisica o la fisiologia comuni non possono spiegare e quindi sono tutti argo-menti adatti al nostro esame critico.

Riguardo poi all'importanza della materia: tutta la Parte III è dedicata alla discussione sul modo con cui le conclusioni teoriche a cui ci portano i fatti sembrano chiarire campi e tratti interi del pen-siero, come pure problemi particolari che sono universalmente rico-nosciuti di primaria importanza.

A questo punto voglio solo prospettare la situazione nel modo più generale e più semplice possibile per timore che al lettore non venga voglia di lasciar cadere tutto l'argomento commentando: "È tutto molto strano e interessante senza dubbio, ma non vedo cosa abbia a che fare con la vita pratica".

Innanzi tutto lasciate che metta bene in chiaro che l'importanza della telepatia non consiste nel fatto che un giorno potrà sostituire la radiotelegrafia come mezzo di comunicazione. Non credo che vedremo branchi di telepatisti trasmettere agli agenti di cambio i prezzi di Wall Street o che potremo risparmiarci la noia di scrivere delle lettere facendo una telefonata psichica ai nostri amici. E ancora meno immagino che ci serviremo di esperti in telepatia per leggere il pensiero dei nostri nemici in guerra o in pace, o per trasportare il contenuto dei cervelli delle persone colte nei nostri senza dover fare alcuna fatica.

L'importanza della telepatia, credo, è assai più profonda e si pre-senta più o meno così: basta guardare al mondo di oggi, sconvolto dalla guerra più distruttiva della storia e profanato dalle più orribili soffe-renze e atrocità, per renderci conto che il genere umano non ha orga-nizzato i suoi affari collettivi con molto successo. Nei suoi rapporti con il mondo fisico si è dimostrato incomparabilmente più intelligente delle altre specie di animali che siano mai comparse sulla terra; e sembra che non vi siano praticamente limiti alle sue capacità in questo senso. Ma la sua intelligenza (cioè il saper trattare le cose) ha talmente supe-rato la sua saggezza (cioè il saperle valutare) che, se la seconda non si affretta a raggiungere la prima, si presenta la prospettiva che esso si autodistrugga completamente o almeno che si riduca in uno stato di miseria e di schiavitù in cui non varrà quasi la pena di vivere.

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Questo è certamente capito da molti, e moltissimi cui sta a cuore la felicità del genere umano si preoccupano di trovare quale è il male che lo confronta e di inventare un rimedio. La maggior parte di essi hanno

Introduzione 13

la certezza che una loro panacea preferita, una volta adottata, rimetterà tutto a posto; e queste panacee variano dall'accettazione e la pratica com-pleta di una delle religioni riconosciute, passando dall'Occultismo e il Pensiero più elevato {Higher Thought), per giungere al socialismo, al comunismo o a qualche altro sistema politico, e anche alla tecnocrazia o agli esercizi di respirazione.

Di queste panacee, alcune indubbiamente si dimostreranno prezio-se ed altre meno; ma quelle che lo sono, o lo sarebbero se attuate, possono aver successo solo perché e in quanto corrispondono alle vere necessità dell'uomo, dell'uomo quale è in contrapposto a quello che alcuni entusiasti credono che possa o debba essere. Ora incominciamo a conoscere molte cose sulla costituzione del corpo dell'uomo, su quanto nutrimento gli è necessario, sul modo giusto di vestirlo e alloggiarlo, su come mantenerlo sano e su come può essere attaccato dai microbi e colpito dalla deficienza di vitamine; ma, almeno in senso relativo, conosciamo pochissimo circa la mente dell'uomo e i suoi rapporti (se ne esistono) con il resto dell'universo. E dopo tutto è il suo stato mentale che determina

anzi, che è

la sua felicità o infelicità. È necessario un minimo di benessere materiale, è vero, per permettergli almeno di sopportare la vita; non parliamo poi di esservi felice; ma dopo questo sono i fattori spirituali che contano, e soprattutto la "libertà dalla paura". Anche riguardo al minimo necessario per il benessere materiale sono solo i fattori spirituali che ci impediscono di garantirlo per tutti. Il nostro controllo delle risorse naturali, la nostra capacità fisica di col-tivare, fabbricare e distribuire tutto ciò di cui abbiamo bisogno, anche quali sono ora, senza tener conto che ogni giorno aumentano, sono ampiamente sufficienti a tutti i fini ragionevoli. Solo i dissensi politici, le lotte industriali, le complicazioni finanziarie e cose del genere ci impediscono (ad ogni modo ce lo impediranno fra pochissimi anni) di vivere tutto nella sicurezza e in una abbondanza ragionevole lavorando poche ore al giorno; e tutte queste cose sono stati psicologici, o deri-vano da essi e non dalla natura del mondo materiale. E soprattutto la guerra

quasi il peggiore dei disastri

non è una cosa che ci sia imposta dall'esterno, come un terremoto o una eruzione vulcanica o la siccità; essa accade perché un numero notevole di persone la desiderano sia come fine a se stessa sia come un mezzo per raggiungere un fine; oppure altri la accettano come la meno peggio fra due alternative quali la schiavitù o l'ingiustizia. In ciascuno di questi casi ci troviamo di nuovo di fronte a una questione psicologica, cioè con quanto succede "dentro le teste degli uomini", per esprimerci alla buona; e finché non saremo penetrati dentro a queste teste e non le avremo raddrizzate, ci sarà sempre il pericolo che capiti questa disgrazia, per quanto si faccia per impedirlo. 14 Introduzione

Ne consegue che la nostra disgrazia fondamentale può definirsi una insufficienza di comprensione della mente dell'uomo e che un'indagine che ci illumini in questo senso probabilmente sarà utile. Dopo tutto basta il semplice buon senso per capirlo. Se dobbiamo erigere un edi-ficio non possiamo pretendere che stia in piedi se in primo luogo non avremo studiato le proprietà delle materie prime necessarie per co-struire; se, ad esempio, costruissimo un ponte di legno con assi tagliate contro verso non ci sarebbe da stupirsi se cadesse giù. Ma nel costruire le strutture sociali, cioè i sistemi politici e affini, la nostra materia prima è costituita da esseri umani e particolarmente dalle loro menti; se non comprendiamo le proprietà fondamentali della mente, la nostra struttura probabilmente crollerà.

Vorrei fare notare che non solo le proprietà più ovvie risulteranno di importanza vitale. Ad esempio, la espansione dei metalli col calore, è una proprietà che raramente constatiamo; eppure, se costruissimo strade ferrate o motori di aeroplani senza tenerne conto, le rotaie fre-

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nerebbero i treni e i motori non camminerebbero. Basterebbe basarsi su questo tipo di analogia per dedurne logica-

mente che il genere di cose di cui qui ci occupiamo può essere di impor-tanza vitale e che quindi vai la pena di indagarlo a fondo.

Ma evidentemente vi è molto di più. La telepatia e i fenomeni affini, ammesso che esistano, ci indicano chiaramente una proprietà fon-damentale della mente e non semplicemente una sua peculiarità futile; ci mostrano cioè un "ordine di realtà" (per usare una frase non molto gradevole) altrettanto importante per la comprensione del mondo spiri-tuale quanto lo è l'elettricità per la comprensione del mondo fisico. Basta riflettere a quanto è progredita la nostra conoscenza e il nostro controllo di quest'ultima per mezzo dello studio dell'elettricità per ren-dersi conto che, anche se vi è una sola possibilità che la storia si ripeta, sarebbe saggio perseguire lo studio dei fenomeni telepatici con la mas-sima rapidità e zelo.

La trattazione degli argomenti.

Sarà facile capire che in un libro di queste proporzioni non è assolutamente possibile mettere tutti i pun-tini sugli "i" e tutti i tagli sui "t" per ogni argomento né riportare dati esatti a convalida di ciascun enunciato. Di conseguenza molte dichia-razioni dovranno essere fatte senza accompagnarle con le spiegazioni esau-rienti, con le riserve precauzionali e con le valutazioni che vorrei aggiun-gere in un lavoro più completo. Per questi dettagli il lettore che si interessi deve consultare i documenti originali cui mi riferirò ogni qual volta sarà possibile; ma farò del mio meglio per non omettere alcun punto di importanza basilare e per non dire cose che possono fuorviare.

Mi è anche sembrato preferibile scrivere, come sarà già stato osservato, in uno stile per nulla formale. In primo luogo non desidero

Introduzione 15

dettar leggi al lettore, ma piuttosto metterlo a parte del mio pensiero e mostrargli, come meglio posso, come stanno le cose, e per far questo un atteggiamento pontificale non andrebbe. In secondo luogo, sebbene abbia ereditato abbondantemente il lavoro degli altri e vi abbia costruito sopra

lavoro che tratteggio brevemente nella prima parte e per il quale desidero esprimere qui la mia riconoscenza

il contenuto della seconda e terza parte è quasi interamente farina del mio sacco; e ritengo che sarebbe venir meno ai miei doveri verso il lettore se glielo presen-tassi in modo così impersonale da far pensare che esso costituisce un insieme di opinioni ormai accettate da autorità contro le quali non ci si può appellare. Con ciò non intendo dire, mi affretto ad aggiungere, che i suggerimenti e le opinioni in questione siano delle pure speculazioni prive di fondamento, intessute con le fantasie della mia coscienza che si appoggiano a nulla di più saldo della mia ingegnosità. Al contrario, escluse una o due riserve qua e là, a me sembra, almeno nelle linee generali, che esse ci siano inevitabilmente imposte dai fatti; ed i fatti sono assai più convincenti di qualsiasi autorità, sia essa la mia o quella di altri.

A questo proposito, e per mantenere la prospettiva giusta, è utile un piccolo commento su un tipo di osservazione che spesso si ode fare, secondo la quale alcuni avvenimenti incomprensibili

cioè un deter-minato fenomeno, reale o supposto, di "medianismo"

sono "comple-tamente dovuti alla telepatia", come se si dicesse che alcuni stati pato-logici "sono completamente dovuti a mancanza di vitamine" o che sono "semplicemente una questione di infezione batterica". Questo fa pensare che la telepatia sia un fatto accettato della scienza ufficiale, che può essere chiamato in causa, ai fini delucidativi, come le vitamine e i bat-teri; ma non siamo ancora arrivati a questo punto, sebbene ritenga che non se ne sia molto lontani. Moltissimi scienziati, è vero, ammette-ranno senza reticenze, privatamente, che la telepatia è quasi certamente un fatto che si riscontra in natura, poiché essi si trovano, altrettanto spesso quanto i comuni mortali, di fronte a incidenti che non possono essere spiegati altrimenti e che non è molto facile evadere. E dubito molto che gli scienziati che si sono dati la pena di studiare le prove onestamente e a fondo non siano giunti alla conclusione che esse sono inconfutabili. Ma la necessità non solo di intraprendere uno studio par-ticolare, ma anche di formarsi un'opinione individuale su punti sostan-ziali, accompagnata dalla difficoltà di ripetere le osservazioni a volontà

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e la mancanza completa di una teoria che le spieghi, ha fino ad ora impedito che la telepatia venga accettata pubblicamente e generalmente dall'intero mondo scientifico.

Gli eventi, tuttavia, procedono rapidamente anche nel mondo acca-demico. Oramai da qualche anno l'Università di Duke in America ha 16 Introduzione

dato al Dr. Rhine il suo pieno appoggio e le comodità di laboratorio, mentre quella di Harvard ha dedicato la donazione Hodgson a questa categoria di lavori. Nel nostro paese il Trinity College di Cambridge ha accettato alcuni anni fa la donazione Perrot per fondare una borsa di studio per le Ricerche psichiche; e il "Trustees of thè Leverhulme Re-search Fellowships"

che certamente non è stato fondato per dare sussidi a chi va a caccia di imprese inutili

ha recentemente stanziato una somma per proseguire i lavori in questo campo. Non mi stupirei affatto se una mattina, svegliandoci, trovassimo che nel corso della notte è avvenuta una "onorevole capitolazione" e che perfino alcuni scettici più incalliti dichiararono di essere sempre stati a conoscenza di queste faccende. Parte prima

FATTI

CAPITOLO I CASI

SPONTANEI

1. Il primo esperimento di cui rimane traccia.

Sebbene questo capitolo sia intitolato "Casi spontanei", non posso non menzionare, per il suo puro valore storico, la prima ricerca psichica che sia stata regi-strata, nonostante il suo carattere prettamente sperimentale \

Secondo Erodoto, Creso, re della Lidia che regnò dal 560 al 546 avanti Cristo, preoccupato dalla crescente potenza dei Persiani, decise di consultare vari oracoli (sei greci ed uno egiziano) per vedere quale risultasse più dotato. Pertanto egli fece partire, lo stesso giorno, sette messaggeri con l'ordine di chiedere all'oracolo, al centesimo giorno dalla loro partenza: "Che cosa sta facendo in questo momento re Creso, figlio di Aliatte?". Le risposte dovevano essere annotate e riportate a Creso.

Non ne rimane registrata nessuna tranne quella dell'oracolo di Delfi. La Pitonessa di Delfi, al momento stesso in cui entrarono gli inviati di Creso e prima ancora che pronunciassero la loro domanda, rispose loro in esametri.

"Posso contare i granelli della sabbia, e posso misurare l'oceano; ho orecchie per il silenzio e so cosa dice il muto; Oh, i miei sensi perce-piscono odore di testuggine con carcassa messa a bollire sul fuoco con carne di agnello in un calderone; di rame è il recipiente che sta sotto, e di rame è il coperchio".

Quando i messaggeri tornarono in Lidia e lesserò le varie risposte, Creso dichiarò che solo la risposta della Pitonessa di Delfi era accetta-bile, perché "dal momento della partenza dei messaggeri egli si era messo a escogitare la cosa che poteva essere più difficile immaginare che stesse facendo, e quindi, atteso il giorno stabilito, aveva eseguito ciò che aveva divisato. E cioè, aveva preso una testuggine ed un agnello e, tagliatili a pezzi con le sue stesse mani, li aveva messi a bollire insieme in un calderone di rame coprendolo con un coperchio pure di rame".

1 Devo questa informazione ad uno studio del Prof. H. H. Price del New-College di Oxford. 20 Casi spontanei

Indubbiamente gli scettici di allora dichiararono che era "pura coincidenza"; tuttavia costituisce un "caso" interessante qualunque sia il metro con cui lo si giudichi. Vorrei che Creso potesse venire a fare lo sperimentatore fra noi; evidentemente vi era in lui la stoffa.

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2. La "Società di Ricerche Psichiche".

Sebbene il primo espe

rimento sia stato fatto tanto tempo fa, la materia languì per più di duemila anni. Naturalmente nelle opere degli antichi si possono tro vare infinite menzioni di spiriti, divinazioni, sogni premonitori e, da quando fu inventata la stampa, sono stati pubblicati innumerevoli vo lumi che trattano di questo argomento, come pure di magia, stregoneria, demonologia, fantasmi, occultismo e così via, senza parlare della enorme, se pur raramente utile, letteratura moderna sullo spiritismo.

Tuttavia, a parte alcuni tentativi individuali sporadici, non vi fu-rono studi scientifici sull'argomento, degni di essere definiti tali, fino alla fondazione, nel 1882, della "Società di Ricerche Psichiche" (società inglese), che fu presto seguita da un'analoga società americana. Il primo obiettivo di cui essa fa menzione è "un esame della natura e della estensione di ogni genere di influenza che può essere esercitata da una mente su un'altra, oltre a qualsiasi modo di percezione generalmente accettato", e questo, che si avvicina molto a ciò che si intende per tele-patia, è stato uno dei suoi principali interessi sin da allora.

Per moltissimi anni l'attività della Società in questo campo per forza consistette principalmente nella raccolta e nell'esame critico di quelli che vengono definiti casi "spontanei" (in contrapposto ai casi "sperimentali"). È anche vero però che fu iniziato un certo numero di esperimenti preordinati; ma sebbene alcuni di essi diedero risultati apparentemente utili, pochi possono essere considerati accettabili senza riserva, secondo il metro moderno. Questa non vuoi essere una critica a coloro che li eseguirono; significa semplicemente che non era ancora stata elaborata la tecnica necessaria e che le conoscenze dell'epoca non erano sufficienti sia per mettere in guardia da tutte le possibilità di errori, sia per valutare i risultati ottenuti.

3. Casi spontanei.

Come ho accennato nella Introduzione, esiste un'ampia scelta di ciò che grossolanamente potrei definire materiale "aneddotico", che, intrinsecamente, è più o meno attinente alle indagini di questo genere. È questa massa promiscua di esperienze e credenze popolari, dalla scoperta delle acque alle case "dove ci si sente", dalle "visioni nel cristallo" ai sogni premonitori, dalle allucinazioni veridiche 1

1 Una allucinazione è una apparente percezione che non ha il suo corri-spondente nel campo visivo, auditivo o altro, in contrapposto a "illusione" che

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alle sedute spiritiche, che i primi precursori si misero a vagliare ed ana-lizzare. Chi crede che il loro compito fosse invidiabile, tenti di rintrac-ciare uno solo dei casi del genere fin dalle sue origini e di provarne la attendibilità, dopo di che rifletta su ciò che significa raccogliere ed esaminare le centinaia di casi di cui si hanno tracce.

Non intendo, arrivato a questo punto, descrivere casi di telepatia apparentemente spontanea. Per questi il lettore che se ne interessi può concultare i "Proceedings" della Società, il magnifico volume di W. H. Myers, Human Personality 1, il Phantasms of thè living di Edmund Gurney, che sono i grandi classici in materia, oppure i più recenti libri semi-divulgativi, quale il Science and Psychical Phenomena di Tyrrell.

Ma ho molto da dire sul genere di lavoro da essi fatto e sul modo con cui bisogna giudicare le conclusioni da essi raggiunte.

Supponiamo di incontrare una persona che ci racconti che una notte, due o tre anni fa, sognò che suo fratello era rimasto ucciso in uno scontro ferroviario e che proprio la mattina dopo ricevette una lettera che le annunciava che quanto aveva sognato era veramente accaduto. Che genere di domande dobbiamo porre per avere la certezza che si tratta effettivamente di una persona venuta a conoscenza di un avvenimento con mezzi indipendenti dal normale tramite dei sensi, e in modo inespli-cabile secondo i procedimenti regolari? Quali possibilità di errori vi sono? Innanzi tutto, naturalmente, vi è la possibilità che la persona in questione sia semplicemente bugiarda e che abbia inventato l'incidente solo per farci impressione ed attirare la nostra attenzione su di lei. Dobbiamo quindi incominciare col fare i passi necessari per accertarsi che essa aveva un fratello e che questi rimase effettivamente ucciso in un incidente ferroviario. Ciò è relativamente facile poiché il numero

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di persone che tentano inganni spudorati del genere, grazie al cielo, è piccolo. Molto più grave è la possibilità che essa ricordi male e soprat-tutto sbagli le date. Può darsi, per esempio, che essa abbia sognato lo scontro dopo averne avuto la notizia, ma che rimase così impressionata dalla lucidità del sogno da scambiare le date e credere veramente che sogno e incidente si susseguissero nell'ordine narrato. Dobbiamo allora ricercare se la persona abbia parlato del sogno a un testimone disinte-ressato prima di aver ricevuto la lettera e, soprattutto, se essa o il testi-mone presero nota del fatto al momento in cui si verificò. Quindi, bisogna interrogare con tatto il testimone e cercare di decidere se è

è l'interpretazione sbagliata di un oggetto effettivamente visibile, udibile ecc. Una allucinazione viene qualificata "veridica" se corrisponde ad un avvenimento real-mente verificatosi altrove.

1 L'opera fu originariamente pubblicata in due volumi da Longmans nel 1903. Un'edizione molto ridotta è stata fatta nella "Swan Library" nel 1935. 22 Casi spontanei

persona degna di fiducia. Dobbiamo anche prendere in considerazione l'altra eventualità, che essa abbia effettivamente sognato suo fratello prima che rimanesse ucciso, ma non specificamente che fosse ucciso in un disastro ferroviario, e che abbia combinato i due fatti in un tempo successivo.

Poi sorge il dubbio che essa, senza rendersene conto, sia venuta a sapere per via normale dello scontro e che lo abbia drammatizzato in un sogno. Per esempio lo scontro avrebbe potuto essere avvenuto diversi giorni prima che essa ricevesse la lettera ed essere stato riportato sui giornali. La persona in questione può aver letto la notizia senza farci particolarmente attenzione al momento ed aver dimenticato di averla letta; ma se la notizia menzionava una località dove abitava il fratello (o anche, forse, se non la nominava) questo avrebbe, per così dire, potuto combinarsi con il suo naturale interesse per il fratello, tanto da suscitare il sogno.

Infine, una volta vagliate tutte queste possibilità e qualsiasi altra che ci venga in mente, e prima di affrontare il problema di come inter-pretare o spiegare il fatto, dobbiamo chiederci se esso può onestamente essere definito una coincidenza. Questo è un punto di importanza essen-ziale e merita un esame a sé.

4. Coincidenza.

Se, in tempo di pace, sogno che il mio amico Giorgio sta mangiando delle uova al prosciutto a colazione, l'unico punto interessante (ammesso che lo sia) è quello di chiedersi perché debba sognare una cosa così futile e comune invece di qualche cosa di più interessante. Non dobbiamo considerarla come una prova di conoscenza acquisita in modo "para-normale" 1, perché il mangiare uova a colazione è un'abitudine talmente diffusa in tempo di pace da non richiedere alcun commento speciale. Ma se invece sognassi che Giorgio mangia un uovo di struzzo e vengo a sapere che effettivamente ne ha mangiato uno, ciò

dopo aver escluse le eventualità suaccennate

costituirebbe un fatto veramente sorprendente; perché è assai raro (o almeno lo sup-pongo) che qualcuno mangi uova di struzzo a colazione, ed io comunque non ho mai sognato che qualcuno le mangiasse.

1 Chiedendo scusa al lettore, se è necessario, propongo che mi si permetta l'uso della parola " paranormale " riferendomi ai fatti che non si possono spiegare con le leggi fisiche esistenti né con una concepibile estensione delle medesime. È questo il successore moderno dei termini "supernaturale" e "supernormale" che sono stati in gran parte abbandonati oggigiorno in quanto implicano altri signifi-cati discutibili. Paranormale è abbastanza innocuo tranne che fa pensare che feno-meni di questo genere si riscontrino solo in persone non-normali, mentre invece sono convinto che essi accadano abitualmente a ognuno di noi, anche se in misura così minima da essere raramente notati.

Casi spontanei 23

A questo punto va notato soprattutto che, se avessi l'abitudine di fare sogni di questo genere, il valore della coincidenza verrebbe annul-lato, come lo sarebbe se sapessi che il mio amico ha l'abitudine di far colazione con uova di struzzo. Al fine di poter stabilire con qualche fon-

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damento se una riscontrata coincidenza di avvenimenti (cioè, il sogno e l'aver mangiato, o il sogno e il disastro ferroviario) può plausibilmente essere attribuita a "puro caso", è necessario sapere quanto spesso cia-scuno dei due (o più) fattori in causa si verifica normalmente. Disgra-ziatamente questo si può fare assai di rado e questa impossibilità fornisce le armi più taglienti alla critica degli scettici.

5. Prove cumulative.

Ho usato la parole "armi più taglienti"

a ragion veduta, preferendola all'espressione "più forti ragioni di dub-bio" perché ritengo che rispecchi con maggiore precisione la realtà. Come spiegherò quando verrò a parlare di "Obiezioni e Critiche", credo che per lo più lo scetticismo riguardo a questi fenomeni sia una que-stione di resistenza emotiva, più che una vera e propria critica razio-nale; e non credo che le maggiori conclusioni raggiunte dai precursori avrebbero incontrato una tale opposizione se avessero potuto (cosa che per forza non potevano fare) inserirle nel quadro della conoscenza e del pensiero contemporaneo.

Comunque, gli scettici possono sembre obiettare, e spesso lo hanno fatto, che sebbene sia possibile, ad esempio, fare un calcolo abbastanza esatto del numero di persone uccise nei disastri ferroviari e quindi della probabilità che una persona scelta a caso rimanga uccisa in siffatto modo in un dato giorno o in un dato periodo, non si può tuttavia fare nessun calcolo di quante persone sognano di scontri ferroviari non avvenuti e non ne prendono nota, oppure di quanti fra coloro che ne prendono nota omettono di riferire il fatto quando questo non ha seguito signi-ficativo.

In altre parole, ed in senso più lato, l'obiezione sollevata contro tutte le conclusioni basate su fenomeni spontanei si riduce a questo: che è inutile dire vagamente che è "assai poco probabile" che una data coincidenza si sia verificata per puro caso, anche se, basandosi sul "buon senso", evidentemente le cose stanno così; per fare qualche cosa di efficace bisogna poter dire appunto in che modo è poco probabile, e cioè se rappresenta dieci, cento o mille probabilità contro una che non sia dovuta al caso; e per far questo è necessario essere in possesso di dati statistici che i casi spontanei non possono mai fornirci completi.

Tale obiezione ha molto peso; anzi, così come è, a essa non vi è risposta e ritengo che non sia appropriatamente contestata dalla argo-mentazione usata di solito. Questa argomentazione, generalmente detta la "teoria del fascio", afferma che, come un fascio di ramoscelli è molto 24 Casi spontanei

resistente sebbene ciascuno di essi separatamente sia stroncato facil-mente, così il risultato cumulativo di un vasto numero di casi, anche se ciascuno di essi preso a sé si presta al genere di obiezione di cui abbiamo testé parlato, costituisce una prova assai più valida ed è giu-stamente considerato molto più convincente di un caso qualunque preso separatamente. Ritengo che questa argomentazione si basi su un uso erroneo dell'analogia ed è adeguatamente controbattuta mutando la ana-logia e facendo osservare, come ho fatto altrove, che dieci secchi forati non tengono l'acqua più a lungo di un solo secchio forato, anche se i fori sono in punti diversi.

6. Valore dei casi spontanei.

Ma sebbene io stesso abbia spesso insistito sull'importanza di questo genere di obiezione, ritengo che sa-rebbe estremamente stupido e non indicherebbe altro che una bigotteria irrazionale il sottovalutare l'importanza del lavoro svolto dai precursori e dai loro successori nell'ambito dei casi spontanei.

A mio parere logicamente la questione va così prospettata: non bisogna aspettarci che lo studio dei casi spontanei possa offrire prove indiscutibili della acquisizione di conoscenze mediante mezzi paranor-mali, perché le "prove" indiscutibili si possono avere solo in materie quali la matematica, dove le conclusioni raggiunte sono implicite nelle definizioni delle quantità ecc. discusse; ma non vedo alcuna ragione perché esso non debba portarci a conclusioni tali per cui si possa aver la certezza che è assai poco probabile che ci sbagliamo. In tutte le scienze non sperimentali, come l'archeologia, l'antropologia, l'etimologia, forse la storia e così via, troviamo una situazione analoga in cui prove

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più o meno attendibili debbono essere vagliate, analizzate, giudicate e soppesate come meglio si può da coloro che studiano questa materia. E troviamo che quando questo lavoro è condotto da uomini coscienziosi e competenti, facendo uso del massimo senso critico (auesto è essen-ziale), è raro che essi giungano a conclusioni (o almeno che le sosten-gano a lungo) che non siano successivamente confermate nei loro punti essenziali.

Ma i pionieri della Società, gente come Myers, Gurney, Podmore, il Prof. Sidgwick e sua moglie, Sir William Barrett, il compianto Sir Oliver Lodge ed i Verrall erano, ritengo, all'altezza di qualsiasi altro gruppo di persone che abbiano studiato una materia equivalente; essi certamente hanno stabilito un livello di serietà (ritengo onesto affermare che esso è stato sempre mantenuto dalla Società) raramente eguagliato né mai superato. Di conseguenza mi sembra perfettamente legittimo de-durne, su basi prettamente logiche, che è assai poco probabile che essi abbiano errato nelle loro conclusioni essenziali e cioè che i casi di appa-

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rente telepatia e simili non vanno respinti come casi di trascuratezza, di registrazioni sbagliate o di falsificazioni deliberate o inconsapevoli.

7. Valore dei casi spontanei ecc. (seguito).

Coloro che, come me, si sono dedicati principalmente al lavoro sperimentale ed hanno difeso l'importanza di servirsi di metodi esatti di valutazione ogni qual volta fosse possibile, sono spesso accusati di sottovalutare o perfino di disprezzare i primi esperimenti del genere di cui ho testé parlato.

Questo è un grosso errore. Non vi è nessuno che io ammiri tanto quanto questi grandi pionieri non solo per il loro coraggio e il loro zelo, ma anche per il loro sostanzioso lavoro che non ha ancora dato tutti i suoi frutti. Senza di essi non vi sarebbe assolutamente materiale su cui lavorare in nessun senso; essi hanno raccolto per noi una massa di materiale di grande valore di cui noi non sappiamo ancora servirci completamente.

Dico solo che i loro metodi erano in se stessi insufficienti per permettere di fare dei progressi veramente notevoli e che hanno bisogno di essere integrati con altri metodi di tipo più specificamente sperimen-tale al fine di permetterci di raggiungere il genere di conclusioni di cui abbiamo bisogno. Dire che l'orafo ha bisogno di martelli e ceselli per compiere un'opera d'arte non vuoi dire disprezzare coloro che trovarono il suolo, localizzarono l'oro, perforarono la miniera e ne estrassero il metallo.

La ragione per cui la raccolta, per quanto vasta, di casi spontanei non permetterà mai, a mio giudizio, di oltrepassare un certo limite

o, nel caso affermativo, troppo lentamente

è semplicemente il fatto che anche il caso più semplice di questo genere è troppo complicato per poter essere sottoposto al genere di trattamento necessario per dedurne le leggi che lo determinano. Nel mio caso immaginario, ad esempio, devo concentrare le ricerche su me stesso, su Giorgio, sulla natura del sogno come tale, sulle proprietà mistiche dell'ora della colazione, sulle proprietà dell'uovo e forse anche su quelle degli struzzi. Praticamente non possiamo procedere che in base a supposizioni e con poche proba-bilità di poter ripetere le osservazioni. La cosa sarebbe diversa se potessimo ripetere l'osservazione, perché allora potremmo scoprire che il mio sogno fu di nuovo di uova di struzzo e non di uova di gallina, oppure di un genere qualsiasi di uova e non di pomodori, oppure di prima colazione e non di pranzo, o di Giorgio e non di Enrico, e così avremmo almeno un punto di partenza. Disgraziatamente le cose non stanno così e i diversi casi contengono così pochi elementi comuni che è assai poco pratico servirsi di un numero sia pur graduale di essi come se fossero piccole variazioni dello stesso tema nel senso da me immaginato. 26 Casi spontanei

Sono convinto che questa è la ragione principale per cui, dopo cinquant'anni di lavoro

diciamo, nel 1932

sapevamo assai poco di più in fatto di Telepatia ecc, sebbene avessimo garanzie assai più valide

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e più fondate del suo verificarsi di quanto non ne avessimo quando ne iniziammo lo studio.

Ma ora ci troviamo di fronte a una decina di anni di intenso lavoro sperimentale e incominciamo a capire (almeno così credo) il genere di meccanismo con cui funziona la telepatia. Sono fermamente convinto che, alla luce di questa comprensione, possiamo riprendere in esame con sempre maggior profitto la gran massa di casi raccolti e tramandatici dai nostri precursori; in breve, i casi spontanei, dopo un lungo periodo di abbandono, torneranno ad occupare il posto che loro spetta.

8. Necessità di un maggior numero di casi.

Ma per quanto grande sia la massa di materiale raccolto, abbiamo bisogno urgente di averne ancora di più. Questo non solo perché, in linea generale, non ne possiamo mai avere troppo; ma perché, via via che incominciamo a capire ciò che accade, sappiamo meglio quali punti sono importanti e quali domande dobbiamo porci. Io stesso raramente leggo di casi avve-nuti in passato, specialmente di quelli di allucinazione, senza desiderare di poter interrogare i testimoni su varie questioni che non si posero mai alla mente di chi originariamente li registrò.

Di conseguenza bisogna sperare che tutti i lettori che abbiano avuto una qualsiasi esperienza del genere, poco importa se futile o strana

anzi sono tentato di dire che più è futile e strana e meglio è

vorranno contribuire allo studio di questa materia comunicandola (con-fidenzialmente, s'intende, se lo si desidera) a chi di ragione 1, e cioè alla Società che si occupa di questa materia di cui, tra parentesi, tutte le persone interessate dovrebbero diventare soci.

1 Al "Hon. Secretary", The Society for Psychical Research, 31, Tavistock Square, London, W. C. 1; oppure al "The Secretary", The American Society for Psychical Research, 40 East 34th Street, New York.

CAPITOLO II LAVORO

SPERIMENTALE ( I )

INTRODUZIONE, ALCUNI PRIMI ESPERIMENTI

9. Esperimenti in generale.

Sebbene la maggior parte del lavoro su cui si basano la seconda e la terza parte di questo volume sia stato svolto negli ultimi dieci anni e in alcuni casi anche molto recentemente, un quadro dell'argomento

quale cerco di tracciarlo succintamente

sarebbe incompleto se non accennassi almeno ad alcuni dei primi espe-rimenti, molti dei quali meritano più attenzione di quanto non ne abbiano ricevuta sinora.

Abbiamo visto che, sebbene i casi spontanei

sogni, visioni nel cristallo, allucinazioni veridiche

forniscano elementi assai notevoli per far supporre l'esistenza di qualcosa di analogo alla telepatia, il loro studio presenta due grandi svantaggi: è impossibile stabilire con certezza le probabilità che essi siano dovuti al caso e sono assolutamente troppo complessi per un'analisi pratica.

Nel lavoro sperimentale, che tuttavia è regolato dai comuni requi-siti riguardo all'esclusione di possibili falsi, di assunzione inaccurata di informazioni ecc, noi cerchiamo di scansare queste difficoltà comin-ciando, per così dire, dalla parte opposta. Invece di attendere che qual-cosa avvenga spontaneamente e tentare quindi di definirla ed analiz-zarla retrospettivamente, noi promuoviamo deliberatamente il prodursi

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di particolari specie di coincidenze; e, prima di iniziare, ci accertiamo di essere in grado di stabilire le probabilità che il fatto sia dovuto al caso o di avere la possibilità di stabilirle facilmente in seguito; ci accer-tiamo inoltre che la situazione, almeno per quanto concerne il nostro concorso a crearla, non sia di tipo così complesso da sfidare l'analisi.

Pertanto, possiamo estrarre a caso una carta da un mazzo mescolato e chiedere a qualcuno di "pensarla" \ facendo attenzione, naturalmente,

1 Nei laboratori di psicologia le persone su cui si fanno questi esperimenti sono sempre dette "soggetti". Mi servirò di questo termine quando occorrerà, 28 Lavoro sperimentale (I)

che egli non la veda; oppure possiamo gettare un dado e chiedergli di pensare il numero segnato sul lato rivolto in su; oppure ancora possiamo tracciare un disegno semplice o un diagramma e chiedergli di pensare che cosa rappresenta o di "riprodurlo" come meglio può

sempre, naturalmente, in condizioni tali che non possa vederlo né essere informato del suo contenuto per via normale.

Ciascuna di queste prove è relativamente semplice e nei primi due casi è relativamente facile calcolare con esattezza quante sono le proba-bilità che il risultato ottenuto sia dovuto unicamente al caso. Serven-dosi, ad esempio, di un normale mazzo di carte dobbiamo prevedere che il soggetto in media indovinerà una volta su 52; se indovinerà molte più carte, dobbiamo concludere che è entrato in giuoco un altro fattore che non sia il caso. Se, per esempio, avendo fatto passare cinque volte un mazzo completo di carte, invece dei previsti cinque successi, ne do-vessimo registrare tredici1, dovremmo dire che il caso va escluso quasi con certezza; infatti, basta un semplice calcolo matematico per dimo-strare che vi è meno di una probabilità su mille che questo accada per solo caso. Analogamente, se il dado è perfettamente equilibrato, le pro-babilità che indovini in base al caso saranno di una su sei, e se ottenes-simo, ad esempio, 11 successi su 24 pensieri dovremmo giungere alle stesse conclusioni; infatti anche in questo caso è facile dimostrare che le probabilità che un simile risultato sia dovuto al caso sono meno di una su mille.

Naturalmente, se il dado fosse squilibrato ed il soggetto avesse per caso una preferenza per i numeri tendenti a venir fuori più fre-quentemente saremmo soggetti ad ottenere un numero artificiosamente elevato di successi che ci trarrebbe in inganno. È tuttavia facile tener conto di questa specie di fattori se si dispone di dettagli completi sugli esperimenti fatti; ma è della massima necessità stare in guardia contro simili fonti di errore nel corso di questo tipo di esperimenti.

Non mi propongo di tediare il lettore con un resoconto dei metodi matematici adatti alle varie circostanze usati per calcolare le probabilità o per correggere gli errori ecc. Pochi li troverebbero interessanti e, anzi, quasi tutti li troverebbero proprio il contrario; coloro che si interessano possono consultare gli appunti originali e i libri di matematica che trattano di questo. Ma rimangono ancora due punti sui quali vorrei sof-fermarmi prima di passare a parlare del lavoro svolto vero e proprio.

sebbene non mi piaccia molto per la possibile confusione che può sorgere con il suo antitetico "oggetto"; infatti nei miei appunti mi sono servito del termine "percipiente".

1 Un pensiero corretto in questa categoria di lavori viene comunemente chiamato "colpo"; mi servirò di questo termine quando sarà necessario.

Lavoro sperimentale (I) 29

10. Significato e caso.

Avrò occasione più avanti di parlare di risultati definendoli "significativi". È questo un termine puramente tec-nico usato in questi esperimenti, che significa che il risultato in questione è tale da non poter essere migliorato dal solo caso più di una volta su venti. Se il risultato mostra di avere maggiori probabilità di essere dovuto al caso, come una volta su dieci o quindici, esso viene giudi-cato "non significativo" e l'esperimento viene più o meno ignorato; se invece le probabilità sono di una, o anche meno, su venti si considera

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che vada escluso il caso come elemento operante. La scelta di uno su venti è puramente arbitraria, ma è una convenzione standardizzata fra coloro che si servono del metodo delle probabilità; nulla impedisce, tuttavia, che in determinate circostanze venga scelto un grado inferiore o superiore di "significato", cioè un numero maggiore o minore di pro-babilità *, purché questo venga messo bene in chiaro. Se si preferisce non farsi sfuggire qualche fatto interessante piuttosto che evitare di essere condotti su una strada sbagliata in un'impresa senza profitto, si avrà la tendenza a fare esperimenti i cui risultati avranno una proba-bilità su dieci di essere dovuti al caso; se d'altra parte qualcuno si si preoccupa particolarmente di escludere il caso, esso si accontenterà solo di esperimenti ove le probabilità non sono più di una su cento.

L'importante è di dire chiaramente che sistema si adotta e quale ne è lo scopo. La sua unica funzione è quella di escludere, almeno virtual-mente, il caso, termine con il quale indichiamo l'azione di un vasto numero di piccole cause indipendenti in contrapposto a una, o a po-chissime, grandi cause. Questi esperimenti non "provano" mai la pre-senza della telepatia, ecc; escludendo il caso, in una misura qualsiasi, essi dimostrano solo che probabilmente agisce qualche altra causa, ma non indicano quale essa sia. Per poter passare dalla conclusione che un risultato non ha molte probabilità di essere dovuto al caso, alla conclu-sione che il fattore non dovuto al caso deve essere di natura telepatica o affine, dobbiamo avere la garanzia dell'organizzazione sperimentale, che deve essere tale da escludere positivamente ogni possibilità di nor-male conoscenza sensoria o deduzione razionale, lasciando così in giuoco le sole alternative del caso e della telepatia; tale garanzia non può mai essere costituita dal solo giuoco delle probabilità, anche se il caso possa considerarsi praticamente escluso.

Un esempio classico e calzante di come anche i più eminenti stu-diosi possano essere condotti fuori strada a questo proposito, ci è for-nito da un lavoro dal titolo The Scientific Aspect of Monte Carlo Roulette, del prof. Karl Pearson, che indubbiamente fu un profondo

1 Un "grado elevato di significato" corrisponde a un piccolo numero di probabilità; un grado "basso" ad un grande numero di probabilità. 30 Lavoro sperimentale (I)

studioso di statistica. Traendo i suoi dati da un opuscoletto intitolato Monaco, che riferisce i risulta ti-tipo di tutti i giri settimana per setti-mana, egli dimostra che la frequenza di estrazione dei 37 numeri (zero incluso) in un periodo di quattro settimane varia in misura tale da non poter essere plausibilmente attribuita al solo caso; infatti le probabilità che queste variazioni non fossero dovute al caso erano di circa due milioni contro una. Da ciò egli trae la conclusione piuttosto sorpren-dente che "la roulette quale si giuoca a Monte Carlo non è un giuoco basato sul caso". È facile osservare che la logica presenta qui una grave lacuna, colmata soltanto dall'amabile ingenuità che è una così simpatica caratteristica delle menti geniali; Pearson presupponeva di-fatti che le cifre fornite dall'opuscolo fossero un accurato resoconto di quanto era avvenuto sui tavoli, laddove alla mia cinica mente è troppo agevole supporre che l'autore dell'opuscolo abbia trovato più comodo compilarlo a fantasia nel più vicino caffè, piuttosto che far la fatica di sorvegliare veramente il giuoco nelle sale.

11. Carte e disegni.

Si riscontrano importanti diversità fra gli esperimenti condotti servendosi di carte, dadi ecc, come materiale di prova e quelli in cui si fa uso di disegni o diagrammi. Nei primi non si incontra alcuna difficoltà, almeno teoricamente, nel decidere quante probabilità vi sono che il soggetto indovini giusto solo in base al caso, anche se in seguito si dovranno modificare i risultati per tener conto delle inclinazioni e delle preferenze.

Ma con i disegni non conosciamo in precedenza quali sono le pro-babilità. Se estraggo a caso una carta da un mazzo mescolato, so che, in generale, vi è una probabilità su cinquantadue che la indoviniate; ma se decido di disegnare, ad esempio, un cane e vi chiedo di indo-vinare o cercare di riprodurre ciò che ho disegnato, non ho assolutamente idea di quante probabilità vi sono che indoviniate né posso stabilire se

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semplicemente indovinate o se invece opera qualche cosa di paranor-male. E inoltre, come si può avere la certezza che la mia scelta del cane è stata fatta "a caso"? Potrebbe darsi che sia un fanatico di cani, o forse che abbia letto qualche cosa sui cani nel giornale della mattina; e forse vi trovate anche voi in questa stessa situazione. Se così è, io potrei essere particolarmente indotto a disegnare e voi a indovinare l'oggetto "cane" piuttosto che qualsiasi altro oggetto; e questo evidente-mente tenderebbe a dare un'apparenza spuria di azione telepatica, men-tre in realtà essa non entra affatto in giuoco.

È facile vedere che gli esperimenti con i disegni richiedono precau-zioni speciali e metodi speciali se vogliamo che i risultati ottenuti siano attendibili. Dal punto di vista storico, solo nel 1938 fu trovato da W. L. Stevens un metodo veramente soddisfacente di valutazione degli

Lavoro sperimentale (I) 31

esperimenti con i disegni; e solo nel 1941, basandosi su un metodo pro-posto per la prima volta dal Prof. Fisher, ho elaborato un sistema pratico ed elastico per calcolare i successi parziali con le carte da giuoco. Avrò parecchio da dire a questo proposito più avanti.

Ciò non di meno, sebbene sia molto meno facile trattare i disegni che non le carte ecc, i primi presentano grandissimi vantaggi. È più interessante lavorare con i disegni tanto per i soggetti quanto per gli sperimentatori; in confronto alle carte, essi hanno, per così dire, molto più "contenuto"; la loro varietà quasi infinita, e quindi il fatto che ciascun disegno usato come "obiettivo" (che comunemente viene indi-cato con il termine "originale", termine che useremo d'ora innanzi) è unico nel suo genere, permettono, per così dire, di seguirli e di stu-diare, ad esempio, l'influenza esercitata da diversi sperimentatori che lavorino contemporaneamente, il che è assolutamente impossibile con le carte, data la loro limitatissima varietà.

12. Generale.

Farò ora una breve rassegna di alcuni casi di esperimenti relativamente vecchi, che ritengo degni di nota, sebbene vada tenuto presente che essi aggiungono assai poco al valore dei risultati ottenuti dai lavori di ricerca fatti successivamente. Il lavoro sperimentale, come ho già detto, è stato iniziato su basi veramente sistematiche solo una decina di anni fa e una grandissima parte di quello che ci ha dato maggiori informazioni è anche più recente. Ma gli studiosi della ma-teria hanno tentato di fare esperimenti già molto prima, con ogni sorta di materiale, e molti di essi hanno ottenuto risultati assai notevoli. Di tali risultati, molti vanno ora rinnegati non perché, a mio vedere, non fossero di fatto seri (sebbene, naturalmente, è probabile che molti di essi mancassero di serietà), ma semplicemente perché i primi sperimen-tatori non ci hanno lasciato sufficienti notizie riguardo alle precauzioni da loro prese e le condizioni in cui furono condotti gli esperimenti, così che non si può avere la certezza che furono escluse tutte le even-tuali fonti di errore. Ma anche quando si abbia eliminato drasticamente tutto ciò che possa essere menomamente sospetto, ne rimane abbastanza per mostrarci che i lavori più recenti non sono una novità, escogitati improvvisamente dal nulla e senza apparente motivo, e che non hanno precedenti; tuttavia la migliorata tecnica e la scala più vasta su cui i lavori sono stati condotti, ci hanno permesso di ottenere risultati assai più convincenti ed informativi di quanto non potessero sperare di otte-nere i primi sperimentatori.

Ho scelto i casi che esporrò più avanti perché presentano alcuni tratti di speciale interesse: di solito una strana deviazione imprevista o anche non notata dallo sperimentatore che, appunto per questo, li rende ancora più convincenti; in almeno due casi, poi, lo sperimentatore 32 Lavoro sperimentale (I)

era così ostile all'idea della telepatia che negò recisamente di aver otte-nuto un risultato positivo.

13. Usher e Buri.

Consideriamo innanzi tutto gli esperimenti condotti quasi quarantanni or sono da Usher e Burt. Oltre a varie prove con diagrammi, delle quali non è il caso occuparci, questi scien

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ziati fecero una serie di trenta prove con le comuni carte da giuoco, prove nelle quali lo sperimentatore si trovava a Bristol ed il soggetto a Londra; quindi veniva esclusa assolutamente la possibilità che uno venisse a sapere per vie normali quale carta aveva estratto l'altro. Per cinque sere consecutive furono fatte sei prove ogni sera e furono re gistrati due "successi" assolutamente esatti (di cui uno a scelta fra due). Questi risultati non sono spettacolosi, ma gli sperimentatori hanno an notato particolari esaurienti sulle carte tirate e sui "pensieri" fatti e, quando li esaminiamo da vicino, troviamo che vi è un numero appa rentemente notevole di successi parziali o "quasi indovinati", come pensare il due di fiori quando è stato tirato il quattro, o il sei di quadri quando la carta era il sei di picche e così via. All'epoca in cui Usher e Burt fecero questi esperimenti non era ancora conosciuto alcun metodo per servirsi di questo genere di dati e fu solo nel 1924 che il Dr. (ora Prof.) Fisher divisò un modo soddisfacente per trame delle conclusioni.

Quando applicai questo metodo ai dati registrati da Usher e Burt, scoprii che essi avevano raggiunto un ritmo di successo tale che se fosse dovuto unicamente al caso, avrebbe dovuto verificarsi solo una volta su 190 esperimenti del genere. Inoltre, il ritmo dei successi calò dalla prima alla ultima sera con un andamento tale da non poter essere attribuito plausibilmente al caso, dato che le probabilità al riguardo erano di 175 contro una.

Quindi il caso nei limiti delle possibilità umane, non c'entrava; né d'altra parte le capacità normali di percezione possono arrivare da Lon-dra a Bristol. Se vogliamo scartare la presenza di fenomeni telepatici o affini, dovremmo supporre che gli sperimentatori falsificarono tutta una serie di dati, dati da cui essi non pretendevano trarre nessuna conclusione e che solo servirono, più di dieci anni più tardi, a far scoprire a qualcun altro un sistema per valutarli.

Debbo confessare che questo caso mi è sempre apparso estrema-mente convincente.

14. Coover.

Inserisco questo lavoro principalmente perché è stato spesso citato da coloro i quali sostengono che, quando gli espe rimenti di telepatia o del genere vengono condotti da un operatore sufficientemente preciso e coscienzioso, con precauzioni adeguate contro le possibilità normali di percezione ecc, essi danno risultati nulli; ma

Lavoro sperimentale (I) 33

in effetti l'opera del Coover non serve assolutamente a sostenere questa opinione.

In breve la storia è questa: nel 1912, all'Università di Stanford in California, fu offerta la cospicua somma di 10.000 sterline per inda-gini nel campo della Ricerca Psichica e materie affini. La somma non poteva essere rifiutata con leggerezza e quindi, benché a quell'epoca la materia fosse considerata poco seria, l'offerta venne accettata ed il Dr. Coover fu designato per iniziare i lavori sperimentali. Nel 1917 fu finalmente pubblicato un grosso volume, i cui tratti più salienti erano la dimensione (XXIV 641 pag.), ed il fatto che conteneva una zavorra di materiale privo di interesse più di quanto non abbia mai trovato in altre opere a carattere dichiaratamente scientifico. Il lavoro effettivo riportato nel libro si riduce a non più di 14.000 prove con le carte e altro, che rappresenterebbero, immagino, neanche un mese di lavoro secondo il ritmo moderno. La montagna era effettivamente in travaglio, ma il topo che ne nacque nacque morto.

È evidente che tanto lo stesso Dr. Coover quanto le altre persone interessate opponevano una forte resistenza ad accettare qualsiasi fe-nomeno "paranormale" come fatto esistente in natura

essi non furono certo i soli ad assumere questo atteggiamento

e sarebbero rimasti profondamente turbati se fossero stati costretti ad accettare una conclusione favorevole ai fenomeni telepatici. Non mi pare di essere ingiusto nell'affermare che il Coover fece il possibile perché ciò non avvenisse.

In primo luogo egli stabilì che avrebbero accettato come dimostra-zione della esistenza di fatti telepatici solo la diversità fra i successi registrati negli esperimenti in cui lo sperimentatore guardava le carte o l'oggetto prescelto, e quelli registrati negli esperimenti in cui non li

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guardava (negando così a priori la possibilità di una "chiaroveggenza"); in secondo luogo egli rifiutò di accettare qualsiasi cosa che non rag-giungesse la "certezza" che egli, arbitrariamente, stabilì si potesse avere solo quando vi erano 50.000 probabilità su una che non fosse dovuto al caso.

Il suo esperimento principale fu eseguito con le carte, servendosi di un comune mazzo dal quale aveva tolto le dodici figure; i soggetti erano 100 e ciascuno di essi fece 100 prove, di cui 50 con lo speri-mentatore che guardava la carta e 50 senza che esso la guardasse. Inoltre egli fece 1.000 prove (500 guardando le carte e 500 senza guardarle) con diverse persone che riteneva avessero manifestato o potessero possedere facoltà "psichiche".

Non fu notata alcuna diversità degna di rilievo fra gli esperi-menti in cui si guardava la carta e quelli in cui non la si guardava; ma se sommiamo insieme i risultati di tutti gli esperimenti, indipen- 34 Lavoro sperimentale (I)

dentemente dalla circostanza della carta guardata o meno, troviamo un risultato positivo in cui le probabilità d'esclusione del caso sono di 200 contro una.

Il Coover, tuttavia, non si accontentò neanche di un verdetto d'insufficienza di prove e dichiarò che: "... i vari trattamenti statistici dei dati non riescono a rivelare una causa che non sia il caso"

af-fermazione che, basandosi su tutti i metri comunemente accettati, è in-discutibilmente inesatta

e che "...non si trova traccia di una tra-smissione effettiva del pensiero...".

Commentando questo lavoro, il Dr. Thouless osserva che, presup-ponendo che fosse mantenuto lo stesso andamento di successi, perfino il ridicolo criterio del Coover di volere 50.000 probabilità contro una che non fossero dovuti al caso avrebbe potuto essere soddisfatto, se gli esperimenti fossero stati all'incirca il doppio; e conclude, con cari-tatevole ritegno, che "è straordinario il fatto che il Coover non abbia proseguito".

Interessante in questo caso è il fatto che le prove dell'esistenza di fenomeni telepatici desunte contro la sua stessa volontà da uno scet-tico autoconfesso, il quale non ne ha neanche notato l'esistenza, sotto un certo aspetto sono ancora più convincenti dei trionfanti successi ottenuti da un entusiasta che si propone di dimostrare la sua tesi.

15. Troiana.

Press'a poco lo stesso, con qualche lieve diffe-renza, può essere detto dell'opera del Troland che condusse un piccolo numero di esperimenti nel 1916-17 a Harvard con l'aiuto del "Hodgson Memorial Fund" e con una donazione della signora J. W. Riddle. Il Troland viene pure citato talvolta dai critici ostili alla stessa guisa del Coover, e senza migliore giustificazione.

Con la tecnica del Troland, lo sperimentatore doveva guardare dentro una specie di scatola buia in cui era visibile un unico punto illuminato. L'oggetto usato per la prova

ampliando un poco il termine

consisteva nel far apparire un quadrato illuminato sia alla destra sia alla sinistra della scatola secondo la decisione puramente casuale di un interruttore che operava elettricamente; il soggetto doveva dire se il quadrato illuminato appariva a destra o a sinistra, indicandolo mediante la pressione di un altro interruttore appositamente creato. La registrazione dei dati era fatta automaticamente. In tal modo le possi-bilità di percezioni sensorie normali o di errori di calcoli potevano essere considerate eliminate. Anche qui si rimane stupiti nel vedere che il Troland, dopo essersi data tanta pena per ideare questo suo ap-parecchio, se ne sia servito così poco. Egli fece solo 605 prove, di cui due senza esito, e quindi abbandonò il lavoro con la certezza, a quanto pare, che la telepatia non esisteva.

Lavoro sperimentale (I) 35

È vero che il conto lordo dei punti segnati, presi nel loro insieme, non ne indicano palesemente la presenza; infatti egli riscontrò solo 284 successi contro un numero previsto di 301,5, il che è leggermente inferiore a quello che si poteva aspettare. Ma egli aveva diviso il suo

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lavoro in due parti: una in cui il periodo di illumuiazione del quadrato era di 40 secondi e un'altra in cui questo periodo era di 80 secondi. La prima parte diede 22 successi meno dei 177 previsti, il che è un risultato "significativo" *.

Il Troland, come il Coover, avrebbe dovuto proseguire; ma pre-sumibilmente non gli venne in mente che è altrettanto difficile conti-nuare ad avere risposte sbagliate, non conoscendo l'oggetto di prova, quanto continuare ad averle giuste. E ancora, come il Coover, egli si trovava un po' nella situazione del bracconiere diventato guardiacaccia senza saperlo, di modo che anche qui non dobbiamo tenere conto degli errori dovuti ad un entusiasmo eccessivo.

16. Groningen.

Gli esperimenti eseguiti a Groningen nel 1920 da Heymans, Brugmans e Wynberg furono di un tipo assai diverso. Essi sono di notevole importanza dal punto di vista storico, in parte a causa del loro carattere insolito ed in parte perché nel Continente europeo, e specialmente in Olanda, essi vengono considerati la "prova" definitiva dell'esistenza di fenomeni telepatici. Questo, naturalmente, è un errore. Nessun esperimento singolo o gruppo di esperimenti, per quanto condotti attentamente e con successo, può propriamente essere preso come prova; infatti è sempre possibile immaginare un'altra spie-gazione (ad esempio, come ultima risorsa, la cospirazione da parte di coloro che l'hanno condotta) e questo è l'atteggiamento che probabil-mente assumerebbero i critici se simili esperimenti non venissero ripe-tuti ed ampliati. Ma il lavoro condotto a Groningen fu indiscutibil-mente ottimo ed apportò un grande contributo alla massa generale delle prove. Poiché non esiste un resoconto diretto a disposizione del pubblico, li descriverò alquanto più diffusamente di quanto non abbia fatto per gli altri.

Nel corso di questi esperimenti fu fatto uso di un solo soggetto (un giovane di nome van Dam). Egli aveva sempre gli occhi bendati e stava seduto su una specie di cassa a tre lati, separato dal resto della stanza da pesanti tendaggi. Davanti a lui era posta una tavola rettan-golare di 40 X 30 centimetri, divisa in 48 caselle di 5 centimetri di lato, disposte in sei file su otto colonne. Le colonne erano indicate con le lettere da A e H e le file con i numeri da 1 a 6. Il suo compito non consisteva nel pensare secondo il sistema comunemente usato, ma di

1 Più di 20 probabilità contro una che non fossero dovuti al caso. 36 Lavoro sperimentale (I)

indicare col dito quale di questi quadrati era stato scelto dallo speri-mentatore. La scelta veniva fatta tirando su a caso un cartoncino da un mozzo di sei numerati ed un altro da un mazzo di sei sui quali erano indicate le lettere; naturalmente i mazzi venivano mescolati prima dell'uso. Quindi, se le carte estratte erano G e 4, lo sperimentatore avrebbe "indotto" il soggetto a indicare la casella G4, nella fila 4 e nella colonna G.

Su un numero relativamente piccolo di 187 prove furono ottenute non meno di 60 indicazioni corrette, il che da un numero "astronomico" di probabilità che non fossero dovute al caso.

Circa metà di queste prove erano state eseguite in una stanza dove si trovavano insieme sperimentatori e soggetto, mentre l'altra metà era stata eseguita in due stanze separate, quella degli sperimentatori situata esattamente sopra a quella del soggetto. In queste seconde prove le osservazioni venivano fatte attraverso un foro praticato nell'impiantito e chiuso con doppi vetri. Queste prove "a stanze separate" diedero ri-sultati leggermente più soddisfacenti delle precedenti.

Dal punto di vista critico si possono avanzare tre obiezioni a que-sto procedimento tecnico. In primo luogo sarebbe stato preferibile se l'osservazione e la registrazione delle carte scelte dagli sperimentatori fossero state fatte indipendentemente da quelle delle caselle indicate dal soggetto invece che direttamente attraverso il foro dell'impiantito; ciò avrebbe eliminato l'eventualità che lo sperimentatore, leggendo la ca-sella, fosse indotto involontariamente a identificarla alla carta da lui scelta. Ma gli sperimentatori, di cui almeno due (ritengo) erano sempre presenti, erano degli psicologi della massima competenza e presumibil-

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mente avevano previsto questo genere di eventualità, di modo che si può onestamente non tener conto della probabilità che i risultati siano stati alterati in modo considerevole da un tal genere di errore.

In secondo luogo, vi è la questione delle "preferenze e delle ten-denze". È assai poco probabile che in simili condizioni un soggetto, se non agivano influenze telepatiche o affini, indicasse le varie caselle della tavola con eguale frequenza; è naturale che egli avesse la tendenza a scegliere quelle che si trovavano più a portata di mano, oppure, se fosse stato cosciente di questa tendenza, forse ad evitarle volontariamente. L'esperienza ci dimostra inoltre che è quasi altrettanto improbabile che la scelta a caso dei cartoncini, in condizioni analoghe, cada, con eguale frequenza su tutti e sei o otto. Se la "preferenza" del soggetto nell'in-dicare a caso la casella coincideva con la "tendenza" nella estrazione dei cartoncini, il numero dei successi sarebbe stato falsamente accre-sciuto o viceversa.

In terzo luogo, esiste la possibilità che gli sperimentatori stessi abbiano influenzato le risposte dando involontariamente un segnale di

Lavoro sperimentale (I) 37

"fermo" ogni qual volta, per puro caso, la mano del soggetto si fosse mossa in direzione della casella prescelta. Il soggetto sta "cercando" a caso, lo sperimentatore lo segue con interesse; la mano del soggetto si avvicina alla casella prescelta, l'interesse dello sperimentatore aumenta, probabilmente esso respira più forte o si protende in avanti; la mano passa sulla casella e lo sperimentatore forse emette un lieve sospiro di soddisfazione, o semplicemente rallenta la tensione muscolare e la seggiola scricchiola; il soggetto inconsciamente lo nota e pensa "ecco", e ferma la mano. Risultato, un successo.

Cito questi punti soprattutto perché illustrano così bene il genere di inganni in cui si può comunemente essere tratti in questa categoria di esperimenti; essi devono sempre essere tenuti presenti nel proget-tare, eseguire o studiare simili prove; non credo tuttavia che abbiano effettivamente influenzato questo particolare lavoro di ricerca cui ho accennato.

Il caso volle che nel 1937 potessi recarmi a Groningen, e così ebbi modo di esaminare accuratamente tanto le registrazioni originali degli esperimenti quanto le stanze in cui furono eseguiti. Sono profondamente grato al Prof. Brugmans per la cortesia dimostratami in questa occa-sione.

Come prevedevo, trovai che né i "successi" del soggetto né l'estra-zione dei cartoncini degli sperimentatori erano esenti da influenze ester-ne; ma i calcoli dimostrarono che questi fattori non alterarono in modo notevole i risultati. Inoltre l'impiantito che divideva le due stanze era così solido che nessun movimento normale, cambiamento di ritmo nel re-spiro o altro poteva assolutamente avere agito da segnale di "fermo", a meno di non supporre una ipersensibilità eccezionale da parte del sog-getto, il che non sembra aver giustificazione di sorta.

Ma ritengo che la parte più convincente di questo esperimento sia, come spesso accade, indiretta. In 29 prove era stata propinata al sog-getto, prima dell'inizio della seduta, una bevanda alcoolica; in altre 24 invece una dose di bromuro. Nelle prove con il bromuro i "pensieri" del soggetto risultarono significantemente migliori che in quelle in cui non aveva preso nulla, e nelle prove con l'alcool furono significante-mente migliori che in quelle con il bromuro. Sembra quasi incredibile che questi risultati, che concordano perfettamente con quelli ottenuti dai successivi sperimentatori, siano dovuti all'una o all'altra delle cause suaccennate.

17. Estabrooks.

Una serie di esperimenti fu condotta negli anni 1925-26 a Harvard dal Dr. L. N. Estabrooks1, nel corso dei quali egli

1 Un resoconto ne è anche dato dalla Jephson. 38 Lavoro sperimentale (I)

fece "pensare" agli studenti di quella Università delle comuni carte da giuoco. Per il nostro studio questi esperimenti possono essere divisi in

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due gruppi. Nel primo gli sperimentatori e i soggetti si trovavano in una stanza divisa a metà da una doppia porta chiusa, con un apparec-chio elettrico di segnalazione che indicava loro quando dovevano pen-sare. In queste condizioni furono fatti 83 gruppi di 20 prove ciascuno, che diedero risultati schiacciantemente positivi; infatti su 1.660 prove, 938 furono corrette riguardo a colore, mentre, basandosi sul solo caso, se ne prevedevano 830, il che significa che le probabilità che i risultati non fossero dovuti al caso erano di circa 10 milioni su una. Nel se-condo gruppo, che da un certo punto di vista è più interessante, gli sperimentatori e i soggetti si trovavano in due stanze diverse distanti l'una dall'altra di 30 metri. In queste condizioni, omettendo i partico-lari, i successi segnati furono di numero significantemente inferiore alle probabilità dovute al caso. Ad esempio, furono fatte 32 serie di 20 prove ciascuna, cioè un totale di 640 prove, e i soggetti segnarono solo 130 successi accettabili invece dei 160 previsti; e le probabilità che ciò fosse dovuto al solo caso erano di 100 contro una.

Nel corso dell'esperimento fu dunque rilevato lo stesso decrescere progressivo del numero di risposte corrette, che già abbiamo riscontrato negli esperimenti di Usher e Burt e di Troland.

A questo punto gli esperimenti vennero interrotti, in parte a causa della difficoltà a far continuare a lavorare i soggetti, e in parte, credo, perché il Dr. Estabrooks non si rendette conto completamente che suc-cessi inferiori al numero di probabilità previsti in base al caso sono altrettanto interessanti ed altrettanto indicativi della presenza di certi particolari fattori, quanto i successi superiori al numero delle probabi-lità del caso; anzi, essi possono avere un valore probatorio anche mag-giore, perché ad esempio, le probabilità che indicazioni date o raccolte involontariamente operino in direzione errata, sono minime.

Comunque questo lavoro costituisce uno dei migliori esempi di esperimenti semplici in una fase relativamente iniziale dello studio di questa materia.

18. Jephson.

Forse la serie più elegante di esperimenti che sia mai stata eseguita, è quella condotta dalla signorina Jephson dal 1924 in poi. Essa si servì di carte da giuoco, segnando i risultati secondo il metodo del Fisher, che tiene debito conto dei successi parziali, e raccolse i dati principalmente per corrispondenza.

Le istruzioni impartite ai suoi soggetti consistevano sostanzialmente in questo: prendere un comune mazzo di 52 carte da giuoco (mesco-larle); estrarne una carta rivolta in giù e cercare di pensarla; registrare il pensiero; rivoltare la carta in su e registrare quale era effettivamente; rimetterla nel mazzo e mescolarle; ripetere l'operazione quattro volte,

Lavoro sperimentale (I) 39

facendo così complessivamente cinque prove; possibilmente, ripetere il procedimento cinque volte, ad intervalli di non meno di un giorno, per ottenere un totale di 25 prove.

All'esperimento parteciparono 240 soggetti, con un totale di 6.000 prove, costituite da gruppi di 1.200 prime, seconde, terze ecc. prove. Una volta debitamente registrate queste prove si trovò che: primo, la media complessiva dei pensieri giusti era significantemente superiore al numero delle probabilità dovute al caso, sebbene il ritmo dei successi diminuisse rimarchevolmente dal primo al secondo, al terzo e al quarto pensiero per poi riaumentare di nuovo al quinto, tanto da raggiungere quasi il livello iniziale.

Il punto debole di questo metodo è naturalmente la sua quasi completa dipendenza dalla buona fede e dall'intelligenza dei soggetti. Almeno teoricamente essi potevano essersi lasciati guidare da piccoli segni sul dorso delle carte, presumibilmente a loro familiari, oppure potevano essere stati così delinquenti da non iniziare la registrazione fino a che, con delle prove preliminari, non avessero ottenuto un pen-siero corretto o "vicino". Non ritengo che questo si sia verificato in misura degna di nota e credo che i risultati ottenuti stiano a dimostrare il contrario; tuttavia non si può escludere assolutamente una tale even-tualità, date le circostanze in cui si svolse l'esperimento: conseguente-mente il lavoro della signorina Jephson è stato accolto, a mio parere, con molto meno interesse di quanto merita.

Fortunatamente, però, un certo numero di prove furono eseguite

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in presenza di testimoni e la signorina Jephson registrò separatamente i dati ottenuti nel corso di alcune di queste prove. Essi ci mostrano un totale significativo di pensieri corretti e una diminuzione di ritmo pure significativa; di modo che non dobbiamo esitare ad accettare le indica-zioni di carattere generale derivanti da questo lavoro nel suo complesso.

19. Breve discussione sui primi esperimenti.

Non so che effetto

avrò ottenuto sui miei lettori con questa piccola scelta di esempi, tranne che, forse, egli li avrà trovati un po' tediosi oppure interessanti, a se-conda del suo temperamento. Ma sono propenso a credere che la rea-zione giusta sia soprattutto quella di deplorare la loro mancanza di orga-nicità. Evidentemente un numero rilevante di persone competenti

e ve ne sono molte altre che non ho menzionate

si sono proposte di studiare i fenomeni telepatici mediante metodi sperimentali più o meno ingegnosi o potenzialmente soddisfacenti; ma, giunte a un certo punto, esse si sono fermate, sia perché

ciò che è stato abbastanza logico in diversi casi

avevano altre e più urgenti occupazioni, sia perché ave-vano assunto in partenza un atteggiamento negativo nei confronti della telepatia e fecero in modo di trovare delle scuse per non proseguire un lavoro per cui non ricevevano un compenso finanziario. 40 Lavoro sperimentale (I)

L'impressione generale che si presenta alla mia mente è quella di una specie di guerra partigiana, con piccole azioni qua e là e fuochi accesi in punti diversi che danno una grande fiammata e poi si spen-gono per mancanza di combustibile. In essi non si riscontrano quasi i risultati di una campagna coordinata e serrata in cui ciascuno si aiuta reciprocamente, né nulla sta a indicare il delinearsi in mezzo al caos di uno schema decifrabile.

Ciò non di meno, tenendo anche conto dei fenomeni spontanei, più si studiano da vicino i vari sforzi isolati e più diventa difficile eludere la conclusione che è in azione una qualche influenza, che non può essere la pura coincidenza del caso e che va al di là dei principi fisici esistenti. Naturalmente la forma in cui questa influenza si manifesta è assai meno spettacolare negli esperimenti che nei casi spontanei. È assai meno eccitante pensare correttamente dieci carte da giuoco che non avere un'allucinazione veridica; ma, poiché tutti e due i processi si riferiscono egualmente all'acquisizione di informazioni con mezzi inspiegabili, ap-pare ragionevole supporre che entrambi sono in un certo modo colle-gati, tanto che uno studio approfondito del primo può, con una certa probabilità, farci capire il secondo, mentre entrambi ci rivelano aspetti inesplorati della mente umana.

Ma è anche abbastanza evidente che, prima di poter sperare di fare grandi progressi, dovremo impiegare una tecnica assai più efficace di quella ideata fino ad ora, oppure dovremo lavorare su scala assai più vasta e per un periodo assai più lungo di quanto non sia stato fatto nei casi esaminati più sopra.

CAPITOLO III LAVORO

SPERIMENTALE (II)

RICERCHE RECENTI

20. Il lavoro del Dr. ]. B. Rhine.

La fase moderna del lavoro sperimentale

che indubbiamente verrà a sua volta considerata arcaica dalle venture generazioni

si può dire che abbia inizio con la pubbli-cazione, nel marzo 1934, del libro del Dr. J. B. Rhine, Extra-Sensory Perception {Percezione extra-sensoriale). Con ciò non si vuoi dire che da questo momento non siano stati fatti esperimenti del tipo precedente, o che prima di allora non ne fossero stati fatti del tipo posteriore; anzi, il libro riporta risultati di indagini iniziate sin dall'autunno del 1930. Né sarebbe esatto far credere che tutti gli scettici si arresero immediata-mente, confessando il loro errore e affrettandosi a fare ammenda; al contrario, la pubblicazione del libro fu piuttosto una specie di segnale di allarme che fece scatenare una tempesta di discussioni controverse e di critiche, tempesta che non si è ancora acquietata. Ma essa costituì una

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tappa assai importante nello studio della materia, e segna una comoda linea di demarcazione fra i lavori relativamente vecchi e quelli moderni. Ad ogni modo da allora il lavoro è stato condotto in forma assai meno sporadica e sconnessa. Gli esperimenti e la loro analisi ora procedono più o meno di continuo e molte persone se ne occupano; il Dr. Thouless J

calcola che "probabilmente vi sono già più sperimentatori indipendenti dei fenomeni 'psi' (cioè di questi di cui ci occupiamo) che di qualsiasi altra materia psicologica". E sebbene ciascuno per lo più segua la sua strada, esiste una notevole e sempre crescente collaborazione e vi sono maggiori scambi di vedute. In breve, la materia va acquistando rapida-mente il carattere della ricerca scientifica come in qualsiasi altro ramo.

Quasi tutto il lavoro del Rhine e della sua scuola è stato eseguito con un tipo speciale di carte dette "carte Zener". Esse hanno la dimen-

1 Tutto il testo, che è una rassegna generale della situazione, esposta in un Discorso presidenziale alla "Society for Psychical Research", è caldamente rac-comandato al lettore. 42 Lavoro sperimentale (II)

sione e la forma delle comuni carte da giuoco, ma comprendono solo cinque simboli e cioè: cerchio, stelle, croce (o segno del più), quadrato (o rettangolo) e linee ondulate (onde). Questi simboli solitamente sono neri su fondo bianco, ma talvolta sono invece colorati. La larghezza del simbolo varia da circa 7 mm. per la croce a 2 mm. per le onde. Un mazzo è formato da cinque esemplari di ciascuna specie di simbolo, avendosi così in tutto venticinque carte; una cosiddetta "passata" di un mazzo, cioè una serie di 25 pensieri, è l'unità di misura generalmente usata in questo tipo di esperimenti. Se è operante il solo caso, si può prevedere che il soggetto in media segnerà cinque "successi" per pas-sata e il numero delle probabilità che egli segni al di sopra di questa media (o al di sotto) può facilmente essere calcolato con i metodi co-muni.

Con questa semplicissima attrezzatura il Rhine sperimentò con otto soggetti principali ed un certo numero di soggetti secondari (parlo del lavoro riportato nel suo primo libro), ottenendo dei risultati positivi il cui evidente significato non può assolutamente essere messo in dubbio. Il Rhine si servì di diverse specie di tecniche di cui parlerò diffusa-mente più avanti.

La mia opinione è che fra i numerosi e preziosi contributi dati dal Rhine alla materia non certo il minore (non direi tuttavia il maggiore) è quello di aver attirato in così vasta misura il fuoco delle critiche, le quali non si fecero scrupolo di attaccare il suo lavoro da ogni lato immaginabile, oltre che in alcuni punti che solo il loro ingegno perver-tito poteva avere inventato all'uopo. Alcune delle sciocchezze che hanno scritto debbono essere lette per essere credute, ed anche così sono quasi incredibili. Di conseguenza è opportuno prendere in esame per sommi capi i vari generi di critiche che, in linea di principio, possono essere mosse contro questo tipo di lavoro, o meglio il genere di errori in cui teoricamente questo lavoro può incorrere.

Questi si dividono in due gruppi e cioè: errori attinenti alla rac-colta dei dati e errori attinenti alla loro valutazione.

In qualsiasi esperimento con le carte o affini, il soggetto deve in-dicare, sia nominandola sia altrimenti, una carta o un altro oggetto di prova che non può vedere (o toccare o udire o assaggiare ecc.) e di cui non può intuire la natura con mezzi razionali. Se egli ha un mezzo di indovinare, o se egli può semplicemente ottenere un'indicazione sulla sua natura, l'esperimento non è valido

a meno che non si conosca con sufficiente esattezza la misura delle sue possibilità di informazione, tanto da poterne tenere il debito conto.

Ad esempio: se, lavorando con le comuni carte da giuoco, il sog-getto non può vedere propriamente la carta ma può intravedere dal suo riflesso su un tavolo lucido se è rossa o nera, egli raddoppierebbe le

Lavoro sperimentale (II) 43

probabilità di successo; peraltro sarebbe abbastanza facile ovviarvi quan-do si sapesse che si verifica un fatto simile. Oppure, se ogni volta che

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il soggetto ha fatto un pensiero, gli nominiamo la carta, basterebbe che egli ricordi le carte che sono uscite per aumentare le probabilità di successo progressivamente da una su 52 per il primo pensiero, fino a raggiungere la certezza per l'ultimo.

Quando egli ha fatto i pensieri, contiamo il numero di successi, lo confrontiamo con il numero prevedibile in base all'ipotesi del solo caso e calcoliamo quali probabilità vi sono che la differenza fra i due numeri sia dovuta al solo caso. Se sbagliamo il conto o i calcoli o se ci lasciamo indurre in assunzioni che non siano garantite dai fatti, l'esperimento è soggetto a perdere di validità.

La maggior parte dei critici lanciarono i loro attacchi sul fianco statistico (cioè il calcolo delle probabilità), ed è qui che si sono ve-rificate le battaglie più dure. I loro giudizi furono estremamente insen-sati, poiché, tranne alcuni pochi che non erano fra coloro che stril-lavano di più, gli altri dimostravano di non avere alcuna competenza in materia; ed è apparso evidente sin dall'inizio che, a qualunque causa si vogliano attribuire i risultati ottenuti dal Rhine, essi quasi certa-mente non furono dovuti al caso né a una misura plausibilmente so-stenibile di errori derivanti dal calcolo, dalla scelta preferenziale di dati, dallo smarrimento di registrazioni, ecc. Questo tipo di critici, per la maggior parte, sono tornati al punto donde sono partiti, a leccarsi le loro ferite e a pentirsi (speriamo) della loro sventatezza; la situazione rimane quale fu definita nel 1937 dal Prof. Camp, presidente dell'Isti-tuto di Statistica matematica: "Se le ricerche del Rhine debbono essere attaccate onestamente, non possono esserlo dal loro lato matematico".

Ciò non vuoi dire che il trattamento matematico dei dati sia inva-riabilmente semplice e assolutamente probante, o che il Rhine non sia mai caduto in errore. Al contrario, poche materie offrono all'incauto un maggior numero di trabocchetti della statistica quando ci si avventura al di là delle sue più semplici applicazioni; chi può saperlo meglio di me che vi sono caduto tante volte? Ed è abbastanza probabile che qua e là, in questioni relativamente secondarie e recondite, il Rhine, come la maggior parte degli altri, abbia commesso uno o due errori. Possa egli continuare a farne! Ma per quanto si riferisce alle conclusioni ge-nerali e basilari circa la presenza dei fenomeni (telepatici), non pos-sono esistere due opinioni sensate al riguardo.

Il lato, che definirei esecutivo, dei primi lavori del Rhine, fu assai più attaccabile dalla critica di quella matematico, sebbene pochi di co-loro che cercarono di svalutare i suoi risultati conoscessero abbastanza la materia per poter trarre vantaggio da questo fatto. Non vi è dubbio che, dal punto di vista storico, i primi esperimenti non furono regi- 44 Lavoro sperimentale (II)

strati con abbastanza particolari in modo da permettere di giudicare se le possibilità di "infiltrazioni" sensoriali (cioè l'acquisizione di informa-zioni o indicazioni con mezzi normali) siano state prese adeguatamente in considerazione e debitamente escluse. Personalmente dubito molto che infiltrazioni di questo genere siano intervenute in misura rilevante; ma finché l'esistenza dei fenomeni fu messa seriamente in dubbio, i critici erano perfettamente nel loro diritto quando chiedevano una descrizione più dettagliata delle condizioni in cui si erano svolti gli esperimenti, di quanto non si richiede a chi riferisce solo su varianti secondarie di fatti noti, ottenuti con procedimenti standardizzati. In particolare: non vi è alcun dubbio, come hanno osservato diversi cri-tici, che in una determinata luce le carte del Rhine possono essere rico-nosciute dal rovescio con abbastanza precisione; questo succede perché nel corso della fabbricazione le carte si ritirano leggermente nei punti in cui fu applicato l'inchiostro, di modo che questi punti rifrangono la luce in modo leggerissimamente diverso dell'altre parti. Tuttavia dubito che si possano maneggiare le carte a lungo senza notare questo fatto; e, una volta notatolo, è la cosa più semplice del mondo sistemare l'espe-rimento in modo tale che il soggetto non possa vedere le carte in quella data inclinazione rispetto alla luce oppure, ancora più semplicemente, non possa vederle affatto.

Il Rhine ed i suoi collaboratori si resero presto conto della neces-sità di ovviare a inconvenienti simili e a vari altri suggeriti via via, e divisarono le più svariate tecniche sperimentali, mediante l'uso di oppor-

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tuni paraventi o altro, intese ad eliminare tutte le fonti di errore del genere. Per esempio: in uno dei primi e più comuni procedimenti, il soggetto "pensa" tutte e 25 le carte del mazzo "in successione" dalla prima all'ultima, prima che esse vengano scoperte per segnare i successi. O in un altro, noto col nome di "indicazione al buio", il soggetto, posto in modo da non vedere le carte, indica col dito allo sperimentatore in quale dei cinque comparti o altro, uno per ogni simbolo, devono essere poste via via le carte del mazzo.

Successivamente furono introdotti vari altri perfezionamenti per ovviare tutte le critiche ragionevoli, per non parlare delle numerose ir-ragionevoli; probabilmente questo processo di perfezionamento culminò con gli esperimenti rigorosamente controllati di Pratt-Woodruff del 1938-39, che dovrebbero essere esaminati da chiunque dubiti della ri-gorosità di metodo usata a Duke \

1 II Dr. Rhine è ora professore di Psicologia alla Università di Duke, a Durham nella Carolina del Nord, U.S.A., ed ha un intero dipartimento dedicato alla Parapsicologia, come ora viene spesso chiamata questa branca della Psicologia.

Lavoro sperimentale (II) 45

Si potranno trovare resoconti del lavoro svolto dal Rhine, dai suoi più vicini collaboratori e da molti altri che hanno intrapreso ricerche in questa stessa direzione, in una lunga serie di documenti pubblicati nel Journal of Parapsychology. Gran parte del loro contenuto è rias-sunto e gran parte delle critiche sono esaminate in Extra-sensory Percep-tion after Sixty Years. Sebbene si possano riscontrare qua e là punti in-dubbiamente attaccabili dalla critica ed anche errori veri e propri, sono convinto che qualsiasi tentativo di invalidare tutto questo lavoro nei suoi tratti principali è destinato al fallimento ignominioso.

È assai difficile fare una valutazione esatta del contributo dato dal Rhine alla materia se non dicendo che è immenso. Nessun altro, sup-pongo, ha con tale abbondanza messo "su carta" questi fenomeni, al-meno come argomento di discussione, il che è una tappa indispensabile lungo la via che conduce alla accettazione generale. Credo che neanche lo stesso Rhine pretenda di aver fatto nuove scoperte sorprendenti (sebbene anche questa sia un'opinione che potrà essere riveduta fra non molto); ma il suo lavoro è piuttosto caratterizzato da una mole, da una continuità e da una varietà (nell'ambito delle prove con le carte Zener), che certamente non si possono riscontrare altrove. Non so quante prove in tutto abbiano osservate né quanti soggetti abbiano esaminati il Rhine e i suoi collaboratori, ma le prime devono ormai contarsi a milionix

ed i secondi a centinaia. Il lavoro è stato sostanzialmente continuo per più di dodici anni, nel corso dei quali è stato sottoposto a ogni specie di critiche, giuste ed ingiuste, e (fatto assai importante) è stato conti-nuamente adeguato per ovviarle. Per quanto si riferisce alla varietà, il Rhine ed i suoi colleghi hanno sperimentato con uomini, donne, bam-bini, ciechi, deficienti; hanno lavorato a distanza e da vicino; si sono serviti di simboli di dimensioni, di forme e di colori diversi; come ab-biamo già fatto notare, il Rhine ha divisato ed usato un gran numero di metodi differenti; ha condotto esperimenti in cui lo sperimentatore era a conoscenza delle carte che dovevano essere pensate ed altri in cui non ne era a conoscenza (apparente chiaroveggenza); ancora altri in cui la scelta a caso della carta veniva effettuata solo dopo che il soggetto aveva fatto il suo pensiero (apparente "precognizione") Forse la sua scoperta più importante, a parte il semplice fatto della presenza dei fenomeni telepatici, è che queste variazioni di metodo danno delle dif-ferenze di risultati sorprendentemente piccole.

1 Particolarmente degno di menzione è il prodigioso lavoro del Greenwood che ha segnato non meno di 500.000 successi "finti" al fine di determinare empi-ricamente se le normali formule matematiche sono effettivamente applicabili a questa categoria di dati. 46 Lavoro sperimentale (II)

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Per concludere: chi non abbia studiato l'opera del Rhine con con-siderevole attenzione e particolarmente il modo con cui egli ha ov-viato alle critiche, non ha il diritto di parlare autorevolmente del livello raggiunto attualmente nello studio dei fenomeni.

21. Il lavoro di G. N. M. Tyrrell.

II Tyrrell occupa una posi-

zione speciale in questo campo perché egli, da quanto mi risulta, è l'unico che abbia divisato e fatto largo uso, per un certo numero di anni, di un apparecchio meccanico per la scelta dell'oggetto di prova e per la registrazione dei successi. Disgraziatamente le esigenze della guerra (materiate, mi si dice, in una bomba nella soffitta)x lo hanno costretto a sospendere temporaneamente i lavori; ma un resoconto su-gli esperimenti moderni non può essere completo se non si fa menzione di quelli del Tyrrell.

Il metodo da lui adottato fu ideato in seguito alla osservazione che una sua conoscente, la signorina J., che aveva manifestato in varie occasioni capacità paranormali e divenne poi il suo principale soggetto, aveva un'abilità speciale per ritrovare oggetti perduti e ne provava una evidente soddisfazione soggettiva. Il Tyrrell, molto intelligente-mente, decise di cercare di valersi di questa attitudine naturale nel la-voro sperimentale. Egli pensò che se fosse riuscito a creare una situa-zione, per così dire, di "ritrovamento" artificiale che potesse essere con-trollata, probabilmente avrebbe ottenuto risultati assai migliori che se avesse cercato di costringere il soggetto in una direzione ad essa anti-patica. È questo un sistema che potrebbe essere adottato con van-taggio da altri sperimentatori che abbiano la fortuna di incontrare individui con evidenti attitudini naturali.

Il primo apparecchio, ed il più semplice, consisteva in cinque sca-tolette, fornite di un coperchio a cerniera e fissate dietro una tavola di legno in modo che attraverso un foro praticato nella tavola lo spe-rimentatore potesse infilarvi un indicatore senza che il soggetto vedesse ciò che faceva. Il soggetto quindi doveva aprire sollevandone il coper-chio la scatola in cui credeva che fosse stato infilato l'indicatore; na-turalmente le probabilità di indovinare per puro caso erano di una su cinque. In questo modo veniva soddisfatto l'elemento "ritrovamento" adatto all'attitudine naturale del soggetto e si aveva la base necessaria per valutare la misura del successo raggiunto.

Con questo apparecchio il Tyrrelì ottenne rapidamente risultati molto significativi ed è interessante osservare che anche altri soggetti,

1 Probabilmente questa fu una benedizione, almeno per gli studiosi della nostra materia. Senza la bomba forse non avremmo avuto i suoi preziosissimi scritti sulle "Apparizioni".

Lavoro sperimentale (II) 47

oltre alla signorina J., segnarono risultati significativi, sebbene non nella stessa misura.

Tuttavia l'apparecchio fu presto reso più complicato e perfezio-nato. Rimasero le cinque scatolette, ma invece di servirsi di un indi-catore, le cinque scatole furono provviste di una lampadina elettrica che si accendeva nel premere un apposito interruttore: il numero delle prove e dei successi vennero registrati automaticamente su un nastro di carta, fornendo così una registrazione assolutamente oggettiva del lavoro svolto ed ovviando a qualsiasi involontario errore di calcolo dei suc-cessi. Anche con questa attrezzatura si ottennero facilmente risultati significativi.

Via via vennero introdotti numerosi perfezionamenti alla luce delle varie critiche e dei vari suggerimenti; e, sebbene il lodare gli amici sia una prova di invidia quasi quanto il biasimarli, ritengo onesto dire che raramente si è trovato uno sperimentatore in questo campo così pronto a rivedere i suoi metodi alla luce di ogni critica minimamente plausi-bile. Fra questi perfezionamenti i più interessanti sono i seguenti: l'in-troduzione di un tipo speciale di interruttore a fili incrociati in modo che l'operatore, pur sapendo quale pulsante premeva, non sapeva quale lampadina avrebbe acceso; la messa in azione degli interruttori secondo una tavola di numeri scelti in precedenza a caso in modo da eliminare

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un'eventuale "abitudine di numero" da parte dello sperimentatore che avrebbe aiutato a indovinare; un selezionatore automatico che eseguiva lo stesso lavoro automaticamente; e, forse più interessante di tutti, l'uso di un "raccordo di azione ritardata" ideato in modo che le lam-padine si accendevano solo dopo che il soggetto aveva sollevato il co-perchio della scatola, sebbene il circuito che determinava quale lampa-dina avrebbe dovuto accendersi se il coperchio ne veniva sollevato venisse messo in azione in precedenza. Servendosi di questo ritrovato, ciò che il soggetto deve indovinare non viene materializzato e non può essere oggetto di "chiaroveggenza" fino a che il soggetto stesso non ha espresso il suo pensiero; se ci si serve anche dell'apposito interruttore, lo sperimentatore non è a conoscenza della "scelta" determinata dall'ap-parecchio, di modo che essa non può essere trasmessa per via "tele-patica"; ed infine si elimina ogni possibilità che il soggetto ottenga indi-cazioni mediante gli scatti differenziati degli interruttori dell'apparec-chio per il fatto che non hanno ancora scattato.

Sono quasi certo che questo è l'esperimento più rigoroso del ge-nere che sia mai stato tentato; ma nonostante tutto, i risultati signifi-cativi ottenuti furono assai poco inferiori a quelli generalmente raggiunti. Per maggiori particolari il lettore che si interessi dell'argomento potrà consultare le relazioni dello stesso Tyrrell pubblicate nei Proceedings 48 Lavoro sperimentale (II)

della S. P. R., o la sua descrizione dell'apparecchio pubblicata nel Jour-nal of Parapsychology.

In passato il Tyrrell fu occasionalmente criticato (fra gli altri an-che da me) per essersi concentrato tanto su un unico soggetto. Ritengo che la critica sarebbe ragionevole se il lavoro in questione fosse stato il solo, o quasi, che avesse fornito prove a favore di questi fenomeni in generale; in questo caso lo scettico potrebbe accampare la eventualità di frode concordata a maggior diritto che se si trattasse di diversi sog-getti indipendenti \ Ma le cose non stanno affatto così, perché questo lavoro, per quanto prezioso e importante, non è che una parte di un complesso assai più vasto. Date le circostanze in cui si trovava il Tyrrell, sarebbe stato contro natura fare altrimenti, come se una persona, che abbia una vena d'oro nel suo giardinetto, iniziasse uno studio prelimi-nare sulle proprietà di questo metallo cercando di estrado dall'acqua di mare. Ciò nonostante, mi piacerebbe vedere questo genere di lavoro esteso ad altri soggetti, al fine di accertarsi, se è possibile, quanto entri in giuoco l'elemento specifico del "ritrovamento", e in che misura esso costituisca una caratteristica della signorina J. o in che misura è ri-scontrato in altri.

22. Il lavoro del Dr. Hettinger.

II Dr. Hettinger si distingue per essere stato il primo (credo) che in questo paese abbia preso una laurea in filosofia presentando una tesi sui fenomeni paranormali. Indice notevole della sua profondità e del suo entusiasmo è il fatto che fin dal 1933 egli incominciò a seguire i corsi di psicologia al King's College a Londra per agguerrirsi per le sue ricerche, sebbene egli avesse già su-perato da un pezzo l'età dello studente e avesse una buona posizione come avvocato procuratore.

Le sue ricerche si sono concentrate su quello strano e poco stu-diato fenomeno generalmente, ma disgraziatamente, noto con il nome di "psicometria" e che sarebbe preferibile, se non ideale, chiamare "let-tura di oggetti". In questo genere di ricerche al soggetto o "sensitivo" viene presentato un oggetto perché vi si "concentri" e descriva le im-pressioni che riceve sia circa l'oggetto stesso, sia circa il suo proprie-tario. Nella letteratura su questa materia sono citati numerosi casi in cui si sostiene che tali impressioni corrispondono ai fatti in misura tale che non possono essere attribuiti al solo caso, al pensiero intelli-gente o alla conoscenza acquisita per via normale dai sensitivi2.

1 In queste speciali ciiteostanze, particolarmente tenendo conto della oggettività delle registrazioni su nastro, sarebbe assai difficile sospettare una cosa del genere, indipendentemente dalle considerazioni sul carattere dello sperimentatore.

2 Confrontare a questo proposito specialmente il resoconto del Dr. Franklin Prince sulle osservazioni di Pagenstecher.

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Lavoro sperimentale (II) 49

Spetta tuttavia al Dr. Hettinger il merito di essere stato il primo ad avere ideato dei metodi mediante i quali le impressioni di "oltre al caso" poterono essere sottoposte a una valutazione ragionevolmente esatta. La maggior parte del suo primo libro è dedicata a un resoconto del graduale sviluppo di questi metodi, dai primi tentativi che egli presto riconobbe insoddisfacenti a quelli adottati definitivamente e che non lasciano, a mio parere, alcun dubbio sostanziale circa il carattere extra-normale della conoscenza dimostrata dai soggetti.

Egli ebbe dunque l'idea veramente geniale di far leggere delle ri-viste, preferibilmente illustrate, ai proprietari degli oggetti presentati al sensitivo, mentre venivano registrate le impressioni, con la speranza che il sensitivo potesse "afferrare", per così dire, il contenuto delle illustrazioni o le immagini da esse suscitate nella mente del lettore. Per quanto si può giudicare da un esame degli esempi riportati nel suo se-condo libro, questo metodo riuscì in modo ammirevole; il Dr. Hettinger, però, non ha ancora (disgraziatamente secondo me) sottoposto questo aspetto del suo lavoro ai calcoli statistici, di modo che le prove, per quanto assai sorprendenti in alcuni casi, valgono solo qualitativamente. Ma il risultato riportato si accorda perfettamente con quanto è pre-visto teoricamente, come vedremo più avanti; non vedo quindi la ragione di metterlo seriamente in dubbio, tanto più che anche il lavoro descritto nel primo libro costituisce un contributo notevole in questa materia.

23. Gli esperimenti dell'autore con i disegni: 1. Generalità.

Chiedo scusa se dedico alla descrizione dei miei esperimenti uno spazio notevolmente maggiore di quanto non ho concesso al lavoro degli altri. Questo, oltre alla naturale predilezione per la mia progenie, è dovuto a due ragioni.

La prima è che, sebbene molti sperimentatori fin dai tempi più remoti si siano serviti di disegni semplici o di diagrammi (solitamente questi ultimi) come materiale di prova, nessuno (per quanto sappia) lo ha fatto su scala così vasta (ho in archivio circa 20.000 disegni di cui quasi la metà sono stati catalogati); e nessuno fino ad oggi ha trovato un modo veramente soddisfacente per valutare i risultati ottenuti, per determinare se possono plausibilmente essere attribuiti al caso, per con-frontare i risultati ottenuti in condizioni diverse ecc, così da costituire un utile strumento di ricerca \

1 Dovrei mettere bene in chiaro che personalmente non ho alcun merito nella ideazione di questi metodi. Le mie capacità matematiche sono così misere da non dover quasi essere prese in considerazione, di modo che devo rivolgermi agli altri perché mi forniscano gli strumenti necessari. Il metodo di controllo menzionato a Pag. 55 mi fu suggerito da W. L. Stevens, che lo elaborò per servirsene in una 50 Lavoro sperimentale (II)

La seconda ragione è che, sebbene da circa 25 anni mi sia tenuto abbastanza al corrente sulle maggiori ricerche sperimentali in questo campo, è solo attraverso lo studio dei risultati ottenuti con i disegni, che incominciai a farmi un'idea sul genere di fenomeno che vi si svol-geva. Col tempo questa idea si è cristallizzata nella teoria che svilup-però nella II parte di questo volume, cioè quella fondamentale; mi sembra quindi ragionevole trattare più dettagliatamente gli esperimenti che diedero origine a questa teoria a preferenza di quelli che, se pure intrinsecamente importanti, valgono solo in quanto la convalidano od offrono un più vasto campo per la sua applicazione.

In realtà fu in gran parte dovuto al caso se mi decisi a servirmi dei disegni piuttosto che delle carte. I miei esperimenti ebbero inizio al principio del 1939 e a quell'epoca, almeno nel mio ambiente, le discussioni relative a questa materia si aggiravano principalmente sulla questione se i risultati del Rhine potevano essere plausibilmente spie-gati per mezzo di "infiltrazioni" di indicazioni sensorie o affini. Decisi di eseguire una serie di esperimenti tali che, pur presentando altre man-chevolezze, escludessero in modo assoluto la possibilità di "infiltra-zioni".

La mia prima intenzione era quella di porre ogni sera nel mio

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studio un mazzo di carte Zener mescolato (o forse diversi mazzi) in una posizione prestabilita; di chiedere a quante persone potevo indurre a collaborare con me di pensarle successivamente dalla prima all'ultima, facendolo in qualsiasi luogo si trovassero al momento; e continuare in questo modo fino a che venisse fuori un risultato positivo signifi-cativo, oppure rinunziarvi per disperazione. Questo almeno avrebbe eliminato 1' "infiltrazione", ma non sono affatto certo che avrebbe dato risultati positivi; probabilmente no, perché, per una ragione inesplica-bile, la capacità di indovinare carte sembra essere assai più rara in In-ghilterra che in America.

Ma proprio quando mi stavo preparando ad organizzare questo esperimento, vidi per caso alcuni disegni ottenuti nel corso di alcuni esperimenti secondari condotti da C. V. Herbert, della "Society for Psy-chical Research", e da un gruppo di membri di questa società insieme con un gruppo analogo capeggiato da Tanagras ad Atene. Uno o due punti mi apparvero interessanti; inoltre il caso aveva voluto che poco

situazione leggermente diversa; il metodo di registrazione, che ho trovato tanto prezioso, è un riadattamento di quello proposto dal Prof. Fisher per valutare i successi parziali nel pensiero delle carte, modificato poi da Saltmarsh e Soal ed usato dal Pratt per calcolare il valore delle dichiarazioni fatte dai "medium" in trance. È un piacere per me esprimere ancora una volta la mia riconoscenza al Prof. Fisher e allo Stevens, nessuno dei quali va tenuto responsabile dell'uso che ho fatto dei loro metodi.

Lavoro sperimentale (II) 51

prima avessi riletto il libro di Upton Sinclair, Mental Radio. Questo libro è quanto mai interessante e piacevole

senz'altro la più attraente introduzione allo studio della materia

e apporta un prezioso con-tributo, almeno con i suoi suggerimenti, alla nostra comprensione di essa. Se il Sinclair fosse stato capace di dare una forma organica ai suoi esperimenti, e specialmente se fosse stato capace di valutarli, la sua opera avrebbe potuto allinearsi fra quelle più importanti nel campo della ricerca; anche così come sono, ho il dubbio che avrei dovuto dedicargli più spazio di quanto non faccia.

Queste varie circostanze, cui va aggiunto il fatto che mi ricordai del metodo di "accoppiamento", talvolta usato nel lavoro di ricerca psicologica, mi fecero cambiare idea e decisi di servirmi di disegni an-ziché di carte; ma naturalmente rimasero inalterate le altre mie deter-minazioni di prendere misure per escludere assolutamente qualsiasi pos-sibilità di "infiltrazione".

Omettendo i particolari, per i quali si può consultare la mia prima relazione su questo argomento, il procedimento fu il seguente: per dieci sere consecutive un disegno lineare semplice, in inchiostro nero su carta bianca, che occupava circa due terzi di un foglio protocollo, veniva attaccato nel mio studio alle 7 di sera e lasciato in quella posi-zione fino alle 9,30 della mattina seguente. L'oggetto da disegnare veniva determinato aprendo un dizionario alla pagina corrispondente a un numero scelto a caso in una apposita tabella e scegliendo la prima parola che poteva essere disegnata. Questo metodo di scelta non è l'ideale, ma garantisce la necessaria casualità che è quanto importa maggiormente in questo caso.

I soggetti dovevano tentare di "riprodurre" questi disegni, oppure disegnare ciò che essi pensavano che rappresentassero, in qualsiasi mo-mento preferissero durante le ore suindicate. Naturalmente venivano prese precauzioni adeguate al fine di avere la certezza che nessuno, per quanto lontanamente coinvolto nell'esperimento, entrasse nella stanza mentre gli "originali" (i miei disegni) erano esposti e che questi fossero messi sotto chiave una volta usati. Un esperimento era costituito da una serie di prove (cioè dieci originali e dieci tentativi di riprodurli da parte di ciascun soggetto).

Questo è il procedimento-tipo usato in tutti gli esperimenti che qui riferirò, con variazioni minime tranne che nel secondo l. Nel se-

1 Nel sesto esperimento, gli originali, che erano stati preparati precedente-mente da una terza persona, furono ciascuno esposto due volte, una volta rin-chiusi in una busta opaca e la seconda volta "scoperti". Nel settimo ciascuno dei cinque collaboratori o sotto-sperimentatori seguirono il procedimento normale per quanto riguarda la "esposizione" dell'originale, ma naturalmente ciascuno in una

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stanza diversa. Confrontare le mie seconde relazioni. 52 Lavoro sperimentale (li)

condo esperimento lavorai con un gruppo di soggetti nel laboratorio di psicologia di Cambridge. Eravamo sistemati in due stanze separate l'una dall'altra da due piani; tanto i soggetti quanto io stesso eravamo sorvegliati, per cui qualsiasi infiltrazione per mezzo dei sensi era asso-lutamente esclusa. In questa occasione le serie di dieci prove furono fatte ciascuna in poco più di un'ora.

24. Gli esperimenti dell'autore (seguito). Valutazione: il metodo di "accoppiamento".

Passiamo ora alla questione della valutazione. A parte un importante e incoraggiante successo ottenuto nel corso del primo esperimento, il metodo dell'"accoppiamento" non funzionò, e con ciò intendo dire che, sebbene i disegni apparissero al primo sguardo molto promettenti, il metodo usato non indicava se agiva qualche altra cosa che non fosse il caso. La ragione per cui questo metodo non indicava altro, mentre un metodo diverso di valutazione ebbe pieno successo, è così importante che debbo pregare il lettore di sopportare qualche breve parola di spiegazione.

Cercherò di spiegare brevemente, con l'aiuto di un esempio, come funziona il metodo dell' "accoppiamento". Prendete da un mazzo dieci carte consecutive, ad esempio dall'asso al 10 di fiori, e mettetele in fila nell'ordine che preferite; quindi prendete dall'asso al 10 di quadri, mescolatele e disponetele sempre rivolte all'ingiù sotto la prima fila; poi scopritele. Se ripetete questo procedimento abbastanza spesso, ri-scontrerete una media di una coincidenza, cioè il cinque di quadri sotto al cinque di fiori o il tre sotto al tre, ogni volta; ed è abbastanza facile sia dimostrare che questo può essere previsto teoricamente, sia calcolare le probabilità di ottenere un numero maggiore di coincidenze per puro caso. Questo è l'esempio; lo stesso principio si applica esat-tamente agli originali e ai disegni.

Disponete in fila dieci originali di un esperimento, nell'ordine in cui sono stati usati, e fatevi dare da qualcuno i dieci disegni fatti da un soggetto, prima che voi abbiate visto in che ordine sono stati ese-guiti, mescolateli in modo che non possiate sapere in quale occasione ciascuno di essi è stato disegnato. Disponeteli secondo un criterio qualsiasi di fronte ai dieci originali; nel caso particolare "accoppiateli", cioè ponete ciascuno di essi davanti all'originale che vi pare maggior-mente gli rassomigli. Allora, se supponiamo che non si verifichi più di una coincidenza dovuta al caso fra ciò che è stato usato come ori-ginale in una data occasione e ciò che il soggetto ha disegnato in quella stessa occasione, dobbiamo aspettarci di avere in media una, e non più di una, coincidenza di date fra i disegni così disposti di ciascun soggetto e gli originali; cioè a dire in media voi avrete posto un disegno, ma non più di uno, davanti all'originale al quale, per così

Lavoro sperimentale (II) 53

dire, esso si era "ispirato". Ma se interviene un qualsiasi fattore (sia esso telepatia o altro) tale che un soggetto ha maggiore probabilità di disegnare un oggetto qualsivoglia quando

cioè nella stessa occa-sione in cui

questo oggetto è disegnato dallo sperimentatore e usato come originale (o, naturalmente, ha maggiori probabilità di disegnare qualche cosa palesemente affine) questo vi aiuterà nello "accoppia-mento" e otterrete in media più di una coincidenza di data per serie di disegni.

Le parole importanti qui sono "nella stessa occasione in cui". Se il soggetto semplicemente avesse la tendenza a disegnare lo stesso oggetto disegnato dallo sperimentatore in qualche occasione entro il periodo dell'esperimento ma non necessariamente nella stessa occa-sione,

cioè, se egli lo disegnasse il giorno successivo,

questo non vi aiuterebbe nel? "accoppiamento", anche se questa tendenza fosse sensibilissima.

Ora, nel mio primo esperimento, uno degli originali era una Mano e un altro un Bufalo; nel secondo, un originale era una Trot-tola e un altro un'illustrazione della parola "Sparare" (il disegno di un fucile da caccia al momento in cui parte il colpo). I 37 soggetti

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del mio primo esperimento riprodussero non meno di 8 mani (risul-tato che ritenni rimarchevole per quanto potevo giudicare in base al buonsenso) e sette Mucche assortite (che evidentemente ricordavano abbastanza il Bufalo). I 20 soggetti del secondo esperimento ripro-dussero 2 Trottole e 4 fucili assortiti. Ma il primo esperimento non mi diede alcuna trottola o fucile di qualsiasi genere; e il secondo solo una Mano (che poi era un guanto!) e due Mucche. Lo stesso tipo di tendenza, in misura minore, fu riscontrata con gli altri origi-nali dei due esperimenti.

25. Gli esperimenti dell'autore (seguito). Spostamento e preco-gnizione.

Esaminando questi fatti incominciarono a chiarirmisi le idee e mi resi conto che l'esperimento di "accoppiamento" partiva dal naturale ma ingenuo presupposto che la telepatia dovesse essere una questione di "o adesso o mai"; cioè a dire che se è operante, lo è nel momento particolare in cui lo sperimentatore prepara l'origi-nale e in nessun altro, oppure solo durante il periodo di "esposizione" dell'originale; e analogamente si doveva supporre, in altri tipi di espe-rimenti, che se i fatti non corrispondevano ai presupposti e se la telepatia non si uniformava alle nostre ingenue aspettative, ma agiva secondo un piano suo proprio, allora molto probabilmente il metodo dell'accoppiamento non serviva a dimostrare la sua esistenza. Mi rendo ora conto che ciò che importava non era il fatto che il soggetto dise-gnasse un oggetto "X" nella stessa occasione in cui lo disegnava lo 54 Lavoro sperimentale (II)

sperimentatore, ma il fatto che i disegni del soggetto, di qualsiasi espe-rimento, presi complessivamente registrassero relativamente più suc-cessi (senza tener conto dell'occasione in cui erano stati fatti) con gli originali usati in quell'esperimento, presi nel loro complesso, che non con gli originali usati in altri esperimenti, e viceversa. In altre parole, capii chiaramente che un "successo" in una certa misura poteva essere spostato da quella che comunemente si considererebbe la sua posizione naturale nella serie delle prove sperimentali.

Ritengo che l'essermi reso conto di questo fatto costituisce il punto decisivo di tutta l'indagine. Se non lo avessi individuato e non mi fossi risolutamente rifiutato a lasciarmi spaventare da ciò che esso implicava, avrei potuto continuare a faticare indefinitamente, do-mandandomi come mai esperimenti, che in un certo senso apparivano così promettenti, non dessero risultati positivi.

Il fatto strano in tutto questo è che gli spostamenti non si pro-ducevano sempre nella stessa direzione; anzi, sembrava che i soggetti avessero quasi altrettante probabilità di disegnare un oggetto un po' prima che l'originale venisse esposto quanto di disegnarlo dopo. La seconda eventualità era abbastanza comprensibile in termini di "ritardo", "stato latente", "presentazione differita" o qualche cosa del genere; ma il segnare successi, dovuti ad altro che al caso, prima dell'espo-sizione implicava qualche cosa del tipo della "precognizione", che la maggior parte della gente trovava ancora più difficile da accettare della telepatia ed altri fenomeni affini.

Comunque, così era ed era inutile ribellarsi alla realtà. Fortuna-tamente 1' "effetto" precognitivo è ora stato pienamente confermato da Soal e Goldney in quella che probabilmente è la serie di ricerche più rigorosa e più invulnerabile che sia mai stata eseguita in questo campo. Anche il Rhine* ha registrato fatti che dimostrano che c'è la precognizione; ed esiste una notevole massa di prove non speri-mentali qualitativamente ottime relative a questa materia quali quelle esaminate dal Saltmarsh.

Spero che il lettore non mi farà il torto di immaginare che io stia facendo tutta una petizione di principio dicendo che i successi registrati nella occasione giusta sono dovuti a fenomeni telepatici, quelli che si presentano troppo presto sono dovuti a fenomeni di precognizione e quelli che si presentano troppo tardi sono differiti. Sarebbe questa una deplorevole mancanza di logicità. La situazione è questa: se non agisse la telepatia, od altro fattore "paranormale", il

1 Dovrei dire che non sono d'accordo con il metodo usato dal Rhine per trat-

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tare i suoi dati in questo caso, ma un controllo più rigoroso lascia pochi dubbi sulla realtà dell'influenza osservata.

Lavoro sperimentale (II) 55

numero di disegni di un qualsiasi oggetto particolare, cioè il numero di successi palesi con un qualsiasi originale, sarebbe più o meno costante rispetto al tempo e soggetto solo a fluttuazioni dovute al caso, di natura non sistematica. Se i fenomeni telepatici e affini fossero una questione di "adesso o mai", come fino ad ora si era tacitamente ammesso, il numero di successi palesi fluttuerebbe con lo stesso anda-mento del caso rispetto ad un valore costante fino al momento della esposizione dell'originale, quindi aumenterebbe d'improvviso, per ridi-minuire immediatamente e proseguire con le fluttuazioni dovute al caso. Se i fenomeni telepatici agissero solo "o ora o differiti", l'andamento sarebbe lo stesso di quello testé descritto fino al momento della esposizione, poi accelererebbe di colpo e quindi rallenterebbe grada-tamente per riprendere il ritmo normale, ma probabilmente non più esattamente eguale. Ciò che in effetti si verifica è questo: il numero di successi palesi aumenta gradatamente via via che si avvicina il momento della esposizione, raggiunge il massimo in questo momento o press'a poco, e poi nuovamente diminuisce gradatamente; ma tutto il processo è per così dire, soffocato dalle fluttuazioni dovute al caso, come c'è da aspettarsi.

26. Gli esperimenti dell'autore (seguito). Valutazione: metodo dello Stevens.

Riprendendo la questione della valutazione, risulta ora abbastanza chiaro ciò che dobbiamo fare. Dobbiamo riscontrare se i soggetti del primo esperimento segnarono relativamente più suc-cessi con gli originali del primo esperimento, presi complessivamente, che non con gli originali del secondo, terzo, quarto ecc esperimento; se i soggetti del secondo esperimento segnarono relativamente più successi con gli originali del secondo esperimento che non con quelli del primo, terzo ecc, e così via. Questo lo si può fare in modo abbastanza facile semplicemente facendo un elenco dei successi segnati da tutti i soggetti dei vari esperimenti con tutti gli originali dei vari esperimenti; si dispongono in tavole sinottiche e si applica il metodo non molto difficile, ideato dallo Stevens, per calcolare le probabilità che un riscontrato eccesso, superiore al "numero previsto", di suc-cessi da parte dei soggetti con gli originali dei loro esperimenti sia dovuto al caso.

Una parola sul "numero previsto", perché questo è il nocciolo di tutta la questione. Lavorando con le carte da giuoco abbiamo a che fare con ciò che generalmente vien detta una probabilità a priori o antecedente; cioè a dire, sappiamo, o abbiamo buone ragioni per credere, che in base al puro caso il soggetto ha una probabilità su 52 di pensare correttamente la carta, di modo che, se pensa tutto il mazzo di carte, si può prevedere che farà un pensiero corretto, e 56 Lavoro sperimentale (II)

se pensa venti mazzi di carte si può prevedere che farà circa 20 pen-sieri corretti. Ma lavorando con i disegni non abbiamo queste pro-babilità antecedenti che ci guidano; non possiamo assolutamente dire, prima di iniziare, se le probabilità che il soggetto disegni un Cane per puro caso saranno di una su 23 o su qualsiasi altro numero, né quindi se è prevedibile che un gruppo di cento soggetti disegni in media poco più di quattro cani. La sola cosa che possiamo fare

e naturalmente è più che sufficiente

è contare quanti cani vengono effettivamente disegnati da un dato numero di soggetti (facendo un numero standard di disegni, ad esempio dieci) quando il cane non è usato come originale, e calcolare in base a questo, procedendo con la normale "regola del tre", le probabilità che vengano disegnati da un qualsiasi altro numero di soggetti che lavorino in un esperimento in cui il Cane è usato come originale, presupponendo che la presenza dell'originale non porti alcuna differenza. Se troviamo che di fatto il numero dei successi supera quello previsto, possiamo incominciare a sospettare che l'uso dell'originale porti una differenza, il che è appunto ciò che vogliamo sapere.

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Ad esempio, ho detto che i 37 soggetti del mio primo esperi-mento disegnarono complessivamente otto Mani e che appunto uno degli originali usati in quello stesso esperimento era una Mano. È questo più di quanto dovremo prevedere? Negli esperimenti in cui la Mano non fu usata come originale, un totale di 491 soggetti disegnò com-plessivamente 19 Mani; basta applicare semplicemente la regola del tre per stabilire che, se l'uso dell'originale non portasse alcuna dif-ferenza, 37 soggetti avrebbero dovuto disegnare qualche cosa meno di una mano e mezzo, cioè più di una ma meno di due. Evidente-mente otto Mani rappresentano un grosso eccesso rispetto a questo numero previsto; di fatto vi sono circa cento probabilità contro una che un simile eccesso non sia dovuto al puro caso, ma questo fu, per così dire, un "colpo ben riuscito" e naturalmente bisogna tener conto degli originali che hanno avuto meno successo. Con il metodo suaccennato, eseguiamo questo genere di calcoli con tutti i soggetti e tutti gli originali di tutti gli esperimenti della serie, e determiniamo quante probabilità vi sono che l'eccesso di successi rispetto al previsto sia dovuto al caso. In pratica, servendomi dei dati dei miei primi cinque esperimenti, calcolai che le probabilità che non fossero dovuti al caso erano di più di 10.000 contro una.

27. Gli esperimenti dell'autore (seguito). Valutazione: tre punti tecnici.

Purtroppo vi sono ancora tre punti che debbono essere eliminati prima di poter procedere ad argomenti più interessanti.

Primo: esiste l'evidente pericolo che nel segnare i successi, per Lavoro sperimentale (II) 57

i successivi calcoli, si sia fuorviati dal desiderio di ottenere un risul-tato positivo. Sarebbe assai grave se ci permettessimo di tener conto di semplici "rassomigliarne" di forma come se effettivamente identiche all'originale per contenuto, cioè se contassimo un successo solo perché un disegno "ricorda" o "ha una forma molto simile" o "suggerisce" un originale, invece che essere chiaramente e manifestamente un disegno dello stesso oggetto rappresentato nell'originale. Per evitare un simile errore, passai tutto il materiale a una terza persona che non era al corrente dei particolari del lavoro, consegnandogli gli originali in ordine tale che non avesse assolutamente modo di sapere in quali esperi-menti ciascuno di essi era stato usato. Così, anche se noi avessimo desiderato di svisare i calcoli, egli non avrebbe potuto, se non per caso *, attribuire ai soggetti di uno qualsiasi degli esperimenti un indebito numero di successi con i rispettivi originali, per la semplice ragione che egli non sapeva né poteva sapere quali erano gli originali. Questo, per diverse ragioni, è un metodo poco pratico e poco soddi-sfacente di segnare i successi e non me ne servirei per il lavoro nor-male, una volta stabilito che esiste realmente l'influenza telepatica o affine; ma era necessario come controllo nelle prime fasi del lavoro sperimentale.

Secondo: si potrebbe obiettare che, sebbene il procedimento testé descritto elimini in modo soddisfacente il caso, non elimina altri fat-tori normali di cui si può ragionevolmente supporre l'influenza. Se, ad esempio, i soggetti del mio secondo esperimento fossero stati dei Cac-ciatori, è ragionevole supporre che avrebbero avuto una maggiore tendenza a disegnare Cavalli (il Cavallo era uno degli originali usati nell'esperimento) di quanto non ne avrebbero avuto dei soggetti mem-bri della Società di Cucito; oppure, se i soggetti del mio primo espe-rimento fossero stati in prevalenza Marinai, avrebbero avuto la ten-denza a disegnare Ancore (l'Ancora era uno degli originali usati in questo esperimento) più di quanto non ne avrebbero avuta persone normali. Oppure un avvenimento di carattere mondano, quale un con-corso ippico o la settimana della Marina, potrebbero indurre persone normali a pensare a queste cose più di quanto non lo farebbero comunemente, di modo che, se uno di questi eventi avesse luogo al momento dell'esperimento, probabilmente si sarebbero ottenuti risul-tati spuri.

Quanto sopra è esatto, però tutto sembra dimostrare che fattori

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1 O, forse, esercitando una facoltà paranormale estremamente eccezionale tutta sua propria; ma fare una simile supposizione solo per amore della critica equivarrebbe a rimettere in discussione tutta la questione del verificarsi dei feno-meni paranormali. 58 Lavoro sperimentale (li)

analoghi esercitano un'influenza sorprendentemente piccola e assolu-tamente disprezzabile sui disegni dei soggetti. Tuttavia andava preso in considerazione in quanto rappresentava un'eventuale difficoltà.

Ora, fattori di questo genere sono armi a doppio taglio. Se per una ragione qualsiasi avete più probabilità di disegnare un Cavallo, ne avrete meno di disegnare un Ago (o qualsiasi altro oggetto), per-ché avete solo dieci disegni da fare ed il Cavallo avrà la tendenza a espel-lere gli altri oggetti.

Per esprimerci con altre parole: le probabilità che un dato og-getto venga disegnato non saranno costanti, ma fluttueranno al di sopra e al di sotto di un numero medio, e di solito dipende intera-mente dal caso se l'uso che farete di un dato oggetto come originale coinciderà con una fluttuazione in alto o in basso. Quindi, purché gli originali siano scelti a caso, come lo sono sempre stati, una influenza contingente ha, in media, altrettante probabilità di influire in più quanto in meno; cioè a dire, ha altrettante probabilità di far segnare al disotto del numero di probabilità dovute al caso (negativa) quanto di fare segnare al disopra (positiva). Ma nei miei primi sette esperi-menti, nei quali usai un complesso di undici serie di dieci originali ciascuna (il settimo fu un esperimento in cui studiai 5 diversi punti), i successi segnati nelle undici serie risultarono positivi, cioè supe-riori al numero di probabilità dovute al caso; e va tenuto conto che le probabilità di ottenere undici risultati dello stesso segno (cioè tutti positivi o tutti negativi) sono solo di una su 1.024. Quindi possiamo con tranquillità ritenere che le influenze telepatiche riscontrate non sono dovute a questo genere di cose.

Terzo: il metodo dei gruppi di esperimenti a "registrazione in-crociata", per cui (se volete considerarli sotto questo aspetto) ciascuno di essi è controllato da tutti gli altri, è ottimo come controllo, ma è di scarsissima utilità per scoprire il genere di cose che vogliamo sapere sui fenomeni telepatici e sul modo con cui essi operano. Ad esempio: i soggetti vicini allo sperimentatore registrano più successi di quelli che ne sono lontani? Le donne registrano più successi degli uomini, o i vecchi più dei giovani? Gli originali che illustrano oggetti comuni vanno meglio di quelli che ne illustrano dei rari? Oppure quelli a cui lo sperimentatore ha dedicato maggiore attenzione vanno meglio di quelli a cui ne ha dedicata meno? E così via. A nessuna di queste domande, o ad altre simili, si può rispondere soddisfacentemente, am-messo che si possa rispondere, con il genere di metodo che ho testé illustrato.

28. Gli esperimenti dell'autore (seguito). Valutazione: catalogo e registrazioni del Fisher.

II secondo grande passo avanti nei miei Lavoro sperimentale (II) 59

studi in questa materia fu fatto quando mi venne in mente che avrei potuto applicare a questa categoria di dati lo stesso tipo di metodo che il Prof. Fisher aveva proposto per registrare successi parziali con le carte da giuoco. Non ho l'intenzione di infliggere al lettore i parti-colari di questo metodo che comporta calcoli matematici. Lo si può così riassumere: se siamo a conoscenza di riscontrate probabilità (deter-minate nel modo indicato più sopra nel caso della Mano) che un dato oggetto venga disegnato quando non è usato come originale, possiamo attribuire al numero di "colpi", ottenuti da un qualsiasi gruppo di soggetti in un qualsiasi esperimento con un qualsivoglia originale (o anche senza) usato in quell'esperimento, un valore che rappresenta la misura del loro successo.

Questi valori sono ciò che potrei definire scherzosamente quan-tità falsificate, con l'aiuto delle quali possiamo studiare ogni sorta di problemi; tutti gli interessanti risultati che ho ottenuto, ad eccezione di quelli dimostranti le pure e semplici influenze telepatiche, li ho

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ottenuti appunto per mezzo di essi. Senza di essi dubito che sarei riuscito a fare progressi utili. Disgraziatamente, via via che si procede con nuovi esperimenti o che si studiano nuovi quesiti, si continua a servirsi di nuovi originali o almeno a voler sapere se è probabile che vengano riprodotti tipi di oggetti che non erano stati, fino allora, presi in considerazione; e non si può esaminare migliaia di disegni ogni volta che si cercano informazioni di questo genere. Di conseguenza era necessario esaminare tutti i disegni una volta per tutte e fare un catalogo che comprendesse tutti i disegni che ciascun percipiente aveva fatto fino al momento dell'inizio degli esperimenti. Questo ca-talogo, con una descrizione completa del metodo usato per segnare i successi, è stato pubblicato dalla "American Society of Psychical Research" e può essere consultato da chiunque se ne interessi. A pro-posito, fatto che ha la sua importanza, esso, usato insieme col metodo descritto, ci fornisce un'utilissima base di misurazione con l'aiuto della quale chiunque desideri fare esperimenti in questo campo può valu-tare i risultati ottenuti (purché i suoi soggetti non siano troppo diversi dai miei) senza intraprendere la notevole fatica di prepararsi un cata-logo per suo conto o senza dover procedere attraverso il complesso rituale della valutazione incrociata di abbondanti masse di dati.

29. Gli esperimenti dell'autore (seguito). Conclusioni varie.

Non mi propongo di dare qui un elenco formale dei fatti e delle sco-perte registrate; sarà probabilmente più utile riferirli via via che ser-viranno nel corso del libro. Ma vi sono alcuni punti che vorrei pren-dere in esame e che possono aiutare a dare al lettore un'idea abbastanza esatta di come procedono le cose. Di proposito espongo queste con- 60 Lavoro sperimentale (II)

clusioni brutalmente e senza accompagnarle con dimostrazioni dettagliate che le convalidino: il farlo non servirebbe che a stancare il lettore, il quale potrà trovare tutto questo nelle mie relazioni originali.

1.

Come abbiamo già osservato, le probabilità di segnare un "colpo" aumentano gradatamente via via che ci si avvicina al mo mento dell'esposizione dell'originale, raggiungono il massimo in quel momento o press'a poco, e gradatamente diminuiscono. Tuttavia il ritmo di aumento o di diminuzione non sembra corrispondere al nor male tempo astronomico o dell'orologio, ma piuttosto a un ritmo, per così dire, di esperimento; cioè, l'aumento del numero di probabilità che un dato oggetto venga disegnato perché usato come originale, non diminuisce con un ritmo di, diciamo, 10 per cento al mese o alla settimana, ma con un ritmo di 10 per cento (o qualsiasi altro numero) per esperimento eseguito. Comunque l'elemento esperimento risulta più importante dell'elemento tempo cronometrico.

2.

Se viene usato un numero relativamente grande di sog getti, di regola non è molto difficile accertare l'influenza telepatica. Nei miei cinque esperimenti lavorai complessivamente su 250 soggetti e negli altri sette su 741. Naturalmente alcuni reagirono meglio di altri, ma non vi è ragione di supporre che questa facoltà fosse molto più sviluppata in alcune persone che non in tutte le altre; essa, cioè, sembrava distribuita abbastanza normalmente.

3.

La distanza non porta alcuna differenza. Tutti gli speri mentatori sembrano essere d'accordo su questo punto.

4.

Praticamente nulla fa pensare che i soggetti "vedano" in un modo o nell'altro l'originale e lo còpino. Anzi, tutto porta a far credere che coloro che segnano "colpi" agiscano come se fosse stato detto loro "disegna una mano" e non "copia questo disegno di una mano". È, per così dire, 1'"idea" o "il contenuto" o il "significato" dell'originale che viene trasmesso e non la sua forma. In alcuni casi, è vero

riferisco questo solo dopo accurato esame

sembrerebbe che il soggetto sia riuscito ad ottenere solo una specie di sensazione della forma senza poterla interpretare; e anche in questi casi, direi che si tratta dell' "idea" della forma, cioè del concetto visivo del trac ciato dello sperimentatore, piuttosto che di una intuizione diretta del

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tracciato stesso.

5.

Non porta alcuna differenza se l'originale è posto in una

busta opaca, purché esso sia noto allo sperimentatore al momento in cui viene eseguito l'esperimento oppure (e qui entra in giuoco l'influenza della precognizione) immediatamente dopo. Non importa se è stato

Lavoro sperimentale (li) 61

disegnato o meno purché sia "impresso nella mente dello sperimenta-tore" in rapporto all'esperimento. E non importa neanche che sia noto allo sperimentatore purché sia noto, in rapporto all'esperimento, a qualcuno che vi partecipa. In breve, l'originale in se stesso non ha nulla a che fare con il procedimento se non in quanto l'azione del disegnare serve, per così dire, a imprimere più profondamente nella mente dello sperimentatore l'idea dell'oggetto di quanto non si impri-merebbe se egli semplicemente vi pensasse o ne scrivesse il nome.

6.

Se diversi sperimentatori lavorassero di conserva, o press'a poco, come nei miei sette esperimenti, non si avrebbero maggiori pro-babilità che i soggetti indovinino gli originali preparati ed esposti dal loro proprio sperimentatore che non quelli preparati e disposti dagli altri. Il procedimento non dipende da un "rapporto" nel senso in cui questo termine viene comunemente inteso

dato che si possa dire che sia comunemente inteso in un senso definibile

sebbene, come vedremo più avanti, agisca un meccanismo più o meno equiva-lente di grande importanza.

Queste conclusioni, e una o due altre, contribuiranno in modo importante a stabilire la teoria esposta nella II Parte di questo volume; ed è interessante notare qui che assai difficilmente saremmo giunti alle conclusioni esposte nel quinto e sesto paragrafo mediante espe-rimenti con le carte; mentre a quelle del primo di fatto non si giunse mediante le carte, ma ciò sarebbe stato possibile, tanto più che il fatto dello spostamento è stato validamente confermato dagli esperimenti con le carte del Soal, al quale ora rivolgeremo la nostra attenzione.

30. Il lavoro di S. G. Soal.

II Dr. Soal è una persona rimar-chevole e per il cui lavoro io ho la massima ammirazione. Fornito di una pazienza più che di Giobbe e coscienzioso al massimo, tanto che sono tentato di definirlo un caso patologico, egli ha lavorato per molti anni in vari rami di questa materia per non ottenere altro che risul-tati malli. Era così evidente che i risultati fossero nulli ed egli era diventato così scettico al riguardo, che quando finalmente nel 1939 annunzio un risultato positivo altamente significativo, tutti pensammo come il Prof. Broad: "Anche Soal tra i profeti?"

Ad esempio dal 1927 al 1929 egli eseguì una lunga e laborio-sissima serie di esperimenti a cui presero parte alcune centinaia di soggetti e nei quali si servì di una gran varietà di materiale di prova (per lo più di soggetti veri e propri e non del loro disegno, ma anche di odori, diagrammi, numeri ecc). Egli ottenne dai suoi soggetti diversi rapporti interessanti e suggestivi ma nulla che potesse garantire una conclusione positiva. Sono portato a credere, tuttavia, che se il materiale 62 Lavoro sperimentale (II)

delle sue ricerche potesse essere rianalizzato alla luce delle cognizioni moderne, e in particolar modo a quella dello spostamento, vi trove-remmo molti più risultati positivi di quanti non ne furono trovati a suo tempo; disgraziatamente questa proposta non è molto pratica date le circostanze attuali.

Nel 1934 egli intraprese un esame assai accurato di "Marion" (Joseph Kraus) il noto "telepatico" di varietà. I suoi scritti sull'argo-mento meritano di essere annoverati fra gli esempi classici di come questo lavoro dovrebbe e potrebbe essere condotto. La specialità di Marion consisteva nel trovare dei piccoli oggetti nascosti dal pubblico mentre lui era fuori della stanza; il Soal ne concluse, mediante una bella serie di controlli graduati, che questo avveniva mediante l'utiliz-zazione incosciente da parte di Marion (il quale sembrava perfetta-mente sincero quando credeva al carattere "paranormale" delle sue

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capacità) di indicazioni minime date inconsapevolmente dai membri del pubblico. Il lavoro non solo ha un considerevole interesse intrinseco e costituisce un modello di questo tipo di ricerche, ma ha anche una grande importanza indiretta in quanto dimostra come sia estrema-mente poco probabile che

anche indipendentemente dal suo reso-

conto sulle precauzioni prese

egli abbia trascurato una qualsiasi

fonte di "infiltrazione" o qualsiasi altro genere di deliberato o incon-sapevole mal-operato da parte dei suoi soggetti.

In seguito, sperando di riottenere i risultati ottenuti dal Rhine in Inghilterra, egli sperimentò su 160 persone, raccogliendo da solo 128.350 colpi ottenuti con le carte Zener e usando le più complicate precauzioni ad evitare qualsiasi eventuale fonte di errore; ma tutto quanto ottenne da questo lavoro fu un unico misero risultato, che aveva 50 probabilità contro una di non essere dovuto al caso, il quale dimostrava che con la palese "chiaroveggenza pura" vi era la tendenza a segnare successi inferiori al numero delle probabilità dovute al caso, risultato che non si può quasi dire ricompensi della grossa fatica a cui si era sobbarcato.

Ciò non di meno, per quanto possa apparire paradossale, se dovessi scegliere un solo esperimento sul quale basare tutta la mia fede nella realtà dei fenomeni paranormali o con cui convincere il più incallito degli scettici (se questa non è una contraddizione in termini) non esiterei a scegliere questa serie di esperimenti, che costituiscono il lavoro più serio che conosca e che hanno dato i risultati più rimar-chevoli. In considerazione di quanto ho appena detto sulla loro appa-rente nullità, è necessario che dia qualche spiegazione.

Il Dr. Soal arrivò a un'apparente conclusione del suo lavoro proprio all'epoca in cui io traevo le conseguenze dai risultati ottenuti con i miei primi cinque esperimenti e scoprivo

se mi è permesso Lavoro sperimentale (II) 63

usare un termine così magniloquente

il fenomeno dello "sposta-mento". Mi venne in mente che forse i soggetti del Soal non riusci-vano a segnare successi superiori al numero di probabilità previsto in base al caso perché questi erano spostati sia in anticipo sia in ritardo rispetto al momento in cui la carta a cui essi si riferivano veniva usata come "obiettivo". Lascio narrare dallo stesso Soal il seguito: "Con notevole pertinacia il Carington insisteva perché riesaminassi i dati dei miei esperimenti. Egli propose che confrontassi ciascun pen-siero non con la carta per la quale era stato originariamente inteso, ma con quella immediatamente precedente e quella immediatamente successiva, e quindi contassi i successi. Questo perché, secondo il Ca-rington, la facoltà di conoscenza extra-sensoriale non può sempre riu-scire ad indovinare l'oggetto preso come obiettivo. Come colui che spara la carabina può mostrare una tendenza soggettiva che lo porta a colpire l'obiettivo costantemente alla destra o alla sinistra del centro, così può accadere che colui che pensa le carte Zener del tutto involon-tariamente indovini correttamente non la carta che sta guardando lo sperimentatore ma una carta situata due o tre posti prima o dopo nella successione . . . Tuttavia non è con animo molto fiducioso che iniziai il lavoro di ricerca delle mie registrazioni per ritrovare gli effetti di questo 'spostamento'. Eppure, in poche settimane, feci due scoperte veramente rimarchevoli, che confermarono in pieno le congetture del Carington. Fra le registrazioni dei pensieri di 160 persone ne scoprii due i cui risultati mostravano il genere di effetto previsto dal Ca-rington".

Non intendo qui entrare in particolari, per i quali il lettore può consultare gli originali del Dr. Soal. Basti dire che una volta esami-nate le registrazioni su questi due soggetti, i "colpi" spostati ed alcuni fenomeni ad essi collegati risultarono avere molti milioni di proba-bilità contro una di non essere dovuti al caso, sebbene, naturalmente, mille contro una sarebbero state più che sufficienti allo scopo. Fortu-natamente uno di questi soggetti potè continuare gli esperimenti e un'altra importante relazione, contenente molto materiale nuovo a con-ferma di quanto sopra, è stata pubblicata recentemente dallo stesso autore in collaborazione con la signora Goldney.

Spero che il lettore si renderà conto di quanto tutto questo sia

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veramente assai notevole. Abbiamo il Dr. Soal in atteggiamento di estremo scetticismo e gran maestro in fatto di metodo precauzionale, che conduce una lunga e faticosa serie di esperimenti con le carte e giunge ad un risultato quasi interamente nullo. Lavorando del tutto indipendentemente e usando metodi, materiale e soggetti completamen-te diversi, io scopro un determinato tipo di fenomeni. Avanzo l'ipotesi che si possa, non senza ragione, ritrovare questi fenomeni anche nei 64 Lavoro sperimentale (II)

dati del Soal, sebbene non fossero stati raccolti avendo in vista questo obiettivo. Eppure, all'esame, si rivela la presenza di questi fenomeni. Pur senza arrogarmi per ciò alcun merito speciale, poiché certamente si tratta di uno sviluppo particolarmente fortunato, sebbene non del tutto fortuito, dei miei lavori, è quasi come se, avendo scoperto un nuovo elemento nello spettro solare, avessi incoraggiato qualcuno ad an-dare a cercarlo in un mucchio di scorie; o se avessi inciampato nella chiave dell'idioma dei Maya studiando il testo di una saga islandese. Se qualcuno pretende un esempio più stringente di un caso di lavoro scientifico confermato del tutto indipendentemente da un altro lavoro scientifico, ebbene questo tale è proprio incontentabile.

31. Lavoro sperimentale: osservazioni conclusive.

Se sono riu-scito a dare al lettore un'idea, sia pure superficiale, della massa e della varietà del lavoro svolto e di quello tutt'ora in corso di svol-gimento in questo campo, egli forse mi comprenderà se dico che par-lare di "prove a favore dell'esistenza dei fenomeni paranormali" come se se ne potesse ancora dubitare, equivale a proclamarsi antiquati. La situazione attuale è quale l'ha definita il Dr. Thouless, che non solo è uno dei critici più perspicaci, ma possiede anche il vantaggio di conoscere a fondo l'argomento, e cioè: "A parte la massa considerevole delle prove più antiche, i recenti esperimenti del Rhine e dei suoi collaboratori, del Soal, del Tyrrell e di Whately Carington hanno eli-minato qualsiasi dubbio sia sulla realtà del fenomeno sia sulla possi-bilità di dimostrarla mediante metodi sperimentali". E anche: " . . . l a prova della realtà del fenomeno è oramai talmente evidente che lo scetticismo in materia può solo essere giustificato dall'ignoranza dei risultati ottenuti negli esperimenti".

Ma mi rendo perfettamente conto che questa superficiale rassegna, anche se è riuscita a rendere con esattezza la medesima impressione, è tuttavia frammentaria e tralascia molti nomi e molti esperimenti che avrei voluto includervi. Ho particolarmente in mente il Dr. Gardner Murphy, che sta rivivificando così brillantemente il lavoro di ricerche presso la "American Society", ed il Dr. Taves che collaborò con il Murphy in un importante lavoro di ricerca negli anni 1937-38 e fu in seguito nominato membro della " Hodgson - Hyslop Fellowship " della Società stessa; ed anche Martin e Stribic, della Università di Colorado, e tutta una schiera di altri sperimentatori degli Stati Uniti, ove il lavoro sperimentale sta prendendo grande sviluppo. Da noi, il Dr. Thouless ci ha fornito contributi sperimentali preziosi oltre alla sua grande opera critica; Kenneth Richmond sta lavorando sulla questione della precognizione con la donazione Blennerhasset fatta alla "Society for Psychical Research"; la signora Goldney ha condotto a termine

Lavoro sperimentala (II) 65

dell'ottimo lavoro sull'argomento in generale, e anche in collabora-zione con il Soal, come pure la signora Haywood con il Richmond e con me stesso; ma forse più importante di tutto è il fatto che si notano indizi che fanno pensare che la più giovane generazione di scienziati è pronta ad interessarsi con intelligenza e con passione del-l'argomento; io stesso ho potuto valermi di una vasta collaborazione da parte di otto o dieci università, tanto che vi sono ottime prospet-tive di futuri sviluppi.

Infine, è importante non dimenticare il contributo di coloro che, come il Prof. Broad e il Prof. Price dal punto di vista filosofico e il Dr. Mace dal punto di vista psicologico, ne hanno controllata e raf-forzata la struttura logica, senza la quale il lavoro sperimentale sarebbe

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degenerato in una raccolta disparata e inconcludente di fatti, privi di significato e non interpretabili.

CAPITOLO IV OBIEZIONI E

RESISTENZE

32. Le resistenze in generale.

Prima di procedere a considerare

quale possa essere la migliore spiegazione dei fatti e quale è la teoria più adatta a ordinarli in un insieme intellegibile, sarà meglio esami-nare le ragioni per cui essi non vengono accettati più generalmente, in special modo dal mondo scientifico.

Non certo perché critiche serie abbiano dimostrato che gli espe-rimenti sono stati insufficienti, le precauzioni inadeguate o il ragiona-mento sbagliato. Nessuno studioso serio della materia può temere una critica onesta e informata; al contrario, egli sa benissimo che una critica seria è indispensabile per progredire in questo ramo della scienza come in qualsiasi altro, e che solo alla luce di essa egli può perfezionare la sua tecnica e provare la validità delle conclusioni raggiunte.

Parlando in generale, il non accettare i fatti è semplicemente dovuto all'ignoranza dei medesimi; e l'ignoranza è dovuta alla man-canza di studio della materia. Ma il fatto che gli scienziati non studiano questa materia come si rifiutano di accettare le conclusioni di quei pochi che l'hanno studiata, non è, a mio giudizio, sufficientemente giustificato dai motivi da essi addotti. Come ho fatto osservare altrove, sono relativamente rari i casi in cui ci formiamo un'opinione seguendo una via rigidamente logica, studiando prima le prove e traendone quindi le nostre conclusioni; abbiamo molto più la tendenza a trarre le con-seguenze prima e solo in un secondo tempo a cercare le prove a loro convalida. Non voglio con ciò offendere nessuno; infatti credo che anche le conclusioni più serie siano state raggiunte sostanzialmente attraverso lo stesso procedimento; cioè a dire mediante una specie di "salto intuitivo" cui ha fatto seguito il controllo delle prove. Il fatto si è che quando incontriamo una forte resistenza ad accettare prove convincenti è almeno plausibile supporre che essa non sia dovuta alle "ragioni" addotte ostensibilmente a sua giustificazione, ma a cause più profonde

specialmente di carattere emotivo

di cui le "ragioni" non sono altro che ciò che gli scienziati definiscono "razionalizzazione";

Obiezioni e resistenze 67

cioè una sequela di parole dall'apparenza raziocinante che permettono alla persona in questione di continuare a mantenere le sue opinioni senza incorrere nel pericolo di apparire illogica e senza dover rivelare (cosa che generalmente non potrebbe praticamente fare) le vere cause del suo atteggiamento.

Se così stanno i fatti, evidentemente è preferibile cercare di sco-prire le vere cause della resistenza e provvedere a rimuoverle, piut-tosto che sprecare energie in un assalto frontale che servirà solo a irrigidire l'opposizione.

Una delle obiezioni più comuni opposte allo studio della tele-patia e dei fenomeni "psi" in generale, è che essi sono mescolati con la "magia" e la "superstizione" e quindi di un livello troppo basso per gli scienziati. Non so quanto questa opinione sia diffusa negli ambienti scientifici, ma certamente essa vale assai poco come argo-mento di discussione. In primo luogo gli scienziati hanno preso l'abi-tudine

si può quasi dire che ne hanno la tradizione

di andare a fare le loro ricerche nei cantucci più sgradevoli del mondo sia fisico che psichico, e solitamente con risultati assai fruttuosi. Essi non hanno esitato a esaminare le sostanze più puzzolenti, le malattie più ripugnanti, i costumi più rivoltanti di popoli selvaggi

tutte cose di cui le orribili superstizioni del volgo possono essere considerate l'equivalente nel campo psicologico

nella speranza, spesso soddisfatta, di ottenere preziose vie di accesso alla conoscenza. Ho il sospetto che non sia tanto la delicatezza di gusti quanto il timore di trovare qualche cosa che non potrebbero spiegare che li ha tenuti lontani dal campo dei

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fenomeni "paranormali".

33. Pretesa "improbabilità intrinseca".

Assai più importante,

perché appare molto logica, è la contestazione che questi fenomeni sono quanto mai "intrinsecamente improbabili". Da questo se ne deduce, a seconda dei gusti, sia che non vale la pena di sostenere la notevole fatica che comporta una indagine di essi, sia che la massa di prove addotte a loro convalida deve essere "traboccante" prima di poterle accettare.

Non credo sia necessario prendere molto sul serio il primo di questi ragionamenti poiché evidentemente non può essere applicato alle conclusioni raggiunte dalle persone competenti che si sono date la pena di indagare; né si può plausibilmente sostenere che il semplice fatto che essi abbiano mirato così lontano dimostri che sono incom-petenti, perché altrimenti qualunque precursore, ad esempio, nel cam-po dell'aviazione, verrebbe automaticamente condannato.

Ma il secondo ragionamento è molto pericoloso e richiede un esame abbastanza accurato. È pericoloso perché, se permettiamo che 68 Obiezioni e resistenze

lo scettico se ne impadronisca, non riusciremo più a indiarlo a darci ascolto. Per quanto copiose e impeccabili possano essere le prove che gli presentiamo, egli potrà sempre dire che, secondo lui, 1' "improba-bilità intrinseca" fa pendere la bilancia dall'altra parte1.

Probabilmente il modo migliore per affrontare questa obiezione è quello di invitare coloro che la avanzano a spiegare esattamente che cosa intendono. Primo: essi possono voler dire che la presenza di fenomeni paranormali è improbabile allo stesso modo con cui è im-probabile che esca una dozzina di sette ad un tavolo di roulette ben diretto. Non credo che intendano ciò, perché affermare che un qualsiasi fatto è "improbabile", in questo senso, equivale ad ammettere che può verificarsi; questo sarebbe come accettare tutta la questione in discussione, nella quale non si tratta di sapere quanto spesso tali fatti si verificano, ma se essi effettivamente si verificano.

Secondo: essi forse intendono dire, sebbene ne dubiti, che è assai poco verosimile che fenomeni di tale importanza siano rimasti per tanto tempo ignorati. A questo si può tranquillamente controbattere che non è vero e che non erano ignorati. Molti dei fenomeni elettrici, ad esempio, non furono scoperti che molto tardi, mentre la storia rigurgita di esempi di fenomeni evidentemente paranormali, e il dire che molti di essi possono aver origine da cause normali non vuoi dire che essi passarono inosservati.

È istruttivo riflettere

argomento addotto per la prima volta, credo, dal Prof. Broad

che se l'ambra e la calamità fossero più rare, avremmo potuto sviluppare una complicata scienza meccanica, ivi compresa anche la macchina a vapore e forse il volo a vela o il volo con motori a vapore o Diesel, senza saper nulla dei fenomeni elettromagnetici. Presumibilmente i grandi scienziati avrebbero riso dei pochi precursori che avessero parlato dell'attrazione dell'ambra sfregata sulla polvere o della calamità sul ferro; indubbiamente essi avrebbero parlato con molta saggezza della "improbabilità intrinseca" dei pretesi fenomeni e avrebbero negato che una cosa che non sia spinta meccanicamente, o tirata, o colpita da un proiettile, possa muo-versi. Eppure il mondo "para-meccanico" dell'elettromagnetismo sarebbe stato ovunque e di continuo operante, sebbene inosservato o almeno, ignorato da loro.

1 Se queste persone sono invitate a definire con precisione quali prove soppianterebbero la "improbabilità intrinseca", solitamente si difendono poco intel-ligentemente chiedendo qualche cosa che nessuno ha mai sostenuto che si possa verificare e cioè che un soggetto ripeta parola per parola dieci pagine di un libro che non ha mai letto; come coloro che dicono che crederanno ai fenomeni di attrazione elettromagnetica quando con questa riusciremo a buttar giù la cat-tedrale di San Paolo.

Obiezioni e resistenze 69

Infine essi forse intendono applicare la teoria della "improba-

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bilità" piuttosto al fine di contestare il giudizio relativo all'esistenza di tali fenomeni che non ai fenomeni in se stessi. Ritengo che questo sarebbe l'atteggiamento più favorevole per i sostenitori della teoria della "improbabilità", ma tuttavia non credo che servirebbe a molto. Se si potesse dimostrare che l'opinione che i fenomeni paranormali esistono è identica, in tutti i suoi aspetti essenziali a una lunga serie di precedenti opinioni risultate tutte false, allora sarebbe ragionevole sostenere che anche questa opinione è quasi certamente falsa; ma ritengo che questo sarebbe un'impresa difficilissima e con ben poche speranze di successo.

34. Impossibilità fisica.

Tuttavia, personalmente, non credo che coloro che parlano di "improbabilità intrinseca" intendano vera-mente quanto ho esposto più sopra, o che eventualmente manterreb-bero con molta convinzione tale atteggiamento. Ho il sospetto che essi vogliano effettivamente dire che i fenomeni sono impossibili, ma che esitino ad affermarlo perché tante persone che si sono servite della parole "impossibile" hanno poi dovuto ammettere, davanti alla dimo-strazione dei fatti, di essersi sbagliate; certamente è questa una parola che va usata con molta cautela.

Ma in questo caso la loro prudenza mi sembra fuori luogo. Per-sonalmente non credo che i fenomeni siano "improbabili"; ma credo invece che siano letteralmente e effettivamente "impossibili", con però questa importante aggiunta "nell'ambito delle manifestazioni fisiche clas-siche", inserendo la parola "classico" come salvaguardia nell'eventualità che ad un certo momento risulti (sospetto che mi sorge talvolta) che una parte almeno della teoria dei quanta e di quella della relatività appartengano più al mondo ove fisica e psicologia si incontrano che non a quello della fisica vera e propria.

Con ciò intendo dire che, a mio avviso, è altrettanto impossi-bile trovare un posto per la telepatia nell'ambito del mondo fisico della materia e dell'energia quanto è impossibile trovare un posto per la repulsione ed attrazione elettro-statica nell'ambito di un mondo mec-canico limitato a impulsi, trazioni e proiettili. O, per dirlo in altre parole forse più esatte sebbene non altrettanto familiari: tutti gli scolari sanno, come direbbe Macaulay, che la somma degli angoli interni di un triangolo riportati su una superficie piana danno un angolo di 180 gradi; è materialmente impossibile tracciare un trian-golo la somma dei cui angoli sia di più di 180 gradi; questa impossi-bilità fa parte, per così dire, di ciò che intendiamo per "superficie piana". Dicendo superficie piana automaticamente escludiamo alcune specie di triangoli, come dicendo "superficie sferica" escludiamo auto- 70 Obiezioni e resistenze

maticamente una specie di triangoli a noi più familiari ma ne definiamo degli altri la somma dei cui angoli da sempre più di 180 gradi.

Parlando un po' approssimativamente a ino' di illustrazione, po-tremmo dire che, fra ogni possibile specie di superficie, scegliamo quella particolare in cui gli angoli hanno questa ed alcune altre pro-prietà, perché questa specie è quella che per lo più incontriamo nel disbrigo degli affari quotidiani. Solo quando ci si occupa di astrono-mia o di nautica o di cartografia su vasta scala ci rendiamo conto che questi non servono allo scopo. In modo analogo, lo studioso di fisica sceglie, o "astrae" dalla massa complessiva delle cose che può osser-vare, solo quelle che può misurare (direttamente o indirettamente) con un orologio, un metro, una bilancia, misure fra le quali egli trova un certo rapporto formale; ed è noto che in tal modo egli è riuscito a dimostrare che un'infinità di fenomeni diversi e apparentemente scon-nessi costituiscono le parti di un tutto strettamente collegato e coor-dinato.

Ma non vedo per quale ragione egli avrebbe il diritto di soste-nere che, se fra le entità che egli ha astratto o create dall'astratto non trova una determinata cosa, questo qualche cosa non esiste; sarebbe come se una persona che si limitasse allo studio dei triangoli piani, avesse il diritto di negare la possibilità che esistano altre specie di triangoli.

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35. Apprensioni scientifiche.

Credo che la maggior parte degli

scienziati sarebbero disposti ad ammettere quanto sopra in linea di massima se non fossero ossessionati

il termine non mi sembra

esagerato

da due timori strettamente legati fra di loro. Uno è il

timore che ammettere la presenza di fenomeni "psi" indebolirebbe la posizione occupata nella scienza dalla Causalità e dalla Legge delle probabilità; il secondo è che se venisse ammessa una cosa del genere, questo permetterebbe il ritorno, sotto altre spoglie, della magia e della superstizione contro le quali essi hanno combattuto così strenuamente e così a lungo. A cosa serve, essi pensano, aver sostituito con le equa-zioni differenziali la volontà arbitraria di una divinità irascibile, per poi vedere insinuare dalla porta di servizio una coscienza cosmica con i suoi imprevedibili capricci?

Incominciando dal secondo punto, io sono convinto che la com-prensione dei fenomeni paranormali porterebbe per lo più a dei risul-tati opposti. Attualmente la situazione è press'a poco questa: se il comune uomo intelligente è indiscutibilmente convinto della presenza di qualche cosa che i principi esistenti della scienza ortodossa sono evidentemente incapaci di spiegare, egli giustamente ne conclude che la scienza ortodossa di oggi è incompleta; ma non sa a che punto

Obiezioni e resistenze 71

far passare la linea di demarcazione ed è quindi atto a concludere che, dato che esiste qualche cosa di inspiegabile, non vi è ragione perché non dovrebbero esistere altre cose inspiegabili. Per esempio, egli po-trebbe trovarsi di fronte a un caso di sdoppiamento di personalità, nel quale una persona normalmente gentile e di buon carattere si trasforma in una di temperamento altamente sgradevole. Se la scienza non fosse capace di dargli una spiegazione soddisfacente di questo fenomeno, egli potrebbe essere indotto ad ammettere l'esistenza di persone "pos-sedute dal demonio"; e, giunto a questo punto, nulla gli impedirebbe di oltrepassare questo limite ed accettare tutte le farraginose e terri-ficanti superstizioni di diavoli, fuochi infernali e dannazione eterna. Oppure, se egli ha avuto un'allucinazione veridica o gli è accaduto di "vedere" un'apparizione, egli può, in mancanza di una buona guida, giungere a conclusioni analoghe e innaturali, e conseguentemente averne la vita sconvolta. Sarebbe inutile andare a dire a questa persona che "nella scienza non vi è posto per i demoni", o che "credere negli spet-tri non è che superstizione"; egli (giustamente) è sicuro di aver ra-gione e preferisce accettare ciò che (erroneamente) crede sia "provato dai suoi sensi". Ma, se riusciamo a spiegare il suo caso di apparente possessione demoniaca in termini di sistemi di idee represse che tro-vano uno sfogo temporaneo; oppure la sua apparizione in termini di altri sistemi di idee collegate associativamente ed evocate telepatica-mente (o qualche cosa del genere), egli allora capirà di trovarsi dinanzi a fatti normali e comprensibili come il morbillo o il miraggio, e si renderà conto che le sue precedenti fantasie non erano affatto avallate dai fatti. In breve, solo quando possiamo spiegare il perché di un fenomeno possiamo affrontare l'atteggiamento, anche troppo diffuso, del "non vedo perché no".

Quanto alla causalità, sono convinto che lo studio dei fenomeni paranormali aprirà nuovi campi di azione alla Legge anziché limitarne la sfera. Come avrò occasione di mettere in evidenza più avanti, la diversità fra entità fisiche ed entità psichiche o mentali non consiste in una "posizione giuridica di realtà", se mi è permesso di coniare questa espressione, ma nelle leggi causali che li regolano; i fenomeni "psi" non sono in conflitto con le leggi fisiche, ma, implicando entità di un genere diverso, sono regolati da leggi loro proprie ed il primo e più importante compito dell'indagatore è quello di trovare queste leggi ed enunciarle con la stessa precisione e rigorosità logica delle leggi fisiche.

Non solo questo è vero, ma ho fondati sospetti che, una volta spinte le nostre indagini abbastanza a fondo in quello che chiamerei il retroterra metafisico

che è il medesimo tanto per la fisica quanto per la psicologia

troveremo che il lavoro necessario per scoprire le 72 Obiezioni e resistenze

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proprietà e il comportamento causale delle entità psichiche ci per-metterà allo stesso tempo di chiarire alcune delle difficoltà che attual-mente confrontano gli stessi fisici.

Per questo avremmo bisogno del loro aiuto; ma non credo che possiamo ragionevolmente aspettarci di averlo fino a che non avremo dimostrato che i fenomeni che studiamo si uniformano a delle leggi e sono suscettibili di trattamento teorico. Questa è una delle ragioni per cui è così importante l'elaborazione di una buona teoria. Parte seconda

TEORIA

CAPITOLO V DISCUSSIONE

PRELIMINARE: TEORIE PASSATE

36. L'importanza della teoria.

Esamineremo ora quale genere di teoria può essere stabilita per spiegare almeno alcuni dei fatti para-normali o "fenomeni psi" esposti nella I Parte e colleglleremo questi fatti con altri. Ma prima di iniziare voglio dare due avvertimenti ai miei lettori.

Il primo, di cui i più non avranno bisogno, è quello di metterli in guardia contro l'idea che la teoria non abbia importanza. Udiamo tanto spesso dire in tono sprezzante "non è che teoria", oppure "va tutto bene in teoria, naturalmente, ma non funziona in pratica", che le parole teoria e teorico sono divenute quasi delle espressioni di rim-provero. Osservazioni simili sono delle sciocchezze, il che non vuole necessariamente dire che chi le pronuncia sia uno stupido. Si tratta semplicemente dell'uso, buono o cattivo, di queste espressioni. Ciò che in realtà queste persone vogliono dire è che le fantasie che abbiamo lasciato sfuggire al controllo dei fatti, sono pericolose e spesso possono indurre in errore. Perfino il più "pratico" degli uomini oggigiorno sa che, per quanto preziosa, l'esperienza, nella migliore delle ipotesi, costi-tuisce una guida lenta e non attendibile; non si possono fare molti pro-gressi nella costruzione di ponti o di aeroplani o di apparecchi radio, se ci si basa unicamente sulla praticaccia; bisogna possedere, per guida, una teoria bene elaborata di ingegneria, o aerodinamica o sulle onde elettromagnetiche. Ma anche la teoria deve basarsi sui fatti, ed ogni nuova deduzione deve essere messa alla prova dei fatti. In tutta quanta la storia della scienza

si può quasi dire della conoscenza, poiché assai poco differiscono

vediamo gli interessi convergere alternativamente sui fatti e sulla teoria e poi nuovamente sui fatti. Osserviamo un certo numero di fatti, elaboriamo una teoria o avanziamo un'ipotesi per spiegarli, ne deduciamo che, se questa teoria è corretta, altri fatti ana-loghi possono essere osservati e quindi ritorniamo al mondo dei fatti per vedere se effettivamente si riscontrano. Molto spesso deliberatamente ideiamo nuovi esperimenti che ci diano nuovi fatti iniziali o che con-validino le nostre deduzioni; e spesso queste varie fasi si sovrappongono 76 Discussione preliminare: teorie passate

tanto che l'ordine cronologico non corrisponde all'ordine logico: ad esem-pio, elaboriamo una teoria che spieghi solo alcuni fatti a noi noti e troviamo che altri, temporaneamente lasciati da parte, sono conseguenze necessarie dei primi. Ma il procedimento sostanziale non varia.

I fatti senza una buona teoria equivalgono a un mucchio di mat-toni senza un piano architettonico, abbastanza utili per tirarli agli oppositori, ma inutili ai fini scientifici. I fatti presi in se stessi non sono altro che la materia prima della conoscenza; solo servendoci della teoria possiamo dare loro un significato e costruire qualche cosa di utile.

37. Le difficoltà della semplicità.

II secondo avvertimento è quello di non lasciarsi spaventare dalle prospettive di difficoltà che in realtà non esistono. Molto all'ingrosso esistono due specie di diffi coltà intellettuali: una si presenta quando l'argomento trattato è ecces sivamente complicato, l'altra invece quando è eccessivamente semplice. Lo studio della lingua russa o della trigonometria sferica sono esempi,

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per la maggior parte di noi, del primo caso; il concetto che la terra non è un piano che si estende indefinitamente ma una sfera scagliosa che si muove nello spazio senza un visibile mezzo di appoggio, è un esem pio del secondo caso. L'idea in sé non ha nulla di intrinsecamente dif ficile, e noi l'accettiamo come un fatto provato; ma quando essa fece la sua prima comparsa deve aver causato un terribile turbamento nel pensiero umano. Lo stesso vale per molte idee e teorie che ora sono accettate senza discussione; in casi del genere ciò che le rende ardue ad essere accettate e non è la difficoltà insita in loro stesse, ma lo sconvolgimento che esse recano nelle idee formatesi precedentemente; in sostanza la difficoltà è più emozionale che intellettuale.

La teoria che mi accingo a discutere è la cosa più semplice di questo mondo

almeno per quanto riguarda la parte di essa che qui esporrò

ma comporta una certa dose di difficoltà del secondo tipo perché richiede l'abbandono di uno o due concetti, comunemente ac-cettati e profondamente radicati nonostante nulla vi sia che li confermi, anzi il contrario. Ma l'esperienza ci dimostra che si fanno progressi principalmente liberandoci dai presupposti non convalidati o dalle idee false, e sono convinto che l'esiguo sforzo necessario verrà compensato da una più vasta comprensione dei fatti.

38. Elaborazione delle teorie in generale.

Naturalmente comin ceremo con il caso più semplice piuttosto che con quello più comune, e cioè con quello in cui un soggetto indica correttamente con mezzi che non siano il caso, il valore di una carta che non vede, o la natura di un oggetto rappresentato in uno dei miei disegni.

Discussione preliminare: teorie passate 11

II nostro compito è di spiegare in che modo egli acquisisce la no-zione che rivela con il suo pensiero; ma prima di intraprendere ciò ritengo si debba dedicare alcune righe all'esame di quale specie di spie-gazione o teoria potrebbe essere considerata soddisfacente.

Parlando in generale, e senza voler fare un'analisi formale, sarei propenso ad affermare che, quando siamo chiamati a spiegare un fatto nuovo o una serie di fatti nuovi, esistono due modi principali di proce-dere ed un altro modo classico

ma sin troppo comune

di non procedere.

Il modo per non procedere è quello di dire che il fatto è dovuto a una determinata causa che poi, esaminata più da vicino, risulta non essere altro che una rienunciazione, con parole diverse del fatto stesso. Quindi, se cerchiamo di spiegare perché una calamità appesa a un filo tende a mettersi in posizione nord-sud, possiamo dire che questo si verifica perché vi è uno "spirito maligno" imprigionato nella calamità che cerca di tornare alla sua sede al nord (o al sud, a seconda della direzione in cui si guarda); questo è quanto dicevano effettivamente co-loro che per primi scoprirono questa proprietà della calamità. Ma questo non serve a nulla se non sappiano, da studi precedenti sugli "spiriti maligni", che essi sono di natura tale da poter essere imprigionati e che, una volta imprigionati, essi si sforzano di tornare al luogo da cui provengono invece che adagiarsi tranquillamente dove si trovano. Se, in base a conoscenze precedenti sugli "spiriti", ci risulta che effettiva-mente essi si comportano in questo modo, allora dobbiamo dire che gli spiriti delle calamite hanno la proprietà speciale di voler tornare al luogo da cui provengono (e che provengono dal nord) e questo si riduce a trasferire la proprietà di dirigersi verso nord dalla calamità stessa a un supposto spirito. Questa non è che della tautologia in quanto non aggiunge nulla alla enunciazione che una estremità della calamità "si rivolge verso il nord"

cioè non si fa altro che sostituire la pa-rola "spirito" alle parole "un'estremità della calamità"

e le parole "si rivolge verso nord" non sono altro che un modo diverso di enun-ciare il fatto osservato.

Analogamente, se cerchiamo di spiegare i fenomeni telepatici di-cendo che un pensiero è portato da uno spirito, in realtà non spie-ghiamo un bel nulla, a meno che non si sia precedentemente a cono-scenza dell'esistenza e delle abitudini degli "spiriti" (il che, con buona pace degli spiritisti, non è), tanto da giustificare la supposizione che essi abbiano la capacità e la volontà di fare da fattorini, e che si sappia

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tanto dei "pensieri" da giustificare l'idea che essi siano trasportabili. Teorie di questo genere, che invocano qualsiasi specie di entità che non ci consta in precedenza siano dotate delle proprietà necessarie a un dato scopo, sono ciò che io definirei "non teorie"; esse non sono che un 78 Discussione preliminare: teorie passate

insieme di parole senza senso, contro le quali saggiamente il professor Price ci mette in guardia.

Dei due modi di elaborare una spiegazione che effettivamente significhi qualche cosa e sia utile, il primo consiste nel dimostrare che il fatto nuovo è veramente un caso speciale di una categoria di fatti già noti; come, ad esempio, quando spieghiamo un lampo dicendo che è lo stesso genere di fenomeno su scala maggiore

cioè il passaggio di elettricità da un corpo di potenziale più alto ad un altro di poten-ziale inferiore,

della scintilla prodotta strofinando contropelo la pelle di un gatto in una notte di gelo. Queste però sono piuttosto delle "spie-gazioni" che non delle "teorie" in senso proprio, perché consistono nel dimostrare che le proprietà di alcune entità (cioè, in questo caso, del-l'elettricità positiva e negativa) ritenute causa di una determinata serie di fatti, lo sono anche di un'altra serie. Tuttavia per quanto si possa riuscire con successo a radunare diversi gruppi di fatti per così dire, sotto la stessa insegna, il procedimento ha un limite e si giunge a un punto in cui ci troviamo l'insegna in mano e non sappiamo che spiegazione darle; cioè a dire, a un dato punto ci troviamo con una specie di for-mula "irriducibile", e naturalmente, se prendiamo la conoscenza umana nel suo complesso, troviamo che attualmente esistono ben più di una di queste formule irriducibili. Ma l'essenza della spiegazione consiste nel ridurre al minimo questi "irriducibili" e nell'esporre invece il maggior numero possibile di fatti, risultanti dal numero minimo di entità non analizzatile e dai rapporti esistenti fra esse. L'esempio classico è quello della Teoria della Gravitazione e della Legge della Meccanica di Newton, che ci hanno permesso di dimostrare che il moto dei pianeti e dei loro satelliti, la caduta delle mele e dei proiettili e una massa di altri feno-meni, sono tutti definibili e prevedibili in base a pochissimi e semplicis-simi princìpi. Ma il fenomeno stesso della gravitazione ha continuato ad essere inspiegabile e irriducibile fino a che Einstein radunò la Materia, la Gravitazione, lo Spazio e il Tempo sotto la più vasta insegna della Teoria della Relatività; ora i fisici stanno cercando di ampliare ancor più o modificare questa insegna in modo da includervi l'Elettricità e il Magnetismo.

Ma accade talvolta che questo non si può fare perché non esiste

o ad ogni modo noi non siamo capaci di elaborarla - una teoria, o una serie di entità con proprietà adeguate, per spiegare i fatti nuovi. In tal caso dobbiamo, per così dire, inventare, cioè "presumere" l'esi-stenza di un'entità o di alcune entità fornite di proprietà tali (ma non di altre) da soddisfare alle nostre esigenze. Evidentemente ciò rasso-miglia in modo pericoloso al procedimento della "non teoria" testé descritto; anzi, se dobbiamo presumere una nuova serie di entità per ciascun fatto da spiegare, è identico. Questo metodo legittimo è utile

Discussione preliminare: teorie passate 79

solo se, e in quanto il presumere l'esistenza di una nuova entità (o di pochissime entità) ci permetterà di trattare parecchi (o un numero maggiore di) fatti diversi. Ad esempio i primi studiosi di elettroma-gnetismo trovarono che potevano spiegare un notevole numero di fatti presumendo l'esistenza di due "fluidi imponderabili" forniti di deter-minate proprietà; così pure presumendo l'esistenza di una quasi-sostanza nota col nome di "etere luminifero", che aveva alcune altre proprietà, Clark Maxwell potè dimostrare che tutti i fenomeni ottici non erano che casi particolari di onde elettromagnetiche.

Sebbene questo preambolo sia stato piuttosto lungo, ritengo che ci permetterà di trattare abbastanza rapidamente due tipi di pretese teorie che vengono talvolta avanzate al fine di spiegare i fenomeni telepatici e affini.

39. Teorie "radio".

Suppongo che l'opinione più diffusa ri-guardo a questa materia è quella che dice che "deve trattarsi di qualche

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cosa come la radio"; e infatti superficialmente l'analogia è abbastanza attraente, poiché si verifica qualche cosa che ricorda una comunica-zione, e non vi sono fili. Ma questo non è sufficiente a stabilire l'iden-tità essenziale dei due procedimenti, e non si insisterà mai troppo nel-l'affermare che la telepatia non ha, e evidentemente non può avere, niente a che fare con la "radio" né con qualsiasi altro fenomeno ra-diante.

Se volete dimostrare che un nuovo fatto non è altro che un caso di una categoria di fatti già spiegati da una teoria esistente, dovete dimostrare che esso si comporta, per così dire, nello stesso modo; cioè a dire, che è governato dalle stesse leggi. È sciocco dire che la ten-denza di Giacomo a cercare di accostarsi a Fillide è un caso di attra-zione dovuta a gravitazione, a meno che non si possa dimostrare che questa tendenza si uniforma a ciò che definirei le sotto-leggi della gra-vitazione, e cioè che la sua intensità è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra di loro. In pratica osserviamo che un grande aumento del volume di uno o dell'altro tende a frenare piuttosto che ad aumentare l'attrazione, mentre invece, sebbene spesso la contiguità porti a rap-porti più intimi, la semplice separazione spaziale può facilmente aumen-tare gli sforzi dell'uno per raggiungere l'altra. Ne deduciamo quindi che il fenomeno non è un caso particolare della gravitazione.

Ma non appena avanziamo l'ipotesi che la telepatia possa essere "una specie di radio" o "qualche cosa come la radio", noi cerchiamo di spiegare perché non si comporta come la radio e ci scusiamo del fatto che sia così diversa. Questo non incoraggia ad accettare la teoria della radio. 80 Discussione preliminare: teorie passate

Sappiamo, naturalmente, che determinati mutamenti nel cervello sono accompagnati da disturbi elettrici

come infatti è prevedibile in base alle nostre cognizioni sulle combinazioni chimiche in generale e sulla conduzione di impulsi ecc. nelle fibre nervose

e che essi pos-sono essere individuati e registrati per mezzo dell'elettro-encefalografo, così come analoghi disturbi elettrici del cuore possono essere individuati e registrati mediante l'elettro-cardiografo; ma questo non giustifica la assunzione che le "onde" del cervello o i "palpiti del cuore" siano la causa della telepatia.

In primo luogo tutti gli effetti radianti si propagano secondo quella che vien chiamata la "legge dell'inverso del quadrato", il che significa che in uno spazio libero l'intensità del fenomeno a due miglia dal punto di origine è un quarto di quella che è un miglio, a tre miglia è un nono, e così via. Naturalmente in pratica lo spazio raramente è libero e le comuni onde radio vengono riflesse e curvate dai vari strati dell'atmo-sfera ecc, di modo che la legge non corrisponde esattamente alla realtà. Ma dovremmo certamente aspettarci che, se la telepatia fosse qualche cosa di simile alla radio, in un modo o nell'altro la distanza porterebbe una notevole diminuzione di intensità del fenomeno, mentre invece è universalmente riconosciuto che la distanza non costituisce alcuna dif-ferenza. Nel mio quarto esperimento, ad esempio, trovai che un gruppo di soggetti alla Università di Duke, lontani, credo, circa duemila mi-glia, reagirono un po' meglio di altri soggetti assai più vicini che face-vano lo stesso esperimento; ad ogni modo non certo peggio, come si sarebbe dovuto prevedere in base a una teoria radiante. È vero che uno o due scrittori, ad esempio l'Hoffman, hanno cercato di sormontare questa difficoltà con mezzi più o meno ingegnosi, ma devo confessare che questi tentativi non mi appaiono convincenti, soprattutto se con-sideriamo che qualsiasi cosa del genere significa necessariamente intro-durre complicazioni non desiderabili.

Critica molto più seria è quella riguardo a un punto che general-mente sembra passare inosservato, ma che è stato notato già da altri, ad esempio dal prof. Price e da me stesso. In tutti i sistemi normali di comunicazione, quale la parola, la scrittura, la radio-telegrafia, la radio-telefonia, ci serviamo di un codice che deve essere noto alle due parti se si vuole che la comunicazione sia effettiva. Naturalmente questo è particolarmente evidente nella telegrafia (con o senza fili) per la quale è necessario l'alfabeto Morse che va appositamente imparato;

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abbiamo invece la tendenza a dimenticare che la lingua

anche la nostra

stessa lingua

è un codice, sebbene sia facile rendersene conto se

incontriamo qualcuno che non parli nessuna delle lingue che conosciamo noi. In qualsiasi di questi sistemi di comunicazione trasmettiamo non "l'idea" che vogliamo comunicare ma dei segni arbitrari (scrittura) o

Discussione preliminare: teorie passate 81

una serie di disturbi elettrici lunghi e brevi (telegrafo) o delle onde modulate nell'aria (parola) o delle onde elettromagnetiche similmente modulate (radio-telefono). Nessuno di questi codici in se stesso è per nulla simile all'oggetto o alla idea che vogliamo trasmettere

le lettere per indicare la parola cane, ad esempio, non rassomigliano affatto a un cane

di modo che in qualsiasi caso abbiamo un processo di tra-sformazione in codice da parte del mittente e di interpretazione del codice da parte del ricevente prima di potersi capire; inoltre il codice usato, naturalmente, deve essere convenuto in precedenza, sia espressa-mente o tacitamente. Dobbiamo veramente supporre che la mente abbia proprietà così miracolose che può automaticamente e inconsciamente tradurre da e in un codice universale (o almeno nazionale) che nessuno conosce coscientemente e di cui nessuno sospetta l'esistenza?

Difficoltà quasi altrettanto insuperabili sorgono quando chiedia-mo perché i soggetti, ad esempio, hanno la tendenza ad afferrare una determinata sera uno dei miei pensieri (cioè quello dell'originale) piut-tosto che gli infiniti altri che mi sono passati per la mente; o addirittura uno dei miei pensieri piuttosto che quelli di altri. In generale più cer-chiamo di adattare la teoria della radio ai fatti e più aumentano le complicazioni e le ipotesi particolari che dobbiamo introdurre; tutto ciò può essere onestamente definito la caratteristica di una teoria sbagliata.

Esiterei prima di dire che è assolutamente impossibile, nel senso stretto della parola, spiegare la telepatia mediante un tipo di teoria radiante, sebbene sospetti che in pratica ciò si dimostrerebbe impos-sibile; ma sono certo che potremmo farlo, ammesso che si possa, solo introducendo le complicazioni più repellenti e meno plausibili.

40. Teorie del "sesto senso".

L'altro tipo di spiegazione più o meno diffusa è quella che chiama in aiuto una specie di extra "senso", cioè qualche cosa di simile press'a poco alla vista, all'odorato o al-l'udito ecc. ma che presumibilmente si serve di speciali organi sensori e raccoglie un tipo speciale di radiazioni o emanazioni o effluvi del-l'oggetto di cui si viene a conoscenza.

Confrontata con la teoria del tipo "radio", questa concezione, se rispondesse ai requisiti necessari, avrebbe il vantaggio di spiegare casi in cui il soggetto pensa correttamente carte ecc. non conosciute dallo sperimentatore al momento dell'esperienza, cioè quando pensa una dopo l'altra tutte le carte di un mazzo mescolato; d'altra parte non può spie-gare i casi in cui il soggetto indovina correttamente qualche cosa pensata dallo sperimentatore ma non annotata finché non indovinata, di modo che all'atto del pensiero non vi è un oggetto materiale corrispondente al pensiero e dalle cui emanazioni o altro si può logicamente supporre 82 Discussione preliminare: teorie passate

che provenga il pensiero. Fino a questo punto le due cosiddette teorie si equivalgono.

Ma sono propenso a credere che qualsiasi tentativo di spiegazione in questo senso ci costringerebbe a fare supposizioni ancora più fantasti-che, se è possibile, di quelle della teoria della "radio". Chiunque dubiti seriamente di questa mia affermazione legga l'analisi fatta dal Professor Broad, nel 1935, nel suo discorso presidenziale alla "Society for Psy-chical Research". Molti dei fatti che rimangono inspiegabili con le teorie del tipo "radio", non sono spiegabili neanche con quella del "sesto senso"; in particolare il fatto che l'influenza telepatica non diminuisce con la distanza; e, in generale, la situazione è esattamente la stessa, cioè: i fenomeni telepatici, invece di presentare un complesso di fatti così analoghi a quelli della percezione mediante i sensi da far pensare che il procedimento sia eguale, sono, sotto ogni aspetto control-labile, diversi; tanto che invece di trovare ad ogni passo avanti una

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nuova conferma del nostro concetto, ogni nuovo fatto preso in consi-derazione richiede l'immissione di una nuova giustificazione. Accettando la teoria del "sesto senso" dovremmo chiederci: quale è la fonte di energia che proietta le particelle o irradia le onde che costituiscono l'emanazione telepatica? in qual modo esse riescono a passare attraverso oggetti solidi quando nessun genere di particella o energia fisica può farlo? dove sono situati gli organi recettivi che la raccolgono? attra-verso quali fibre nervose passano? E soprattutto: come è che le carte superiori di un mazzo non oscurano quelle che si trovano sotto? Perché disegni scelti come originali vengono riprodotti a preferenza di altri vicini ma non usati a fini sperimentali? Come mai il fatto che l'originale sia impresso nella mente dello sperimentatore o di una persona a lui strettamente collegata, porta una differenza? Basta porre queste do-mande per accorgersi che il processo telepatico non ha rassomiglianza o analogia di sorta con qualsiasi specie di percezione sensoria; cosicché parlare di un "sesto senso" equivale a fare del rumore inutilmente e può piacere solo a coloro che considerano dogma inviolabile il fatto che qualsiasi cosa che si imprime nella mente deve esservi pervenuta per una via dei sensi, il che si riduce a porre nuovamente l'intera questione in discussione.

Nell'insieme, ritengo che, piuttosto che adottare una di queste due idee quale base di una teoria, preferirei respingerle entrambi e accettare i fatti nella loro crudezza, sperando, come Micawber, che un giorno o l'altro sopravvenga un fatto nuovo che li spieghi. Per for-tuna, però, non ve ne è bisogno, poiché risulta abbastanza facile studiare una considerevole varietà di fenomeni servendoci di principi ammessi da tutti e semplicemente respingendo uno o due presupposti general-mente accettati come dimostrati.

CAPITOLO VI LA TEORIA

ASSOCIATIVA DELLA TELEPATIA

41. Significato della teoria associativa della telepatia: I) L'asso-ciazione.

Come ho già detto, la teoria della telepatia da me elabo-rata è della massima semplicità; ma la sua importanza è di così vasta portata ed è talmente fondamentale per tutto quanto ne consegue, che chiedo di essere perdonato se mi soffermo su punti che al lettore potranno apparire ovvi non appena enunciati. Per avere la certezza che non vi sia possibilità di malinteso, devo incominciare fin dai primissimi bal-bettii a procedere quasi per monosillabi.

Immagino che quasi tutti abbiano sentito parlare di "associazione di idee" e sappiamo ali'incirca a che cosa si riferisce l'espressione. Ma nell'eventualità che vi sia qualche dubbio darò alcuni chiarimenti.

Tutti hanno presumibilmente riscontrato che alcune idee si pre-sentano accoppiate come, ad esempio, pane e companatico, ostriche e vino bianco, Leda e cigno; ed altre a tre, come Og, Gog e Magog, o Bacco, Tabacco e Venere, ed altre infine in raggruppamenti anche mag-giori. Con questo voglio dire che se, per un motivo qualsiasi viene in mente un componente di uno di questi gruppi, vi è maggiore probabilità che vengano in mente anche gli altri a preferenza dei componenti di altri gruppi di idee. Quindi, se qualcuno dice "pane" è più probabile pensare a "companatico" (o burro, o marmellata), piuttosto che a in-chiostro o cera da scarpe; oppure, se qualcuno dice "gatto", è più probabile pensare a miagolare, latte, topo, piuttosto che ad abbaiare, osso o mordere; e viceversa, se viene nominata la parola "cane". Una prova molto convincente che viene fatta nei laboratori di psicologia consiste nel leggere ad alta voce ai soggetti un elenco di parole, una dopo l'altra, e chiedere loro di rispondere a ciascuna, il più presto possibile, con la prima parola che gli viene in testa. Questa vien chia-mata prova della "associazione verbale"; le risposte spesso aiutano molto a capire la struttura mentale del soggetto, e ancor più utile è regi-strare quanto tempo intercorre dal momento in cui è stata pronunciata la parola e quello in cui è data la risposta. I risultati di queste prove dimostrano, ammesso che vi sia bisogno di prove oltre a quelle dell'espe- 84 Teoria associativa della telepatia

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rienza quotidiana, che le idee tendono ad accoppiarsi nel modo qui sopra indicato, cosicché, se una di esse viene fatta osservare o è prospettata alla mente, è molto probabile che si presenti l'altra o le altre. Coppie o gruppi di idee di questo genere sono definite "associate"; la ragione per cui esse lo sono è, naturalmente che l, in precedenza gli oggetti in questione, oppure le parole o altri simboli che li rappresentano, si sono spesso trovati insieme nella vita pratica. Quindi molti hanno incontrato la parola o l'idea pane in stretto contatto con companatico o burro ma raramente invece in compagnia di cera da scarpe o di inchiostro. Lo stesso si verifica, ma solitamente in forma più attenuata, se alla mente si presentano, in luogo degli oggetti veri e propri, ricordi o immagini.

Quindi possiamo enunciare il principio basilare, ovverosia la Legge dell'Associazione, approssimativamente nei seguenti termini: se due idee, A e B, si presentano alla mente contemporaneamente o a brevissima distanza di tempo e se successivamente una di esse viene ripresentata alla stessa mente, vi è maggiore probabilità che l'altra l'accompagni o la segua a breve distanza di tempo che se esse non fossero state presen-tate insieme la prima volta. Oppure possiamo dire: se due oggetti, A e B, o l'idea di questi oggetti, compaiono in una data circostanza e se successivamente uno di essi o l'idea di uno di essi si presenta in un'altra circostanza ma sempre alla stessa persona, vi è maggiore probabilità che l'idea del secondo oggetto si ripresenti alla mente, sia contempo-raneamente sia poco dopo, che se i due oggetti o le due idee non fossero apparse insieme nella prima circostanza.

Nessuna di queste due enunciazioni pretende alla perfezione, ma ritengo che entrambe chiariscano sufficientemente la situazione per i nostri fini. Sarebbe preferibile parlare di "gruppi di idee" piuttosto che di "idee"; e dovremmo essere più precisi nelle espressioni "a breve distanza di tempo", "la segua a breve distanza", "poco dopo". Inoltre vorrei sottolineare le parole "maggiore probabilità" che non vuoi dire "certezza" e neanche "molto maggiore probabilità". Ma non credo sia necessario approfondire questi punti.

42. La teoria associativa {seguito): II) "Idee" e "menti".

D'altra parte devo dire qualche cosa circa il mio modo di usare la parola "idea". Più oltre avrò molto da dire riguardo alla mia conce-zione della natura delle "idee"; per ora basterà definire questo termine dicendo che le parole "la idea di X" (e con X si intenda qualsiasi cosa di cui si stia parlando) si riferiscono a tutte quelle immagini che tendono

1 Naturalmente qui ometto l'eventualità di associazioni formate attraverso il procedimento telepatico, sebbene ciò potrà essere importante più avanti.

Teoria associativa della telepatia 85

a venire in mente quando si fa menzione di X o, come si suoi dire, "se ne parli".

Non sembra quasi necessario spiegare che cosa intendo con "imma-gine", ma tanto vale definire anche questo termine. Se ricordo un oggetto incontrato in passato, cioè che costituisce parte delle mie esperienze passate, o se semplicemente "penso" a un oggetto che al momento non è materialmente presente, la mia mente non rimane vuota; il "campo della mia coscienza", come si suoi dire, contiene quelle che si dicono immagini dell'oggetto. La maggior parte di esse sono raffigura-zioni mentali e vengono chiamate "immagini visive"; ma, naturalmente, si possono avere anche immagini auditive, cioè una specie di eco mentale di un suono; o si possono avere corrispondenti ritorni di odori, sapori, sensazioni tattili, movimenti, ecc. Fatto assai importante è anche che la maggior parte del nostro pensiero astratto avviene per mezzo di imma-gini visive, auditive o comunque sensibili, di parole.

Ora, se qualcuno mi dice "gatto", può benissimo darsi che si verifichi in me una immagine visiva sia di un determinato gatto di mia conoscenza sia di un prototipo di gatto, costituito come un foto-montaggio da ricordi di diversi gatti; può anche darsi che provi, in misura maggiore o minore, immagini di sensazioni tattili originate dal-l'accarezzare un gatto, oppure immagini di dolore dovute al ricordo di gratti di gatti, o immagini di calore dovute al contatto con un gatto e

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così via; oppure, anche se non le provo coscientemente, indubbiamente esse si trovano, potremmo dire, più "vicine" al mio campo di coscienza (come viene dimostrato dai risultati degli esperimenti di associazione) che se la parola "gatto" non fosse stata pronunziata. Tutto questo in-sieme costituisce la mia "idea" di gatto; e, in senso lato, un gruppo ana-logo di immagini costituisce la vostra idea di gatto, che, però, non sarà del tutto simile alla mia perché le vostre esperienze in fatto di gatti non saranno state del tutto simili alle mie e quindi i diversi componenti saranno legati fra di loro in modo diverso. Ritengo che quanto ho esposto sia abbastanza chiaro per poter procedere oltre.

Un altro punto: quando un oggetto è materialmente presente nel campo dei nostri sensi, cioè quando possiamo toccarlo o udirlo ecc. evidentemente la situazione non è la medesima di quando lo ricordia-mo o lo pensiamo ma esso non è presente. Parlando molto approssima-tivamente, possiamo dire che il nostro campo di coscienza contiene "sensazioni" o "percezioni" invece di immagini. Ma sarebbe complicato dovere usare l'espressione "idea di X o il gruppo di sensazioni presenti nel campo di coscienza in conseguenza alla presenza materiale di X", o qualche altra espressione analoga, ogni volta che vogliamo parlare di associazione. Quindi dirò semplicemente e riassuntivamente che P"idea di X" o la "idea X" o forse semplicemente "X", sono presenti 86 Teoria associativa della telepatia

o vengono presentati, riferendomi ai due tipi di situazioni, a seconda di come risulterà più chiaro nel contesto. In altre parole, il termine "idea di X" deve essere inteso come comprendente non soltanto "tutte quelle immagini che tendono a venire in mente... ecc." ma anche, quando le circostanze lo richiedano, "tutte quelle percezioni che sono presenti nel campo di coscienza quando l'oggetto X è materialmente presente e per-cepibile".

Per esprimerci in modo che soddisfi sufficientemente ai nostri fini presenti, pur non essendo l'ideale, possiamo dire che il contenuto di una mente qualsiasi (personalmente direi semplicemente "una mente", tralasciando "il contenuto di") consiste, almeno in parte (io direi "unica-mente"), di idee quali sono state definite più sopra, di cui alcune, in qualsiasi momento, sono presenti in ciò che chiamiamo il "campo di coscienza" (frase che per ora lascio interpretare dal buon senso) e altre no. Quelle che solitamente sono presenti saranno per lo più "sensa-zioni" o "percezioni", o comunque si vogliano chiamare, date, per così dire, dall'ambiente immediatamente circostante, mentre quelle che non lo sono saranno unicamente immagini.

Diciamo che quelle che non sono presenti in qualsiasi momento "appartengono" egualmente alla mente o ne costituiscono "una parte", perché possono essere evocate mediante la presentazione di un'idea (vedere sopra) che ad esse è stata associata in passato, e generalmente diciamo e pensiamo che esse sussistono "nel subconscio". Non è neces-sario ora discutere quale possa o debba essere o sia stato il significato preciso di questo termine nei vari testi presenti e passati; ci basta pren-derlo come una comoda metafora che simbolizza l'indiscutibile fatto che alcune immagini, pur non essendo in qualsiasi momento "presenti" o "nel campo" di coscienza, possono divenire tali in condizioni idonee, particolarmente se evocate mediante la presentazione di un'idea asso-ciata. Non vi è obiezione da fare all'idea che il subconscio sia una specie di deposito nel quale le idee vengono, per così dire, pescate dalla associazione e dove col tempo fanno ritorno.

43. Teoria associativa (seguito): III) Spiegazione della teoria.

Siamo ora giunti, attraverso queste osservazioni preliminari, al noc-ciolo di tutta la questione.

Prendiamo in considerazione uno dei miei esperimenti con i dise-gni. Nella mia qualità di sperimentatore, mi siedo al tavolino e il primo gesto che compio è quello di decidere che cosa disegnerò nell'ori-ginale aprendo un dizionario a caso o tirando su un cartellino da un cappello o con qualche altro rito analogo. Diamo il nome di "O" all'og-getto che in tal modo ho deciso di disegnare; il lettore, se gli resta più chiaro, può sostituire ad esso il nome di un oggetto quale casa,

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bricco, nave ecc, ma trovo che, per brevità, d'ora in poi sarà preferibile servirsi di un simbolo generale. Quindi mi metto a disegnare un "O", non certo P"O" alfabetico ma una raffigurazione dell'oggetto scelto. Questo significa inevitabilmente che almeno alcune delle varie immagini che formano la mia idea di "O" saranno presenti in misura maggiore o minore nella mia mente. Ma saranno presenti anche molte altre idee, ivi comprese le sensazioni ecc, derivanti dall'ambiente circostante. Quindi l'idea di "O" verrà automaticamente associata ad alcune altre idee alle quali, generalmente, essa non sarebbe stata associata, o almeno il suo legame associativo con esse sarà rinnovato e rafforzato. Per ren-dere questo concetto più efficace supponiamo che prima di iniziare abbia posto sulla mia scrivania un oggetto speciale e insolito che ordinaria-mente non si trova in quel posto; non importa sapere che cosa sia e chiamiamolo "K" \ Mentre lavoro, il mio campo di coscienza com-prenderà fra l'altro sensazioni o percezioni originate dalla presenza dell'oggetto "K", e l'idea "O" si associerà fra l'altro all'idea "K".

E fin qui tutto va bene; abbiamo "K" o "O" associati nella mia mente (come pure "O" associato con un certo numero di altre idee) e in base al ben definito principio di associazione ne conseguirà che, se "K" mi viene ripresentato, "O" (o l'idea di "O", ma vedi più sopra) ha maggior probabilità di tornarmi in mente che se l'associazione non fosse avvenuta per il fatto che ho disegnato "O" in presenza di "K". Cioè a dire, se vedrò nuovamente "K" sul mio scrittoio vi è maggiore probabilità (non è certo sicuro, ma più probabile) che pensi a KO" di quanto non lo sarebbe altrimenti; possiamo dire, in termini un po' alla buona, che la visione di "K" tende a richiamare l'idea di "O" dal mio subconscio.

Ma si ammetterà generalmente che, se voi foste un soggetto che lavora in questo esperimento, il vedere "K" sul vostro tavolo non tenderebbe a richiamare l'idea di "O" dal vostro subcosciente e non avreste maggiori probabilità di pensare a " O " di quante non ne avreste se "K" non fosse sul tavolo; e il fatto che "K" e "O" erano associati nel mio subcosciente non porterebbe alcuna differenza. Perché? Perché noi consideriamo sempre come un fatto accertato che il mio subconscio e il vostro siano due entità separate. Ma supponiamo che non lo siano. Supponiamo di avere un subconscio in comune. Supponiamo che tanto voi che io si possa pescare in un deposito comune, così che le asso-

1 Non è assolutamente indispensabile introdurre questa complicazione a questo punto, come il lettore capirà fra poco; ma più avanti faccio un così largo uso di oggetti e idee che sostengono la parte di questo speciale oggetto "K"

io li chiamo genericamente oggetti-K e idee-K

che ritengo opportuno intro-durre il concetto sin dall'inizio anche a costo di aggiungere una lieve complicazione. 88 Teoria associativa della telepatia

ciazioni formate da me valgano anche per voi. In questo caso, se vi vien presentata "K", essa tenderà a suscitare l'idea "O" e avrete mag-giori probabilità di pensare a "O" (e quindi in generale rappresentarlo in uno dei disegni che fate per l'esperimento) che non se "K" e "O" non fossero stati associati nella mia mente per il fatto che ho disegnato l'originale "O" in presenza di "K". In media avrete la tendenza a di-segnare le stesse cose che disegno io con una frequenza inaspettata in rapporto al numero di probabilità dovute al caso, tendenza che è stata riscontrata.

Ma lasciamo per ora da parte ciò che potete considerare l'evidente assurdità, per non dire la sfacciataggine, di una simile supposizione, e mettiamo in chiaro il resto. Presupponendo che le associazioni fatte da me abbiano effetto anche su voi in virtù di un subconscio comune, si può spiegare la tendenza osservata in voi a disegnare la stessa cosa che disegno io, purché si abbia una «K» che agisca da fattore comune. Ma io non vi ho fornito di una speciale "K" a guisa di attaccapanni cui appendere i vostri pensierix, almeno non negli esperimenti svolti fino ad ora. Allora che cosa agisce in luogo dell'oggetto o dell'idea "K", senza di che il meccanismo che ho testé esposto evidentemente non funzionerebbe?

La mia risposta è che questo elemento è costituito dall'"idea del-l'esperimento". Né voi né io, in simili circostanze, stiamo "giocando", ma ciascuno di noi sta svolgendo la sua parte in "un esperimento sulla

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conoscenza para-normale di disegni", per dargli il titolo completo che è stato stampato in testa alle schede dei miei soggetti; e ciascuno di noi ha un'idea abbastanza precisa di che cosa ciò significhi, anche se le nostre idee non coincidono perfettamente. Anche se differiscono consi-derevolmente, come è probabile, esse saranno più simili che se uno di noi disegnasse per far divertire i bambini e l'altro per illustrare il cata-logo di un magazzino. Per lo meno le parole "conoscenza paranormale di disegni" occuperanno un posto in evidenza nella vostra mente e quasi altrettanto nella mia; questo, in linea di massima, basta ampia-mente a fornirci un'idea "K".

Per brevità chiameremo con "E" "l'idea dell'esperimento", "X" lo sperimentatore e "Y" il soggetto. La teoria associativa della telepatia può quindi in succinto enunciarsi come segue:

"X" associa "O" ad "E"; "E" è presentato a "Y" e tende a richiamare "O".

1 Ma confrontare pagg. 107-8. In alcuni dei miei primi esperimenti vi fu difatti una specie di oggetto-K artificiale, pur non essendo stato predisposto deliberatamente.

Teoria associativa della telepatia 89

Per esprimerci in un modo un po' meno conciso possiamo dire: "L'atto di disegnare l'originale associa automaticamente nella mente

dello sperimentatore l'idea (O) dell'oggetto in esso rappresentato all'idea dell'esperimento (E). Quando l'idea dell'esperimento (E) viene presentata alla mente del soggetto, automaticamente tende a richiamare l'idea (O) dell'oggetto rappresentato nell'originale perché l'associazione così formata agisce per le due parti".

È evidente che tanto "sperimentatore" quanto "soggetto" possono essere usati al plurale senza alterare il principio enunciato.

Preferisco l'espressione "perché l'associazione così formata agisce per le due parti" piuttosto che l'espressione "perché le due parti hanno un subconscio comune" oppure "perché sul piano in cui ha luogo il processo vi è una unica mente", per il fatto che, sebbene queste varie formule si equivalgano, la prima è una enunciazione più esatta di quanto dobbiamo presumere acciocché il meccanismo funzioni.

Usando un'analogia molto approssimativa possiamo dire: Se voi ed io ci troviamo in due barche ed io voglio farvi avere qualche cosa che è troppo pesante e ingombrante per passarla a mano, l'unica cosa da fare è quella di calarla lungo il fianco della barca con una corda di cui gettiamo a voi l'altro capo; l'idea che cerco di farvi avere è rappre-sentata dall'oggetto pesante, e l'idea dell'esperimento (E), o una qualsiasi idea-K, dall'altro capo della corda.

44. Teoria dell'Associazione (seguito): IV) Alcuni vantaggi.

Prima di proseguire nella discussione di questa teoria, ritengo mi si permetterà di far notare che, anche così com'è, essa presenta enormi vantaggi rispetto alle teorie della "radio" e del "sesto senso", non foss'altro per la sua eleganza e la sua semplicità.

Essa non richiede né invisibili trasmettitori né ricevitori anatomici né accordo psichico né codice subconscio e automatico né organi sensori ignoti né emanazioni misteriose. L'unico meccanismo che essa comporta è della massima semplicità e di una inattaccabilità da tutti riconosciuta; l'unica aggiunta di cui ha bisogno è la smentita di due presupposti comu-nemente accettati senza discussione e cioè: primo, che le associazioni formatesi in una mente non agiscono in un'altra e, secondo, che quelle che comunemente vengono chiamate "menti individuali" sono completa-mente separate le une dalle altre. Alcuni pochi fatti positivi, di cui questa nostra materia abbonda, bastano a scalzare qualsiasi presupposto accettato come un dato di fatto.

A dire il vero, uno dei miei timori è che si tenderà a rigettare o a non prendere in considerazione questa teoria perché troppo sem-plice. Oggigiorno prevale troppo lo spirito di Naaman, e la gente è troppo incline a richiedere "cose grandi" e a disprezzare tutto ciò che 90 Teoria associativa della telepatia

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non viene qualificato dalla stampa quotidiana come "stupefacente", "spettacoloso", "drammatico". Ho la sensazione che queste persone sarebbero assai più disposte ad accettare una teoria desunta da qualche nuovo "raggio" (preferibilmente del tipo "raggio della morte") o da una "più alta vibrazione" o da un'altra varietà di quegli orribili corpu-scoli dai quali i fisici sembrano trarre tanto diletto, che non da una teoria basata su nulla di più eccitante delle associazioni, familiari e comuni quanto il pane quotidiano. Ma purtroppo non ho la possibilità di soddisfarli.

A questo punto molti lettori potranno benissimo dirmi: "ammetto che tutto ciò è molto ben fatto e ingegnoso; certo è un gran passo avanti rispetto alle alternative offerteci finora e non mi importa se non è spettacoloso. Ma come ce la dimostrerà?".

La risposta è facile: non la dimostrerò. Ma invece me ne servirò, il che è assai più importante. Non si può dimostrare che una teoria è vera come si può dimostrare che lo è un teorema matematico

o forse si può farlo per eliminazione

mentre invece si può dimostrare che è sbagliata mostrando che porta necessariamente a delle conclusioni discordanti con i fatti. La "dimostrazione" delle teorie la si ha come per i dolci, mangiandoli; e non è esagerato dire che, purché sia utile non importa molto se una teoria sia "giusta" o meno. Nessuno, ad esempio, come fa osservare il Dr. Thouless, sa se la teoria dei tre colori di Young-Helmholtz sia proprio "giusta", eppure "ricerche con-dotte basandosi su questa teoria hanno risolto molti più problemi di quanti non avrebbero potuto essere risolti con ricerche fatte a caso o senza una direttiva..." e "i risultati positivi delle indagini ispirate da questa teoria rimarranno come prova della utilità dell'ipotesi", anche se in seguito si troverà che essa era sbagliata. Un esempio su scala più vasta ci viene offerto dalla nostra vecchia amica, l'etere luminifero. È questa una delle ipotesi o teorie che ha dato più frutti ed ha permesso agli scienziati di coordinare e spiegare un vasto stuolo di fenomeni ottici ed elettromagnetici. Non molto più di cinquanta anni addietro, credo, l'etere costituiva una parte talmente inalienabile del mondo scientifico che Lord Kelvin dichiarò che la "esistenza dell'etere come sostanza" era uno dei fatti di cui gli scienziati avevano la più assoluta certezza. Oggi nessuno, tranne forse qualche conservatore tenace, crede più alla "esistenza dell'etere come sostanza", in quanto si è scoperto che non è necessaria; ma questo non diminuisce il valore dei servizi che ci ha resi.

45. Sotto-leggi dell'associazione: 1) La legge del recente.

Ma anche se non potremo dimostrare che la teoria è giusta, abbiamo ampie possibilità di dimostrare che ovviamente essa non è sbagliata e che è utile.

Teoria associativa della telepatia 91

A pagina 79 e segg. feci osservare che non serve a nulla cercar di spiegare questi fenomeni sostenendo che essi costituiscono casi par-ticolari di una categoria di fatti già noti, categoria che si uniforma ad alcune leggi e sotto-leggi note, a meno che non si possa dimostrare che questi nuovi fatti si uniformano anch'essi a quelle sotto-leggi; desidero porre in rilievo, particolarmente in relazione alla teoria della "radio", che, se siete costantemente costretti a addurre scuse e a introdurre ipotesi sussidiarie, potete essere certi che la vostra spiegazione segue una via sbagliata. È evidente che lo stesso principio va applicato anche nel nostro caso e dobbiamo chiederci se i fatti della telepatia, quali si pos-sono osservare attualmente, si uniformano alle sotto-leggi dell'associa-zione e se dobbiamo inventare scuse ingegnose per spiegare come mai essi non vi si uniformano.

Ancor oggi la psicologia non ha raggiunto uno stadio molto avanzato e dubito che gli psicologi, in generale, sostengano che le leggi dell'as-sociazione siano conosciute a fondo. Ma esistono due di queste leggi che possiamo considerare sufficientemente bene assodate per pren-derle come pietra di paragone per la nostra teoria; inoltre il caso vuole che nei miei esperimenti io abbia raccolto materiale adatto per fornire le informazioni necessarie.

Consideriamo prima la Legge del Recente, che può essere enun-ciata press'a poco così: Se a una mente qualsiasi ad un dato momento viene presentata un'idea "A" unitamente a un'idea "B", e se qualche

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istante dopo viene presentata alla stessa mente la medesima idea "A" unitamente a un'altra idea "C", e ancora di nuovo la stessa idea "A" unitamente a una terza idea "D", e se in un tempo successivo l'idea "A" viene ripresentata alla stessa mente, allora, rimanendo il resto im-mutato o quasi, l'idea "D" ha maggiori probabilità di accompagnare o seguire immediatamente "A" che non l'idea "C", e l'idea "C" ha maggiori probabilità di accompagnare o seguire immediatamente "A" che non l'idea "B", e analogamente per tutte le parti successive di una sequenza di idee presentate una dopo l'altra unitamente ad "A".

In parole povere, le idee più recentemente associate ad "A" hanno maggiori probabilità di "ritornare" se ripresentiamo "A" che non le idee ad essa associate precedentemente. Questa, naturalmente, è una esperienza che tutti hanno fatto. Non è però così facile, come potrebbe apparire a prima vista, rispondere con esattezza alla domanda come e perché ciò accade, ma in questo momento ciò non ci riguarda, sebbene indagini in questo senso aprano nuovi orizzonti di vasto interesse e di grande importanza che tuttavia esulano dalla materia trattata in questo libro.

Uno dei modi con cui ciò si attua in pratica è il seguente: suppo-niamo di fare imparare al soggetto, in più riprese, alcuni gruppi di cose 92 Teoria associativi! della telepatia

(generalmente ci si serve di liste di sillabe senza senso); si può ritenere che questo lo porti ad associare successivi gruppi di cose con uno "espe-rimento per imparare e ricordare". A ciascuna seduta, o poco dopo ciascuna di esse, gli chiediamo di scrivere quanto ricorda di tutto il materiale imparato sino a quel momento. Troviamo allora che, confor-memente alla suddetta legge, il numero maggiore di cose ricordate ap-partiene al gruppo imparato per ultimo, un numero minore a quello imparato nella seduta precedente, e così via sempre diminuendo fino alla prima seduta. Oppure, se preferiamo prospettarla altrimenti, delle cose imparate nella prima seduta se ne ricorderà un numero maggiore immediatamente dopo la seduta stessa, un po' meno dopo la seconda seduta, ancora meno dopo la terza e così via; e analogamente, mutatis mutandis, per le cose imparate nelle altre sedute. È più o meno come se i legami associativi fra le idee delle cose imparate e l'idea dell'esperi-mento si rallentassero gradatamente "con l'andar del tempo", come di-ciamo scorrettamente, perché in realtà credo che sia dovuto più al fatto che le idee progressivamente vanno a confondersi, per così dire, nel cal-derone delle esperienze passate e quindi divengono sempre meno accessibili.

Ora se, come sostengo, il procedimento implicato nei miei esperi-menti (o anche in quelli con le carte o altri) è essenzialmente a carat-tere associativo, dobbiamo verificarvi lo stesso genere di fatti. Dovrem-mo cioè prevedere che nel corso del primo esperimento sarà ricordato o "ritornerà" (come abbiamo detto) il numero maggiore di "O" asso-ciati dallo sperimentatore con l'idea di "E" come conseguenza dell'aver presentato "E" ai soggetti nel corso del primo esperimento; che nel corso del secondo esperimento ne sarà ricordato un numero minore (ma un numero maggiore di quelli usati nel secondo) e nel terzo un numero ancora minore e così via.

Ciò è precisamente quanto riscontriamo (se il lettore ricorda quan-to ho esposto a pagina 59 e segg.), perché, come ho colà spiegato, la probabilità di segnare un "colpo" (cioè il numero di "colpi" segnati) è massima durante o in prossimità del momento in cui è esposto l'ori-ginale e poi diminuisce gradatamente \

Sarebbe forse avventato, allo stadio attualmente raggiunto, affer-mare definitivamente che ciò è dovuto all'azione di quei fattori dai quali dipende la Legge del Recente; ma è certo che l'effetto riscontrato

1 II graduale aumento fino al massimo è una questione di preconoscenza, che non ho intenzione di discutere qui in quanto ci condurrebbe per forza su un terreno pericoloso. In linea del tutto provvisoria, possiamo immaginarlo come una specie di "declino della memoria in senso inverso", che è più o meno ciò a cui fa pensare osservandolo, sebbene, secondo me, credo che non sia niente del genere.

Teoria associativa della telepatia 93

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corrisponde a quanto dovremmo aspettarci in misura tale che, per lo meno, non si verifica qui alcun conflitto.

46. Sotto-leggi dell'associazione: 2) La Legge della Ripetizione.

Consideriamo ora la Legge della Ripetizione, che può essere così enun-ciata: se in un numero n di sedute a una mente qualsiasi viene presentata l'idea "A" unitamente a un'idea "B"5 e se "A" viene anche presentata unitamente a "C" in m sedute, e se « è maggiore di m, allora, ripre-sentando l'idea "A", l'idea "B" ha maggiori probabilità di ritornare, rimanendo il resto immutato o quasi, che non l'idea "C". (E se un'altra idea "D" viene presentata unitamente ad "A" più spesso di "B" essa avrà maggiori probabilità di ritornare che non "B").

In altre parole, più spesso vengono associate le idee e più esse stanno unite. Il che di nuovo è un fatto riscontrato e comprensibile da tutti.

Ma prima di esaminare i dati per vedere fino a che punto essi si uniformano a questa sotto-legge, credo che possiamo procedere ad un passo formale, cui ho accennato fin dal momento in cui ho formulato questa teoria, ma che per ora avevo evitato perché volevo che il lettore si assuefacesse all'idea basilare e vedesse che poteva funzionare, prima di infliggergli cose più allarmanti.

Abbiamo visto che i punti fondamentali della teoria sono duplici; primo, il principio normale della associazione e, secondo, la asserzione che associazioni formatesi in una mente (quella dello sperimentatore) agiscono in un'altra mente (quella del soggetto). Ma, in base alle co-noscenze antecedenti o in base alle esperienze fatte fino ad oggi risulta che nella mente dello sperimentatore o nelle menti delle centinaia di soggetti coinvolti o nei rapporti fra sperimentatore e soggetto non vi è nulla di magico. Comunque non abbiamo supposto che vi fosse qual-che cosa di magico, come difatti non abbiamo il diritto di supporlo anche se lo desiderassimo. Di conseguenza noi possiamo, anzi dobbiamo, supporre che quanto è vero per la mente di uno sperimentatore e di un soggetto, è vero anche per altre due menti qualsiasi; dobbiamo dunque generalizzare questo principio limitato o Legge di associazione (confr. pag. 84 e seg.) nella forma seguente:

Se due idee, "A" e "B", vengono presentate insieme, o a brevis-sima distanza di tempo, a una qualsiasi mente M, e se successivamente una di esse viene ripresentata a questa mente, o presentata a qualsiasi altra mente M', allora l'altra idea ha maggiori probabilità di accompa-gnarla o seguirla da vicino nella mente a cui è stata così presentata o ripresentata, che non se le due idee non fossero state presentate alla mente M insieme.

Questa generalizzazione è abbastanza drastica, ma non per questo 94 Teoria associativi* della telepatia

non accettabile, anche se comporta delle notevoli complicazioni che ve-dremo più avanti. Tuttavia essa ci appare inevitabile una volta messo in dubbio che due menti siano isolate a guisa di compartimenti stagni, a meno che non si possa dimostrare che esistono casi speciali, cosa che non possiamo né abbiamo motivo di supporre.

La situazione presenta alcune analogie con ciò che sarebbe acca-duto se la storia delle scienze avesse seguito un corso diverso (cosa che, di massima, avrebbe potuto benissimo avvenire) e Cavendish avesse eseguito il suo celebre esperimento per dimostrare l'attrazione della forza di gravita prima che Newton avesse elaborato la sua Teoria. In tali cir-costanze Cavendish avrebbe potuto benissimo giungere alla conclusione che ogni più piccolo frammento di materia nel mondo (cioè in terra) attrae ogni altro frammento con una forza direttamente proporzionale al prodotto del loro volume e inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra i due; ma avrebbe potuto altrettanto bene non pensare ad applicare la sua scoperta e la sua legge alla materia extra terrena. In questo caso Newton avrebbe potuto generalizzarla nella seguente forma: "nell'universo ogni particella di materia attrae ogni altra par-ticella, ecc...". Questa scoperta naturalmente sarebbe stata assai meno importante di quella che egli ha effettivamente fatto, ma la storia avrebbe potuto benissimo procedere anche se le circostanze, combinate al genio superlativo di Newton, non fossero state tali da permettergli di fare due passi in una sola volta.

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Accettando dunque questa generalizzazione e ponendo per ora l'accento sul fatto che un'associazione formatasi in una mente Qualsiasi agirà o opererà in qualsiasi altra mente, è chiaro che nel caso di ripetuti atti associativi o situazioni associative, la loro influenza sarà cumulativa, indipendentemente dal fatto che esse si presentino in una sola o in più menti. Cioè a dire, se le idee "E" e "O" (nel nostro caso) vengono associate una prima volta nel presentarle congiunte alla mente Mb e poi un'altra volta nel presentarle alla mente M2... e ancora... alla mente M3 ecc, nel presentare "E" alla mente del soggetto, "O" avrà mag-giori probabilità di ritornare * che non se fossero state presentate unite a una sola di queste menti. Ciò che importa, per così dire, non è la mente in quanto appartenente a un individuo, ma il numero delle volte in cui due idee sono presentate insieme.

1 D'ora innanzi le parole "rimanendo il resto immutato o quasi" vanno sot-tintese in tutte le enunciazioni di questo genere a meno che non siano esplicita-mente escluse.

Teoria associativa della telepatia 95

47. Uniformità con la Legge della ripetizione.

Nel mio sesto esperimento, per ragioni che in questo momento non è necessario specificare, ebbi occasione di applicare il seguente procedimento: pre-parai una lista di nomi di 216 oggetti che ritenevo adatti a essere usati come originali in quell'esperimento. Inviai la lista a una terza persona che non fosse un soggetto e che ne scelse a caso 50 e li disegnò perché servissero da originali nel solito modo. Questi 50 "originali potenziali" vennero riposti ciascuno in una busta opaca separata e inviati a una quarta persona. Fra queste cinquanta buste la quarta persona ed io ne scegliemmo a caso dieci per usarle nell'esperimento. Ogni sera dell'espe-rimento aprii via via una di queste buste e ne estrassi 1'"originale potenziale" che veniva allora ripassato in inchiostro o da mia moglie o da me stesso, al fine di essere sicuri di guardarli con attenzione ed imprimerceli come si doveva nella mente. Questi dieci disegni furono quindi usati come originali nel solito modo.

Quindi fra 216 oggetti elencati inizialmente possiamo distinguere tre categorie nettamente definite che passarono attraverso un numero variante di atti associativi. Quelli che poi servirono da originali furono prima elencati da me, poi disegnati da una terza persona, poi ricalcati da me (o da mia moglie), compiendo tre atti associativi di cui uno nella mente della terza persona, uno nella mia e un altro nella mia e in quella di mia moglie; quelli elencati e disegnati ma di cui non ci servimmo furono sottoposti solo a due atti associativi, uno nella mia mente e uno nella mente della terza persona; mentre quelli semplicemente elen-cati ne subirono solo uno, e cioè quello nella mia mente. Molto tempo dopo, e dopo che ebbi calcolato i risultati di queste tre prime catego-rie, per controllo scelsi a caso in un dizionario altri sessanta nomi di oggetti; si può giustamente ritenere che questi ultimi fossero ancora meno associati nella mia mente con l'idea di esperimento che non la terza categoria di oggetti "solo elencati".

Se la ripetizione dell'atto associativo, indipendentemente dalla mente in cui avviene, tende a rafforzare l'associazione nel processo tele-patico come fa nei normali esperimenti psicologici ecc. dovremmo pre-vedere che, nel registrare la reazione dei soggetti in questo esperimento rispetto agli originali delle tre classi, si troverà che i primi originali sono quelli che hanno maggiormente agito, i secondi meno, i terzi ancora meno e quelli di controllo meno di tutti. Nell'iniziare questo libro mi ero più o meno proposto di non tediare il lettore con cifre, ma i risultati ottenuti in questo caso sono così semplici e così piacevoli che ritengo mi sarà permessa un'eccezione. La media dei punti segnati fu: elencati, disegnati e usati, 21.2; elencati e disegnati, ma non usati, 4.3; elencati solo e non disegnati né usati, 2.2; controlli, 0.2. Considerando che questo esperimento non era stato condotto per dimostrare questo fatto, il quale 96 Teoria associativi! della telepatia

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era completamente inatteso e fu da me ricercato molti mesi dopo per convalidare la teoria, ritengo che il risultato sia quanto di più soddisfa-cente si potesse desiderare \

Non voglio peraltro dargli più importanza di quanta ne meriti; e soprattutto non voglio sostenere che "dimostra la verità" della teoria della associazione. Ma corrisponde bene alle previsioni e, ancora una volta, non dobbiamo certamente scusarci perché i fatti non si unifor-mano alle sotto-leggi.

48. I soggetti segnano successi con originali "non usati".

Qui abbiamo un altro fatto di grande interesse. Si riscontra che i soggetti segnano "colpi" relativamente numerosi con oggetti della seconda e terza categoria prese insieme, con cento probabilità contro una che non siano dovuti al caso. La maggior parte dei successi sono ottenuti con quelli della seconda categoria (elencati e disegnati) che in se stessa è appena signi-ficativa, mentre la terza categoria non è affatto significativa. Da questo si potrebbe dedurre che la differenza è dovuta al fatto che gli originali della seconda categoria furono disegnati; ma esperienze successive hanno dimostrato che le cose non stanno così. "Colpi" notevolmente numerosi possono essere segnati con oggetti che sono solo "elencati" o l'equiva-lente, sebbene l'influenza sia, come prevedibile, più debole, tanto che per dimostrarla è necessaria una grossa massa di dati. Ad esempio, nel mio settimo esperimento (in cui mi servii di cinque sperimentatori e di 245 soggetti) inviai un pacchetto di trenta foglietti ripiegati, ciascuno con il nome di un oggetto, a ciascun sperimentatore che ne scelse a caso dieci per disegnarli e servirsene nell'esperimento. Ma i soggetti segnarono punti significantemente alti, sebbene naturalmente non così alti come con gli originali usati, anche con gli oggetti indicati nei foglietti non usati.

Ritengo sarebbe estremamente difficile spiegare questa influenza basandosi sulle teorie del tipo "radio" o "sesto senso", mentre invece essa costituisce una conseguenza naturale della teoria dell'associazione, la quale afferma che l'unica cosa che conta è l'atto di associare l'idea dell'oggetto con l'idea dell'esperimento e non con gli originali effetti-vamente esposti. La funzione dell'originale è unicamente quella di co-stringere lo sperimentatore a pensare all'oggetto in rapporto all'esperi-

1 Poiché ho dato delle cifre, devo aggiungere, per il lettore matematico, che le variazioni furono rispettivamente di 20,6; 4,7; 1,7 e 1,7. Il primo dato è molto significativo, il secondo appena significativo e la differenza fra di loro è molto significativa come lo è pure quella fra il primo e il terzo e, a fortiori, fra il primo e il secondo e il terzo presi insieme. I punti segnati per la seconda e la terza categoria prese insieme sono anche significativi con P meno di 0,01.

Teoria associativa della telepatia 97

mento e quindi produrre la necessaria associazione. Qualsiasi altra operazione che dia lo stesso risultato, fra l'altro quella di scrivere il nome dell'oggetto in modo appropriato, servirà altrettanto bene allo scopo; naturalmente vi saranno procedimenti più efficaci di altri.

Possiamo ora anche mettere in chiaro il fatto che alcuni soggetti, da quanto almeno si può riscontrare in base all'osservazione (cosa di cui ho pochissimi dubbi), sembrano afferrare il profilo dell'originale senza riuscire ad interpretarlo correttamente. Ad esempio, uno degli originali del mio sesto esperimento era una cravatta a farfalla e per molto tempo rimasi perplesso davanti a una serie sorprendente e alta-mente significativa di clessidre trovate fra i disegni dei soggetti, finché mi venne in mente che esse quasi certamente erano delle interpretazioni sbagliate del fiocco \

Questo genere di cose appare comprensibilissimo se riflettiamo che la "idea" che lo sperimentatore ha dell'oggetto che disegna

cioè quel gruppo di immagini che occupano la sua mente mentre sta dise-gnando

necessariamente sarà accresciuta, mentre lavora, dalle imma-gini visive suscitate dalle linee che traccia sulla carta, di modo che queste immagini, aggiunte alle altre che costituiscono la sua idea dell'oggetto, saranno associate con l'idea dell'esperimento e saranno a disposizione del soggetto se, per così dire, egli ne ha bisogno. La tendenza a sce-gliere queste immagini lineari a preferenza di altre probabilmente è dovuta a idiosincrasia personale.

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Prima di procedere oltre, vai la pena osservare che il genere di risultati che abbiamo esaminato qui sopra, e particolarmente la impor-tantissima influenza "dei foglietti non usati", avrebbe potuto diffi-cilmente ottenersi con le carte, e certamente sarebbe stato impossibile ottenerli con le carte Zener.

49. Ulteriore conferma della teoria dell'associazione: il "rapporto".

Mi dedicherò ora ad un paio di altri punti interessanti che convalidano

la teoria dell'associazione. Nel mio settimo esperimento, come ho già detto, lavorarono cinque

sperimentatori, ciascuno dei quali preparò ed espose dieci originali nel solito modo. Vi lavoravano anche cinque gruppi di soggetti e ciascun gruppo venne avvertito di "mirare", per così dire, agli originali usati da uno degli sperimentatori; ai soggetti non fu rivelato che erano in corso altri esperimenti. Gli esperimenti non ebbero luogo proprio del tutto contemporaneamente, ma si accavallarono, tanto che si può dire che furono approssimativamente contemporanei.

1 Nota bene: nel valutare i risultati dell'esperimento questi non furono cal-colati come "colpi" segnati con la cravatta. 98 Teoria associativa della telepatia

Quando organizzai questo esperimento non pensavo neanche lon-tanamente alla teoria della associazione e, piuttosto ingenuamente, spe-ravo

ma a mala pena mi aspettavo

che ciascun gruppo di soggetti segnasse punti in proporzione superiore alle probabilità dovute al caso con gli originali usati dal rispettivo sperimentatore, ma non con quelli usati dagli altri. Questo non si verificò. I 245 soggetti presi comples-sivamente segnarono punti in proporzione significantemente alta con i 50 originali pure presi complessivamente

di questo non vi era alcun dubbio

ma senza alcuna discriminazione fra gli originali scelti dai loro sperimentatori e quelli scelti dagli sperimentatori degli altri gruppi. Questo mi diede da pensare, finché mi resi conto che sarebbe stato assai più strano se essi avessero reagito diversamente. Sarebbe stato estrema-mente difficile spiegare la loro capacità di discriminare e scegliere, am-messo che ne avessero dimostrata alcuna. Questo, credo, vale egual-mente per qualsiasi altra teoria, di modo che questa osservazione non costituisce una speciale conferma della mia teoria ma semplicemente si uniforma ad essa.

D'altra parte, questo ci mette di fronte a tutto il problema di ciò che viene comunemente chiamato rapporto, questione di notevole interesse e che potrà dimostrarsi di grande importanza in determinate circostanze.

Una delle nostre principali difficoltà è sempre stata quella di capire come fa il soggetto ad afferrare i pensieri dello sperimentatore (o di un altro "mittente") fra la confusione di immagini svariate ecc. che si suppone gli si presentano; e, mutatis mutandis, naturalmente è quella di capire se egli "vede" oppure "sente" l'oggetto. Nel trattare questo problema si è stati soliti presumere una qualche specie di "rap-porto" o di "affinità" o altro, o qualche cosa di simile alla "risonanza" fra mittente e ricettore, sebbene, da quanto mi risulta, non è stato suggerito nessun meccanismo capace di spiegare il fatto.

La teoria dell'associazione non ha bisogno di alcun meccanismo speciale di questo genere. Essa afferma che l'idea necessaria non è, propriamente parlando, affatto "scelta" ma, per così dire, le viene data una maggiore probabilità di presentarsi alla mente del soggetto in virtù del fatto che essa è stata associata dallo sperimentatore coll'idea dell'esperimento "E", mentre invece le altre idee non le sono state associate e quindi non occupano questa posizione di vantaggio.

Ciò non significa, tuttavia, che non possa esistere alcunché della natura di un "rapporto" e che in alcune circostanze esso non possa essere importante. Al contrario, credo che esso debba esistere e che probabilmente risulterà della massima importanza quando verremo ad esaminare alcune delle più interessanti conseguenze della teoria.

Consideriamo di nuovo il meccanismo elementare, e un po' più Teoria associativa della telepatia 99

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particolareggiatamente. Spero di aver spiegato chiaramente e di aver fatto capire che, sebbene per comodità si parli della "idea di un gatto" come se costituisse un'unica entità, bisogna pensarla come un aggregato molto complesso delle varie parti che la costituiscono. Provvisoriamente pensiamo a tali parti come a qualche cosa di simile o corrispondente approssimativamente agli atomi chimici, e pensiamo alla intera idea come a qualche cosa che corrisponda all'ingrosso a una molecola chimica; e supponiamo che le parti (che per ora, senza pregiudicarle, chiameremo "immagini") siano collegate fra di loro per formare un'idea in un modo che corrisponda grossolanamente a quello che tiene uniti insieme gli atomi che costituiscono la molecola. Possiamo dire, per dare una defi-nizione, che questi legami delle parti sono associativi e possiamo sup-porre che differiscono di intensità. Ma non dobbiamo permettere che le parole "legame", "collegamento" ecc. implichino niente di più che la pura e semplice enunciazione del fatto che, se una delle parti è pre-sente alla mente, quelle che si dice le siano "collegate" hanno maggiori probabilità di presentarsi che non le altre che si dice non siano colle-gate ad essa; e analogamente per quanto riguarda la diversa intensità di collegamento. Dobbiamo tuttavia supporre che il collegamento di queste parti in una idea complessa non esaurisce o diminuisce la loro capacità di ulteriori collegamenti con altre immagini ecc, come avviene nel caso di atomi chimici collegati in molecole.

Se consideriamo le conseguenze derivanti dalla complessa costitu-zione delle idee insieme con il fatto che non vi sono due persone che abbiano esattamente la stessa idea dello stesso oggetto (come ho fatto osservare a pagina 85-86) troveremo che questo ci da qualche cosa di equivalente al rapporto. Credo che questo si possa spiegare meglio teoricamente, mediante una semplificazione leggermente drastica piut-tosto che cercando di esprimere in linguaggio ordinario ciò che può essere espresso correttamente solo in linguaggio matematico.

Supponiamo che io, in qualità di sperimentatore, disegni l'oggetto, "mattone" come originale; per ora possiamo presumere, abbastanza a ragione, che la mia e la vostra idea di mattone, in quanto idea, diffe-riscano di pochissimo, tanto da poter ignorare il fatto che ciascuna è costituita da diverse parti e quindi trattare ciascuna idea come un'unica entità. Ma supponiamo, d'altra parte, che le nostre idee di esperimento siano quanto più è possibile disparate, tanto che l'unica parte che hanno in comune sono l'aspetto esteriore e il suono delle quattro paro-le: esperimento, paranormale, conoscenza e disegno. Quindi la mia idea dell'esperimento "E" sarà costituita da queste stesse quattro parole più un gran numero di altre; e la vostra sarà costituita da queste stesse quattro parole più un altro gran numero di parole del tutto diverse (ipoteticamente) dalle mie. Quando disegno il mio mattone, l'idea "mat- 100 Teoria associativa della telepatia

tone" sarà collegata, supporremo, a tutte le parti che costituiscono la mia idea "E", comprese le quattro parole summenzionate. Ma i colle-gamenti con le altre parti che la compongono a voi non serviranno, perché, quando vi accingerete a fare la vostra parte dell'esperimento e quindi la vostra versione di "E" si presenterà alla vostra mente, solo i quattro speciali componenti summenzionati avranno, per così dire, dei collegamenti che li raccordano all'idea "mattone".

Ma se la vostra idea "E" avesse, ad esempio, 20 parti in comune invece di solo quattro, vi sarebbero venti collegamenti che la condu-cono verso l'idea "mattone" e le probabilità che voi, per modo di dire, ne afferriate una

cioè le probabilità che l'idea "mattone" venga alla mente

sarebbero cinque volte maggiori. Questo è un po' troppo conciso ed in un certo senso eccessiva-

mente semplificato, inoltre andrebbe giustificato in una mezza dozzina di punti; ma dovrebbe servire a mettere in evidenza il fatto che più l'idea "E" dello sperimentatore e l'idea "E" del soggetto si armonizzano, maggiori sono le probabilità che il soggetto segni un punto o "afferri" l'idea dell'originale dello sperimentatore o, in altri casi, il suo equivalen-te. Questo evidentemente costituirà una specie di "rapporto", nel senso che probabilmente alcuni sperimentatori e soggetti lavoreranno insieme con maggior successo di altri.

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50. Sviluppo del concetto delle "idee K".

Possiamo, entro un

certo limite, generalizzare questa conclusione riflettendo che l'idea "E" 1

(l'idea dell'esperimento) non è che un caso particolare della categoria più generale dell'idea "K", che possiamo definire come una qualsiasi idea alla quale lo sperimentatore abbia associato l'idea dell'originale ecc. e che viene presentata al soggetto al momento opportuno. Quindi, supe-rando la posizione puramente sperimentale, possiamo concludere che le "relazioni" (questo termine non mi piace molto e non lo uso nel senso di scambi deliberati) telepatiche si verificheranno maggiormente se i partecipanti hanno più idee ed esperienze in comune, fatto che gene-ralmente si ammette senza cercare di spiegarlo.

Troveremo questo di grande importanza quando arriveremo a pren-dere in esame l'eventuale formazione delle "menti gruppo" e affini;

1 Questa probabilmente dovrebbe essere estesa tanto da comprendere tutti gli elementi della situazione sperimentale nel suo complesso, includendovi un vasto numero di oggetti quali le tavole, le seggiole, la carta, la matita e tutto ciò che ci circonda in genere, senza far parte particolarmente dell'esperimento in quanto tale. Questi oggetti, che presumibilmente hanno innumerevoli legami asso-ciativi con ogni sorta di cose, agiscono da ciò che si potrebbe chiamare materiale diluente. Forse, se riuscissimo ad escludere tutto ciò dalla mente del soggetto, per esempio con l'ipnosi, otterremmo risultati assai migliori.

Teoria associativa della telepatia 101

molto probabilmente il lettore intelligente avrà già intravisto in che modo le cose procedono in determinate condizioni, particolarmente quando vi è un gran numero di idee " K ". Per ora voglio solo far rilevare che considerazioni di questo genere offrono una base ovvia, ma senza precedenti, allo studio teorico e matematico dell'argomento. Evidente-mente non sarà impossibile fare previsioni, basate sul buon senso, circa il numero o la proporzione di elementi comuni che hanno probabilità di essere riscontrati nelle idee delle diverse persone su cose diverse

cioè presumibilmente il numero sarà assai più elevato per Cerchio che per Gatto e per Gatto che per Comunismo

e di calcolare, su questa base, quale tipo di materiale può essere più adatto a scopi sperimentali e può essere più facilmente "trasmesso" o "condiviso" spontaneamente a seconda delle circostanze \ Possiamo quindi confrontare le nostre previsioni calcolate teoricamente, con i fatti riscontrati, e vedere di quanto ci sbagliamo; questo è il procedimento scientifico standardizzato mediante il quale gradatamente perfezioniamo la nostra conoscenza.

Abbiamo appena visto che più elevato è il numero di idee "K" o di elementi comuni nelle idee "E", il che si equivale, maggiori sono le prospettive di successo. Naturalmente sorge il dubbio se non si possa ottenere il successo introducendo dei "K" artificiali. Fino ad ora non sono stati eseguiti esperimenti appositamente concepiti per studiare questo punto così importante, ma abbiamo a nostra disposizione una certa quantità di fatti osservati.

51. "K" artificiali: esperimenti "fotografici" contro esperimenti "non fotografici".

In tutti i miei primi esperimenti, tranne il secondo, fornii ai miei soggetti una fotografia del mio studio in cui si vedeva un foglio di carta bianca appeso alla libreria nello stesso punto in cui sarebbe stato esposto l'originale. Il mio secondo esperimento, come ho già spiegato, fu costituito da un'esperienza di gruppo eseguita in labo-ratorio; nella settima ed ottava prova, condotta dagli altri sperimen-tatori, non potei fornire fotografie del mio studio, soprattutto perché l'originale era in una posizione per cui non poteva facilmente essere fotografato e anche perché, al momento, non diedi molta importanza alla cosa.

Devo ammettere in tutta sincerità che mi servii delle fotografie unicamente come "placebo", per usare un termine medico; cioè pen-savo che potesse agire solo come suggerimento, ritenendo che potesse

1 II termine "trasmesso" non mi piace perché inevitabilmente fa pensare al movimento attraverso lo spazio, fatto che, come spiegherò più avanti, quasi certamente non si verifica, ma è comodo e permesso, purché sia ben chiaro che va inteso in senso di analogia. 102 Teoria associativa della telepatia

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dare ai soggetti una sensazione di contatto o semplicemente l'impres-sione che il loro compito non era tanto impossibile quanto poteva apparire.

Tuttavia in seguito, dopo che ebbi elaborato la Teoria dell'asso-ciazione e la dottrina dei "K" sostanzialmente come l'ho descritta più sopra, mi venne in mente che la fotografia poteva aver costituito un ottimo "K", poiché presentava ai soggetti un numero di immagini che per forza sarebbero state in una certa misura da me associate con l'ori-ginale. Quando ebbi calcolato la media dei punti segnabili, trovai che quelli segnati complessivamente in tutti gli esperimenti con fotografia erano significantemente più elevati di quelli segnati negli esperimenti senza fotografia tanto da raggiungere un poco più del doppio \

Questo, tuttavia, non costituisce una prova conclusiva per dimo-strare che la differenza era dovuta alla fotografia che agiva da "K". Se avessi pensato prima a questa possibilità naturalmente avrei prov-veduto che alla metà dei soggetti, scelti a caso, venisse fornita la foto-grafia e all'altra metà no, e quindi avrei confrontato i risultati ottenuti; così come è, la critica può sostenere che i risultati furono dovuti sia al fatto che gli altri sperimentatori erano "peggiori" di me (cioè che le loro idee "E" erano meno simili a quelle dei soggetti che non le mie, cosa che è quasi certamente errata ma che in certo qual modo è una petizione di principio) sia al fatto che i soggetti degli esperimenti con fotografia erano "migliori" di quelli senza, fatto che non vediamo per quale ragione debba essere presunto; o infine, che gli originali dell'espe-rimento con fotografia erano "più facili" degli altri, il che è anche quasi certamente errato.

Tuttavia non intendo menomamente porre in eccessivo rilievo una scoperta che evidentemente richiederebbe una buona dose di studi per confermarla e spiegarla. Ma è onesto sostenere che, in primo luogo, la teoria suggerisce un modo che appare promettente di migliorare la no-stra tecnica; in secondo luogo che essa ci ha indotti a ricercare un deter-minato effetto che, alla stregua dei fatti, si dimostra almeno non con-troindicato.

1 Per le cifre consultare il mio quarto rapporto.

CAPITOLO VII ALCUNE

APPLICAZIONI IMMEDIATE DELLA TEORIA

52. Idee "K" e lettura di oggetti.

La dottrina dei "K" ha un vasto campo di applicazione, ma sarà opportuno esaminare qui come viene usata, spiegando, almeno, i fatti più elementari di quella che viene denominata, con termine così infelice "psicometria" (o lettura di oggetti). Eccone un delizioso esempio di cui purtroppo, però, non posso garantire la attendibilità, sebbene mi sia stato riferito da persona auto-revole e degna di fede. Viene porto a una psicometra un sassolino dal-l'aspetto comune; essa dice che, stranamente, l'unica cosa che le viene in mente è "un elefante infuriato"; il "sassolino" infatti era un calcolo biliare di un elefante. Coloro che credono alla veridicità di questo tipo di fenomeni (che ormai dopo i lavori dell'Hettinger non possono più dare adito ad alcun dubbio) fino ad ora erano costretti a spiegarli suppo-nendo che gli oggetti in questione divenissero "impregnati" di "vibra-zioni" che in modo alquanto oscuro, per non dire magico, essi riusci-vano a mantenere e con le quali trasmettevano allo "psicometra" o sensitivo le vicissitudini attraverso cui l'oggetto stesso era passato; quindi in questo caso il sassolino sarebbe stato impregnato di vibrazioni la cui natura elefantina ed eventualmente calcolosa era stata riconosciuta dalla sensitiva.

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Tutto ciò è singolarmente poco convincente, ma è abbastanza facile capire ciò che avviene se consideriamo il sassolino come un oggetto "K". Possiamo presumere che esso sia fortemente associato nella mente dello sperimentatore (ammettendo che, come ci viene riferito, egli fosse a conoscenza della sua vera natura) con le immagini che costituiscono l'idea di un elefante afflitto da calcoli biliari (e che presumibilmente dava segni di irrequietezza). Quindi quando il sassolino viene presentato alla mente della persona sensitiva, tende a suscitare immagini che rappre-sentano un "elefante sofferente" come abbiamo già dimostrato; e così le vibrazioni e tutto il resto perdono ogni valore in quanto parti su-perflui della fantasia.

In relazione a questo, è interessante il punto seguente. Come ho menzionato prima, lo Hettinger trovò che, se un soggetto appartenente 104 Alcune applicazioni immediate della teoria

a un soggetto "A" viene consegnato a un "sensitivo" ed "A" legge un giornale mentre procede l'esperimento, il "sensitivo" riporta impres-sioni relative alle illustrazioni che "A" sta guardando. In questo caso non abbiamo bisogno di definire l'oggetto come oggetto "K", perché presumibilmente in queste circostanze l'"idea dell'esperimento" agirà altrettanto bene quanto nei miei esperimenti con il disegno. Ma il Dr. Hettinger provò che risultati si ottenevano con due persone, "A" e "B", che leggessero contemporaneamente un giornale illustrato, mentre al sensitivo veniva presentato un solo oggetto appartenente ad "A" affinchè lo "psicometrizzasse". Se l'oggetto in sé non interviene, ma agisce solo l'idea dell'esperimento, la persona dovrebbe riferire altrettante impressioni relative alle illustrazioni che guarda "A". In effetti essa riferì un numero maggiore e significativo di impressioni relative ad "A" che non a "B", il che corrisponde alle aspettative.

Sarebbe molto interessante elaborare, alla luce della teoria dell'as-sociazione, i vari aspetti della psicometria in relazione alla celebrata efficacia delle reliquie. Ritengo probabile che giungeremo alla conclusione che, in virtù delle loro funzioni di "K", esse possiedono alcune proprietà limitate che non sono spiegabili con la "suggestione" né d'altra parte debbono essere negate come "semplici superstizioni". Il chiarire queste loro proprietà e determinarne i limiti con sufficiente esattezza proba-bilmente sarebbe un mezzo più efficace, anche se a lunga scadenza, per eliminare i fatti di pura superstizione, che non il semplice tacciarli di ridicoli e ingiuriarli, oppure lasciarli, da noi ignorati, in balia delle stravaganze dei creduli ignoranti.

53. ha teoria dell'associazione e i casi spontanei; apparizioni "di crisi".

Devo ora dire qualche cosa riguardo ai casi spontanei; infatti una teoria che non li spiegasse in modo abbastanza soddisfacente non potrebbe non essere giustamente e gravemente sospetta.

A prima vista essi appaiono molto più difficili da trattare dei fatti sperimentali, ma ciò è dovuto solo al fatto che negli esperimenti noi deliberatamente semplifichiamo la situazione, mentre invece nella vita pratica si presentano ogni sorta di complicazioni che dobbiamo indivi-duare prima di poter osservare i fatti essenziali che si svolgono.

Esaminiamo un caso tipico in cui "A" e "B" sono due amici o conoscenti o forse anche hanno rapporti più stretti. "A" muore affo-gato e al momento, o in prossimità del momento, in cui questo fatto si verifica, "B", che non ne è a conoscenza per via normale, prova una sensazione che ha qualche rapporto o che fa pensare alla morte di "A", morte che successivamente viene constatata. Questa sensazione può variare dal semplice e vago sentimento che "A non sta bene" a una vera e propria "apparizione di crisi" comportante una allucinazione

Alcune applicazioni immediate della teoria 105

che rappresenta "A" con i tratti contorti e gli abiti grondanti (ma è più facile che ci vengano riferite le visioni più stupefacenti).

Prima di tutto incominciamo col fare una distinzione netta fra il fatto basilare e la forma in cui esso si manifesta. Il fatto, basilare è che "A", con mezzi paranormali, ha "saputo" o ha avuto coscienza di un avvenimento della vita di "A", cioè della sua morte. Ed è appunto questo che la nostra teoria (o qualsiasi altra teoria che si suggerisca)

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deve spiegare. La forma con cui "B" riveste, per così dire, questa conoscenza o coscienza è tutta un'altra questione, di cui tuttavia avrò qualche cosa da dire più avanti.

Ma il fatto di affogare, sebbene indubbiamente sia più importante, dal nostro punto di vista non differisce fondamentalmente dal fatto di guardare una carta o un originale. Cioè a dire, l'azione di guardare una carta o un originale provocherebbe l'apparizione di determinate im-magini nella mente di "A", apparizione che noi abbiamo chiamato "idea dell'originale"; analogamente l'apparizione di sensazioni di bagnato, di lotta, di soffocamento, ecc. e presumibilmente quelle immagini che costi-tuiscono nella mente di KA" l'idea di morte sono dovute all'atto di affogare; inoltre tutte queste immagini ecc. che costituiscono l"'idea di morte per affogamento" evidentemente saranno presenti nella mente di "A" insieme con le sensazioni fisiche e affini che (come avrò occasione di mettere in rilievo più avanti) per lo più rappresentano l'idea che uno ha di se stesso, e queste a loro volta presumibilmente saranno strettamente collegate con le idee che esso può avere sul suo aspetto esteriore.

Ora, se consideriamo che "A" sia lo sperimentatore, è chiaro che tutta questa massa di idee di "morte per affogamento" o anche di "la mia (cioè di "A") morte per affogamento" occupa esattamente lo stesso posto che in un esperimento con disegni è occupato dalla "idea dell'originale"; e se possiamo quindi capire come questa idea tenda a presentarsi nella mente di "B" se riusciamo a trovare un'idea "K" a cui collegarla.

Ho già accennato implicitamente a un'idea che potrebbe avere questa funzione e cioè l'idea che "A" ha di se stesso, alla quale l'idea di affogamento non può mancare di essere associata. Se per caso "B" penserà ad "A" al momento opportuno, questa idea soddisferà a tutti i requisiti di idea "K" e si avrà la tendenza dell'idea di "A che affoga" a presentarsi alla mente di "B". Se poi effettivamente questa idea si presenta alla mente di "B" è un'altra questione, che dipende da fattori locali e fra l'altro dal grado di influenza contraria esercitata dall'am-biente immediatamente vicino a "B" e così via; e ancora un'altra questio-ne è la forma che può assumere, dato che ne assuma una.

Una seconda idea "K" ci viene fornita dalla "idea di B". L'idea 106 Alcune applicazioni immediate della teoria

di se stesso non può mai essere molto lontana dalla propria mente, come è facile intuire anche con il semplice buonsenso; anzi, ritengo che alcuni elementi di essa probabilmente sono parte indispensabile di qualsiasi campo di coscienza, come spiegherò più avanti. Quindi, se "A" pensa a "B" nel momento in cui affoga, l 'idea che "B" ha di se stesso in linea generale potrà servire in modo perfettamente sod-disfacente da idea "K".

Abbiamo anche numerosissimi oggetti esterni ecc. che possono benissimo agire da "K". Ad esempio, se "A" pensa a casa sua e "B" è sua madre o sua moglie e in quel momento si trova a casa, ecco che abbiamo un "K" bell'e fatto senza bisogno di preoccuparci oltre. Anzi, esistono tanti "K" potenziali di un genere o dell'altro che c'è da stu-pirsi non tanto che tali fatti avvengano occasionalmente ma piuttosto (ammettendo che possano avvenire) che non avvengano più spesso. La risposta è che probabilmente nelle forme più tenui di vaghe sensa-zioni che "qualche cosa non va bene" essi si producono più spesso di quanto non ce ne rendiamo conto, ma non possono distinguersi dalle sensazioni non veridiche di ansietà ecc, comunemente provate da amici o parenti lontani. Ad esempio, una madre il cui figlio sia in guerra o anche semplicemente stia facendo un lungo viaggio in tempo di pace, molto probabilmente sarà turbata parecchie volte al giorno da vaghi timori e da pseudo-premonizioni di disgrazie; e se poi il destino vuole che una di queste fosse giustificata, non esiste mezzo per distinguerla dalle altre che non lo erano. Solo quando le circo-stanze cospirano a metterle in particolare rilievo o si concretizzano in una allucinazione esse possono essere identificate e registrate.

Credo che quanto ho esposto qui sopra dovrebbe far capire chia-ramente che la teoria della associazione è perfettamente in grado di

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spiegare almeno una vasta categoria di casi spontanei; tuttavia richie-derebbe molto tempo l'esaminarne ogni tipo e discutere se si possono trovare eccezioni; ritengo che possiamo senz'altro abbandonare la que-stione a questo punto e passare agli psicologi il compito di spiegare il meccanismo delle allucinazioni, esternalizzazioni, ecc.

54. Applicazione della Teoria ai fantasmi e agli spiriti: cenno pre-liminare.

Ma credo sarà abbastanza interessante dedicare alcuni pa-

ragrafi alle apparizioni in generale e ai fantasmi in particolare, in quanto essi ci offrono almeno due occasioni inattese per applicare la nostra teoria.

Chiunque si interessi di apparizioni o fantasmi dovrebbe leggere il recente saggio, di grandissimo valore scientifico, del Tyrrell, saggio che costituisce un'importante pietra miliare nello studio della nostra materia; inoltre un'ottima scelta di casi potrà trovarsi nel volumetto

Alcune applicazioni immediate della teoria 107

di W. H. Salter, mentre le fonti classiche sono il Myers, il Gurner e i "Proceedings" e il "Journal" della Society for Psychical Research.

Non mi propongo di entrare in particolari, poiché si potrebbe facilmente riempire un intero volume con questo argomento, ma vorrei mettere in evidenza uno o due punti.

Credo che il contributo più importante fornitoci dal Tyrrell sia non tanto la sua teoria, che non condivido affatto pur ammirando gli sforzi da lui compiuti, quanto il modo con cui dimostra che apparizioni e fan-tasmi sono entità con proprietà perfettamente definite, che egli specifica. Di queste la più interessante, dal punto di vista del profano, è la "pro-prietà negativa"

tanto per darle un nome

di non lasciar mai una traccia materiale o di non produrre alcun effetto fisico di qualsiasi genere. Si possono vedere, direttamente o riflesse, forme che appaiono solide; porte (anche se chiuse a chiave) sembrano aprirsi o chiudersi; si odono voci o suoni di passi; talvolta ci si sente toccare; ma non è stato mai registrato alcun caso, che abbia una parvenza di autenticità, in cui, dopo la comparsa di un'apparizione o di un fantasma, si sia riscontrato che qualche cosa non era precisamente nella stessa posizione in cui si trovava prima. La porta è ancora chiusa a chiave, sulla neve non appaiono im-pronte di passi, la macchina fotografica (con buona pace di Sir Arthur Conan Doyle) ha la pellicola intatta. Le cose viste, udite o toccate ecc. sono puramente allucinatone, il che non significa, come avrò occasione di affermare più avanti, che esse non siano "reali" ma solo che non sono materiali.

Dunque la frase fatta "non credo ai fantasmi ma ne ho paura" do-vrebbe essere trasformata in "credo ai fantasmi ma so che sono innocui: quindi non mi fanno paura".

Le apparizioni e i fantasmi appartengono a quel genere di fenomeni che i teosofi chiamerebbero "forme di pensiero". Il Tyrrell parla di un "modello d'idea"; quanto a me, li chiamerei "sistemi di psiconi" (spie-gherò fra breve che cosa intendo con questo). Credo che il Tyrrell ed io ci troveremmo d'accordo su questo punto ed anche sul fatto che, almeno in alcuni casi, non vi è ragione di supporre che siano un prodotto combinato delle menti delPoriginatore (solitamente la persona rappresen-tata) e del percipiente; ma non ci troveremmo d'accordo sul meccanismo con cui si formano e si esternalizzano o proiettano.

Il mio parere

in coscienza abbastanza incerto

è che le appa-rizioni son "esternalizzate"

cioè "viste" o "udite" come se situate al di fuori del percipiente, al pari di un comune oggetto

solo da coloro che sono capaci di ciò che si dice "immaginazione eidetica". È questo un genere di immaginazione abbastanza frequente nei bambini, ma raro negli adulti, e in cui l'immagine è descritta come se fosse letteralmente "vista" al di fuori del soggetto e, sotto diversi aspetti, come un "oggetto reale". 108 Alcune applicazioni immediate della teoria

Jaensch, che ha studiato diffusamente questa materia, dichiara che queste immagini possono avere tre dimensioni (cioè essere apparentemente so-lide) e che si conoscono casi di immagini di questo tipo esternalizzato auditive oltre che visive. In una nota quanto mai attraente, egli racconta come il Prof. Encinas di Santander avesse cercato a lungo di spiegarci

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un'ondata (circa nel 1929) di pretesi fatti miracolosi riscontrati in chiese spagnole. Secondo le testimonianze di centinaia di "persone aventi una cultura scientifica, quali ingegneri, medici ecc", figure di santi erano scese dai quadri che le raffiguravano, si erano messe a camminare per la chiesa ecc. Dopo che Jaensch gli ebbe dimostrato "le peculiarità del processo percettivo dei soggetti eidetici" il Prof. Encinas fu convinto che "tali peculiarità costituivano la spiegazione dei fenomeni verificatisi in Spagna".

A me sembra che sarebbe una deviazione volere insistere, a meno che non si sia costretti a farlo, nella ricerca del meccanismo di esterna-lizzazione delle apparizioni e dei fantasmi.

55. Localizzazione degli spiriti.

Sorge ora la questione di sapere perché gli spiriti "appaiono" in determinati luoghi. Questo ha dato da pensare a tutti coloro che hanno studiato questa materia, e sono state date al riguardo le spiegazioni più svariate. Alcuni avanzano l'ipotesi che le pareti della casa o altro divengano "impregnate di vibrazioni", come gli oggetti usati per gli esperimenti di psicometria di cui abbiamo parlato più sopra; altri che esista una specie di "etere psichico" nel quale si possono "imprimere" i "pensieri", e la cui impressione possa essere letta da persone sensitive adatte \

Ma non credo che sia necessaria alcuna di queste spiegazioni. Ac-cettata la teoria dell'associazione, basta supporre, cosa che appare quanto mai plausibile, che le case ecc. siano oggetti "K". Cioè a dire, l'idea della persona o dell'oggetto rappresentato dall'apparizione o dal fanta-sma viene associata, nella mente che la origina, con l'idea della casa ecc, e quando quest'ultima viene presentata alla mente di un'altra per-sona qualsiasi, questa idea (gruppo di immagini) tende ad apparirvi, proprio come l'idea dell'originale nel modo che oramai ci è familiare. Se poi effettivamente essa si farà sentire dipende dalle condizioni locali e dagli elementi distraenti; se si esternalizzerà in forma visibile o udibile o si limiterà a una vaga forma di "sensazione", dipende dalle capacità di visione eidetica della persona in questione.

È interessante notare che in questo caso non vi è nulla che con-ferisca privilegi speciali alle case; le idee possono associarsi tanto con persone quando con un mobile; abbiamo la graziosa storia, riferita da

1 Confrontare i "rapporti akashici" degli occultisti. Alcune applicazioni immediate della teoria 109

Bozzano, di una famiglia che abitava in una casa visitata dai fantasmi; questa famiglia si trasferì con tutte le sue masserizie in un'altra casa, ma il fantasma traslocò con loro!

Non desidero mettermi a discutere dei vari problemi tecnici che si presentano in relazione a questi fenomeni, fra l'altro sulla esatta natura e origine delle idee che ho supposto fossero associate con la casa ecc, o sulla misura di autonomia che si possa attribuire a queste "forme di pensiero" o "sistemi di psiconi"; ma avrò qualche cosa da dire a questo proposito più avanti. Il farlo ci porterebbe assai lontano da quello che è il tema di questo volume. Il mio obiettivo, nell'accennare a questa questione, è duplice, e cioè: primo, dimostare come la teoria dell'asso-ciazione ci permette di trattare in modo esatto il problema estremamente imbarazzante della localizzazione dei fantasmi; secondo, offrire un altro esempio di come i lati criticabili dei "fenomeni paranormali" cessino di esistere non appena incominciamo a capirli.

Riguardo al primo punto la storiella ci fornisce una piacevole appen-dice supplementare. Abbiamo il noto e divertente caso dei bambini di una casa che erano soliti vedere l'apparizione di un animale, ritenuto un cane, che correva in alcune stanze; ma, fatto abbastanza strano, questo animale aveva sempre le gambe sprofondate nell'impiantito di modo che si vedeva solo la parte superiore del corpo. Un'indagine rivelò che al-l'impiantito originario era stato sovrapposto un altro più elevato; quindi l'apparizione, per così dire, correva sul vecchio impiantito e non sul nuovo. Come osserva il Dott. Mace, questo è uno di "quei problemi che 10 psicologo non desidera che di passare a qualcun altro"; ma con la teoria dell'associazione la spiegazione si presenta abbastanza facile. Basta sup

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porre che l'originatore delle immagini in questione immaginò o vide 11 cane più in rapporto alle finestre o al soffitto che in relazione all'im piantito. Quindi, se in origine la stanza era alta tre metri e il cane 60 centimetri, la parte superiore del suo corpo era vista, pensata e imma ginata due metri e quaranta al di sotto del soffitto; questa quindi sarebbe la posizione occupata nello spazio dall'immagine afferrata dai percipienti. Dato che il nuovo impiantito fosse stato costruito trenta centimetri sopra al vecchio, presumibilmente nascondeva l'immagine telepatica del vecchio pavimento e la parte inferiore delle gambe dell'animale.

Riguardo al secondo punto, il concetto comune di un fantasma è quello di un mostro nocivo e terrificante di origine "soprannaturale", capacissimo di fare qualche brutto tiro a una persona, se riesce ad affer-rarla. Questo genere di cose, insieme con lo scricchiolare di scheletri, lo sbattere di catene, la decomposizione 1, è giustamente rivoltante tanto

1 È interessante notare, incidentalmente, che, da quanto mi risulta, non esiste un caso accertato in cui sia stata vista una apparizione o fantasma in un 110 Alcune applicazioni immediate della teoria

per la normale persona sensata quanto per lo scienziato. Cose simili, si pensa, non accadono o, ammesso che accadano, sono estremamente rare. Ma le apparizioni e i fantasmi, se concepiti quali sistemi di immagini trasmesse telepaticamente o proiettate eideticamente, risultano altrettanto innocue in teoria quanto lo sono in pratica le creature stesse.

56. Fattori emotivi nella telepatia.

Diciamo ora poche parole circa il fattore emotivo. Viene comunemente creduto che un'emozione intensa sia, per così dire, la forza di propulsione delle manifestazioni di questo genere, e a prima vista questa opinione sembra possa essere sostenuta. Le apparizioni del tipo "crisi", come ci suggerisce il loro stesso nome, sono solitamente ma non invariabilmente collegate ad un avve-nimento di carattere emotivo per una almeno delle persone coinvolte; nel caso particolare dei fantasmi, comunemente si ritiene che siano ani-mati da forti passioni quali la vendetta o la ricerca di un tesoro ecc. Personalmente non credo che l'emozione in quanto tale abbia nulla a che fare direttamente col processo. Naturalmente può agire indiretta-mente in diversi modi; ad esempio può far sì che l'originatore del fan-tasma pensi ripetutamente a un seguito di azioni o di avvenimenti colle-gati alla casa ecc, e quindi associ le idee molto più strettamente di quanto non farebbe altrimenti; oppure può far sì che alcuni tipi di fatti siano ricordati e riportati più spesso di altri; o infine può indurre il percipiente ad accettare un gruppo di idee che altrimenti non accetterebbe. Ma nei miei lavori non ho trovato assolutamente nulla, almeno per quanto posso giudicare dopo un accurato esame, che faccia pensare che i fattori emotivi agiscono come forza propulsiva nel modo che talvolta si crede.

Il Tyrrell, il quale crede che questi fattori siano potenti nei casi di apparizioni, mi suggerì un sistema per aumentare il numero di proba-bilità che il soggetto segnasse un "colpo" in un esperimento con disegni dando artificialmente all'origine un aspetto drammatico. Ad esempio, se si desidera servirsi di un'ascia come originale, si dovrebbe servirsi di una vera e propria ascia, preferibilmente macchiata di sangue, illuminata da una luce verde e spettrale e, mentre è in corso l'esperimento, leggere un resoconto immaginoso della esecuzione di Maria di Scozia.

Non credo che questo darebbe i risultati suggeriti; in effetti, basan-dosi sulla teoria dell'associazione, difficilmente potrebbe darli, perché non vedo come potrebbe servire ad associare in modo particolarmente intimo l'idea di ascia con quella dell'esperimento. Presumibilmente ser-virebbe ad associare l'idea di orrore con l'idea dell'esperimento; per cui si potrebbe aspettarci qualche menzione di simili sentimenti, nel caso

cimitero, dove, secondo la tradizione popolare, essi amano particolarmente appa-rire; ma naturalmente non posso pretendere di essere informato di tutto.

Alcune applicazioni immediate della teoria 111

in cui i soggetti avessero precedentemente ricevuto istruzioni di registrare le loro introspezioni.

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E questo conclude il mio resoconto sugli aspetti fondamentali della teoria associativa della telepatia e sui fatti di evidenza più immediata che la convalidano o, meglio, che presumibilmente sarebbero in conflitto con essa se fosse sbagliata. Mi occuperò ora di due o tre obiezioni più spe-cifiche che possono eventualmente essere avanzate contro di essa e poi passerò ad esaminare la struttura della mente come io la immagino per-ché meglio adatta alla mia teoria altri fatti ad essa pertinenti.

CAPITOLO Vili

EVENTUALI OBIEZIONI ALLA TEORIA DELL'ASSOCIAZIONE

57. Osservazioni preliminari.

Non ho l'intenzione di controbat-tere di nuovo le obiezioni di carattere generale mosse contro la telepatia ed i fenomeni "psi", che ho esaminate alla fine della prima parte di que-sto volume, ma solo quelle che probabilmente verranno avanzate contro la teoria associativa e di cui due sole sono serie.

In primo luogo probabilmente si obietterà che non ho fatto che parlare di "idee", "immagini" ecc. come se fossero cose "reali" con "proprietà reali", come se si trattasse di sostanze chimiche o di palle da golf; mentre invece "tutti sanno" che cose simili non sono affatto "reali", ma al più "roba come quella di cui sono fatti i sogni".

In secondo luogo, è certo che qualcuno si lamenterà perché non ho spiegato come l'idea passa dalla mente dello sperimentatore a quella del soggetto attraverso lo spazio che li divide e sosterrà che ciò è impossibile nonostante i "K" che chiamo in aiuto e doppiamente impossibile se l'idea è una cosa reale.

In terzo luogo, si può dire che, sebbene la teoria funzioni molto bene nei casi in cui lo sperimentatore conosce l'oggetto che il soggetto deve indovinare, essa non ci fornisce alcuno schiarimento su quelli in cui lo sperimentatore non lo conosce, cioè i casi di apparente chiaro-veggenza.

In quarto luogo, bisognerebbe sapere se, quando affermo (per espri-merci brevemente) che "O" è associato ad "E" dallo sperimentatore e che quindi "E" tende a suscitare "O" quando è presentato al soggetto, intendo dire che le immagini che si presentano alla mente del soggetto (siano esse parti costituenti di "E" o di "O") sono esattamente le stesse di quelle che hanno agito nella mente dello sperimentatore; e, in caso contrario, bisognerebbe sapere come funziona il meccanismo.

Infine, alcuni si opporranno basandosi unicamente su argomenta-zioni a carattere emotivo e personale, sostenendo che, se ciò che dico è vero, verrebbe distrutta qualsiasi possibilità di tenersi per sé i propri

Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione 113

pensieri (o così potrebbe sembrare) e ciascuno avrebbe libero accesso al contenuto della mente di tutti gli altri.

Innanzi tutto eliminiamo le ultime due obiezioni. Non credo che nessuno debba temere che, come conseguenza di

questo genere di studi, i segreti dei cuori saranno svelati e l'intimità dell'anima verrà violata. Evidentemente nella natura delle cose non esiste nulla del genere, altrimenti lo si sarebbe già riscontrato e l'esattezza o meno dell'una o dell'altra teoria non c'entrerebbe per nulla. Né posso immaginare un eventuale sviluppo della tecnica tale da rendere possibile un fatto simile. E se si obiettasse che, ammettendo che ciascuna singola mente è, per così dire, collegata in un subcosciente comune, io ammetto implicitamente che tutto ciò che solitamente consideriamo pensiero in-timo di ciascuna singola mente potenzialmente è accessibile a tutte le altre, risponderei: "Sì, credo che sia così; e credo anche che probabil-mente vi sono innumerevoli oggetti che agiscono quotidianamente da "K" fra una mente e l'altra. Ma si è protetti dal loro gran numero, per cui si eliminano a vicenda. Udire un migliaio di persone che parlano con-temporaneamente equivale esattamente a non udire nessuno: non è altro che un ronzio indistinguibile; di modo che, sebbene si possa benissimo essere bombardati da moltissime idee provenienti da ogni sorta di dire-zioni, esse si eliminano a vicenda".

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Non avrei ritenuto necessario menzionare tutto ciò se non avessi effettivamente incontrato una o due persone che sembravano preoccu-parsi di tale fatto.

Quanto alla domanda se ritengo che le idee che si presentano alla mente del soggetto ecc. siano "esattamente le medesime" di quelle che agiscono in quella dello sperimentatore, posso soltanto dire che non lo so, né mi importa molto di saperlo. Capisco che obiezioni di questo ge-nere possano essere avanzate, ma esse mi appaiono puramente verbali e credo che appartengano a quel genere di cose che possiamo tranquilla-mente lasciar trattare ai filosofi. Dopo tutto, esse oltre a renderci il ser-vizio prezioso di mostrare che ciò che l'uomo comune considera ragio-nevole in realtà non lo è, ce ne rendono uno anche migliore, cioè quello di dimostrare che ciò che l'uomo comune considera una evidente scioc-chezza in realtà è ragionevole.

Se questa risposta sarà giudicata alquanto insolente, devo confessare che non possono prendere sul serio questo genere di obiezioni. Può darsi che si possa dimostrare, con la dialettica pura, che la mia teoria implica l'idea che in tutto l'universo esiste un solo campione per ciascuna specie di immagine ecc, ma se fosse così, l'unico commento adatto sarebbe quello di dire "strano, e con ciò? ". Anche se si dimostrasse, il che sarebbe molto più serio, che la teoria porta ad attribuire alle idee, immagini ecc, proprietà contraddittorie, mi limiterei a far ricordare ai critici che 114 Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione

questo era vero anche della teoria dell'etere, che fu una di quelle che diede risultati più produttivi.

58. Realtà delle "idee".

Ma assai più interessante è la domanda se io abbia il diritto di parlare di un'idea come se fosse una "cosa reale". Permettetemi di dire subito che in questa questione sono irremovibile. Credo fermamente che un'idea sia una cosa reale, o almeno un insieme di cose reali, e credo sia della massima importanza considerarla tale. Ma non la considero una cosa "materiale", e dubito che sia "fisica", a meno che non si estenda notevolmente il significato originale della parola "fisico"; l'antipatia quasi istintiva che si prova per il concetto di un'idea ecc. "reale" deriva principalmente dalla confusione che si fa tra "reale" e "materiale".

Mi arrischio ad avanzare l'opinione che la parola "reale", ed il suo derivato "realtà", sono state la maledizione della filosofia da tempi im-memorabili e che sarebbe meglio radiarle completamente dal nostro lin-guaggio, se non per usarle con molta cautela quando si voglia dare enfasi e solamente nella parlata familiare. Sostengo che la parola "reale" non può mai significare e non ha mai significato altro che "conforme alla definizione".

Se, trovando una dozzina di oggetti ovali di color chiaro sulla tavola della colazione, esclamo: "Non credo che siano realmente uova" non esprimo l'opinione che esse siano un'invenzione della mia fantasia stimolata dal desiderio o un sogno nella mente di Belzebù; semplicemente sottintendo che mi pare poco probabile che, esaminandole più da vicino, troverei in loro le proprietà di quegli oggetti che, per comune consenso, sono chiamati uova, e cioè le proprietà di essere commestibili, di coa-gularsi alla cottura, di rompersi se lasciate cadere per terra, di originare pulcini in determinate condizioni ecc. Cioè a dire, faccio la congettura che, sebbene abbiano alcune proprietà, non hanno tutte quelle che defi-niscono il termine "uovo"; ma ciò nonostante sono delle perfette "imi-tazioni" di uova e possiedono tutte le proprietà con cui si definiscono almeno alcune categorie di "imitazioni di uova".

Analogamente il lago visto da una carovana nel deserto in un mi-raggio non è un "lago reale" perché non vi ci si può avvicinare e ancor meno entrar dentro e farvi il bagno; ma ciò che la carovana vede è un miraggio assolutamente "reale" perché è conforme alla definizione "mi-raggio".

Naturalmente il positivista impenitente è capacissimo di sostenere che ciò che egli intende per "reale" deve potersi mettere in bottiglia o almeno individuare mediante uno strumento fisico e che, se questo non si può fare, tanto vale ignorare tranquillamente la cosa. Talvolta, ma sempre meno, nei laboratorì si incontrano di questi tipi

che ricordano

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Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione 115

molto più gli automi che non gli essere umani evoluti e coscienti

ma più spesso essi si trovano nelle banche e in altri luoghi altrettanto sollazzevoli; questo fatto conferisce loro un'importanza sproporzionata, tanto che mi sembra opportuno prendere in esame più dettagliato questo loro atteggiamento. A parte gli scherzi, è una questione di importanza così vitale che non possiamo permetterci di trascurarla; e probabilmente il modo migliore per trattarla sarà quello di portar guerra in campo nemico e chieder loro per quali motivi essi suppongono che gli oggetti solidi, forniti della "realtà" di cui sono indiscutibilmente certi, hanno maggior diritto di essere considerati reali che non le idee e le immagini che essi scherniscono in quanto "inafferabili" e "diafane".

Non sarebbe molto difficile dimostrare che gli "oggetti solidi" anziché maggior diritto hanno minor diritto di essere considerati reali.

Non voglio annoiare il lettore passando in rassegna tutte le vec-chie argomentazioni filosofiche avanzate a proposito di questo argo-mento; non essendo un filosofo non potrei farlo. Ma vorrei pregarlo di prendere attentamente in esame, e senza preconcetti, la natura esatta della situazione che si prospetta nel procedimento di percezione di un ordinario oggetto materiale. Esaminiamo, principalmente dal punto di vista psicologico, il procedimento che si verifica quando facciamo l'espe-rimento comunemente detto "di vedere un uovo".

59. Un esperimento immaginario.

Per semplificare, immagi-niamo che mi prepari ad eseguire un esperimento. Vi conduco in una stanza buia, vi faccio sedere su una seggiola, accendo la luce e vi chiedo di dirmi che cosa vedete; la conversazione procederà press'a poco così:

Voi: Vedo una superficie verde scuro e su di essa un uovo. Io: Distingue nettamente l'uovo? Voi: Sì, molto nettamente. Io: Le dispiacerebbe dirmi che cos'è un uovo? Voi: Ebbene, un uovo è una cosa che si mangia, quando si riesce

a trovarne \ Io: Benissimo, ma lo stesso può dirsi del prosciutto. Desidererei

una definizione più precisa di un uovo. Voi: Va Bene. Un uovo è un oggetto di forma approssimativa-

mente ellittica, lungo circa 6 centimetri e di un diametro di 4 centi-metri al massimo. Il colore può variare da un bianco quasi assoluto a un marrone chiaro. La superficie è liscia ma non lucida. Ci viene dalla gallina. Se lo si lascia abbastanza a lungo con la gallina ne nasce

1 Le uova erano razionate e rarissime in Inghilterra all'epoca in cui fu scritto questo libro. (N. d. T.). 116 Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione

un pulcino. Se si lascia cadere per terra si rompe e ne esce fuori un liquido giallastro e viscido. Se lo si mette in acqua bollente, la parte trasparente e viscida si indurisce e diventa bianca opaca. Se lo si toglie alla gallina e non lo si fa cuocere, dopo qualche tempo, rompendolo, ne viene fuori una materia puzzolente ...

Io: Grazie; basta per ora. Mi dice dunque che può vedere tutto questo.

Voi: Non precisamente, ma .. . Io: Scusi se la interrompo; ma le chiesi che cosa vedeva e mi

ha risposto "un uovo". Poi le ho chiesto che cosa era un uovo e lei mi ha raccontato tutta questa storia di gallina, pulcino, liquido giallo e puzzo. Io non vedo né galline né pulcini né liquido giallo; ma se lei vede un uovo e un uovo è quanto ha detto, allora, ammesso che sia sincero, deve vedere tutto ciò.

Voi: Vuoi trattarmi da bugiardo? Le dico che vedo un uovo. Io: Le chiedo scusa. Ma c'è qualche cosa che non va. Lei mi

dice che vede un uovo; ed io riconosco che mi ha dato una definizione abbastanza buona di che cosa sia un uovo. Se ciò che lei vede non ha le proprietà da lei descritte, non può essere un uovo.

Voi: Sarà; comunque vedo il guscio di un uovo.

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Io: Ah! il guscio di un uovo. Un'ellissi calcarea di uno spessore di circa due millimetri, con una superficie liscia al tatto ma non lucida e che si schiaccia molto facilmente?

Voi: Press'a poco così. Io: Vede tutto questo? Voi: Naturalmente non posso vederne lo spessore e non l'ho

toccata, ma. . . Io: Faccia un'altro tentativo. Voglio sapere che cosa vede effet-

tivamente. Voi: Ebbene, se è questo che vuole, immagino che quello che

effettivamente vedo è uno sfondo verde scuro, e una macchia ovale biancastra su di esso; vedo che la macchia è più illuminata nella parte superiore che non in quella inferiore e che la luce è sfumata in un modo difficile da descrivere . . .

Io: Così va molto meglio. Ora, riguardo alla questione di vedere . .. è proprio certo che lo vede veramente?

Voi: Certo. Per che cosa mi prende? Posso credere ai miei occhi, mi pare?

Io: Ne dubito. Come fa a sapere se per caso non l'ho ipnotizzata nell'altra stanza suggerendole di "vedere", come lei dice, una macchia biancastra?

Voi: Non me ne ricordo. Io: Non potrebbe ricordarsene. Io le dico che l'unica cosa che

Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione 117

può dire con certezza è che "è cosciente di una macchia biancastra, con chiaroscuri particolari"; è d'accordo?

Voi: Suppongo che sia così, ma . . . Io: E allora perché tutte queste chiacchiere su "un uovo" che

vede: evidentemente non è affatto la stessa cosa. Non credo che fa-rebbe una bella figura sul banco dei testimoni.

Voi: Ma vada a farsi friggere!

60. Realtà delle idee (seguito).

Sebbene quanto ho raccontato qui sopra sia in forma più o meno scherzosa, contiene tuttavia un punto estremamente importante, essenziale per tutto il nostro modo di concepire la Mente e l'Universo, e deve essere preso molto sul serio.

Il punto è che l'unica cosa di cui possiamo avere conoscenza con certezza e senza riserva sono delle macchie colorate di forma, dimen-sione, lucentezza e luce diverse ecc, fornite delle corrispondenti par-ticolarità tattili ecc. Evidentemente vi è una enorme differenza fra fra questo e quanto diciamo di "vedere" o, se non dobbiamo rife-rirne, quanto "crediamo" di vedere.

Un modo diffuso di affrontare questa situazione è quello di dire che colmiamo il vuoto mediante "deduzioni" ed è facile addurre esempi che sembrano convalidare questa opinione. Ad esempio, abbiamo l'abitudine di vedere per il villaggio la signora Jones con in dosso un paletot verde e un cappello rosso e non vediamo nessun altro vestito in questo modo. Un giorno vediamo da lontano una figura che indossa abiti simili e ne concludiamo, e forse raccontiamo ad altri, che abbiamo "visto la signora Jones" in un dato luogo. Ma invece non l'abbiamo-vista. Abbiamo visto (o più precisamente abbiamo avuto coscienza di) due macchie colorate e ne abbiamo dedotto la presenza della signora Jones; la deduzione è ragionevole, sebbene non sia necessariamente corretta, poiché ciò che abbiamo visto avrebbe potuto essere una per-sona estranea vestita come la signora Jones.

Una discussione dettagliata sarebbe qui fuori luogo; tuttavia non ho affatto la sicurezza che questo genere di cose equivalga ad atti visivi, auditivi ecc. tanto da giustificare l'uso della parola "deduzione". "Deduzione" a me sembra più adatta a una situazione in cui coscien-temente e deliberatamente ci serviamo di ragionamenti logici, come quando deduciamo l'esistenza di Nettuno dall'osservazione di pertur-bamenti nell'orbita di Urano, o fatti simili. Come Ogden e Richards, preferisco la parola "interpretazione"; ma il termine di cui ci serviamo è una cosa secondaria, purché si abbia un'idea chiara di quanto accade.

Credo che vi siano pochi dubbi circa questo punto. Abbiamo

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tutti acquisito una notevole esperienza in fatto di uova nel corso 118 Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione

della nostra vita; cioè abbiamo osservato uova fresche e marce, crude e cotte, rotte o intere, ecc; inoltre abbiamo toccato uova e le abbiamo maneggiate, raccolte, aperte e lasciate cadere, mangiate e odorate. Cia-scuna di queste esperienze ci ha fornito un insieme di sensazioni visive, tattili, gustative ecc, senza tralasciare quelle provate dalle articolazioni e dai muscoli ecc. (chiamate sensazioni cinestetiche) derivanti dai movimenti fatti nel maneggiarle, sollevarle ecc. Tutte queste sensa-zioni si associano

o, se preferite, "le immagini ricordate" si asso-ciano

in un insieme che costituisce la nostra "idea di un uovo". Di conseguenza, in conformità con la legge fondamentale dell'as-

sociazione, quando diveniamo coscienti di una macchia ovale di deter-minato colore, dimensione, forma ecc. di un tipo che è stato stret-tamente associato con tutte o con la maggior parte delle altre mac-chie dello stesso genere, queste, come si suoi dire, tendono a venirci in mente. In particolare, quelle immagini visive, auditive e cinestetiche che costituiscono la nostra idea della parola "uovo" vengono rapida-mente avanti tanto da indurci a riferire che l'esperimento è stato quello di "vedere un uovo".

Ma se l'affermazione "vedo un uovo" venisse data per esteso, potremmo osservare che essa contiene una forte dose di anticipazione e che dovrebbe corrispondere, per esempio, a qualche cosa di simile: "sono cosciente di una macchia ovale ecc. e immagino che la serie di sensazioni cinestetiche, comunemente definite le esperienze provate nell'allungare il braccio, chiudere la mano e sollevarla, sarebbe seguita da alcune sensazioni tattili, comunemente definite le sensazioni pro-vate toccando un determinato genere di superficie, e poi da altre sen-sazioni di origine muscolare, comunemente definite sensazioni di peso circa tanto". E certamente noi prevediamo tutto ciò, almeno in alcuni casi, predisponendo i nostri muscoli a sollevare un peso; se l'uovo si trova ad essere molto più leggero o più pesante di quanto ci aspet-tavamo ne rimaniamo sorpresi.

Ma non è necessario qui esaminare più a fondo questo genere di cose. Ritengo sia abbastanza chiaro che, in qualsiasi circostanza percettiva, necessariamente interpretiamo ciò che ci viene effettiva-mente, per così dire, "dato" (cioè la macchia ovale) e possiamo farlo solo in virtù di immagini ecc. collegate associativamente a quelle (o altre molto simili) che ci sono state date da esperienze antecedenti.

A varie riprese sono stati proposti diversi nomi per le macchie colorate e le corrispondenti sensazioni auditive, tattili ecc. Alcuni par-lano di dati dei sensi; Bertrand Russell li chiama sia così sia percetti, espressione che a me sembra dia adito a una certa confusione; perso-nalmente preferisco adottare la terminologia del Broad e chiamarli sema (singolare sensum) e propongo di chiamarli così d'ora innanzi.

Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione 119

Per uno studio più completo v. il libro del Prof. Broad, The Mind and its Piace in Nature \

Ma la cosa essenziale è che, comunque si chiamino, solo essi sono immediatamente presenti alla mente2 e da essa afferrati in qualsiasi circostanza visiva, auditiva, tattile ecc, e solo attraverso essi, come si dice nel parlare comune, siamo a conoscenza del mondo fisico (o di qualsiasi altro mondo).

Quindi a me sembra che basti un po' di buonsenso per rendersi conto, senza doverlo dimostrare, che non è concepibile una cosa a cui si possa attribuire una maggiore misura di "realtà" o un maggiore diritto ad essa di quanto ne possiamo concedere ai "sensa", i quali ci permettono appunto di venire a conoscenza di essa e che sono le sole cose che conosciamo. Altrimenti tanto varrebbe affermare la realtà dell'Australia, negando quella degli Australiani, che soli possono dirci della sua esistenza e come è fatta.

Naturalmente possiamo interpretare male i "sensa", come quan-do una protratta libagione di whisky ci induce a "vedere" dei topi rosa. Per abitudine noi diciamo che quei topi non sono "reali", il

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che significa solo che i gesti fondati sull'esperienza visiva, interpretati secondo il metro usuale, non sono seguiti dalle conseguenze usuali3, ma i sensa che ci hanno fatto vedere i topi rosa sono altrettanto reali quanto gli altri.

A questo punto suppongo si possa obiettare che, sebbene abbia difeso bene la causa della realtà dei sensa, questo non impedisce che le immagini appartengono a una categoria assai diversa. Si può soste-nere che i sensa sono comunque prodotti da qualche cosa che sta al di fuori del corpo umano, o almeno al di fuori del cervello, ma che le immagini invece sono "puramente mentali". Non credo che questa affermazione possa essere sostenuta neanche per un momento. In primo luogo ho appena fatto notare che possiamo interpretare i sensa

1 La mente e il suo posto nella natura. Astrolabio, Roma. 2 Faccio uso in via provvisoria di queste parole "presentato alla mente e

appreso dalla mente". Non condivido l'opinione che esista qualche cosa che possa chiamarsi la "mente", separata dai sensa e dalle immagini che "apprende", e che possa esistere indipendentemente da esse. Come spiegherò più avanti credo che la mente consista in sensa ed immagini e niente altro.

3 Non posso resistere alla tentazione di ripetere qui la storiella del Viaggia tore curioso, su cui tutti coloro che parlano a vanvera di "realtà" farebbero bene a meditare. Il Viaggiatore curioso: "Scusi, le dispiacerebbe dirmi che cosa ha in quel cestino?". Secondo viaggiatore: "Con piacere. Nel cestino ho una mangusta". Viaggiatore curioso: "Una mangusta! E posso chiederle perché si porta dietro una mangusta?". "Perché vado a trovare un amico che ha parecchie seccature con i serpenti, serpenti rossi, capisce". "Ma quelli non sono veri serpenti!". "No, infatti; ma neanche la mangusta è vera". 120 Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione

solo con l'aiuto di immagini associate e rivedute; se non avessimo un'esperienza precedente in fatto di uova, non saremmo capaci di inter-pretare la macchia ovale che per noi continuerebbe a essere una mac-chia ovale e niente altro; e ancora, sarebbe imprudente, per espri-merci con moderazione, attribuire a oggetti materiali una misura di realtà superiore a quella delle immagini indispensabili per riconoscerli. La nostra conoscenza di ciò che generalmente definiamo, con legge-rezza, "oggetti fisici", è anzi costituita da un insieme complicato di sensa e di immagini; e vi sono buoni motivi per pensare che sia costi-tuita da queste e niente altro. Abbiamo la certezza che un dato gruppo di sensa rappresenta, per così dire, un uovo materiale, perché (ma solo perché) quando eseguiamo alcune prove su di esso (dato che ci si dia la pena di farlo) riscontriamo una determinata serie di sensa. Per esempio, se lo lasciamo cadere (serie di sensa cinestetici, tattili ecc.) si rompe (serie di sensa auditivi e visivi); se invece rimbalzasse (serie diversa di sensa auditivi e visivi) diremmo che, sì, è materiale, ma che è una imitazione in gomma e non un "uovo". O se, nell'allun-gare la mano per toccarlo (di nuovo una serie di sensa cinestetici ecc.) non registrassimo alcuna sensazione tattile o di resistenza (di nuovo una serie di sensa) diremmo che il sensum visivo iniziale (la macchia ovale) non corrisponde a un uovo materiale, ma a un'allucinazione, perché a essa non hanno fatto seguito le varie caratteristiche delle uova materiali.

Ma questo ci porta un po' troppo lontano. Confido che quanto ho detto sopra avrà almeno convinto il lettore che gli attacchi alla mia teoria basati sulla asserzione che le "idee" sono "irreali" hanno poche probabilità di dimostrarsi vantaggiosi. Non è affatto necessario che tutti quanti siano completamente d'accordo con quanto ho detto; purché non possa dimostrare che mi autocontraddico o che mi allon-tano dai fatti

e credo che con tutta certezza non si possa dirlo

quanto ho esposto nei confronti dei punti precedenti è ammissibile in relazione alla teoria; e questo è quanto basta.

61. Apparente "trasmissione" di idee.

Ora passiamo alla que-stione di come le idee passano da una mente all'altra.

In linea generale la risposta è semplice, sebbene non sia molto facile spiegarla in modo convincente. Il punto sostanziale è che parole come "trasmettere", "trasferire" e "da" o "a" non hanno significato (cioè a dire non vi è nulla a cui si possano riferire), se non in un senso spaziale. Ad esempio, dire che qualcuno "<? passato da uno

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stato di ira a uno stato di timore" è fare un uso delle proposizioni "da" ed "a" in un senso puramente metaforico

dato che lo sia

e non equivale affatto a dire "egli è passato dallo stato di Vermont

Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione 121

a quello di Massachusetts". Non dobbiamo, se non metaforicamente e consapevolmente, servirci del linguaggio spaziale nel discutere di avve-nimenti e situazioni non spaziali; sappiamo benissimo naturalmente che nella transizione dall'ira alla paura non vi è nulla di spaziale; ma sappiamo noi di una ragione che ci permetta di supporre che vi è qualche cosa di spaziale nella supposta comparsa di un'idea prima in una mente e poi nell'altra (o anche simultaneamente in due menti)? Io credo di no.

A prima vista una ragione c'è, perché tutti ammetteremo che la mente di "A" ha uno speciale rapporto con il cervello di "A", e la mente di "B" con il cervello di "B"; ed anche che i due cervelli sono situati in posizioni diverse nello spazio. Ma questo non equivale a dire che le due menti sono state in posizioni diverse nello spazio. Una simile enunciazione avrebbe senso solo col presupposto che le menti o le idee che le compongono siano delle entità cui si può appli-care il concetto spaziale.

Ma credo che non si possa dubitare che lo spazio

che per cautela definirò "spazio fisico"

è un concetto che si applica solo alle entità materiali nel senso che lo spazio senza la materia che lo occupi non ha significato, come non lo ha la materia senza lo spazio da occupare; cioè non può esistere.

La concezione tradizionale dello spazio era quella di una specie di "grande scatola senza lati, piena di vuoto" nella quale

almeno ipoteticamente

la materia poteva essere introdotta o meno a vo-lontà; e si riteneva che, teoricamente, non era difficile immaginare uno spazio "veramente" vuoto, privo di qualsiasi materia. È vero che si era sempre opposta una certa resistenza al concetto della "azione a distanza" che Newton, ad esempio, aveva accettato per la sua teoria della gravitazione e che fu anche accettata dai primi studiosi dei feno-meni elettromagnetici. Vennero poi Faraday, Maxwell ed altri che incominciarono a studiare cosa accadeva nello spazio, apparentemente vuoto, fra corpi carichi di elettricità o conduttori di elettricità ecc. Parlarono di fili e di tubi di forza e di onde in un ambiente quasi materiale (l'etere) inventato appositamente, di modo che lo spazio vuoto presto fu riempito, per non dire congestionato, da ogni sorta di stimolazioni eteriche. Quindi si trovò che l'etere non era necessario, anzi che era una specie di incubo, e a poco a poco esso scomparve rimanendo solo (suppongo) come mezzo utile per insegnare i principi elementari della fisica. Le proprietà che si supponeva appartenessero all'etere, infatti, vennero trasferite allo spazio; ma poi fu fatto ancora un passo avanti, e non credo d'interpretare male le opinioni moderne dicendo che lo stesso spazio è ora scomparso

almeno in quanto entità ultima esistente in sé

e si ritiene piuttosto che esso sia quel 122 Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione

sistema di tensione e di forze che agiscono fra i componenti materiali che solitamente si dice si trovano in esso. Chiunque dubiti che Spazio e Materia

o ad ogni modo Massa, senza di che la materia non esiste

siano inestricabilmente confusi e interdipendenti, dovrebbe rileggere (quasi tutti l'avranno letto almeno una volta) la Natura del mondo fisico di Eddington, dopo di che non può rimanere alcun dubbio che il concetto di spazio e i rapporti di distanza, quali intesi generalmente, sono privi di significato se si applicano ad entità non materiali.

Una citazione di Eddington, credo, potrà ribadire bene il con-cetto. Sotto al titolo di "Spazio non vuoto" egli scrive: "II concetto di inquadrature di spazio, e di tempo e di non vuoto del mondo definito energia, momento ecc. è legato alla misurazione mediante strumenti (orologi, bilance ecc). Quando questi concetti non possono più essere dimostrati con queste misurazioni, svaniscono e perdono significato. In particolare, non si può concepire la misurazione mediante questi

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strumenti dell'interno di un atomo. Non possiamo mettere un orologio o una bilancia nell'interno di un atomo. Non s'insisterà mai troppo nel dire che i termini: distanza, periodo di tempo, energia della massa, momento ecc. non possono essere usati per descrivere un atomo nello stesso senso con cui li usiamo per gli esperimenti più rozzi. Lo scien-ziato che si occupa dell'atomo nell'usare questi termini deve dar loro un significato speciale e deve spiegare di quali strumenti si serva quando immagina di misurarli".

Analogamente, propongo che non si insisterà mai abbastanza a dire che i termini distanza, periodo di tempo ecc, non possono essere usati per descrivere una mente o delle menti nello stesso senso con cui li usiamo per le nostre esperienze più grossolane. Le idee non sono entità materiali; considerazioni di spazio non possono essere applicate in questo caso; ed i problemi posti in termini di spazio, sono problemi falsi che non richiedono risposta.

Quando diciamo che l'idea "X" è nella mente "M", non abbiamo il diritto di intendere altro se non il fatto, verificabile sperimental-mente, che in determinate condizioni l'idea "X" costituirà parte del campo di coscienza di "M" (o che si manifesterà in esso con mezzi indiretti). Quindi, se diciamo che l'idea di Avignone è nella mia mente, non abbiamo il diritto di intendere niente altro se non che, pronun-ciando la parola Avignone in mia presenza, normalmente mi si pre-senterà alla mente un certo gruppo di immagini che costituiscono la mia idea di Avignone; non diciamo, e nessuno ha il diritto di soste-nere che stiamo dicendo, che queste immagini hanno un qualsiasi rap-porto spaziale con qualsiasi altra cosa. Ci riferiamo a un determinato rapporto definibile, ma non a un rapporto spaziale, e, se non fosse

Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione 123

noioso e alquanto allarmante per il lettore, sarebbe preferibile dire semplicemente "A è Q per C" in cui "A" corrisponde a "quel gruppo di immagini. . . di Avignone", "C" corrisponde a "la mente di Whately Carington", e "Q" allo speciale rapporto testé descritto.

Analogamente, quanto parliamo della "mente di Smith" non fac-ciamo, o non dovremmo fare, nessuna enunciazione circa la sua loca-lizzazione nello spazio; in particolare, non affermiamo, o non dovrem-mo affermare, che quel complesso di immagini che costituiscono la mente di Smith possono avere un rapporto spaziale con il corpo di Smith, quale essere "dentro" di esso, e neanche con il cervello di Smith; ma affermiamo soltanto che vi è un sistema di idee "B", di cui ciascuna sua parte ha un certo rapporto speciale, "R", con il corpo di Smith, "S", cioè che con metodi appropriati questo sistema può essere associato con i sensa suscitati dallo stimolo dei ricettori sensori di quel corpo o ad esso corrispondenti. E ancora potremmo dire più semplicemente che "B è R per S".

Ciò non vuoi dire, naturalmente, che i sensi e le immagini non possono possedere qualità spaziali o entrare in rapporti spaziali loro propri, o almeno quasi spaziali. Nessuno può dubitare che l'immagine dell'oggetto può essere ampliata e mostrare parti distinte che si tro-vano alla destra o alla sinistra o sopra o sotto ad altre parti. In effetti, non vedo quale obiezione si possa apporre alla affermazione che esiste una specie di spazio psichico adatto alle entità psichiche. Ma, se così è, esso dovrà essere dedotto dalle osservazioni fatte su entità psichiche, oppure le sue proprietà geometriche dovranno essere scelte tali da uniformarsi a queste osservazioni, e lo spazio, le cui proprietà geome-triche sono adattate alle entità fisiche, non potrà essere applicato.

62. Mondo fisico e mondo psichico.

Per riassumere tutta la questione riguardo a queste due obiezioni, che sono strettamente con-nesse fra di loro: quando la serie di sensa o di immagini che costi-tuisce la nostra conoscenza ed esperienza del mondo si uniforma a determinati schemi, possiamo dire giustamente che ci troviamo di fronte a oggetti fisici che seguono le leggi della fisica, comprese quelle della configurazione spaziale ecc. Quando la serie non si uniforma a questi schemi, non ci è permesso dire che ci troviamo di fronte al nulla, in quanto sarebbe una contraddizione in termini. Noi ci troviamo invece di fronte a "oggetti" o entità non fisiche, in particolare mentali o

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psichiche, se seguono le leggi mentali o psichiche. È vero che attual-mente sappiamo ben poco di queste leggi; ma questa non è una ragione per mettere in dubbio la realtà delle entità che ad esse si uniformano. Non diciamo che gli Eschimesi sono "irreali", e quindi non suscet-tibili di studi, perché le loro leggi e i loro costumi sono diversi dai 124 Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione

nostri; ci mettiamo invece ad osservare il loro comportamento e a dedurre i principi informatori che determinano il loro particolare com-portamento.

E per portare l'analogia un piccolo passo avanti, pur non pre-tendendo alcuna esattezza: gli Eschimesi e noi siamo eguali in quanto siamo tutti esseri umani, capaci di entrare in rapporti di vario genere con altri esseri umani. Se questi rapporti sono organizzati in un deter-minato modo, abbiamo una società eschimese con il suo proprio codice di leggi e di costumi; se li organizziamo in un altro modo, abbiamo un altro genere di società con un diverso codice di leggi e costumi; ma ognuno di essi è "reale" quanto l'altro.

Prendiamo ora in considerazione le opinioni di Eddington, che sembra siano condivise a questo riguardo da Bertrand Russell. Inco-minciando da non meglio definiti "rapporti", "relata" e "una specie di rapporto di somiglianza fra alcuni dei rapporti", egli spiega come è possibile, ordinandoli su una base quadruplice, sviluppare una gran parte delle leggi della fisica. Ma se questo enunciato è corretto,

come sembra non vi sia quasi dubbio che lo sia in linea generale

se, cioè, è possibile ottenere qualche cosa da una materia prima tanto gene-rale e "priva di proprietà", allora a me sembra chiaro che, maneg-giandola diversamente, si possa ottenerne qualsiasi altra cosa. Infatti, nei termini "rapporti", "relata" ecc, non vi è assolutamente nulla che vi dica, prima di iniziare, che andrete a finire alle leggi della fisica piuttosto che alle leggi della psicologia, precisamente come il postulato "prendiamo in esame gli esseri umani" non vi dice che andremo a finire in una società e in un insieme di costumi di tipo eschimese o inglese. Tutto dipende da come viene trattata la materia prima.

A me sembra che il concetto sostenuto dal Russell, come io lo intendo, sia giusto nel senso che i costituenti ultimi dell'universo non sono né mentali né fisici, ma "neutri", e che la differenza fra oggetti ed eventi mentali e fisici

cioè fra "mente" e "materia"

è puramente una questione di leggi causali cui esse vi uniformano: cioè a dire, della diversità fra i modi in cui questi costituenti ultimi sono organizzati.

63. Nota sulla chiaroveggenza.

Siamo andati a finire piuttosto lontano dal fine immediato propostoci in questo capitolo del libro, che era quello di prendere in esame le obiezioni principali che potevano essere avanzate contro la teoria associativa della telepatia ecc.

Una delle obiezioni in un certo senso più serie è quella che una teoria non ci spiega quanto avviene nei casi in cui un soggetto segna un numero significativo di punti superiore al previsto con materiale ignorato al momento stesso in cui esso segna i punti, per esempio,

Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione 125

con un mazzo di carte mescolate e coperte prima che alcuno abbia visto l'ordine in cui sono disposte. Se, come abbiamo supposto, lo sperimentatore non conosce l'ordine delle carte, egli non può assolu-tamente associare nessuna carta con l'idea dell'esperimento e quindi non vi sarà nulla di extra che tenda a farla venire nella mente del sog-getto. Eppure le prove di questo tipo di apparente chiaroveggenza sono altrettanto convincenti quanto quelle in cui lo sperimentatore è a conoscenza delle carte.

Dai fatti nudi e crudi come li abbiamo esposti, sembrerebbe che vi sia una specie di intuizione diretta delle carte da parte del soggetto che non implica la mediazione di un'altra mente. Questo sarebbe eccessivamente difficile da spiegare in modo plausibile (almeno così a me pare e non sono a conoscenza di alcun tentativo di spiegazione degno di essere preso in considerazione; ma allora, se non possiamo trovare altro modo di spiegarlo, saremmo costretti ad accettare que-

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sto fenomeno come un semplice e crudo fatto. D'altra parte, il fenomeno dalla precognizione sembra ormai ac-

certato quanto ogni altro fenomeno, particolarmente grazie al lavoro del Soal di cui abbiamo parlato a pag. 61 e seg. Se lo ammettiamo (come sono certo che dobbiamo ammetterlo), la situazione si presenta notevolmente più facile. Quando il soggetto pensa, ad esempio, la terza carta incominciando dall'alto, è vero che lo sperimentatore non sa quale sia e non può quindi "telepatizzarla", ma esso (o qualcuno più o meno intimamente collegato con l'esperimento) deve per forza conoscerla al momento in cui registra il pensiero, altrimenti non po-trebbe dire se il pensiero del soggetto era giusto o sbagliato. Questa situazione è sostanzialmente eguale a quella in cui ci si trova quando il soggetto pensa correttamente la carta che lo sperimentatore sta per scoprire invece di quella che ha appena scoperta, come avviene negli esperimenti del Soal; se deve esserci precognizione, possiamo invocarla tanto in un caso quanto nell'altro.

Naturalmente, in alcuni casi speciali si presentano delle compli-cazioni secondarie, la cui importanza, tuttavia, non è tale da doverle prendere in considerazione se le confrontiamo con il vantaggio di avere un solo elemento inspiegabile, ossia la precognizione, invece di due, precognizione e chiaroveggenza. Allo stadio attuale sono con-vinto che non vi sia nessuna situazione di apparente chiaroveggenza che non possa essere spiegata con una giudiziosa combinazione di pre-cognizione e telepatia.

Per ottenere delle prove convincenti di chiaroveggenza sarebbe necessario dimostrare che un soggetto ha segnato un numero molto significativo di punti con un oggetto la cui natura non solo non è nota a nessuno al momento in cui il soggetto pensa, ma che non sarà 126 Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione

mai nota a nessuno. Si potrebbe ottenere questo apportando una lieve modifica all'apparecchio di Tyrrell (vedi pag. 46 e seg.), ma la prova che mi accingo a dare è più semplice ai fini illustrativi anche se alquanto grossolana per essere messa in pratica. Supponiamo di dare al soggetto un sacchetto contenente mille dadi di diversi colori, rossi, verdi, azzurri, gialli e bianchi, in proporzione eguale, e di metterlo in una stanza buia con cinque scatole davanti a lui corrispondenti, da sinistra a destra, ai cinque colori. Evidentemente avremo preso le necessarie misure per essere certi che la stanza è veramente buia e che il soggetto non ha introdotto di nascosto una lampadina elettrica ecc; gli chiediamo quindi di distribuire i dadi nelle diverse scatole secondo i colori. Quando il soggetto ha terminato, scuotiamo bene ogni scatola per maggiore precauzione, accendiamo la luce e contiamo quanti ne ha messi nel posto giusto. Se egli sarà stato diretto soltanto dal caso, dovremmo prevedere che ne avrà messi circa quaranta di ciascun colore nella scatola corrispondente; se il numero di dadi messi nelle scatole giuste supera in modo significativo il previsto, sarebbe difficile non giungere alla conclusione che ciò è dovuto a qualche cosa della natura della chiaroveggenza piuttosto che a una combinazione di telepatia e precognizione. Nessuno saprà mai il colore del dado di ciascun particolare pensiero del soggetto quindi non vi sarà mai nulla in nessuna mente passata, presente o futuro, che possa avergli dato un'informazione che abbia potuto influenzare la sua distribuzione '.

Non mi risulta che sia mai stato fatto nessun esperimento serio in questo senso. Se mi accadrà di trovare che ne è stato fatto uno, allora dovrò ammettere che esiste veramente la chiaroveggenza, cosa per cui, lo confesso, provo una certa ripugnanza. Il Rhine ha raccolto alcuni dati, di un tipo alquanto diverso, che certamente inducono alla stessa conclusione, ma spero ancora di riuscire a trovare un modo per dimostrare che queste conclusioni sono dovute ad altre cause; credo che neppure lo stesso Rhine sosterrebbe che questi dati costituiscono una prova tanto convincente quanto quella relativa ai tipi di ESP o "conoscenza paranormale", in cui lo sperimentatore conosce o cono-scerà la natura del materiale che deve essere pensato, e che quindi possono essere compresi fra i fenomeni spiegabili con la telepatia con un pizzico di precognizione.

Di conseguenza, non mi sento ancora chiamato a fare il gran

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passo; ma naturalmente dovremo farlo se sarà il caso. Sono, tuttavia, quasi certo che, se mai dovremo farlo, non troveremo la spiegazione

1 In pratica sarebbe necessario apprestare un semplice congegno che gli permetta di tirar su e distribuire i dadi senza toccarli e che garantisca che egli se ne serva; altrimenti si potrebbe sostenere che egli distingue i colori al tatto.

Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione 127

invocando un procedimento quasi sensoriale, ma piuttosto scavando ancora più profondamente alle radici metafisiche di tutta la materia.

64. Nota sulla precognizione.

Riguardo alla stessa precognizione, sono molto tentato di mettermi al sicuro affermando semplicemente che è un fatto inspiegabile e basta; tanto più che non posso quasi dire di avere opinioni in materia. Inoltre, dato il nostro attuale stato di ignoranza, si può essere quasi certi che qualunque cosa si dica è una sciocchezza; perché dovremmo offrirci come bersaglio alle critiche? Ma d'altra parte il problema è tanto attuale che vale la pena di avanzare qualche ipotesi che non comporti una contraddizione in ter-mini, non foss'altro per metterne in evidenza i difetti e così toglierla di mezzo.

Inoltre i professori Broad e Price, da buoni filosofi quali sono, hanno ritenuto che valesse la pena esaminare la questione; e perché dovrei aver paura di ricalcare le orme di questi luminari?

In un discorso cauto ad una riunione della Aristotelian Society e della Mini Association, il prof. Broad, accostando questi fenomeni a quelli della memoria, avanzò l'ingegnosa ipotesi che la precognizione potesse spiegarsi supponendo che vi sono due dimensioni di tempo, come potrebbe essere una dimensione Nord-sud e una Est-ovest, e dimo-strò che, se così è, un avvenimento può essere "passato" rispetto a una dimensione mentre è ancora "futuro" rispetto all'altra. Se la mente del "presciente" (o parte di essa) opera nella prima dimensione, mentre gli avvenimenti terreni si verificano nella seconda, possiamo concepire l'esistenza dei fenomeni di precognizione senza dover affrontare la difficoltà di spiegare l'influenza causale esercitata da un avvenimento non ancora verificatosi.

D'altra parte, questa ipotesi introduce difficoltà sue proprie, come fa osservare il Price e come il Broad è pronto ad ammettere. Dobbiamo supporre che, se Brown ha la preconoscenza della morte di Jones in seguito al crollo di un ponte, allora, secondo la dimensione di tempo in cui opera la mente di Brown, al momento della premonizione il ponte è già crollato e Jones è già morto; ma è difficile concepire come una dimensione possa avere, per così dire, la precedenza su un'altra per quanto si riferisce ad avvenimenti fisici. Ciò non di meno, non sarei affatto sorpreso di vedere un concetto simile, in forma legger-mente diversa, entrare a far parte del quadro definitivo delle nostre conoscenze.

Quanto a me sono disposto a convenire con il prof. Price che la precognizione è più vicina o più strettamente collegata ai fenomeni della telepatia che non a quelli della memoria. In una certa misura questo è dimostrato dai fatti sperimentali. Il modo con cui la proba- 128 Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione

bilità che i miei soggetti segnino un "colpo" su un originale aumenta gradatamente prima del momento della esposizione è così analogo, in senso lato, al modo con cui diminuisce dopo l'esposizione, che è dif-ficile non pensare che i due fatti siano dovuti allo stesso tipo di causa. Ma anche se questo è esatto, non ci aiuta a spiegare la preco-gnizione se non in quanto ci suggerisce che dovremmo concentrare la nostra attenzione sui derivati psichici degli avvenimenti fisici piut-tosto che sugli avvenimenti fisici stessi.

Le uniche deboli parvenze di contributi positivi che posso offrire

e li offro solo mettendo bene in chiaro che sono molto probabil-mente delle sciocchezze

sono le seguenti: 1. È possibile che le idee, immagini ecc, essendo entità

mentali

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e non fisiche, non siano soggette alle stesse limitazioni mentali cui sono soggetti gli avvenimenti fisici? In particolare, è possibile che esse siano, per modo di dire, localizzate imperfettamente nel tempo? Se così è, allora una mia immagine presente di un avvenimento acca duto solo un momento fa può estendersi, in un certo senso, nel pas sato e può quindi influenzare un vostro stato mentale passato o for nirgli degli ingredienti. Quindi un vostro stato mentale sarebbe influen zato indirettamente, nel momento in cui si è verificato, da un avve nimento che, in quel momento, era futuro e non esistente.

Non posso dire di apprezzare molto questa ipotesi. Ma, di fronte a fatti tanto schiaccianti, si sente la necessità di dire qualche cosa; e mi sembra un tantino meno assurdo pensare che il mio stato mentale di oggi influenzi il vostro stato mentale di ieri

poiché entrambi sono certamente esistiti e entrambi sono mentali

piuttosto che supporre che il vostro stato mentale di ieri sia stato influenzato direttamente da un avvenimento fisico che non esisteva affatto.

2. Principalmente per coloro che hanno la fortuna di poter far voli di fantasia speculativa fini a se stessi, e a cui piacciono le cose "fuori serie" (piacere che io non condivido).

Bertrand Russell sostiene, almeno secondo la mia interpretazione, che i sensa (alias i dati sensori o percetti) sono effettivamente "parti" o costituenti dell'oggetto percepito e probabilmente su questo punto conviene dargli ragione. Se così è, è egli possibile che le immagini della memoria siano anche parti degli avvenimenti passati che diedero loro origine, ma parti, per così dire, "disgregate"? Si può immaginare che, chiamando "X" un avvenimento qualsiasi, si possa parlare di "X visivo", "X tattile", "X termico" ecc, e rispettivamente della "classe di tutti gli aspetti (sensa e immagini) visivi comunemente rite-nuti appartenenti a X", "la classe di tutti gli aspetti tattili ecc . . . " e così via? E potremmo verosimilmente sostenere che il verificarsi del-l'avvenimento consiste in una specie di coincidenza dei componenti

Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione 129

di queste classi, di modo che, sebbene i componenti visivi, termici, tattili ecc. dell'avvenimento esistano tanto prima che dopo il momento in cui l'avvenimento stesso si verifica, l'avvenimento vero e proprio, in quanto avvenimento fisico, esiste solo al momento in cui, per così dire, essi si uniscono tutti in un fascio? Sarebbe un po' come ciò che avviene quando tre o più disegni parziali di diverso colore vengono sovrapposti per darci il disegno completamente colorato.

In questo caso, potremmo dire che quando facciamo un'espe-rienza visiva di precognizione o abbiamo una immagine visiva veridica di un avvenimento (o qualunque altra frase più appropriata per espri-mere il fenomeno) siamo in possesso di qualche cosa che esiste vera-mente, sebbene l'avvenimento non sia ancora accaduto nel mondo fisico.

Questo concetto non è privo di attrattive, e sospetto che sarà necessario qualche cosa di simile nel caso che si sia costretti ad accet-tare l'esistenza della chiaroveggenza. D'altra parte ho gran timore che questo concetto si dimostri così vulnerabile che non valga quasi la pena di averlo avanzato.

CAPITOLO IX DEFINIZIONE

PROVVISORIA DELLA MENTE

65. Osservazioni preliminari.

Penso che sarebbe ora opportuno tentare di delineare la mente, quale io la concepisco, alla luce dei principali fatti telepatici ecc, della relativa teoria dell'associazione e delle considerazioni che sono riuscito ad esporre in generale sull'ar-gomento.

Naturalmente, è tutt'altro che facile sapere a che cosa uno si riferisce quando parla di "mente", o a che cosa ci si debba riferire quando ci si serve di tale parola. Anzi, non è esagerazione dire che la maggior parte delle controversie in materia sorgono proprio su questo punto, e specialmente sulla questione della esistenza o meno di qualche cosa al di là del corpo fisico di cui si possa parlare.

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Propongo di accettare più o meno per dimostrato quest'ultimo punto, nonostante la sua fondamentale importanza, partendo dal prin-cipio che, a meno di non respingere completamente i fatti telepatici e i fenomeni "psi" in generale, non è assolutamente possibile spie-garli in termini di fattori fisici e fisiologici, e che è necessario intro-durre qualche altra cosa. Questo non sarà quasi certamente contestato, in quanto costituisce la base di tutte le opposizioni ai fatti.

Ma anche così, non è certo facile decidere ciò che precisamente si intende per mente. Si potrebbe dire, con una buona dose di plau-sibilità, che la mente è "ciò che è responsabile del comportamento intel-ligente", e si potrebbe proseguire definendo la parola "intelligente" come sinonimo di "intenzionale" e a sua volta "intenzionale" come "conducente a fini utili". Credo che questo riscuoterebbe una certa approvazione da parte dei profani, ma sarebbe altamente deplorato dai filosofi; quel che è certo, è che ci troveremmo immediatamente coinvolti nelle più gravi difficoltà. A parte il fatto che dovremmo deci-dere quali "fini" vanno considerati "utili", dovremmo tirare in ballo ogni sorta di altre cose, quali il cervello ed il sistema nervoso in generale, le ghiandole endocrine e così via, le quali certamente influen-zano il comportamento, e di massima con effetti biologici utili, ma che non sarebbero certamente considerate mentali dai profani.

Definizione provvisoria della mente 131

Preferirei poter usare la parola "mente" in un senso più vasto che denoti tutti i fattori "direttivi" del comportamento in contrap-posto ai fattori puramente esecutivi quali i muscoli e le ossa. Ma, a parte il fatto che sarebbe difficile sapere dove tracciare una linea di demarcazione, l'uso fatto attualmente della parola è troppo radicato per poterlo capovolgere; quindi probabilmente sarà meglio pensare alla "mente" come a qualche cosa di diverso dal corpo, cervello ecc, e a "mentale" come a qualche cosa che si riferisce ad altri fenomeni che non siano quelli fisici, cioè a dire secondo il suo significato comune.

Speto non mi sarà necessario dire che, sebbene io sia convinto che l'opinione che sto per esporre è sostanzialmente corretta nelle sue linee principali, lo dò solo come un tentativo provvisorio. Vi sono molti punti sui quali sono ancora in dubbio o che ignoro comple-tamente, e probabilmente altri nei confronti dei quali dovrà col tempo modificare completamente il mio giudizio. Ma ai fini pratici credo sia molto più importante costruire uno schema ragionevolmente coerente e intellegibile e vedere come funziona, piuttosto che preoccuparci ecces-sivamente di vedere se sia corretto in tutti i suoi particolari.

A questo punto desidero esprimere tutta la mia riconoscenza al Prof. C. D. Broad del "Trinity College" di Cambridge, il cui interes-samento mi è stato di grande incoraggiamento, così come i suoi lavori * mi hanno dato molta luce, sebbene le mie vedute attualmente siano più affini a quelle di Bertrand Russell, ai cui scritti devo pure molto, che alle sue.

66. La mente quale sistema di psiconi.

Secondo il mio attuale modo di vedere, dunque, la mente consiste in sensa e immagini, e niente altro. Queste le concepisco quali entità reali esistenti in se stesse, a carattere non fisico, e aventi con le entità fisiche il genere di rapporto indicato a pagina 123 e seg., cioè quello di avere una specie di antenato comune nelle entità "neutre" (relata ecc.) dalle quali è organizzato l'universo. Io ritengo che queste siano le uniche cose che compongono la mente, allo stesso modo che gli elettroni ed i protoni, i positroni e i negatroni sono (probabilmente) le uniche cose che compongono la materia. Non considero i "legami" associativi come parti componenti più di quanto non considero le "forze" elettriche e di gravita parti componenti del mondo fisico. In altre parole, non accetto nulla come parte componente se in linea di principio non può esistere di per se stessa.

In particolare, non trovo necessario accettare gli "atti" (di cono-

1 In particolare il suo libro La mente ed il suo posto nella natura. 132 Definizione provvisoria della mente

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scenza ecc.) o la "coscienza", o qualsiasi altra cosa come un "puro Io" o un "Sé" quali componenti.

Va espressamente sottinteso che tutto questo, come tutto quanto dirò più avanti, va sempre accompagnato dalla parola "attualmente".

Ritengo utile introdurre un termine tecnico per mezzo del quale eviterò a me la noia di scrivere e al lettore quella di leggere frasi come "sensa e immagini", "gruppi di immagini costituenti un'idea" e così via. Propongo, quindi, di usare il termine generico di "psicone", per denotare qualsiasi parte che compone la mente o qualsiasi gruppo di tali parti, indipendentemente dal fatto se le parti cui si fa rife-rimento siano semplici o composte, suscettibili di analisi o elementari \

Non so, e in questo momento non è importante, se i sensa e le immagini o entrambi sono talvolta o sempre scindibili in qualche cosa di analogo agli atomi degli elementi chimici; ma questo non conta ai nostri fini. Il termine psicone può essere considerato approssimati-vamente l'equivalente mentale di ciò che i chimici chiamano "radicale", termine che in passato indicava un unico atomo, ma che ora solitamente indica un gruppo di atomi comportantesi quali un atomo solo.

Deve essere ben chiaro che introducendo questa parola non intro-duco una cosa nuova; esso è semplicemente un termine usato per praticità, che permette di riferirci alle parti che compongono la mente senza dover specificare quali di queste parti sono in questione e quale grado di complessità esse hanno.

Un sensum, quindi, è quella specie di psicone che si produce, o semplicemente "accade", quando degli stimoli fisici vengono appli-cati agli organi di senso; ad esempio quando i raggi luminosi colpiscono la retina dell'occhio o le onde sonore colpiscono il timpano. Quando ciò si verifica, gli impulsi percorrono le fibre nervose fino al cervello e quindi danno origine a un certo cambiamento in alcune cellule. La parola "produce" è quasi certamente inappropriata, perché attual-mente non si hanno idee affatto chiare sulla teoria della trasmissione visiva ecc. quale è comunemente intesa, e non si sa se, pur non essendo propriamente sbagliata (fino a un certo punto è certamente giusta), non sia almeno incompleta. Personalmente, dubito assai che il sensum sia prodotto dal cervello, sebbene, credo, siano indiscutibilmente ne-cessari alcuni mutamenti nel cervello perché esso "si verifichi"; ma ai nostri fini il pensare che il sensum sia letteralmente prodotto o

1 Forse dovrei chiarire che gli "psiconi" usati da me non hanno alcun rap-porto con gli "psiconi" presupposti dal Marston quale base di una teoria pura-mente fisiologica della coscienza. Da quanto mi risulta questo suo concetto non è stato ulteriormente sviluppato quindi non sembra debba esserci pericolo di confusione.

Definizione provvisoria della mente 133

generato o creato dall'arrivo dell'impulso alle cellule cerebrali, non porterebbe alcun danno.

In secondo luogo, non vedo motivo per non ritenere che le imma-gini sono esattamente lo stesso genere di cose dei sensa e che ne differiscono solo quanto a costanza e intensità. Cioè a dire, un sensum è più intenso e costante di un'immagine, semplicemente perché è con-tinuamente rafforzato (per tutto il tempo in cui lo stimolo agisce) dagli impulsi in arrivo. Quando questi cessano, rimane l'immagine, che solitamente viene immediatamente respinta nello sfondo, per cosi dire, dagli altri sensa o immagini che si formano via via.

Io dico, quindi, che la mente è un sistema di psiconi, o una struttura di psiconi, nello stesso senso in cui il corpo è un sistema di cellule, che una molecola proteinica è un sistema di atomi o che una galassia è un sistema di stelle. Gli psiconi sono legati fra loro in gruppi e sottogruppi e schemi, che a loro volta sono legati fra loro dalle "forze" di associazione allo stesso modo con cui le cellule sono legate fra di loro dalle forze di adesione, gli atomi dalle forze elettriche ("legami di valenza") o le stelle dalle forze gravitazionali1.

Ancora un punto e poi potremo procedere oltre a liberarci del peso che fino ad ora (a me pare) ha intralciato i nostri sforzi per pensare intelligentemente intorno alla mente.

Abbiamo detto che i sensa, in un senso pickwickiano, si "produ-

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cono" quando i ricettori sensori (organi sensori ecc.) vengono stimolati. In senso lato questi stimoli si dividono evidentemente in due classi principali e cioè, quelli che provengono dall'esterno del corpo (raggi luminosi, onde sonore, calore del fuoco ecc.) e quelli che provengono dall'interno (dolori, sensazioni di movimenti muscolari ecc). Queste due classi vengono definite rispettivamente exo-somatiche (esteriori al corpo) e endo-somatiche (interne al corpo). Non ho affatto la certezza che questa distinzione sia così semplice come lo si suppone di solito, ma il principio è abbastanza chiaro. Esistono moltissime altre sensazioni di origine interna che accompagnano i sensa

par-lando con termini molto profani, ma che servono all 'uopo

più di quanto non ci se ne renda conto abitualmente, perché le notiamo solo quando divengono acute, come il dolore fisico e altre condizioni di turbamento; ma nella vita normale, ad ogni modo, vi è sempre una vaga "massa di sensazioni corporali" che agiscono nello sfondo, per così dire, del nostro pensiero e della nostra esperienza cosciente. Tenendo presente ciò, cercheremo di fare una certa precisione alle varie espressioni poco esatte e indefinite (ad esempio "il pensiero e

1 Mi servo della parola "forza" solo per maggiore efficacia. Non si riferisce a nulla di "reale" come non vi si riferisce nella fisica. 134 Definizione provvisoria della mente

l'esperienza cosciente" dell'ultima frase) che siamo stati costretti ad usare fino ad ora.

Ho parlato, ad esempio, di un "campo di coscienza", come se non si potesse avere alcun dubbio su ciò che significa; e non suppongo che abbia potuto portare ad interpretazioni sbagliate. Probabilmente tutti quanti hanno capito che mi riferivo a "tutte quelle cose di cui siete coscienti in ogni istante", che è abbastanza esatto Ma che cosa intendo, in questo contesto, per "voi" e per "coscienti di"?

Ritengo che questi punti possano essere così spiegati: ad ogni istante un certo numero di sensa sono prodotti1 dallo stimolo dei ricettori sensori nell'interno del corpo; altri sono prodotti da stimoli esercitati su altri ricettori da fattori esterni al corpo: ed esistono varie immagini più o meno strettamente collegate ad essi mediante l'associazione2. Dovrei dire che il vostro campo di coscienza, in qual-siasi istante, consiste in, ed è, questo gruppo di sensa e di immagini. Per esprimerci con altre parole, che mi sembrano più chiare anche se meno logiche, il vostro campo di coscienza, in qualsiasi istante, con-siste in tutti gli psiconi che in quell'istante sono in corso di associarsi con i sensa di origine endo-somatica (interno del corpo) insieme con quei sensa stessi.

Spero che ciò sia abbastanza chiaro. Nel mondo fisico si veri-ficano vari avvenimenti cui partecipa il vostro corpo; alcuni di essi accadono sotto la pelle e altri sopra; tanto gli uni quanto gli altri stimolano gli organi sensori o "ricettori", dando così origine al veri-ficarsi dei sensa; alcuni di questi sensa sono, direttamente o indiretta-mente collegati associativamente, più o meno strettamente, alle imma-gini; il vostro campo di coscienza in qualsiasi istante consiste in tutti questi sensa e immagini (psiconi) cui si riferiscono le precedenti os-servazioni.

A questo punto potete benissimo obiettare che, sebbene questa sia una definizione abbastanza chiara del "campo", io non ho parlato della "coscienza". È vero; e questo mi porta al punto che, probabil-mente, è il più penoso di tutta la psicologia e filosofia messe insieme. Che cosa è la coscienza?

1 Propongo di fare uso di questa espressione per comodità senza fermarsi ogni volta a spiegare che non la intendo nel suo significato letterale.

2 A rigore, naturalmente, queste immagini difficilmente possono essere col legate a questi sensa, che supponiamo siano iniziati solo in quell'istante. Dob biamo supporre che i sensa più recenti prima richiamano, alquanto magicamente, le immagini dei loro predecessori analoghi e queste le immagini a loro associate nel modo solito. Evidentemente qui si presentano grosse difficoltà, ma ritengo che si possano ignorare per avere una visione generale della situazione. Probabil mente esse fanno parte del mistero generale della "produzione" del sensum, di cui attualmente non sappiamo nulla, e che dobbiamo accettare nella loro crudità.

Definizione provvisoria della mente 135

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67. Coscienza ed Io; (1) preliminari.

Immagino che si potrebbe

scrivere un grosso volume solo per enumerare le difficoltà che sono derivate dall'uso della parola "coscienza", come se questa fosse una cosa che si può raccogliere e mettere in bottiglia; fiumi di inchiostro sono stati effettivamente versati per superare difficoltà che sorgono nel tentare di definire che cosa si intende con frasi come "sono co sciente", e particolarmente "sono cosciente di questo o di quello".

Tentiamo di tagliare il nodo gordiano con un sol colpo. La co-scienza non è una cosa 1 né esiste alcun rapporto a cui si possa appli-care la parola "cosciente" o uno dei suoi derivati, fra qualche cosa chiamato "Io" e qualche altra cosa di cui io sono "cosciente".

A questo punto sono terribilmente ostacolato dal linguaggio, che non è stato concepito per esprimere cose del genere che io voglio dire (o, meglio, per pensare il genere di cose che voglio pensare), ma devo fare del mio meglio.

68. Coscienza ed Io; (2) proposta di definizione della "coscienza". La parola "coscienza" dovrebbe riferirsi al sistema di rapporti fra psiconi, più o meno come la parola "spazio" si riferisce ai rapporti tra frammenti di materia. Nella misura in cui è corretto dire che lo spazio è quel sistema di tensioni ecc. esistente tra frammenti di materia, così credo che sia corretto dire che la coscienza è quel sistema di "forze" (associazioni) fra psiconi.

Modificando leggermente la definizione: dati due o più fram-menti di materia, si verifica ipso facto l'attrazione; dati due o più psiconi, si verifica ipso facto la coscienza. Ma la prima non è più sostanziale della seconda; l'uso della forma sostantiva "coscienza" non è che una disgraziata circostanza, e quello della forma "cosciente di" è una circostanza ancor più disgraziata.

D'altra parte è perfettamente legittimo e (sono convinto) per-fettamente corretto dire "questo sistema di psiconi è cosciente", come perfettamente corretto dire "questo sistema di materia è spaziale o soggetto alla forza di attrazione". La forza di attrazione e lo spazio non sono delle entità mistiche sovrapposte al sistema della materia; esse sono parti integranti di esso. Analogamente, la coscienza non è una entità mistica sovrapposta a un sistema di psiconi; essa è parte inte-grante di esso, che non viene né aggiunta né tolta.

In quanto a "cosciente di", questo è uno scherzo ancora peggiore della lingua, per il quale non esiste un equivalente fisico corrispon-dente come quelli di cui mi sono servito fino ad ora. Diciamo che

1 Un tempo credetti più o meno, che fosse qualche cosa di definito e mi trovai in un orribile pastìccio per cercare di spiegarla come tale. 136 Definizione provvisoria della mente

"la terra attrae la luna", che è un modo di dire piuttosto unilaterale, poiché sappiamo benissimo che la luna attrae la terra con altrettanta forza. È vero che la terra è il socio più importante; ma, se così posso esprimermi, non è più responsabile della luna del fenomeno della reciproca attrazione; eliminate una delle due (nei limiti consentiti dall'analogia) la forza di attrazione cessa di esistere. Una particella solida in sé non può essere soggetta alla forza di attrazione, e, se le date un socio, l'una è la causa della forza di attrazione che ne risulta quanto l'altra. Analogamente, io sostengo che sia assurdo invocare un "Puro Io" o un "Sé trascendentale" o un che-so-io di mistico, che occupino una posizione unica e privilegiata, e dire che questo non so che è cosciente di questa o quella cosa.

69. Coscienza ed Io; (3) proposta di definizione dell'Io.

Non vi è dunque nulla che possa venire ragionevolmente definito come " Io " ? Certo che vi è, e non credo che sia affatto difficile identificarlo, almeno nei casi comuni. Ma è un "Io" privato della sua assurda magia, il che va tutto a suo vantaggio.

Il campo di coscienza, in qualsiasi istante, consiste in quegli psi-coni che sono in corso di associarsi con le sensazioni corporali dello stesso istante. Va notato, a proposito, che per praticità possiamo usare

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il termine "sensazioni corporali" come abbreviazione di "sensa risul-tati dallo stimolo dei recettori endo-somatici", e che ora sappiamo che cosa intendiamo quando parliamo di immagini o idee che "si pre-sentano unitamente a" ecc. I gruppi di sensa che rappresentano le sensazioni corporali, naturalmente, non saranno sempre esattamente eguali nelle varie circostanze, ma costituiranno un fattore più o meno costante, o "nucleo", che sarà presente nei succedenti campi di co-scienza; e non vedo alcuna ragione speciale perché chi lo desidera non possa dire che questo è "l'Io".

Personalmente, tuttavia, non credo che il termine vada così limi-tato. Preferirei dire che la mia mente consiste nella totalità degli psi-coni che hanno composto i miei campi di coscienza così definiti e organizzati secondo lo schema creato dal corso degli eventi e dal-l'azione dei processi associativi; e credo che dovrei dire che "Io" o "me stesso", se si preferisce, è quella mente, senza cercare di circo-scrivere il concetto entro limiti innaturalmente precisi.

Non vi è quasi bisogno di dire, beninteso, che alcune idee o gruppi di psiconi si presenteranno molto più frequentemente di altri, del tutto indipendentemente dal nucleo più o meno costante di sensa-zioni corporali che ho testé menzionato. In particolare, i sensa provo-cati dall'ambiente che ci circonda giornalmente, e le immagini susci-tate da essi, costituiranno un tratto poco meno costante; tali gruppi

Definizione provvisotta della mente 137

di idee, a me sembra, hanno quasi altrettanto diritto di essere consi-derati parti dell'"Io" quanto le stesse sensazioni corporali. Anzi, forse ne hanno un maggiore diritto, perché la massa vaga delle vostre sen-sazioni corporali, che sta nello sfondo, presumibilmente è molto simile alla mia, mentre invece le esperienze della nostra vita e le cose cui conseguentemente pensiamo più spesso (ad esempio i gruppi di psiconi più comuni) probabilmente sono più diversi ed individuali.

Non ritengo che il campo di coscienza momentaneo o la mente, nel suo complesso, o l'"Io", che costituisce il nucleo dei due primi possano avere linee di demarcazione nette. Al contrario, ciascuno di essi svanisce gradatamente e più o meno continuamente nelle regioni dove, tanto per esprimerci in qualche modo, gli psiconi hanno un re-moto e debole legame con quelli che consideriamo al "centro" del campo di coscienza, insieme con altre parti importanti della mente e con quel nucleo relativamente costante che chiamiamo "Io". Il nostro campo di coscienza, in qualsiasi istante, contiene determinati gruppi di psiconi, particolarmente i sensa, di cui siamo chiaramente coscienti, ma anche molti altri di cui siamo molto meno coscienti fino a giungere ad alcuni di cui non siamo quasi affatto coscienti. In modo alquanto analogo, vedo la mente come qualche cosa del tipo di una condensa-zione sfumata di psiconi, uniti con crescente "densità" (la parola è puramente metaforica) intorno a quel nucleo semicostante che (se vo-gliamo, ma non è necessario) chiamiamo l'« Io », il quale a sua volta è una condensazione alquanto più densa, che non ha necessità di for-marsi intorno a qualche cosa di particolare; tutto questo complesso, naturalmente, si trova in uno stato costantemente fluido e di adatta-mento sotto l'urto degli stimoli che producono nuovi sensa e sotto la azione dei legami associativi fra gli psiconi.

È abbastanza facile vedere come si forma la condensazione prin-cipale, cioè con vari gruppi di sensa e di immagini presenti, contem-poraneamente alle sensazioni corporali, in un campo di coscienza; ed anche come alcune parti del sistema di psiconi sono legate più stretta-mente di altre al nucleo di sensazioni corporali, cioè sono presenti contemporaneamente in occasioni diverse.

Più avanti avrò molto da dire a proposito di questo raggnipparsi associativo degli psiconi tanto "all'interno di" quanto "fra" quelle che comunemente si considerano le menti individuali; ma per il momento voglio ancora chiarire uno o due punti riguardo alla natura della mente nel suo insieme.

70. Conoscenza, emozione e volontà.

È comune e pratico par-lare di tre specie di stati mentali, o tre "facoltà" della mente, cioè cognitivo, affettivo e volitivo. Tre parole che si riferiscono rispettiva-

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138 Definizione provvisoria della mente

mente a tre stati mentali di conoscenza, di sentimento (emozione) e di volontà o aspirazione; ed è evidente che esiste una effettiva diffe-renza fra semplicemente conoscere un fatto, provare sentimenti emotivi nei suoi confronti, e cercare di fare qualche cosa nei suoi riguardi. Ad esempio, possiamo vedere un serpente in una gabbia e sapere che è un serpente e non un rotolo di corda, senza risentire alcuna emozione particolare o nessun desiderio di agire; se il serpente scappa dalla gabbia, supponendo che lo si creda velenoso, proviamo un sentimento di paura; e allora ci sforziamo di risolvere la situazione fuggendo o aggredendolo. Non vogliamo intendere che questi tre stati o atteg-giamenti siano perfettamente delimitati e distinti, ma tutti vediamo quale diversità sussiste fra di essi; ed è evidente che la psicologia o una descrizione della mente che non li esamini adeguatamente non può essere considerata soddisfacente.

Riguardo all'aspetto "cognitivo" o di "conoscenza" abbiamo già detto tutto quanto è sostanzialmente necessario, ma vi è ancora un paio di eventuali fonti di confusione che vanno chiarite Le afferma-zioni "conosco Jones" e "sono a conoscenza del fatto che le uova si rompono cadendo", sono comunemente considerate di genere diverso in quanto l'una definisce la conoscenza con, e l'altra la conoscenza circa, rispettivamente Jones e le uova. Ma credo sia abbastanza facile capire che, in base alle idee che sono andato via via svolgendo, "conoscenza con" non è altro che essere coscienti, per così dire, con alcuni orna-menti, e "conoscenza circa" non è altro che essere coscienti con ancora più ornamenti.

Come ho cercato di spiegare, la sola cosa che noi "conosciamo" o di cui "siamo coscienti", immediatamente e direttamente, sono i sensa e le immagini che costituiscono la "mente" che compie l'azione di "conoscere". Inoltre ciò che noi chiamiamo stato di coscienza o l'"atto di conoscere" è il sistema di rapporti o di quasi forze esistenti fra i vari psiconi, di cui nessuno è inerentemente, per virtù della sua na-tura o della sua origine intrinseca, privilegiato in confronto agli altri. A me sembra che tutte le forme più complicate di "conoscenza" siano la conseguenza del genere di interpretazione associativa o che da essa dipendano, come ho spiegato a pag. 117. I sensa suscitati alla vista di Jones richiamano, per associazione, le immagini di situazioni prece-denti cui egli aveva partecipato; e sono solo queste che costituiscono la differenza fra la semplice coscienza dei sensa "di Jones" e il far conoscenza con lui (naturalmente in senso psicologico più che mondano). E analogamente i sensa suscitati dalla vista di un uovo richiamano immagini di circostanze in cui partecipavano delle uova e sono cadute; e solo queste costituiscono la differenza fra la semplice coscienza dei sensa-uova e la conoscenza delle proprietà delle uova. Inutile dire che

Definizione provvisoria della mente 139

l'apparente "conoscenza circa" può essere falsa, come quando qualcuno che conosce il vino bianco solo attraverso la lettura, se lo immagina un liquido incolore come il gin oppure addirittura bianco come il latte; ma, dal punto di vista psicologico, questa conoscenza è esattamente della stessa specie ed ha origine esattamente nello stesso modo della vera "conoscenza circa".

Per quanto riguarda la definizione degli stati o situazioni di co-noscenza, dunque, non abbiamo bisogno di altro che di un maggiore o minore sviluppo del rapporto fondamentale di psiconi-assodazione-coscienza. Abbiamo bisogno di qualche cos'altro per l'Emozione e la Volontà?

Il modo più facile per chiarire questi concetti è quello di pren-dere in esame la teoria più famosa sull'emozione che sia mai stata avanzata. Essa è nota col nome di teoria James-Lange e consiste, si può dire, in un'inversione di tutte le concezioni precedenti. In senso lato, la concezione precedente era che se, ad esempio, ci troviamo in una situazione pericolosa, proviamo un'emozione di paura e quindi ci mettiamo a tremare e fuggiamo. La teoria James-Lange inverte questi termini e ci dice che la manifestazione dell'emozione è la causa e non

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la conseguenza del sentimento. James scrive: "II nostro modo naturale di pensare alle emozioni più primitive

come dolore, paura, rabbia, amore, è che la percezione mentale di al-cuni fatti eccita la proprietà mentale chiamata emozione e che que-st'ultimo stato mentale da origine all'impressione corporale. La mia teoria, al contrario, è che i mutamenti corporali seguono direttamente la percezione del fatto eccitante e che l'emozione è il nostro sentimento di questi stessi mutamenti corporali che via via si effettuano. Il buon senso dice: se perdiamo il nostro patrimonio, ne siamo dispiacenti e piangiamo; se incontriamo un orso, abbiamo paura e corriamo; se siamo insultati da un rivale, ci arrabbiamo e picchiamo. L'ipotesi che va soste-nuta in questo caso è che l'ordine di sequenza è sbagliato, e che uno stato mentale non è seguito immediatamente dall'altro ma che vi vanno interposte le manifestazioni corporali e che quindi, più razionalmente, dovremmo dire: proviamo dolore perché piangiamo, ira perché picchia-mo, paura perché tremiamo e non: piangiamo, picchiamo e tremiamo perché proviamo dolore, ira, paura, a seconda del caso".

Naturalmente questa ipotesi ha dato origine a molte controversie, che non posso discutere dettagliatamente in questa sede, e certamente essa non può essere sostenuta così come è, poiché eguali "manifestazioni corporali" non producono necessariamente eguali stati emotivi. Ad esempio, possiamo piangere perché abbiamo un bruscolo in un occhio o perché siamo stati vicini a della cipolla, eppure non siamo affatto addolorati; e se sappiamo che possiamo facilmente correre più presto 140 Definizione provvisoria della mente

dell'orso, possiamo correre per divertimento e per derisione e non per paura.

Ciò non di meno, ritengo che vi siano pochi dubbi sul fatto che il concetto di emozione contenuto in questa teoria sia fondamen-talmente vero. Cioè a dire, sono certo che la diversità fra uno stato che comunemente definiremo emotivo e uno stato che comunemente definiremo non-emotivo, dipende interamente dalla natura e dalla "con-figurazione" (cioè dai rapporti fra) degli psiconi coinvolti e che, al fine di descrivere uno stato emotivo, non è necessario introdurre nuove parti o fattori intrinsecamente diversi da quelli usati per la descrizione di altri stati. Gli stati emotivi sono caratterizzati dalla presenza di un numero particolarmente elevato di alcune specie di psiconi endo-soma-tici, particolarmente quelli di origine viscerale e forse intra-muscolare *, ma la particolare specie di emozione provata non dipende unicamente dalla presenza di questi psiconi viscerali ecc, bensì dal loro collega-mento e dal loro rapporto con l'emozione stessa. Molto grossolanamente si potrebbe dire che l'emozione che suscita un quadro dipende dal nu-mero di macchie rosse sulla tela, ma che la natura dell'emozione è rappresentata dal modo con cui le macchie sono disposte, rispetto a quelle di altri colori.

Analogamente: credo che gli stati definiti "volitivi", cioè quelli che comportano "sforzo" o "volontà", siano caratterizzati dalla pre-senza di un numero particolarmente elevato di psiconi endo-somatici di origine diversa, particolarmente da quelli derivanti dai muscoli e dalle articolazioni. Per dire come James, la "volontà" segue lo sforzo (sia esso effettivo o immaginato) e non lo sforzo segue la "volontà". Non è necessario presumere l'esistenza di un elemento magico ad hoc chiamato la "volontà" 2.

Di conseguenza è erroneo e può indurre a deduzioni sbagliate, par-lare di Conoscenza, Emozione e Volontà nella forma sostantivata. Sa-rebbe preferibile parlare di stati cognitivi, emotivi e volitivi della mente; e ancora meglio sarebbe pensare ad essi come a diverse forme della coscienza, ricordando che "coscienza", nella sua forma sostantivata, è

1 Ho osservato su me stesso che il sentimento di orrore è intimamente col legato con sensazioni apparentemente intramuscolari nell'avambraccio.

2 Mi rifiuto energicamente di farmi trascinare in qualsiasi discussione sul « libero volere », in quanto sono convinto che si finirà per riconoscere che è un problema che non esiste. Ma va fatto osservare che, finché siamo disposti ad ammettere lo scambio reciproco di rapporti fra psiconi e sistema nervoso (cer vello), il problema non si pone quasi. Difatti, o esercitiamo la nostra "volontà" in qualsiasi direzione per una "ragione" (buona o cattiva che sia) o no. Se l'eser

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citiamo, allora la volontà può essere sostituita da un adatto gruppo di psiconi; e in caso contrario dalle leggi della coincidenza.

Definizione provvisoria della mente 141

essa stessa un termine improprio, che si riferisce solo al sistema di forze che operano fra gli psiconi.

Quanto ho detto non è altro che un abbozzo schematico della questione, ma basterà ai miei fini attuali, purché si ammetta che la sola diversità fra queste varie specie di stati sono quelle che sorgono dalle diversità e dai vari rapporti esistenti fra gli psiconi che li compongono e che non deve esservi introdotto nulla di nuovo. Questa ammissione basta per darmi modo di passare al punto successivo che, sono convinto, è della massima importanza e di grandissima portata ed è:

71. Autonomia dei sistemi e dei sotto-sistemi di psiconi.

Se quanto ho detto riguardo ai punti specificati sopra è corretto, allora qualsiasi sistema o gruppo di psiconi sarà capace di possedere, ed effet-tivamente possederà, tanta coscienza cognitiva, emotiva e volitiva quan-ta di fatto gli permette la sua "composizione", cioè il numero, la natura e i rapporti (legami) degli psiconi che lo compongono.

Anche se questa enunciazione ci porta a delle conclusioni alquanto strane come, ad esempio, che i sistemi di psiconi che compongono parte della mia mente, pur non essendo contemporaneamente parte del mio campo di coscienza, sono, per così dire, la sede di emozioni o aspirazioni, non vedo per quale ragione si dovrebbe respingerla. Presu-mibilmente questi sistemi non potrebbero manifestarsi palesemente a meno di non entrare in quel rapporto con la mia summenzionata "massa di sensazioni fisiche", rapporto che appunto gli psiconi devono avere al fine di agire sulle cellule cerebrali (dato che ciò sia quanto avviene)l.

Va notato qui, di sfuggita, che quanto abbiamo detto significa anche che qualsiasi sistema di psiconi avrà quella dose di finalità o di autonomia che si adatta alla sua costituzione. Questo fatto può servire a spiegare come mai si sono riscontrate talvolta limitatissime manife-stazioni di questa proprietà anche nelle apparizioni e nei fantasmi, i quali generalmente si comportano come assoluti automi ma occasio-nalmente manifestano anche una piccolissima dose di spirito di inizia-tiva. Questo ricorda il racconto omerico degli spiriti dell'Ade, i quali conducevano un'esistenza così debilitata che, prima di poter parlare con un visitatore, dovevano bere del sangue.

1 Con cautela avanzo l'ipotesi che questo concetto costituisce un colpo di fortuna inaspettato per quegli psicoioghi analitici che hanno l'abitudine di par-lare di "dinamismo", termine a cui mi è sempre rimasto difficile attribuire un significato, ma che, se significa qualche cosa, presumibilmente deve significare qualche cosa del genere. 142 Definizione provvisoria della mente

72. Repressione: osservazioni conclusive.

Prima di prendere in esame alcune delle deduzioni derivanti dal suesposto concetto, vorrei attirare la vostra attenzione su uno dei numerosi punti riguardo ai quali attualmente sono indeciso e non ho ancora idee chiare. Attual-mente non so se per spiegare il funzionamento di quella che viene co-munemente detta "repressione" (per non far menzione dei risultati in-feriori al numero di probabilità dovute al caso che talvolta si riscontrano negli esperimenti telepatici e che ritengo strettamente collegati a tale fenomeno) sia o non sia necessario supporre che nel sistema di psiconi agiscono delle forze quasi-respingenti come vi agiscono le forze quasi-attraenti (associative). Sembra abbastanza ovvio che possano esistere dei sistemi strettamente intessuti e definitivamente organizzati ai quali è molto difficile far prendere coscienza, come si suoi dire. Questo, a me sembra, equivale a dire che le possibilità che essi appaiono nel cam-po di coscienza sono minime; cioè a dire che le possibilità che appaiano altri sistemi sono assai maggiori; ma non vedo affatto chiaramente se l'impressione, per così dire, di resistenza attiva, che abbiamo così spesso,

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sia illusoria e dovuta solo a questa causa, cioè alla rivalità fra i diversi sistemi, o se vi si debba presupporre una specifica forza respingente e dissociativa. Preferirei molto la prima tesi, ma può darsi che si sia costretti ad accettare la seconda.

Tuttavia, ritengo che sarebbe disonesto e male ispirato permettere che un'ignoranza di questo genere, o quella, assai più grave, relativa a come i sensa sono "generati" o suscitati da stimoli casuali, creino in noi una prevenzione contro tutta quanta la teoria. Non possiamo ragionevolmente aspettarci di risolvere tutti i problemi in una volta; anzi, una teoria così perfetta da essere capace di risolverli tutti po-trebbe creare tanta confusione da non servire più al suo scopo. I suc-cessi della teoria della gravitazione di Newton furono raggiunti forse più, e certo non meno, facilmente perché il mondo dovette aspettare altri 250 anni prima di avere la teoria generale della relatività; ed i chimici scoprirono un'infinità di cose sulla chimica basandosi sugli atomi a "palla da bigliardo" prima che la congerie moderna di elet-troni, protoni e onde di Schròdinger fosse neanche stata sognata.

Sono convinto che la teoria della mente in generale e della tele-patia in particolare, da me avanzata nelle pagine precedenti, si avvicini molto alla correttezza nei suoi tratti principali, pur non dubitando che avrà bisogno di notevoli modifiche e di ampie rienunciazioni prima di raggiungere la forma definitiva. Ma questo non ha alcuna importanza. Ciò che importa è vedere se darà frutti, se ci permetterà di capire e coordinare fenomeni che attualmente appaiono confusi e incomprensi-bili. Purché serva a questo scopo, non importa se in definitiva è

Definizione provvisoria della mente 143

"giusta" o no, o se col tempo dovrà essere scartata per far posto a qualche cosa di più radicale e completo.

Ho già dato, almeno schematicamente, alcuni esempi del modo con cui essa sembra rendere intelligibili fenomeni strani e apparente-mente disparati; nella terza parte di questo volume mi propongo di fare altrettanto con diversi fatti e problemi in un campo assai più vasto. Ritengo che, sebbene molto di quanto intendo suggerire sia francamente speculativo, l'idea della mente quale io la concepisco ci permetterà di farci un'idea molto più completa sulle varie questioni che ci interessano.

73. Programma per le prossime discussioni.

Non è molto facile decidere quale sia il migliore ordine in cui trattare gli altri vari fatti e problemi che desidero prendere in esame; non vedo un ordine che possa evitare sovrapposizioni in alcuni casi e sconnessione in altri. Il pro-gramma che propongo di adottare è il seguente:

Anzitutto discuterò di alcuni punti collegati alla psicologia in ge-nerale, per quanto tutto l'argomento sia strettamente legato ad essa e costituisca un ramo speciale di questa scienza. In particolare, mi pro-pongo di trattare un certo numero di questioni derivanti dal modo con cui i gruppi di psiconi possono costituirsi entro quella che viene comu-nemente detta la mente individuale.

Quindi dedicherò alcune pagine alle rivelazioni che la telepatia, i fenomeni "psi" in generale e la teoria psiconica della mente in parti-colare ci permettono di fare circa il problema della sopravvivenza umana dopo la morte.

Infine, prenderò in esame varie deduzioni e possibilità che deri-vano dal modo con cui le menti individuali, o i gruppi di psiconi nel loro ambito, possono collegarsi con altri sistemi in una sintesi più ampia di quella individuale. Nel corso di questo schema farò alcune digressioni per parlare della religione, che mi sembra possa trovare il suo posto meglio qui che altrove; e quindi riprenderò il filo princi-pale e concluderò con alcune osservazioni sui sistemi sociali

Parte terza DEDUZIONI

CAPITOLO X PSICOLOGIA IN

GENERALE

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74. Psicologia fisiologica; comportamento.

È stato giustamente

detto, anche se un po' scortesemente, che "vi sono molte psicologie ma non una Psicologia", e il rimprovero inteso in questa affermazione non è del tutto infondato. La psicologia è indubbiamente una strana materia, ma credo che la sua stranezza sia non solo perdonabile, ma inevitabile date le circostanze, anch'esse inevitabili, in cui essa si è sviluppata.

Ritengo che comunemente la psicologia potrebbe essere definita: "lo studio della mente" o qualche cosa di simile; e a prima vista si capisce che nello studio della mente, strumento unico e indispensabile per studiare qualsiasi cosa, possono sorgere difficoltà particolari che non incontreremmo nello studio delle patate o delle proprietà del ma-gnesio, le quali almeno sembrano esistere indipendentemente dalla mente che le studia. Molte persone, e fra queste non certo ultimi gli psicoioghi, devono avere provato un senso di disagio, in quanto lo studio della mente mediante la mente fa pensare troppo a un righello centimetrato che cerca di determinare il suo coefficiente di estensione senza una misura esterna cui far riferimento. I filosofi, che non possono essere accusati di mancanza di coraggio

non è certo questa la meno preziosa delle loro qualità

non si sono mai lasciati intimidire di fronte a questa difficoltà e giustamente non hanno esitato a giungere, nelle loro indagini (e infatti non potevano non farlo), fino alla natura e alle pro-prietà della mente; indubbiamente essi hanno apportato un contributo importante allo studio di questa materia, particolarmente nel campo dell'analisi dei problemi, enunciandoli correttamente e dimostrando che le soluzioni date ingenuamente dal profano non possono reggere alla critica.

D'altra parte gli psicoioghi

almeno gli psicoioghi moderni

disperando di riuscire a trovare qualche cosa cui poter dare ragionevol-mente il nome di "mente", si sono concentrati sullo studio del suo comportamento, di modo che si è finito per credere che la psicologia si occupi più della domanda "perché la gente si comporta come si com-porta?" che non della domanda "quali sono le proprietà della mente e 148 Psicologia in generale

come funziona?". Per lo più essi hanno tentato di rispondere a quest'ul-tima domanda in termini di fisica e di fisiologia, cioè esclusivamente in termini di stimoli fisici che agiscono sui nervi terminali, di impulsi che percorrono le fibre nervose attraverso le articolazioni fino a giungere ai muscoli ecc, e di effetti prodotti dalle trasformazioni chimiche, dalle secrezioni ghiandolari nel corpo, e così via. Questa tendenza, che trovò molto rinforzo nei successi, nel prestigio e nelle prospettive materiali-stiche dei fisici, raggiunse il suo culmine nella scuola del "comporta-mento", che per un certo periodo esercitò una grande influenza su questa materia e che ancora l'esercita in America, terra in cui ebbe origine. Pochi degli esponenti di questa linea di pensiero furono così pazzi da negare l'esistenza della coscienza o il fatto che essi stessi erano coscienti, ma tuttavia sostennero che, secondo loro, non vi era bisogno di servirsi di questo concetto per spiegare il comportamento e che, quindi, l'introdurlo avrebbe potuto portare su una strada sbagliata. Tutti i comportamenti, essi dichiaravano, possono essere spiegati abba-stanza bene in termini di "riflessi condizionati" e così via; l'uomo non era altro che una macchina automatica molto complessa; la pretesa mente era un'illusione, anzi, neanche questo; ciò che si supponeva fosse il suo più profondo pensiero non era altro che l'azione dell' " abitudine del lin-guaggio". Come osserva Bertrand Russell: "è umiliante riconoscere quanto questa ipotesi si riveli terribilmente adeguata".

Nessuna persona ragionevole negherà che una gran parte di questo lavoro è stato quanto mai prezioso. Uno dei risultati raggiunti è l'enorme ampliamento delle nostre conoscenze su una grande varietà di attività e di procedimenti che sono della massima importanza per la vita umana; ma il pericolo sta nella tendenza a sostenere che quanto basta a spiegare una parte deve bastare a spiegare il tutto. È assolutamente illogico dover dimostrare che, poiché possiamo spiegare il 99 per cento delle cause del comportamento di un pigro e il 5 per cento di quelle del comportamento di un uomo normale mediante gli archi riflessi, neces-sariamente se sapessimo di più sugli archi riflessi dovremmo poter spie-gare il 100 per cento delle cause del comportamento di entrambi. Se

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accettiamo questa conclusione, e se così facendo sbagliamo, i nostri ten-tativi di dare una spiegazione completa del comportamento in questi termini non solo falliranno, ma ci condurranno sempre più su una via sbagliata, di modo che probabilmente se ne avranno i risultati più strani e più disastrosi.

È perfettamente giusto, e anzi obbligatorio, spingere la psicologia fisiologica più avanti che si può, ma non è meno importante riconoscere che può esservi un punto oltre al quale non si può proseguire e fermarci quando vi ci si arriva. E la psicologia fisiologica certamente non andrà tanto avanti quanto la telepatia; di modo che lo psicologo dell'avvenire

Psicologia in generale 149

dovrà tener conto dell'azione di alcuni altri fattori che non siano gli organi sensori, i nervi e le ghiandole che soli fino ad ora si usava pren-dere in considerazione.

Questo, molto a proposito, introduce un punto che desidererei toc-care prima di procedere oltre. Non di rado lo psicologo obietta, serven-dosi di motivazioni naturali anche se non molto logiche., che se la tele-patia fosse vera, la maggior parte dei suoi esperimenti sarebbero suscet-tibili di errori e che non potrebbe fare assegnamento neanche sul lavoro del passato. Se esiste una comunicazione telepatica fra sperimentatore e soggetto

egli insisterà

tutti gli esperimenti che implicano un com-pito (parlo in termini non molto esatti) di cui lo sperimentatore conosce la risposta saranno nulli, perché la risposta del soggetto potrà essere determinata o influenzata da forze telepatiche da parte dello sperimen-tatore.

Non credo che vi siano pericoli seri del genere, tranne forse in alcuni casi speciali, perché è tutta una questione di misura. Si potrebbe egualmente sostenere che tutte le pesature fatte prima della scoperta dell'attrazione e repulsione elettrostatica non erano valide perché i piatti della bilancia potevano essere carichi di elettricità e quindi soggetti ad altre forze che non il peso degli oggetti pesati. Non vi è dubbio che così era e che è possibile che alcune pesature di grande precisione siano state influenzate in misura minima; ma, come non ci preoccupiamo di cariche elettrostatiche quando pesiamo un chilo di burro o anche un grammo di un prodotto chimico, attualmente nulla fa pensare che influenze tele-patiche agiscano in misura apprezzabile negli esperimenti psicologici; anzi, se esse agissero, sarebbe molto più facile studiarle.

15. Mente e cervello.

Tutto ciò, peraltro, non è che preliminare. La questione veramente interessante nel caso della psicologia comune è quella del rapporto che corre tra mente e cervello. Fino ad ora ho parlato quasi come se il cervello non esistesse, e mi si può ragione-volmente domandare se mi propongo di ignorarlo completamente e soste-nere che esso non ha alcuna parte nella vita mentale o, in caso diverso, come concepisco le sue funzioni e la sua influenza.

A me sembra che in questa questione gli psicoioghi dovrebbero accogliere con entusiasmo la concezione della mente da me avanzata, perché permetterebbe loro di alleggerire il cervello, oberato da un buon numero di funzioni che gli sono state attribuite semplicemente perché non vi era altro modo di sistemarle, senza preoccuparsi affatto se questo disgraziato strumento era, almeno teoricamente, capace di eseguire il lavoro che gli si richiedeva. Oltre alPabbastanza complicato lavoro di tra-smettere gli stimoli sensori, controllare il corpo e regolarne i movimenti, 150 Psicologia in generale

esso dovrebbe essere 1' "organo del pensiero", il magazzino dei ricordi (in forma di tracce ecc.) e la "sede della coscienza".

In un certo senso era abbastanza facile attribuire al cervello tutti questi compiti di pensare e di ricordare. D'altra parte, non sembrava che si potesse fare altrimenti, di modo che gli psicoioghi dissero che il pensare e il ricordare dovevano dipendere dal modo con cui le circon-voluzioni sono disposte nel tessuto cerebrale, o comunque lo si voglia chiamare; d'altra parte non conosciamo ancora tanto le cellule cerebrali e le loro interconnessioni ecc. da permettersi di stabilire un limite mas-

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simo della loro potenzialità e di dire positivamente che non possono spiegare i fatti osservati. Ma sono sicuro che di tanto in tanto gli psico-Ioghi devono avere provato delle sgradevoli apprensioni riguardo alla misura con cui essi facevano affidamento su presunti poteri di cui sape-vano così poco.

A mio vedere, è legittimo e necessario trasferire alla mente o al sistema di psiconi una gran parte di queste funzioni precedentemente attribuite al cervello.

Non considero il cervello la sede della coscienza; come ho spiegato, ritengo che la coscienza sia un sistema di "forze" esistenti fra le parti che compongono un gruppo di psiconi. Non credo che il cervello abbia nulla a che fare con questo, se non in quanto, procurando l'incursione dei sensa nel gruppo, può alterare il sistema di forze.

E non credo che il risorgere di pure immagini mnemoniche in quanto tali abbia necessariamente a che fare con tracce o conduzioni nervose o altro nel cervello. A me sembra perfettamente spiegabile, al-meno in linea generale, con il richiamo, mediante l'associazione, delle immagini corrispondenti ai sensa passati; tuttavia, indubbiamente, spesso sopravvengono complicazioni a causa dell'eccitamento delle conduzioni nervose che le accompagnano nel modo che esporrò più sotto.

Quanto al cervello, concepito come "organo del pensiero", vorrei dire che al contrario, una delle sue funzioni più importanti è quella di liberarci dalla seccatura di pensare.

Permettetemi di spiegare questa asserzione alquanto paradossale. Quando impariamo a fare qualche cosa di relativamente complicato e dif-ficile, come suonare il piano, lavorare a maglia, siamo costretti a concen-trarci (mi servo del linguaggio comune) su ciascun movimento, pensare specificamente a quanto faremo dopo e a fare sforzi non lievi per essere sicuri di compiere i movimenti giusti e non quelli sbagliati; non pos-siamo permettere che la nostra attenzione venga distolta per un solo istante da ciò che facciamo o altrimenti ne risulterebbero le più strane cacofonie o pasticci. Ma un pianista abile può suonare un pezzo a lui familiare mentre parla o pensa a qualche cosa di completamente diverso, e può anche leggere della musica che non conosce mentre parla ecc,

Psicologia in generale 151

purché non sia troppo difficile. Solo quando desidera fare un'esecuzione che non sia puramente meccanica, quando si trova davanti a un pas-saggio difficile, egli si rifa attento e si concentra sulla esecuzione. In misura minore lo stesso vale per altre innumerevoli azioni, dal cammi-nare all'andare in bicicletta e così via, che incominciano con l'essere deliberate e pensate e finiscono per essere quasi automatiche.

Questo, a me sembra, è il tipo di lavoro che spetta al cervello, nelle sue capacità esecutive * : eseguire le azioni lasciando così agio alla mente di "pensare" nel senso proprio della parola. Per "pensare" intendo la successione nella coscienza di gruppi di idee ecc, sotto l'influsso dei legami associativi e (possiamo dire) di qualsiasi altro contributo da parte di altre menti

questi evidentemente possono essere molto importanti

che possano provenire da processi telepatici. Se il cervello non eser-citasse questa azione benefica, saremmo costretti a dedicare tutta la nostra attenzione alle più futili azioni della vita quotidiana e non po-tremmo dedicarne alcuna ad attività più interessanti.

Naturalmente, la maggior parte di quanto ho testé esposto non ha nulla di nuovo, poiché tutti gli psicoioghi sono d'accordo nel delegare certe funzioni ai centri "inferiori" del cervello e parlano di centri "supe-riori" liberi di dedicarsi ad altro lavoro; ma il concetto che la mente, pur rimanendo quella specie di meccanismo ordinato che ci vien sug-gerito dalla teoria degli psiconi, possa essere capace di "pensare" per suo conto, per così dire, e più o meno indipendentemente dal corpo, ci apre la via ad interessanti possibilità. Evidentemente vi è un limite al numero di oggetti distinti di misura definita (cioè cellule cerebrali) che possono essere contenuti in un determinato spazio (la scatola cranica) e al numero di collegamenti utili che possono avvenire tra di loro; di modo che, se il pensiero dipendesse solo da loro, vi sarebbe un limite al numero di pensieri che un uomo può fare, cioè al numero di idee-tipo, per così dire, che possono formare il campo della coscienza, sebbene que-sto limite sarebbe indubbiamente elevato, come evidentemente è. Ma se

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non vi è un limite al numero di associazioni che possono avvenire fra gli psiconi, e nulla sta a indicare che ve ne sia, allora non vi è neppure un corrispondente limite del contenuto della mente (il numero degli psiconi collegati che la compongono) o degli schemi in cui essi possono disporsi. In altre parole, non vi è limite sia alla quantità di conoscenza che l'uomo può acquisire, sia al suo pensiero, tranne quello derivante

1 Mi rifiuto categoricamente di prendere in considerazione il cervello nelle sue capacità "recettive" o "trasmettitrici". Esse, in quanto si ricollegano alla pura fisiologia degli organi sensori ecc, non ci riguardano in questo momento, sebbene il Thouless ci dia un resoconto quanto mai interessante e prezioso sulle tendenze del pensiero contemporaneo. 152 Psicologia in generale

dal numero finito di sensa ed immagini che egli raccoglie nel corso della sua vita o che comunque vengono a sua disposizione

La maggior parte della materia prima, naturalmente, è fornita dai sensa, e qui gli organi sensori e il cervello hanno una parte importan-tissima; ma possiamo essere certi che questa materia prima può essere aumentata, in una certa misura, dai collegamenti telepatici con altre menti. Inoltre, il pensiero può indurre all'azione, e l'azione ad aumento di esperienza, e questa ad altro pensiero, di modo che si produce una specie di processo rigenerativo; così, fino a un certo punto, più il corpo è capace di azioni varie e più sono le occasioni di pensieri varianti che si offrono alla mente. Ho il sospetto che il limite imposto dalla natura del corpo umano e del sistema nervoso alla quantità e alla varietà delle esperienze sia la ragione principale, e forse l'unica, del basso sviluppo mentale degli animali anche superiori: non già qualcosa di inerente ai loro sistemi di psiconi. In particolare, sospetto che gli animali man-chino quasi completamente di questa esperienza attraverso terzi, e di quel potere di creare una specie di situazione sperimentale in miniatura che a noi è dato per mezzo della parola, sebbene non riesca a vedere perché debba essere impossibile (come apparentemente sembra che sia) che gli animali, attraverso il processo evolutivo, non sviluppino i centri del linguaggio. Ma questa è una disgressione.

Ad ogni modo, supponendo che la teoria degli psiconi sia corretta, sembrerebbe che non vi sia praticamente bisogno di imporre limiti allo sviluppo mentale dell'uomo derivanti dalle dimensioni finite del suo cer-vello (come è suggerito dal Wells e da altri) e che non dobbiamo preoc-cuparci, come fa il Tilney, di sapere se vi sono possibilità di aumentare questo sviluppo.

76. Possibilità di servirsi del metodo matematico.

Affronterò ora una questione che a me sembra, in linea di principio di grandissima importanza, sebbene per ora ben poco sia stato fatto in questo campo, e che posso illustrare solo con un piccolo esempio incompleto. Si tratta della possibilità offertaci dalla teoria degli psiconi di usare i metodi teo-rici, particolarmente quello matematico, per lo studio dei problemi che invece, basandosi sulle teorie delle "cellule cerebrali", non potevano essere studiati con questi metodi o che, ad ogni modo, non erano mai stati studiati.

Considerate il problema anche troppo familiare del dimenticare ': tutti sanno che più è il tempo trascorso da quando abbiamo fatto o impa-

1 Questo resoconto è deliberatamente semplificato a scapito dell'esattezza; di conseguenza deve essere preso solo in quanto illustrazione del principio implicato.

Psicologia in generale 153

rato una cosa, meno sono, in generale, le probabilità di ricordarla, seb-bene, naturalmente, si possano ricordare molto nitidamente alcuni avve-nimenti assai remoti. Gli esperimenti dimostrano che quando un soggetto impara una certa quantità di materiale adatto, la quantità che egli ricorda nei successivi tentativi di ripeterlo diminuisce con un andamento parti-colare, cioè relativamente più presto da principio e più lentamente in seguito \ Questo è il tipo di andamento prevedibile in base all'esperienza

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generale, in quanto qualunque altra quantità ha dimostrato di deterio-rare nello stesso modo. Ma quando si cerca di spiegarlo in termini di proprietà date per ammesse, quali le conduzioni nervose e affini, ciò è tutt'altro che facile. Se si suppone che la capacità di ricordare dipende dalla conservazione di qualche cosa come le "tracce" fisiche del cervello e che il dimenticare sia dovuto alla graduale obliterazione o colmarsi di queste tracce, si dovrebbe prevedere (ad esempio) che il ricordo di un fatto relativamente lontano sarebbe non tanto meno probabile quanto più debole; l'esperienza dimostra il contrario; perché tutti sappiamo come date circostanze possono far ricordare nitidamente un incidente che credevamo di aver completamente dimenticato. Se fosse una que-stione di un'improvvisa e totale rottura di alcuni legami nervosi, allora dovremmo prevedere che un fatto, una volta dimenticato, sarà dimenti-cato per sempre, e questo di nuovo è in contrasto con la realtà. Inoltre, Jenkins e Dallenbach dimostrarono che durante il sonno il processo di dimenticare è o arrestato o molto rallentato, di modo che non si può dire che esso sia dovuto a mutamenti chimici che seguono il loro corso indipendentemente dal fatto che si sia psicologicamente attivi o meno.

In breve, sembrerebbe che (usando una metafora un po' violenta) i fatti non siano tanto perduti o consumati, quanto portati su un'altra strada. O, anche meglio, che diventino sempre meno accessibili, come le uvette mescolate nell'impasto di una torta.

Ora, la situazione degli psiconi che vengono costantemente e diver-samente associati in nuovi campi di coscienza, e quindi legati associati-vamente con altri psiconi, non è molto diversa da quella delle uvette mescolate in una torta. Se lo psicone "E", ad esempio, viene prima asso-ciato solo con "A" e "B", ma poi anche con "C" e "D", e poi ancora con "F" e "G", le probabilità che esso sia seguito da "A", dopo la prima associazione, saranno del 50 per cento; ma solo del 25 per cento dopo la seconda associazione e solo del 12 e mezzo per cento dopo la terza. Cioè a dire, le probabilità di ottenere "A" quando si presenta "E" declineranno gradatamente con rapidità decrescente, il che all'ingrosso è

1 II modo particolare con cui procede viene chiamato "esponente di decli-no", ma qui il nome non ha importanza. 154 Psicologia in generale

quanto si verifica quando si dimentica materiale imparato o quando si ha l'effetto di spostamento di cui ho parlato a pag. 53 e segg.

Non voglio annunciare troppo presto i risultati di un lavoro che è appena stato iniziato, ma sembra già ragionevolmente certo che, con un minimo plausibile di presupposti circa le proprietà associative degli psiconi e del modo con cui le idee in questione probabilmente si pre-sentano in pratica ecc, sarà possibile dedurre solo da queste proprietà presupposte i fatti del dimenticare e dello spostamento registrati dal-l'osservazione. Probabilmente si troverà più di una serie di presupposti capaci di dare i risultati corrispondenti ai fatti osservati; se è così, naturalmente si cercherà di dedurre altre conseguenze per poi dimostrarle con gli esperimenti.

Questo, nel modo con cui lo abbiamo enunciato, non sembra terri-bilmente interessante, ma credo che lo sia, perché significa che potremo indagare le proprietà generali dei sistemi di psiconi in quanto tali, sulla sola base di presunte (e provate) proprietà degli psiconi stessi e delle loro interassociazioni, esattamente come si possono indagare le proprietà dei sistemi di onde, di cariche elettriche o di masse soggette alla forza di attrazione.

In particolare, dovrebbe essere possibile indagare la stabilità dei sistemi di psiconi e determinare in quali condizioni essi tendono a dive-nire sempre più legati e coerenti da un lato, o a separarsi, suddividersi e disgregarsi dall'altro. Fra poche pagine risulterà evidente la grande importanza del fatto di poter studiare teoricamente questo genere di pro-blemi, e avrò ancora altro da dire quando discuteremo del significato, delle prospettive e delle probabili condizioni della sopravvivenza.

77. Gruppi di psiconi nell'ambito della mente.

Una volta affer-rato bene il concetto della mente quale un sistema o una struttura di

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psiconi tenuti insieme da legami associativi, un gran numero di fatti più o meno familiari trovano posto nel quadro generale; almeno, questo è vero non appena ci rendiamo conto che alcuni psiconi devono per forza essere legati fra di loro più strettamente di altri, di modo che si costituiscano dei gruppi nel quadro del sistema principale.

Non si contesta che la ripetuta co-presenza in un campo di co-scienza rafforza il "legame" o la "forza" associativa fra due o più psiconi, di modo che, se uno di essi viene nuovamente presentato, l'altro o gli altri hanno maggiori probabilità di accompagnarlo o seguirlo che non se fossero stati co-presenti meno frequentemente. Questo è tutto quanto intendiamo dire (e credo che sia tutto quanto possiamo intendere) quando parliamo di "forza di un legame". Naturalmente possono esservi altri fattori che influiscono sulla forza dei legami, quali, ad esempio, l'intensità degli stimoli determinanti i sensa che possono esservi coinvolti; né si

Psicologia in generale 155

può dubitare che i componenti emotivi vi abbiano una parte importante, sebbene abbia il sospetto che la loro importanza sia solo dovuta al fatto che forniscono un numero maggiore di psiconi in una parte del gruppo intorno al quale gli altri, per così dire, si appoggiano. Comunque sia, il fatto importante è che gruppi di idee ecc. devono per forza formarsi, e di fatto si formano, nelle condizioni abituali della vita quotidiana.

Questi gruppi o sistemi, naturalmente, possono variare in comples-sità in modo quasi inconcepibile, dai più elementari, quali due sillabe senza senso che si possono imparare all'uopo, all'abbondante massa di immagini che viene in mente quando è pronunziata la parola "Francia". È anche evidente, in linea di massima in base all'esperienza comune, che essi possono differire enormemente non solo riguardo alla proporzione numerica e al contenuto, ma anche riguardo alla coerenza, alle qualità emotive e al grado di isolamento rispetto agli altri componenti del si-stema totale.

Esempi di questo genere di cose sono abbastanza comuni, in forma blanda, nella vita di quasi tutti. Abbiamo un gruppo di "interessi", come li chiamiamo, concentrati intorno al nostro lavoro, un altro intorno alla nostra casa, un terzo intorno ai nostri divertimenti e così via; ed è un fatto comunissimo vedere una persona con caratteristiche completamente diverse nelle diverse occasioni. In questi casi possiamo pensare che i gruppi di idee ecc. siano legati dal loro frequente ricorrere insieme con i sensa suscitati dalle situazioni esterne, l'ufficio o la fabbrica, la casa e la famiglia, il campo di golf o il campo del football ecc.

Abbiamo anche diversi "stati d'animo", di allegria e di depressione, di irritabilità o di socievolezza; indubbiamente anche qui l'ambiente esterno costituisce un fattore, ma le principali parti che ne costituiscono il nucleo sono probabilmente particolari sovrapposizioni delle sensazioni corporali dovute al nostro stato di salute.

Solitamente ciascuno di questi stati d'animo o aspetti diversi del carattere, come si usa chiamarli, hanno infiniti rapporti con le altre parti del sistema totale, e la mente, nel suo complesso, è sufficiente-mente coerente e "ben integrata", come si suoi dire. Ma pare abbastanza evidente che può non essere sempre così, e che talvolta un gruppo di idee possa divenire, per così dire, esiliato e stabilire una sua vita a parte, semi-indipendente.

C'è ancora molto da studiare riguardo alla natura esatta dei mec-canismi che dobbiamo presupporre per poter spiegare questo fatto, ma credo sia possibile almeno intuire abbastanza chiaramente il modo con cui questo si produce.

Nessuno, credo, può ragionevolmente dubitare che ricordare o pen-sare a una situazione equivalga, almeno parzialmente, al ritrovarsi effet-tivamente in quella situazione, sebbene, naturalmente, il ricordo o Firn- 156 Psicologia in generale

magine ne sia assai diluita, per così dire, dai sensa dell'ambiente circo-stante; e in misura corrispondente i meccanismi del corpo vengono messi in azione o aggiustati per adattarsi ad essi. Questo, come prevedibile, lo si può notare particolarmente nelle espressioni di stati emotivi: è abba-stanza comune sentir dire dalla gente "divento tutto rosso (dalla vergo-

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gna) ogni volta che ci ripenso" o "il solo pensiero di una data cosa mi fa ribollire il sangue". In misura minore i muscoli del corpo hanno la tendenza a prepararsi ad agire in conformità con la situazione rievocata o immaginata; non vi è azione palese, ma è come se il corpo avesse rice-vuto l'ordine di "prepararsi a tirare un calcio" o di fare qualsiasi altro gesto appropriato alla circostanza.

È facile vedere che azioni adatte a una situazione possono essere l'opposto per un'altra, e quindi anche il debole aggiustamento preli-minare suggerito da una serie di idee può essere incompatibile con quello suggerito da un'altra serie di idee. Evidentemente non sarebbe difficile

anzi, credo che sia già stato fatto in parte

spiegare, seguendo questo concetto, l'impossibilità, o quasi, che due idee o gruppi di psiconi, "A" e "B", siano presenti simultaneamente nello stesso campo di coscienza; e questo provvederebbe la base per costruire intorno a ciascuna idea, che ne sarebbe il nucleo, un sistema isolato dagli altri. In tal caso po-tremmo trovare un ben marcato alternarsi di "A" e di "B"; o, in con-dizioni alquanto diverse, potrebbe accadere che un particolare sistema "X" non possa entrare affatto nel campo di coscienza o possa entrarvi solo eccezionalmente.

Ne concluderei che se questo tipo di procedimento agisce, sia pure in misura minima ma intensamente, arriviamo ai "complessi rimossi" della psicoanalisi; se agisce in misura più vasta, ma meno intensamente, abbiamo i cattivi umori ecc; se opera estensivamente e intensamente, possiamo avere, a seconda delle circostanze particolari, uno qualsiasi dei vari tipi di "dissociazioni", dalla blanda e ampiamente controllabile scrit-tura automatica, fino ai fenomeni di "personalità multiple" come i casi Beauchamp, Doris Fisher ed altri.

78. Personalità multiple.

Ritengo opportuno dedicare alcuni paragrafi ai fenomeni di questo tipo a beneficio di coloro che non ne sono al corrente, tanto per indicare di che cosa sto parlando, sebbene a volerne dare un resoconto che non sia superficialissimo sarebbe necessario molto più spazio di quanto non mi possa permettere.

Alcune persone normalissime si accorgono che, se prendono una matita e un pezzo di carta per mettersi a scrivere, e si siedono e rila-sciano la mente, dopo qualche tempo la mano che tiene la matita inco-mincia a muoversi senza che essi ne siano coscienti e può scrivere parole

Psicologia in generale 157

o frasi intelligibili apparentemente per volontà propria \ Solitamente si crede che l'azione dello scrivere emani da un'altra personalità che non sia quella di chi tiene in mano la matita e, con appena un po' d'inco-raggiamento, che essa sia ispirata dallo "spirito" di un defunto o da altra entità disincarnata; ma non vi è motivo per non supporre che almeno l'operatore immediato non sia altro che un frammento parzial-mente isolato della personalità normale, cioè una specie di sottosistema di psiconi. Nei casi meno accentuati la personalità normale può essere appena toccata o trovarsi semplicemente in uno stato di "distrazione"; ma nei casi-limite la persona in questione può entrare in uno stato di profonda trance, come la nota medium, signora Piper. Questo genere di fenomeni è chiamato "automatismo", perché l'azione in questione (cioè quella dello scrivere) sembra automatica, nel senso che la personalità normale non sa che cosa sta scrivendo e non può controllarlo.

Un'altra forma è quella della parola automatica, che varia dalla "parola ispirata", nel quale fenomeno la persona parla in uno stato normale o quasi, ma non controlla pienamente ciò che sta dicendo, al completo stato di trance comunemente associato alla "medianità" spi-ritistica.

Queste due forme di automatismo hanno fornito la maggior parte delle prove addotte a favore della sopravvivenza umana dopo la morte, perché (come è ben noto) le scritture o le parole spesso contengono notizie che, a prima vista, non sembra possano essere note al soggetto, mentre sono invece caratteristiche di una persona deceduta. La lette-ratura seria su questo argomento, e particolarmente i Proceedings della "English" e della "American Society for Psychical Research" sono pieni di studi complicati e profondi di questi casi, presi principalmente da

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questo punto di vista; ma in questo momento essi mi interessano solo in quanto esempi di cambiamento di personalità, senza riferimento al-l'eventuale origine di alcuni dei fatti osservati.

In tutti o quasi tutti questi casi è inteso che, sebbene il contenuto della scrittura ecc. non sia controllato dal soggetto, l'inizio o l'entrata in trance sono effettuati deliberatamente nel modo solito2. Ma vi è un'altra categoria di casi, ovviamente non del tutto dissimili, in cui, sia in conseguenza di un incidente o di uno shock sia per nessun motivo apparente, improvvisamente tutta la personalità cambia, anche in misura molto marcata. Talvolta si riscontra una perdita più o meno completa

1 Si può osservare lo stesso genere di fenomeni in Planchette nella tavola di Ouija o il "gioco del bicchiere e delle lettere".

2 Tuttavia mi sono imbattuto in un caso, e non è il solo, in cui l'impulso a scrivere era così forte che la vittima si alzò in piena notte per soddisfarlo. Cito questo esempio semplicemente come avvertimento a coloro che eventualmente si imbarchino a cuor leggero in questo genere di attività. 158 Psicologia in generale

della memoria fino a un certo periodo della vita e la personalità si rico-struisce, per così dire, dal punto in cui la memoria cessa; talvolta due o più personalità distinte si alternano e possono non solo differire ma essere addirittura antagoniste l'una dell'altra. In alcuni di questi casi, rari ma non del tutto sconosciuti, la personalità secondaria sostiene di essere qualcuno di diverso dalla persona stessa o di essere in "comuni-cazione" con qualche entità disincarnata. Anche su questo argomento esiste una vasta letteratura, ma non intendo qui entrare in particolari.

79. Apparente possessione demoniaca.

È evidente che questo genere di fenomeni poteva facilmente dare origine, e probabilmente dette origine, alla credenza della "possessione" demoniaca, e come tale mi sembra intimamente collegato con i casi estremi di particolari stati d'animo. Non credo che chi abbia osservato da vicino un caso molto marcato di gelosia patologica, ad esempio, possa dubitare che vi sia soluzione di continuità fra tali stati d'animo e i casi di personalità secondaria, o che sia naturale, per chi vi crede, di parlare a questo pro-posito di possessione demoniaca. Avrò molto da dire al riguardo più avanti, perché ciò ci porterà a considerazioni molto importanti, ma per il momento devo lasciare la questione da parte.

La mia opinione è che tutti questi vari cambiamenti di personalità, dalle forme secondarie di automatismo agli stati di trance medianici, e dalle piccole variazioni di stato d'animo alle personalità secondarie vere e proprie, sono fondamentalmente della stessa natura e hanno la stessa origine, cioè che esse derivano dall'azione di un sistema di psiconi più o meno isolato nell'ambito del sistema principale che costituisce la mente o la personalità nel suo complesso. La grande varietà di diversità che esiste fra di essi dipenderà dalla natura e dal numero degli psiconi che compongono il sottosistema, dalla maggiore o minore intensità di asso-ciazione e dal grado di isolamento (cioè dal numero e dalla natura dei loro legami diretti o indiretti con il resto del sistema totale) e non da una diversità fondamentale di specie.

Così la teoria psiconica della mente ci fornisce il modo per trat-tare una grande varietà di fenomeni che sarebbe assai difficile studiare utilmente in termini di psicologia fisiologica.

Ma torniamo ai demoni. Una persona inesperta direbbe "il tale è posseduto dal demonio"; noi professiamo non credere ai demoni, tuttavia possiamo benissimo dire "il tale si comporta come se fosse posseduto dal demonio". Ciò, peraltro, fa presupporre tacitamente che esistano cose come i demoni, che abbiano la capacità di possedere e le cui proprietà ci siano familiari; altrimenti potremmo dire egualmente "il tale è cosato dal coso" o qualsiasi altra frase senza senso. Pochi, oggigiorno, ammettono l'esistenza di entità indipendenti

Psicologia in generale 159

provviste di corna e di coda e delle altre caratteristiche del demonio tradizionale. Si potrebbe qui obiettare che ciò prova come simili os-

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servazioni, appunto, non abbiano senso e non siano degne di essere prese ulteriormente in considerazione; ma credo che questo ci farebbe tralasciare un punto degno di nota.

Non sono le corna e la coda le proprietà importanti dei demoni, ma le loro tendenze maligne, che fanno sì che le loro vittime si com-portino in modo violento e irrazionale. Ma abbiamo appena stabilito che questo comportamento è dovuto a un tipo speciale di sottosistema di psiconi. Cioè a dire, tale sistema ha tutte le prerogative del "de-monio" o dello "spirito maligno" tradizionali e quindi può logica-mente essere sostituito ad essi, per quanto si riferisce al comporta-mento della vittima. A parte le corna, gli zoccoli ecc, che non hanno alcuna importanza, questo sistema non può sostituire lo spirito mali-gno o il demonio tradizionale solo perché non possiede le proprietà: a) di essere talvolta percettibile, b) di esistere indipendentemente da qualsiasi mente e e) di essere permanente.

Per quanto riguarda la prima proprietà, non vedo ragione perché sistemi di psiconi molto sgradevoli, in maggior parte composti di psi-coni che rappresenano odio, bramosia, gelosia, ira ecc. non debbano associarsi strettamente con determinate persone o luoghi, press'a poco nello stesso modo da me suggerito per i fantasmi; in tal caso, alla vista di queste persone, luoghi ecc, essi avranno la tendenza a presentarsi nello stesso modo con cui si presentano quelli che danno origine alle apparizioni o ai fantasmi, e non vedo nessuno speciale motivo perché "purché la prima volta siano accompagnati da immagini visive, essi non debbano talvolta esternalizzarsi eideticamente". Questo spiegherebbe gran parte delle tradizioni popolari a questo riguardo e alcune delle osservazioni più curiose fatte da chi si occupa di occultismo, senza bisogno di eliminarle come inqualificabili sciocchezze.

La questione della permanenza evidentemente dipende in gran-dissima parte dalla stabilità del sistema, di cui avrò ancora da parlare più avanti. Non si può dire che gli stati d'animo transitori della vita quotidiana, di cui non ve ne sono due esattamente eguali, abbiano sta-bilità o permanenza; mentre invece stati d'animo ricorrenti che si rassomigliano molto fra di loro ogni volta che ricorrono, come gli stati di trance dei medium ecc, evidentemente hanno una notevole dose tan-to di stabilità che di permanenza. Quindi sembrerebbe che la differenza sostanziale, dato che ve ne sia una, fra il gruppo di psiconi e il demone tradizionale sia quella dell'esistenza indipendente o autonoma 1.

1 Tutto quanto ho detto a questo proposito si applica egualmente alle con-dizioni benigne ("angeliche") ecc. come alle maligne. 160 Psicologia in generale

Ciò fa sorgere una questione estremamente importante che voglio discutere con attenzione, sia per se stessa sia perché è collegata agli argomenti che discuteremo più avanti.

80. Non isolamento delle menti "individuali"

Fino a tempi relativamente recenti, i nostri tentativi per pensare intelligentemente alla mente umana ed ai suoi rapporti con il resto dell'universo

si potrebbe quasi dire "agli esseri umani ed ai loro rapporti ecc."

erano ostacolati dal concetto, accettato quasi universalmente, che le cosiddette menti, carattere o personalità individuali erano entità essen-zialmente non comunicanti, molto complesse e variabili, senza dubbio, ma ciò non di meno di un genere che era opportuno e anzi necessario pensare come un'unità. La vostra mente, nonostante la bruttura dei suoi recessi nascosti, era un'altra unità; quello strano groviglio di irra-zionalità che conduce sulla mala via il povero Jones, un'altra, e così via. Esse potevano comunicare fra di loro solo per mezzo dei sistemi indi-retti della parola, della scrittura ecc.

Questa concezione va scomparendo rapidamente per, credo, non far più ritorno. Lo studio del fenomeni del genere che ho testé men-zionati, insieme con tutto il complesso di lavoro delle scuole di psico-analisi, rende perfettamente evidente che, qualunque cosa possa essere la cosiddetta mente individuale, essa non è certamente unificata, e solo talvolta appena unitaria. Tutt'al più essa sembra accostarsi alla natura di una federazione di repubbliche semi-autonome, con anche

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troppe minoranze clamorose, assai più che non a quella di uno stato tranquillo e sovrano a cui preferiremmo paragonarla. Credo che su ciò non vi possa essere alcun dubbio.

D'altra parte, è evidente che, dal momento che accettiamo come dato di fatto la telepatia e qualsiasi teoria su di essa che non la ponga precisamente sullo stesso piano della parola o della scrittura, noi abbat-tiamo immediatamente i divisori dei compartimenti stagni che un tempo si credeva separassero una mente dall'altra. Se un'idea "accessibile alla" mia mente (che cioè fa parte di essa) è resa accessibile alla vostra per mezzo della sua associazione con un'idea "K" comune a entrambi, allora l'idea diventa tanto una parte della vostra mente quanto della mia, e non sarà più il caso di parlare delle nostre menti come di cose com-pletamente separate. Potrà darsi benissimo che il legame sia molto sottile e tenue in confronto ai legami che uniscono insieme le parti che compongono rispettivamente la vostra e la mia mente inter se, ma non sta qui il punto. Il punto è che d'ora innanzi la "separazione" e "l'individualità" cessano di essere discutibili in termini di sì o no e diventano solo una questione di misura. La misura dipenderà, presu-mibilmente, dal numero delle parti componenti le nostre due menti

Psicologìa in generale 161

legate ad idee "K" effettive, e questo numero, di regola, sarà piccolo in confronto al numero ed alla forza dei legami interni '; ma non si può evitare di giungere alla conclusione che, in linea di massima, fra le diverse menti individuali esiste precisamente lo stesso genere di rapporti che esiste fra i sottosistemi di quella che chiamiamo una stessa mente.

Chiariamo questo concetto: direi che la Mente in generale con-siste nell'aggregato complessivo formato da tutti gli psiconi esistenti; che le menti individuali consistono in grappoli di psiconi. relativamente grossi e intimamente associati, riuniti intorno ad alcuni nuclei; e che gli stati d'animo, le personalità secondarie ecc, che si dice risiedano in una mente individuale, sono sostanzialmente grappoli analoghi, ma, parlando in generale, più piccoli e più deboli raggnippati attorno ad altri nuclei.

Inoltre, qualsiasi sistema o aggregato di psiconi, grande o piccolo che sia, entro una mente e fra diverse menti, possederà precisamente tanta autonomia, indipendenza, intelligenza, finalità e così via, quanta ne deriva in effetti dalla natura e dai rapporti esistenti fra gli psiconi che lo compongono e dalla natura e dalle proporzioni di legami con altri sistemi e null'altro.

So di ripetere una cosa già detta, ma non ne chiedo scusa, perché sono convinto che questa è la chiave di profonda e fondamentale im-portanza che ci permetterà di capire una quantità di problemi essenziali.

Se questa asserzione non è una sciocchezza, sarà superfluo discu-tere se un "demone" e un "angelo" siano

o se un "sistema di psiconi" non sia

per loro natura "indipendenti" o "autonomi". La questione è di vedere se, effettivamente, il sistema di psiconi (che, abbiamo visto, eserciterà la stessa parte che prima facevamo eserci-tare dal tradizionale demone o angelo) è più strettamente legato con la mente individuale dalla quale è stato originato di quanto non lo siano le menti individuali in generale fra di loro. Nella maggior parte dei casi, se non in tutti, la risposta presumibilmente è che sia più strettamente legato; ma non vedo in teoria nessuna ragione perché necessariamente debba esserlo.

1 In questa frase ho inserito la parola "effettive" dopo "K" al fine di ovviare alla necessità di discutere perché non vi è un numero maggiore di appa-rente unità di quanto non appaia. Questo ci porterebbe troppo lontani con que-stioni puramente tecniche, ma credo che troveremmo che si tratta all'incirca della "influenza eliminatoria" che avevo in mente quando dicevo che udire molte per-sone che parlano contemporaneamente equivale esattamente a non udire nessuno. 162 Psicologia in generale

81. "Controlli" medianici.

Tenendo presenti queste conside-

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razioni, passiamo ora a un caso più interessante circa la dubbia indi-pendenza di un sottosistema di psiconi.

Quando una medium spiritista cade in trance, essa diventa, come si suoi dire, "controllata" da una personalità (che non è la sua perso-nalità normale), la quale solitamente si presenta come lo "spirito" so-pravvivente di un essere umano deceduto, sebbene talvolta sia sempli-cemente una "entità disincarnata" senza antecedenti terreni. Questi "controlli", come vengono chiamati, agirebbero da intermediari fra l'interrogante e il supposto "spirito" (per esempio di un amico o di un parente deceduto) con cui egli cerca di comunicare o che si suppone cerchi di comunicare con lui. Il fatto che questi spiriti spesso si iden-tificano con nomi molto strani e facciano osservazioni anche più stra-ne non ha importanza ai fini dell'attuale studio, che si occupa di essi solo in quanto manifestazioni psicologiche. Noti esempi di integrità inattaccabile1 sono quelli di "Phinuit", di "Rector" e di " Imperator" delle trance della signora Piper, la "Feda" della signora Leonard, "Uva-ni" della signora Garrett e "Topsy" della signora Warren Elliot.

Fra gli spiritisti ed i critici vi sono state (non vi è quasi bisogno di ricordarlo) violentissime controversie sulla questione se questi con-trolli siano o non siano le entità disincarnate che essi professano di essere. Mettendo da parte, come è consigliabile, i fanatici ignoranti delle due parti (cioè circa il 95 per cento dei disputanti), credo che gli studiosi più seri di questa materia siano d'accordo nel riconoscere che le prove sono tutte a favore dell'idea che questi "controlli" siano di natura analoga alle personalità secondarie dei loro medium, e che abbiano poco o nessun diritto ad attribuirsi un'esistenza indipendente quale la si concepisce solitamente. Personalmente ritenni (e continuo a ritenere) di essere riuscito abbastanza bene ad individuare la parte di questa concezione che si riferisce alla personalità secondaria, almeno nel caso di Feda, mediante alcuni esperimenti sulle personalità di trance che eseguii alcuni anni fa. Riassumendo al massimo un proce-dimento assai complicato, questo esperimento va condotto all'inarca così: sottoponete il vostro medium in stato normale ad un'ordinaria prova di associazioni di parole, e cioè: chiamate una per una cento parole di una lista e pregate il medium di rispondere a ciascuna il più rapidamente possibile con la prima parola che gli viene in mente; registrate le risposte naturalmente, ma soprattutto misurate con un cronometro quanto tempo passa fra il momento in cui voi pronunciate

1 Con ciò non intendo dire che i "controlli" siano necessariamente ciò che pretendono di essere, ma che non vi è dubbio della buona fede dei medium ai quali essi si presentano quando questi sono in trance.

Psicologia in generale 163

una parola e quello in cui il medium risponde (cioè il "tempo di rea-zione"). Fate questo ripetutamente in diverse occasioni, in modo da ottenere una buona media dei tempi di reazione. Vi sono buone ragioni per ritenere che un tempo di reazione protratto oltre la media indichi che la parola pronunciata ha colpito un gruppo di idee di inte-resse emotivo superiore al normale per la vittima, cioè un "complesso" 0 qualche cosa del genere, di modo che, se escludete dalla vostra lista, per quanto è possibile, tutte le parole di interesse emotivo universale, la media del tempo di reazione sarà più o meno caratteristico della composizione mentale del vostro soggetto.

Quindi procedete nello stesso modo con il medium in trance e sotto l'influsso dei "controlli", ed otterrete un'altra media di tempi di reazione. Poi confrontate le due medie \ Evidentemente, se i tempi di reazione del medium sotto l'influenza del "controllo" sostanzial-mente hanno lo stesso andamento di quelli del medium in stato nor-male, ne concluderete che la personalità secondaria non è altro che lo stesso medium appena camuffato; mentre invece, se gli andamenti fossero collegati fra di loro solo da analogie casuali, avreste l'impres-sione che il diritto di indipendenza arrogato dal "controllo", almeno in una certa misura, può essere sostenuto.

Quando condussi questo esperimento con la signora Leonard (stato normale) e con Feda, ottenni un risultato molto strano e inaspettato. 1 tempi di reazione di Feda non mostravano ciò che i matematici chia merebbero una correlazione significativamente positiva con i tempi di

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reazione della Leonard in stato normale; cioè Feda non aveva la ten denza a dare tempi di reazione eccessivamente lunghi o eccessivamente brevi per le stesse parole per cui li dava la Leonard; né i due anda menti avevano analogie casuali, come potrebbero averle quelli di due persone assolutamente diverse (parlando ipoteticamente). Fatto abba stanza strano, i tempi di Feda avevano la tendenza ad essere lunghi quando quelli della Leonard erano brevi, e brevi quando quelli della Leonard erano lunghi. Per servirsi di un'esemplificazione casalinga, essi combaciavano più o meno come le due parti di un biscotto spezzato. Questo, credo, sia una dimostrazione ancora più calzante del fatto che la personalità di Feda non era indipendente da quella della Leonard di quanto non lo sarebbe se i tempi di reazione si fossero corrisposti,

1 Sono convinto che questo tipo generale di indagini, cioè sottoporre perso-nalità normali ed in trance ad adatti esami psicologici, sia fondamentalmente serio e passibile di ampie ed utili applicazioni. Gli esperimenti cui qui mi rife-risco, presi nel loro insieme, furono un fiasco principalmente a causa della mia inettitudine in fatto di statistica, ma credo che non si possa dubitare della serietà della particolare conclusione a cui sono giunto riguardo alla signora Leonard e Feda che è la sola cosa che mi interessi ai fini attuali. 164 Psicologia in generale

cioè lungo a lungo e breve a breve. Non sarebbe molto difficile inven-tare una storia qualsiasi abbastanza plausibile per dimostrare che la personalità della Leonard può aver "imposto" il suo andamento alla personalità di Feda, se si suppone che questa agisse "attraverso" la prima; ma sarei contento se riuscissi a capire in che modo essa potesse imporre la immagine complementare o rispecchiata di se stessa, per così dire, su qualche cosa!

Ne conclusi, quindi, non senza ragione, che Feda non era altro che una personalità secondaria della Leonard, e continuo a crederlo; come credo che non sia mai stata in India 1 più di quanto non vi siano stati i personaggi di uno dei piacevoli romanzi della signora Penny; tuttavia non ho più la certezza di un tempo che si possa usare le parole "non altro che" senza qualche riserva.

Feda è certamente un ottimo sistema di psiconi, con caratteristiche sue proprie abbastanza bene definite

gentilezza, senso di collabora-zione ecc.

ma di un tipo alquanto infantile. Non ho alcun dubbio che essa sia, per così dire, "fiorita" dal tronco principale della Leonard in stato normale mediante un procedimento molto affine a quello delle rimozioni freudiane, ed è quindi effettivamente una personalità secon-daria. Ma tuttavia mi sembra che una domanda come "Feda è una per-sona vera o solo una personalità secondaria?"

che è la forma in cui verrebbe comunemente espressa

possa essere sbagliata e che non si possa rispondervi con un Sì o un No. In un certo senso essa può benissimo essere e l'una e l'altra. La domanda giusta, ho idea, do-vrebbe essere piuttosto di questo tipo: se il legame esistente fra il sistema Feda e il sistema Leonard in stato normale fosse messo sul piano di quello esistente fra "menti individuali" comuni, potrebbe Feda agire per suo conto? Io credo che in questo caso la risposta do-vrebbe essere "no"; ma, se è no, lo è perché il sistema Feda manca di quei componenti o di quei rapporti necessari per dare stabilità a un sistema di psiconi, non perché vi sia inerentemente qualche cosa di "non vero" in un sistema composto in questo modo piuttosto che in un altro.

Questa concezione, non foss'altro, apre la via a nuove interessanti possibilità.

82. Discussione intermedia.

Temo che il lettore abbia giusta-mente avuto l'impressione che queste ultime pagine avessero, tutto som-mato, carattere troppo speculativo. Non condivido questa sua impres-sione, perché ritengo che anche le speculazioni più arrischiate (non dirò le più "pazze") sono ammissibilissime, purché ci si renda chiara-

1 Pretende essere una giovane indiana morta. Psicologia in generale 165

mente conto che esse sono speculazioni e non affermazioni di fatti; e

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mi basterebbe fermarmi a questo punto. Ma credo che valga la pena cercare di spiegare bene quale sia stato il mio movente in tutta questa temerarietà.

Io non voglio a nessun costo ripopolare il retroterra della psiche con angeli, diavoli e spiriti vari e tutto il caravanserraglio di mostri della superstizione, che la scienza ha con tanta cura sradicato durante questi ultimi duecento anni, sebbene debba confessare che credo si possa trovare, nel corso di considerazioni del genere di quelle da me testé avanzate, una base ragionevole e una spiegazione alle leggende che ancora sussistono e che non sono facilmente eliminabili semplicemente prendendole in giro e negandole. Ancora meno, se possibile, voglio far credere che i soggetti automatici ed i medium stiano di continuo a popo-lare il mondo degli psiconi con i loro grappoli mentali dissociati, anzi credo che questo sia quanto mai improbabile. Ma voglio proprio far capire chiaramente che, se ammettiamo (e non vedo modo di non ammetterlo) che i sensa e le immagini sono cose reali e che esse pos-sono essere legate in gruppi più o meno coerenti ecc. mediante legami associativi (ed altre forze, dato che ve ne siano), le domande che pre-suppongono una risposta definitivamente affermativa o negativa circa le personalità o le menti cessano di rispondere allo scopo e possono indurre, appunto per questo, effettivamente su una strada sbagliata. Se il concetto che ho esposto è minimamente corretto, allora l'unità che agisce psichicamente, per così dire, non è la mente ma lo psicone, come analogamente l'unità che agisce chimicamente è l'atomo o il radi-cale e non la sostanza complessa. Se persistiamo a pensare in termini di "menti" come unità, probabilmente ci perderemo come i primi filo-sofi che cercarono di trattare le sostanze in termini dei quattro elementi: terra, aria, fuoco e acqua.

Adesso farò ritorno al problema della sopravvivenza dopo la morte, che sotto alcuni aspetti occupa una posizione di mezzo tra i fenomeni "dissociativi" della mente di cui ho testé parlato ed i fenomeni "agglo-merativi" o "consociativi"

gruppi di menti ed affini a cui mi pro-pongo di dedicare l'ultima parte di questo libro.

CAPITOLO XI IL PROBLEMA

DELLA SOPRAVVIVENZA

83. Inversione del metodo classico di trattare l'argomento.

Se volessi discutere il problema della sopravvivenza nel modo classico procederei così: incomincerei col passare in rivista le prove di soprav-vivenza, adducendo degli esempi ed esponendo successivamente quelli via via più convincenti. Poi, o forse contemporaneamente, discuterei le ipotesi alternative che possono essere facilmente eliminate; in parti-colare dedicherei speciale attenzione alla telepatia ed alle sue ramifica-zioni, aiutandomi forse con un po' di chiaroveggenza e di precognizione, esaminando attentamente se combinate insieme basterebbero a spie-gare tutti i fatti probativi o se rimane qualche cosa che non può essere spiegata in questo modo. E terminerei con un giudizio finale in bella prosa, nel quale peserei i prò e i contro e ne concluderei che, tutto soppesato, la bilancia pende dal lato delle prove giustificanti la credenza nella sopravvivenza dell'uomo dopo la morte.

Se tutto questo fosse ben fatto, il lettore che credeva già alla sopravvivenza, ne rimarrebbe maggiormente convinto; quello che in-vece non vi credeva incomincerebbe a dubitare di sbagliarsi; ma in entrambi i casi (a meno che egli non abbia una sua opinione ben chiara e irremovibile) avrebbe l'impressione di essersi fatto un'idea al-quanto indefinita su una questione quanto mai precisa.

Non mi propongo tuttavia di adottare questo metodo, in parte perché non ho lo spazio necessario per esporre, sia pure schematica-mente, tutte le prove, ma soprattutto perché ritengo che questo atteg-giamento sia esattamente l'opposto di quello che dovremmo prendere. L'atteggiamento giusto, ritengo, non è quello di dubitare di un fatto definito, ma di avere virtualmente la certezza di un fatto indefinito; cioè a dire, io non dubito (per quanto è umanamente possibile) che in un certo senso ed in una certa misura l'uomo sopravviva alla morte,

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ma non sono affatto certo circa il senso e la misura, o circa il signifi-cato, della sopravvivenza e circa la sua durata. Tenterò ora di spiegare questa enunciazione alquanto enigmatica.

Il problema della sopravvivenza 167

Chiunque abbia studiato l'argomento sa (e chi non l'ha studiato non ha il diritto di esprimere un parere) che le prove in favore della sopravvivenza sono copiosissime e che alcune di esse sono molto con-vincenti. Molte, naturalmente, sono pessime

tanto che non vai quasi la pena di prenderle in considerazione

e disgraziatamente il caso vuole che la maggior parte delle credenze nella sopravvivenza, che non siano quelle derivate dalla fede religiosa o da palese desiderio che esista, si basano su prove del tipo peggiore, quali si ottengono nelle sedute spiritiche non sottoposte a esame critico e pervase di emotivismo; ma ciò naturalmente non pregiudica il valore delle prove migliori.

Queste vanno dalle prove più semplici e accidentali di identità

informazioni ecc. note al supposto "spirito" comunicante ma non al medium o all'automatista

fino ai casi estremamente complicati, come le "corrispondenze incrociate" e gli "indovinelli letterari" l ai quali membri della "Society for Psychical Research" hanno dedicato anni e anni di studi pazienti sottoponendoli al più serio vaglio critico.

Credo non possa esservi alcun dubbio che questa massa di prove è completamente inspiegabile sulla base delle conoscenze acquisite con mezzi normali dagli automatisti o dai medium in causa. Questo è gene-ralmente ammesso dagli studiosi di questa materia, e le discussioni si sono quasi interamente concentrate sulla questione se la cosa sia spie-gabile mediante le ramificazioni abbastanza complesse della telepatia. Alcuni casi possono essere spiegati ovviamente in questo modo. Se vado a trovare un medium, è inevitabile che le idee di morte e di lutto saranno piuttosto pronunciate nella mia mente e che esse saranno associate con altre relative ad amici e parenti deceduti e con le circo-stanze della loro vita; quindi l'"idea di morte" ecc. sarà in grado di agire da idea "K" fra me ed il medium nel modo solito, di modo che la sua personalità "controllata" potrà benissimo afferrare e riprodurre, come "messaggio" probativo, alcuni fatti a me noti e più o meno carat-teristici di un amico deceduto. Non vi è bisogno qui di maggiori particolari.

1 L'aspetto essenziale di questo tipo di prove è che frammenti di una comu. nicazione complessa, dati attraverso due o più automatisti accuratamente isolati, "prendono significato" solo se messi insieme; e talvolta non prima che l'evidente autore della comunicazione non abbia fornito una chiave. Spesso viene esibita una apparente pianificazione e finalità che è difficile attribuire alla personalità secon-daria di un automatista e ancora meno a una combinazione di queste personalità.

Per ulteriori particolari il lettore può consultare i "Proceedings" della Socie-tà; ottimi sommari si trovano nel "Evidence of Personal Survival from Cross-Correspondence" di H. F. Saltmarsh, in "Evidence of Purpose" della Signora Richmond, in "Evidence of Identity" di Kenneth Richmond e nella "Serie di Esperienze Psichiche" di Bell. 168 II problema della sopravvivenza

Spiegare casi più complessi in questo senso evidentemente sarà assai più difficile, e molti studiosi lo hanno ritenuto virtualmente im-possibile. Probabilmente hanno ragione; in quanto a me sono profon-damente convinto che proseguire la discussione in questo senso non porta ad alcuna conclusione. Se partiamo dal presupposto che possano agire la telepatia e la precognizione, come dobbiamo certamente fare, credo che sarà letteralmente impossibile semplicemente divisare, non parliamo poi di ottenere, prove che non contengono una combinazione di telepatia e di precognizione. In altre parole, credo che sia una pura perdita di tempo cercare di stabilire che la sopravvivenza è un fatto esistente in natura andando a scovare delle prove a suo favore che non siano quelle offerte dalla telepatia ecc. Con ciò non voglio dire che queste prove siano prive di valore o che le fatiche di coloro che le hanno raccolte siano vane. Al contrario, credo che siano state prezio-sissime per dirigere la nostra attenzione su ogni sorta di problemi e che, come i "casi spontanei" di cui ho parlato precedentemente, sa-

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ranno ancora più preziose come fonti di informazioni quando vi ritor-neremo sopra con maggiori conoscenze e guardandole dal punto di vista corretto. Ciò che io sostengo, piuttosto, è che il punto di vista sottinteso in questo assalto frontale al problema è, in effetti, completamente sba-gliato, sebbene fosse naturale ed anzi inevitabile, date le circostanze nelle quali lo studio di questa materia si è svolto.

Il mio concetto è questo: che discutere se le prove della soprav-vivenza siano inspiegabili in termini di telepatia ecc, equivale a mettere il carro dinanzi ai buoi, oppure strozzarsi con un moscerino dopo aver ingoiato un cammello, o qualsiasi altra metafora preferiate. Per espri-merci in termini approssimativi, la sopravvivenza è un fatto spetta-colare ma non cruciale, mentre invece cruciale è la telepatia, pur non essendo spettacolare. Il lampo è spettacolare, ma furono le proprietà di attrazione dell'ambra sfregata che aprirono le porte del mondo della meccanica, che non andava né avanti né indietro, per giungere a quello dei fenomeni elettromagnetici in generale; e così sono i fatti della telepatia (a meno che non vogliate spiegarla in termini fisici, il che non si può fare) che sfondano le porte del mondo fisico per aprire la via a quello psichico.

Non credo che mi arrischierei a dire che stabilendo l'esistenza della telepatia

che è inspiegabile in base alla fisica

automatica-mente si stabilirebbe anche quella della sopravvivenza, sebbene, indub-biamente, questo stroncherebbe l'argomentazione essenziale addotta contro la telepatia, e cioè che non vi è "realtà" che non sia quella fisica. Ma se si accettano la teoria associativa della telepatia e la teoria psiconica della mente, la sopravvivenza, in una qualche forma, diventa per lo meno una supposizione assolutamente legittima. Abbiamo già

Il problema della sopravvivenza 169

visto che i sensa e le immagini (gli psiconi) sono la cosa più "reale" che conosciamo, poiché è solo per mezzo di essi che possiamo cono-scere le cose; i fatti della telepatia e della precognizione dimostrano che gli psiconi non sono soggetti alle limitazioni imposte dalla materia, dallo spazio e dal tempo, come lo sono le entità materiali; donde, poiché ad essi non si possono applicare le leggi fisiche, non vi è ragione di supporre

caso mai dovrebbe essere il contrario

che la disso-luzione del corpo comporti necessariamente la dissoluzione del sistema degli psiconi.

Quindi, a parte il fatto di costituire una fonte di informazioni sulla sopravvivenza (il che è già molto importante), la funzione delle testimonianze su questo argomento non è quella di dimostrare, a chi sostiene il contrario, che la sopravvivenza è un fatto comprovato, ma piuttosto quella di indicare, in termini da non lasciare dubbi, se esiste effettivamente. Cioè a dire, una volta ammessa la telepatia (particolar-mente come io la concepisco), non è più questione di discutere sulla possibilità o meno della esistenza della sopravvivenza né di considerare la telepatia come una alternativa; questo perché, per il solo fatto che esiste, sfonda le barriere della materia e dell'energia entro le quali i materialisti avevano cercato di imprigionarci e ci da questa certezza. Credo che ciò risulterà chiaro quando avrò esaminato il secondo aspetto dell'argomento che desidero discutere.

84. Significato di "sopravvivenza".

Come ho già accennato, troppo comunemente si accetta senza discussione quanto intendiamo sia affermando sia negando che l'uomo sopravvive alla morte, e i nostri dubbi si concentrano sulla questione se questo sia vero o meno; mentre invece, a mio vedere, dovremmo preoccuparci di chiarire ciò che inten-diamo per sopravvivenza e non se sia vera o meno.

Si ha la tendenza a presumere che quando chiediamo: "Jones è sopravvissuto alla morte? " poniamo lo stesso genere di domanda non ambigua di quando chiediamo "Jones è sopravvissuto al naufragio?", ma io non credo assolutamente che sia così. La domanda circa la so-pravvivenza al naufragio non è affatto ambigua, perché l'esperienza ci insegna che in tali circostanze la sopravvivenza fisica o c'è o non c'è; non vi è una via di mezzo fra sopravvivenza e non sopravvivenza, la persona è o affogata o è viva. Ma non abbiamo a disposizione prove empiriche che ci guidino nella questione della sopravvivenza della

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mente (o dell'anima) alla morte fisica; e chiedendo una risposta o affermativa o negativa, chiediamo una cosa che non può essere data.

Come ho fatto rilevare altrove \ può darsi che quando chiediamo

1 Confrontare anche Saltmarsh. 170 II problema della sopravvivenza

"l'uomo sopravvive alla morte o è annientato?" poniamo alla natura una domanda impossibile derivante da un'applicazione troppo ingenua di un'analogia, e che in realtà non esiste una vera antitesi del genere che presupponiamo. Per riassumere quanto abbiamo detto: se chiediamo "un elettrone è un'onda o un atomo?" crediamo di fare una domanda non ambigua, perché abbiamo abbastanza familiarità (dovremmo dire) con le proprietà degli atomi e delle onde e ci sembra che non vi sia possibilità di confondere gli uni con le altre. Questo è così perché, nella vita quotidiana, noi ci troviamo invariabilmente in contatto con alcune proprietà degli atomi accompagnate da tutte le altre

e altret-tanto riguardo alle onde

e ne deduciamo che queste concomitanze debbono essere vere universalmente, di modo che osservatene alcune se ne possono dedurre tutte le altre. Ma la Natura non si preoccupa affatto di queste deduzioni, e quando le chiediamo "un elettrone è un'onda o un atomo?" essa può darci solo la risposta alquanto scon-certante "né l'una né l'altro, bensì tutti e due". Può darsi che ponendo la domanda "l'uomo sopravvive alla morte o è annientato?" si esprima un'analoga antitesi sbagliata, e che la risposta che ci da la Natura sia analogamente "né l'uno né l'altro, ma tutti e due".

L'essenza di tutta la questione credo sia che non possiamo dare un risposta netta alla domanda, "l'uomo sopravvive alla morte?" a meno che non si concepisca la mente come una specie di unità indi-visibile che debba o sopravvivere tutta quanta o perire tutta quanta; e, come abbiamo visto, su qualsiasi teoria ci si basi, la mente, certa-mente non è una "unità indivisibile". Di conseguenza dobbiamo rasse-gnarci alla prospettiva che le nostre indagini, in linea di massima, ci diano delle risposte solo condizionali, o graduate, o quantitative.

85. Stabilità del sistema di psiconi come determinante della soprav-vivenza.

Per concludere questo lungo preambolo e arrivare al noc-ciolo della questione: la mente è un sistema di psiconi e la questione se una particolare mente sopravvive alla morte dipende dalla stabilità di questo sistema nelle condizioni successive alla morte, particolarmente per quanto riguarda l'improvvisa interruzione dell'afflusso normale dei sensa originato dall'incidere degli stimoli fisici sugli organi sensori. Questo, a me sembra, è un problema puramente tecnico, a carattere essenzialmente simile a quello della stabilità dei sistemi astronomici, delle molecole chimiche o degli atomi radioattivi, e suscettibili di solu-zione mediante lo stesso genere di metodi.

Va notato qui che abbiamo già superato, senza neanche accorger-sene, l'ostacolo più formidabile che si oppone agli assertori della so-pravvivenza e cioè quello di dire che cosa è che sopravvive quando il corpo perisce; ciò che sopravvive, dunque, è il sistema degli psiconi.

Il problema della sopravvivenza 171

Le stesse entità reali che abbiamo trovato così utili per studiare la tele-paia, le apparizioni, le personalità secondarie, ora costituiscono la base della nostra concezione della sopravvivenza. È vero che, in un certo senso, non facciamo altro che scambiare una difficoltà con l'altra; ma quelle che si presentano ora ci sono relativamente familiari inquantoché esse si riferiscono al comportamento di entità con proprietà note (o postulate), collegate in modi definiti. Cioè a dire, esse costituiscono problemi cui si possono applicare, in linea di massima, opportuni metodi matematici; e se così è, possiamo avere la certezza che i pro-gressi non si faranno attendere molto a lungo.

Il modo con cui questi problemi dovranno essere affrontati è il seguente: partiremo dal presupposto che esistono entità (psiconi) che non hanno altre proprietà rilevanti tranne quelle di poter essere asso-ciati e di poter rafforzare questa associazione presentandosi ripetuta-

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mente e contemporaneamente. Quindi vedremo se alcuni fenomeni sem-plici, come quelli della curva di andamento con cui si dimentica, possono essere dedotti con successo da questo presupposto. Se si può, tanto meglio e proseguiremo oltre con altre deduzioni, che a loro volta con-trolleremo alla stregua dei fatti; se non si può, muteremo i nostri pre-supposti o forse ne aggiungeremo, finché ne avremo trovato una serie che si adatti bene, tanto da poter essere ragionevolmente certi che sono corretti e che non abbiamo omesso nessun fatto importante. Quindi cercheremo di definire che cosa intendiamo per "stabilità" in questo contesto

il che non dovrebbe essere difficile

e di indagare quale sistema possiede questa stabilità e se è composta delle entità che hanno le proprietà precedentemente presupposte e comprovate. In questa indagine, evidentemente, dovrà essere compresa l'influenza che legami qualsiasi con altri sistemi, possono esercitare sul sistema preso in considerazione, esattamente come lo studio della stabilità, ad esem-pio, di un pianeta e dei suoi satelliti dovrebbe, a preferenza, compren-dere l'esame delle influenze che possono risentire passando vicino a un altro pianeta o sistema. Infine, ricontrolleremo le nostre conclusioni alla stregua dei dati di cui disponiamo, forniti dall'osservazione.

Naturalmente sarebbe più che avventato anticipare i risultati di tali indagini; ma ritengo legittimo, non fosse che dal punto di vista dell'interesse, soffermarci a meditare in che modo esse probabilmente procederanno, avendo ben chiaro in testa, ancor più del solito se pos-sibile, che le idee suggerite non sono altro che congetture. D'altra parte, credo non sia difficile suggerire delle ipotesi che, anche se non particolarmente soddisfacenti, siano almeno più plausibili in linea ge-nerale, cioè più consone a quanto conosciamo dei fenomeni naturali nel loro insieme, che non quelle avanzate dagli spiritisti convinti da un lato, o dai credenti ortodossi dall'altro. 172 II problema della sopravvivenza

Parlando in generale, prevedo che i sistemi strettamente legati e bene integrati fra di loro di una vasta estensione numerica (cioè com-posti di un vasto numero di psiconi collegati fra di loro in modi molteplici e strettamente associati) si dimostreranno molto stabili e viceversa; ma per ora differisco la questione di vedere ciò che può accadere nel caso di sistemi collegati debolmente e male integrati. Dato un sistema bene organizzato, cioè quello di un adulto normale, prevedo che al momento immediatamente successivo alla morte esso sarà assai simile a quello che era nel momento immediatamente precedente. Si può supporre, è vero, che il processo stesso della morte introduca un certo numero di sensa ed immagini più o meno caratteristiche, ma mi sembra difficile supporre che queste, in generale, possano influenzare sensibilmente il sistema nel suo insieme. Generalmente, quasi tutti, in un momento della nostra vita, abbiamo fatto l'esperienza di una grave malattia o di un incidente o abbiamo perso conoscenza, senza risentirne profondi disturbi mentali. Probabilmente nella maggioranza dei casi il fattore più grave sarà la sorpresa o lo shock che proveremo nel renderci conto che si è morti.

Tale supposizione corrisponderebbe a molte comunicazioni me-dianiche (prendendole per quel che valgono), le quali rivelano che la persona deceduta "non poteva credere di essere morta", "si sentiva esattamente come prima" ecc. Le deduzioni cui si perviene, natural-mente tenendo debito conto delle fantasie romantico-religiose, non sono prive di interesse. Se venite ucciso nel momento in cui siete tutto assorto, come si suoi dire, in un'attività, la vostra mente sarà tutta presa da questa attività, cioè a dire che le immagini che la rap-presentano saranno tutte legate molto più strettamente con i sensa del momento di quanto non lo siano quelle che rappresentano altre attività di minore interesse. Ma

ed è molto importante

è chiaro che i freni normalmente posti dall'afflusso dei sensa derivanti dal mondo fisico, che di solito ci tengono così attaccati al mondo terreno, verranno tolti improvvisamente; di modo che non vi sarà più nulla, ad ogni modo nel primo caso, che imporrà un controllo alla nostra fantasia. Quindi, tutto ciò che immaginiamo sarà per noi "reale" finché non impareremo a riconoscere che è immaginazione.

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86. Effetti probabili della preservazione.

Ciò ci permette di

capire le "rivelazioni" apparentemente ridicole di carattere grossolana-mente materialista, che così spesso hanno suscitato le risa dei critici. Consideriamo l'esempio classico del defunto Raimondo di Sir Oliver Lodge. L'apparente comunicatore \ il figlio di Sir Oliver, morto sul

1 D'ora innanzi, per semplicità, si deve sottintendere che tutte le osser- Il problema della sopravvivenza 173

campo di battaglia durante l'ultima guerra, dichiarò che subito dopo la morte era stato portato via e gli erano stati dati "un whisky e soda e un sigaro". Questa osservazione, pubblicata da Sir Oliver con onestà e coraggio caratteristici, fu accolta con grida di derisione da parte degli scettici; ma credo che questo fu dovuto molto più alla forza dei loro preconcetti che non ad una assurdità inerente al fatto stesso. Guardatelo così: supponiamo un uomo normale che, per una ragione qualsiasi in piena battaglia trova il sistema per allontanarsene improvvisamente; i suoi pensieri naturalmente si rivolgeranno alla possibilità di trovare qual-che cosa da bere e da fumare, o almeno moltissimi uomini reagirebbero così. Cioè a dire egli "pensa a" queste cose e nella sua mente si pre-sentano le immagini di ciò che egli normalmente beve e fuma; anzi, tutti quanti hanno sperimentato che questo accade anche quando non vi è nessuna probabilità di poter ottenere quanto si desidera Finché siete rinchiusi nel corpo, queste immagini sono distinguibili come tali in con-trasto con i sensa che provengono insistentemente dal mondo esterno; ma se questi sensa vengono troncati, le immagini (presumibilmente) au-menteranno molto di intensità e diverranno indistinguibili dalla "realtà" per la semplice ragione che loro stesse saranno la sola "realtà" disponi-bile in quel momento. Quindi, almeno fino ad un certo punto, l'imma-ginare la bevanda che desiderate sarà indistinguibile dall'averla effetti-vamente davanti a voi. In senso più generale, in assenza dei controlli forniti mediante gli organi sensori da un mondo materiale che si uni-forma alle leggi della fisica, gli oggetti e gli eventi della immagina-zione costituiranno il mondo "reale" esattamente come fanno nei sogni.

Spero non sia necessario avvertire che non sono in possesso di nes-suna speciale bolla papale che attesti la veridicità di osservazioni di questo genere e che ciò che non voglio assolutamente far pensare (anzi, proprio il contrario) è che tutto quanto dice un medium in trance, come proveniente da una persona deceduta, debba essere preso per buono. Ma chiedo a voi, basandovi sul puro buon senso: che cosa sembra più plausibile, che un uomo ucciso in battaglia debba provare e riferire l'espe-rienza di aver bevuto un whisky e soda (che probabilmente desiderava ardentemente), o che debba raccontare di essere stato portato via da un furiere per essere provveduto di un paio d'ali?

A me questo sembra uno di quei strani, piccoli quesiti imprevisti, che spesso sono particolarmente illustrativi.

Considerazioni analoghe si applicano ad affermazioni come quelle cui recentemente è stata data una certa pubblicità, di piloti morti che continuano a volare con aerei "astrali". Questo genere di cose, secondo

vazioni di questo genere sono accompagnate dagli aggettivi "apparente", "pre-teso", "supposto" ecc. 174 II problema della sopravvivenza

me, non è altro che ciò che tecnicamente viene chiamato "preserva-zione". Ritengo che quasi tutti, in una misura o nell'altra, abbiano familiarità con questo fatto, che quando ci si è dedicati particolarmente a lungo o eccessivamente a una data attività (per esempio guidare l'auto-mobile per molte ore di seguito), questa attività permane persistente-mente nella mente dopo che si è cessato di esercitarla e, soprattutto, continua nel sonno e particolarmente negli stati precedenti al sonno. Le immagini relative a questa attività si ripresentano continuamente senza che si riesca a liberarsene. A me sembra che nel caso di un pilota appas-sionato, i cui pensieri probabilmente per molti mesi di seguito sono stati quasi esclusivamente rivolti ad aeroplani e battaglie aeree, sia molto probabile che accadano cose del genere; probabilmente dopo la morte

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egli continuerà nella fantasia a svolgere quelle attività che egli aveva svolto effettivamente durante la vita; e se non ha imparato a ricono-scere le immagini come immagini, egli dirà che continua veramente a volare e combattere. Che cosa altro potrebbe fare?

Non vi è nulla di assurdo in tutto questo; questa gente non fa altro che sogni preservatori, come facciamo noi in circostanze analoghe quando siamo tagliati fuori dal mondo fisico temporaneamente mediante il sonno, mentre nel caso della morte questo accade permanentemente. Ciò che è assurdo è il supporre che tali affermazioni non necessitano alcuna inter-pretazione o riflessione su quanto è probabile che si verifichi, ma che siano invece prese per affermazioni dell'esistenza di un mondo "astrale", quasi materiale, contenente whisky, sigari, aeroplani ecc, con le stesse proprietà che i medesimi oggetti possiedono nel mondo terreno che noi conosciamo.

87. Il mondo delle immagini dopo la morte.

Come conseguenza di tutto questo ci troviamo di fronte a vari punti interessanti, ma anche a varie difficoltà. Poiché abbiamo fatto la ipotesi che nell'ai di là non possono esservi sensa, dobbiamo supporre che esso sia un mondo di immagini; ma dobbiamo concluderne che è vago, oscuro, diafano e privo di intensità? Io non la penso così. Dubito che sia inerente alla natura della immagine l'essere vaga e non intensa. Alcune persone raccontano che i loro sogni, anche quelli da svegli, sono vividi quanto gli eventi stessi della vita, sebbene io non lo abbia mai riscontrato nei miei. Le imma-magini eidetiche sembrano essere vivide quanto i sensa, e si può sup-porre che questo tipo di immagini sia più primitivo

cioè più simile a quelle originali e naturali

di quelle che abbiamo solitamente; senza entrare in dettagli, suppongo che la relativa debolezza delle immagini normali sia dovuta piuttosto a mancanza di concentrazione

cioè alla rivalità fra le immagini affluenti nel campo di coscienza e alla conse-guente distrazione

o qualche cosa del genere, che non a qualche cosa Il problema della sopravvivenza 175

di inerente alla natura delle immagini come tali. Inoltre, sembra chiaro che le apparizioni, la cui visione non è certamente dovuta ad uno stimolo della retina del veggente, possono essere assolutamente altrettanto vivide quanto un oggetto "reale" (materiale). Di conseguenza ritengo si debba aspettarci, pur non desiderando essere dogmatico su questo punto, che il mondo psichico è altrettanto vivido quanto quello terreno.

Poi ho parlato della difficoltà di riconoscere le immagini come immagini in assenza di qualche altra cosa alla cui stregua si possano con-trollare. Questa difficoltà rimarrà insuperabile o impareremo a distin-guerle? e come? Credo che, in linea di massima, la risposta sia abba-stanza facile, sebbene oscura in alcuni particolari.

Quando abbiamo un'allucinazione non la riconosciamo come tale, ma continuiamo a interpretare la nostra esperienza come cosa materiale (altrimenti non sarebbe un'allucinazione) fino a che non riscontriamo che essa non ha le proprietà che avrebbe un oggetto materiale. Possiamo credere che un'apparizione sia una persona vera e propria finché non ci accorgiamo che quando allunghiamo la mano non proviamo alcuna sensa-zione tattile come normalmente la proveremmo se l'esperienza visiva fosse originata da un oggetto materiale; cioè fintantoché la normale sequenza dei sensa è interrotta. Se la sequenza non fosse mai stata inter-rotta, se l'apparizione manifestasse tutte le proprietà di un oggetto ma-teriale, allora il dichiarare che era "solo un'allucinazione" non avrebbe alcun significato. E reciprocamente, se non avessimo un'esperienza pre-cedentemente acquisita di oggetti materiali, non vi sarebbe ragione di attendersi una sequenza di sensa piuttosto che un'altra, e qualunque cosa immaginata potrebbe avere tutte le proprietà che si vuole. Solo il ricordo di avvenimenti passati (sequenza di sensa) ci permette di pre-vedere che avvenimenti attuali si svolgano in una direzione piuttosto che in un'altra.

La memoria, dunque, ci insegna questo e la mente sopravvissuta (sistema di psiconi) del nostro pilota deceduto

per proseguire con questo esempio

certamente conterrà molti ricordi del modo in cui si comportano gli aeroplani materiali: se un'ala viene colpita, cadono;

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se l'apparecchio urta mentre sta atterrando, non potrà volare finché non sarà stato riparato, e così via. Ma gli aeroplani delle immagini non si comportano a questo modo; si può cadere al suolo quante volte si vuole e si potrà riprendere il volo il momento immediatamente suc-cessivo. Mi sembra quanto mai plausibile supporre che dopo un po' di tempo questo comportamento senza precedenti apparirà nettamente cu-rioso al pilota, e che egli comincerà a dirsi: "devo sognare" e inco-mincerà ad adattarsi alla situazione. In altre parole, le immagini ricordate e il ricordo delle sequenze dei sensa, serviranno benissimo come base per 176 II problema della sopravvivenza

riconoscere la non-materialità (non dico la "irrealtà") degli oggetti e degli eventi della immaginazione.

Ma ciò che va bene per guerrieri o piloti sfiniti, presumibilmente potrà essere applicato, mutatis mutandis, ad altri. Si potrebbe dire, molto in generale "dove erano i vostri pensieri, lì sarete voi". Se vi aspettate ali e arpe, troverete ali e arpe, finché scoprirete che l'attesa sequenza non continua e capirete che non è altro che immaginazione. Ricordo un simpatico vecchio signore olandese, che conoscevo un tempo, il quale aveva allora circa novant'anni e che era irremovibilmente convinto che sarebbe andato a finire nel fuoco eterno per i suoi (probabilmente inesistenti) peccati. Senza dubbio dopo la morte egli provò in imma-ginazione tutte le angoscie del giudizio e della condanna, ma mi fa piacere pensare che a un certo momento egli si sarà accorto che vi era qualche cosa che non andava come egli si aspettava, e che le fiamme non bru-ciavano o almeno non tanto da preoccuparlo.

Questo ci porta all'interessante questione di sapere in che misura gli avvenimenti immaginati avranno conseguenze immaginarie. Presumi-bilmente l'atto del bere un whisky e soda immaginario (ma, diciamo così, "localmente reale") richiamerà per associazione le immagini del-l'odore e del sapore. Ma questo atto produrrà una gioia immaginaria ma localmente reale, seguita da un sonno immaginario ma localmente reale? Solo in misura limitatissima, credo. Le immagini ricordate saranno, è vero, o possiamo supporre, più vivaci e più intense di quelle della vita terrena; ma in mancanza di sostanze materiali che le rafforzino e le mantengano mediante l'afflusso continuo degli stimoli, immagino che saranno così transeunti ed evanescenti

così facilmente spostate da successive immagini

che non valga quasi la pena di prenderle in considerazione. Quindi, sebbene il bevitore possa mandar giù innume-revoli whisky immaginari, egli ne proverà altrettanta poca soddisfazione quanto poca ne provavano le Danaidi riempiendo le loro botti senza fondo.

88. Interessi corporei contro interessi intellettuali.

Fino ad ora mi sono servito deliberatamente di termini estremamente poveri tanto da apparire quasi irritante; perché solo esaminando esempi concreti ed ap-parentemente comuni di questo genere possiamo sperare di giungere a conclusioni plausibili; e perché è soprattutto importante escludere dalla nostra mente tutti i sentimentalismi bigotti, atti a corrompere in modo così pernicioso le idee su questo argomento. Non vi è nessun motivo per supporre che il corpo di un uomo, per il fatto che cessa di fun-zionare, debba improvvisamente e magicamente essere infuso di sapienza e saggezza, o di virtù che non possedeva prima, o che debba essere im-provvisamente trasportato in uno stato di beatitudine o nel suo opposto.

Il problema della sopravvivenza 111

Dato il punto cui siamo arrivati, si tratta semplicemente ed unica-mente di valutare in modo ragionevole quale è il modo con cui proba-bilmente la mente funziona quando siano interrotti tutti gli stimoli sensori e quando il sistema di "controlli ed equilibri" normalmente fornito dal mondo esterno cessa di agire.

Ma dagli esempi apparentemente comuni presi in esame emerge un punto di notevole interesse. Sembra proprio che il tentativo

o meglio la tendenza naturale

di proseguire con la fantasia, dopo la morte, le occupazioni e le attività materiali della vita terrena non possa essere accompagnato da molta soddisfazione, anche se per alcuni ci vorrà molto

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tempo 1 per rendersene conto. Credo, tuttavia, che ciò si applichi solo a quanto ho detto, cioè alle attività materiali, o principalmente a queste. Ma riguardo alle attività intellettuali, comprendenti quelle che chia-miamo astrazioni, la questione sembra presentarsi diversamente. Una dose "astrale" 2 di rum non avrà le stesse proprietà di una dose terrena; ma un cerchio astrale avrà esattamente le stesse proprietà di un cerchio terreno, perché esse sono garantite da una definizione, come per la stes-sa ragione, due più due fanno sempre quattro in qualsiasi mondo si viva. Quindi, se il vostro interesse principale nella vita è la geometria o i calcoli mentali, non vi è ragione perché non possiate dedicarvici a vo-lontà dopo la morte, proprio come facevate in vita3. A questo punto si può obiettare che è praticamente impossibile pensare in astratto senza servirsi delle parole, ed in effetti il pensiero astratto viene in gran parte eseguito mediante le innervazioni nervose subliminali4 del meccanismo della parola; ma non appare irragionevole supporre che il ricordo delle immagini, delle parole e delle sensazioni corporali concomitanti possa bastare allo scopo.

Non riesco molto bene a concepire quale sarebbe la situazione nei confronti degli apprezzamenti estetici del genere di quelli che facciamo quando diciamo che un metodo matematico è "elegante" o un ragiona-mento logico è "bello". La difficoltà sembra consistere nell'ottenere, per una via che non sia, beninteso, quella della memoria, il materiale, per

1 Uso qui la parola "tempo" in senso alquanto metaforico; cioè non come tempo astronomico ma piuttosto come "numero di esperienze".

2 Mi permetterò di usare, ogni volta che sarà necessario, la parola "astrale" presa a prestito dagli occultisti, per indicare la fase successiva (post mortem) alla vita. Essa offre il vantaggio di evitare la parola "immaginario" che da alcuni può essere interpretata nel senso che se una data cosa è fatta di immagini, cioè è immaginaria, deve essere "irreale".

3 Non credo sia necessario esaminare in dettaglio se l'incapacità di pren dere materialmente appunti ecc. sia o meno compensata da una maggiore niti dezza di immagini o dalla assenza di distrazione.

4 "Subliminale" equivale a: di intensità troppo debole per poter risul tare in palesi movimenti muscolari ecc. 178 II problema della sopravvivenza

così dire, per i nostri apprezzamenti estetici. È inutile trasportarci con la fantasia nella "National Gallery" se non abbiamo occhi fisici non cui guardare i quadri; attualmente non mi risulta che vi sia alcun motivo (o se ve ne sono, sono minimi) per supporre che si possa utilmente afferrare i pensieri o le immagini di coloro che si trovano material-mente davanti a quei quadri; inoltre penso che, in complesso, preferirei non fare una simile supposizione.

Non proseguirò più oltre in questa direzione, ma certamente vi sono molti indizi che ci inducono a pensare che coloro che in vita, come si suoi dire, "hanno coltivato le cose del pensiero" troveranno molte più possibilità di soddisfazione che non coloro che non le hanno coltivate. Purtroppo questa conclusione farà più piacere ai (cosiddetti) moralisti di quanto io generalmente non desideri farne loro; ma non credo che si debba prendere questa mia affermazione come un incentivo a tra-scurare la vita terrena per concentrarsi esclusivamente sull'intellettua-lismo ascetico. Dopo tutto, il mondo fisico costituisce una parte del mondo, nel suo complesso, altrettanto (direi quasi altrettanto rispetta-bile) quanto il mondo psichico, e a me sembra che per il bagaglio men-tale di un uomo vi sia altrettanto bisogno di conoscerne le proprietà quanto egli ha bisogno di conoscere le proprietà di qualsiasi altra cosa. Anzi, come ho testé indicato, è unicamente mediante la conoscenza di queste proprietà, mantenuta con la memoria, che possiamo sperare di orientarci nell'esistenza ultra terrena.

Ma tutto ciò mi porta molto lontano dai miei termini di riferi-mento, e rimangono ancora da discutere molti punti che promettono di farci giungere a conclusioni non del tutto irragionevoli.

89. Il problema del riconoscimento, della riunione ecc.

Prima e soprattutto si presenta la contestata e alquanto penosa questione di sapere fino a che punto possiamo prevedere di riconoscere gli amici che ci hanno preceduti e di essere da essi riconosciuti, o se possiamo ragio-nevolmente aspettarci di "incontrarli di nuovo" in un senso soddisfa-

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cente. Tutto quanto ho esposto negli ultimi tre sottocapitoli ha eviden-temente molta attinenza con questo problema, che, tuttavia, è tale da non incoraggiarmi a fare enunciazioni dogmatiche; la risposta più plau-sibile a me sembra notevolmente più rallegrante di quanto potevamo sperare, anche se non così buona (dal punto di vista del nostro stato attuale) di quanto potevano desiderare.

Non facciamoci scrupoli a questo riguardo. Possiamo, con tutta sincerità, dire che le qualità della mente di "X" o la bellezza del suo carattere morale ci piacciono molto e che sono per noi più importanti del suo corpo fisico; ma non è, almeno nella maggior parte dei casi, la perdita delle prime che maggiormente ci terrorizza quando la morte ci

Il problema della sopravvivenza 179

minaccia, o che più ci manca quando "X" ci viene portato via; è invece la semplice assenza fisica di "X", il non poterlo più vedere udire o toccare, che tanto ci addolora e ci fa quindi desiderare e spe-rare soprattutto di poterlo rivedere, riudire, ritoccare. Come giusta-mente fa osservare il Dr. Jacks, molti uomini proverebbero difficoltà perfino a identificare la propria moglie "se non avessero altro che le sue caratteristiche morali su cui basarsi, per quanto ammirevoli queste possano essere".

Ora, evidentemente non possiamo aspettarci un riincontro fisico, quale lo proviamo in vita di ritorno da un viaggio, dato che, almeno alla mia mente legata alla terra, i rapporti puramente spirituali appaiono così desolantemente freddi. Ma mi sembra probabile, anche se calcoliamo al minimo l'influenza dei pensieri di desiderio, che questo gelo sarà al-quanto temperato.

Tutto quanto ho detto più sopra riguardo alla "realtà locale", tanto per darle un nome, delle bevande e degli aeroplani immaginari eviden-temente si applicherà altrettanto bene al nostro pensiero di "X". Se, quando muoio, desidero la presenza di "X", presumibilmente penserò a lui, il che significa richiamare alla mente varie immagini (visive, auditive, tattili ecc.) di "X" quale lo ricordo1. E poiché, come abbiamo già fatto osservare, non vi saranno sensa rivaleggianti di origine fisica, queste immagini potranno essere altrettanto vivide quanto le sensazioni della vita terrena; quindi, per il momento, il mio riincontro con "X" mi appa-rirà come si suoi dire "reale". Ma dovranno essere applicate anche le altre considerazioni fatte più sopra, di modo che, se non vi fosse altro da dire, sarei destinato a una delusione quasi completa, via via che sco-prirò che queste immagini di "X" non reagiscono nello stesso modo con cui reagiva 1' "X" terreno, cioè non possiedono le proprietà fisiche dell'"X" terreno.

Ma va notata una differenza assai importante: che "X" ha una mente la quale, per ipotesi, sopravvive esattamente come la mia, mentre invece le bevande, gli aeroplani ecc. degli esempi precedenti non soprav-vivono. I miei pensieri su "X", come i suoi su di me, con le loro imma-gini di circostanze ed esperienze condivise, sono evidentemente idonei ad essere usati come "K" promuovendo uno scambio di azione tele-patica e collegando i nostri sistemi di psiconi. Anzi, se abbiamo vissuto insieme per un periodo considerevole della nostra vita ed abbiamo molte esperienze comuni, ma peculiari a noi due soli, presumibilmente questo si sarà già prima verificato fino a un certo punto.

1 Questa è una prospettiva piuttosto piacevole e fa pensare che, almeno, ci sembrerà di incontrare nuovamente coloro che amavamo nella forma in cui ci piace ricordarli. 180 II problema della sopravvivenza

Non me la sento di dire fino a che punto tutto ciò può influenzare questa speciale questione che stiamo esaminando. Può darsi che le idee di "X" su se stesso e i suoi rapporti con me reagiscono sulle mie idee di lui e viceversa; o può anche darsi che la teoria delle apparizioni del Tyrrell si dimostri giusta e che i rapporti fra le nostre menti cospirino insieme per costruire, per così dire, una situazione di immagini, per dare loro un nome, assai più consistente e soddisfacente di quanto non potremmo fare ciascuno di noi due separatamente. Ma per ora non ne sappiamo

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abbastanza per giungere a una congettura ragionevolmente plausibile. La mia idea sarebbe che queste situazioni di immagini siano piutto-

sto della natura di un intermezzo che ci offre una certa dose di conforto e di soddisfazione in attesa del momento in cui avremo imparato a farne a meno. Quindi coloro che, nonostante le loro rinuncie, in effetti erano soltanto, o quasi soltanto, interessati nel corpo dei loro "X" e nelle sod-disfazioni fisiche che ne derivano, non proveranno altro che torture da-vanti a un'apparizione sempre sfuggente. D'altra parte coloro che, pur godendo dei meriti intrinsechi della carne, se ne erano saggiamente serviti come di un mezzo per raggiungere il fine di una vera comunione dello spirito, si adatteranno presto alle mutate condizioni con una soddisfazione di una durata infinita.

90. Contatti con il mondo fisico: ambiente psichico.

Fino a che punto dunque possiamo attenderci di mantenere contatti con gli avveni-menti terreni e con la conoscenza di essi? La mia ipotesi è che essi saranno "assai deboli". Dire di una persona deceduta che "vede" o "ode" eventi fisici a me sembra una sciocchezza di prima forza. Il fatto del vedere è determinato dai raggi luminosi fisici che cadono su una retina fisica; se non si ha una retina non si può vedere, e con ciò l'argomento è chiuso. Ma a me sembra possibilissimo che, avendo abbastanza idee "K" in co-mune con qualcuno che è ancora in vita, si possa fino a un certo punto

non saprei fino a quale

raccogliere e condividere le sue immagini visive o alcune di esse (e naturalmente anche altre sensazioni) e mantenere così una specie di surrogato di contatti. Ma prevedo che questi contatti siano molto nebulosi ed imperfetti.

Assai più importante, credo, sebbene molto difficile da trattare, è la questione di ciò che sostituirà, ammesso che qualche cosa la sostituisca, il mondo esteriore della vita terrena in quanto "ambiente". È abbastanza facile dare una risposta superficialmente plausibile suggerendo che sarà sostituito dai pensieri di altre menti, cioè dai sistemi di psiconi di altre menti all'infuori della propria; ma dubito che questa risposta non soddisfi altro che verbalmente, sebbene ritenga che possa corrispondere alla realtà. Possiamo facilmente ammettere che, in assenza di concorrenza da parte degli stimoli sensori, le immagini e le idee derivanti telepaticamente da

Il problema della sopravvivenza 181

altre menti possano essere molto più importanti di quanto non lo siano attualmente. Ma se, a un dato momento (e che cosa intendiamo con ciò in questo contesto?), un'idea "K" si presenta alla mia mente e a quella di "X" (incarnato o disincarnato) e un'idea "A", ad essa associata nella mente di "X", di conseguenza viene portata nel mio campo di coscienza, come posso sapere che era sua e non mia, considerando che è proprio questo che gli conferisce le sue qualità " ambientali " ? Non mi risulta che nel lavoro sperimentale si sia riscontrato nulla che possa indicare che le idee trasmesse telepaticamente abbiano tratti o attributi che le distin-guano dalle altre. Mi sembra dubbio che il semplice fatto di non rico-noscere in un'immagine una che ho già immaginato possa bastare all'uopo; infatti, trovo abbastanza facile evocare immagini di cui non conosco l'origine, per esempio di un gatto nero con due teste, senza rendermi conto di questo fatto. Tuttavia, questo può benissimo derivare da una introspezione inadeguata o da un'analisi insufficiente e, tutto sommato, ritengo che il concetto di ambiente composto dal contenuto di altre menti probabilmente sia il più accettabile.

91. Stabilità di sistemi di psiconi.

Ritengo che sia giunto il momento di dire qualche cosa sulla stabilità dei sistemi di psiconi, di cui ho sottolineato l'importanza poche pagine addietro. Probabilmente più che stabilità sarebbe meglio chiamarla "coerenza", ma per il mo-mento ci può bastare questo termine.

Esponendo il concetto in modo molto elementare, io la penserei così. Ammesso che il sistema di psiconi immediatamente dopo la morte è sostanzialmente identico a quello che era un momento prima, che garanzia abbiamo che continui a restare, per così dire, unito? Non può darsi invece che si disgreghi o si sfasci una volta cessato l'afflusso degli stimoli sensori?

Per un certo tempo ho creduto che questo si verificasse e costituisse

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un pericolo assai più grave, per così dire, di quello dell'estinzione al momento stesso della morte. Non che adesso abbia una maggiore certezza, ma la questione è evidentemente di una tale importanza che ritengo valga la pena di soffermarci un momento per cercare di chiarirla.

È assai facile immaginare un sistema di psiconi consistente in grup-pi, sottogruppi, sotto-sottogruppi ecc. di psiconi, collegati insieme da legami associativi come lo sono gli atomi nelle molecole: si possono quasi vedere gli psiconi, i legami ed i grappoli di varie dimensioni; ed è molto facile discernere un gruppo distaccato il quale, forse, apre bot-tega per conto suo. Ma è precisamente questa facilità ad immaginarceli che rende così pericolose queste parole. Nel momento stesso in cui in-cominciamo a farci dei modelli quasi meccanici di cose che non sono neanche "quasi" meccaniche, ci mettiamo nei pasticci, perché corriamo 182 II problema della sopravvivenza

il rischio di usare, senza pensarci, ai puri fini del ragionamento, pro-prietà inerenti a parti che costituiscono il modello ma di cui noi non ci siamo serviti per costruire questo modello. Per fare un esempio piut-tosto approssimativo: se cerchiamo di far capire a un bambino il concetto della forza di attrazione quale si presenta nei corpi celesti dicendo che la "terra attira la luna come se le fosse attaccata con un elastico", il bambino risponderebbe: "Capisco, più la luna è lontana e più l'elastico tira"; il che naturalmente è proprio l'opposto di quanto si verifica in realtà. Il bambino precoce è ricorso a una proprietà dell'elastico di cui non avevamo bisogno per il nostro "modello" e che avevamo semplice-cernente ignorata e, facendo un ragionamento giusto basandosi su di essa, è giunto ad una conclusione errata. Analogamente, se giungiamo a una determinata conclusione attraverso un ragionamento basato su una pro-prietà qualsiasi di un supposto "legame" o "forza associativa" che non corrisponde al dato di fatto che abbiamo simbolizzato con questi termini, corriamo il rischio di avviarci per una via sbagliata.

Dire che "A" è associato a "B" nella mente "M" non è che un modo abbreviato per dire che, se "A" si presenta alla mente "M", "B" ha più probabilità di accompagnarla o seguirla a breve distanza, oppure viceversa, che non se "A" non fosse associato a "B"; ed anche questa enunciazione, se volessimo farla veramente esatta, dovrebbe essere molto ampliata. Dire che vi è un legame associativo fra "A" e "B" equivale a dire la stessa cosa in forma abbreviata. Se, senza pensarci, vi inseriamo surrettiziamente proprietà che sappiamo appartengono ai legami di altre entità, come ad esempio quella di potersi "rompere", corriamo il rischio di giungere a conclusioni erronee.

Questa questione della fragilità dei legami a me sembra di gran-dissima importanza. Se i legami fossero tali da poter essere effettivamente spezzati, evidentemente i sottosistemi o gruppi di psiconi potrebbero letteralmente staccarsi dalla massa principale e, in teoria, non vi sarebbe ragione perché il procedimento non potesse continuare fino alla disgre-gazione completa di tutto il sistema. Se questo fosse vero, quanto ho detto più sopra sulle condizioni dell'esistenza dopo la morte potrebbe essere giusto per il periodo immediatamente successivo alla morte; ma potrebbe darsi che la mente o la personalità gradatamente svanisse o si dissolvesse come una zolletta di zucchero nell'acqua calda. Ma credo che una concezione simile dei legami sarebbe troppo materialistica e as-solutamente illegittima e che tutto stia a indicare il contrario.

È esperienza di tutti che opportune combinazioni di circostanze possono farci ricordare nitidamente immagini di avvenimenti molto lon-tani (della prima infanzia o simili) che avremmo creduto di avere com-pletamente dimenticati; sono convinto di avere ragione quando dico che i risultati ottenuti suggerendo deliberatamente tali richiami a soggetti

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ipnotizzati indicano che, in condizioni appropriate, può teoricamente essere ricordato qualsiasi avvenimento anteriore. Inoltre, i lavori della scuola psicoanalitica sembrano dimostrare abbastanza chiaramente che, anche se avvenimenti precedenti non possono essere ricordati nel senso che le immagini relative rientrino nel campo della coscienza in condizioni normali, ciò nondimeno esse agiscono ancora e quindi sono ancora "col-

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legate" in qualche modo al resto della mente. Di conseguenza, provvisoriamente, ne concludo che un "legame",

una volta stabilito, non può più rompersi; e credo che questo possa giustificarsi sul piano teorico traducendolo in termini di probabilità; ma sarebbe fuor di luogo tentare di farlo ora. Le effettive condizioni di equilibrio di un sistema di psiconi dovrebbero essere stabilite con calcoli matematici, cosa che attualmente non siamo in condizioni di fare.

Ma questo concetto porta con sé nuove difficoltà sue proprie, e devo avvertire il lettore che ora sto per addentrarmi in regioni quasi completamente speculative; ritengo tuttavia che le possibilità che in tal modo si affacciano sono troppo interessanti per poterle ignorare com-pletamente.

92. Formazioni di sistemi più vasti.

Rifacciamoci agli inizi della telepatia o meglio all'inizio della teoria dell'associazione. In parole po-vere: se un'idea "A" è associata all'idea "K" nella mia mente, l'idea "A" ha più probabilità di presentarsi alla vostra mente che se non fosse stata associata con "K" nella mia mente. Questa è telepatia. Esistono, naturalmente, molte idee di "dominio pubblico"

quali il sole, le nu-vole, le case, gli alberghi ecc.

che in qualsiasi momento si presentano simultaneamente a un gran numero di persone, e queste idee hanno molte altre idee a loro associate, che indubbiamente tendono a presen-tarsi alle menti in questione. Ma anche la maggior parte di queste saran-no a loro volta di dominio pubblico e, per così dire, già presenti nelle menti in questione, mentre quelle che non lo sono saranno in concor-renza, nei confronti della mente di una determinata persona, con gli altri "pensieri" di quella mente, suggeriti da altri elementi dell'ambiente cir-costante, di modo che non si verifica nessun fatto degno di nota. Solo in circostanze molto speciali, quali quelle degli esperimenti, possiamo, per così dire, identificare un'idea e attribuire la comparsa alla telepatia. Di conseguenza non abbiamo bisogno di preoccuparci di questo genere di telepatia generalizzata che indubbiamente è sempre in azione, perché è, potremmo dire, troppo diffusa e troppo causale per poter esercitare un'influenza palese.

Ciò nondimeno dobbiamo supporre che quando due o più persone, in un determinato momento, hanno presenti le stesse o analoghe idee 184 II problema della sopravvivenza

"K", qualsiasi altra idea che ad esse possa essere associata nella mente di ciascuna di queste persone tende ad apparire nella mente delle altre. L'azione di questa tendenza sarà ostacolata in proporzione al numero, all'intensità ecc, dei sensa provenienti dal mondo esteriore e dai loro associati, e viceversa sarà facilitata via via che la concorrenza dei sensa in arrivo e dei loro associati diminuisce.

Ora, nelle condizioni successive alla morte possiamo, almeno, avere la certezza che non vi sarà concorrenza da parte dei sensa in arrivo, perché non vi saranno gli organi sensori, le fibre nervose, le cellule cere-brali ecc. necessarie per la generazione dei sensa o per metterli nel giusto rapporto (se preesistono) con il nucleo dell'Io ecc.

Non sembra quindi irragionevole supporre che ciò che approssi-mativamente possiamo chiamare "rapporti telepatici" probabilmente co-stituisce un fattore assai più esteso e potente nelle condizioni successive alla morte che non in condizioni di vita terrena. Ma come abbiamo visto, la telepatia consiste essenzialmente nel condividere piuttosto che nel trasferire; se, nel linguaggio di tutti i giorni, "X" "trasmette telepati-camente" l'idea "O" a "Y", egli non la perde; semplicemente l'idea si lega più strettamente alle altre parti che compongono la mente di "Y" di quanto non lo fosse prima. Anzi, questo vale anche per le comu-nicazioni non telepatiche, sebbene non in forma così chiara. Come ho fatto osservare altrove, "esiste un modo col quale possiamo mescolare e normalmente mescoliamo le nostre personalità. Ogni qualvolta voi ed io ci comunichiamo così faticosamente i rispettivi pensieri mediante il metodo indiretto della parola e della scrittura, io aggiungo alcune delle vostre esperienze alla scorta delle mie o viceversa, eppure voi non vi sentite meno voi né io meno io. Al contrario, la coscienza di ciascuno di noi può benissimo essere arricchita e ampliata, anziché indebolita e

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circoscritta, dagli scambi di rapporti; e ciò sarebbe ancora più sensibile se fossero usati dei metodi di scambio meno complicati. Se voi ed io potessimo essere posti in rapporto telepatico assoluto, verosimilmente voi potreste assorbire tutto l'insieme delle mie esperienze ed io tutto l'insieme delle vostre senza provare la sensazione che la nostra indivi-dualità ne sia affatto diminuita.

Tutto questo non è ancora molto ben precisato ma credo, tuttavia, che l'idea fondamentale sia abbastanza giusta. Se potessi acquisire tele-paticamente i ricordi della vostra infanzia, del vostro parentado ecc. con la stessa nitidezza dei miei propri ricordi, certamente potrei incomin-ciare a dubitare della mia identità nel senso dato alla parola dalla poli-zia; ma non è in questo senso che io concepisco l"Io", né è in questo senso che la cosa è importante. Se il mio concetto di coscienza è appros-simativamente corretto, collegando un sistema di psiconi entro di essa, la coscienza di questo sistema difficilmente può diminuire (anzi, avrei

Il problema della sopravvivenza 185

dovuto dire l'opposto), mentre invece le parole "arricchito e ampliato" vi si adattano quasi per definizione.

Il punto che voglio far presente, esprimendomi in termini più ge-nerali, è il seguente: come le forze dissociative o il loro equivalente, agendo nell'ambito della cosiddetta mente individuale (confrontare i sottocapitoli 72, 77 e 79), possono portare alla formazione di complessi rimossi di sotto-personalità ecc, così le forze associative fra le menti

cioè i legami telepatici delle parti che le compongono

probabilmente portano alla formazione di vaste sintesi o "supermenti". Ammettendo che tutto ciò sia al massimo grado speculativo e pura congettura, nel senso che per il momento sembra assolutamente fuori dalle nostre pos-sibilità confermarlo con dati di fatti osservati, ciò non di meno io credo che è quanto mai probabile che il nostro sviluppo posi mortem proceda in questa direzione.

Si possono far notare qui uno dei due punti: primo, in base alle considerazioni fatte nel sottocapitolo 49, le sintesi telepatiche avranno luogo prevalentemente fra menti o parti o sottogruppi di esse (questo potrà essere molto importante) di composizione simile. Quindi, gli ele-menti della personalità di Jones che amano la musica naturalmente si collegheranno con un determinato sistema, la sua passione per l'auto-mobile con un secondo, le sue tendenze a bere birra con un terzo e così via; tuttavia non vedo come questo possa comportare una diminuzione della coscienza di Jones bensì piuttosto un rafforzamento, per così dire, dei sistemi in causa. Secondo, in linea di massima, non sembra esservi nul-la che impedisca che questi sistemi di sintesi superiore acquisiscano una certa autonomia loro propria, in base al principio esposto nel sottoca-pitolo 71; ma, in considerazione della quasi assoluta mancanza di dati su cui basare il nostro ragionamento, ritengo saggio non tentare di an-dare oltre in questo genere di congetture. D'altra parte, credo che var-rebbe la pena di tentare un ragionamento costruttivo in questo senso, a cui avrò occasione di riferirmi più avanti.

93. Reincarnazione: genio e ispirazione.

Faccio menzione del-l'argomento della reincarnazione unicamente perché gode di notevole popolarità in alcuni ambienti. Non sono d'accordo con l'eminente filosofo il quale dichiarò che essa è l'unica concezione dell'immoralità degna di essere presa in considerazione da un uomo intelligente; e, anche se con-dividessi la sua opinione, questo non eliminerebbe i due grandi ostacoli che ad essa si oppongono, e cioè: primo, che non vi è il più piccolo frammento di prova di un qualche valore a sua convalida; secondo, che neanche i suoi più entusiasti sostenitori possono dare una spiegazione ragionevole di che cosa è che si reincarna.

Le supposte reminiscenze delle cosiddette ex sacerdotesse (di cui 186 II problema della sopravvivenza

sembra esservi un numero sorprendente) non sono controllabili e non proverebbero nulla tranne un genere particolare di conoscenza paranor-male drammatizzata; non ho ancora trovato una prova in questo senso che non possa essere stata inventata da un normale romanziere.

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Quando chiediamo che cos'è che si reincarna, ci vien detto che è l'Io; ma disgraziatamente, ulteriori indagini rivelano che l'Io dovrebbe essere ciò che rimane quando tutte le prerogative della personalità sono state eliminate nel processo di avanzamento attraverso i successivi "pia-ni". Cioè a dire, è esattamente analogo al Ding an sich, una entità senza tratti propri, espressamente spogliata di tutti gli attributi che la identi-ficano. Di conseguenza non ha senso dire che nel corpo di Robinson si è reincarnato l'Io di Smith piuttosto che quello di Brown o di Jones.

Malgrado ciò, ritengo possibile che in un certo senso abbastanza interessante, gli occultisti possano trovarsi sulla pista di un processo che effettivamente avviene.

Per semplificare, immaginiamo che Smith abbia dedicato molti anni della sua vita allo studio di alcune questioni tanto rare che nessun altro le ha mai studiate, diciamo ad esempio la carie nei Re Plantageneti; di conseguenza il sistema di psiconi di Smith conterrà un sottosistema molto bene organizzato concentrato intorno alle idee chiave, strettamente col-legate fra di loro, di "carie" e di "Plantageneti". Col tempo Smith raggiunge i suoi avi; ma cinquant'anni dopo, diciamo, Robinson sceglie 10 stesso strano soggetto per una tesi di laurea e anche lui incomincia a costituire un sistema di idee intorno allo stesso concetto chiave di "Plantageneti con la carie". Ma questa è proprio la condizione di cui abbiamo bisogno per uno scambio telepatico fra i sistemi di psiconi di Smith (sopravvissuti) e quelli di Robinson, in cui i "Plantageneti con la carie" funzionano da idea "K".

Non voglio neanche per un momento suggerire che tutto il conte-nuto della mente di Smith istantaneamente diviene accessibile a Robinson, tanto che egli possa leggere, per così dire, i risultati specifici delle ricerche di Smith, perché questo sarebbe contrario al buon senso come è contrario alla esperienza. Ma a me sembra perfettamente ragione-vole supporre (nell'ambito delle nostre ipotesi) che questo particolare sistema della mente di Smith eserciterà una determinata influenza su quello di Robinson.

Dopo tutto, l'essenza di quelle fortunate intuizioni, che chiamiamo lampi di genio, o delle ispirazioni, è l'improvviso affiorare nel campo della coscienza di un'idea che apparentemente non si sa da dove provenga, che si adatta perfettamente alle circostanze e che eseguisce 11 lavoro che le richiediamo. A me è sempre sembrato che tali idee venissero lanciate fuori, per così dire, dal subcosciente, non tanto perché sono giuste quanto perché non sono sbagliate, in base, si

// problema della sopravvivenza 187

direbbe, ad un principio di conflitto minimo. Solitamente la difficoltà è quella di trovare una teoria o una soluzione del problema che si adatti

cioè che non sia in conflitto

non solo con una serie di fatti, ma con diverse serie che a prima vista possono apparire contrad-dittorie. Varie idee sono sospese sui margini della coscienza, ma ven-gono automaticamente respinte indietro perché in conflitto le une con le altre; e la soddisfazione che si prova quando finalmente appare l'idea giusta credo derivi dal senso di rilassamento o di sollievo dalla tensione che accompagna la cessazione dei conflitti.

Si può a ragione supporre che in questo genere di procedimento il sistema di idee formato da Smith, e collegato telepaticamente nel modo descritto con quello di Robinson, adempie un suo compito senza dover presupporre un vero e proprio trasferimento di pensiero dalla persona deceduta a quella viva.

In questo senso, alquanto pickwickiano, sembra dunque possibile dire, senza temere di apparire assurdi, che la mente sopravvissuta di Smith anima in una certa misura il corpo di Robinson, il che equivale a una specie di "reincarnazione".

Naturalmente ho preso come esempio un caso limite e l'ho sem-plificato al massimo, ma il lettore che si interessi della cosa può diver-tirsi a pensare ad altre possibilità.

A me sembra anche che alcuni fenomeni analoghi, quali quelli dei prodigi musicali, possano spiegarsi, almeno parzialmente, basandosi sullo stesso concetto. Se l'ereditarietà e il caso si combinano in modo da produrre un bambino provvisto, ad esempio, delle necessarie doti fisiche quali la massima capacità di discriminazione auditiva e molta agilità delle dita, abbiamo un pianista o un violinista potenziale, di

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eccezionale abilità; e se questo bambino ha la fortuna di fare gli studi musicali adeguati, gli si presenteranno automaticamente le varie idee più o meno particolari di questa attività e comuni a tutti coloro che la esplicano. Queste, a mio vedere, possono agire da idee "K" e col-legare la mente del prodigio a qualsiasi sistema pianistico o violinistico o semplicemente "musicale" che sia stato formato, particolarmente nel senso indicato molto grossolanamente nel sottocapitolo precedente.

Più in generale, ho il sospetto che l'ispirazione di qualsiasi artista

che sembra sempre provenire dal di fuori

sia dovuta non a una

inesplicabile forza magica ma ai legami della sua mente, per quanto deboli e transitori, con l'appropriato supersistema costruito, per così dire, da tutti i maestri ed esecutori di quell'arte.

Ma con questo andiamo a finire nel mondo della fantasia, troppo lontano dal problema della sopravvivenza in quanto tale. 188 II problema della sopravvivenza

94. Il problema della sopravvivenza: Sommario e conclusioni

II lettore dotato di spirito critico avrà osservato che i miei ultimi sotto-capitoli contengono troppo di ciò che assomiglia

per servirci di una frase del Rhine

"a quel tipo familiare di speculazione non conva-lidata dagli esperimenti". Ho ritenuto che valesse la pena avanzare queste ipotesi, per quanto vaghe e imperfettamente espresse, a causa degli interessanti sviluppi cui sembrano aprire la via. Ma mi dispia-cerebbe molto se esse avessero reso più oscuri i concetti principali che ho tentato di esporre e ai quali credo si possa prestare abbastanza fede. Riesaminiamoli nuovamente in breve al fine di averli ben chiari in testa.

Non vi può essere alcun dubbio sulla realtà dei sensa e delle immagini (psiconi) che sono, anzi, le sole realtà di cui possiamo avere conoscenza. I fenomeni telepatici dimostrano che queste entità non si uniformano alle leggi fisiche perché passano (per usare una termi-nologia alla buona) da una mente all'altra senza un intermediario fisico; ma si uniformano alle leggi psichiche, particolarmente alla legge del-l'associazione, ed i collegamenti associativi agiscono efficacemente dietro le quinte, per così dire, del mondo fisico. Di conseguenza, sistemi di psiconi associativamente collegati ci forniscono una realtà di ordine non fisico, e non vi è nulla che giustifichi, anzi è l'opposto, la suppo-sizione che essi cessino con la morte fisica, in quanto sappiamo che nella telepatia essi agiscono senza basarsi su procedimenti fisici. I fe-nomeni della telepatia ecc. non sono quindi una alternativa della so-pravvivenza ma virtualmente una garanzia di essa.

Il problema che si pone è quindi quello di sapere che cosa accade ai sistemi di psiconi dopo la morte o, in altre parole, che forma prende la sopravvivenza. Evidentemente esiste in partenza la possibilità, che non credo siamo ancora in grado di eliminare completamente anche se io la considero poco probabile in base alle prove dei fatti, che il sistema di psiconi sopravvissuti si disgreghi gradatamente. Personal-mente credo che sia più probabile un processo di integramento che non uno di disintegrazione, e ciò senza alcuna diminuzione del senti-mento dell'"Io"; ma, dato il nostro attuale stato di ignoranza, non mi sento in grado di difendere troppo energicamente questo punto di vista.

D'altra parte, credo che sia indiscutibile quanto ho detto circa oggetti, situazioni ecc, immaginati ma "reali" per la mente sopravvis-suta, e circa il modo con cui questo spiega il materialismo apparente-mente grossolano di alcune comunicazioni medianiche; e credo che da questo si tragga la conclusione che "il mondo dell'ai di là" avrà, in primo luogo, un carattere definito di sogno. Non si vuoi dire con ciò che sarà puramente fantastico, nel senso comune della parola,

Il problema della sopravvivenza 189

ma solo che sarà regolato da leggi psichiche e non fisiche, per adat-tarsi alle quali ci vorrà un po' di tempo, esattamente come avviene quando prendiamo contatto con questo nostro mondo fisico.

Fino a qui mi sento quasi completamente sicuro di quanto so-stengo; ma oltre a questo punto qualsiasi congettura ci si azzardi a fare evidentemente deve essere estremamente cauta e suscettibile

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delle più drastiche revisioni. Non posso dire che questa prospettiva mi appaia particolarmente

attraente; d'altra parte, probabilmente, avremmo una sensazione assai simile, se, privi di qualsiasi esperienza di questo mondo che tanto ci dispiace lasciare, ci venissero descritti i principi generali che lo gover-nano; quindi, molto probabilmente, l'esistenza posi tnortem, una volta abituati, si dimostrerà molto più piacevole di quanto non appaia dalla mia descrizione.

Per concludere: forse la maggiore difficoltà che devo superare in questo argomento sorge dentro di noi, dal nostro desiderio di defi-nire una volta per tutte, in un modo o nell'altro e immediatamente, la questione e dalla nostra riluttanza a rassegnarci a uno stato di conoscenza parziale e incerta. Credo sia questo, più che la voce della ragione, che induce tanti di noi ad accettare da un lato le rosee storie fantastiche degli spiritisti, degli occultisti, della gente religiosa ecc. e dall'altra (poiché pretendiamo una risposta a qualsiasi prezzo) le pretenziose spiegazioni dei materialisti che affermano l'estinzione com-pleta. Noi insistiamo energicamente a dire che la sopravvivenza, se c'è, deve essere "provata"; mentre invece io dubito che ciò sia possibile nel senso comune della parola, perché ho il sospetto che proprio quelle proprietà dell'universo che possono darci la certezza di una qualche specie di sopravvivenza sono anche quelle che ci forniscono spiega-zioni alternative (quando si abbia abbastanza fantasia per pensarle).

Ma credo che possiamo fare meglio che dimostrare l'esistenza della sopravvivenza; possiamo scoprire qualche cosa su di essa. Se ci fac-ciamo insensibili ai dogmatismi di alcuni ambienti, ai sentimentalismi di altri e ai nostri stessi desideri; se scrutiamo attentamente le testi-monianze dei fatti (specialmente quelle più vecchie e più inaspettate); se cerchiamo di evolvere una teoria ragionevole su quanto è proba-bile che avvenga e la controlliamo ogni qualvolta sia possibile alla stregua dei fatti disponibili, sono convinto che possiamo formarci un concetto abbastanza chiaro di quali possano essere le condizioni posi mortem e del loro perché. In tal modo, studiando il "come", pos-siamo arrivare, per una via traversa, al "se" e arrivare ad avere un certo grado di sicurezza che con poca probabilità avremmo ottenuta con un assalto frontale.

CAPITOLO XII TEOLOGIA

E RELIGIONE

95. Introduzione: necessità di una nuova visione.

Qualsiasi insieme di fatti, o teoria che li spieghi, tendente a far luce sul problema della sopravvivenza evidentemente invade in notevole misura il domi-nio dei teologi, i quali da tempi immemorabili professano di detenere il monopolio delle informazioni su questo argomento. Personalmente sono convinto che il legame di parentela fra le due materie sia molto profondo; e quando avremo fatto ulteriori progressi nello studio dei fenomeni paranormali in generale, particolarmente nella direzione in-dicata in questo libro, ci troveremo in grado di risolvere, o più spesso di eliminare, tutti i maggiori problemi del campo teologico.

La discussione su questo argomento, tuttavia, è resa molto dif-ficile dalla circostanza che qualsiasi trattamento ragionevolmente reali-stico e obbiettivo di esso non solo è suscettibile di condanna in quanto irriverente e malvagio, ma, ciò che è ancor peggio, offende i sentimenti della gente. Ciò nondimeno, ritengo che si debba fare qualche tenta-tivo; infatti non può esservi alcun dubbio che l'idea del mondo (ad ogni modo quella del mondo occidentale) sui fatti fondamentali della vita e del destino della terra ha preso una direzione preoccupantemente sbagliata. Di questo, ritengo, se ne rendono abbastanza conto tutti, almeno nel senso che vi è un sincero e diffuso riconoscimento della necessità di una guida; ma le Chiese, che per giustificare la loro esistenza dovrebbero essere le nostre guide in questa materia, sembrano non avere nulla da offrirci oltre alle reiterate esortazioni a ritornare ai "principi del Cristianesimo" ed a una più viva "credenza in Dio".

Il lato tragico di tutto questo, almeno come lo vedo io, è il se-

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guente: che, con tutti i loro sbagli e le loro irrazionalità che sono molti e dolorosi, le Chiese sostengono i principi della decenza, della genti-lezza, dell'altruismo e dell'onestà e si oppongono all'inganno, alla cru-deltà e allo sfruttamento così cospicui nel mondo di oggi, ma però sono ingombrate da un complesso di principi tecnici, che per forza a un uomo ragionevole devono apparire incredibili o offensivi o non

Teologia e religione 191

applicabili, tanto da alienarsi invece che attirarsi proprio coloro di cui desiderano maggiormente l'appoggio.

A meno che a questo stato di cose non venga posto rimedio e venga adottata una nuova linea di condotta, le Chiese, a me sembra, sono destinate a perdere a poco a poco i loro ultimi avanzi di presti-gio e a cadere al livello delle più infime sètte, al pari dei Geoplanari e dei Piramidologhi.

96. Storia contro mito: il vero contributo del Cristianesimo.

Entrare in particolari non servirebbe ad altro che ad offendere senza necessità; ma, a mio vedere, ogni questione che si riferisca alla esat-tezza dei fatti delle enunciazioni bibliche

particolarmente quelli riferentesi ad avvenimenti "miracolosi" quali la Nascita della Ver-gine, la Risurrezione ecc.

non hanno alcuna attinenza con i veri problemi. Anzi, giungerei sino a dire che tutto il valore del Vangelo rispetto al genere umano

valore che è immenso

consiste non nel suo carattere storico, ma in quello leggendario, mitico e "tipico".

Non è il Sermone della montagna, credo, o almeno non solo que-sto, che costituisce il contributo particolare del Cristianesimo al pen-siero umano, perché massime molto simili possono essere trovate al-trove o, comunque, potrebbero essere facilmente dedotte. Il contri-buto va trovato piuttosto nell'affermazione che tutto ciò che è migliore e più elevato nell'uomo, caratterizzato nella persona di Gesù, deve per forza incontrare opposizione, è spesso perseguitato e apparente-mente distrutto, ma invece in effetti è indistruttibile ed eternamente "risorge" trionfante dall'apparente disastro. Ed è perché questa affer-mazione (ne sono convinto) è profondamente vera, e perché il genere umano ha vagamente ma tenacemente intuito che è vera, e perché la concezione cristiana del "meglio nell'uomo" (come nel Sermone) è più progredita delle concezioni parallele con i soliti eroi mitologici (prodezza fisica ecc.) che il vero Cristianesimo può proclamarsi una fede degna di resistere.

È l'eterno risorgere dello Spirito dell'Uomo, non quello di un determinato corpo di duemila anni fa, che dovrebbe giustamente ispi-rare oggi i nostri cuori e le nostre menti.

97. Lo "Spirito dell'Uomo".

Ho introdotto a questo punto l'espressione lo "Spirito dell'Uomo" di proposito, perché sono convinto che sia giustamente un concetto di grande importanza che ci permet-terà col tempo di collegare, attraverso i fenomeni paranormali, da un lato la scienza e dall'altro la teoria della telepatia alla religione pro-priamente detta e distinta da qualsiasi credo particolare.

Si ricorderà che ho già accennato vagamente e solo in forma di 192 Teologia e religione

tentativo alla possibilità che ciò che comunemente chiamiamo e pen-siamo come menti "individuali" possano essere collegate insieme tele-paticamente (cioè associativamente) in sintesi più vaste o più "elevate", press'a poco come i sistemi che formano gli stati d'animo, i sentimenti, i complessi ecc. sono collegati insieme per formare una mente indi-viduale.

Ho detto di trattare questa questione in forma di tentativo per ragioni di precauzione generale, ed in forma vaga per la semplicissima ragione che non so ancora nulla di preciso. Tuttavia credo che si possa andare un poco più avanti di quanto non abbiano fatto sinora e dire che, se la telepatia effettivamente esiste e se la teoria dell'associazione che ne deriva è esatta, tali sintesi più elevate devono potersi formare.

Nel prossimo capitolo cercherò di esaminare più dettagliatamente il meccanismo con cui esse funzionano; per il momento basterà dire

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solo questo, usando termini semplici per amore di brevità: un'idea nella mente "A" tende a comparire nella mente "B" (se vi è telepatia) se una terza idea "K", alla quale è associata in "A", si presenta in "B"; ma questo, ammesso che sia vero, non tiene conto della parti-colare natura di "K" e del fatto che essa venga presentata o meno ecc. nel corso di un esperimento deliberato. Inoltre debbono esservi innu-merevoli idee capaci di agire da "K", di modo che dobbiamo supporre che il processo di collegamento associativo fra una mente e l'altra in una certa misura è incessantemente in atto, sia pure solo su una base determinata dal caso.

La maggior parte di questo processo semplicemente si sovrap-porrà all'ordinario processo associativo e potrà essere ignorato 1; ciò che non viene eliminato, suppongo, sarà ricacciato indietro dalla con-correnza degli stimoli fisici contemporanei. Ma credo dovrebbe esservi un residuo che tende, per così dire, a unire sempre più le menti indi-viduali e la sua influenza dovrebbe essere in rapporto alla misura di ereditarietà e di esperienza che hanno reso un particolare gruppo di persone più "simili mentalmente"

nel senso dato all'espressione nel sottocapitolo 49

fra di loro che non fra altri gruppi. Non è necessario qui entrare in particolari, né siamo in grado

di farlo; ma ritengo debba essere ben chiaro il concetto che, se la telepatia ed il conseguente raggruppamento di contenuto mentale è con-

1 Per esempio: se voi ed io vediamo la luna, molte idee associate tende-deranno a presentarsi alle nostre rispettive menti; ma la grande maggioranza di esse sarà già stata collegata a "luna" mediante le nostre normali esperienze indi-pendenti ma analoghe di modo che non entreranno nel campo di azione della telepatia. La telepatia si verificherebbe solo se voi ed io avessimo formato una associazione speciale ed insolita, nostra particolare, quale ad esempio "luna e barattolo di colla".

Teologia e religione 193

tinuamente in progresso, anche se in misura piccolissima e casuale, allora

parlando in generale

tutte le menti umane (sistemi di psiconi) saranno collegate insieme in una singola mente o sistema sem-plicemente in virtù della comune natura umana delle menti individuali che vi contribuiscono o le costituiscono. E presumibilmente lo stesso varrà (probabilmente con maggior forza) per le menti sopravviventi e vi sarà anche un collegamento fra queste e le menti incarnate. Quindi, a me sembra, siamo quasi certamente su terreno sicuro quando con-cepiamo qualche cosa che possiamo a ragione chiamare la Natura umana della Mente, o la Mente, o lo Spirito dell'Uomo.

Non vogliamo con ciò dire che esiste, per cosi dire, "solo" una Grande Mente; perché queste non sarebbero che chiacchiere sciocche e contrarie a quanto ci dimostra l'esperienza. Sappiamo abbastanza bene che per quasi tutti i fini pratici e in tutte le circostanze, tranne le ec-cezionali, la vostra mente e la mia e quella di Smith, di Brown e di Jones sono quasi completamente separate; ma questa non è una ragione sufficiente perché esse non costituiscano un 99 per cento di parti auto-nome di una più vasta federazione, sia pur desiderosissime di mante-nere i loro diritti di stati sovrani. Inoltre mi sembra molto poco pro-babile

per quanto poco dogmatico voglia essere

che lo spirito dell'Uomo sia una entità cosciente di se stessa nello stesso modo defi-nito e concreto (sto cercando le parole appropriate) con cui lo sono il mio o vostro spirito.

Giunti a questo punto qualunque cosa si dica non potrà essere altro che congettura pura e semplice; comunque, io concepisco lo Spi-rito dell'Uomo come qualche cosa che per ora è molto slegato e mal connesso, pieno, per così dire, di innumerevoli sette discordi e con un'organizzazione federativa che incomincia appena a delinearsi. Ma, naturalmente, può darsi che sia andato integrandosi e armonizzandosi molto più di quanto non immagini; non abbiamo però modo di con-trollarlo; tuttavia, se così è, quanto ho da dire non può che avvantag-giarsene a fortiori.

D'altra parte, trovo facile e utile, nei momenti in cui mi dedico alla speculazione, cullarmi nell'idea che, ammesso che si possa ragione-volmente dire che la vita umana abbia uno "scopo" che non sia quello di vivere per godere al massimo di quanto in essa si svolge, è proba-bile vi sia un progressivo processo di armonizzazione, di integrazione

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o "realizzazione di se stesso" di questo Spirito dell'Uomo o Mente della Natura Umana.

98. Lo Spirito dell'Uomo quale base di una teologia razionale.

Per quanto vaghi si debba necessariamente rimanere nei dettagli, pra-ticamente non ho alcun dubbio che nell'universo esiste qualche cosa 194 Teologia e religione

del genere di uno Spirito dell'Uomo, del tipo che ho or ora grosso-lanamente tratteggiato. E ora vorrei esporvi questa mia opinione; cioè che questa concezione dello Spirito dell'Uomo ci offre tutto ciò di cui abbiamo bisogno per dare una spiegazione razionale di quelle credenze ed esperienze religiose che non si contraddicono di per se stesse o che non sono palesemente in antitesi con i fatti.

Vi sono state, e ancora vi sono, tante religioni e sette diverse sulle quali sono andate a posarsi tante sovrastrutture e che hanno assimilato tanti miti e fantasie, che a prima vista non è facile discernere i tratti essenziali e caratteristici della religione in generale. Ma credo che, una volta eliminate tutte le scorie, rimangano pochissimi dubbi. Alla base di qualsiasi religione sta l'innata e profonda convinzione dell'uomo, o "sentimento" se si preferisce un termine più vago, che in una qualche misura egli partecipa alla vita di qualche cosa di più vasto di lui stesso 0 di qualche cosa di "sovrumano", o almeno (e meglio) "superindivi- duale". Infatti l'esperienza religiosa più caratteristica è quella di aver partecipato a questa Mente o Spirito o Coscienza superindividuale, o esservi penetrato e essere diventato uno con essa. Su questo punto, credo, tutti coloro che hanno goduto di simili esperienze, in quella che viene comunemente accettata per la forma più elevata (estasi mi stica ecc.) sono in sostanza unanimemente d'accordo. Io avanzo la ipotesi che ciò a cui in tali circostanze si è partecipato, cioè la più Grande Coscienza ecc. e con cui è stata consumata l'unione, sia la mente gruppo superindividuale del genere umano o lo Spirito dell'Uomo, e che non sia affatto necessario invocare nessuna speciale Mente Divina o altro: Se ci vien riferita una esperienza quale l'unione (attraverso qualsiasi mezzo che in questo momento non ci riguarda) con una mente o una coscienza enormemente più vasta, è appunto ciò di cui parla colui che ci riferisce la sua esperienza di unione.

Se per una ragione qualsiasi, a parte i semplici pregiudizi, doves-simo decidere che la Mente della Natura Umana non basta a spiegare 1 fenomeni osservati, non avremmo naturalmente alcuna obiezione da opporre alla supposizione che questo stesso sistema è collegato, in una sintesi ancora più vasta, con qualsiasi altro sistema esistente quale, ad esempio, quello degli animali o degli oggetti "inanimati" (supponendo che abbiamo un'anima) o con quelli degli abitanti di altri pianeti ecc.

Questo concetto nel suo insieme non ha nulla di particolarmente originale. Numerosi scrittori hanno parlato della Coscienza Cosmica o Universale, della Superanima, dello Spirito del Mondo e così via. Gli unici aspetti nuovi (e sono convinto che siano importanti) sono: il principio che una concezione più definita dello Spirito dell'Uomo ri-sponde a tutto quanto è necessario; la capacità di spiegare che cosa è la Più Elevata Coscienza o altra entità analoga; e la natura dei prò-

Teologia e religione 195

cessi per mezzo dei quali essa si forma. La Mente della Natura Umana, dunque, è un sistema di psiconi, o mente, di un ordine più elevato; e si forma mediante un processo associativo funzionante fra menti indi-viduali o sotto-sistemi di esse, come nel caso della telepatia.

Forse a questo punto sarà opportuno inserire una spiegazione a carattere tecnico.

Tutti ci rendiamo conto, talvolta anche con troppa lucidità, che nella mente individuale esistono gruppi di tendenze abbastanza contra-stanti e più o meno escludentisi a vicenda, tendenze che all'ingrosso distinguiamo in "buone" e "cattive" o "nobili" e "basse" o con qualche altra antitesi del genere. Non vedo per quale ragione si debba dubitare che un'analoga distinzione e separazione delle capre dalle pecore, preval-ga anche nella sintesi più vasta della Mente della Natura Umana nel suo insieme; e presumibilmente è con la massa degli elementi "buoni" o

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"nobili" che il mistico, qualunque sia il metodo che ha adottato, rag-giunge l'unione con essa. Presumibilmente, anche il Satana vittorioso, invertendo i metodi, raggiunge un rapporto analogo con le masse di elementi "bassi" o "cattivi".

9. Definizione di Divinità,

Non sono mai riuscito a capire per-

ché la gente vuoi credere nel Dio fornitoci dalle Chiese se non in quanto deve essere molto confortante sapere che vi è Qualcuno che cura i nostri interessi, che ci protegge dal male ed è disposto (se glielo si chiede nel modo appropriato) ad allontanare da noi le conseguenze delle nostre follie. Ma tutto questo a me non sembra altro che un pio desiderio fondato su un minimo di dati di fatto; non credo che si possa dimostrare con la statistica che la pioggia interviene a far cessare la siccità più frequentemente quando richiesta con le preghiere che quando non richiesta, o che le case delle persone pie sono colpite dalle bombe meno spesso di quelle degli increduli.

Avanzo questo esempio non perché voglia offendere senza mo-tivo, ma perché credo che molte difficoltà e molti guai siano stati causati dai teologi e dalle persone pie per il fatto che non hanno pen-sato a ciò che stavano per fare prima di farlo. Infatti essi vogliono asse-rire alcune cose (molte delle quali vere e importanti) sui rapporti del-l'uomo con l'universo in cui egli vive; essi vogliono dare delle spiega-zioni di queste verità; ma invece di prenderle una a una e trattare ciascuna di esse nel suo giusto valore, essi hanno la tendenza a farne tutto un fascio e presentarle come "attributi" di una ipotetica Divi-nità, con le conseguenze logiche più disastrose.

Essi, ad esempio, parlano della Paternità di Dio, pur non pre-tendendo che la parentela di Dio con l'uomo sia precisamente come quella del Re Edoardo VII col re Giorgio V. Essi si servono di questa 196 Teologia e religione

pretesa ma indefinita parentela per avvalorare il principio della fra-tellanza umana. Dio è Padre di tutti noi, essi dichiarano, quindi siamo tutti fratelli (o quasi fratelli, ma non vi è bisogno di far cavilli su questo particolare). Ma il ragionamento, naturalmente, dovrebbe se-guire il cammino esattamente inverso. Siamo tutti quasi fratelli, nel senso che siamo tutti esseri umani abbandonati insieme su questo fram-mento di terra nello spazio; e dovrebbe essere ovvio anche alla mente più meschina che il modo migliore per condurre i nostri affari è quello che si uniforma allo spirito di cordiale collaborazione o di "fratellanza", se preferite il termine leggermente sentimentale, piuttosto che sfruttan-doci a vicenda e facendo del nostro meglio per strozzarci gli uni gli altri. Se poi qualcuno vuole introdurre il concetto di paternità, evidentemen-te il corrispondente di "Padre" sarà ciò che risulta dai corrispondenti rapporti di "fratellanza". Ma ciò è la nostra comune umanità, e non vi è bisogno di investire una supposta divinità degli attributi della pater-nità. Questo riporta al concetto di Mente della Natura Umana o Spirito dell'Uomo in quanto soddisfa alle funzioni del "Dio" delle Chiese.

E ancora, i teologi insistono a dire che Dio è Bontà e si permet-tono pure osservazioni sulla "bontà" perfetta e quintessenziale. In questo caso essi farebbero bene a confrontare quanto è stato detto dai filosofi che si sono occupati della definizione che dovrebbe essere usata in tali contesti.

Il filosofi moderni fanno grande uso di un principio noto con il nome di Principio della astrazione estensiva, usato per la prima volta (credo) dal Frege nella sua definizione del Numero, ma in seguito molto sviluppata e generalizzata dal Whitehead, che il lettore dovrebbe con-sultare. Non posso qui spiegare questo principio, ma, molto superfi-cialmente, la sostanza è che possiamo definire un'entità in qualunque modo vogliamo purché essa, così definita, abbia le proprietà necessarie per soddisfare a quanto richiediamo da lei. Quindi il numero 3 è definito come "la classe di tutte le triadi"; una "cosa" è definita "l'intera classe di apparenze che verrebbero comunemente dette apparenze di quella cosa"; un punto è definito "la classe di tutti i volumi in una serie che comunemente si direbbe convergere in quel punto". Queste definizioni hanno un aspetto poco familiare e piuttosto ostico, ma si è trovato che rispondono benissimo allo scopo.

Propongo che, nella fattispecie della "bontà", la definizione giusta

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di "Dio" sia: "l'intera classe di ciò che viene comunemente considerato pensieri buoni" 1.

Ritengo che i teologi potrebbero sperimentare questa definizione

1 E corrispondentemente il diavolo sarà definito: "l'intera classe dei pen-sieri cattivi".

Teologia e religione 197

vantaggiosamente, sebbene confesso che non vedo bene che cosa otter-rebbero dal concetto di Dio così definito, nel senso che uno possa "ottenere qualche cosa" dai numeri, dai punti ecc. definiti allo stesso modo.

A chi mi obietterà che dovrei definire il termine "buono" (e pro-babilmente se così facessi rischierei di fare un enorme passo indietro) ho due risposte da dare. Primo, credo che la parola "buono" è suffi-cientemente definita dall'espressione "ciò che viene comunemente consi-derato". In pratica vi sono pochissimi dubbi su ciò che è buono, o, ad ogni modo, su ciò che è cattivo; nessuno penserà mai che crudeltà, frode, paura e pensieri e azioni che producono dolore siano "buoni", o negherà che gentilezza e altruismo lo siano. Secondo, se si insiste, direi che sono buoni quei pensieri (e le azioni che hanno la tendenza a portare a quei pensieri) che suscitano nel genere umano una felicità di lunga durata. In quanto alla felicità la considererei come una delle cose indefinibili, nello stesso senso di "rosso"; infatti non potete spie-gare le caratteristiche del "rosso" a una persona cieca fin dalla na-scita. Ma ritengo che dovrei descrivere la felicità come uno stato, non come alcuni sembrano immaginarselo, di contentezza puramente statica né di godimento febbrile di piaceri, ma piuttosto come una specie di serenità dinamica; serenità perché l'armonia e l'assenza di conflitti ne costituiscono l'essenza, dinamica perché viviamo in un perpetuo mutare al quale dobbiamo perpetuamente adattarci se dobbiamo mantenere l'armonia. L'essenza del senso di piacere, credo che sia la distensione o l'abbandono di una tensione o conflitto, come l'incapacità a cessare un conflitto è senso di insoddisfazione. Ho il sospetto che negli stati che diciamo di felicità si verifichi perpetuamente il rilassamento di una incipiente tensione in quanto reagiamo in perfetta armonia col mutante ambiente che ci circonda.

Ma questa è una digressione. Ciò che voglio dire, ancora una volta, è che, non appena ci accingiamo ad affrontare un problema teologico, troviamo che le concezioni derivanti dal concetto di Spirito dell'Uomo soddisferanno a tutte le nostre necessità.

A questo punto si può quasi esser certi che qualcuno obietterà che ho parlato in termini di valori umani, mentre invece i soli valori che contano veramente sono quelli "divini", cioè, ad esempio, se una cosa non è buona "agli occhi di Dio", essa semplicemente non è buona, indipendentemente dal fatto che procuri o meno felicità al genere uma-no. Non solo non condivido questa opinione, ma ritengo che essa per definizione non sia altro che una sciocchezza. Naturalmente può darsi benissimo che sia vero, e anzi lo si può dimostrare, che la felicità a lunga durata può essere garantita solo al prezzo di qualche dolore di breve durata (tranne forse per coloro che sono eccezionalmente lungi- 198 Teologia e religione

miranti) e che l'individuo spesso deve subordinare i suoi desideri im-mediati a interessi per il bene comune, trovando la sua soddisfazione nel senso di maggiore unione con la comunità. Ma se vi fosse una Potenza che decisamente desiderasse e lavorasse per la infelicità del-l'umanità, essa sarebbe, per definizione, il nemico del genere umano. Vi sono molti punti secondari che sarebbe interessante, in misura maggiore o minore, discutere, come, ad esempio, il modo con cui la vita terrena individuale può essere influenzata dalla Mente della Natura Umana o se la teoria teologica della Dannazione ha il suo equivalente logico nella disgregazione dei sistemi di psiconi incapaci di assimilarsi armonicamente ad essa; ma questo ci porterebbe molto fuori dal seminato.

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100. Osservazioni conclusive.

Ho la netta sensazione che ciò

di cui il mondo ha maggiormente bisogno oggi non sia una nuova religione (ve ne sono già troppe) o la vivificazione di una vecchia (tutte sono, in misura maggiore o minore, irrazionali oppure sorpassate o anche l'uno e l'altro) ma una visione intelligente dell'uomo, tale da aggiungere forza razionale al concetto della responsabilità sociale di ciascun individuo o gruppo verso gli altri, la cui terribile mancanza ci ha portati all'attuale disastrosa situazione.

Le Chiese hanno fallito perché, sebbene la loro etica sia per lo più abbastanza salda, hanno continuato ad ingombrarla con una massa di teologia irrazionale, repellente e non rispondente allo scopo, che sta diventando sempre meno accettabile alle mentalità moderne. D'altra parte, i cosiddetti razionalisti hanno commesso l'errore di andare all'estremo opposto e negare la possibilità di una qualsiasi realtà che non sia quella materiale; e questo credo valga anche per gli scienziati umanisti, i quali, suppongo, rappresentano lo stadio più avanzato della fede razionalista.

Ma anche questo concetto è destinato, al massimo, ad un successo più che limitato perché ignora e non riesce a soddisfare l'irradicata con-vinzione dell'uomo che vi è un ordine di realtà, e cioè quella che egli chiama "spirituale", ma che io preferisco chiamare "psichica", al di là od in aggiunta a quella materiale.

Questa convinzione, che è così profondamente irradicata e così dif-fusa da potersi quasi definire istintiva, può non di meno non essere altro che un irremovibile pio desiderio, derivante unicamente dal timore della morte e dal desiderio naturale di un mondo più comodo. Ma la presenza di fenomeni paranormali in generale e della telepatia in parti-colare dimostrano, senza lasciare alcun dubbio, che il caso vuole che l'uomo in questo abbia ragione; e anche che la ragione quando pensa che l'umanesimo razionalista, nonostante la sua insistenza perfettamente

Teologia e religione 199

giusta sull'umanità quale unica fonte di tutti i valori applicabili all'uo-mo, omette qualche cosa di importanza vitale per una teoria filosofica completa della vita.

Io propongo che, se alla concezione e all'etica umanista (che so-stanzialmente è l'etica cristiana) aggiungiamo il riconoscimento dei feno-meni paranormali e quanto da essi deriva, e aggiungiamo anche una appropriata teoria sviluppata adeguatamente più o meno nella dire-zione indicata sopra, potremo addurre una spiegazione dell'universo che non solo darà piena soddisfazione alle profonde aspirazioni mistiche dell'uomo ma anche soddisferà le più rigorose necessità del raziocinio. Questo sarebbe molto desiderabile perché l'uomo, nonostante Tertul-liano (credo quia impossibile) è profondamente razionalista quanto in-curabilmente mistico.

CAPITOLO XIII MENTI-

GRUPPI E SISTEMI SOCIALI

101. Generalità.

Se si ammette che le menti individuali, o sistemi di psiconi, tendono ad integrarsi, sia pure parzialmente e tem poraneamente, in sistemi più vasti, questo può essere di notevole im portanza per gli studiosi di psicologia sociale e per i teorici della politica.

Una buona quantità di lavoro sulla psicologia collettiva natural-mente è già stato svolto, ad esempio da Le Bon, da Trotter, da McDougall e da molti altri; ma non credo che alcuno di essi, ad eccezione di McDougall, e anche lui in forma molto approssimativa, abbia pensato che valesse la pena di suggerire che la telepatia può essere un fattore im-portante nelle situazioni di gruppo. D'altra parte, sembra sia ammesso quasi generalmente che i gruppi, specialmente le folle, spesso danno prova di modi di comportamento che sono molto difficili da spiegare basandosi sul concetto che il gruppo non è altro che una massa di indi-vidui vicini geograficamente ma isolati psichicamente, soggetti a stimoli sostanzialmente comuni; in particolare, essi hanno la tendenza ad agire in modo più estremista e violento (panico, brutalità ecc.) di quanto non farebbe in media ciascun membro che li compone.

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Si può ragionevolmente prevedere che qualsiasi tendenza a for-mare una mente-gruppo, al di fuori e al disopra delle menti individuali che costituiscono il gruppo stesso, mediante rapporti telepatici tra di essi, chiarisca questi punti. Può anche darsi che il concetto di mente-gruppo sia applicabile alla politica pratica; infatti, se gli individui di un gruppo, di una società o di una comunità, semplicemente in virtù del fatto che costituiscono un gruppo, tendono naturalmente ad organiz-zare la loro vita pratica in un particolare modo, e noi proviamo artifi-cialmente ad organizzare la loro vita politica in un modo che non si armonizza con quello con cui essi stessi tendono ad organizzarsi, con molta probabilità sorgeranno discordie e conflitti che renderanno questa società instabile e facilmente disgregabile.

102. Formazione delle menti-gruppo.

Dato lo sviluppo attua le della nostra materia, io non mi proclamo capace di fare una rassegna

Menti-gruppi e sistemi sociali 201

precisa e dettagliata del processo di integrazione psichica cui si è sopra riferito, che presumibilmente varierà notevolmente a seconda dei casi. Ma credo sia abbastanza facile intuire i principi generali che ne deri-vano ed avere così una visione leggermente più chiara di quanto non abbiamo avuto fino ad ora, circa le possibilità che si prospettano.

Parlando nei termini più lati e generali, potremmo ragionare nel seguente modo: immaginati due o più organismi identici come struttura anatomica e come contenuto e rapporti associativi dei loro sistemi di psiconi, necessariamente essi si comporteranno in modo identico in qualsiasi determinata situazione, perché non vi è nulla che, per ipotesi, possa farli comportare diversamente. Per contro, se immaginiamo due o più organismi, ciascuno dei quali completamente diverso da tutti gli altri (il che è impossibile, ma questo ora non importa), essi necessa-riamente si comporteranno diversamente in qualsiasi circostanza, perché non vi è nulla che possa farli comportare nello stesso modo.

In pratica poi gli organismi sono in parte eguali e in parte diversi e nel loro comportamento si riscontrano corrispondenti rassomiglianze e diversità. Ma è chiaro che se, in due o più organismi, potete alterare qualsiasi dei componenti da cui dipende il comportamento, tanto da renderli simili, aumenterete le probabilità di comportamento analogo; in particolare, ai fini che noi ci proponiamo, lo otterremo aumentando l'analogia del loro contenuto mentale, cioè il numero degli psiconi ana-loghi o organizzati analogamente nei loro sistemi di psiconi (menti). Ma ciò è esattamente quanto viene fatto teoricamente, sebbene in scala minima e insignificante, nella telepatia sperimentale; infatti lo spe-rimentatore "X" fa sì che l'idea di un oggetto "O" diventi associata o collegata con l'idea dell'esperimento "E" nelle menti dei percipienti "A", "B", "C... ecc. E più in generale, la presentazione di una qual-siasi idea "K", con la quale un'altra idea "Q" è collegata associativa-mente, in una mente "M", a un numero di altre menti, tenderà a "im-piantare", per così dire, questa idea "Q" in queste menti e così avvi-cinarle alla condizione di "una mente con un unico pensiero",

Consideriamo ora la situazione di un gruppo di persone che assi-stano a una commedia o a un film o a una corsa di cavalli o ascoltano un oratore. Possiamo supporre che essi siano tutti concentrati su quanto sta succedendo, di modo che il loro campo di coscienza è per lo più occupato da sensi e immagini sostanzialmente identici. Fino a qui non vi è nulla di notevole da osservare; naturalmente, queste persone avranno la tendenza a comportarsi nello stesso modo, a piangere con la prima donna, ad applaudire al vincitore della corsa, o applaudire all'ora-tore semplicemente perché sono persone più o meno analoghe (altri-menti non sarebbero riunite lì) che agiscono sotto gli stessi stimoli. Ma tutta la situazione nel suo complesso può agire da gigantesca "K", cioè 202 Menti-gruppi e sistemi sociali

è un grande gruppo di idee presentato simultaneamente a tutte le menti in questione; e ne consegue, in base a tutto quanto abbiamo detto della teoria associativa della telepatia, che se un'idea "Q" per caso è, o è stata, fortemente associata con questa situazione (o con un'altra conte-nente un aumento elevato di elementi simili) in un'altra mente o in

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altre menti, questa idea "Q" tenderà a presentarsi alle menti di coloro che sono presenti.

Quindi, se l'oratore collega un'idea come quella di "vendetta" con questa situazione agente da "K", o qualche sciocco urla "fuoco", queste idee, con i loro satelliti associati, tenderanno a presentarsi alle menti del pubblico con molta più forza che se fossero state presentate a ciascun membro separatamente, perché esse non saranno comunicate solo verbalmente ma anche "telepatizzate". Inoltre, facendo un'ipotesi, le menti del pubblico saranno occupate da quanto è accaduto, di modo che si può ragionevolmente supporre che i vari gruppi di idee, che normalmente danno origine al senso critico e ne costituiscono la base, saranno meno accessibili che non in una situazione non di gruppo.

103. Idee e folla (seguito).

Devo confessare che non ho la certezza assoluta che questo ragionamento sia molto calzante, sebbene sia abbastanza sicuro che ciò che si verifica corrisponde press'a poco a quanto ho testé descritto. Potremo, forse, renderlo più convincente esaminando se può entrare in giuoco qualche influenza rigeneratrice. Supponiamo che per un motivo qualsiasi, ad esempio dietro suggerimento dell'oratore o altro, un membro del pubblico per caso pensi in un mo-mento qualsiasi a un'idea "Q"; egli si trova allora nella situazione di uno sperimentatore che associa "Q" con la situazione complessiva che agisce da "K" e, di conseguenza, "Q", rimanendo il resto immutato o quasi, tenderà a presentarsi alle menti degli altri membri del pubblico. Tutto ciò va benissimo, ma dobbiamo supporre che queste altre persone abbiano anche idee loro proprie, di modo che esse, in qualsiasi momento, associano una gran quantità di altre idee R, S, T,... ecc. con la stessa "K". Si tratta quindi di vedere quale prevarrà o se invece si elimineranno a vicenda. Credo che non vi possa essere alcun dubbio su ciò: "Q" prevarrà a preferenza di R, S, T, ecc. se una qualsiasi delle menti in questione sarà, per caso, già in antecedenza più strettamente associata delle altre con la situazione agente da "K".

Facendo una piccola digressione: non sappiamo ancora se due o più sperimentatori, che si servano dello stesso originale, rimanendo il resto immutato o quasi, sono più efficaci di quanto non lo sia uno solo, ma io credo che lo siano \ Se è così, supponendo allora che una

1 Se ben ricordo, Warcollier sostiene di aver ottenuto risultati migliori usando più sperimentatori (agenti), ma manca la conferma di quanto egli riferisce.

Menti-gruppi e sistemi sociali 203

prima persona "A" pensi a "Q" e quindi la colleghi alla situazione "K" del momento, e supponendo che "Q" sia abbastanza strettamente associata in antecedenza con questa "K" nella mente di "B", in modo da trovarsi relativamente alla superficie, per così dire, allora è proba-bile che "B" pensi a "Q" e avremmo due quasi-sperimentatori invece di uno. In base a questa ipotesi l'influenza da loro esercitata sarà più forte, di modo che potrà presentarsi alla mente di una terza persona "C", mentre altrimenti ciò non avverrebbe; in tal modo tutto questo procedimento rigeneratore può continuare fino a che tutto il pubblico sarà in possesso dell'idea "Q".

Ad ogni modo, credo sia abbastanza chiaro che solo idee molto facilmente associate con la "K" in questione possono presentarsi con forza sufficiente da diventare la base di comportamento di un gruppo e questa considerazione ci fornisce la chiave per capire la tendenza osservata nella folla a comportarsi in modo più primitivo e meno civi-lizzato di quanto ci si aspetterebbe. L'uomo civile, per lo più, è assai individualizzato, cioè a dire, le sue esperienze sono considerevolmente diverse da quelle di qualsiasi altro individuo, di modo che nelle diverse menti ad una data idea sono collegati gruppi di idee diverse. Quindi all'idea di Fuoco (incendio) tanto voi che io e Jones possiamo avere associata l'idea di Fuga, ma voi potete anche avervi associata l'idea di autopompa, io quella di spegnitore Minimax e Jones quella di sacchi di sabbia. L'idea di Fuga è primitiva e (crederei) associata molto diret-tamente, mentre invece le altre sono certamente più evolute e proba-bilmente collegate meno strettamente. Ma nella situazione immaginaria di qualcuno che lancia un grido di allarme in un teatro ecc, solo l'idea primitiva di Fuga potrà presentarsi a tutti quanti, e certamente sarà l'unica (di regola) che il pubblico potrà mettere in atto, poiché autopompe

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ecc. non saranno a portata di mano. Di conseguenza, suppongo che le circostanze sono queste

naturalmente all'atto pratico variano mol-

tissimo

le idee più primitive ed il corrispondente comportamento

hanno maggiore probabilità di diffondersi e trasformarsi in azione che non quelle più evolute.

104. Menti-gruppi: principi generali della loro formazione. Sia che le idee da me testé avanzate siano giuste, sia che siano sbagliate, credo che si possano stabilire uno o due principi relativi a questo argomento senza incorrere troppo nel pericolo di sbagliarci.

Primo: le idee possono diffondersi telepaticamente fra un qualsiasi agglomerato di persone e la loro integrazione psichica si produce in rap-porto alla loro associazione con una qualsiasi idea o gruppo di idee (o oggetti, naturalmente) capaci di agire da "K". Secondo: qualsiasi agglo-merato di persone (o anzi di organismi) tenderanno a divenire colle-gati mentalmente e a pensare ed agire con maggiore unanimità di 204 Menti-gruppi e sistemi sociali

quanto altrimenti non farebbero appunto perché questo genere di proce-dimento agisce al di fuori e al di sopra dei metodi ordinari di comuni-cazione quali la parola, la scrittura ecc. Terzo: l'influenza aumenterà o diminuirà in proporzione ai maggiori o minori rapporti esistenti fra queste idee agenti da "K" e le altre (idee non agenti da "K").

Ritengo che non possano presentarsi dubbi circa queste enuncia-zioni e che anzi sono quasi tautologiche.

Direi che ora siamo in grado di vedere, almeno nelle grandi linee, come è probabile che questo processo si presenti in organismi di tipo diverso.

Innanzi tutto osserviamo che, se avessimo un agglomerato di or-ganismi veramente identici sotto tutti i punti di vista e che conducano una vita identica, vi sarebbero scambi telepatici perfetti perché non sarebbe possibile avere un'idea che fosse associata con qualche cosa che non sia una "K". D'altra parte una simile situazione sarebbe indistinguibile da una in cui non vi fosse alcuno scambio telepatico, perché organismi identici in situazioni identiche dovrebbero per forza pensare (uso questa parola nel suo senso più lato) ed agire identica-mente in base ai principi puramente matematici. Per contro, come ho già detto, se i membri di tale agglomerato fossero totalmente diversi per costituzione e sottostassero a esperienze totalmente diverse, non potrebbe esservi alcun scambio di rapporti telepatici.

Ne consegue dunque che deve esservi una condizione intermedia fra questi due estremi nella quale l'influenza telepatica sarà al massimo; e che questa si produrrà quando i membri di un agglomerato hanno moltissime cose in comune ma dimostrano una moderata diversità nella loro costituzione o nelle loro esperienze o in entrambe 1. Naturalmente è impossibile parlare quantitativamente.

Ora, nell'Uomo, gli individui differiscono assai considerevolmente in ciò che ho chiamato "costituzione" che comprende l'ereditarietà ecc. e enormemente in esperienza, anche quando vivono nella stessa comu-nità e nelle stesse condizioni fisiche. Ciò è dovuto allo sviluppo della parola e della scrittura, di cui la prima virtualmente e la seconda esclu-sivamente sono peculiari dell'uomo, in quanto gli permettono di godere per interposta persona e indirettamente di un'ampia varietà di espe-rienze che non avrebbe mai potuto sperare di fare direttamente. Di conseguenza dal punto di vista che qui ci interessa, l'uomo è incompa-rabilmente più differenziato e gli individui della sua specie incompara-bilmente più diversi di quelli di qualsiasi altro animale.

1 A rigor di termini, credo che quanto importa sia l'esperienza, perché ciò che ci interessa è la natura ed il legame dei sensa e delle immagini; ma la "costituzione" è importante indirettamente perché le modificherà a seconda del-l'individuo.

Menti-gruppi e sistemi sociali 205

Quindi non dovremmo aspettarci che in condizioni normali lo scambio di rapporti telepatici sia un tratto molto marcato della vita umana o, almeno, le considerazioni teoriche ci portano a fare questa supposizione, perché gli uomini sono cosi diversi fra di loro da trovarsi più vicini alla seconda delle due eventualità estreme menzionate più

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sopra, cioè a quella in cui gli organismi individuali di un agglome-rato sono totalmente diversi. In effetti gli uomini non sono totalmente diversi gli uni dagli altri, altrimenti non si potrebbero chiamare tutti "uomini"; al contrario essi si rassomigliano moltissimo fra di loro sotto molti punti di vista importanti, come pure ha aspetti simili la vita che essi conducono. Ma è perfettamente ragionevole supporre che, ai nostri fini attuali, le diversità di esperienze sorpassino le rassomi-glianze tranne che in circostanze speciali.

All'estremo opposto, press'a poco, immagino un banco di ostriche i cui membri sono, sotto tutti i rapporti, costituiti identicamente e fanno sostanzialmente esperienze identiche che nessun godimento let-terario permette loro di differenziare per interposta persona. In tali condizioni immagino che non vi sia scambio di rapporti telepatici, seb-bene anche un'ostrica presumibilmente avrà un sistema minimo di psiconi.

Quindi considerazioni di carattere assolutamente generale e teorico ci portano a concludere che dovremmo aspettarci di trovare il massi-mo intervento telepatico e la conseguente integrazione psichica proprio dove, secondo le apparenze, il livello evolutivo è inferiore a quello del-l'uomo, ma notevolmente superiore quello delle forme di vita inferiore, cioè fra gli animali.

105. Menti-gruppo fra gli animali.

Chiunque abbia osservato uno stuolo di stormi volteggianti o altri uccelli con abitudini simili, od anche un banco di sardine, non può non essere rimasto colpito dalla straordinaria unanimità che essi dimostrano. In mancanza di un'alter-nativa noi saremo naturalmente costretti a supporre, come solitamente è accettato senza discussione, che ciò è dovuto unicamente all'azione di stimoli eguali su organismi eguali; ma spesso ammettere che effetti-vamente sia così richiede uno sforzo considerevole, nei casi, cioè, in cui non è percepibile uno stimolo palese, come ad esempio quando il gruppo è talmente denso che è difficile supporre che tutti i suoi membri possano avere visto o sentito un determinato stimolo, dato che ve ne sia stato uno. Da una osservazione superficiale sembrerà certamente che tali aggregati si comportano come se fossero animati da un'unica mente; e poiché sappiamo che vi è la telepatia e queste condizioni le sono evidentemente favorevoli

un agglomerato i cui membri hanno molto in comune ma certamente un campo di azione per esperienze 206 Menti-gruppi e sistemi sociali

individuali indipendenti

la cosa naturale da fare è concluderne che essi sono animati da una sola mente.

Non ho bisogno di moltiplicare gli esempi di questo genere pecore, branchi di lupi ecc.

ma vorrei per un momento soffermarmi ad esaminare gli esempi che conosciamo, in cui i membri di un gruppo sembrano animati da una sola mente, cioè gli insetti a vita associata come le formiche, le api e le termiti. È quasi impossibile, ritengo, leg-gere la vasta letteratura su questo argomento, e specialmente il libro di Eugene Marais "The Soul of thè White Ant" senza quasi irresisti-bilmente trame l'impressione che l'unità psichica è la colonia o agglo-merato e non la formica o l'ape come individuo. In questi casi sembra che l'integrazione psichica e la formazione di una mente-gruppo abbia raggiunto uno sviluppo straordinario, di modo che l'individuo è ridotto a poco più che una cellula specializzata dotata di automobilità. Nelle termiti (formiche bianche) la specializzazione dell'individuo per scopi particolari è assai progredita. La regina non è altro che un'ovario ultra-gonfiato in cui il cibo viene inserito da una parte mentre le uova ne escono dall'altra; troviamo inoltre speciali guerrieri, otturatori, masti-catori ecc. proprio come nel corpo di un animale troviamo le cellule specializzate per la riproduzione, per la raccolta del glicogene, per la ossigenazione del sangue ecc.

Si direbbe che la Natura abbia voluto fare un esperimento inver-tendo la organizzazione normale. Di solito le cellule del corpo di un animale, ad eccezione dei globuli del sangue, sono praticamente immobili e tutto il corpo deve muoversi per procurarsi il cibo o per qualsiasi altra attività; invece nell'alveare o nel formicaio il "corpo" nel suo insieme rimane immobile mentre le cellule sono, per così dire, ideate in modo speciale da potersi distaccare ed essere mandate a raccogliere

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cibo o in ricognizione, oltre che compiere i loro compiti particolari. Non ho quasi alcun dubbio che in casi simili esista effettivamente un sistema di psiconi appartenente a tutto l'alveare o a tutta la colonia, formato dalla integrazione psichica, mediante la telepatia, dei sottosi-stemi degli individui, e che questa sia un'entità a sé stante assai più sviluppata di qualsiasi sistema individuale che la compone.

Val la pena osservare che anche qui è soddisfatta la condizione che abbiamo stabilito sia la più favorevole, cioè che i membri della comu-nità hanno molte cose in comune cui si aggiungono alcune limitate opportunità di esperienze individuali differenziate.

106. Nota sull'istinto.

Ritengo sia opportuno fare qui una breve digressione per accennare a un punto relativo all'istinto, che mi sembra abbia un notevole interesse intrinseco.

Un'enorme quantità di sciocchezze sono state scritte su questo ar- Menti-gruppi e sistemi sociali 207

gomento, come hanno fatto notare vari autori, e non desidero aumentar-ne il numero; ma talvolta sono propenso a credere che ciò che solita-mente è accettato come ovvio senza commenti è di poco meno sciocco di quanto è stato effettivamente detto.

Siamo costantemente invitati ad ammirare, e in complesso a ra-gione, il modo quasi miracoloso con cui alcuni animali

quali i castori, gli uccelli tessitori, i ragni, per non menzionare le formiche e le api

compiono con cura, senza insegnamento o esperienza precedente, varie azioni assai complicate necessarie al loro benessere. Ma allo stesso tempo ci vien chiesto di credere che queste azioni sono eseguite del tutto automaticamente e unicamente in virtù di volute ereditarie del cervello e del sistema nervoso di questi animali.

Il ragionamento sarebbe questo: il ragno, ad esempio, è costi-tuito in modo tale che, sotto l'influenza di alcuni stimoli esteriori e in seguito all'ammasso (diciamo così) di alcune secrezioni interne, è costretto ad intervalli a tessere la sua tela. Lo farà, ed in modo per-fetto, anche se non ha mai visto prima una tela né avuto contatto, da quando è nato, con alcun altro ragno. Quindi questa sua azione non può in alcun modo essere una sua iniziativa; e poiché non vi è altro modo con cui egli può ottenere informazioni su come si tessono le tele, le sue azioni devono, per così dire, avere origine nel suo sistema nervoso ecc. e la loro esecuzione è puramente automatica.

Suppongo che con uno sforzo si possa anche credere a questo, sebbene mi sia assai difficile ammettere che ogni tela di ragno sia stata tessuta esattamente nello stesso modo di tutte le altre. Ma non è così; al contrario, ogni tela viene tessuta in circostanze diverse e non ve ne sono due che siano esattamente eguali, e anzi possono esservi differenze considerevoli fra di esse. Come fa allora un meccanismo puramente automatico ad adattarsi a queste variazioni di circostanza? Non voglio dire che questo ragionamento sia decisivo, ma sta di fatto che accresce notevolmente le difficoltà. Tutto il concetto, del resto, ha l'aria di tenersi male in piedi, o forse sarebbe meglio dire che si tiene in piedi solo per merito delle sue lacune.

Va benissimo dire che le azioni devono essere suscitate da vo-lute ereditarie esistenti nel cervello; ma sfido chiunque a riuscire a delineare una parvenza di volute che possano servire al caso. E se chie-diamo al biologo per quale ragione crede che sia così, egli non potrà dare una risposta migliore di questa: "Perché non vi è altro a cui la si possa attribuire", il che non mi sembra renda il concetto molto più convincente. A me sembra proprio quel genere di asserzioni ingiusti-ficabili che tanto piacciono ai materialisti. Come la bava del cane si spiega in termini di riflessi, essi ragionano, così tutte le attività, per quanto intelligenti, svolte sia nel tessere una ragnatela sia nell'enunciare i 208 Menti-gruppi e sistemi sociali

Principia Matematica debbono essere spiegate negli stessi termini. Non vedo però come si possa categoricamente confutare tali dichiarazioni dato che non possono essere sottoposte alla ineluttabile critica dell'espe-rimento; ma d'altra parte non vedo neanche per quale ragione dovrem-mo accettarle se possiamo suggerire una alternativa plausibile.

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Io avanzerei l'ipotesi che questo comportamento istintivo di ordine più elevato o di tipo complesso sia dovuto al fatto che l'essere indivi-duale in questione (ad esempio il ragno) è collegato con un sistema più vasto (o "subconscio comune" se preferite) in cui sono raccolte tutte le esperienze della specie in fatto di tessitura di ragnatele.

Quando mi capita di dover legare un pacco, non eseguisco i mo-vimenti necessari automaticamente, a meno che non abbia una lunga pratica precedente in fatto di legatura di pacchi approssimativamente di quella forma e dimensione come la hanno i commessi dei negozi. D'altra parte è anche vero che non affronto ciascun problema di lega-tura di pacchi assolutamente ex novo; in una certa misura sono aiutato e guidato dal ricordo di tentativi precedenti, anche se non si presentano alla mente nitidamente e specificamente. E analogamente, suggerisco, il ragno industrioso può essere aiutato in una certa misura dal contenuto accumulato in ciò che potremmo ragionevolmente chiamare la Mente Ragno; e, naturalmente, mutatis mutandis, altrettanto vale per gli altri casi.

107. Menti-gruppo e nazionalismo.

Per tornare all'Uomo: nei paragrafi precedenti ho fatto osservare come, dato l'elevato numero di differenziazioni di cui sono passibili gli uomini per il variare delle loro esperienze, tanto dirette che indirette, lo scambio di rapporti tele-patici e la conseguente formazione di menti-gruppo, in condizioni natu-rali, hanno maggiori probabilità di raggiungere lo sviluppo massimo negli animali situati relativamente in basso nella scala evolutiva che non l'uomo. Con ciò, tuttavia, non voglio dire che questo genere di processo che stiamo esaminando non abbia una parte notevole anche nelle cose umane o che non sia molto importante nelle condizioni tutt'altro che naturali in cui di fatto vive il genere umano.

Se potessimo prendere un agglomerato di esseri umani, porli in condizioni tali che un determinato gruppo di idee "K" sia costantemente presente alle loro menti e quindi fare in modo che alcune altre idee "Q" vengano intimamente associate a queste idee "K" nelle menti di una parte di questo agglomerato, inevitabilmente (presumendo che il procedimento sia, come credo, di tipo telepatico) creeremo una ten-denza in queste idee "Q" a presentarsi nelle menti degli altri membri dell 'agglomerato.

È facile vedere come questo può portare alla formazione di una Menti-gruppi e sistemi sociali 209

specie di spirito di gruppo (ad esempio nazionale) anche se il principio che lo determina non viene usato deliberatamente. A mo' d'esempio: la Ruritania è un paese montuoso tanto che qualsiasi pensiero dei suoi abitanti è automaticamente associato alle montagne. Questo non porterà alcuna differenza nei pensieri casuali della vita di tutti i giorni perché per coloro i quali, per così dire, li percepiscono essi non costituiranno altro che una massa di idee assortite di cui nessuna è più marcata delle altre. Ma se una parte della comunità incomincerà a pensare regolar-mente

spontaneamente o deliberatamente

alla superiorità dei Ruri-tani o qualche cosa di simile, allora le idee corrispondenti, che si ripre-senteranno costantemente e non casualmente associate alle idee "K", avranno la tendenza a diffondersi più facilmente che se non vi fossero "K" (montagne) e di conseguenza non vi fossero scambi telepatici.

Non avanzo, naturalmente, l'ipotesi che le idee specifiche della superiorità della Ruritania si presenterebbero nella mente delle persone in questione nello stesso modo in cui l'idea specifica di un oggetto può presentarsi alla mente di un percipiente in un esperimento; nei mi-gliori dei casi il concetto sarà abbastanza vago, ma consisterà in una serie di immagini e ritengo che non si possa dubitare che il frequente, anche se inconscio, collegamento di queste con le "K" costantemente presenti deve per forza avere una influenza, non foss'altro quella di pre-disporre le persone in questione ad accettare delle idee più specifiche che vengano loro presentate.

Questo esempio è superficiale e non sarà impossibile trovare la-cune nel suo ragionamento. Ma ritengo che non vi sia alcun dubbio su quanto avverrebbe se le "K" non fossero naturali ma artificiali e le associazioni con quelle che ho chiamato idee "Q" non avvenissero casualmente e inconsciamente ma deliberatamente e fossero attuate con

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ogni astuzia concepibile da una mente ingegnosa e pervertita.

108. La mente-gruppo della Germania nazista

Consideriamo

quanto è avvenuto in Germania nel corso di questi ultimi anni (com-presi quelli precedenti alla ultima guerra). Il popolo tedesco è stato messo di fronte, per forza e inevitabilmente, a una serie di idee "K" in forma di simbolo ecc, del partito nazista, quali la svastica e il ritratto di Hitler, per non far menzione del saluto "Heil Hitler" ecc.

I propagandisti nazisti si sono dati tutta la pena possibile per associare il più intimamente possibile a questi che chiamerei simboli "K" tutte quelle idee irrazionali ed inique che costituiscono la loro dottrina. Naturalmente non l'hanno fatto per portare in campo forze telepatiche

crederei anzi che probabilmente conoscevano ben poco di questa materia

ma al fine di valersi dei comuni e ben noti processi della normale associazione; di modo che quando una persona qualunque 210 Menti-gruppi e sistemi sociali

vedeva una svastica, come tutti erano costretti a vederla mille volte al giorno, si ricordasse automaticamente della grandezza di Hitler, delle glorie della razza ariana e del piacere di maltrattare i più deboli. Ma credo che con tutto il loro pervertimento essi hanno ottenuto più di quanto si aspettavano ed hanno messo in moto, nei recessi più profondi, delle forze che la loro bruta e materialistica barbarie è assolutamente incapace di concepire.

Ritengo che procedimenti profondi del genere siano assai più peri-colosi e che sia molto più difficile resistere loro che non resistere alla pressione della propaganda "diretta", per quanto formidabile possa essere. Nella propaganda diretta le dottrine insensate hanno la possi-bilità di apparire tali a coloro a cui è diretta, almeno nei loro momenti di isolamento e la forza della opinione pubblica può essere scontata; ma il genere di influenze che ho esposto sopra sono come una infiltrazione nel subconscio di cui la vittima può benissimo non rendersi conto e a cui solo intelletti di forza e discernimento eccezionali (o forse anche testardaggine) potranno opporsi. Non si può pretendere che l'uomo stia in guardia contro cose che non sa che possono accadere e temo che vi sia più di un caso di tedeschi con la testa a posto i quali, senza essere passati attraverso a un processo di convincimento e senza essersi me-nomamente resi conto di quanto accadeva in loro e perché, sono stati insidiosamente pervertiti in tal modo da condividere o almeno tollerare idee che prima avrebbero detestate.

Questo fatto è così strettamente legato alla questione vitale di come vanno trattati i tedeschi dopo la guerra che spero mi si perdonerà se dedico ancora qualche riga all'argomento.

Non è che sprecare fiato o anche peggio, esaminare se tutti i tedeschi sono cattivi per natura o se vi sono delle eccezioni, e se, dato che ve ne siano, quanti e quanto sono eccezionali. Questo non por-terebbe che alla formazione di due scuole di pensiero opposte, che potremmo chiamare la "vendicatrice" e la "magnanima"; e se tanto l'una che l'altra potessero fare a modo loro, il mondo andrebbe a finire anche peggio di come è attualmente. Raramente è prudente fare enun-ciazioni che comportino un "tutti" o un "nessuno", e le sole cose che mi azzarderei a dire di "tutti i tedeschi" in tempi normali sono: primo, che essi costituiscono una nazione immensamente forte e vigorosa e con grandi potenziali di bene e di male in proporzione; secondo, che essi sono, nel loro complesso, notevolmente più primitivi e meno civi-lizzati (nel senso proprio della parola e non "meccanizzati") di altri che hanno avuto attraverso i secoli contatti più diretti con cultura europea. Questo ultimo fatto, credo, li rende più suscettibili della maggior parte degli altri popoli a subire il processo di cui ho accennato e alquanto più

Menti-gruppi e sistemi sociali 211

inclini ad ammirare la forza bruta e la violenza; ma questi non sono punti di importanza capitale.

Ciò che è importante in questo momento è che la vasta maggio-ranza di "tutti i tedeschi" non sono letteralmente quasi "loro stessi"

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e non possono "dire che la loro anima è proprio la loro". Non intendo soltanto dire che sono dominati dalla Gestapo

e chi manchi di una

conoscenza diretta non può capire esattamente che cosa ciò significhi

ma che, attraverso il procedimento di cui abbiamo parlato più sopra,

le loro menti sono state afferrate e rinchiuse, naturalmente in varia misura ma prevalentemente, in una sintesi orrenda che costituisce il gruppo-mente tedesco di oggi che è, quasi senza eccezione, perfido.

Questa sintesi non potrà essere eliminata automaticamente con la semplice sconfitta della Germania, benché ovviamente questa sia il primo requisito necessario; né sarà eliminata liquidando gli Junkers prus-siani o la casta militare, benché anche questo sia assolutamente indi-spensabile; o neanche vuotando gli arsenali e riempiendo le dispense, sebbene il primo sia essenziale e il secondo desiderabile; e meno di tutto nel sottoporre la Germania allo stesso trattamento che essa ha inflitto agli altri. Finché persiste questa sintesi, la minaccia tedesca sarà per lo meno latente, ogni magnanimità sarà presa come segno di debolezza e i tedeschi si disporranno a prepararsi per un nuovo sforzo.

I provvedimenti cui abbiamo accennato, per quanto possano es-sere essenziali, non sono altro che negativi o al più tollerabili, mentre invece c'è bisogno di una linea di condotta positiva e costruttiva; altrimenti ci troveremo come l'uomo della Bibbia alle prese con sette diavoli peggiori del primo.

Non credo che dirigere la rieducazione della Germania, nel senso ordinario dei libri di testo, possa bastare, sebbene vada fatto quanto è possibile anche in questa direzione. Secondo il mio umile parere, dovremmo agire attivamente per sostituire la mostruosità psichica che è la mente tedesca contemporanea con una sintesi nuova e diversa orientata in modo definito verso il bene quanto l 'altra lo è verso il male. Ma non si può ottenere una simile sostituzione semplicemente facendo prediche ai tedeschi né dando loro il buon esempio, per quanto provarlo non farebbe che bene. La nuova sintesi deve svilupparsi dal di dentro, non deve essere imposta dall'esterno. Ciò significa che dovremmo prendere provvedimenti efficaci

e sono convinto che nessuna azione positiva possa essere più importante e più preziosa

per concentrare il pensiero tedesco su azioni di cui i tedeschi possano andare legittimamente orgogliosi, invece che su cose di cui, quando saranno guariti dalla loro pazzia, presumibilmente essi si vergogne-ranno. Mi piacerebbe, dopo la guerra, vedere una campagna propa-gandistica su vasta scala ben definita

ma non troppo palese

212 Menti-gruppi e sistemi sociali

che esalti i contributi veramente grandi che i matematici, i musicisti, i batteriologi, i poeti, i chimici ed i filosofi tedeschi hanno dato per illuminare il genere umano. Quando i nomi di Gauss e Beethoven, Kock e Schiller, Kirchoff e (anche) Hegel toccheranno una corda che vibra nel cuore tedesco come ora la fanno vibrare l'odioso Federico, il Bismark senza scrupoli, il maniaco Hitler e l'osceno Goering; quan-do intorno a questi nomi onorati sarà stato costruito un sistema di pensieri grandi e nobili come lo è stato costruito intorno agli altri con pensieri miseri e degradanti; quando i tedeschi diranno "siamo un gran Popolo, quale è il modo migliore per servire?" invece che "siamo l'Herrenvolk eletto, che cosa dobbiamo rubare ora?", allora la mi-naccia tedesca cesserà di esistere. Ma non prima.

Non dobbiamo soltanto sgominare i tedeschi, dobbiamo ridare loro il rispetto di se stessi; ma questo deve basarsi sul bene che essi hanno fatto e possono fare, non sul male che hanno fatto e che fanno, sulla luce e non sull'oscurità che hanno diffusa.

Indubbiamente si può giungere a questa particolare conclusione partendo da altri principi anche più generali; ma ritengo che il con-cetto di una Mente-gruppo, formata sostanzialmente nel modo indicato (con il contributo di vari fattori storici e altri) probabilmente sarà di valido aiuto per giungere a una giusta comprensione e valutazione del problema. Se l'opinione da me avanzata è corretta, di conseguenza la teoria della telepatia può essere di grande attualità in questioni estremamente urgenti.

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE: PROSPETTIVE

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Abbiamo percorso un lungo cammino dal punto di partenza ini-ziale, in cui abbiamo riferito casi spontanei e gli esperimenti con le carte e i disegni. Lungo il cammino mi sono soffermato a parlare di fatti, teorie e speculazioni varie, ma mi rammaricherei molto se dovessi lasciare il lettore con l'impressione che giudico tutto quanto ho detto egualmente attendibile. La situazione è tutt'altra; infatti alcune cose sono certe quanto possono esserlo nella vita umana, altre sono quasi certe nelle loro linee generali ma possono essere passibili di modifi-cazioni via via che si accresce la nostra conoscenza, altre infine tanto si avvicinano alla congettura da differire assai poco dalla pura fantasia.

Come ho detto sin dall'inizio, il mio desiderio non è stato quello di imporre al lettore leggi su argomenti dubbi ma piuttosto quello di illustrargli, il più chiaramente che potevo, quale posizione occupano e quali tendenze hanno oggi le materie trattate; ritengo quindi che sarà opportuno fare un ultimo sforzo e porre le varie questioni discusse nella loro prospettiva giusta, indicando la misura approssimativa di certezza che possiamo attribuire loro.

Sono certo che alcuni dei critici, anche i più benevoli, ribatteranno che avrei fatto meglio a mettermi le spalle al sicuro sviluppando mag-giormente i primi capitoli di questo libro per poi concluderlo verso la fine o a metà della seconda parte, in modo da comprendervi poco più che un breve resoconto dei fatti e un cenno sulla teoria fondamentale a mo' di spiegazione. Certamente, adottando una linea di condotta simile, avrei potuto ridurre di molto la zona vulnerabile che invece così ho messa a repentaglio; ma oso pensare che il risultato sarebbe stato assai meno interessante e avrebbe grandemente ridotto il valore del libro, dato che ne abbia uno.

Se ci fermassimo bruscamente alla conclusione che la telepatia è un fatto riscontrato in natura e che la si può spiegare come un caso speciale del noto fenomeno della "associazione di idee" che opera mediante un subconscio comune, sarebbe indubbiamente molto inte-ressante, ma sul piano della sua importanza ultima, per cosi dire, non rappresenterebbe niente di più che un chiarimento di un piccolo det-taglio del campo scientifico. 214 Osservazioni conclusive: prospettive

Tuttavia, per mia disgrazia (o per mia fortuna), i fatti della telepatia ci spingono irresistibilmente fuori dal campo scientifico at-tuale 1, esattamente come i fatti dell'elettricità ci spingono fuori dal campo della pura meccanica; e perciò inevitabilmente essi schiudono tutto un nuovo mondo o ordine di vita di vastità illimitata e di impor-tanza trascendentale.

So benissimo che non vi è modo migliore per annullare un buon lavoro o una buona teoria che pretendere troppo da essi; ma in questo caso a me sembra inevitabile dovere ammettere o che la telepatia ci offre la chiave per comprendere l'intera natura e l'organizzazione del mondo non fisico, oppure non è nulla, cioè niente più di una curio-sità psicologica secondaria, di poco più interessante di una nuova illusione ottica. Il modo con cui io personalmente ho, per caso, regi-strato successi nei miei tentativi per giungere a questa conclusione, e il modo con cui spesso e gravemente ho sbagliato strada, sono di importanza secondaria, una volta che sia riuscito a dimostrare in quale modo i fatti della telepatia, e la teoria che sembra necessaria per spiegarli, si adeguano agli argomenti discussi. Nessuno che tenti di lavorare in questa materia nel suo stato attuale può aspettarsi di essere ogni volta nel giusto; di fatto, se egli non è disposto a sbagliare quattro volte su cinque, non si merita di aver ragione neanche una volta; e se, da qui a un anno, mi accorgerò che continuo ad avere precisa-mente le stesse vedute di oggi, riterrei di aver sprecato tutto l'anno.

Inoltre, spero non vi sia quasi bisogno di dirlo, una volta esaurito l'argomento dei puri e semplici principi basilari della materia, mi preoc-cupo assai più di stimolare che non di istruire. Non mi interessa molto sapere se alcune delle conclusioni cui sono giunto sono esatte, ma de-sidero ardentemente di mostrare che i fatti e la teoria esposti ci aprono la via a un'ampia varietà di possibilità stimolanti, sulle quali è desi-derabile che molta gente si metta subito a lavorare e molto. Fra l'altro, abbiamo tremendamente bisogno di pensiero deduttivo partendo dal presupposto che "Se i fatti sono quelli esposti e la teoria è approssi-

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mativamente corretta, allora, in base a tale e tale presupposto aggiun-tivi (se necessario) ne dovrebbe conseguire tale e tale risultato". Una volta fatto questo lavoro possiamo allora dedicarci alla osservazione o ideare nuovi esperimenti, per accertarsi se questi risultati si veri-ficano effettivamente, il che è il procedimento invariabilmente seguito dal metodo scientifico.

1 Cioè a dire al di fuori del campo della coscienza fisica; a rigor di ter-mini tutta la conoscenza va compresa nell'ambito della Scienza in generale.

Osservazioni conclusive: prospettive 215

Passando ora alla materia da me effettivamente esposta: non esito a dire che il lettore può giudicare i fatti basilari "incrollabili". I risultati particolari a carattere secondario ottenuti da sperimentatori particolari possono, naturalmente, essere superati da lavori sperimen-tali successivi; ma non si può più dubitare che la conoscenza o la co-scienza di eventi o di oggetti si effettua anche con altri mezzi che non siano il procedimento sensorio e la deduzione razionale, e in misura che non può ragionevolmente essere attribuita al caso. Questo verrà confutato solo da coloro che non conoscono la materia o hanno deciso in partenza, come un assioma indiscutibile, che il mondo fisico costi-tuisce l'intera realtà e che niente altro esiste o può esistere.

La teoria associativa della telepatia, che costituisce il mio parti-colare contributo alla materia, è naturalmente più difficile da valutare; non solo a causa dei pregiudizi soggettivi, che non sono troppo diffi-cili da scontare, ma perché (e credo che sia vero) qualsiasi serie di fatti può, in teoria, essere spiegata da numerose teorie alternative, fra le quali si deve scegliere quella che risponde ai fini proposti con il minor numero possibile di presupposti. Quindi dubito che si possa avere il diritto di dire che una particolare teoria è quella vera, a meno di non poter dimostrare che nessun'altra teoria richiede un numero ancora minore di presupposti.

In tal caso, tuttavia, credo che arriverei fino a dire: primo, che attualmente sembra non vi sia praticamente nessuna teoria rivale in questo campo e certamente nessuna che appaia capace di spiegare tanto con così piccoli aiuti; secondo, che mi sorprenderebbe molto, tanto da non crederci, se gli studiosi dell'avvenire adottassero una teoria di tipo radicalmente diverso, ad esempio di tipo quasi-radioattivo o quasi-sensorio. Personalmente ho quasi altrettanta certezza nei confronti di questo punto quanta ne ho nei confronti dei fatti basilari; ma natural-mente non posso pretendere che gli altri condividano in pieno la mia certezza.

Con ciò non voglio dire, tuttavia, che ho la fiducia di essere riuscito a enunciare la teoria nella sua forma definitiva. Sono sicuro, quanto si può esserlo di qualsiasi cosa, che la telepatia consiste essen-zialmente in un processo associativo, nel senso che i fenomeni della telepatia e quelli che chiamiamo "associazioni di idee" hanno alla base lo stesso carattere e derivano dalle medesime proprietà delle stesse entità fondamentali. Ma la nostra conoscenza delle leggi della associazione è ancora vaga e empirica; nessuno, ritengo, le ha ancora enunciate con precisione, e ancora meno sono state enunciate le pro-prietà delle entità che è necessario presumere al fine di dimostrare che queste leggi sono la conseguenza logica di quei presupposti. Inoltre, come ho detto in questo contesto, non credo improbabile che ci tro- 216 Osservazioni conclusive: prospettive

veremo obbligati a introdurre una "forza" o "principio" di dissocia-zione al fine di spiegare alcuni fatti, e questo naturalmente porterà delle complicazioni. Per dimostrare che tanto le influenze associative quanto quelle dissociative (o anche solo quelle associative) sono la conseguenza logica di presupposti, noi dobbiamo spingere le nostre ricerche molto più oltre di quanto non lo abbiamo fatto sino ad ora, e sarebbe azzardato prevedere quale revisione delle nostre concezioni potrà essere necessaria nel corso del procedimento.

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Ciò non di meno, ritengo che la teoria associativa, come l'ho qui enunciata, sia in una posizione assai stabile dalla quale non sarà affatto facile rimuoverla. Ma forse il punto più importante di tutti a questo proposito è che d'ora innanzi nessuno avrà il diritto di cavillare sulla telepatia, come alcuni hanno fatto in passato, con la scusa che non è passibile di spiegazione.

La concezione della mente quale un sistema di psiconi, che io ho proposto, è talmente analogo a quello sostenuto da Bertrand Russell da potersi avvalere della sua grande autorità nelle sue linee principali, sebbene sia io il primo ad ammettere che vi sono infinite difficoltà da superare prima di averla completamente elaborata. Non piacerà molto agli psicoioghi come non piacerà loro la mia idea dei Rapporti della Coscienza, perché essi

non è esagerato affermarlo

a parte le scuole psicoanalitiche, hanno praticamente eliminato dalla loro materia la mente e la coscienza e probabilmente si sentiranno a disagio dinanzi alla prospettiva di doverle reintrodurre. Essi si lamenteranno anche, e con loro altri, perché io ho a tutti i fini ignorato il cervello e non ho fatto alcun accenno al modo con cui esso è collegato alla mente. Ma per quanto il cervello sia indiscutibilmente di importanza vitale, non ha certamente nulla a che fare con il meccanismo immediato e caratteristico della telepatia in quanto tale, altrimenti non vi sarebbe nulla di sorprendente nella telepatia; e nessuno né io né altri si è mai imbattuto nel più piccolo accenno a quale sia il collegamento fra cer-vello e mente o quali scambi di rapporti esistano fra di loro. Questo è forse uno dei motivi principali per cui i fisiopsicologhi si oppongono all'idea di dare il nome di mente a un'entità veramente psichica.

Tuttavia, ho l'impressione che la mia idea della mente e della coscienza, come l'ho enunciata, non sia affatto essenziale per la mia tesi principale. Purché sia ammessa un'entità psichica (altrimenti do-vremmo negare totalmente la telepatia) non mi importa molto quale forma essa prenda. Se assolutamente volete avere qualche cosa del tipo di un Puro Io, o di un Io cosciente "dei" sensa e "delle" immagini, o ad esse collegato come il contenente al contenuto, non ho nulla in contrario a che voi ve ne serviate a guisa di stampelle finché verrà il giorno in cui vi sentirete abbastanza saldi per abbandonarle. Ma

Osservazioni conclusive: prospettive 217

credo che scoprirete che in effetti tutto il lavoro viene espletato dai sensa e dalle immagini (psiconi) mentre l'Io vi ha una parte pura-mente decorativa che in ultima analisi può essere completamente eli-minato allo stesso modo con cui l'etere si ridusse al "sostantivo del verbo ondulare". In complesso, però, prevedo che dovrò apportare notevoli mutamenti alle mie vedute sulla mente prima di esserne com-pletamente soddisfatto e non vorrei, ora, insistere su tutti i dettagli.

Ma d'altra parte, circa la realtà dei sensa e delle immagini, sono pronto a battermi fino alla morte. Ma credo sia uno di quei pochis-simi punti per i quali i più competenti per parlare

particolarmente i logici

mi darebbero il loro appoggio quasi all'unanimità, di modo che credo che il lettore possa considerarli indubbiamente corretti, per quanto è umanamente consentito.

Se così è, credo che ne consegua come una necessità logica l'idea fondamentale che ho esposto a proposito della sopravvivenza, cioè che deve esservi una qualche specie di sopravvivenza, ma che si è ancora incerti sulla sua natura. Per ripudiarla dovreste offrire delle giustifi-cazioni logiche che facciano supporre che le sole realtà ultime che conosciamo scompaiono con un cambiamento (morte) in un oggetto fisico (il corpo), la cui realtà è inferiore a quella delle realtà stesse e che "conosciamo" solo in quanto esse ce lo fanno conoscere. Questo a me sembra ridicolo; e se dite che non "scompaiono" ma che sem-plicemente subiscono una specie di riadattamento, tale che non si pos-sono più chiamare una mente, allora aprite h strada esattamente alla stessa possibilità da me accennata, cioè alla disgregazione; cioè a dire, avete trasportato la questione della sopravvivenza dal piano del Se a quello del Quanto. Ci troviamo allora in una situazione tale da poterci sentire dire "Questo è un atomo sopravvissuto alla rottura della molecola; quanto durerà?". La risposta varia a seconda se l'atomo è di tipo stabile o radioattivo e, se di quest'ultimo tipo, se è molto

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o poco suscettibile di disgregazione, ciò equivale a dire che è una questione di misura.

Ma mentre mi sento sicuro quasi al 95 per cento circa questo punto basilare, la mia sicurezza cade, per così dire, al 20 o 10 per cento o anche più giù circa quanto si riferisce alle mie supposizioni sulla natura della sopravvivenza. Naturalmente non ritengo che queste ipo-tesi non siano inerentemente plausibili altrimenti non le avrei avanzate; e nel complesso sembrano armonizzarsi con i fatti riscontrati di cui disponiamo. Ma non vorrei dire più di quanto ho detto e qualsiasi deduzione dai fatti e dalla teoria che il lettore ritenga di poter fare (che non sia una pura e semplice ripetizione di ciò che dicono gli "spiriti") hanno press'a poco le stesse probabilità delle mie di essere corrette. 218 Osservazioni conclusive: prospettive

Riguardo a quanto ho detto sulla teologia e sulla religione, la que-stione è tale che quasi non si può stabilire col metodo che ho tentato di usare in questo mio lavoro. Personalmente da molto tempo ho sen-tito la necessità di colmare il vuoto che separa i metodi e i ritrovati della scienza psichica da un lato e tutti quegli elementi che possono apparire razionali nelle credenze e nelle aspirazioni "spirituali" del-l'uomo dall'altro; e credo che qualche cosa del genere che ho proposto sia quanto ci sia di meglio per soddisfare questa necessità. Natural-mente sarà violentemente denunciato dagli estremisti delle due parti, ma, una volta che si siano placati, credo che dopo un esame obiettivo vedremo la possibilità di elaborare, approssimativamente in questa dire-zione, una quasi-teologia che permetterà di godere di quasi tutte le legittime soddisfazioni che possono offrire le religioni, senza dover accettare tutte le illogicità che sino ad ora le hanno accompagnate.

Riguardo alle menti-gruppo ecc, ho l'impressione che la situazione sia piuttosto analoga a quella in cui ci troviamo circa la questione della sopravvivenza; cioè a dire, a me sembra che la formazione di qualche cosa della natura di una mente-gruppo in determinate (probabilmente comunissime) circostanze sia un conseguenza quasi necessaria della tele-patia, basandosi quasi su qualsiasi teoria e particolarmente sulla mia. Ma, come forse il lettore si sarà reso conto, ho delle idee tutt'altro che chiare circa il tipo di meccanismo che opera in questi casi. Credo che il principio generale, molto probabilmente, sia giusto, ma sarebbe particolarmente utile se nella elaborazione dei dettagli venisse appli-cato un ragionamento deduttivo più intelligente di quanto io non sia capace di fare.

Per concludere: vorrei terminare questo libro mettendo l'accento su un punto che ho già esposto in uno dei primi paragrafi. Anche se tutto il resto di quanto ho detto può essere o vero o falso, vi sono almeno due cose che a me sembrano indiscutibili: primo, che l'intel-ligenza meccanica dell'uomo ha per ora sorpassato la sua saggezza, tanto che egli è sulla via di distruggere la sua vantata civiltà e con essa se stesso; secondo, che la sua sola speranza a lunga scadenza

in opposizione ai palliativi immediati

è una migliore conoscenza e com-prensione della sua stessa natura, del posto che occupa nell'Universo e particolarmente dei rapporti fondamentali che sussistono per natura fra uomo e uomo e fra gruppo e gruppo. Su questi problemi la fisica non ci da alcun lume, la fisiologia assai poco, la psicologia non ancora abbastanza.

Ma la scoperta moderna (il termine non è illegittimo in questa circostanza) dei fenomeni paranormali, e particolarmente i fatti della telepatia, ci hanno aperto la strada a tutto un mondo nuovo di inda-gini, un mondo che manifestamente è collegato ai problemi relativi

Osservazioni conclusive: prospettive 219

alla composizione ultima dell'Uomo quanto la scoperta dei fenomeni elettrici lo è alla composizione della materia. Attualmente possiamo esplorare questo nuovo mondo solo a tastoni e col rischio di fare molti capitomboli e perdere spesso la strada; ma è meglio cadere ad ogni passo piuttosto che non provare mai a camminare

Non suppongo neanche per un istante che troveremo improvvisa-mente una panacea per tutti i nostri mali; questo sarebbe completamente

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in contrasto con le esperienze antecedenti; e sono certo che il benes-sere del genere umano può essere raggiunto solo mediante una dili-genza indefessa nell'ampliare e applicare le nostre conoscenze. Ma la situazione attuale è così grave e le prospettive così cupe che possiamo ignorare le possibilità di ampliare e approfondire la nostra compren-sione offerteci da questa materia solo a nostro grave rischio e pericolo.

INDICE

Introduzione ..............................................................................pag. 9

PARTE I.

FATTI

CAP. 1. - Casi spontanei .......................................................pag. 19 1. Il primo esperimento di cui rimane traccia. - 2. La « Society for Psychical Research ». - 3. Casi spontanei. - 4. Coincidenza. - 5. Prove cumulative - 6. Valore dei casi spontanei - 7. Valore dei casi sponta-nei (seguito). - 8. Necessità di un maggior numero di casi.

CAP. 2. - Lavoro sperimentale; introduzione; alcuni primi esperimenti ............................................................ pag. 27 9. Esperimenti in generale. - 10. Significato e caso. - 11. Carte e disegni. - 12. Primi esperimenti, generale. - 13. Usher e Burt. - 14. Coover. - 15. Troland. - 16. Groningen. - 17. Estabrooks. - 18. Jephson. - 19. Breve discussione sui primi esperimenti.

CAP. 3. - Lavoro sperimentale (seguito); ricerche recenti pag. 41 20. Il lavoro del Dr. J. B. Rhine. - 21. Il lavoro di G. N. M. Tyrrell. -22. Il lavoro del Dr. Hettinger. - 23. Gli esperimenti dell'autore con i disegni; (1) generale. - 24. Idem; (2) valutazione, il metodo dì accop-piamento ». - 25. Idem; (3) spostamento e preconoscenza. - 26. Idem; (4) il metodo di Stevens. - 27. Idem; (5) tre punti tecnici. - 28. Idem; (6) Catalogo e registrazioni del Fisher. - 29. Idem; (7) varie conclu-sioni. - 30. Il lavoro di S. G. Soal. - 31. Lavoro sperimentale: osser-vazioni conclusive.

CAP. 4. - Obiezioni e resistenze .............................................. pag. 66 32. Resistenza in generale. 33. - Pretesa « improbabilità intrinseca ». 34. Impossibilità fisica. - 35. Apprensioni scientifiche.

P A R T E I I .

T E O R I A

CAP. 5. - Discussione preliminare: teorie passate . . pag. 75 36. L'importanza della teoria. - 37. Le difficoltà della semplicità. -38. Elaborazione delle teorie in generale. - 39. Teorie « radio ». -40. Teorie del « sesto senso ».

222 Indice

CAP. 6. - La teoria associativa della telepatia . . . pag. 83 41. La teoria associativa della telepatia; (1) associazione. - 42. Idem; (2) «idee», e «menti». - 43. Idem; (3) spiegazione della teoria. -44. Idem; (4) alcuni vantaggi. - 45. Sottoleggi dell'associazione; (1) la legge di recenzione. - 46. Idem; (2) la legge della ripetizione. - 47. Uniformità con la legge della ripetizione. - 48. I Soggetti segnano successi con originali « non usati ». 49. Ulteriore conferma della teoria associativa: rapporto. - 50. Sviluppo del concetto delle « idee K ». - 51. «K» artificiali: esperimenti «fotografici» contro esperimenti « non fotografici ».

CAP. 7. - Alcune applicazioni immediate della teoria . pag. 103 52. Idee «K » e lettura di oggetti. - 53. La teoria associativa e i casi spontanei: apparizione di crisi. - 54. Applicazione della teoria ai fan-tasmi ed agli spiriti. - 55. Localizzazione degli spiriti. - 56. Fattori emotivi nella telepatia.

CAP. 8 - Eventuali obiezioni alla teoria dell'associazione pag. 112 57. Osservazioni preliminari. - 58. Realtà delle idee. - 59. Un esperi-mento immaginario. - 60. Realtà delle idee (seguito). - 61. Apparente « trasmissione » di idee. - 62. Mondo fisico e mondo psichico. - 63. Nota sulla chiaroveggenza - 64. Nota sulla precognizione.

CAP. 9. - Definizione provvisoria della mente . . . pag. 130 65. Osservazioni preliminari. - 66. La mente come sistema di psiconi. 67. Coscienza ed Io; (1) preliminare. - 68. Idem; (2) proposta di definizione della coscienza. - 69. Idem; (3) proposta di definizione

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dell'Io. - 70. Conoscenza, emozione e volontà. - 71. Autonomia dei sistemi e sotto-sistemi di psiconi. - 72. Rimozione: osservazioni con-clusive. - 73. Programma per le prossime discussioni.

PARTE III.

DEDUZIONI

CAP. 10. - Psicologia in generale..........................................pag. 147 74. Psicologia fisiologica: comportamento. - 75. Mente e cervello. -76. Possibilità di usare il metodo matematico. - 77. Gruppi di psiconi nell'ambito della mente. - 78. Personalità multiple. - 79. Apparente possessione demoniaca. - 80. Non isolamento delle menti « indivi-duali ». - 81. Controlli medianici. - 82. Discussione intermedia.

CAP. 11. - II problema della sopravvivenza . . . pag. 166 83. Inversione del trattamento classico. - 84. Significato di sopravvi-venza. - 85. Stabilità del sistema di psiconi come determinante della sopravvivenza. - 86. Effetti della preservazione. - 87. Il mondo delle immagini dopo la morte. - 88. Interessi corporali contro interessi intellettuali. - 89. Riconoscimento; riunione ecc. - 90. Contatti con il mondo fisico: ambiente psichico. - 91. Stabilità dei sistemi di psi-coni. - 92. Formazione di sistemi più vasti. - 93. Reincarnazione: genio e ispirazione. - 94. Il problema della sopravvivenza: sommario e conclusione.