Spegniamo il nucleare

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La tragedia di Fukushima dimostra da sola a quali catastrofi si va incontro, anche in Giappone. È ora di indossare l'elmetto e scendere in piazza contro l'ennesima manipolazione. Abbiamo tutti il dovere di informarci e combattere questa guerra in nome della democrazia, dell'ambiente e soprattutto del buon senso.

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Rizzoli

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Proprietà letteraria riservata© 2011 RCS Libri S.p.A., Milano

ISBN 978-88-17-05174-3

Prima edizione: maggio 2011

In collaborazione con Casaleggio Associati

I contenuti di quest’opera sono tratti in misura pressoché totale e quanto piùfedele possibile dai post pubblicati sul sito www.beppegrillo.it opportuna-mente adattati e integrati a fini esplicativi e divulgativi.

Realizzazione editoriale a cura dello studio MacchiaUmana

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L’era post-nucleare

L’11 marzo 2011 il mondo è cambiato. Nulla sarà piùcome prima. Siamo entrati nel post-nucleare. Unanuova era in cui non ci sarà più spazio per i deliri del-l’energia dell’atomo. Il Giappone si è immolato pernoi, certo non volontariamente, ma è ciò che è suc-cesso. Se l’incubo nucleare che ci accompagna daldopoguerra, da Chernobyl a Three Mile Island, ces-serà (e cesserà) lo dovremo al sacrificio di milioni dipersone in fuga dalla nube di Fukushima. Un esodobiblico. Neppure immaginabile. Il Giappone rischiadi diventare l’isola che non c’è, un luogo dove non sientra e non si esce. Una trappola nucleare. Basti l’e-sempio della portaerei statunitense Reagan, alta co-me un palazzo di venti piani, che ha abbandonato lasua missione umanitaria. Quattro giorni dopo lo tsu-nami, è arrivata a 160 chilometri dalle coste nipponi-che orientali per portare aiuti ed è stata investita dal-le radiazioni provenienti dalla centrale di Fukushi-ma. Diciassette marinai si sono sentiti male e sonostati subito ricoverati, mentre il resto dell’equipaggiosi è sbarazzato delle divise e degli oggetti personalicontaminati. Si calcola abbiano assimilato in un’orail quantitativo di radiazioni che un essere umano ri-

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ceve in un mese. Quali flotte accorreranno in soc-corso delle popolazioni dell’est del Giappone dopoun episodio simile?

Il senso di quello che è successo è troppo grande,troppo profondo per poterlo afferrare, ma qualcosasi può intuire. Le persone hanno capito immediata-mente che il nucleare è finito per sempre. Alcunicapi di Stato hanno già preso posizione contro lecentrali, sanno che continuare sarebbe la loro finepolitica.

La Svizzera ha bloccato l’iter per la costruzionedei nuovi impianti: attualmente ce ne sono cinquefunzionanti che producono il 40 per cento dell’e-nergia elettrica del Paese, e altri tre sono in fase diapprovazione. I siti avrebbero dovuto essere indica-ti a metà del 2012. Ma dopo il terremoto il governoha ritenuto più opportuno fermare i progetti in at-tesa di rivedere gli standard. «La sicurezza è la no-stra priorità» ha fatto sapere il ministro dell’EnergiaDoris Leuthard.

In Germania sette centrali saranno fermate per tremesi. L’anno scorso Angela Merkel aveva deciso diestendere la loro vita di dieci anni, fra il malconten-to generale. Subito dopo Fukushima, la cancelliera siè affrettata a rimangiarsi tutto e a sospendere la loroattività. Una mossa solo politica secondo molti, maalmeno loro stanno riconsiderando il problema.

Il dopo Fukushima

In questo scenario l’Italia recita la parte del giappo-nese sperduto in un’isola del Pacifico che continua acombattere a dieci anni dalla fine della guerra. Nei

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momenti delle scelte difficili, di fronte alle catastrofi,possiamo contare su un ministro degli Esteri come ilFrattini Ridens: rassicurante. L’Italia è più tranquilladopo le sue parole, pronunciate mentre la centrale diFukushima stava fondendo: «Non credo che il disa-stro in Giappone giustifichi una rimessa in discussio-ne del piano italiano verso l’energia nucleare. Abbia-mo fortunatamente zone che sismiche non sono...».Non conclude la frase, ma va avanti: «Alle frontieretra Italia e Francia ci sono decine di centrali nucleari,a pochi chilometri da Torino». Perché non costruirneuna direttamente dentro la Mole allora?

Personaggi che finiranno presto nel dimenticatoiodel ridicolo con le loro affermazioni nucleariste. LaPrestigiacomo è l’unico ministro dell’Ambiente almondo che vuole nuove centrali nucleari. Prima in-vita i cittadini a non giungere a conclusioni affretta-te sull’onda dell’emotività, poi dice ai suoi: «È finita,non possiamo mica rischiare le elezioni per il nuclea-re. Non facciamo cazzate. Bisogna uscirne ma in ma-niera soft. Ora non dobbiamo fare nulla, si decide traun mese».

Lei, Testa, Veronesi, Berlusconi, Cicchitto, Scaro-ni, Maroni, Casini, Fini, Frattini e i pennivendoli fu-si del nocciolino nucleare sono come i fascisti che gi-ravano in divisa da federale dopo il 25 aprile. Ecce-zionale la supercazzola di Fabrizio Cicchitto, secon-do il quale la posizione del governo italiano sul nu-cleare «rimane quella che è, non è che si può cam-biare idea ogni minuto», o la memorabile sententiadi Veronesi, oncologo di mestiere ed esperto nuclea-re nel tempo libero: «Le centrali sono sicure. Chi ècontrario è fermo a una vecchia mentalità ideologicache si basa su presupposti sbagliati».

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Il ministro per lo Sviluppo economico Paolo Ro-mani conferma la linea del governo: «Tutti i Paesieuropei hanno centrali. Il 19 per cento dell’energiache consumiamo in Italia è prodotta dal nucleare, èinimmaginabile tornare indietro su un percorso giàattivato».

Il Parlamento italiano è peggio dei reattori diFukushima. Il nucleare non è di destra né di sinistra,è un grande affare per tutti. Investito dalle radiazio-ni provenienti dal Giappone, risvegliato come un no-vello Paolo di Tarso sulla via dell’atomo, il Pdmeno-elle si sta esercitando a fare la faccia scura antinu-cleare di fronte allo specchio e agli elettori. L’impor-tante è abbaiare, poi nel retrobottega ci si mette d’ac-cordo tra cooperative rosse e bianche e Lunardi, conla Tav di Chiamparino e Fassino, con la costruzionedella più grande base militare americana in Europa aVicenza, benedetta da Bersani, con gli inceneritori e,ovviamente, con le centrali nucleari.

Quel che è certo è che presto, a distanza di pochigiorni o di qualche mese, gente così non potrà piùpermettersi di sparare stronzate. Le loro dichiarazio-ni sono da conservare per il futuro, i loro volti, i vi-deo, le argomentazioni sono la testimonianza di unpreciso momento: l’ultimo.

Chi non muore si rivede

All’improvviso, riecco il nucleare: in Italia impazza ildibattito sulla reintroduzione dell’elettricità prodot-ta dall’atomo, fermata dal referendum del 1987. Ilprimo a prendere la palla del nucleare al balzo è sta-to nel 2008 Claudio Scajola, allora ministro del Sot-

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tosviluppo economico, che proponeva la costruzionedi dieci nuovi reattori per coprire il 25 per cento delfabbisogno nazionale di energia elettrica. Un altro 25per cento si doveva ricavare dalle rinnovabili, conl’intento di ridimensionare l’utilizzo di combustibilifossili al 50 per cento. Scajola pensava così di taglia-re le emissioni di gas serra e ridurre la dipendenzaenergetica dall’estero, con un crollo – a detta sua –del costo dell’elettricità all’utente finale.

Peccato che l’elettricità incida solo per il 20 percento nella produzione di energia e che le emissionidi CO2 derivino principalmente dagli impianti di ri-scaldamento e dal traffico. Il ritorno al nucleare nonrisolverebbe nessuno dei problemi presi in conside-razione. In compenso ne creerebbe di nuovi: a parti-re da quello economico – chi pagherebbe i nuovi im-pianti? – per finire con lo smaltimento delle scorie.

A chi ha cercato di farlo ragionare, Scajola ri-spondeva caparbio: «Nucleare scelta obbligata pernon restare a secco di energia». Pronunciato il diktat,ha indorato la pillola proponendo uno sconto sullabolletta a chi vive vicino alle centrali. Che dia lui l’e-sempio con una discarica nucleare nel suo giardino.La bolletta gliela pago io.

I siti ipotizzati per il nucleare sono sempre gli stes-si, già messi alla prova dalla prima stagione nucleareitaliana: Sessa Aurunca, Trino Vercellese, Caorso,Borgo Sabotino, a cui si aggiunge Montalto di Castro(dove era in costruzione una centrale bloccata dal re-ferendum). Del resto le aree su cui puntare l’atten-zione non possono essere molte in un Paese a rischiosismico come l’Italia, con una densità di popolazionedi 200 persone per chilometro quadrato. Già que-st’ultimo dato dovrebbe escludere a priori il ritorno

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al nucleare: una tragedia da noi farebbe migliaia emigliaia di vittime perché siamo ammassati come for-miche su un lembo di terra.

Ma non è tutto. Una centrale ha bisogno di unenorme quantitativo di acqua per refrigerare il reat-tore. E deve essere dolce, perché quella di mare ri-schia di corrodere e indebolire la struttura. Quindi osi desalinizza l’acqua (come si propone per Montaltodi Castro) con un ulteriore aumento dei costi, o sisfruttano i fiumi. Che però in estate vanno costante-mente in emergenza idrica: da anni ormai anche il Poha una portata insufficiente a garantire l’irrigazione eil fabbisogno privato. Cosa succederebbe se si ag-giungessero i consumi ingenti di una centrale?

Nella lista delle località «idonee» – a livello di spa-zi e di conformazione geologica – sparse in ventidueprovince su tutto il territorio nazionale, rimangonopochissime aree: la provincia di Vercelli, quella diPavia, l’isola toscana di Pianosa, e le province sardedell’Ogliastra, di Nuoro e di Cagliari. Ma la questio-ne della Sardegna è spinosa: nel nord dell’isola lespiagge sono inquinate dal petrolio della E.On. Nelsud è prevista una colata di cemento nella meravi-gliosa costa Verde.

Per non farsi mancare niente, nel futuro dell’isolapotrebbe esserci anche il nucleare. Il prossimo 15maggio il presidente della regione Ugo Cappellaccichiederà ai sardi di rispondere alla domanda: «Seicontrario all’installazione in Sardegna di centrali nu-cleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattiveda esse residuate o preesistenti?». Il referendum èconsultivo. Qualunque sia la risposta, le centrali lepotranno fare lo stesso. Cappellacci nel febbraio del2009 aveva detto: «Da noi nessuna centrale. Dovreb-

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bero passare sul mio corpo prima di fare una cosa si-mile. Berlusconi manterrà le promesse fatte».

Scaroni controcorrente

Stando ai dati dell’Agenzia internazionale dell’ener-gia, la richiesta di energia nucleare nel 2008 era l’e-quivalente di 747 milioni di tonnellate di petrolio,destinata a crescere fino a 842 nel 2020. L’incremen-to previsto tra il 2006 e il 2015 è dell’1,3 per cento,destinato a dimezzare (0,6 per cento) tra il 2015 e il2020. Giusto come termine di confronto, la richiestadi energia da biomasse dovrebbe avere un incremen-to nel primo periodo dell’1,7 e poi dell’1,3; quellaidroelettrica del 2,3 e dell’1,9.

In generale, si prevede una diminuzione della ri-chiesta relativa di nucleare, petrolio e carbone, e unaumento di energia ottenuta da gas e fonti rinnova-bili. Secondo il Wwf la quota di energia elettricaprodotta nel mondo col nucleare è il 16 per cento deltotale complessivo, ma andrà progressivamente di-minuendo all’8 per cento. Si tratta di dati medi, chetengono conto tanto di colossi come gli Stati Uniti(104 centrali operative e una in costruzione) o laFrancia (58 centrali in funzione e una in costruzio-ne), quanto di Stati non nuclearizzati come Porto-gallo e Grecia.

Se questo è il trend a livello mondiale, perché l’Ita-lia vuol tornare all’atomo? Pura propaganda politica?Interessi di qualche gruppo? Ricchi appalti per lalobby del mattone che non sa più dove cementificare?

Un vero appassionato di nucleare è Paolo Scaroni,amministratore delegato dell’Eni e vecchia conoscen-

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za dei tribunali e degli ambientalisti. Negli anni No-vanta, come amministratore delegato della Techint,aveva patteggiato una condanna a due anni e tre me-si per corruzione, per tangenti pagate al fine di otte-nere appalti dall’Enel. Proprio dell’Enel diventa am-ministratore delegato nel 2002, carica che mantienefino al 2005, per poi passare appunto all’Eni.

Nel 2006 Scaroni viene processato dal tribunale diAdria: come ex amministratore delegato dell’Enel èaccusato di aver inquinato il territorio del delta delPo con la centrale di Porto Tolle – coincidenza vuo-le che l’ex presidente della regione Veneto Giancar-lo Galan abbia proposto la conversione a centralenucleare. Scaroni viene condannato a un anno equattro mesi di carcere, pena poi convertita in unabanale ammenda di 1140 euro.

Il 12 gennaio 2011 la Cassazione conferma la con-danna per i vertici della centrale Enel di Porto Tolle,tra cui Scaroni e il suo predecessore Franco Tatò,riformando l’appello. Grazie anche alle consulenzetecniche di esperti come l’ingegner Paolo Rabitti, tral’altro impegnato a provare altri disastri ambientalinei procedimenti penali di Porto Marghera o delloscandalo rifiuti di Napoli e della Campania.

Nonostante questi precedenti, nel 2005 Scaronipassa all’Eni. Prima di lui c’era Vittorio Mincato, checonosceva l’azienda come pochi altri, ci aveva lavo-rato per quasi quarant’anni e aveva conseguito nel-l’ultimo periodo risultati economici eccellenti. Pocoprima di essere destituito aveva dichiarato che l’Ita-lia avrebbe dovuto lasciar stare il carbone e puntaresulle centrali a gas naturale (che emettono circa unterzo in meno di CO2) per frenare l’aumento galop-pante delle proprie emissioni.

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L’affaire slovacco

Al contrario del suo predecessore, Scaroni crede chel’energia del futuro sia il nucleare e da amministrato-re delegato dell’Enel ha addirittura investito soldinostri – contro il nostro parere – per riattivare cen-trali obsolete.

Nel febbraio 2005 infatti l’Enel firma per acquisi-re il 66 per cento della Slovenské Elektrárne e attra-verso essa della centrale di Mochovce, in Slovacchia.I nostri concorrenti erano la Repubblica Ceca e laRussia, che evidentemente sentivano la mancanzadella vecchia politica energetica del blocco comuni-sta. Il passaggio viene completato nell’aprile 2006 allamodica cifra di 839 milioni di euro più qualche mi-liardo da investire negli anni successivi per finanziarela costruzione di due «nuovi» reattori il cui progettoera in stallo da anni per mancanza di fondi.

Gli austriaci si incazzano come bestie. C’è da ca-pirli: la centrale si trova a cinquanta chilometri dalconfine. Loro stanno a costruire gli impianti eolici ea impostare una politica tutta verde, noi gli piazzia-mo una bomba nucleare rappezzata fuori porta. Nonun politico italiano che sia andato a discutere della si-tuazione a Vienna.

La centrale di Mochovce risale agli anni Settantaed è di seconda generazione, come quella che c’era aChernobyl. Dei quattro reattori presenti, due sonostati completati nel 1983, lo stesso anno in cui è natala Fiat Uno. Chi se ne comprerebbe una oggi? La co-struzione degli altri due reattori è iniziata nel 1987 epoi è stata sospesa nel 1991 perché non c’erano fon-di. Ma quelli ce li metteremo noi, più di vent’annidopo. Spesa prevista: due miliardi di euro, forse di

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più. Un reattore di ultima generazione costerebbepiù o meno lo stesso.

Nel 2008 l’Enel avvia i lavori di completamento,ma lo fa senza aspettare la Valutazione di impattoambientale (Via) imposta dalla Comunità europea. IPaesi confinanti, che non vedono di buon occhioeventuali incidenti, hanno diritto di partecipare, etanto austriaci che ungheresi sono sul piede di guer-ra. L’audizione per la Via viene fissata a Vienna, cosache non piace all’Enel. Greenpeace ha in seguito re-so pubblico un documento secondo cui l’Enel ha fat-to pressione sul governo slovacco per sistemare la si-tuazione: c’erano indicazioni su come evitare le mani-festazioni di piazza, limitare la partecipazione dellagente e attenuare l’interesse dei media. In più l’Enelchiedeva che si tenesse un unico incontro per la Viadirettamente a Bratislava. L’audizione alla fine è statacomunque a Vienna, ma il progetto è passato. Saràperché il ministero dell’Ambiente slovacco ha affida-to la valutazione a Decom, una compagnia controlla-ta da Vuje, che aveva già ottenuto appalti per finire ireattori di Mochovce?

È dai tempi dell’acquisizione che Greenpeace pro-testa contro questa iniziativa. «È inaccettabile che ilnostro Paese pratichi il doppio standard, esportandoil rischio nucleare che noi italiani non ci siamo volutigiustamente assumere» ha detto Giuseppe Onufrio, ildirettore dell’associazione in Italia.

Da notare che con il referendum del 1987, tra i va-ri quesiti, la popolazione italiana aveva votato sì allasospensione degli investimenti dell’Enel nella produ-zione elettronucleare all’estero. Senza dare nell’oc-chio, il 21 febbraio 2004 entra però in vigore la leggeMarzano, dal nome dell’allora ministro delle Attività

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produttive, che contiene «misure per la ristruttura-zione industriale di grandi imprese in stato di insol-venza», e rimuove la disposizione avviata dal refe-rendum: prevede l’accesso a una procedura di «am-ministrazione straordinaria» da gestire in 180 giorni,e con una possibile proroga di 90 giorni per un pia-no di ristrutturazione. I limiti per beneficiarne sonostabiliti per l’azienda o l’impresa in stato di insolven-za, a un numero di 500 impiegati e a un debito noninferiore ai 300.000 euro. Neanche a farlo apposta, alcomma 42 del primo e unico articolo si legge: «I pro-duttori nazionali di energia elettrica possono, even-tualmente in compartecipazione con imprese di altriPaesi, svolgere attività di realizzazione e di eserciziodi impianti localizzati all’estero, anche al fine di im-portarne l’energia prodotta». È così che si ristabili-sce un principio opposto a uno dei vincoli fissati conil voto popolare del 1987, che impediva all’Enel diportare avanti i suoi progetti nucleari all’estero.

L’altro punto su cui insiste Greenpeace è la scarsasicurezza dell’impianto, perché i reattori sono ben aldi sotto degli attuali standard di sicurezza e difficil-mente verrebbero autorizzati in gran parte degli Sta-ti europei. Non dispongono neanche del doppio gu-scio protettivo che dovrebbe proteggere il nocciolo incaso di impatto aereo.

Ma secondo l’Enel la centrale sorge in una zonaprotetta dalla Nato, quindi nessun attentato o inci-dente potrebbe mai avvenire sopra Mochovce: «Lalinea d’impatto dei sistemi rilevanti sotto il profilodella sicurezza dell’impianto è inoltre ostruita da for-mazioni naturali e da edifici più alti posti nelle loroimmediate vicinanze». Chissà perché questa affer-mazione non convince del tutto la commissione del-

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l’Unione europea, che dal 2008 continua a chiedereall’Enel di adeguare i livelli di sicurezza agli standardoccidentali.

«La vera rivoluzione è tornare al nucleare. Sovie-tico» così recitava un depliant di Greenpeace distri-buito in tutta Italia nel 2007 per bloccare il comple-tamento dei reattori. Erano arrivate 22.000 emailall’allora capo del governo Prodi. Inutilmente. I casisono due: o il nostro parere non conta niente in que-sto Paese, o Prodi e l’Enel non hanno colto l’ironiadel messaggio.

Enel pronuke

Nel 2009 l’Enel ha sottoscritto anche un accordocon Edf (Électricité de France, la sua corrisponden-te d’oltralpe) per partecipare allo sviluppo del nu-cleare di terza generazione presso la centrale di Fla-manville, in bassa Normandia, con una quota del12,5 per cento. L’accordo è stato autorizzato nel2002 e il cantiere è partito nel 2005. La fine dei la-vori è prevista per il 2014 con una possibilità di pro-roga quinquennale.

Secondo il programma di «sviluppo congiuntodell’energia nucleare in Italia da parte delle dueaziende» così si legge nel testo dell’accordo «Edf edEnel si impegnano a sviluppare, costruire e far en-trare in esercizio almeno quattro unità di generazio-ne». Il primo di questi quattro impianti è appuntoquello di Flamanville, mentre la prima unità italianaoperativa dovrebbe entrare in funzione nel 2020. Incambio alcuni dipendenti del colosso italiano posso-no andare in loco a fare tirocini per acquisire le com-

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petenze necessarie al ritorno del nucleare in Italia.Non era meglio pagargli una vacanza studio e basta?

L’Enel ha accolto con serafico ottimismo le notizieche arrivano da Fukushima. Mentre il mondo temeun disastro radioattivo, Fulvio Conti, amministratoredelegato e direttore generale del gruppo, ha detto chea Mochovce si va avanti. «In Slovacchia stiamo percompletare due reattori, che dovrebbero entrare inattività nel 2012 e 2013. Non vediamo alcuna ragioneper cambiare le procedure di costruzione.» Loro for-se no, noi sì. Lo abbiamo già detto nel 1987: non vo-gliamo il nucleare. Né tantomeno una seconda Cher-nobyl nel cuore dell’Europa.

Sarkò e Silviò

A fare da padrini all’accordo Enel-Edf c’erano i nanidel nucleare, Berlusconi e Sarkozy. «Dobbiamo sve-gliarci dal nostro sonno, adeguarci, perché il futuro ènell’energia rinnovabile e nel nucleare. Affronteremola costruzione di centrali nucleari in Italia, con al no-stro fianco la Francia che ci ha messo a disposizioneil suo know-how» ha detto lo psiconano di casa in oc-casione dell’incontro formale del 24 febbraio 2009.Poi ha imputato la mancata innovazione nel campodell’energia atomica nel nostro Paese al fanatismoideologico degli ambientalisti della sinistra che neglianni Settanta hanno voluto tirare il freno. SecondoSarkozy, l’incontro è stato storico, e con il risultato diuna reale speranza di «partnership illimitata tra i duePaesi».

Al tempo di Scajola, lo psiconano si era scatenatoin promesse di ogni tipo e aveva assicurato che l’Ita-

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lia non è «colonizzata. Abbiamo eccellenze italiane elavoriamo insieme con la Francia con una partner-ship paritaria per affrontare insieme la sfida contro ilcambiamento climatico». Però oggi siamo a leccare ilculo ai francesi. Perché? Perché l’Italia di Tremortigli deve – euro più, euro meno – 511 miliardi, equi-valenti al 20 per cento del Pil francese. Chi possiedeil tuo debito ti tiene per le palle, ed è ovvio che met-terci insieme alla Francia e far decollare il nucleareporterà miliardi di euro a Sarkozy.

L’abbiamo capito: se il picciotto del nucleare inItalia è Berlusconi, il suo mandante è Sarkozy. Ormaila Francia ha indicato la strada. Un nano tira l’altro.L’unico motivo per cui si vuole il nucleare è il debitopubblico. L’Edf è il mandante, Berlusconi e la Con-findustria gli esecutori interessati. Io ho un’idea mi-gliore per Edf e Sarkozy: il nucleare se lo faccianosotto la Tour Eiffel.

Tanto più che tecnicamente l’Italia sarebbe più omeno autosufficiente per l’energia elettrica. L’impor-tazione dai Paesi oltre confine avviene di notte quan-do compriamo sottocosto. Uno dei grossi problemidelle centrali nucleari è che le procedure più difficili epericolose sono lo spegnimento e l’accensione, quin-di si tende a mantenerle attive – salvo manutenzione –anche quando non serve energia. Con il risultato chela Francia nel momento del picco, cioè del massimoconsumo, si trova in carenza e deve importare energiadagli altri Paesi (tra cui l’Italia), ma di notte ha una so-vrapproduzione che svende. Così in quelle ore noi neapprofittiamo per fermare le centrali termoelettrichee ciucciare energia che rilasciamo il mattino quandoaumenta il consumo. In questo modo l’energia accu-mulata a basso costo consente di esportare elettricità

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all’estero nelle ore di picco dei consumi e dei prezzi.Non male come giochetto.

Quello che ci unisce ai produttori di elettricità ol-tre confine è un doppio legame: la richiesta, secondoi dati Terna, la società responsabile in Italia della tra-smissione dell’elettricità, nel 2010 è stata pari al 14,97per cento (il consumo è stato di 305,500 terawatt/oradi cui 45,761 da fornitori esteri, mentre il totaleesportato è stato 1,817) con una percentuale di di-pendenza dalle importazioni variabile tra il 10 percento diurno e il 25 per cento notturno.

Il fabbisogno nazionale viene quindi coperto peril 2,5 per cento dalle centrali nucleari francesi, per il3,05 per cento da quelle svizzere, e per lo 0,8 per cen-to da quelle slovene. Dell’energia elettrica prove-niente dalla Francia il 75 per cento è di natura nu-cleare, e lo stesso vale per il 40 per cento dell’energiasvizzera. Ne deriva il calcolo del cosiddetto «Mixmedio energetico» a opera del Gestore servizi ener-getici (Gse) in collaborazione con la Terna secondocui l’energia nucleare che viene effettivamente utiliz-zata in Italia copre solo l’1,5 per cento del totale e lo0,6 per cento del Mix energetico nazionale.

Il dopo Chernobyl

Sono passati ventiquattro anni dall’8 novembre del1987, quando gli italiani sono stati chiamati a parte-cipare a un referendum: cinque i quesiti, due sullagiustizia e tre sul nucleare. Un anno prima, l’esalta-zione dei nuclearisti, insieme alle loro finte certezzeatomiche, era crollata con il rumore di una bomba inun negozio di cristalli: quella cristalleria era la citta-

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dina di Chernobyl. Di lì a poco la richiesta di nuovenorme di sicurezza e tutela dell’ambiente era sorta daogni parte e in Italia si era acceso un vivace confron-to tra i partiti. Quello che sembra mancare oggi.

Le voci di protesta più ruggenti sono state quelledei partiti liberale, socialista e radicale. Quest’ultimoin particolare, in continuità con i referendum del1981 sull’abolizione dell’ergastolo e del porto d’armi,e sull’interruzione di gravidanza, proponeva tre que-siti per abolire le leggi sulla realizzazione e gestionedelle centrali nucleari, oltre che ai finanziamenti aicomuni e alle regioni che le ospitavano.

La proposta era forte: metteva in gioco una que-stione che tutti i cittadini, al di là della bandiera po-litica, sentivano profondamente, e la decisione di an-dare alle urne è stata corale. Anche se nessuno dei trequesiti chiedeva in modo esplicito né diretto la chiu-sura delle centrali nucleari, ma la prendeva alla larga:

1) il primo chiedeva l’abolizione dell’intervento sta-tale (o meglio del Cipe, il Comitato interministerialeper la programmazione economica) nel caso in cui uncomune non avesse concesso un sito per l’apertura diuna centrale nucleare nel suo territorio;

2) il secondo chiedeva l’abrogazione dei contribu-ti statali da parte dell’Enel nelle tasche degli enti lo-cali per la presenza sui territori di centrali nucleari oa carbone;

3) il terzo chiedeva l’abrogazione della possibilitàper l’Enel di «promuovere la costruzione» di im-pianti elettronucleari «con società o enti stranieri» oanche «assumere partecipazioni che abbiano comeoggetto la realizzazione e l’esercizio di impianti elet-tronucleari» all’estero.

In poche parole, i cittadini non votavano per la

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chiusura delle centrali, ma potevano scegliere di fre-nare gli investimenti statali nel nucleare, da quelli di-retti agli impianti a quelli pensati per agevolare gliabitanti delle zone vicine, sia in Italia sia all’estero.

La vittoria è stata netta per tutti i quesiti: rispetti-vamente con l’80,6 per cento, il 79,7 per cento e il71,9 per cento. Le schede bianche o nulle sono statetra il 12 e il 13 per cento. I votanti sono stati il 65 percento degli aventi diritto, superando abbondante-mente il quorum.

I cittadini non potevano dare ordine più chiaro ailoro dipendenti: votando sì al referendum avevanodetto no al nucleare. Le due centrali di Borgo Sabo-tino e Trino Vercellese erano ormai arrivate a fine vi-ta e sono state chiuse, insieme a quella di Caorso, ilcui (mal)funzionamento è stato invece sospeso congrande anticipo sul ciclo previsto. Quella di SessaAurunca non funzionava dal 1982. La centrale diMontalto di Castro, che era in costruzione, è statariutilizzata per realizzare la centrale termoelettricaAlessandro Volta.

Nel 1986, alla vigilia dello smantellamento, le cen-trali attive nella penisola producevano il 4,5 per cen-to dell’energia totale. Dal momento in cui è venuta amancare, questa esigua percentuale è stata compen-sata con un incremento dell’utilizzo di combustibilifossili, in particolare carbone e gas, e con un aumen-to delle importazioni.

Gli italiani hanno detto «basta con il nucleare», eanche tutti i partiti, a parte l’esiguo manipolo repub-blicano. Gli stessi socialisti che oggi sono al governocon Berlusconi e ci raccontano che bisogna tornareall’atomo, al tempo erano ferocemente contrari.

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Assicurazioni antinuke

Nonostante il nostro parere, il Consiglio dei ministriha approvato il nuovo disegno di legge sui siti nuclea-ri, aggiornando gli aspetti tecnologici, le tempistiche ei benefici economici per chi vive vicino agli impianti.

Portabandiera del ritrovato trend nuclearista sonogli esponenti del Forum nucleare italiano, nato il 27 lu-glio 2010, sotto la guida di Chicco Testa. Come recitail programma in bella vista sul sito internet: «Il Forumnucleare italiano è un’associazione no-profit che vuolecontribuire, come soggetto attivo, alla ripresa del di-battito pubblico sullo sviluppo dell’energia nucleare inItalia». In realtà il dibattito non c’è e non può nascere:basta vedere la pubblicità mandata in onda allo sfini-mento in televisione e nei cinema. Una partita a scac-chi tra bianchi (a favore del nucleare) e neri (contrari):a ogni mossa viene formulata una domanda sul tema,alternando pro e contro, finché l’inquadratura si allar-ga e i giocatori sono la stessa persona sdoppiata daldubbio. E questo sarebbe un dibattito ad armi pari? Ilgiocatore antinucleare ha le pedine nere e un tono divoce titubante mentre sfida le opinioni del giocatorebianco, pronucleare, dalla voce tranquilla e decisa.

La pubblicità è talmente di parte che il 24 feb-braio è stata bloccata dal giurì dell’Istituto dell’auto-disciplina pubblicitaria perché il video «non comu-nica al telespettatore gli obiettivi sociali che l’asso-ciazione inserzionista intende raggiungere». Intantoperò è andata in onda per settimane nel tentativo difarci il lavaggio del cervello.

A questi persuasori occulti da strapazzo, vorreichiedere: se le centrali sono così sicure, perché nonc’è nessuna assicurazione al mondo che le copra?

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A qualche settimana dal terremoto in Giappone, lacompagnia Swiss Reinsurance ha stimato che i dannisubiti dallo Stato in termini economici fossero pari al-l’incirca a 1,2 miliardi di euro. È chiaro che nessun as-sicuratore privato azzarderebbe un investimento suuna centrale per gli alti costi in caso di incidente. Po-che persone sono capaci come gli assicuratori di cal-colare le probabilità di un incidente: se anche sonobassissime, l’eventuale esborso sarebbe tale che nonne vale la pena. E se non ci credono loro, perché dob-biamo crederci noi, che mettiamo in gioco la vita?

Fanno eccezione gli Stati Uniti, che nel 1957 defi-nirono i nodi della responsabilità nucleare con ilPrice-Anderson Act, legge da rinnovare ogni dieci an-ni, secondo la quale ogni impianto ha l’obbligo di sot-toscrizione di una polizza con copertura di 300 milio-ni di dollari presso assicuratori privati. Nel caso di unincidente, poniamo di gravità pari a quello giappone-se, rimarrebbero comunque 900 milioni da tirare fuo-ri. Inoltre, ogni gestore di centrali nucleari è obbliga-to a un pagamento fino a 96 milioni di dollari per ognireattore, raccolti in rate annue di 15 milioni, con le do-vute oscillazioni in caso di inflazione. È chiaro che gliassicuratori non perdono poi molto, e non si mettononella situazione di doverlo fare. In poche parole, haivoluto la centrale, paghi due volte: per tirarla su e percoprire quello che non spetta all’assicurazione.

E guerra sia

A questo punto siamo in guerra. Da una parte ci so-no i morti, dall’altra i vivi. Quando scoppia un con-flitto, le regole ordinarie non valgono più. Per batte-

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re Hitler non era sufficiente discutere. Una centralenucleare in Italia equivale a una pistola puntata con-tro la nazione. Questo non è terrorismo, è la verità.Nessuno può prevedere una catastrofe come quellagiapponese, ma chiunque sa che può accadere. Traun giorno o tra mille anni. I reattori della centrale diFukushima stanno esplodendo uno dopo l’altro.

Sembra di essere al Rischiatutto di Mike Bongior-no. Ci sono sei reattori nucleari: fonde prima il reat-tore numero 1, quello numero 2 o il numero 3? Pas-siamo alla seconda domanda. Se fonde il nocciolo diun reattore cosa succede? Risposte cumulabili:muoiono subito per le radiazioni migliaia di giappo-nesi? Muoiono entro alcuni mesi americani, cinesi eeuropei a grappoli? Il Giappone del nord-est nonsarà più agibile? Veronesi ripeterà a Fazio in direttatelevisiva che il nucleare italiano è sicuro? Il noccio-lo aprirà una voragine che arriverà dall’altra partedella Terra? Terza domanda: il pesce dell’oceano Pa-cifico diventerà fosforescente e potrà essere servitoanche al buio? L’acqua radioattiva verrà imbottiglia-ta con la scritta «made in Tokyo»? Chicco Testa lan-cerà il Forum nucleare di ultimissima generazionecon esperti del calibro di Scajola e Casini? Se aveterisposto correttamente a tutte le domande avete vin-to un biglietto di sola andata per Fukushima insiemea Sarkozy, vitto e alloggio a spese della Tepco.

Le zone contaminate rimangono radioattive permigliaia di anni. All’Aquila non c’erano centrali nu-cleari, era una zona sismica, come quasi ovunque inItalia. Molti edifici crollati erano costruiti con la sab-bia, gran parte della popolazione sarebbe sopravvis-suta se evacuata in tempo. I segnali premonitori c’e-rano da mesi.

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Questa è l’Italia che specula sui terremoti e ridecome una iena al telefono.

Il nucleare lo vuole l’Italia dei morti, uniti nellascelta dell’atomo sicuro, così come per gli incenerito-ri e l’acqua privatizzata. «Il problema della sicurezzanucleare» ha dichiarato dopo la catastrofe giappone-se Fini a SkyTg24 «va al di là dei confini nazionali. Cisono centrali in Slovenia e in Francia e se lì ci fosserodei disastri colpirebbero anche noi. Inoltre le centra-li giapponesi non sono di ultimissima generazione. InItalia si parla di centrali nucleari di ultimissima gene-razione. Il mio auspicio è che non si decida sull’ondadell’emozione». No, infatti i cittadini vorrebbero de-cidere sull’onda della nube di radiazioni.

Se Chernobyl fosse avvenuto in Francia, ad esem-pio a Chooz, la regione di Champagne-Ardenne si-tuata al centro dell’Europa sarebbe interdetta agli es-seri umani per migliaia di anni. Perché correre un ri-schio così alto? Per difenderci dagli alieni? O da unacatastrofe planetaria? O per lucro, il solito miserabile,schifoso, merdoso lucro? Io non voglio che i miei figlicorrano questo rischio e farò qualunque cosa in miopotere contro il nucleare. Le madri dei nuclearisti, co-sì come quelle degli imbecilli, sono sempre incinte.

Referendum con l’elmetto

A questo punto è chiaro, il comitato di affari Pdl ePdmenoelle ha deciso che il nucleare si deve fare. Ilfuturo economico, energetico, industriale dell’Italiaè legato all’atomo. I media si sono subito allineati.Chi è disposto a dimenticarsi che nel 1987 venti mi-lioni di italiani hanno votato un referendum contro il

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nucleare? Noi no. Scajola e la Marcegaglia contanopiù della volontà degli italiani? Chi li autorizza aprendere decisioni a nome di tutti?

Il ragionamento da fare sarebbe il seguente: si vuo-le il nucleare? Si tenga un nuovo referendum, e poi ve-diamo. Se gli italiani voteranno a favore, allora si po-trà fare. Altrimenti no. Non si possono costruire cen-trali nucleari ignorando il risultato di un referendumpopolare. Eppure i nostri dipendenti lo hanno fatto esono partiti senza chiederci cosa ne pensavamo. Manoi non ci siamo arresi. I cittadini sono scesi in piazzae hanno cominciato a raccogliere firme per indire unreferendum abrogativo. La raccolta è iniziata nel mag-gio 2010 su iniziativa dell’Italia dei valori e del Movi-mento per l’acqua pubblica. Servivano 500.000 firme,ma il partito del sì (cioè il no al nucleare) ne ha rac-colte due milioni: così tante che abbiamo costretto inostri dipendenti a organizzare un referendum per te-nerci stretta la conquista del 1987.

La battaglia da vincere ora è raggiungere il quo-rum del 50 per cento più uno. Nonostante gli osta-coli che ci stanno mettendo contro. A partire dalladata: la prima proposta era il 29 maggio, così si sa-rebbero accorpati l’eventuale ballottaggio delle am-ministrative – il cui primo turno è il 15 maggio – e ireferendum. Avremmo potuto risparmiare 350 mi-lioni di euro, nonché tempo ed energie ai singoli cit-tadini.

Lo sa bene il radioattivo Maroni che all’inizio dimarzo ha presentato al Consiglio dei ministri il suopiano per scorporare gli eventi: primo turno delleamministrative il 15 maggio, ballottaggio il 29 e infi-ne referendum il 12 giugno. Tre sfibranti turni di vo-tazioni (e relative spese) in un mese e mezzo. Perché?

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La verità è che il referendum fa paura ai partiti. Sep-pellirà insieme al nucleare anche la privatizzazionedell’acqua che ne è la sorella siamese. Il nucleare, in-fatti, non può esistere senza l’uso di enormi quantitàdi acqua che sono sottratte in prevalenza all’agricol-tura. E l’acqua non può essere sottratta ai cittadini seè pubblica.

Accorpare in un solo giorno l’election day dovreb-be essere, prima di tutto, interesse dello Stato, comeincentivo alla partecipazione alla vita istituzionale.Ma il ministro degli Interni, caparbio, ha conferma-to la decisione di separare «secondo una tradizioneitaliana che ha sempre distinto le due date». In realtàsi tratterebbe di abolire un piccolo comma che im-pedisce che i referendum si tengano in contempora-nea con le elezioni amministrative.

Alla Camera il voto del 16 marzo sull’accorpa-mento è terminato con 276 contrari e 275 a favore.Un risultato che ha accontentato tutti: il governo,perché non è passata la mozione, l’opposizione per-ché ha dato testimonianza di essere ancora in vita (?)e ha potuto esprimere la sua rabbia e indignazioneattraverso il duo Bindi-Franceschini. Quest’ultimoha detto: «È inaccettabile e incomprensibile... Non siè trattato di un no qualsiasi visto che con l’electionday si sarebbe votato insieme sul legittimo impedi-mento, sul nucleare e sull’acqua. Intendo convocarel’ufficio di presidenza». Referendum che peraltro ilPdmenoelle non ha mai voluto, né sostenuto.

La colpa del mancato accorpamento che avrebbefatto risparmiare centinaia di milioni agli italiani eavrebbe aumentato le probabilità di raggiungere ilquorum è stata attribuita allo sciagurato Marco Bel-trandi, radicale e pidimenoellino – paghi uno e pren-

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di due – la cui confusione mentale traspare dalle pa-role per giustificare il voto: «Ho votato in dissensodal Pd perché sono contrario al quorum e perchépenso che l’election day sia un sotterfugio per aggi-rare la legge». Insomma ha votato no per dire sì, mavoleva dire forse.

Il dito puntato contro il capro espiatorio (qualcu-no bisogna pur sacrificare) ha fatto passare in secon-do piano l’assenza di dieci deputati pdimenoellini,otto del Fli e due dell’Idv. Le «Facce da nucleare»dell’opposizione sono: Capano, Cimadoro, Ciriello,D’Antona, Farina, Fassino, Fedi, Gozi, Madia, Ma-stromauro, Porcino, Samperi. Dov’erano questi si-gnori pagati dagli italiani? Loro, insieme a chi ha vo-tato a favore, sono responsabili di fronte alla nazionedell’eventuale mancato quorum. Della costruzionedi centrali nucleari in Piemonte, Sardegna, Campa-nia. Del futuro dei nostri figli. Non esiste giustifica-zione per la loro assenza.

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