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CIR NOTIZIE dicembre 2007 L’asilo è per sua stessa natura una questione internazionale. La politica comunitaria in questa materia non può quindi prescindere da una dimensione che tenga conto delle relazioni con in Paesi terzi. Il recente calo nel numero delle domande d’asilo in Europa non riflette necessa- riamente una riduzione generale del numero di rifu- giati e persone che chiedo- no protezione internazione a livello globale. Anzi, siamo oggi confrontati a dei seri squilibri nell’Unio- ne europea, dove gli Stati membri spendono cifre importanti per il trattamento delle domande d'asilo quan- do la maggior parte dei richiedenti non soddisfa i criteri per ottenere la prote- zione internazionale, mentre la maggior parte dei rifugiati, compresi probabilmente i più vulnerabili, resta in campi profughi con povere risorse situati nei Paesi terzi della regione d’origine. Affrontare i bisogni di prote- zione a livello internazionale deve pertanto essere una priorità dell’Unione. Contributo di Franco Frattini Vicepresidente della Commissione Europea e Commissario Responsabile per il portafoglio Giustizia, libertà e sicurezza 1 Speciale CIR/OIM Ricominciare da capo Nella foto: il Vicepresidente Franco Frattini (foto tratta dal sito della Commissione europea)

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CIR NOTIZIEdicembre 2007

L’asilo è per sua stessa natura una questione internazionale. La politica comunitariain questa materia non può quindi prescindere da una dimensione che tenga contodelle relazioni con in Paesi terzi.

Il recente calo nel numerodelle domande d’asi lo inEuropa non riflette necessa-r iamente una r iduzionegenerale del numero di rifu-giati e persone che chiedo-no protezione internazione alivello globale.

Anzi, siamo oggi confrontatia dei seri squilibri nell’Unio-ne europea, dove gli Statimembri spendono cifreimportanti per il trattamentodelle domande d'asilo quan-do la maggior parte deirichiedenti non soddisfa icriteri per ottenere la prote-zione internazionale, mentrela maggior parte dei rifugiati,compresi probabilmente ipiù vulnerabi l i , resta incampi profughi con povererisorse situati nei Paesi terzidel la regione d’origine.Affrontare i bisogni di prote-zione a livello internazionaledeve pertanto essere unapriorità dell’Unione.

Contributo di FrancoFrattiniVicepresidente della Commissione Europeae Commissario Responsabile per ilportafoglio Giustizia, libertà e sicurezza

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Nella foto: il Vicepresidente Franco Frattini (foto tratta dal sito

della Commissione europea)

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Per far fronte a tali sfide è necessaria la ripartizione degli oneri e delle responsabilità

all'interno dell'Unione europea e con le regioni di provenienza per permettere loro di for-

nire, quanto prima possibile, una protezione effettiva che soddisfi al meglio le necessità

delle persone bisognose di protezione internazionale.

Più volte ho sottolineato che garantire un adeguato livello di protezione nei Paesi d’origi-

ne e facilitare l’ingresso dei rifugiati nel territorio degli Stati membri attraverso un pro-

gramma di reinsediamento sono due modalità per offrire un accesso rapido alla protezio-

ne evitando che i rifugiati rischino di cadere vittime delle reti d’immigrazione illegale e

della tratta di esseri umani.

Il reinsediamento è uno strumento che offre al tempo stesso protezione e soluzioni dura-

ture, nonché un meccanismo efficace di ripartizione delle responsabilità. È pertanto un

aspetto essenziale della dimensione esterna della politica d’asilo dell’Unione. Il reinsedia-

mento dei rifugiati sul territorio dell’Unione rispecchia altresì l’impegno dell’Unione a

dimostrare solidarietà internazionale e a condividere l’onere che grava sui paesi che,

nelle regioni d’origine, accolgono la stragrande maggioranza dei rifugiati.

Al fine di incoraggiare una più attiva partecipazione degli Stati membri, ho proposto una

modifica del Fondo Europeo dei rifugiati per permettere dal 2008 un sostegno finanziario

volto a migliorare e ampliare i programmi nazionali di reinsediamento nonché a incorag-

giare il reinsediamento di categorie particolarmente vulnerabili, quali i minori non accom-

pagnati, o di rifugiati in provenienza da regioni di origine particolarmente gravate.

Il Libro verde sul futuro della politica di asilo europea, che ho recentemente pubblicato,

ha anche posto al centro del dibattito pubblico con tutte le parti interessate la questione

dello sviluppo di un approccio comunitario più ambizioso in materia di reinsediamento.

Tale idea ha ricevuto un ampio sostegno dalla maggior parte dei contributi ricevuti nel-

l'ambito della consultazione pubblica.

La presente pubblicazione si colloca pertanto in un momento cruciale del dibattito sulla

creazione di un approccio comune in materia di reinsediamento ed è in perfetta sintonia

con la mia politica di sostegno e incoraggiamento ad un impegno accresciuto a livello

dell'Unione.

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L’esperienza dell’OIM di Roma neiprogrammi di resettlement dagli anni ‘80 ad oggi di Giulia FalzoiResponsabile Unità Migration Management,OIM, Ufficio Regionale per il Mediterraneo,Roma

Arrivavano a Roma in gruppi di 30-40 dal-l’allora Cecoslovacchia, Romania, Polo-nia, Ungheria, i così detti paesi dell’Est,denominati tali in quanto facenti parte delblocco sovietico al tempo della “GuerraFredda”: era il 1985. Arrivavano con gran-di valigie e un’aria spaesata, disorientatidal caos del traffico di Roma e da unambiente cosi diverso da quello da cuiprovenivano per colori, odori, visi dellagente. Erano maggiormente coppie giova-ni, famiglie con bambini ma anche anzia-ni. Cercavano tutti di sfuggire a regimitotalitari che imperversavano dalla finedella Seconda Guerra mondiale nei loropaesi, che privavano l’individuo dellalibertà di esprimersi in tutti gli aspetti dellavita, o semplicemente di poter perseguirele proprie aspirazioni, praticare la propriareligione, spesso in antitesi con gli orien-tamenti del regime. Arrivavano tutti con unsolo obiettivo: migliorare la propria vita,dare ai propri figli un futuro diverso, assi-curare agli anziani una vecchiaia serena,sfuggire ad un clima intimidatorio e perse-cutorio, lavorare e mettere un po’ di soldida parte. E allora ecco la possibilità di rea-lizzare i propri sogni: l’emigrazione definiti-va verso gli Stati Uniti, il Canada o l’Au-stralia con un programma di “resettle-ment” (in italiano reinsediamento) finanzia-to da questi paesi e offerto ai cittadini di

“oltre cortina” per “ragioni umanitarie” enaturalmente anche politiche. A nulla vale-va la propaganda anti-americana o anti-occidentale che veniva condotta, conrimarcabile assiduità, nel paesi dell’Est.Chi poteva se ne andava via, lasciando unmondo di affetti e di propria storia perso-nale con cui avrebbe fatto i conti dopo,una volta arrivato a destinazione. La poli-tica degli ingressi dei tre paesi citati, conin testa gli Stati Uniti, mirava a scardinaredalla base i regimi comunisti dei paesi

satelliti dell’Unione Sovietica, “arruolando”nelle proprie fila gente di ogni provenienzasociale, per dare loro un lavoro e la possi-bilità di stabilirsi nei paesi oltre oceano,vivere, lavorare e naturalmente “sposare”la causa del capitalismo, in netta antitesicon il proprio passato e vissuto personale.A Roma venivano condotti i colloqui diammissione al programma presso le Rap-presentanze consolari dei tre Peasi di oltreoceano, visto che cio’ non sarebbe statopossibile nel paesi di origine. L’Italia quindi

FOTO ©: IOM 1984 - HAT0474Piccolo rifugiato polacco assistito dall’OIM

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supporto logistico ed economico per ilprimo periodo di ambientamento.Ricordo come fosse oggi i volti di quegli“alunni” speciali, seduti nei banchi di unaclasse che proponeva loro concetti nuovi,modalità di vita e ritmi molto piu comples-si e sostenuti di quelli a cui erano abituati.A tutte le informazioni date e compressein soli 4 giorni reagivano a volte in manieraentusiastica, a volte spaventata e preoc-cupata. Ricordo gli anziani che eranospesso al seguito di un figlio e della suafamiglia, e che riponevano su di esso tuttele speranze di integrazione e di riuscita delprocesso migratorio. Loro non avrebberomai imparato la lingua, mai lavorato, maavrebbero sostenuto come potevano quelfiglio che costituiva l’investimento futuro,la speranza della nuova vita. In tutti però,vecchi e giovani, una spinta e un coraggioammirevoli, una forza e una energia enor-mi, un bagaglio personale indispensabileper il difficile processo di integrazione cheli attendeva. Su questa fase successiva alloro arrivo, gli Stati Uniti, ma anche gli altriPaesi, investivano nella ricerca e dell’ana-lisi dei processi interculturali. Da una ricer-

ca avviata alla fine degli anni ottanta, ledonne apparivano fortemente svantaggia-te nel processo di ambientamento, poichéspesso rimanevano in casa a crescere ifi-gli e non avevano accesso alla lingua, aposti di lavoro e alla cultura del Paeseospitante. Certo oggi, nell’era della globalizzazione edella mobilità caratterizzata dalla circola-zione libera di persone non solo nell’Unio-ne Europea dei 27 ma in molti altri paesi,appare curioso che solo 20 anni fà il diva-rio tra paesi europei fosse cosi ampio.Sarebbe impensabile che oggi un cittadi-no polacco non conoscesse un super-mercato e non sapesse come aprire unconto in banca. I paesi di provenienza diquei migranti sono infatti oggi tutti StatiMembri dell’Unione Europea.

Il ruolo dell’OIM nei Programmi di Reinsedia-mento attualmente attiviEppure altri Paesi attualmente soffronoper la mancanza di democrazia, di benes-sere economico, di diritti umani, comequelli del Corno d’Africa, martoriato dalle

fungeva da paese di transito e i candidatiall’emigrazione godevano di uno specialepermesso di soggiorno per “attesa emi-grazione “. Come è stato detto gli StatiUniti erano in testa per numero d’ingressi. L’America aveva anche stabilito che, perogni cittadino dell’Est che entrava, fosseprevisto anche un orientamento specificoalla vita negli Stati Uniti, ovvero una “for-mazione” in preparazione dell’impatto cul-turale e pratico che gli stessi emigrantiavrebbero dovuto affrontare. I corsi diorientamento culturale venivano organiz-zati ad ogni arrivo, per ciascun gruppo.Duravano in media 4 giorni ed erano sud-divisi per temi. Il corso, tenuto da forma-tori americani coadiuvati da interpreti emediatori culturali, descriveva la vita inAmerica in tutti i suoi aspetti pratici, cultu-rali e normativi. L’obiettivo era di esporre i“newcomers” agli aspetti pratici della vitain America, da come si apre un conto inbanca a come si affitta una casa o comefunzionano le scuole dell’obbligo, gliospedali, ecc. L’ufficio dell’OIM di Roma svolgeva, perconto delle Rappresentanze citate, unruolo di affiancamento ai servizi consolari,seguendo le pratiche di emigrazione diciascun candidato in tutte le sue fasi,comunicandone i risultati e convocandociascuno per le interviste, le visite medi-che e tutti gli espletamenti necessari per ilconseguimento del visto. Inoltre l’OIMorganizzava, con formatori propri, i corsidi orientamento, definendo insieme adessi i contenuti didattici delle sessioni,convocando i gruppi e comunicandoall’Ambasciata i nominativi dei formati.Infine, quando la pratica era conclusa,l’OIM organizzava il trasferimento aereo esi assicurava che i propri funzionari neipaesi di destinazione ricevessero imigranti e li conducessero alla destinazio-ne finale. Normalmente gli sponsor, figuradi riferimento che garantiva il supporto,almeno iniziale, dell’emigrante, per l’allog-gio e l’avviamento lavorativo erano costi-tuiti da ONG laiche o cattoliche, o grup-pi/associazioni a carattere sociale e senzafini di lucro. A volte lo sponsor era unparente del candidato o il coniuge che eragià inserito e che poteva “garantire” il

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Ffoto ©: Karl Zirbs/IOM 1984 - HUS0117Rifugiati polacchi arrivano negli Stati Uniti

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lunghe e sanguinose guerre civili o dallamancanza di governi stabili. I programmidi resettlement sono tuttora un’opzionevalida per quegli uomini e donne che vivo-no questa condizione e che hanno il dirittodi aspirare ad una vita migliore per loro eper le loro famiglie. Dagli anni 80 i pro-grammi di resettlement sono continuati,anche se in rapporto al passato le cifresono molto diminuite. L’ospitalità vieneprincipalmente fornita a profughi in fugada aree di conflitto come il Kosovo del1999 o piu recentemente in risposta aimassicci flussi di boat people che dall’Afri-ca cercano di fuggire dalla miseria arri-schiandosi su imbarcazioni fatiscenti per ilMediterraneo e approdando, spesso dopoaver rischiato la morte per annegamento,in Spagna, Italia, o Malta. I paesi che al momento attuano un pro-gramma di reinsediamento sono sedici.L’OIM è attivamente impegnata in un grannumero di questi programmi occupandosiannualmente di oltre 70.000 rifugiati. I prin-cipali paesi con cui l’OIM collabora sonoStati Uniti, Canada, Australia, Danimarca,Gran Bretagna, Norvegia, Svezia.Considerando le tre fasi principali caratte-rizzanti un programma di Resinsediamento– selezione, traferimento e integrazione –l’OIM è di fatto spesso (anche se non solo)responsabile della seconda fase, ossia ditutte quelle attività che riguardano lo spo-stamento del rifugiato dal Paese di PrimoAsilo al Paese di Reinsediamento. Tali attività possono variare di caso incaso, a seconda del paese di reinsedia-mento con cui l’OIM collabora. Quindi se avolte il ruolo può essere limitato al solo tra-sporto dei rifugiati, in altre occasioni puòincludere anche diverse altre operazioni,quali i controlli medici o l’orientamento cul-turale dei rifugiati. In ogni fase del pro-gramma l’OIM lavora in stretta collabora-zione sia con l’UNHCR sia con gli Statipresso i quali si attuerà il trasferimento.

In concreto queste sono le diverse opera-zioni che possono essere di volta in voltaaffidate all’OIM:

- Attività di pre-selezione tramite interviste,per verificare l’eligibilità dei rifugiati a esse-re ammessi al programma. Si tratta dioperazioni che vengono eseguite solo inalcuni casi e si inseriscono essenzialmen-te nell’ambito delle attività del Programmadi Reinsediamento degli Stati Uniti.- Post acceptance e identity checks deirifugiati dichiarati eleggibili a essere rein-sediati. Si tratta di una verifica dell’effettivaidentità del rifugiato prima della prepara-zione dei documenti di viaggio.- Analisi mediche: in quei casi in cui ilpaese di reinsediamento richiede delleanalisi mediche pre – partenza l’OIM è ilprincipale interlocutore in quanto la suacapacità di spostare e utilizzare team diesperti da un Paese di Primo asilo all’altroè considerata estremamente efficace e diconseguenza essenziale nel concretosvolgimento delle attività di Reinsedia-mento. Inoltre l’OIM ha sviluppato unaspecializzazione tecnica in alcuni partico-lare ambiti, come la diagnosi e la gestionedi casi di TBC e di lebbra, la gestione diservizi psichiatrici e la realizzazione di pro-grammi di immunizzazione.- Orientamento culturale: generalmenteorganizzato una o due settimane primadella partenza, ha una durata che puòvariare a seconda della situazione contin-gente e del programma. Si tratta di un’atti-vità spesso realizzata dall’OIM, ma inqualche caso anche da ONG. Si tratta di

una fase estremamente delicata e allostesso tempo essenziale, in quanto occor-re preparare bene i rifugiati alla realtà cheli aspetta. L’orientamento fornisce alcunielementi essenziali del paese in cui i rifu-giati andranno a vivere: dalle nozioni geo-grafiche di base, a un breve excursus suusi e costumi della popolazione con laquale si troveranno a vivere. Trattandosi dipersone che vivono in campi profughil’impatto con la nuova realtà è comunqueabbastanza forte, ma un buon orienta-mento culturale, se realizzato in modochiaro e veritiero, può evitare di crearefalse aspettative che danneggerebberosenz’altro il programma di integrazione.Trasferimento: l’OIM spesso si assicurache i rifugiati abbiano dei visti di transito(dei visti di entrata e di uscita di norma sioccupa l’UNHCR), e in seguito dei viaggiaerei. L’OIM acquista i biglietti, si occupadell’accompagnamento dei rifugiati dalcampo profughi all’aeroporto ed èresponsabile delle attività di accoglienzanell’aeroporto di destinazione se non pro-prio dell’accompagnamento nel corso ditutto il viaggio, in particolar modo quandosono previsti scali.Per il trasferimento vengono utilizzatiessenzialmente voli di linea, e general-mente si tende a non far partire più di 20-30 rifugiati alla volta.Tutte le spese sostenute dall’OIM sonocompletamente rimborsate dal governo

FOTO ©: Votava/IOM 1981- HAT0464Rifugiati polacchi assistiti dall’OIM prima di

partire per gli Stati Uniti, loro paese direinsediamento

Da ormai molti anni le coste meridio-nali italiane, e in particolare quellesiciliane, sono teatro di numerosi arri-vi di migranti irregolari che, nella spe-ranza di trovare condizioni di vitamigliori o nel tentativo di fuggireguerre e persecuzioni, raggiungonol’Italia partendo dalle coste nordafri-cane su imbarcazioni fatiscenti. Ognianno, circa 15 - 20.000 migranti irre-golari giungono a Lampedusa, isoladistante 115 miglia marine dalla Sici-lia, 180 dalla Tunisia e 75 dalla Libia.Si tratta solo di una piccola percen-tuale dei migranti irregolari che arri-vano in Italia, ma la loro storia è piùdrammatica, colpisce in modo parti-colare. E se il numero delle personeche riescono a finire il viaggio èconosciuto, non altrettanto si puòdire del numero di migranti che per-dono la vita nel corso del viaggio, inmare o nel deserto africano.Lampedusa è stata oggetto di pole-miche, articoli di giornali, dibattitipolitici in Italia e in Europa: insiemealla Canarie è l’avamposto dell’Euro-pa, della Fortezza Europa, comequalcuno la chiama.

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Il 2006 è stato l’anno del cambiamen-to. Per la prima volta le autorità italia-ne, ovvero il Ministero dell’Interno,hanno chiesto a tre agenzie umanita-rie – OIM, UNHCR e Croce Rossa Ita-liana – di aprire un ufficio nell’isola edi lavorare stabilmente a fianco delleautorità presenti sul posto.E’ nato cosi il progetto “Praesidium”- co-finanziato dalla Commissioneeuropa e dal Ministero dell’Interno,Dipartimento per le Libertà Civili el’Immigrazione - che ha ha portatoalla creazione di un team di funziona-ri, rappresentanti dei tre enti conl’ausilio di altrettanti mediatori-inter-preti, per rispondere in modo tempe-stivo alle necessità dei migranti irre-golari che sbarcano sull’isola.“Si è trattato di una novità assoluta –dice Giulia Falzoi, responsabile delprogetto per l’OIM – un qualcosa chemai era capitato.”“Con Praesidium abbiamo avuto l’op-portunità di sperimentare una meto-dologia di lavoro finalizzata ad affron-tare il continuo afflusso massiccio eincontrollato di migranti irregolari,garantendo la tutela dei diritti umanie dei diritti dei migranti e al contem-

po il rispetto della legge. Un’occa-sione d’oro per cambiare la situazio-ne ed essere d’aiuto ai migranti.”E’ cosi infatti è stato. Dal marzo del2006, momento in cui il progetto èiniziato, Lampedusa ha visto unaserie di cambiamenti fino a qualchetempo fa nemmeno pensabili.Le tre organizzazioni si dividono icompiti: mentre l’UNHCR si occupadi richiedenti asilo e la Croce RossaItaliana di offrire assistenza sanitariaa minori, donne e gruppi vulnerabili,le attività dell’OIM consistono nel-l’informare i migranti sulla legislazio-ne ital iana, sui r ischi legati al lamigrazione irregolare (dalla tratta diesseri umani alla riduzione in schia-vitù a scopo di sfruttamento), suirischi derivanti dalla permanenza nonregolare sul territorio nazionale. Non solo, di fatto le tre agenzie svol-gono una concreta opera di monito-raggio sul buon andamento delleprocedure di accoglienza nei centri,assicurandosi che i diritti dei migrantisiano rispettati e supportando tral’altro le forze dell’ordine nell’indivi-duazione di gruppi vulnerabili.

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L’impegno congiunto di OIM,UNHCR e Croce Rossa Italiananell’ambito del Progetto “Praesidium” in Siciliadi Flavio Di GiacomoAddetto alla comunicazione esterna, OIM,Ufficio Regionale per il Mediterraneo, Roma

Commissione Europea Ministero dell’InternoDipartimento per le Libertà Civili

e l'Immigrazione

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Nel corso di quest’anno e mezzosono sbarcati nell’isola migliaia dipersone. 18.000 nell’intero 2006,quasi 11.000 nei primi 8 mesi del2007. Uomini, donne e bambini pro-venienti principalmente da Marocco,Tunisia ed Eritrea, ma anche daSudan, Costa d’Avorio, Tunisia, ecc.Come spesso hanno scritto i giornali,il centro di accoglienza è stato “alcollasso”. E i momenti drammaticinon sono mancati, come nel caso delnaufragio del 19 agosto 2006, in cuimorirono circa 50 migranti provenien-ti dalla Libia. Un’esperienza dramma-tica, difficile da dimenticare per tuttele persone - funzionari delle organiz-

zazioni, forze dell’ordine, medici -presenti quel giorno sul molo “Fava-rolo.”Nel corso della realizzazione del pro-getto si è progressivamente instaura-to tra OIM - e le altre agenzie umani-tarie - istituzioni e forze dell’ordineuno spirito di collaborazione che hareso il lavoro più efficace e, soprat-tutto, sempre più funzionale nei con-fronti dei migranti.Ore e giorni passati ad attenderesbarchi al molo, a prestare i primisoccorsi ai migranti appena arrivati epoi ad assicurarsi che tutte le opera-zioni di accoglienza si svolgessero inmodo appropriato, hanno rafforzato i

rapporti tra tutto il personale coinvol-to, avvicinando le persone sia profes-sionalmente sia umanamente, crean-do un sentimento di stima reciprocae di rispetto per il lavoro fatto dall’al-tro.

Dall’estate scorsa anche la situazionedel centro è migliorata: è statacostruita una nuova struttura, che haportato la capacità ricettiva da 180 aquasi 800 persone. Sono inoltre dive-nuti più brevi i tempi di permanenzadei migranti, trasferiti non appenapossibile nei centri di accoglienzasparsi in Italia. Difficile quindi che ilcentro si trovi ora “al collasso”, e che

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Foto:© Peter Schatzer/OIM 2007. Primi contatti OIM/UNHCR, Croce Rossa Italiana con migranti appena sbarcati a Lampedusa.

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si creino situazioni di emergenzaumanitaria, come avveniva qualchetempo fa. Una rivoluzione coperni-cana per Lampedusa, da qualchetempo divenuta anche un esempiodi buona pratica a livello europeo eoggetto di plauso da parte di diver-se autorità, fra cui la CommissioneDe Mistura, incaricata di redigere unrapporto sulle condizioni e funziona-lità dei Centri di accoglienza in Italiae il Comitato europeo per la preven-zione della tortura e delle pene otrattamenti inumani o degradanti.

Col passare dei mesi Praesidum haassunto in modo sempre più chiaro icontorni di un’esperienza di succes-so: lo spirito di collaborazione tra gliattori coinvolti in questo progetto haraggiunto un altissimo livello, e iprimi a beneficiarne sono stati sicu-ramente i migranti.La presenza dell’OIM ha anche per-messo di raccogliere informazionipreziose: ad esempio si è potutoverificare come l’80 per cento deimigranti che sono stati assistitisiano partiti alla ricerca di un lavoro

e per migliorare le proprie condizionidi vita. E dalle storie raccolte daglioperatori OIM sono stati chiariti alcu-ni dettagli sul viaggio e sugli itinerari,che nella maggior parte delle volteincludono Libia e Tunisia, e sonoemerse notizie sui trattamenti crudeliche i migranti sono costretti a subiredurante il percorso o in quei centri didetenzione in cui a volte sono rin-chiusi prima di riuscire a imbarcarsi. Nel 2007 gli arrivi rispetto all’annoscorso sono diminuiti ma l’impressio-ne è che i viaggi siano diventatiancora più rischiosi, che ci siano piùnaufragi di cui non si ha notizia, siteme un aumento dei morti, un datoimpossibile da verificare, ma moltoprobabile. E da qualche tempo lerotte stanno cambiando: sempre piùmigranti cercano di evitare Lampedu-sa per arrivare su altre coste italiane.E’ per questo che dalla scorsa estateil progetto Preasidium è stato “espor-tato” anche in Sicilia, dove OIM,UNCHR e Croce Rossa operano dalmese di luglio 2007 in diversi Centridi accoglienza (nei CPTA-centro dipermanenza temporanea ed assi-

stenza e nel CPA-centro di primaaccoglienza), in particolare a Trapani,Caltanissetta e Siracusa. Il team OIMin questo caso segue specifici casitrasferiti da Lampedusa e segnalatidai colleghi, dando supporto legalee, ove possibile, assistendo l’arrivo dimigranti sulle coste siciliane di Poz-zallo, Porto Palo e Licata. L’obiettivodichiarato è far sì che la collaborazio-ne sperimentata con successo aLampedusa diventi ben presto unarealtà anche in Sicilia.

Praesidium quindi continua. Certo,non risolve il dramma della migrazio-ne nel Mediterraneo, ma è un primopasso, un segnale che ha dimostratocome le cose possano cambiare emigliorare anche in situazioni difficili,come nel caso di Lampedusa, un’i-sola in cui l’obiettivo comune di tutti,dopo anni di polemiche e di difficoltà,è ormai solo uno: salvare vite, aiutarechi è in difficoltà, offrire soccorsoimmediato a chi rischia la via e prov-vedere a una prima accoglienzadignitosa e rispettosa.

Foto: ©Bedros Kendirjan/OIM 2006. Barcone migranti intercettato a largo di Lampedusa.

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La migrazione è un processo dinamicodi continua co-costruzione identitaria,culturale e sociale, influenzato da varia-bili strutturali e individuali che si sovrap-pongono e si influenzano reciproca-mente. Le prime intervengono principal-mente sulle condizioni di vita e gli esitidella migrazione, le altre incidono sulbenessere psicologico del migrante. Ilpresente articolo esplora i molteplicigiochi di livelli dell’integrazione dei rifu-giati, soffermandosi soprattutto sullacomponente psicoculturale1.

Narrazioni integrateL’esperienza del rifugiato è un’esperien-za di perdite, prima ancora che di nuoveacquisizioni. Perdite concrete, come ipaesaggi della propria terra, la sonoritàdella lingua, legami che definiscono; eperdite meno tangibili, la fiducia e lastima di sé, il sentimento di coerenza,l’identità. La migrazione forzata puòrappresentare uno squarcio profondonelle reti di significati e relazioni chedanno senso all’esistenza, minacciandol’integrità psichica del migrante nelmomento stesso della partenza dalpaese. La cultura nella quale si cresce, infatti,modella l’involucro psichico delle perso-ne che emerge solo in quanto contenu-to culturalmente: gli orientamenti cultu-rali contribuiscono a definire il modo incui gli individui interagiscono con larealtà e definiscono la loro stessa iden-tità. La migrazione interviene sui riferi-menti culturali originari provocandoeffetti complessi negli equilibri psicolo-gici del migrante (tecnicamente definitida stress acculturaltivo) che necessita-

no di essere ristrutturati e rinegoziati allaluce di questa esperienza. “Gli incontrifra persone (...) non sono mai riconduci-bili all’incontro tra individui, ma, anchetra rappresentanti di più mondi, culture,storie familiari (...) l’agire e l’essere di chiè migrante si coniuga in rapporto aduna condizione esistenziale molto spe-ciale, che potremmo definire di ‘culturain movimento’” 2.

La migrazione s’iscrive nell’articolatocanovaccio di partenze e separazioniche l’hanno preceduta, fra i motivi indi-viduali, familiari e storici che l’hannoraccontata, nella biografia di una perso-na così come nelle sue attese. Il viaggiomigratorio, che può durare anche mesio anni, riassume i molteplici cambia-menti e le rotture della migrazionediventando uno spazio metamorficoche dà luogo ad “una contrapposizionespesso piena d’autocommiserazione traun’identità con una dimora, una memo-ria e una che non ne ha”3. La memoria del rifugiato, il suo equili-brio psichico, si addensano intorno acerti passaggi, lutti o distanze, nella fra-gilità del disorientamento o alla ricercadi una rinnovata forza, poiché l’integra-zione si definisce innanzitutto a livellopersonale: ancor prima di stabilirenorme legislative, politiche pubbliche einvestire risorse materiali, prima di misu-rarsi nell’incontro culturale e nella rela-zione con gli altri, l’integrazione si giocasu un tessuto intimo di risorse simboli-che, di ricomposizioni autobiografiche,di continue risignificazioni.

Accanto alle variabili strutturali cheintervengono sulle condizioni di vita esugli esiti della migrazione stessa, se neaffiancano altre di tipo psicoculturaleche manifestano le loro conseguenzesul benessere del migrante e su even-tuali rischi di sviluppo di problematichepsicologiche e psichiatriche. L’attraver-

samento delle frontiere geografiche,socio-economiche e interpersonali,richiede una ridefinizione identitaria edel sistema valoriale originario che puòcomportare perdita di riferimenti e disa-gio sociale. Sebbene infatti non tutti ipercorsi migratori segnalino esiti psi-chiatrici, la migrazione espone indub-biamente ad una maggiore vulnerabilitàpsicoculturale.

La migrazione non può essere descrittasecondo uno schema lineare di fasisuccessive o mediante il modello ridutti-vista dello sradicamento, del “qui” e“là”, ma come un processo ciclico cheinizia con la decisione di partire (chepuò richiedere molto tempo), il viaggio,con la sua temporalità lunga e psicolo-gicamente densa, l’arrivo e il primoperiodo di insediamento, il percorso diintegrazione o di isolamento nonché inumerosi spostamenti fra centri diaccoglienza, appartamenti, città, paesi,lavori e, non ultimo, l’intenzione, realiz-zata o meno, di tornare a casa. Lamigrazione, inoltre, non si risolve nell’e-sperienza personale del migrante, ma èun percorso continuo di cambiamentoche ha inizio nel contesto di origine e siestende alla società di arrivo, propogan-dosi per generazioni e disegnando cosìuna geografia temporale oltre che spa-ziale.

Su questa lettura del percorso migrato-rio prende corpo il significato psicocul-turale dell’integrazione che richiamaquello etimologico di “integrare”, rende-re intero, completo, tenere insiemeesperienze diverse, positive e contrarie,riconoscere cambiamenti, involuzioni,tentativi, senza negazioni o rinunce. Sitratta di un concetto di integrazione cheinclude le culture tradizionali di apparte-nenza, il mondo dei vivi, quello dei mortie degli “invisibili”4 e le fa interagire negliinvolucri culturali che abitano il migrante

Interazioni, narrazioni, integrazionidi Novita Amadei, Consulente, Unità psicosociale e diintegrazione culturale, OIM Ufficio Regionaleper il Mediterraneo, Roma

e che la migrazione moltiplica. Si trattadi un processo importante quanto diffi-cile, soprattutto per un rifugiato che haa che fare con forze dirompenti chedevono trovare posto all’interno di unanarrazione in grado di ospitare ricordianche violenti e realtà plurali spessocontraddittorie5. Si esprime così un rifu-giato dal Congo-Kinshasa:

“Bisogna andare in Africa per capire chein Africa non c’è solo la guerra, l’Africanon è solo quello che mostrano, c’eraanche la vita, perché vivevamo (…) Quiposso forse avere una stabilità dal puntodi vista economico, il lavoro, il salario...Ma non è sufficiente. Qui trovo forsetranquillità, ma non è sufficiente. LaRepubblica Democratica del Congo èmeglio. E’ meglio, sì. Adesso devo vive-re qui ma un giorno tornerò là (…) Tutta-via so che devo fare di questa vita la miavita, perché se non lo faccio mi peserà.L’integrazione è questo” (M, RepubblicaDemocratica del Congo, 29 anni).

La circolarità della migrazione, cosìcome presentata sopra, non descrivesoltanto il movimento della partenza edel ritorno del rifugiato, ma fa riferimen-to alla reciprocità di scambi, circolariappunto, fra la cultura dominante delpaese di arrivo e quella minoritaria deirifugiati. L’integrazione è un processomai finito di cambiamento, come maifinito è il movimento fisico e psichicodel rifugiato, a cui corrisponde - odovrebbe corrispondere - secondo con-tinue interazioni, quello della comunitàdi arrivo e di partenza.

“L’integrazione è un percorso. Adessodire: ‘Sono integrato’? Non so. L’inte-grazione è un percorso. Penso che l’in-tegrazione dipenda anche dagli stru-menti che la società offre, da fattoriendogeni ed esogeni. Dipende da me,come rifugiato politico e dipende daglistrumenti della società. La persona puòavere degli strumenti ma deve anchepoter metterli in frutto” (M, Repubblicadel Congo, rifugiato, 34 anni).

“Solo se ti conosco posso interagirecon te. Anche tu devi comprendere che

vengo da un’altra cultura e non è facilefarlo, ma diamoci tempo. Se tu non milasci il tempo di conoscerti e io non te lolascio non ce la faremo. Dammi il tempodi capirti ed è vero, probabilmente nonmangerò come te, ma è anche vero chenon devo mangiare quello che mangi tuper sapere dove vivo, ma devo capirequello che pensi perché il mio modo dipensare si incontri col tuo altrimenti nonmi integrerò mai. So che non è facile,ma bisogna fare lo sforzo (…) E so cheio devo fare più sforzi di te, perché sonolo straniero, ma ti chiedo di comprende-re anche come vivono gli stranieri, laloro psicologia, il loro modo di vivere”(M, Repubblica Democratica del Congo,rifugiato, 29 anni).

Questa doppia corrispondenza, cherestituisce l’aspetto privato dell’integra-zione psicoculturale ad una sfera pub-blica, permette di definire spazi per unanarrazione comune, politica, nel sensoampio del termine, dove il rifugiatopotrà riappropriarsi di un’esperienza chenon riesce a controllare del tutto, ri-con-testualizzare ciò che la partenza ha de-territorializzato e trovare forme originalidi interazione con sé stesso e con glialtri. Tuttavia, come afferma una richie-dente asilo nigeriana, “Non posso aiuta-re me stessa se non c’è qualcuno chemi dà coraggio” (F, Nigeria, 34 anni). Asua volta, quindi, la società ospitante èchiamata a proporre interventi che fac-ciano leva sulle risorse resistenziali delmigrante e non soltanto sulle sue man-canze, in un’ottica di ricostruzione e risi-gnificazione di una storia, di de-medica-lizzazione ed empowerment.

Come osserva L. S. Vygotskij6 ogniostacolo attiva una serie di compensa-zioni a livello organico e psicologico chestimolano percorsi alternativi di sviluppoattraverso processi sostitutivi, integrativie correttivi. L’energia potenziale presen-te nell’individuo viene mobilitata e siconcentra nel punto in cui si incontra ilproblema scegliendo di aggirarlo oppu-re di superarlo. Dal punto di vista stret-tamente organico, ogni organo delnostro corpo ha funzioni distinte e altempo stesso è integrato in un’organiz-

zazione unitaria grazie alla quale saràun’altra capacità ad attivarsi per com-pensare quella mancante. La personacieca, allora, aumenterà la possibilità didistinzione mediante il tatto o l’udito e ilsuo sviluppo non si svolgerà solamentelungo la direttrice della cecità ma, alcontrario, contro la cecità. Analogamen-te, le problematiche psicoculturali delrifugiato, non sono solo indicatori innegativo di difficoltà non risolte e diun’integrazione non portata a compi-mento, ma uno stimolo ad individuaresoluzioni nuove. Si passa cioè dallaconstatazione di un limite a ciò che per-mette di risolverlo, dalla diagnosi deiproblemi allo studio delle forze mobilita-te dai singoli, dalle famiglie e dallecomunità per cercare le risposte piùadatte, nella convinzione che da ognidebolezza può nascere una capacitànuova, come dalla malattia l’immunità.

Di fronte ad una stessa situazione criti-ca le persone possono reagire moltodiversamente, alcuni cedendo, altri por-tando avanti uno sviluppo positivo. Fraquesti ultimi è particolarmente interes-sante osservare i meccanismi di resi-lienza che hanno impedito uno sviluppotraumatico o deviante e che hannorafforzato questi individui distinguendolida coloro che hanno manifestato esitinegativi. Etimologicamente il termine“resilienza”, coniato in fisica per descri-vere l’attitudine di un corpo a resisteread un urto, è stato poi utilizzato nellescienze umane per definire “la capacitàdi una persona o di un sistema socialedi vivere e svilupparsi positivamente e inmaniera socialmente accettabile, mal-grado condizioni di vita difficili”7, comestress, avversità o eventi traumatici chenormalmente comportano un altorischio di danno. Se in entrambi i casi laparola designa la capacità di opporsialle pressioni dell’ambiente, nelle scien-ze sociali essa implica anche una dina-mica di recupero: alla resistenza alladistruzione (la capacità della persona diproteggere la sua integrità) si associa lavolontà di elaborare un progetto di rico-struzione (la capacità di ricostruirsi unavita malgrado circostanze avverse). L’integrazione perciò è legata ad un’i-

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Al di là di un’integrazione perpiani prospettici

I discorsi e le politiche di integrazionedei rifugiati intervengono su ambitidiversi della vita privata e sociale dellapersona. Fra questi, l’ambito psicocultu-rale è frequentemente trascurato o,come dice la parola stessa, trattatosenza cura, in modo estemporaneo enon professionale. Altri, come l’integra-zione lavorativa, abitativa, sanitaria ededucativa - o scolastica se si è in pre-senza di figli di rifugiati - pur se affrontaticon competenza, vengono spessoseparati e demandati a servizi non inte-grati fra loro e talvolta nemmeno comu-nicanti. Un operatore sociale di Torinoche lavora nel settore dell’asilo descrivein questo modo la parcellizzazione degliinterventi:“E’ tutto frammentato: il dormitorio, ledocce, la scuola, il ticket money e ilticket bus e quando una persona [unrichiedente asilo, un titolare di prote-zione umanitaria o un rifugiato] sipresenta allo stage, puzza e non

potrà farlo, un’altra conosce l’italianoma ha la polmonite perché ha passa-to gennaio a Porta Nuova, una ha ilticket bus ma non gli hanno dettodove andare a mangiare (…) Se leistituzioni si mettessero nei panni diqueste persone capirebbero che nonpossono vivere ad intermittenzacome un albero di Natale, ma comenoi, tutti i giorni, andiamo sia al gabi-netto sia a tavola sia davanti al televi-sore, anche loro hanno lo stesso dirit-to o bisogno”.

Il rifugiato si presenta alle istituzionicome un corpo denso di bisogni orichieste da suddividere e indirizzare agliuffici competenti. Fra questi, il sostegnoe l’accompagnamento psicoculturalevengono occasionalmente offerti da isti-tuzioni e servizi che si misurano ancoracon disagio alla differenza culturale, l’e-straneità e il dolore di certe vite. Glieventi drammatici che hanno costrettoun rifugiato alla fuga non trovano cosìun luogo per posarsi, per essere rac-contati ed integrati alla situazione pre-sente.

dea trasformativa che sostituisce unanarrativa vittimizzante del rifugiato ad unracconto che sappia dare forma a tuttele esperienze del suo vissuto e che siaspecchio del dinamismo psicosociale edi un’identità in divenire. Ne deriva unanarrazione che non esclude linee didolore e che s’intreccia ad altre storie,familiari, sociali, a quelle dei servizi edelle istituzioni che lo prendono in cura.Costruire un racconto di sé coerente,che integri ogni esperienza, è fonda-mentale per la salute psichica del rifu-giato e occupa un ruolo centrale anchenegli esiti della sua presenza in Italia.Sono le biografie dei rifugiati, infatti, adistinguerli dagli altri immigrati e adessere uno degli elementi chiave su cuisi pronunciano le Commissioni per rifiu-tare o riconoscere lo status giuridico. Si torna così ad una dimensione macrodell’integrazione psicoculturale, in que-sto caso legislativa, a riprova del fattoche il benessere dei rifugiati nasce dalleloro vicende autobiografiche e si allargaad includere la comunità ospitante,socialmente responsabile e depositariadi reciproche narrazioni.

FOTO ©: IOM 1883, HPK0016: Rifugiati afgani aspettano di partire per la Turchia, dove inizieranno un programma di reinsediamento.

della maggioranza degli italiani che sonoandati, che sono partiti a cercare unavita migliore, a trovare l’America” [F,Brasile, mediatrice culturale, 30 anni].

Note

1 Le citazioni non scientifiche riportate nelpresente articolo sono tratte da interviste egruppi di discussione condotti in seno al pro-getto IntegaRef con rifugiati, titolari di prote-zione umanitaria, richiedenti asilo, professio-nisti e non che a diverso titolo si occupano diasilo. Il progetto di ricerca è volto a promuo-vere l’integrazione sociale dei rifugiati nei 24Stati Membri dove il Fondo Europeo per iRifugiati (FER) è attivo. Co-finanziato dallaCommissione Europea nell’ambito delle azio-ni comunitarie FER 2005, il progetto è coor-dinato dall’Unità Psicosociale e di Integrazio-ne Culturale dell’OIM in partenariato strettocon l’Associazione Nazionale Comuni Italiani,i Comuni di Roma, Venezia, Torino, SessaAurunca e Siracusa, l’Università di Malta, ilBerlin Institute of Social ComparativeResearch, l’Università Queen Margaret diEdimburgo e un consorzio allargato di altri 20enti iscritti nel network del FER. Il progetto incorso d’opera si concluderà nel marzo 2008. 2 N. Losi, “L’uovo bianco della gallina bian-ca. Ovvero: la terapia delle coppie miste nel-l’approccio etnopsichiatrcio-sistemico-narra-tivo” in M. Andolfi (a cura di), Famiglie immi-grate e psicoterapia transculturale, FrancoAngeli, Milano 2004, p. 121.3 Losi N., La mente è migrante, interventopronunciato in occasione del meeting inter-nazionale “I musei delle migrazioni” organiz-zato dall’OIM e dall’Unesco e tenutosi aRoma il 23-25 ottobre 2006.4 Nathan T., Non siamo soli al mondo, Bolla-ti-Boringhieri, Torino 2003.5 Considerata in questi termini, l’integrazionepsico-socio-culturale non riguarda solamen-te i rifugiati o i migranti, ma ciascun individuonel suo rapporto con la propria biografia econ il presente delle relazioni e del contestocircostante. 6 Vygotskij L. S., Fondamenti di difettologia,Bulzoni editore, Roma 1986.7 Vanistendael S., La resilience ou le realismede l’esperance, BICE, Ginevra 1998, p.9.8 Ager A., Strang A., Indicators of Integration,Home Office Development and PracticeReport, UK 2004.

“Con lo status mi sento più libero diprima, libertà di movimento, e ho la pos-sibilità di lavorare, ho la possibilità di tro-vare una casa (…) L’amministrazione siprende in carico dell’aspetto materiale edà sostegno morale finché sei richie-dente asilo. Quando sei riconosciuto,nessuno sa dove sei. Chi è un rifugiatopolitico? (…) Non chiedo qualcosa dimateriale ma un sostegno morale, unposto dove i rifugiati possano riferirsi.Non chiedo nessun privilegio, ma chealmeno la gente sappia che questacategoria esiste” (M, Repubblica delCongo, rifugiato, 34 anni).

Entrambe le testimonianze, dell’opera-tore torinese e del rifugiato dal Congo-Brazaville, confermano che la maggiorparte delle azioni nei confronti dei rifu-giati riguardano il campo lavorativo, abi-tativo, sanitario ed educativo. Accanto aquesti, abitualmente considerati punticritici dell’integrazione, o della mancataintegrazione di un rifugiato, una ricercafinanziata dall’Home Office del RegnoUnito8, ne aggiunge altre, individuandocomplessivamente quattro aree princi-pali di integrazione, ulteriormente suddi-vise al loro interno:

1. Means and Markers ossia lavoro,casa, educazione e salute. Queste areenon definiscono un progresso nel pro-cesso di integrazione ma ne sono labasi stesse. Sono indicatori di integra-zione nel momento in cui sono ‘segni’(markers) del raggiungimento di aspetticonsiderati rilevanti per la società e‘mezzi’ (means) per il conseguimento ditali fini. 2. Social Connections, ossia i “pontisociali” (contatti o relazioni all’interno diuna comunità etnicamente, religiosa-mente o geograficamente definita), i“confini sociali” (relazioni fra comunitàdiverse) e i “legami sociali” (relazionicon le istituzioni e i servizi locali e nazio-nali);3. Facilitators, da un lato conoscenzelinguistiche e culturali, dall’altro sicurez-za e stabilità. Si tratta di strumenti cheaiutano la persona ad impegnarsi e asentirsi sicura all’interno della comunità;

4. Foundation ossia i diritti o la cittadi-nanza, che indicano i principi su cui sifondano le reciproche aspettative e gliobblighi di cittadinanza.

Anche un’articolazione di questo genereche include sia gli aspetti materiali siaquelli simbolici dell’integrazione, non faesplicito riferimento alla sfera psicocul-turale della persona. Questa compo-nente, come visto sopra, riguarda tantole esperienze dei rifugiati, quanto le lororappresentazioni, aspettative e le strate-gie di coping messe in atto per far fron-te a perdite significative (la casa, lafamiglia e quell’insieme di abitudini eappartenenze che assicuravano sicu-rezza e continuità), alle privazioni socio-economiche (modificazioni o rotture diordine sociale ed economico che hannoindotto l’esilio), ai problemi di inserimen-to nel contesto di immigrazione (condi-zioni alloggiative e lavorative precarie,difficoltà linguistiche, culturali e transge-nerazionali, pregiudizio, discriminazione,isolamento).

Il dinamismo e il benessere psicocultu-rale del rifugiato incide sulla sua capa-cità di interazione con l’ambiente, nellaricerca della casa, per esempio, nellapartecipazione attiva alla comunitàlocale, l’impegno sul lavoro, il rapportocon i figli così via. Al tempo stesso l’in-tegrazione economica, abitativa, lavora-tiva ecc. esercita una forte influenzasulla prima sfera, condizionando adesempio il sentimento di identità, sicu-rezza e stabilità del rifugiato, così comedella comunità ospitante.

I diversi ambiti dell’integrazione (lavora-tivo, sanitario, abitativo, legislativo ecc)e livelli (macro e micro) non seguono leregole della prospettiva lineare chedanno l’impressione - o l’illusione - dellatridimensionalità collocando i singolielementi su un piano bidimensionale diintervalli e distanze. Le componenti del-l’integrazione sono fuse le une alle altre,spesso confuse, come le domandestesse dei rifugiati, i loro racconti, la loroidentità e anche la nostra “perché moltiimmigrati, qui, fanno le stesse storie

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Itaca di Kavafis è legata ad un ricordopersonale di un percorso formativosvolto qualche anno fa; impegnata inqualità di operatrice psicosociale,approfondivo tematiche riguardanti atti-tudini personali e professionali nellacostruzione di relazioni d’aiuto in ambitopsicosociale.Itaca era una metafora, un luogo ricer-cato per costruire un’appartenenza, perfavorire una crescita professionale eumana e quindi un viaggio di definizionedi un’identità.Questo contributo, quindi, favorisce unari-costruzione di una memoria persona-le e desidera essere una narrazione dinuove memorie grazie alla mia attività diformatrice nei percorsi proposti dall’U-nità Psicosociale e di Integrazione Cul-turale dell’OIM.L’aula di formazione dell’Unità stessa èdiventata negli ultimi anni un luogo diapprodo per gli operatori (italiani e stra-nieri) impegnati in attività di supportopsicosociale e di integrazione socio-cul-turale per richiedenti asilo e rifugiati.La decisione di scrivere questo contri-buto nasce da una sensazione semprepiù evidente: gli operatori incontratisono portatori di richieste, esigenze,difficoltà, vissuti complessi simili a quelliche essi stessi attribuiscono ai rifugiatio richiedenti asilo.L’immagine di una complessità di unevento di vita quale la migrazione forza-ta per i rifugiati si riflette in uno spec-chio; lo stesso della complessità diessere o divenire operatori psicosocialiche si occupano di queste tematiche.Provo a spiegarmi meglio; l’approccioproposto nei nostri percorsi formativiprevede una lettura di tipo sistemicodella complessità dei processi migratorie prevede una riflessione fondamentaleda cui partire: il ruolo dell’operatore e il

rapporto personale che ha con i temidella migrazione (l’identità culturale, lestorie di migrazione nella propria espe-rienza di vita, le attitudini personali e ipreconcetti riguardo la relazione d’aiuto).Il riprendere e recuperare le memorieindividuali e familiari degli operatori è unpo’ come definire delle trame che fino aquel momento gli operatori realizzanoper le storie dei rifugiati.I nostri incontri formativi quindi sonodiventati dei canali preferenziali diascolto delle storie degli operatori; perquesto motivo, la mia riflessione vuoleessere una narrazione di integrazione diesperienze professionali e vicendeumane all’interno di un vaiggioteorico/formativo.

Il viaggio teorico/formativo: l’approc-cio “Etno-Sistemico-Narrativo” del-l’Unità Psicosociale dell’OIML’approccio “Etno-Sistemico-Narrativo”affronta il tema delle dinamiche psico-sociali e delle pratiche interculturali con irifugiati attraverso la condivisione e lamessa in circolo di contributi teorici(etno-psichiatria, pensiero sistemico-relazionale, antropologia culturale emedica) e tecniche e linguaggi parteci-pativi, quali laboratori espressivi/creativi,la narrazione e il teatro. Un approccio in evoluzione che l’UnitàPsicosociale e di Integrazione Culturaledell’OIM ha messo a punto negli anni eche individua in alcuni capisaldi fonda-mentali i contenuti dei percorsi formativiproposti:• fare acquisire conoscenze teoriche e

aggiornamenti in tema di: processimigratori tra paese di partenza e diarrivo, dinamiche psicosociali dell’e-migrazione con particolare riferimen-to alle dinamiche intergenerazionali eantropologiche

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Lo specchio dei rifugiati riflette ilvolto degli operatori psicosociali

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di Rossella Celmi*, Formatore, Unità Psicosociale e di Integrazione Culturale, OIMUfficio Regionale per il Mediterraneo, Roma

Se per Itaca svolgi il tuo viaggio,fa voti che ti sia lunga la via,e colma di vicende e conoscenze.

Fa voti che ti sia lunga la via.E siano tanti i mattini d’estateChe ti vedano entrare (e con che gioiaallegra!)In porti sconosciuti prima

Recati in molte città dell’Egitto, a imparare, imparare dai sapienti

Itaca tieni sempre nella mente.La tua sorte ti segna quell’approdo.Ma non precipitare il tuo viaggio.Meglio che duri molti anni, che vecchio Tu finalmente attracchi all’isoletta,ricco di quanto guadagnasti in via,senza aspettare che ti dia ricchezze.

Itaca t’ha donato il bel viaggio.Senza di lei non ti mettevi in via.Nulla ha da darti di più.

E se la trovi povera, Itaca non t’hailluso.Reduce così saggio, così esperto, avraicapito che vuol dire un’Itaca.

“Itaca” di Costantino Kavafis

* Rossella Celmi, psicologa e psicoterapeuta familiare,coordina le attività di formazione dell’UnitàPsicosociale e di Integrazione Culturaledell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni;impegnata in attività di sostegno psicosociale perrifugiati, richiedenti asilo, minori stranieri e famigliemigranti. Formatrice secondo l’approccio etno-sistemico-narrativo per Enti e Istituzioni chepropongono programmi formativi psicosociali e diintegrazione delle persone migranti.

• fare acquisire metodologie pratichein tema di co-costruzione di una rela-zione interculturale, di un setting psi-coculturale e conduzione di gruppimulticulturali

• fare migliorare capacità relazionali ecomunicative in tema di: comunica-zione interculturale e relazione traoperatore e utente migrante

Per raggiungere tali obiettivi è necessa-rio creare condizioni per uno scambioattivo tra i saperi e le esperienze di tuttie favorire momenti di riflessività e con-fronto intorno alle tematiche trattate.L’incontro delle diversità personali eprofessionali del mio ruolo di formatriceconsente di costruire un percorso inte-rattivo, finalizzato allo sviluppo di unasensibilità psicoculturale attraverso lasperimentazione proprio dell’ approcciopsicosociale “etno-sistemico-narrativo”.A partire dalla narrazione delle propriebiografie personali, identità culturali eprofessionali (comprese quelle dei con-duttori), co-costruiscono una relazioneinterculturale consolidando competenzerelazionali, favorendo la rivisitazionedelle memorie familiari, ritrovando storiedi migrazioni perdute e incontrando l’al-tro, nel rispetto delle differenze e dellediversità di ognuno. Questo percorso formativo diventaquindi un luogo di riflessione sullepotenzialità di tale approccio a partiredalle esperienze di vita e professionalidegli operatori; una graduale sperimen-tazione, potenziando le proprie risorsee motivazioni di operatori esperti di rela-zioni d’aiuto. La sequenza dei contenuti, infatti, con-sente un adeguato sviluppo delle cono-scenze pratiche secondo un modellod’apprendimento circolare che partedall’esperienza diretta, favorisce l’osser-vazione riflessiva, stimola la concettua-lizzazione astratta e il decentramento diprospettiva e incoraggia cambiamenti diprospettiva. Storie, fiabe, maschere, oggetti evocati-vi, disegni, incontri visibili e invisibili,riflessioni su di sé e sugli altri, nel pre-sente e nel passato, creano uno spaziodi condivisione e mediazione e sonoconfluiti in quel bagaglio etno-narrativo

che ogni partecipante porta con sé allafine dell’esperienza.La sperimentazione successiva nei pro-pri servizi istituzionali rappresenta ilpunto di forza per la riflessione sull’effi-cacia del percorso formativo. In sintesi, i partecipanti riconosconocome punti di forza la narrazione dellapropria storia, l’ascolto sperimentato ele attività di laboratorio metaforicamentepresentate come viaggi di migrazione.Da parte mia c’è la consapevolezza dicreare percorsi dinamici e processuale,che ogni conduttore può fare proprio,attraverso il proprio bagaglio personaledi riferimenti bibliografici e di materialedidattico, adattato e ritagliato opportu-namente sulle esigenze di ogni specificogruppo di destinatari.

Il gruppo in formazione come spaziodi integrazione delle narrazioniNell’ambito delle scienze sociali, lanozione di gruppo rappresenta uno deiconcetti fondamentali per comprendereil rapporto che l’individuo instaura con lealtre persone e la società nel suo com-plesso. Merton (1957)1 fornisce una definizionesecondo cui un gruppo si caratterizzaessenzialmente in base a tre criteri:• comprende un numero di persone

che interagiscono l’una con l’altrasecondo delle regole e norme

• gli individui in rapporto di interazionesi definiscono e si percepisconomembri del gruppo

• questi individui sono definiti da altri(membri e non) come appartenenti algruppo.

In questa chiave, sottoscrivibile nellasua minimale essenzialità, un gruppo èun’insieme di individui che si trovano astretto rapporto, esercitano reciprocheazioni di influenza e sperimentano unsenso di appartenenza che li fa sentireparte del gruppo stesso sull’onda di unsentimento di autoinclusione e di attri-buzione e riconoscimento esterno.Lo studio dei rapporti di gruppo, comeinsieme di relazioni e come strutturasociale è contraddistinto da una molte-plicità di componenti: dimensioni psico-logiche e soggettive, riconducibili al sin-golo individuo e ai suoi bisogni e dimen-sioni sociali, radicate nel collettivo e

nella struttura della vita associata.Il gruppo va considerato il luogo dieccellenza in cui si intersecano e si arti-colano valenze e processi individualicon processi e valenze sociali, dove l’in-dividuale e il sociale trovano il loromomento di integrazione.A livello individuale il gruppo cerca ilsostegno e il supporto degli altri e nellostesso tempo, una difesa dai sentimentidi ansia e paura insiti nei contatti conciò che è estraneo e diverso; lo stareinsieme, il sentirsi “gruppo” fornisce alsingolo un rassicurante senso di appar-tenenza, agisce da protezione, esorciz-za le paure del rapporto con l’altrodiverso da sè.Il rapporto tra individuo e gruppo, quin-di, è un tema centrale per cogliere gliaspetti del comportamento individuale eper quello collettivo; infatti, se è veroche l’uomo vive e cresce in gruppo èaltrettanto vero che, nel bene e nelmale, la vita collettiva è costituita dagruppi sociali che si confrontano mache entrano in conflitto tra loro.Uno dei processi posto in primo piano,nell’affrontare tale rapporto è senzadubbio quello della coesione, ossiadella necessità di ridurre le differenze trai diversi membri. Questo elemento puòessere affrontato considerando duepolarità, una che punta sulla differenzia-zione (l’individuo si definisce comeparte attiva e razionale e si riconosceuna sua zona di autonomia) e da unaseconda dimensione che privilegia l’in-tegrazione (il gruppo plasma l’individuo,che ne diventa una componente organi-ca).L’esperienza di differenziazione e diintegrazione interpersonale riproposta,nello specifico, dalla formazione psi-cosociale dell’OIM ha consentito dilavorare sulla costruzione di uno spaziointermedio e trasformativo tra il mondointerno e quello esterno di un gruppo dipersone migranti (immagine dei parteci-panti).L’ambiente rispettoso delle diversitàindividuali e culturali e l’utilizzo di ogget-ti evocativi (quali le fiabe e le maschere)hanno reso possibile la valorizzazionedelle caratteristiche individuali (risorseinterne, risorse culturali e sociali) al finedi favorire l’inserimento degli individui in

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dimensione dell’ “essere tra”, sia a livellospaziale che temporale, dando originead un ordine sociale nel quale l’identitàsi elabora a partire dalle categorie dellostesso e del diverso, del qui e dell’altro-ve, del prima e del dopo; e questo ritor-na nei discorsi degli operatori quando sidescrivono come professionisti cheaffrontano la diversità.La complessità delle riflessioni deglioperatori riprende anche la dinamicitàdei flussi migratori, i cui esiti dipendonoin buona misura dalle politiche socialiperseguite a livello nazionale e d euro-peo.La specificità culturale delle diverseetnie, con modelli familiari anche profon-damente differenziati tra loro, richiedeun’estrema cautela nelle generalizzazioniattribuite al tema dei rifugiati.In linea con il valore dell’unicità delleesperienze professionali di ogni operato-re incontrato nella nostra Itaca, il recu-pero di un’ottica sistemica favorisce ilriconoscimento dell’unicità delle storiedei rifugiati e propone la risorsa dellasimilitudine tra le storie delle personepiuttosto che della diversità dei processidi crescita umana.

Note1 Merton R.K. “Social Theory and Social

Structure” (1957) The Free Press (trad.in it.

Teoria e struttura sociale, Il Mulino 1971)

nuovi contesti organizzativi, ad esempioin un nuovo gruppo.L’accento posto sulla narrazione dellapropria esperienza di migrazione ha svi-luppato un ponte tra mondi relazionalidiversi; in una condizione di ascoltoreciproco di storie ed esperienze di vita,il gruppo ha viaggiato in sintonia diemozioni e di significati. In questo caso, l’interdipendenza svilup-patasi tra i componenti del gruppo haseguito passaggi fondamentali:• incontro (presentazione della storia

dell’altro diverso da me)• ricostruzione delle proprie storie e

condivisione degli aspetti emotivi(laboratori)

• approfondimento da parte dei con-duttori del gruppo (attenti lettori ditrame relazionali)

• condivisione di strategie e modelli diintervento (potenziare le risorse/daredelle risposte)

• separazione dal gruppo (saluto)Il processo di appartenenza/separazio-ne che contraddistingue il percorsoevolutivo dell’individuo e che si ripropo-ne puntualmente nei gruppi di apparte-nenza dello stesso, in questa esperien-za è stato favorito dalla eterogeneitàdelle storie narrate e dei significati ri-costruiti dai gruppi stessi (processo diintegrazione della diversità culturale).Il percorso formativo dell’Unità Psicoso-

ciale è diventato a suo volta lo specchiodi un gruppo di operatori psicosocialicome quello di un gruppo di rifugiati.

Il recupero della complessità: rifles-sioni sistemicheIl processo formativo degli operatori psi-cosociali che si occupano di rifugiati haun forte significato professionale/cultu-rale in grado di determinare per l’indivi-duo percorsi e modelli di integrazionenel contesto lavorativo di appartenenzae del proprio mandato professionale.L’evento dell’incontro interculturale con irifugiati è un’occasione di riconoscimen-to del processo di regolazione delledistanze emotive e di messa in discus-sione della propria identità culturale.Affrontare il tema della migrazione deirifugiati dal punto di vista circolare (com-plessità) rappresenta una sfida per glioperatori; parlare di processualità,appartenenza, identità, valori familiari eculturali nello spazio-tempo della migra-zione significa verbalizzare l’assenza diun modello di intervento, riconoscere ilconfine/limite del proprio ruolo e la criti-cità di una co-costruzione più comples-sa di risposte alle richieste d’aiuto.Come dire, sarebbe molto più semplicerispondere ad una domanda d’aiuto inmaniera lineare, piuttosto che produrrenuove domande per una migliore rispo-sta. I rifugiati vivono continuamente la

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FOTO ©: IOM 1987, HIN008. Reinserimento di 72 bambini orfani del Bangladesh a Parigi. Colloquio con operatore sanitario prima della partenza

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grammi di reinsediamento. I tre paesicon i più consistenti programmi direinsediamento sono Stati Uniti,Canada e Australia. • Diversi sono i paesi europei cheattuano programmi di reinsediamento,tra questi: Svezia, Finlandia, Norvegia,Olanda, Danimarca, Gran Bretagna,Irlanda, Islanda.

Perché un Programma Italiano?• Perché l’Italia possa dimostrare ilproprio impegno umanitario neiconfronti dei rifugiati e possa usciredalla logica delle “emergenze”.• Perché l’Italia dal 1950 al 1989 haofferto il proprio territorio a 220 milarifugiati provenienti da vari paesi ediretti in Stati Uniti, Canada, Australia,per reinsediamento.• Perché il Reinsediamento è un’al-ternativa concreta e sicura agli arriviillegali.

Il ContestoNazionale• In Italia esistono due proposte dilegge sull’asilo e la protezione umani-taria, una alla Camera (pdl 2410) e unaal Senato (pdl 1390), che prevedono lamisura del reinsediamento.• Si stima che in dieci anni sianomorte 2.044 persone nell’attraversa-

Cos’è il Reinsediamento?*

• Uno strumento per favorire l’arrivolegale e protetto di rifugiati. • Una risposta concreta, una soluzio-ne a lungo termine.• Un mezzo per dare protezione inter-nazionale e per incontrare i particolaribisogni di quei rifugiati la cui vita,libertà, sicurezza, salute e altri dirittifondamentali sono a rischio nel paesedi primo asilo.• Insieme al rimpatrio volontario eall’integrazione locale, una soluzione alungo termine per molti rifugiati ogruppi di rifugiati, • L’espressione tangibile della solida-rietà internazionale e del meccanismodella condivisione delle responsabilità,che permette agli Stati di condividereil peso e ridurre i problemi dei paesi diprimo asilo. * da “UNHCR RESETTLEMENT HAND-

BOOK”, Geneva 2004

Chi attua programmi di Reinsediamento?

• Molti paesi nel mondo attuano pro-

mento del Canale di Sicilia. (Fonte:Fortress Europe)

EuropeoL’Unione Europea ha in programmal’istituzione di un “Programma euro-peo di Reinsediamento” entro pochianni.

Come FunzionaCon la parola reinsediamento (ininglese Resettlement) si intende il pro-cesso di selezione e trasferimento dirifugiati dal primo stato in cui hannocercato protezione ad un secondostato che li ammette sul proprio terri-torio con uno status permanente e alungo termine. Questa soluzione si rende necessariaa causa della concentrazione e dellanon omogenea presenza dei rifugiatinel mondo. Bisogna ricordare infatti che il 20%dei rifugiati si trova in Pakistan edIran, mentre un 25% vive in Africa.Evidentemente questi paesi, limitrofialle zone da cui provengono la mag-gior parte dei rifugiati, non possonosopportare da soli l’onere della prote-zione e della dignitosa accoglienzadegli esuli. I campi dove i rifugiati sono accolti livedono vivere in condizioni spesso aldi sotto di ogni standard di protezio-ne individuale e di garanzia dei dirittipiù elementari. Attraverso il reinsediamento si vuolequindi non solo ridistribuire più equa-mente la responsabilità nei confrontidei rifugiati, ma soprattutto garantirel’indispensabile protezione alle per-sone.

Manifesto sul Reinsediamento

Co-finanziato da Commissione Europea

DG GAI Programma FER Azioni

Ministero dell’InternoDipartimento per le Libertà Civili

e l’Immigrazione

Realizzato nell’ambito del Progetto “Resettlement - building up the basis”

a cura del CIRConsiglio Italiano per iRifugiati

17CIR NOTIZIE

Speciale CIR/OIM Ricominciare da capo

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Programmi di reinsediamento nel mondo Nel mondo diversi paesi promuovono con un certa stabilità programmi di reinsediamento; tra questi: Australia e Nuova Zelanda;Canada e Stati Uniti d’America, Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia, Paesi Bassi; Argentina, Brasile, Cile, Islanda, Irlanda,Regno Unito, Portogallo. Alcuni di questi paesi prevedono ogni anno una quota annuale per il reinsediamento di rifugiati. La somma totale delle “quote” per reinsediamento di rifugiati offerte da questi Paesi per il 2007 è pari a 70.000 posti, di cui oltreil 90% offerti soltanto da 3 paesi: Australia (6.000), Canada (7.500) e Stati Uniti (50.000).Altri paesi – come, ad esempio, Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Lussemburgo, Spagna e Svizzera – non prevedonoquote annuali per reinsediamento di rifugiati, ma concordano reinsediamento a rifugiati attraverso progetti “ad hoc resettlement”, otramite programmi umanitari e di riunificazione familiare o sponsorizzati da privati. Nel 2006, un totale di 71.700 rifugiati sono stati ammessi in 26 Paesi, tra cui: Stati Uniti (41.300), Australia (13.400), Canada(10.700),Svezia (2.400), Norvegia (1.000) e Nuova Zelanda (700). Di questi quasi 30mila sono stati reinsediati con l’assistenza dell’UNHCR. Per il 2007, il numero di rifugiati con necessità di reinsediamento è stato stimato dall’UNHCR in 77.605 persone, soprattutto inSiria e Giordania (rifugiati iracheni), Kenya (rifugiati sudanesi, somali ed etiopi), Egitto (rifugiati sudanesi e somali), Thailandia (daMyanmar) e Equador (dalla Colombia). Per il 2008 il numero è stato stimato in 154.701 persone, quasi il doppio rispetto all’annoprecedente. (Dati trattt da : “Welcome to Europe! – A guide to resettlement: A comparative review of resettlement in Europe”, ICMC Europe otto-bre 2007)PROGRAMMI DI REINSEDIAMENTO IN EUROPA – QUOTE disponibili per il 2007

Il ruolo dell’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (tratto dal Rapporto “FA.RE. – Studio di Fattibilitàsu un Programma italiano di reinsediamento/resettlement”)Il principale protagonista del Resettlement a livello globale è senza dubbio l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.L’UNHCR ha infatti impostato la teoria del Resettlement, attiva sin dagli anni ‘50 e codificata nell’UNHCR Handbook on Resettle-ment pubblicato nel 2001.A livello teorico l’UNHCR ha indicato le funzioni del Reinsediamento, la metodologia delle interviste, delle procedure di selezione, lepriorità e le categorie in cui suddividere i beneficiari del programma, vere e proprie linee guida sulle quali muoversi.A livello pratico invece le nazioni che vogliono realizzare un proprio programma devono sempre verificare se nel paese di primoasilo in cui si vuole intervenire è presente un Resettlement office UNHCR. La Resettlement Service Division of International Protec-tion Services di Ginevra porta avanti un’intensa attività di selezione e di preparazione di dossier. Ogni anno indica ai paesi interessa-ti, in un documento denominato “Projected Global Resettlement Needs”, quali siano i paesi di primo asilo che più di tutti hannobisogno di un programma di Reinsediamento. Sulla base di questo documento i paesi intervengono e effettuano la loro selezioneproprio grazie ai dossier e alle interviste già realizzati dall’UNHCR. L’Alto Commissariato effettua un’opera di pre-selezione – attraverso migliaia di interviste- sulla quale poi cominciano a lavorare ivari paesi coinvolti. Il ruolo delle Nazioni Unite appare invece più marginale a livello di programmi di integrazione, dove i paesi di Reinsediamento man-tengono una certa indipendenza in questo ambito, che rientra in campi di politica interna piuttosto esclusivi. Nel recente Rapporto annuale sulla protezione, l’UNHCR ha evidenziato come le tendenze in atto per quanto riguarda il reinsedia-mento siano per lo più positive e che vi sia un aumento nel numero di paesi d’accoglienza, anche se meno dell’uno per cento deirifugiati nel mondo beneficia dei programmi di reinsediamento ogni anno. L’UNHCR ha però sottolineato, tuttavia, come sia fonte di preoccupazione per l’Agenzia il fatto che si stia formando una categoriadi persone ritenute “intoccabili” dai paesi di reinsediamento (soprattutto gruppi etnici ritenuti politicamente scomodi, persone anzia-ne, rifugiati dal livello d’istruzione bassa, che potrebbero aver bisogno di tempi più lunghi per integrarsi”). L’UNHCR ha ricordato che, nel caso dei rifugiati iracheni, una condivisione equa delle responsabilità da parte degli stati non si èancora concretizzata (tratto dal sito-web: www.unhcr.it).

Quadro statistico

Paesi di reinsediamento Quota Paesi di reinsediamento QuotaSvezia 1900 Portogallo 30Finlandia 750 Totale Unione Europea 4.380Gran Bretagna 500Danimarca 500 Islanda 30Paesi Bassi 500 Norvegia 1200Irlanda 200 Totale Europa 5.610

a cura di Luca C. Zingoni e Linda Sette, CIR)

1 - IN SPAGNA* Da qualche tempo la Spagna è considera-ta come uno dei paesi pronti ad impe-gnarsi formalmente per l’istituzione di unprogramma di reinsediamento.Mentre un programma formale di reinse-diamento non è ancora stato istituito, laSpagna ha risposto favorevolmente airecenti appelli da parte dell’UNHCR: nel1999 ha accolto 1426 kosovari di originealbanese sotto il Programma Umanitariodi Evacuazione dell’UNHCR; nel febbraio2000 ha accettato un gruppo di 17 afganiprovenienti dall’Uzbekistan. La base legislativa per dare protezione acerti casi (definiti come casi di reinsedia-mento) è garantita dalla Legge sull’asilo(Art. 24 del Decreto Reale 203/1995), checonsente anche di rispondere a richiesteurgenti dell’UNHCR al governo spagnolo.I due principali ministeri spagnoli coinvoltiin materia di reinsediamento sono il Mini-stero del Lavoro e degli Affari Sociali ed ilMinistero dell’Interno. Le ONG coinvoltesono la Croce Rossa Spagnola, Rescate,CEAR, e ACCEM, che hanno tutte pro-mosso l’istituzione di un programma spa-gnolo di reinsediamento. Sia il Governoche le ONG hanno partecipato a progettidi gemellaggio (MOST) e a programmi di

promozione e capacity-building (conCCME e ICMC).Funzionari ministeriali hanno indicato chela Spagna si troverebbe nella posizione diiniziare un programma di reinsediamentoin breve tempo, sulla base delle esperien-ze di insediamento “ad hoc”. Ci si aspetta che la prossima Legge spa-gnola sull’Asilo contenga una misura spe-ciale per il reinsediamento. In sua assenza,il Ministero dell’Interno ed il Ministero delLavoro e degli Affari Sociali non hanno inquesto momento il mandato politico perstabilire il programma. A causa di un“caldo” dibattito politico su tutte le que-stioni legate all’immigrazione, non ci siaspetta che la discussione sul reinsedia-mento sia portata avanti prima delle pros-sime elezioni politiche.

2- IN PORTOGALLO*Negli ultimi anni un certo numero di paesieuropei hanno espresso interesse nell’isti-tuire programmi di reinsediamento e nelricevere rifugiati sulla base di operazioni direinsediamento “ad hoc”. Il Portogallo èstato l’ultimo paese ad istituire un pro-gramma di reinsediamento.La legge portoghese sull’asilo (l. 15/98)all’articolo 27, fornisce il quadro legislativoper attuare una procedura di reinsedia-mento sulla base di dossier. Secondo lalegge tutti i rifugiati riconosciuti sotto ilmandato dell’UNHCR sono ammissibili. Le

richieste di reinsediamento sono sottopo-ste dall’UNHCR al Ministero dell’Ammini-strazione Interna, che ne decide l’esito.Nel 2006, il Governo ha accettato 33 rifu-giati sulla base di un’operazione “ad hoc”,provenienti da: Repubblica Democraticadel Congo, Liberia, Costa d’Avorio, Eri-trea, Etiopia, India. Questi casi sono statiaccettati sulla base dei criteri del bisognodi protezione legale o fisica e mancanza diprospettive di integrazione nel primopaese di asilo.Nel luglio del 2007, il Governo ha adottatola Risoluzione n. 110/2007, ai sensi dellalegge sull’asilo, che consente il reinsedia-mento di un minimo di 30 persone subase annuale.In Portogallo i ministeri responsabili per ilcoordinamento ed il finanziamento dell’ac-coglienza e dell’integrazione dei rifugiatiaccolti sotto programmi di reinsediamentosono il Ministero dell’AmministrazioneInterna, il Ministero del Lavoro e della Pre-videnza Sociale, il Ministero della Salute. IlConsiglio Portoghese per i Rifugiati (CPR)ha il mandato di implementare attivitàconnesse ai servizi di accoglienza inizialepresso il Centro di Accoglienza del CPRper un periodo di sei mesi e di fornire unprogramma di integrazione ai rifugiatiappena arrivati, in collaborazione, tra l’al-tro, con i servizi locali di previdenzasociale. Un permesso di soggiorno vieneemesso in favore dei rifugiati reinsediati alloro arrivo. Viene offerto loro lo status di

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Speciale CIR/OIM Ricominciare da capo

Coinvolgimento di paesi europeiin attività di reinsediamento: nuovi sviluppi in Spagna, Portogallo e Svezia a cura di Linda SetteCIR Consiglio Italiano per i Rifugiati

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* Tratto da: “Welcome to Europe! A Guide to Resettlement: a Comparative review of Resettlement in Europe”, International CatholicMigration Commission Europe, Edition & Imprimerie, November 2007.

destinati al reinsediamento in Svezia percreare posti di reinsediamento in Americalatina a favore di rifugiati colombiani.

- Il “Trust Fun” è un’Iniziativa dei paesinordici in collaborazione con l’UNHCRper attività di reinsediamento regionale inBurkina Faso e Benin.

- Il Progetto Medico Svedese (SMP) checontribuisce a programmi di evacuazionemedica da Kosovo e Bosnia-Herzegovina.

Al momento, il Migration Board sta discu-tendo con l’UNHCR ed il Governo svede-se la sua partecipazione nel ‘Piano d’A-zione Messicano’ a sostegno del Pro-gramma ‘Reinsediamento in Solidarietà’,che offre opportunità di reinsediamentoregionale. La Norvegia, i Paesi Bassi e gliStati Uniti sono tra i paesi che contribui-scono a questo piano d’azione.

- Il governo svedese si è anche impegnatoa sostenere il concetto di “EvacuationTransit Facility” (ETF) attraverso lamessa a disposizione di fondi e accoglien-do rifugiati per reinsediamento in Sveziada paesi ETF .

rifugiato o la protezione umanitaria tempo-ranea valida da uno a cinque anni, rinno-vabile. Dopo sei anni di residenza perma-nente in Portogallo, i rifugiati hanno titoloper ottenere la cittadinanza portoghese.Dopo sei mesi dall’arrivo i rifugiati sonoalloggiati in appartamenti privati con ilsostegno economico da parte del serviziolocale di previdenza sociale. Il CPR sostie-ne i rifugiati nella ricerca di alloggi appro-priati. Il Servizio per l’impiego del CPR,presso il centro di accoglienza, offre servi-zi di orientamento al lavoro e mediazione.Ci si aspetta che i rifugiati siano auto-suffi-cienti verso la fine del primo anno quandovengono riferiti al normale regime di Previ-denza Sociale.

3– IN SVEZIA

La Svezia ha iniziato con un programmaspeciale di reinsediamento nel 1950.La quota e le linee guida generali per ilprogramma vengono approvate dal Parla-mento svedese e si basano principalmen-te sulle necessità di reinsediamento pre-sentate ogni anno dall’UNHCR. Negli ulti-mi anni, i l numero di rifugiati accoltisecondo questo programma è variato tra1200 e 1900 persone. La tavola di seguito fornisce le cifre e leprincipali nazionalità di rifugiati accoltisotto il programma di reinsediamento tra il2000 ed il 2006. I casi presi in considerazione per reinse-diamento sono riferiti unicamente dal-l’UNHCR. Soltanto molto eccezionalmentele ambasciate svedesi possono sottoporrecasi per reinsediamento.

Per il 2007 la Svezia ha stabilito una quotadi 1900 posti per reinsediamento di rifu-

giati. Lo Swedish Migration Board (l’agenziagovernativa che coordina, sotto la guida ela supervisione del Ministero degli AffariEsteri, il programma di reinsediamento delpaese) ha pianificato cinque missioni diselezione in Libano, Giordania, Iran, Tai-landia e Malaysia. Le nazionalità accetta-te durante queste missioni non sonoancora state completamente determinate,ma gli Afgani (dall’Iran), gli Iracheni (daLibano e Giordania) e i Burmesi (daMalaysia e Tailandia) sono sicuramente traquesti. Ogni missione alloca 150 posti, adeccezione della missione in Giordania chene alloca 200. I restanti posti sono suddi-visi come segue: casi urgenti e di emer-genza: 300 posti; selezioni attraverso dos-sier: 300 posti; posti non destinati (dadeterminare in un secondo tempo): 250 La Svezia intende anche convertire 50posti per il reinsediamento di rifugiati cosìda creare posti per protezione in Cile eArgentina. I rimanenti 250 posti disponibili per il rein-sediamento per l’anno 2007 devono esse-re riservati a casi accettati nel 2006 chearriveranno in Svezia nel corso del 2007.

Altri progetti / ProgrammiCome già menzionato sopra, parte delfondo per il reinsediamento può essereutilizzato per contribuire a progetti chesostengono i rifugiati fuori dal territoriosvedese attraverso le “Iniziative Regionalidi Reinsediamento”.La Svezia inoltre sta anche portandoavanti i seguenti progetti:

- Il Progetto “Colombia” (CP) implemen-tato nel 2000, 2001 e 2002 ha permessola conversione di un certo numero di posti

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Speciale CIR/OIM Ricominciare da capo

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Anno Quota Rifugiati Arrivati Nazionalità e Gruppi principali2000 1380 1162 Iracheni, Iraniani, Afgani, Ex Jugoslavi,

Programma Medico, Progetto «Colombia»2001 1285 1279 Iracheni, Iraniani, Afgani, Progetto

« Colombia », Programma Medico2002 1000 1015 Iracheni, Iraniani, Afgani, Progetto

« Colombia », Programma Medico2003 1000 890 Afgani, Liberiani, Sierra Leonesi, Iracheni,

Iraniani2004 1700 1656 Iracheni, Iraniani, Burmesi2005 1700 1242 Afgani, Colombiani, Burmesi2006 1700 1653 Colombiani, Afgani, IranianiFonte: Swedish Migration Board

L’ECRE- il Consiglio Europeo per i Rifu-giati e gli esuli - un organismo che riuni-sce oltre 70 associazioni e organizzazio-ni di tutta Europa (tra cui il CIR) impe-gnate nella difesa dei diritti di chi ècostretto a fuggire.

L’ECRE ritiene che l’Europa possa edebba offrire posti per il reinsediamentodi rifugiati. Tutti i paesi europei dovrebbero contri-buire. Quegli Stati che hanno già pro-grammi di reinsediamento dovrebbeassicurare la massima disponibilità diposti possible. Gli Stati che non hannoancora programmi di reinsediamentodovrebbero valutarne l’istituzione. L’Eu-ropa dovrebbe, inoltre, stabilire un pro-gramma comune di reinsediamento sottola guida dell’Unione Europea.

Informazioni preliminari L’espansione di attività di reinsediamen-to da parte dei paesi europei per accre-scere, a livello globale, la condivisionedelle responsabilità nella protezione deirifugiati è uno degli obiettivi dell’ ECRE,come identificato in “Agenda for Chan-ge, Europe’s role in the global refugeeprotection system – The Way Forward”

Il reinsediamento perciò è un’area dilavoro prioritaria per l’ECRE, che staportando avanti attraverso varie attivitàdi lobbying e di capacity-building. Peridentificare strategie appropriate e perdefinire future azioni di cooperazione tral’ECRE e gli attori principali del settore,soprattutto l’UNHCR, si è concordatoche sarebbe stato estremamente utileavere informazioni più sistematiche sulruolo che le Organizzazioni non Gover-native (ONG) europee esercitano nellepresenti attività di reinsediamento inEuropa e come potrebbero sostenerel’espansione di tali attività nelle fasi pre-cedenti al la partenza e successiveall’arrivo dei rifugiati.L’ECRE ha perciò intrapreso un eserci-zio di mappatura che guarda alla corni-ce esistente per il reinsediamento neipaesi europei, al ruolo e all’interesseattuale delle ONG europee in attività direinsediamento.

Risultati I risultati, ottenuti attraverso la sommi-nistrazione di un questionario ad alcuneONG-Associazioni che fanno parte del-l’ECRE, evidenziano che queste ultimesono molto interessate ad attività dipromozione e coinvolgimento su questotema.La Tavola 1 a pagina 21 mostra che il38% delle ONG-Associazioni europeesono già coinvolte in attività di reinse-diamento ed il 77% è interessato ad

intraprendere o espandere questo gene-re di attività.Il 43% è coinvolto in attività di promozio-ne, mentre il 29% sarebbe interessato adun coinvolgimento in questo tipo di atti-vità. Ciò significa che oltre il 70% èimpegnato o interessato a svolgere atti-vità di promozione sul reinsediamento.

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ECRE, Ricerca sul ruolo delleONG-Associazioni in Europa e il reinsediamento

a cura di Linda SetteCIR

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Speciale CIR/OIM Ricominciare da capo

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Tavola 1, fonte ECRE

Base: 35 ONG-Associazioni

29%

43%

72%

38%

77%

Interested in Being Involved in Advocacy Work on RST

Involved in Advocacy Work on RST

Interested/Involved in Advocacy Work on RST

Involved in RST Activities

Interested in Undertaking/Expanding RST Activities

Attività di Reinsediamento

Attività di Promozione

Tavola 1, Ricerca ECRE

Il lavoro di promozione condotto, includeva una campagna diretta ai governi

nazionali per alzare le quote per posti di reinsediamento nei paesi in cui esistono già

programmi di questo genere (Danimarca, Finlandia, e Paesi Bassi). Alcuni gruppi di

ONG-Associazioni in Spagna, Austria, Svizzera e Italia stanno promuovendo

l’istituzione di programmi di reinsediamento nei singoli paesi. Inoltre, altri stanno

lavorando su temi collegati al reinsediamento, come l’integrazione.

Tavola 2, fonte ECRE

Paesi con ONG COINVOLTE in Attività diPromozione sul Reinsediamento

Paesi con ONG INTERESSATE ad avviareAttività di Promozione sul Reinsediamento

Austria BelgioDanimarca Repubblica CecaFinlandia FranciaFrancia Germania

Germania GreciaIrlanda Paesi BassiItalia Portogallo

Lituania RomaniaPaesi Bassi Serbia

Romania Gran BretagnaSpagnaSvizzera

Regno Unito

Tavola 2, Ricerca ECRE

Il lavoro di promozione ed advocacy condotto includeva una campagna diretta ai governi nazionali per alzare le quote di postidisponibili per il reinsediamento di rifugiati nei paesi in cui esistono già programmi (Danimarca, Finlandia, e Paesi Bassi). Alcunigruppi di ONG-Associazioni in Spagna, Austria, Svizzera e Italia stanno promuovendo l’istituzione di programmi di reinsediamentonei singoli paesi. Altri stanno lavorando su temi collegati al reinsediamento, come l’integrazione.

1973: Dopo il colpo di Stato in Cile, 609persone chiedono protezione all’Amba-sciata Italiana a Santiago. Queste personevengono trasferite in Italia per reinsedia-mento. Più tardi, anche i membri dellefamiglie già accolte in Italia raggiungonol’Italia per ricongiungimento familiare(circa ulteriori 300 persone). Molti deifamiliari non hanno mai richiesto il ricono-scimento dello status di rifugiato.

1979: Un gruppo di circa 900 “boat peo-ple”vietnamiti vengono salvati dalla Mari-na militare italiana nel Mar della Cina e tra-sferiti in Italia per reinsediamento. Sonostati poi seguiti dai membri delle propriefamiglie. Tutti ottengono lo status di rifu-giato.

1986: 41 vietnamiti vengono trasferiti inItalia per reinsediamento dalle Filippine.

1987/1988: 110 iracheni caldei vengonotrasferiti in Italia per reinsediamento/reset-tlement, dalla Turchia dove avevano cer-cato protezione.

Preparando la Strada2003: Il CIR, con il Dipartimento per leLibertà Civili e L’immigrazione del Mini-stero dell’Interno, organizza un Seminariointernazionale a Roma dedicato al tema“Verso un più ordinato e gestito ingressonell’Unione Europea delle persone chenecessitano di protezione internazionale”.Gli atti del Seminario vengono pubblicatinel 2004.

2005: Il CIR in collaborazione con il Dipar-timento per le Libertà Civili e l’immigrazio-ne del Ministero dell’Interno, attraverso unco-finanziamento da parte del programmadella Commissione Europea ARGO 2004,realizza e pubblica uno studio di fattibilitàsul reinsediamento in Italia: “FA.RE. – Stu-dio di Fattibilità su un Programma italianodi reinsediamento/resettlement”. Il CIR èstato il partner operativo del Ministero, haraccolto e valutato – tramite missioni inloco - le esperienze fatte con programmidi reinsediamento in due altri Stati dell’U-nione, ipotizzandone la trasferibilità alcontesto italiano.

2007: Presentata alla Camera una propo-sta di legge sulla disciplina del diritto d’a-silo e della protezione sussidiaria (pdl2410, primo firmatario: On. Roberto Zac-caria, e che ora è in discussione presso laCommissione Affari Costituzionali dellaCamera dei Deputati del Parlamento. Un altro Disegno di Legge è stata presen-tato (pdl 1390, prima firmataria: BaioDossi) al Senato della Repubblica. Tutte e due le proposte di legge – cheriprendono quella presentata dal CIR nelnovembre 2006 - dedicano uno specificoarticolo al reinsediamento (ved. paginaseguente). - Il CIR in collaborazione con il Diparti-mento Libertà Civili e Immigrazione delMinistero dell’Interno sta attuando il pro-getto “Resettlement – building up thebasis” (Re.Pro.), co-finanziato dal FondoEuropeo per i Rifugiati – Azioni Comunita-rie 2006, con la finalità di informare e sen-sibilizzare sul reinsediamento si principalistakeholders: politici, opinione pubblica,datori di lavoro (vedere pag. 25).

- Lo scorso 8 novembre, a Roma, si svol-ge il seminario “Reinsediamento: quali

prospettive per l’Italia?”, promosso dallaFederazione delle Chiese Evangeliche inItalia in collaborazione con il CIR. Il semi-nario è stato promosso per favorire in Ita-lia la discussione e lo scambio tra i diversiattori della società civile e le istituzioni,nell'ottica di promuovere un programma direinsediamento in Italia. L’evento è pro-mosso nell'ambito del Progetto Europeo“Resettlement - broadening the basis inEurope!" coordinato dalla Churches' Com-mision for Migrants in Europe, e finanziatodal Fondo Europeo per i Rifugiati. Il Pro-getto ha l'obiettivo di stimolare e allargareil dibattito pubblico negli Stati membri del-l’Unione Europea sul tema del reinsedia-mento come strumento aggiuntivo di pro-tezione per i rifugiati.

Considerazioni:Il Governo è interessato e pronto ad inizia-re l’implementazione di programmi di rein-sediamento/resettlement in Italia, ancheper offrire un’alternativa, una modalità diarrivo di rifugiati sicura e protetta. E’ bennoto che centinaia di persone che neces-sitano di protezione internazionale metto-no a rischio la loro stessa vita nel tentativodi raggiungere le coste italiane. Dal novembre 2007 il Ministero dell’Inter-no ha deciso di attuare un primo progettoitaliano di reinsediamento denominato“Oltremare” per un gruppo di rifugiati afri-cani in condizione di particolare vulnerabi-lità.

Passi da fare: Va comunque precisato che alcune ONGitaliane sono scettiche sul reinsediamento,considerando che questa misura potrebbeservire per “esternalizzare” l’asilo.

Il lavoro di sensibilizzazione sul reinsedia-mento come soluzione a lungo termine

22 CIR NOTIZIE

Speciale CIR/OIM Ricominciare da capo

Reinsediamento, le tappe in Italia a cura di Linda Sette CIRSi ringrazia Giovanni Ferrari, già funzionarioUNHCR- delegazione Italiana, per i riferimentistorici

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silo è molto importante per assicurare unacornice legislativa ed una base finanziaria aqualsiasi future azione di reinsediamento.

per richiedenti asilo/profughi/rifugiati deveessere portato avanti sia a livello politico,che dell’opinione pubblica e di altri attori

rilevanti come le categorie datoriali. Anche il lavoro di lobby per dotare, final-mente, l’Italia di una legge organica sull’a-

23CIR NOTIZIE

Speciale CIR/OIM Ricominciare da capo

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PROPONIAMO DI SEGUITO IL TESTODELL’ART. 7 dedicato al REINSEDIA-MENTO, CONTENUTO NELLA P.d.Ln.° 2410 (Testo Zaccaria):

Articolo 7(Reinsediamento)1

1. La Repubblica italiana sostiene lapolitica dell’Unione Europea di favorireil reinsediamento di rifugiati trasferiti dapaesi terzi.

2. Il programma di reinsediamento for-nisce protezione e una soluzione dure-vole al rifugiato che si trova in paesiterzi diversi da quelli di cittadinanza o,nel caso di apolide, da quello dellaresidenza abituale dove la propria vita,libertà, sicurezza, salute e altri dirittiumani fondamentali non sono garantitio dove non ci sono condizioni, a lungotermine, per l’integrazione.Del programma beneficia in particolareil rifugiato che per necessità di prote-zione fisica o legale, di salute, di gene-re, di età o a causa di tortura o violenzasubita dimostri particolare vulnerabilità.

3. Il Presidente del Consiglio dei Mini-stri, sentiti i Ministri interessati, la Con-ferenza Unificata, di cui all’articolo 8del decreto legislativo 28 agosto 1987,n. 281, il Delegato dell’Alto Commissa-riato delle Nazioni Unite per i Rifugiati(UNHCR), gli enti e le associazioni dicui all’articolo 24 della presente leggee le organizzazioni dei lavoratori e deidatori di lavoro maggiormente rappre-sentative sul piano nazionale, predi-spone ogni tre anni il documento pro-grammatico relativo al programma direinsediamento di rifugiati e stabiliscela quota massima indicativa di rifugiati

provenienti da paesi terzi da ammette-re sul territorio dello stato.Il documento delinea i criteri per laselezione dei rifugiati ai fini del reinse-diamento, sulla base della presentelegge, indica le risorse finanziarie eamministrative necessarie, determinale misure di integrazione e fornisce unrapporto sulle esperienze fatte duranteil triennio precedente.

4. I richiedenti di reinsediamento in Ita-lia vengono riferiti dall’UNHCR alleRappresentanze diplomatiche dellaRepubblica competente per il paese didimora dei richiedenti. Le Rappresen-tanze diplomatiche esaminano i casiriferiti sotto il profilo dei criteri stabilitinel documento programmatico, conva-lidano lo status di rifugiati determinatoprecedentemente dall’UNHCR, proce-dono all’esame dei casi sotto il profilodella sicurezza nazionale e della salutee propongono la decisione sull’ammis-sione dei richiedenti selezionati nel ter-ritorio della Repubblica alla Commis-sione Nazionale Asilo di cui all’articolo8.Con decreto del Ministero degli AffariEsteri possono essere istituiti dei servi-zi particolari per la procedura di reinse-diamento presso le Ambasciate, dicompetenza territoriale regionale.5. La Commissione Nazionale Asilopuò inviare personale specializzato peresaminare in loco i casi riferiti e svolge-re la funzione di istruttoria.

6. A seguito della decisione della Com-missione Nazionale Asilo, la Rappre-sentanza diplomatica rilascia il vistoper il reinsediamento e, in mancanza didocumento di viaggio, un lasciapassa-

re.

7. La decisione di rigetto della richiestaviene motivato e comunicato, per scrit-to, all’interessato nonché all’UNHCR.Contro la decisione è ammesso il ricor-so al Tribunale Amministrativo per ilLazio, da presentare entro 60 giorni,anche attraverso la Rappresentanzadiplomatica.

8. La procedura di reinsediamento sisvolge durante un periodo massimo dicentoventi giorni, dal riferimento delrichiedente al rilascio del visto o allacomunicazione della decisione di riget-to.Le richieste di reinsediamento vengonoesaminate in ordine cronologico. Tutta-via su richiesta dell’UNHCR, l’esame,in casi di particolare urgenza, puòessere svolto prioritariamente.

9. I rifugiati ammessi nel territorio delloStato in via di reinsediamento godonodei diritti previsti per i rifugiati dallapresente legge, senza ulteriore esamedella loro qualifica per il diritto d’asilo. L’Ufficio nazionale per la protezionesociale dei richiedenti asilo, rifugiati ebeneficiari della protezione sussidiariadi cui all’articolo 10 fornisce accoglien-za e misure di integrazione dei rifugiatitrasferiti dal momento del loro arrivonel territorio nazionale.

10. Il programma di reinsediamento dirifugiati non lede in alcun modo il dirittodi richiedere asilo secondo le normedella presente legge.

Il reinsediamento costituisce una novità nell’ordinamento italiano. Il testo di questo articolo è stato ispirato da uno studio di fattibilitàrealizzato dal CIR in collaborazione con il Ministero dell’Interno italiano, nell’ambito del Programma comunitario ARGO nel 2005-2006,che ha esaminato, nel dettagli, i programmi di reinsediamento in Svezia, Gran Bretagna e USA.

Zahid, rifugiato rohingya, Bangladesh

“Per favore bombardate il campo, getta-telo in mare. Non dico questo perchésono pazzo. Lo dico perché le nostrevite sono state talmente rovinate, diven-tate terribili e difficili che preferirei che imiei figli e i miei nipoti morissero piutto-sto che vivessero ciò che abbiamo vis-suto noi negli ultimi 15 anni.

Nessuno sa che siamo qui- a nessunointeressa”.

Michele, rifugiata congolese,Gabon“Mi chiamo Michelle, sono fuggita dalCongo, sono sola e madre di sei figli.Nel mio paese ero un’affermata giornali-sta; ora in Gabon la mia condizionesociale e quella dei miei figli è moltocambiata. La condizione dei rifugiaticongolesi in Gabon è diventata moltorischiosa, in particolare per donne solecome me. Il rischio di rimpatrio forzato èdiventato opprimente.Ho deciso di rivolgermi all’UNHCR per-ché sapevo che esistevano programmi di

reinsediamento di rifugiati in molti paesie per la mia famiglia poteva essere un’al-ternativa valida alla situazione rischiosae statica in cui si trovava. Sono stataintervistata dall’UNHCR. Il mio caso èstato accettato molto velocemente esottoposto a Ginevra per un reinsedia-mento veloce in qualsiasi paese avesseaccettato me e la mia famiglia.In tre settimane il programma di reinse-diamento Norvegese ha accettato il miocaso e sono partita, insieme ai miei seifigli. Dopo tre settimane mi trovavo avivere in Norvegia”.

24 CIR NOTIZIE

Speciale CIR/OIM Ricominciare da capo

Reinsediamento, le testimonianze dei rifugiati

a cura del CIRtratto dal Manifesto sul Reinsediamentorealizzato nell’ambito del Progetto“Resettlement - Building Up the Basis”

d i c e m b r e 2 0 0 7

Al via in Italia progetto di reinsediamento “Oltremare”per un gruppo di rifugiati africani

Il Ministero dell’Interno italiano dell’Interno ha valutato positivamente la richiesta, da parte dell’UNHCR, per il reinsediamento in Ita-lia di un gruppo di quaranta cittadini africani (soprattutto donne sole), in condizione di particolare vulnerabilità, trattenuti presso ilcampo di Misratah in Libia, riconosciuti rifugiati sotto mandato internazionale dell’UNHCR e bisognosi di immediata protezione. Il Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno ha, attuato, in via sperimentale, dal novembre 2007,questo primo progetto di reinsediamento denominato “Oltremare”. Per le attività inerenti l’accoglienza e l’inserimento sul territorio italiano dei predetti rifugiati sono state stipulate convenzioni di parte-nariato con la Provincia di Rieti e il CIR. Nell’ambito di questo progetto, il CIR sta svolgendo soprattutto attività di assistenza, orientamento legale e di supporto psico-sociale.

Novità

PROGETTO Resettlement: buildingup the basis. Promoting program-mes for the resettlement of refugeesthrough information and awarenessraising” (Re.Pro.)sostenuto dalla Commissione Europea-DG GAI Programma FER Azioni Comuni-tarie 2006 e dal Ministero dell’Interno-Dipartimento per le Libertà Civili e l’Im-migrazione.Il progetto è guidato dal Ministero dell’Inter-no – Dipartimento per le Libertà Civili e l’Im-migrazione; partner transnazionali sono:Spagna: Consiglio Spagnolo per i Rifugiati(CEAR), Svezia: Ministero Affari Esteri, Gran

Bretagna: Ministero dell’Interno – Unità Poli-tiche Internazionali Asilo. Per l’Italia il CIR è “implementing partner”del Ministero dell’Interno per le attività previ-ste dal progetto.Obiettivi del progetto, che durerà unanno, da aprile 2007 a marzo 2008:- informare sullo strumento del resettlemente sulle esperienze di alcuni paesi europei(Svezia e Gran Bretagna);- coinvolgere/interessare/sensibilizzareautorità locali ed eventuali sponsor (settoreprivato) in vista di un futuro programma ita-liano di resettlement- creare le basi per decisioni politiche relati-vamente all’introduzione di programmi diresettlement e per sostenere un program-ma Europeo di resettlement nel quadro diuna politica comune sull’asilo.Attività previste:- promuovere una conferenza transnaziona-

le sul resettlement (Roma, nei primi mesi del2008), preceduta da una conferenza stam-pa;- realizzare e distribuire un “Manifesto” sulresettlement da utilizzare per le attività disensibilizzazione presso i parlamentari, l’o-pinione pubblica, i gruppi politici, il governo,i media, le aziende, le autorità locali: si vedaparte specifica. - produrre un video per le attività di sensibi-lizzazione;- promuovere incontri con eventuali spon-sor; - promuovere incontri con l’UNHCR; -creare un’area internet dedicata al tema sulsito del CIR: vedere: http://www.cir-onlus.org/Resettlment

Focal Point per il CIR: Linda Sette, e-mail:[email protected]

Speciale CIR/OIM Ricominciare da capo

Partecipazione CIR al Progetto“Resettlement Building Up theBasis” (Re.Pro.) - 2007/2008

25CIR NOTIZIEd i c e m b r e 2 0 0 7

Co-finanziato da Commissione Europea

DG GAI Programma FER Azioni Comunitarie 2006

Ministero dell’InternoDipartiento per le Libertà Civili

e l’Immigrazione

a cura di Linda Sette e Luca C. ZingoniCIR

• Gran Bretagna: Home Office - The Border and Immigration Agency: http://www.ind.homeoffice.gov.uk/ • Svezia: The Swedish Migration Board's: http://www.migrationsverket.se/• Spagna: CEAR- Comisiòn Espanola de Ayuda al Refugiado: http://www.cear.es/home.php

Partner del progetto

- Channel 4 News: http://www.channel4.com/news/articles/world/from+zambia+to+the+uk/163145- Churches' Commission for Migrants in Europe: http://www.ccme.be/secretary/NEWS/index.html- International Catholic Migration Commission (ICMC) Europe: http://www.icmc.net/e/programmes_operations/europ_network.htm - MOST - Modelling of Orientation, Services and Training related to the Resettlement and Reception of Refugees: http://www.most-project.fi/english/- Refworld: http://www.unhcr.org/cgi-bin/texis/vtx/refworld/rwmain

Link utili