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Risponde l’Aido Lombardia

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Ottorino Barozzi, una vita spesaper coordinare prelievi e trapiantinella provincia di Brescia

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Entro il 2025 ridurre a zero le morti prevenibiliper insufficienza renale acutaL’impegno della Società Internazionaledi Nefrologia presieduta da Giuseppe Remuzzi

Staminali per curare il cuore Al Monzino di Milano si sperimenta un «bypass naturale» per la cura dei pazienti con scompenso cardiaco

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L’anamnesiIl primo ed indispensabile «esame»per un corretto approccio alle malattie

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La fonte dell’eterna giovinezza20pagina

Ali per volarePrevenzione alla dispersione scolastica23

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Mensile di cultura sanitaria del Consiglio RegionaleAido Lombardia - ONLUS

Anno XXIII n. 220 - agosto/settembre 2014

Editore: Consiglio Regionale Aido Lombardia - ONLUS 24125 Bergamo, Via Borgo Palazzo 90Tel. 035 235327 - fax 035 244345 [email protected]

Direttore ResponsabileLeonio Callioni

Direttore EditorialeLeonida Pozzi

Collaborazioni scientificheDott. Gaetano Bianchi

Dott.ssa Cristina Grande

Regione Lombardia - SanitàProf. Sergio VesconiCoordinatore regionale prelievo/trapianto

Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo

Dott. Michele ColledanDirettore Chirurgia Generale III Direttore Centro Trapianti di fegato e di polmoni

Dott. Giuseppe LocatelliConsulente del Dipartimento di Chirurgia Pediatrica

Prof. Giuseppe Remuzzi Direttore Dipartimento di Medicina

Azienda Ospedaliera A. Manzoni di Lecco

Dott. Amando GambaDirettore U.O. Cardiochirurgia

Università Milano Bicocca

Prof. Roberto FumagalliDocente

NITp - Nord Italia Transplant

Prof. Paolo Rigotti - Presidente

Dott. Giuseppe Piccolo - Direttore Cir

Istituto Mediterraneo Trapianti e Terapie di alta specializzazione - ISMeTT

Prof. Bruno GridelliDirettore Medico scientificoProfessore di Chirurgia Università di Pittsburgh

Istituto Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” - Bergamo

Prof. Giuseppe Remuzzi - Direttore

Yale University School of Medicine

Prof. Mario StrazzaboscoProfessor of Medicine,Director of Transplant HepatologyDepartment of Internal MedicineSection of Digestive Diseases

Redazione esternaLaura Sposito; Clelia Epis; Fernanda Snaiderbaur

Redazione tecnicaBergamo [email protected] Seminati

Segreteria e Amministrazione24125 Bergamo, Via Borgo Palazzo 90Tel. 035 235327 - fax 035 [email protected]@aidolombardia.itC/C postale 36074276Ester MilaniLaura Cavalleri

SottoscrizioniSocio Aido Simpatizzante Sostenitore Benemerito € 40,00 € 50,00 € 80,00 € 100,00

C/C postale 36074276 Aido Cons.Reg.LombardiaONLUS Prevenzione OggiC/C UBI BANCA POPOLARE DI BERGAMOIT 57 R 05428 11106 000 000 071 903

Riservato ai Soci.

Il socio sostenitore ha diritto ad omaggiare un’altra per-sona previa segnalazione all’atto della sottoscrizione.

StampaCPZ - Costa di Mezzate BG

Finito di stampare prima decade di ottobre

Reg. Trib. di Milano n. 139 del 3/3/90

Le informazioni contenute in questo periodicovengono trattate con liceità, correttezza e tra-sparenza conformemente al D.lgs. n. 196 del 30giugno 2003 “Codice in materia di protezionedei dati personali”.

Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

A Rosaria Prandini il premio Laura Bianchini 30

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Quando un coordinatore di Area provinciale per i prelievi e i trapiantidi organo conclude il suo mandato si fa un bilancio del lavoro fatto.E se questo coordinatore è stato responsabile di un’area con una sanitàgeneralmente ben gestita, ricca di volontariato, con una presenza forte,costante e concreta come l’AIDO a Brescia, il bilancio si fa ulterior-

mente interessante.Così abbiamo colto l’occasione del passaggio di consegne dal dott. Ottorino Ba-

rozzi alla dott.ssa Paola Terenghi per offrire ai lettori un racconto di trent’annivissuti a cercare tutti i modi possibili, giorno dopo giorno, per diffondere la dona-zione degli organi e per far sì, al contempo, che la struttura sanitaria ne cogliessei frutti per metterli a disposizione delle persone in lista d’attesa.

Ne è scaturita un’intervista ricca di informazioni, che permette nel corso dellalettura di ripercorrere alcuni passaggi nodali della storia del trapianto in Italia.A nostro avviso una intervista godibile, che ci ha fatto sentire quanto il dott. Ba-

rozzi sia stato e sia ancora “amico” e sostenitore del-l’AIDO. Con realismo non rassegnato prendiamo attoche alcuni sogni organizzativi e normativi del dott. Ba-rozzi non si sono realizzati (per esempio un maggiorcoordinamento e una compiuta uniformità normativasul territorio nazionale) ma colpisce in particolare il ri-petuto richiamo alle potenzialità del territorio. L’ex co-ordinatore provinciale di Brescia, in definitiva, concludeil suo mandato con un appello chiaro e documentato alleistituzioni politiche, alle istituzioni sanitarie e alla co-munità civile. L’AIDO bresciana e il Consiglio regio-nale della Lombardia dell’Associazione non lascerannosicuramente cadere nel vuoto questo appello.

Abbiamo poi il privilegio giornalistico di poter an-ticipare ai lettori una notizia molto interessante. Spie-ghiamo infatti il grande significato etico, sociale esanitario dell’iniziativa assunta dalla Società Interna-zionale di Nefrologia per ridurre a zero, entro il 2025,

le morti prevenibili per insufficienza renale acuta. E’ stato proprio il neopresi-dente prof. Giuseppe Remuzzi che, assumendo l’incarico ad Hong Kong nel 2013,ha lanciato la sfida a questa terribile eppur curabile patologia. Leggendo la bellaintervista di Clelia Epis al prof. Remuzzi sembra di veder scorrere, davanti agliocchi, i volti sofferenti di tantissima gente dei Paesi poveri che potrebbe essere sal-vata. Mentre ringraziamo l’amico prof. Remuzzi per averci donato questa occa-sione divulgativa di primo livello (sempre più spesso “Prevenzione Oggi” offre aisuoi lettori anticipazioni importanti) confermiamo il sostegno dell’AIDO per que-sta illuminata iniziativa. Noi infatti saremo sempre al fianco di chi, con il proprioingegno e il proprio sforzo sanitario, evita malattie che richiedono il trapianto,evitando così il drammatico allungarsi delle liste d’attesa.

Allargano il cuore alla speranza le notizie che arrivano dal Monzino di Mi-lano, dove sono state annunciate nuove scoperte per cure, con le cellule staminali,che potranno evitare il trapianto per patologie cardiologiche.

Non ho spazio per segnalare gli altri importanti contributi presenti in questonumero, ma chiudo con una sottolineatura affettuosa e riconoscente alla carissimaRosaria Prandini, vicepresidente della Sezione provinciale dell’AIDO di Brescia,insignita del premio Laura Bianchini, un riconoscimento giunto alla sua 25maedizione e dedicato alle donne bresciane.Fra i tanti meriti della bravissima Pran-dini ricordo l’assiduo e proficuo impegno a creare la biblioteca della legalità.

Leonida Pozzi

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Editoriale

In copertina:foto di LLino Storti - Fotoclub Airuno (Lc)

Con il dott. Barozzi un bilancio che fa riflettereL’iniziativa del prof. Remuzzi per abbattere le morti

per insufficienza renale acuta

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Brescia è una provincia im-portante della Lombardia,con una forte presenza divolontariato, grandi capa-cità di progettare e realiz-

zare nuove forme di sensibilizzazionealla cultura della donazione. È in que-sto quadro per lo più favorevole del pa-norama sanitario lombardo che abbia-mo ritenuto interessante intervistare,al termine del suo mandato, e quindi nelmomento migliore per stilare un bi-lancio complessivo, il coordinatore deiprelievi e dei trapianti di Brescia. Pozzi: È bello che accanto a lei, per que-

sta intervista, ci sia la candidata a suc-cederle, dott.ssa Terenghi a segno diuna possibile felice continuità del-l’azione a favore delle donazioni e deitrapianti di organi, tessuti e cellule.Lei, caro dott. Barozzi, ha vissuto fian-co a fianco con il prof. Frova, suo pre-decessore e pioniere delle campagne disostegno alla donazione di organi.Partirei da lì, dai suoi ricordi di queglianni fondanti e fondamentali.Barozzi: Mi fa piacere che Lei abbia ci-tato il prof. Frova perché è stato un’au-torità in tanti settori, compreso quel-lo del trapianto. Come sa, durante la

Ottorino Barozzi, una vita spesaper coordinare prelievi e trapianti

nella provincia di Brescia

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permanenza a Brescia, è stato vicepresidente del Nord Italia Transplant(NITp), insieme al prof. Sirchia e tan-ti altri benemeriti negli anni di maggiorincremento dell’attività di donazione alquale egli stesso ha portato un impor-tante contributo.Il mio percorso lavorativo, ormai giun-to al termine, è iniziato nel 1976, ca-sualmente poco dopo l’entrata in vigoredella prima legge sui trapianti (n°644del dicembre 75, ormai abrogata) e lafondazione dell’AIDO. In quasi 40anni ho, professionalmente, attraversatotre fasi: prevalentemente come Ane-stesista per circa 15 anni, durante i qua-li non mi sono reso conto dell’avanza-re della “medicina della donazione”, poiRianimatore per altri 15 infine Coor-dinatore dei Prelievi per l’area di Bre-scia. In questo arco temporale, oltre a quel-li clinici, importanti cambiamenti sonointervenuti dal punto di vista norma-tivo. Voglio ricordare l’aziendalizzazionedegli ospedali e la “regionalizzazione”della sanità ma anche le leggi 578 del1993 sulla diagnosi di morte e la 91 del1999 sull’organizzazione trapiantolo-gica. Cambiamenti normativi che han-no inciso profondamente sulle dina-miche lavorative in genere ma, più omeno direttamente, anche sulle attivi-tà connesse a prelievo e trapianto. Misono rimaste impresse anche due gran-di delusioni vissute dalla mia genera-zione: negli anni ’80 il sogno che il SSN(Servizio Sanitario Nazionale) potessegarantire “tutto a tutti” e, alla fine delsecolo scorso, quello di garantire il tra-pianto a chiunque ne avesse bisogno.Ricordiamo come, nei primi anni ’90,l’Italia fosse agli ultimi posti dellegraduatorie internazionali di procure-ment di organi. L’impegno profuso neldecennio successivo, da diversi settoridella società civile, ha consentito di col-mare il gap numerico dei donatori concontestuale aumento di trapianti. Allafine del secolo si nutriva una giustifi-cata soddisfazione tale da far matura-re il sogno di raggiungere i risultati del-la Spagna, nazione storicamente leadernell’attività di procurement, ma so-

Ottorino Barozzi- Dal 2003 conferma di incarico triennale di direzione distruttura semplice per “Coordinamento generale del re-parto di rianimazione” - 2/11/2005 incarico di Direzione di Struttura Semplicea Valenza Dipartimentale di “coordinamento aziendale perreperimento, donazione e prelievo di organi e tessuti aifini di trapianto- Da 18/1/2006 Coordinatore Locale del Prelievo ex DGRn. VII/7987 del 8/2/2002 con decorrenza da 1/12/2005

STUDI E ATTIVITÀ- 1976 Università degli Studi di Padova, Laurea in Me-dicina e Chirurgia- 1980 Università degli Studi di Milano, Diploma di spe-cializzazione in Anestesiologia e Rianimazione- 1987 Ministero della Sanità, Diploma di idoneità pri-mariale- 1997 PFT (programma formazione trapianto) – TPM(transplant procurement management) project – “formaciòcontinuada – Les Heures” Universitat de Barcelona- Diploma TPM- 2002 Regione Lombardia,Certificato di formazione ma-nageriale- 2006 OTT, Donazioni, Trapianti e Mezzi di Comunica-zione- Per circa venti anni ha partecipato, a vario titolo, ad at-tività collaborative con Nord Italia Transplant- Collaborazione decennale con Associazione Italiana Do-natori Organi (AIDO)- 1983 componente del Consiglio dei Sanitari SpedaliCivili- Responsabile di progetto per convegno sulla donazio-ne trapianto di tessuto osseo (Brescia, Spedali Civili 2007)- Responsabile di progetto per convegno sulla donazio-ne trapianto di tessuto oculare (Brescia, Spedali Civili 2007)- Responsabile di progetto per convegno su flusso ema-tico cerebrale (Brescia, Spedali Civili 2008)- Responsabile organizzativo per convegno su respon-sabilità nel processo prelievo-trapianto (Brescia, SpedaliCivili 2008)- Componente commissione audit nazionale dei coor-dinamenti di prelievo organi e tessuti a scopo di trapianto(2008/09)- Componente del Consiglio Direttivo del Nord Italia Tran-splant

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prattutto di azzerare le liste di attesa.Nell’ultimo decennio invece è suben-trata una sorta di stagnazione per cuigli organi disponibili compensano a ma-lapena i nuovi ingressi in lista con tem-pi di attesa medi tra i 2 e i 3 anni. Il fe-nomeno ha ragioni molteplici che nonsto a ricordare, più volte riesaminate indiverse sedi, ma, quando se ne parla siha la sensazione di essere bravi nelladiagnosi ma scadenti nella terapia.Tra il 1990 e il 2000 lo stimolo era for-te e le sinergie in campo hanno dato ifrutti sperati. L’impegno profuso da im-portanti personaggi della storia tra-piantologica, tra i quali il citato Prof.Frova, appariva sostenuto, seppur coninnegabili incertezze, dalle istituzioni(oltre alla promulgazione di leggi in-novative si è concretizzato il famoso

“tesserino blu” per la dichiarazioneolografa di volontà). Con l’intento dipromuovere una nuova cultura della do-nazione, le sinergie in campo hannooperato sulla sensibilità della popola-zione (settore nel quale vanno ricono-sciuti ampi meriti all’AIDO), sulla for-mazione degli operatori sanitari e sul-l’impegno delle direzioni. Nel 1997 an-che io ho potuto partecipare al primocorso nazionale di TPM (TransplantProcurement Management): occasio-ne di confronto con l’organizzazionespagnola ma anche con le diverse realtàpresenti in Italia. Il Nit (prima istitu-zione multi regionale) in quegli annisvolgeva un importante ruolo propul-sivo sia nell’informazione che nellaformazione del personale sanitario.Ho fortemente sperato che l’avvio di

una Rete Nazionale per i Trapianti, pre-vista dalla legge 91, avrebbe dato un ul-teriore impulso al sistema definendonuovi assetti e apportando risorse mi-rate. Pur riconoscendo alcuni elemen-ti positivi non posso dire che il risultatosia soddisfacente. La difficile opera dicoesione tra soggetti differenti, anchecon forze politiche nazionali taloraostili, portata avanti nel decennio pre-cedente, una volta avviata la delega alleregioni per le disposizioni in materia sa-nitaria, ha dovuto essere resettata e ri-presa in 20 organismi autonomi e a di-versa cultura trapiantologica. Con ciòi dati relativi alle donazioni, che già pre-cedentemente risultavano ampiamen-te disaggregati nelle diverse regioni ita-liane, non hanno beneficiato della in-novativa organizzazione piramidale

voluta dalla legge 91 del 99.Con un meccanismo a cascata si è ul-teriormente dispersa la spinta che le re-gioni hanno potuto o voluto trasmet-tere alle Direzioni Aziendali, preva-lentemente attente a logiche di bilan-cio economico finanziario e nelle qua-li il continuo ricambio gestionale com-porta tuttora inevitabili anche se tran-sitori rallentamenti operativi. A ciò siconcatena il ricambio generazionale deiDirettori di Unità Operativa privi delvissuto storico dei vecchi primari e im-pegnati, oltre che su problemi clinici, sutematiche di tipo amministrativo (“bud-get”) nell’ambito delle quali le attivitàconnesse a prelievo e trapianto sonospesso interpretate come costi ag-giuntivi. Analogo problema genera-zionale si verifica con gli operatori se-

Con l’intento di promuovere una nuovacultura della donazione,

le sinergie in campo hanno operato sullasensibilità della popolazione

(settore nel quale vanno riconosciuti ampimeriti all’AIDO), sulla formazione

degli operatori sanitari e sull’impegno delle direzioni

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condari dove lo sforzo formativo vienespesso frustrato per mancanza di indi-cazioni strategiche, da parte della pi-ramide direzionale, sull’importanzadel donatore.Ciò detto, la carenza di organi rimaneil retroterra drammatico delle liste diattesa. Come spiegare ad un pazienteprivo di alternative terapeutiche che iltrapianto è la sua unica possibilità mache dovrà attendere uno, due, tre o piùanni e … nel frattempo? La possibili-tà di morte in attesa di trapianto di pol-mone, ad esempio, supera il 10% peranno; per il rene ovviamente è bassa, be-neficiando della dialisi, ma conosciamobene i disagi che questa terpia di atte-sa comporta.Mettersi nei panni di questi ammalatiè lo stimolo maggiore per impegnarsinel procurement: è in sintesi del CLP(Coordinatore Locale per il Prelievo),ma questi non può e non deve esseresolo in questo compito. Figura sanita-ria atipica, fortemente voluto neglianni ’90, il CLP è normativamente de-finito dalla legge 91/99 e, in Lombar-dia, dalla delibera regionale 7987 del2002, nelle quali sono descritti carat-teristiche e compiti. Non altrettanto de-finiti sono gli standard operativi e le au-tonomie decisionali del CLP le qualisono declinate, in sede locale, in modomolto diversificato. In Italia sono circa 300 i CLP con unbacino medio di popolazione di 200.000abitanti, ma pochi operano a tempo pie-no e con collaborazioni fisse. In Lom-bardia, per la citata delibera regionaledel 2002, sono 18 per aree con un ba-cino medio di 550.000 abitanti (rangeda 100.000 oltre un milione come perBrescia e Bergamo). Avendo percepitodalla stampa l’intenzione di ridefinirela rete ospedaliera regionale forse è ilmomento, dopo oltre 12 anni, di ri-pensare una rete regionale per i prelievinon escludendo di centralizzare il ruo-lo dei CLP, con possibili accorpamen-ti, ma dotati di figure collaborative ade-guate. Qualcosa di simile alla rete perl’emergenza, in fondo il lavoro di pro-curement ha un valore sovra azienda-le e spesso di interesse sovra regiona-

le. Quindi una sorta di autority o di ga-rante per la ottimizzazione delle atti-vità e dei risultati. Non escluderei, maquesto è un capitolo delicato, una cen-tralizzazione regionale anche del bud-get connesso che consenta di interve-nire a sostegno di realtà con maggio-ri difficoltà.Nel ventaglio delle patologie prevalentiquello dei pazienti in attesa di trapiantoè un settore di nicchia, numericamen-te irrisorio rispetto ad altri, ma ognianno circa 3000 persone riprendonouna qualità di vita sorprendente, mol-ti riprendono attività produttive e tut-ti portano ad un consistente risparmiodella spesa sanitaria. Mi piace ricordareun concetto espresso a suo tempo dalDr Mario Scalamogna, figura storicadel trapianto, quando sosteneva che“malati in lista d’attesa per un trapiantonon hanno un avvocato difensore, dif-ficilmente conquistano la piazza o la ri-balta dei media. Sono malati che restanocollocati nella loro sofferenza, nel lororischio di morte, nella loro dialisi, nel-le loro attese spesso infinite”. La mia vi-sione apparentemente pessimistica del-la realtà, nonostante la fase attuale direlativa crescita delle donazioni (maquante volte ci siamo illusi che i trendpositivi potessero mantenersi!), si fon-da su una indispensabile necessità di mi-gliorare ciò che è migliorabile. Sicuramente migliorabile è il dato sulconsenso alle donazioni: l’opposizionesi mantiene da diversi anni, a livello na-zionale, intorno al 30%. La recente pro-iezione per il 2014 è al 29,7% (calmie-rata fortunatamente dalla Lombardiadove siamo al 23,9%). In valore asso-luto si perdono circa 500 donatori/anno.Tutti auspicheremmo l’azzeramentodelle opposizioni ma, accontentandocidi un primo obiettivo di riduzione al25% di opposizione, si otterrebbe la pos-sibilità di circa 300 trapianti/anno inpiù. Per ottenere ciò sono indubbia-mente necessarie alleanze strategicheampie ma soprattutto bisogna averechiara l’importanza dell’obiettivo. A tut-ti i livelli decisionali.È pur vero che i donatori di oggi sonomolto diversi dal passato: la mortalità

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per trauma è diminuita e l’età media de-gli eleggibili è aumentata. Per di più icriteri di sicurezza impongono una se-lezione accurata dei casi. A fronte diquesti elementi che sembrano ridurrela disponibilità di organi, i limiti di tra-piantabilità si sono estesi grazie a mi-gliorate tecniche medico-chirurgiche ea maturate esperienze di buon esito an-che quando il donatore è anziano o pro-blematico. I rianimatori che hannoavuto esperienze di donazione neglianni ’90, sono concordi nel ritenere at-tualmente molto più complessa la ge-stione del donatore per maggiori pro-blematiche cliniche, per difficoltà rela-zionali (ricordo che è in aumento la po-polazione straniera con problematichespecifiche), per obblighi correlati al si-stema di qualità, in particolare la ne-cessità di tracciabilità degli organi.Cionondimeno molti rianimatori han-no interiorizzato questo impegno ag-giuntivo facendolo diventare compo-nente speciale della propria vita pro-fessionale. Il sostegno a questi professionisti e aquelli di generazioni più recenti (con mi-nor esperienza ma talvolta animati dapiù curiosità ed entusiasmi) nonché atutta la collegialità degli operatori chesi affiancano nel processo è uno dei

compiti assolti dai CLP anche in terminidi affiancamento operativo e consu-lenziale. Ma è un compito defatigantese a sua volta non è supportato da pre-cise indicazioni direzionali.Quando tra il 2005 e il 2007 furonoespletati, per volontà del CNT (CentroNazionale Trapianti), gli audit deiCLP sembrava potesse concretizzarsiuna spirale virtuosa atta a garantire talesostegno e risorse adeguate. Per areedi grande dimensione il CLP dovreb-be disporre, oltre che delle collabora-zioni funzionali nelle diverse unitàoperative, anche di una struttura or-ganica con professionisti motivati (as-sistente sanitario, infermiere, ammini-strativo, psicologo o esperto di comu-nicazione). C’è ampia necessità di que-ste professionalità, persone che com-prendano cosa significa donare e rice-vere. Che capiscano anche le difficoltàtalvolta percepite da operatori solosaltuariamente cimentati nel processodi donazione. Professionisti senza vin-colo di orari e di sede: il donatore puòpresentarsi in qualunque orario e sedeospedaliera. Professionisti in grado diabbracciare una famiglia in lacrime. Pro-fessionisti in grado di portare infor-mazione e risposte esaustive in tutte lesedi (scuole, istituzioni, media) ove sia

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Da sinistra: La Dott.ssa Paola Terenghi, l’assistente Sanitaria Lina Rebuffoni, il Dott. Ottorino Barozzi e il Cav. Leonida Pozzi

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possibile spiegare l’importanza della do-nazione. Per questo l’affiancamentocon AIDO è risultato virtuoso.. Pozzi: Tra i tanti punti dolenti di que-sto suo lungo e dettagliato excursus col-piscono in particolare le sottolineaturedi due aspetti: le liste d’attesa e le op-posizioni. In questo la pensiamo allo stes-so modo perché anche per l’Aido que-sti sono due pilastri di un edificio da ab-battere: la lotta alle liste d’attesa e il re-cupero sulle opposizioni, ormai in nu-mero pericolosamente alto. Considera-to che sul milione e 380 mila donatoriin Italia un milione e 200 mila sono del-l’Aido, abbiamo chiaramente il quadrodella situazione. La Regione Lombardiaadesso con il protocollo con Federsani-tà, Anci, Nitp, Aido regionale porterà in-dubbiamente le attenzioni delle Anagrafidei Comuni su questo problema. ABergamo il Comune, primo in Lom-bardia, ha approvato una delibera per lacostituzione di una piccola ma signifi-cativa struttura di supporto all’espres-sione della volontà di donazione. Abbiamo infatti verificato che il tempoa disposizione degli impiegati per ac-compagnare una scelta sulla donazio-ne è troppo limitato e quindi l’attribu-zione di questo nuovo compito al-l’Anagrafe doveva comportare anche

una modifica organizzativa. Se non ri-cordo male, nell’ufficio che avevamo in-dividuato, erano stati calcolati gli accessidi 4-500 persone al giorno, per una me-dia di poco più di un minuto per ognipratica. L’impiegato avrebbe dovuto ri-cavare il tempo necessario per spiega-re ai cittadini che esisteva la possibili-tà di scelta se diventare donatore omeno stando in questi tempi troppostretti. È chiaro però che le Anagrafirappresentano una enorme potenziali-tà di comunicazione che le istituzioni de-vono saper valorizzare. Lo sportello po-lifunzionale di Bergamo sembra propriouna bella scelta, che indica anche la sen-sibilità dell’Amministrazione comu-nale. Rimango convinto che dobbiamotrovare anche altri e ben più efficaci spa-zi per spingere la gente a scegliere: oper il sì o per il no. Purché sia una scel-ta con alla base una minima conoscenzadel problema. In quel caso sono con-vinto che i sì saranno tantissimi. A fa-vore del trapianto, infatti, non ci sonosolo ragioni etiche, umane, solidaristi-che, ma anche economiche e sociali. Dia-mo per condiviso che l’impegno più for-te deve essere nella lotta alla sofferen-za e alla malattia, ma verifichiamo an-che quali vantaggi può dare la chirur-gia del trapianto rispetto alla curaP

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con la dialisi. E gli esempi potrebberoessere tanti, a dimostrazione che i be-nefici sono molteplici e su tutti i fron-ti. È molto interessante, come spuntodi riflessione, però, l’affermazione chelei fa sulla mancata integrazione in uncoordinamento generale nazionale. Iosono stato portato a pensare, dal-l’esperienza che ho maturato in questianni, che l’autonomia regionale fosse unvalore e permettesse un’azione piùsnella e rapida. Non è così?Barozzi: Sicuramente all’azione auto-noma delle singole Regioni vanno ri-conosciuti tanti aspetti positivi, ma misarei aspettato maggior determina-zione da parte del CNT per definire de-gli standard organizzativi e di risulta-to. Ritorno al concetto di autorità ga-rante per il sistema che dovrebbe di-sporre di risorse e potere sufficienti percorreggere in modo positivo le disso-nanze rilevate. In fondo è quanto pre-vede la legge. Lei sicuramente sa chequando sono state fissate le nuovenormative per l’accertamento dellamorte non tutte le Aziende pubblicheavevano messo a disposizione le pro-fessionalità necessarie per questo fon-damentale adempimento. In molte sedimancava per esempio il medico legale,o il neurofisiopatologo, o il tecnico dineurofisiopatologia. Queste situazionihanno comportato ulteriori elementi didiversificazione dei risultati. Altro è il tema delle liste d’attesa e lacentralizzazione: la Lombardia è laregione prevalente del Nord ItaliaTransplant, il cui modello organizza-tivo, oltre ad essere capostipite rispet-to ad altri modelli, ha funzionato mol-to bene, anche dal punto di vista di prin-cipi dell’etica e della trasparenza. I pro-cessi di allocazione, che stanno diven-tando più complessi per diverse ragio-ni, sono di assoluta sicurezza e, ripeto,trasparenza. Tranne in casi speciali egià operativi come ad esempio le listedi attesa pediatrica e per iperimmu-nizzati una lista unica nazionale por-terebbe sicuramente ad un appesanti-mento delle procedure. Il Coordinamento regionale ha unruolo importante quando possa di-

sporre di deleghe decisionali ma le sediperiferiche (CLP) devono avere a lorovolta adeguate risorse per ben opera-re. È assurdo che ci siano ancora Co-ordinatori che hanno difficoltà anchesoltanto per disporre di un telefono, uncomputer o per ottenere consulenze. Pa-rallelamente all’evoluzione delle tec-niche di trapianto il processo di dona-zione e prelievo è molto cambiato: nel’90 potevano bastare due o tre consu-lenze; oggi facilmente si supera la de-cina e talvolta è necessaria una “secondopinion”. Pensi, ad esempio, alla ne-cessità di rilevare le dimensioni di unfegato nel caso di necessità per trapiantopediatrico e alla necessità di trasmet-tere immagini a distanza. Quantità equalità dei risultati dipendono anchedalle risorse disponibili. Anche per quanto attiene gli uffici ana-grafe, per il cui progetto anche Bresciasi sta muovendo con grande impegnodell’AIDO locale, credo che vi sia am-pia disponibilità dei CLP per prodigarsiin seminari formativi per il personaleamministrativo e di affiancarsi provvi-soriamente in alcune sedi pilota, quan-do i sindaci lo consentissero (molti sisono già dichiarati favorevoli). Se si vuo-le il percorso è fattibile e credo poco one-roso, ma solo se si vuole e se si com-prende il valore del provvedimento. Un altro tema delicatissimo è il “man-tenimento del donatore” che ha semprepresentato problematiche non indiffe-renti. Mantenere cuore, fegato, reni, ealtro di una persona deceduta, richiedegrandi capacità ed esperienza. Spesso ciòche è utile per il rene non va bene peril cuore o per il fegato. Privilegiamo unorgano o l’altro? È bene favorire la li-sta d’attesa del trapianto di rene, così unmalato può uscire dalla dialisi, oppurepuntiamo sul cuore perché ci sono esi-genze di sopravvivenza? Si tratta di ave-re competenze per trovare il giusto bi-lanciamento terapeutico che consenta diportare beneficio al maggior numero dipersone e per la migliore efficacia degliinterventi. È complesso. E torno alle risorse: ricordo che eranostati previsti fondi vincolati a disposi-zione delle aziende per la compensa-

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zione del maggiore impegno finaliz-zato alla donazione e al trapianto. Ilcompianto dott. Perseghin (già fun-zionario regionale) parlava anni fa di “ri-storo delle spese sostenute”. Oggi dob-biamo affrontare spese almeno triplicaterispetto a dieci anni fa per effettuare tut-te le indagini che sono necessarie pri-ma di procedere a un trapianto. Servonoattrezzature idonee come ecografi mul-tifunzione o attrezzature per indaginiistologiche o laboratoristiche: non tut-ti gli ospedali sono dotati in tal senso. Un altro capitolo interessante da af-frontare è la collaborazione con deter-minate realtà private che hanno rag-giunto livelli qualitativi eccezionali. Fac-cio solo l’esempio per Brescia della Po-liambulanza, che, pur disponendo diprofessionisti e attrezzature sufficien-

ti, non può avviare il percorso di do-nazione e prelievo per un veto norma-tivo che andrebbe rivisto. Pozzi: Sicuramente. Va però salva-guardato il grande valore della uni-versalità della sanità pubblica, perchépurtroppo esempi di sanità che insegueil guadagno ce ne sono troppi. Cosìcome è vero che ci sono realtà del pri-vato sanitario capaci di reggere il con-fronto con il pubblico in tanti settori.Nel settore dei trapianti poi la nostrastruttura sanitaria pubblica è da primatoeuropeo, sia per la trasparenza nel re-perimento degli organi, sia per la qua-lità degli organi trapiantati, sia per laqualità del follow up. Quando parteci-piamo ai convegni internazionali ci sen-tiamo orgogliosi di essere italiani, alconfronto con tante altre realtà euro-

pee o internazionali. Sono patrimoni dasalvaguardare, senza negarsi ad ulteriorimiglioramenti con il coinvolgimento dialtre realtà, come appunto quelle pri-vate. Barozzi: Concordo appieno, ma perso-nalmente vivo un certo malessere perla sensazione che, attorno al prelievo eal trapianto di organi, non ci sia più laspinta ideale e concreta del fare che sipercepiva negli anni ‘90. E dopo qua-rant’anni vissuti integralmente nel ser-vizio pubblico guardo a tutto ciò che puòrappresentare un fattore di crescita e dimiglioramento, compreso quanto puòderivare dalla sanità privata, che pur pre-senta diversi esempi di qualità eccellentee, nel nostro territorio, risulta già benpresente nella donazione dei tessuti. Èimportante che il rilancio di una ten-

sione, insieme etica e professionale, infunzione dell’incremento della dona-zione e del trapianto si integri con unconcreto impegno delle direzioni edelle istituzioni, cui non mancherà si-curamente l’appoggio dell’AIDO.Pozzi: È vero. Mi viene in mentel’esempio positivo del Monzino, dove la-vorano una novantina di ricercatori eche sta dimostrando come si possa es-sere privati ma totalmente dediti al benecomune. È chiaro che a questo puntotocca alla politica; alla gente tocca in-vece fare in modo che la politica si diauna svegliata. Noi vedremo di fare la no-stra parte. Come sempre.

Testi a cura di Leonio CallioniHa collaborato Leonida PozziFotografie di Paolo Seminati

È importante che il rilancio di unatensione, insieme etica e professionale, in funzione dell’incremento della donazione e del trapianto si integricon un concreto impegno delle direzioni e delle istituzioni, cui non mancheràsicuramente l’appoggio dell’AIDO.

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“La prevenzione e il tratta-mento dell’Insufficienza Re-nale Acuta dovrebbero esse-re considerati un dirittoumano”: così Giuseppe

Remuzzi ad Hong Kong nel 2013 ilgiorno della sua nomina a Presidente del-la Società Internazionale di Nefrologia.Nel giorno in cui ha assunto la guida del-la Società Internazionale di Nefrologia,quindi, il prof. Giuseppe Remuzzi ha im-mediatamente portato l’attenzione dellasanità mondiale su un problema che ri-guarda principalmente, ma non solo, le po-polazioni dei Paesi più poveri, portandosofferenza e morte dove invece con mag-giore conoscenza e semplici interventi po-trebbero essere garantiti benessere e tu-tela della salute. Con la sua affermazione,indubbiamente forte, Remuzzi ha ideal-mente introdotto il progetto che vede lacomunità internazionale dei nefrologiunita per realizzare lo straordinario obiet-tivo di riuscire a portare a zero le mortiprevenibili per insufficienza renale acutaentro il 2025: “L’Insufficienza Renale Acu-ta (IRA – in inglese Acute Kidney Failure) -spiega il prof. Remuzzi - non deve più es-sere una sentenza di morte nei Paesi poveri.Il nostro è un progetto ambizioso, ma realiz-zabile”. L’insufficienza renale acuta è unadelle maggiori cause di morte al mondo,ma non gode della stessa visibilità di ma-lattie come AIDS, diabete, cancro.

Come si manifesta?“Con l’improvvisa perdita della capacitàdei reni di svolgere la loro funzione prin-cipale: quella di eliminare il liquido in ec-

cesso e gli elettroliti, così come il mate-riale di scarto dal sangue.Purtroppo si sviluppa molto rapidamen-te. Nell’arco di poche ore o pochi giorni,può essere fatale e richiede un trattamentointensivo. Tuttavia può essere reversibi-le. Se la persona colpita è in buona salu-te, può recuperare la normale funzione re-nale se curata e seguita. Purtroppo neiPaesi poveri le cure sono pressoché ine-sistenti e quindi si muore ancora per que-sto. In questi Paesi a basso o bassissimoreddito la stragrande maggioranza del-le persone che sviluppano insufficienza re-nale acuta muoiono in conseguenza di que-sta condizione, spesso prevenibile con sem-plici misure come l’idratazione o il trat-tamento di infezioni acute. Si muore an-che perché la dialisi non è disponibile. Que-sto è molto triste, perché se il rene ha ab-bastanza tempo per ripararsi e nel frat-tempo il paziente è mantenuto in vita conla dialisi, ci sono ottime possibilità di so-pravvivenza e di recuperare completa-mente la salute. A differenza del cancro odell’infarto che lasciano tracce irreversi-bili, l’insufficienza renale acuta se ben cu-rata consente al paziente di tornare allapropria vita in piena efficienza.Nelle zone tropicali l’insufficienza rena-le acuta è da imputare soprattutto a diar-rea, malattie infettive e malaria; nel Suddell’Asia a leptospirosi, tifo, avvelenamenti;in Africa a malaria e spesso a rimedi le-gati alla medicina tradizionale; in AmericaLatina a leptospirosi, febbre infettiva,avvelenamenti e in tutte queste regioni an-che a complicazioni durante la gravidanzae il parto”.

ENTRO IL 2025 RIDURREA ZERO LE MORTI PREVENIBILI

PER INSUFFICIENZA RENALE ACUTA

L’impegno della Società Internazionaledi Nefrologia presieduta da Giuseppe Remuzzi

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Qual è la situazione a livello mondia-le?“Si stima che ogni anno nel mondo vi sia-no 13,3 milioni di casi di insufficienza re-nale acuta, dei quali oltre 11 nei Paesi abasso reddito, dove l’aspettativa di vita èbrevissima e dove si concentra la maggiorparte della popolazione mondiale”.

Chi viene colpito?“Purtroppo soprattutto giovani, bambinie mamme a causa delle complicazioni diuna singola malattia che sarebbe risolvi-bile se curata. Le radici dell’insufficienzarenale acuta stanno nelle cattive condizioniambientali: un’infezione o una febbrecontratta per mancanza di acqua potabi-le, di servizi igienici, di fognature porta adammalarsi. Queste morti sono un dram-ma collettivo: se a morire sono infatti lemigliori risorse umane di un Paese, que-sto difficilmente uscirà dalla condizione dipovertà. L’acqua è vita, come ci ha ricor-dato il segretario Generale dell’ONU BanKi-moon nel 2014 in apertura di unmeeting dedicato al tema.In questo quadro abbiamo preso contat-ti con WASH (clean WAter, Sanitation fa-cilities, Hygiene education) che lotta perrisolvere questo problema”.

Quali sono le ricadute delle malattiasulla condizione delle donne?“Pesanti. Vittime sono anche le mammeche partoriscono in condizioni moltoprecarie. Pensiamo infatti che nel mondoogni 2 minuti muore una donna percomplicazioni legate al parto. Se non si in-terviene 3 milioni saranno le morti neiprossimi 10 anni.Spesso le origini delle malattie renali ven-gono dal periodo della gestazione: se nelcorso della gravidanza la mamma non haassunto abbastanza proteine il bimbonascerà sottopeso e immaturo e potrà svi-luppare da adulto proprio malattie rena-li croniche”.

Cosa succede invece nei Paesi più ric-chi?“Nei Paesi ad alto reddito l’insufficienzarenale acuta si sviluppa soprattutto in pa-zienti ospedalizzati con complicanze di al-tre malattie o interventi chirurgici im-

«0 BY 25»OBIETTIVI E TEMPI DI REALIZZAZIONERiuscire a portare a 0 le morti per insufficienza renale acuta entro il 2025, progettopromosso dalla Società Internazionale di Nefrologia (fondata nel 1960, collaborastrettamente con più di 75 società scientifiche nazionali che si occupano di malattierenali in tutto il mondo e ad essa aderiscono oltre 10.000 nefrologi di 126 differentinazionalità). L’insufficienza renale acuta non dovrà più essere una sentenza dimorte nei Paesi Poveri. Un progetto ambizioso, ma realizzabile per il quale di sta giàlavorando.

OBIETTIVI“Tradotti in azioni” specifica Helen Clark (a capo del programma di sviluppo per l’ONU)1. mappare la situazione mondiale per darle un profilo concreto e aggiornatoattraverso la collaborazione di 20000 medici e 60000 infermieri2. elaborare i dati3. sviluppare materiali di formazione e istruzione4. facilitare e promuovere interventi che possano risolvere il problema incollaborazione anche con la politica degli Stati e le istituzioni internazionali

TRAGUARDImigliorare la capacità di 1.valutare il rischio di insufficienza renale acuta2.riconoscerla tempestivamente3.intervenire rapidamento4.mettere in atto le attività necessarie per recuperare la salute renale del paziente(implementazione della dialisi peritoneale, consulti e interventi grazie allatelemedicina, trasferimento dei pazienti critici in Centri specializzati)5.favorire il recupero e la riabilitazione del paziente

LA SQUADRAPer il progetto la Società Internazionale di Nefrologia ha creato un’apposita strutturaguidata da Ravidindra L. Mehta, indiano trasferitosi negli USA. Mehta è Professoredi Medicina presso la Divisione di Nefrologia presso l’Università della California, SanDiego, dove dirige programmi di nefrologia clinica.

BUDGET3 milioni di dollari la cifra necessaria per la prima parte del progetto50 milioni di euro il budget complessivo“Una cifra alta - dice Remuzzi - ma molto meno di quanto si spenda, e si sia speso,per patologie come Diabete o malaria. Per questo stiamo creando partnership conle grandi aziende mondiali, sullo stampo di quanto l’industria farmaceutica Merckha fatto stanziando 500 milioni di dollari in 10 anni a favore di interventi chepossano aiutare le donne gravide e partorienti nelle aree povere”.

TIMELINE2013 (dicembre) definizione del progetto e pianificazione delle azioni2014 (fine agosto - inizio settembre): una settimana di raccolta dati da tutto ilmondo grazie anche alle nuove tecnologie che permettono di usare anche in zoneremote smartphone, tablet e cellulari. Nel dettaglio verranno mappati sintomi,analisi di laboratorio utili alla diagnosi. 2014 (da dicembre) stima dei dati relativi a mortalità, incidenza dell’insufficienzarenale acuta 2015 (marzo) meeting Cape Town2017 (marzo) progetti pilota completati; definizione partnerships per realizzazione diCentri con infrastrutture sostenibili anche nei paesi poveri2025 (marzo) raggiungimento obiettivo

Supporto, solidarietà e appoggio sono venuti anche da Richard Horton direttore diThe Lancet (rivista scientifica di ambito medico pubblicata settimanalmente dalLancet Publishing Group, edita da Elsevier, fondata nel 1823 da Thomas Wakley).The Lancet in occasione del nuovo congresso della Società Internazionale diNefrologia in programma a Cape Town il 13-3-2015 darà spazio all’iniziativa conben 3 articoli e 1 editoriale; un apposito comitato internazionale si è già riunito nelmarzo 2014 a Bergamo per seguirne la pubblicazione.

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portanti. L’insufficienza renale acuta è ungrave problema anche per la sanità pub-blica, recentemente sottolineata ad esem-pio in un documento pubblicato dall’Isti-tuto Nazionale Britannico per la Salute el’Eccellenza. E’ emerso che il costo di que-sta malattia per il Servizio Sanitario Na-zionale nel Regno Unito oscilla tra i 434e i 620 milioni di sterline ogni anno: uncosto maggiore rispetto a quanto si spen-de in totale per curare il cancro alla mam-mella, del polmone e della pelle. È im-portante sottolineare inoltre che conadeguati interventi di prevenzione e ri-conoscimento si potrebbero evitare circa42 mila decessi ogni anno”.

Come intervenire?“La comunità internazionale dei nefrolo-gi desidera offrire assistenza allo svilup-po di programmi di intervento nei Paesiin via di sviluppo, anche se l’aiuto non develimitarsi a fornire le conoscenze per lacreazione di centri di dialisi peritoneale che,ad oggi, può rappresentare una soluzio-ne concreta, efficace e fattibile per com-battere IRA”.

Quali le linee del vostro programma?“È necessario sviluppare un modello di for-

mazione del personale sanitario mirato allaprevenzione dell’insufficienza renale acu-ta. Bisogna sviluppare le piccole unità fun-zionali di nefrologia capaci di fornire ser-vizi per diagnosi e trattamento immediato(somministrazione di liquidi, farmaciecc.) e istituire la dialisi peritoneale anchein aree geografiche remote. Si devono inol-tre sviluppare centri ospedalieri terziarispecializzati per la cura dei casi più criti-ci di insufficienza renale acuta, così che pos-sano agire da consulenti a quelli colloca-ti in aree remote. Il budget complessivoè di 50 milioni di dollari e 3 milioni di dol-lari è la cifra necessaria per la prima par-te del progetto. Ci stiamo già muovendoma ci serve aiuto”.

Quali strumenti si possono utilizzare?“Può sembrare banale, ma il telefono cel-lulare e gli smarthpone possono giocareun ruolo importantissimo e portare a ri-sultati straordinari. Abbiamo avviato unacollaborazione con una società affiliata al-l’Università di San Diego che è specia-lizzata in questo campo: attraverso l’usodei diversi apparecchi riesce a fornire map-pature complete in settori critici. Alcunidi questi strumenti sono addiritura in gra-do di valutare e comunicare la tempera-

* Il recente articolo di un medico afri-cano dimostra che tra più di 2000 rico-veri per gastroenterite, malaria epolmonite in ospedale a Kampala(Uganda), l’insufficienza renale acuta erapresente nel 13,5% dei casi. Tra i solipazienti ricoverati con la gastroenteritela prevalenza era del 28,6%. Il tasso dimortalità complessiva era del 25% neipazienti la cui malattia si complicavacon l’insufficienza renale acuta, mentrenei pazienti che pur avendo le stessemalattie non la sviluppavano, la morta-lità era del 10%.

* La dialisi, la terapia che sostituisce lafunzione renale è impiegata in meno del5% di coloro che ne hanno bisogno,soprattutto nell’Africa sub-saharianaperchè il trattamento dialitico in linea dimassima è troppo costoso e troppocomplesso tecnicamente per esserealla portata della maggioranza dei PaesiPoveri : “E’ abbastanza vero per emo-dialisi o per altre tecniche “extracorpo-ree”, che richiedono macchinaricomplessi, costosi materiali di con-

sumo, personale altamente qualificato,ma potrebbe non essere vero del tuttoper la dialisi peritoneale”.

* 150 dollari il costo di una dialisi perito-neale che può salvare una vita umana.

* L’insufficienza renale acuta è tra lemaggiori cause di morte in Nigeria: 17,4bambini su 1000 ne sono colpiti. Traessi l’aspettativa di vita è di 4,8 anni.

* 800.000 le morti ogni anno causateda diarrea: la seconda causa di morteal mondo per i bambini sotto i 5 anni.Reidratarli per via orale può fare la diffe-renza.

* 50 centesimi il costo di una dose diglucosio ed elettroliti utile per salvarela vita di un bambino colpito da diar-rea. Sfortunatamente questo stru-mento salvavita è raramente utilizzatonell’Africa sub sahariana.

* 768 milioni le persone che nelmondo vivono ancora senza l’ac-cesso all’acqua potabile.2,5 i miliardi di persone che nonhanno accesso ai servizi igienici dibase (toilette)

* 2 milioni all’anno le morti nei Paesiin via di sviluppo da imputare a causelegate all’impurità dell’acqua o alleconseguenze igieniche relative allasua mancanza. Di queste 1 milione siregistrano nel’area sub-Sahariana inAfrica.Previsioni: si stima che tra il 2012 e il2050 64 milioni di persone, di cui 11nel Sud dell’Asia e 52 nell’Africa sub-sahariana potranno morire sempreper problemi legati all’acqua.

i numeri

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tura corporea, la pressione, l’ossigenazionedel sangue. Grazie allo smartphone è pos-sibile vedere il paziente e visitarlo: l’usodel cellulare e dello smartphone infatti èmolto diffuso anche nei Paesi poveri. In questo contesto la telemedicina con-sente di tradurre in realtà la collabora-zione tra centro e periferia. Ad esempionelle zone rurali del Sud Africa è stato svi-luppato un programma per aiutare medicie infermieri nei centri rurali, mettendo adisposizione sul pc o su telefono linee gui-da di trattamento, assistenza nella dia-gnosi, prontuari farmacologici e molto al-tro”.

Quali saranno le prossime tappe?“Tra fine settembre e inizio novembre af-fronteremo un momento decisivo delprogetto. Nel mondo per una settimanasi raccoglieranno dati che saranno poi uti-li per elaborare proiezioni più articolatee dare un profilo concreto e preciso delproblema a livello mondiale”. Quale il vostro obiettivo più imme-diato?“Raccogliere dati per dare tratti concre-ti ad un problema reale e globale. Una vol-ta definito nel dettaglio avremo il mezzoper sensibilizzare i governi nazionali e le

autorità sanitarie sia nazionali che inter-nazionali. Credo che la consapevolezzapossa essere lo strumento più utile perconvincere i politici a fare la loro parte:nessuno vuole vedere morire i propri bam-bini, nessuno vuole vedere star male lapropria gente. Inoltre gli Stati avranno datiper comprendere come un investimentooggi nel campo della prevenzione si po-trebbe tradurre in futuro in un risparmioeconomico, oltre che nel miglioramentodella qualità della vita.La speranza è che la Società Internazio-nale di Nefrologia contribuisca nei pros-simi 10 anni a far sì che il tasso di mor-talità per insufficenza renale acuta possascendere. Il trattamento di questa pato-logia deve diventare un diritto dell’uomocosì come lo è stato quello dell’AIDS confarmaci antiretrovirali anche nei Paesi invia di svilupppo. In questi anni grazie al-l’impegno collettivo l’iniziativa 3 by 5 lan-ciata nel 2003 da UNAIDS e OMS è di-ventata realtà. Il progetto aveva l’obiet-tivo di fornire a 3 milioni di persone af-fette da HIV/AIDS nei Paesi poveri il trat-temento antiretrovirale entro la fine del2005. Il traguardo è stato raggiunto e su-perato.L’iniziativa ci ha dato lo spunto per lan-

Dietro ai numeri, altissimi, di personeche al mondo sono colpite da insuffi-cienza renale acuta si nascondonostorie di vita quotidiana.

BOLIVIALa storia vede come protagonista unuomo boliviano di 28 anni lavoratorein una piantagione e padre di duebambini. L’uomo è ricoverato inospedale perchè da alcuni giorni havomito, diarrea e febbre, che glihanno causato una forte disidrata-zione. In ospedale si scropre che hauna grave insufficienza e nonostantel’intervento dei medici le sue condi-zioni peggiorano.Fortunatamente in quell’ospedale èdisponibile la dialisi peritoneale el’uomo, sottoposto a questo tratta-menteo, recupera in pochi giorni lasua funzione renale. Al momentodella dimissione i suoi valori sono nor-mali e può tornare a lavorare neicampi. L’uomo potrà vedere crescerei suoi figli e la sua famiglia, che con-tava solo sul suo reddito, è salva.

“Grazie alla dialisi peritoneale - com-menta Remuzzi - è sopravvissuto e lacondizione della sua famiglia neltempo migliorerà, chissà che i suoifigli studiando non diventino medici...Nei Paesi a basso reddito, però, lastragrande maggioranza delle per-sone che sviluppano insufficienza re-nale acuta non sono fortunate comequesto papà boliviano e continuano amorire in conseguenza di questacondizione, spesso prevenibile consemplici misure come l’idratazione o iltrattamento di infezioni acute”.

TANZANIALa dialisi peritoneale è efficace per ri-solvere in molti casi l’insufficienza re-nale acuta e non obbliga a possederemacchinari costosi e sofisticati, cosìcome personale altamente formato:potrebbe essere la candidata a di-ventare la terapia di sostituzione dellafunzione renale nei Paesi a bassoreddito. Questo è dimostrato anchedalla bella esperienza condotta inTanzania presso il Kilimanjaro Chri-

stian Medical Center, ma anche inaltre esperienze documentate inAfrica sub-sahriana e in Asia dovesono stati ottenuti ottimi risultati.

SVEZIALo scorso 21 giugno il Prof Remuzziha incontrato il Principe Daniel diSvezia, consorte della PrincipessaEreditaria, è un trapiantato di renesensibile a questa problematica e si èreso disponbile ad appoggiare la So-cietà Internazionale di Nefrologia nellevesti di Testimonial: “Il Principe dopoaver ricevuto una donazione dalpadre sta bene, ha avuto anche unabimba, ma sta continuando ad impe-gnarsi. Il contatto con il Principe ènato attraverso i suoi medici di Stoc-colma, che conosco bene, si è dimo-strato molto attento al nostroprogetto. E’ molto interessato anchea tematiche cliniche, dialoga spessocon i medici, a Palazzo è stato addi-rittura stato portato un microscopioadatto per consentire al Principe dileggere i vetrini”.

dietro ai numeri

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ciare la nostra campagna 0 by 25. Ancheil nostro deve essere un obiettivo globa-le”.

Cura, prevenzione educazione sono an-che qui le parole chiave?“Sì. La comunità internazionale vedecoinvolti 20.000 nefrologi e 60.000 in-fermieri e si sta impegnando ad argina-re il fenomeno agendo nell’ambito dellacura e dell’intervento. Per risolvere il pro-blema, però, va attuata una collaborazio-ne con autorità e istituzioni. La necessi-tà di acqua pulita, di toilette, di condizio-ni igieniche accettabili, così come un’edu-cazione sanitaria diffusa sono primo e im-portantissimo strumento di prevenzionee comportano azioni di enorme respiro supiù piani. Noi cerchiamo di fare la nostraparte”.

Qualche esempio?“Il progetto Saving Young Lives nasce dal-la collaborazione fra Società Internazio-nale di Nefrologia, Società Internaziona-le di Nefrologia Pediatrica, Società In-ternazionale per Dialisi Peritoneale, conil sostegno della Fondazione per la CuraSostenibile delle Malattie Renali (SKCF)a New York e della Fondazione Recana-ti - Kaplan. Questo programma si con-centra sul miglioramento immediato del-le cure, ma ha anche l’obiettivo di svilup-pare progetti di istruzione e formazionedi personale sanitario.Su questa linea la Società Internaziona-le di Nefrologia dovrebbe iniziare un’at-tività di ricognizione della diponibilità del-la terapia dell’insufficienza renale acuta inAfrica e Asia. Tra il 2013 e il 2015 si stan-no avviando una serie di programmi diprevenzione, diagnosi e terapia dell’in-sufficienza renale acuta in 4 Paesi africa-ni come Malawi, Kenya, Repubblica De-mocratica del Congo, Sudafrica che an-drebbero ad affiancarsi a Tanzania eGhana; e in 3 Paesi dell’Asia come Ne-pal, Vietnam e Cambogia: se in questi dueanni il programma si dimostra fattibile esostenibile in questi Paesi, il programmapuò rivolgersi all’America Latina.

Quali altre partnership attivare?“La responsabilità di migliorare l’acces-

so alle cure è soprattutto dei governi. Tut-tavia anche organismi non governativi,come ad esempio l’industria farmaceuti-ca, ha delle responsabilità. Le aziende far-maceutiche aiutano a garantire il dirittoalla salute, sviluppando prodotti che sal-vano vite: questi prodotti devono essereaccessibili a tutti. Un esempio positivo èvenuto da Sanofi Aventis che ha deciso divendere a basso costo un farmaco anti-ma-larico nei Paesi poveri. Allo stesso mododovrebbero fare le aziende che produco-no materiale per dialisi collaborando conla Società Internazionale di Nefrologia perlo sviluppo di programmi sostenibili diprevenzione e cura.Vendita a prezzi molto bassi o addirittu-ra la donazione delle sacche per la diali-si peritoneale, dei cateteri e di altro ma-teriale di consumo permetterebbe acces-so facilitato alla cura dell’insufficienza re-nale acuta e permetterebbe di salvare mol-te giovani vite”.

Quale futuro? “Si rende necessario un nuovo equilibrio,credo non sia possibile continuare a viverein un mondo dove il 10% della popolazioneha tutto, e ancora di più, e il restante vivein condizioni di povertà: vaccini, acqua po-tabile, una toilette sono elementi impre-scindibili per condizioni di vita che si de-finiscano umane.Come medici abbiamo la responsabilità difare in modo che le cure siano accessibi-li a quante più persone possibili: giustiziae solidarietà sono alla base del nostro spi-rito ma certamente trovano condivisionein tante altre persone. Tuttavia anche chidecide, in modo incomprensibile, di chiu-dersi nella propria realtà privilegiata do-vrebbe riflettere su quanto oggi sia faci-le viaggiare e spostarsi sul’intero piane-ta con il rischio che le epidemie si possa-no diffondere rapidamente e violente-mente. Per questo motivo AIDS e TBCsono una realtà anche nei Paesi ricchi, ilrischio potrebbe essere quello che malat-tie ancora più terribili come l’ebola esca-no dai confini entro i quali sono ancora de-finite. E’ necessario un cambiamentoglobale da parte degli Stati, delle Istitu-zioni e di ciascuno di noi”.

Clelia Epis

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Imalati con scompenso cardiacofino ad oggi non curabili perchérefrattari alle cure convenziona-li quali bypass e angioplasticacon stent stanno assistendo al-

l’aprirsi di un nuovo possibile oriz-zonte di cura. Dal 3 aprile scorso in-fatti, grazie ad uno studio speri-mentale tutt’oggi in corso, sono sta-ti operati i primi tre pazienti di que-sto tipo in Italia con quello che è sta-to subito battezzato “bypass natura-le”, perché basato su alcune partico-lari cellule staminali. Il nuovo meto-do è stato applicato per la prima vol-ta al Centro Cardiologico Monzinodi Milano, autore dell’operazione lostesso responsabile della sperimen-tazione, il dottor Giulio Pompilio.Chirurgo e ricercatore, il dott. Pom-pilio ha iniziato la sperimentazionesulle cellule staminali applicate allaterapia cardiaca circa dodici anni fa.“Il retroterra scientifico da cui siamopartiti è legato alla angiogenesi te-rapeutica, ovvero la ricerca di meto-di efficaci per portare alla formazio-ne di nuovi vasi sanguigni in un tes-suto ischemico” ha raccontato il dot-tor Pompilio a Prevenzione Oggi “questo campo di ricerca ci avevaportato a fare delle precedenti ricer-che con altri farmaci e soluzioni te-rapeutiche, la terapia genica in par-ticolare, risultate però poi inefficaci.”La strada della ricerca, allora, preseun’altra direzione. “Dieci anni fa ab-biamo iniziato a studiare le cellule sta-minali” ha proseguito il medico “percapire se avrebbero potuto aiutare ariportare sangue nei tessuti ischemiciattraverso la formazione di nuovivasi”. Le cellule atte a questo scopovennero individuate nelle celluleprogenitrici endoteliali provenienti

dal midollo osseo, cellule che si di-mostrarono in grado di agire “comepiccole pompe biologiche” che sti-molano la formazione di nuovi vasiin tessuti “ischemici” cioè sofferentiper mancanza di ossigeno. “Date le loro caratteristiche, altri ri-cercatori come noi nel mondo sierano interessati a queste cellule eavevano iniziato le sperimentazioni.Le ricerche si può dire che abbianopreso grosso modo due fondamentalidirezioni: una, la nostra, che si oc-cupava della angiogenesi e una se-conda invece che attraverso cellulestaminali ha cercato di ricostruire laparte contrattile del cuore, i cardio-miociti” ricorda il dottor Pompilio“Oggi, dopo dieci anni, gli studi chepuntavano a ridare al cuore la sua for-za contrattile sono ancora moltolontani dall’obiettivo mentre ci sonotantissime evidenze sul fatto che lecellule staminali possano essere im-piegate come biopompe per stimolarel’angiogenesi, dando risultati pro-mettenti.” Pur con tutta la cautela delcaso il dottor Pompilio ha aggiuntoche “gli studi con le cellule stamina-li vadano perfezionati, è vero, ma cisono basi incoraggianti per ricerchecome la nostra.” L’interesse del professor Pompilio perla ricerca sulle staminali è nata alcu-ni anni dopo che il medico aveva ini-ziato a praticare la sua professione“Quando ero ancora un chirurgo “atempo pieno”, diciamo, mi era capi-tato il caso di un paziente che avevooperato personalmente senza rima-nere però completamente soddisfat-to dell’esito della stessa operazione dibypass che avevo effettuato” ricordaPompilio; “l’anatomia coronarica delpaziente infatti era troppo povera e

Staminali per curare il cuore Al Monzino di Milano si sperimenta un «bypass naturale»

per la cura dei pazienti con scompenso cardiaco

GIULIO POMPILIONasce a Milano nel 1964, dopo la laurea inMedicina e Chirurgia presso l’Università degli

Studi di Milano nel 1994 si specializza inCardiochirurgia sempre presso l’Università degli

Studi di Milano. Tra il 1994 ed il 1995 èassistente chirurgo presso il Dipartimento di

Chirurgia Toracica e Cardiovascolaredell’Università Cattolica di Lovanio (UCL Mont-

Godinne). Dal 1996 al 2004 èassistente/assistente senior di Chirurgia

Cardiovascolare presso il Centro CardiologicoMonzino, IRCCS e dal 2001 Dottore di Ricercain “Fisiopatologia Chirurgica Cardiovascolare”

presso l’Università degli Studi di Milano. Dal 2001 al 2003 è responsabile del

Programma Clinico di Terapia Genica e Cellularepresso il Dipartimento di Chirurgia

Cardiovascolare, Centro Cardiologico MonzinoIRCCS e negli anni successivi diviene

responsabile dell’Unità Operativa di Biotecnologiein Cardiochirurgia presso il Policlinico di Monza.

Dal 2005 è Responsabile Unità di RicercaClinica di Terapia Rigenerativa; Aiuto Senior,

Dipartimento di Chirurgia Cardiovascolare, CentroCardiologico Monzino IRCCS. Dal 2006

Ricercatore confermato presso Dipartimento diScienze Cliniche e di Comunità, Università degliStudi di Milano e dal 2007 anche Coordinatore,Gruppo di Studio della Federazione Italiana diCardiologia di Terapia Cellulare Cardiaca. Dal2008 al 2013 è stato Direttore Clinico del

Laboratorio di Biologia Vascolare e MedicinaRigenerativa del Centro Cardiologico MonzinoIRRCS. Dal 2013 è Responsabile dell’Unità diBiologia Vascolare e Medicina Rigenerativa delCentro Cardiologico Monzino IRRCS. È esperto

esterno per le Terapie Biologiche Avanzatepresso l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA).

Dal 2011 ad oggi: Direttore Scientifico di AriSLA,Fondazione Italiana di Ricerca sulla SLA.

Autore di 104 pubblicazioni scientifiche edInvited Speaker in 32 meeting internazionali.

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sapevo che a questo malato sarebberestata una regione di cuore ancoraischemica, quindi sofferente. Una si-tuazione che non mi permetteva di es-sere appagato fino in fondo da quan-to fatto”. A seguito di questa perso-nale esperienza il chirurgo iniziòcosì a interessarsi a metodi alterna-tivi al bypass, metodi naturali e nonartificiali per risolvere casi comequello che gli era personalmentecapitato. “Iniziai a studiare e scopriiche nel mondo c’erano in gioco ri-cerche nuove. Decisi quindi di dedi-carmici anche io, concentrandomi sul-l’angiogienesi, ovvero sulla ricrea-zione di vasi sanguigni in zone delcuore dove non ve ne erano più.” con-tinua “Tutto era nato da un deside-rio di sapere, scaturito a sua volta dauna esigenza clinica, che col tempo miha portato a scegliere un vero eproprio nuovo percorso per la miavita professionale.” Da allora infat-ti il professor Pompilio raccontacome “Oggi lavoro qui al Mon-zino a capo di un team di quin-dici persone, sviluppando la ri-cerca sulle staminali grazie ad unfinanziamento del Ministero del-la Salute nell’ambito della ricer-ca finalizzata e divido equamenteil mio tempo tra la ricerca e l’atti-vità in sala operatoria. Una situazioneche all’inizio della carriera non ave-vo davvero messo in conto”.La sperimentazione della cellula sta-minale CD133+, questo il nomeesatto, ha oggi già passato la fase invitro e quindi quella sui piccoli ani-mali. L’obiettivo ora è verificare, at-traverso studi controllati, se l’utiliz-zazione di cellule progenitrici mi-dollari, cioè prelevate dal sanguedel midollo osseo dello stesso pa-ziente, sia in grado di attenuare o ad-dirittura far regredire l’ischemia inpazienti portatori di scompenso car-diaco refrattario alle terapie con-venzionali. “Dopo aver affrontato laprima parte sperimentale in labora-torio, abbiamo deciso che i dati rac-colti erano sufficienti per portare l’usodella cellula ai pazienti” ha raccontato

Pompilio sottolineando l’assolutanovità della procedura attuata “Sia-mo gli unici in Italia, qui a Milanopresso il centro Monzino, ad aver por-tato in clinica un tipo cellulare stu-diato in un laboratorio autorizzato aprodurre cellule a uso clinico”. Perrealizzare questa sperimentazioneinfatti, il professor Pompilio ed il suoteam si sono avvalsi di cellule sta-minali prelevate e selezionate tramitesistema di Good ManufacturingPractice (GMP) lavorando insieme alLaboratorio di Terapia CellulareStefano Ver-ri del SanGerar-do di

Monza. “Attraverso il co-mitato etico del Mon-zino è stato deciso in una prima fasedi trattare solo i pazienti al terminedel loro percorso terapeutico, quellicioè che non potevano essere curatidiversamente.” ha quindi continuatoa raccontare il medico, sottolinean-do come dopo la caratterizzazionesperimentale il suo gruppo di ricer-catori abbia sviluppato la seconda fasedella sperimentazione portando atestare l’ipotesi terapeutica espressasolamente su pazienti individuaticome estremamente gravi “Grazie al-l’utilizzo di queste cellule c’è stato un

miglioramento del 70% dell’ischemiamiocardica degli stessi. Abbiamoquindi costruito un dossier speri-mentale clinico, ottenendo l’autoriz-zazione a procedere per uno studio ditipo controllato valutando ipotesi esicurezza del trattamento. Ovvero l’ef-ficacia preliminare.”La novità di questo studio si è peròrivelata duplice. Non solo la cura spe-rimentata ma anche il modo con cuiè stata sperimentata sono infatti as-solutamente innovative. “Da un latosi è introdotto per la prima volta l’usodi un prodotto cellulare sviluppato inlaboratorio e dall’altro l’applicazionedi questo stesso prodotto, ovvero lecellule staminali, è stata eseguitaattraverso un catetere inserito inun’arteria e spinto fino al cuore se-guendo lo stesso percorso del sanguecircolante. Operazione che ha per-messo di evitare tagli, con modalitàsimili a una coronarografia o un’an-gioplastica.” Grazie alla metodologiaapplicata dal professor Pompilio, lestaminali vengono infatti iniettate nel-la zona da riparare e vanno ad im-pregnare il tessuto ischemico da ri-vitalizzare. “Abbiamo trattato almomento tre pazienti e arriveremoa trattarne tra i dieci ed i quindicimassimo” spiega ancora Pompilio“ il trial è cominciato da pochi mesi

e per ora procede tutto regolarmente.Adesso lo studio prevede un controlloa 6 mesi della severità dell’ ischemiarispetto alla fase preoperatoria.” Alladomanda sui tempi per passare dal-la sperimentazione ad una praticastandard, in ospedale sui pazienti, ilprofessore allarga le braccia “ Tuttodipende dai fondi. Questa ricercanon è sponsorizzata dall’industria madal solo Ministero della Salute nel-l’ambito della ricerca finalizzata.Questo non ci permette di bruciarele tappe, certo, ma sono comunque fi-ducioso. Ragionevolmente dovrem-mo concludere la nostra ricerca edavere risultati nel giro di cinqueanni. Poi vedremo che cosa ci riser-verà questa avventura di ricerca”.

Fernanda Snaiderbaur

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Quando ero studente delquinto anno della Fa-coltà di Medicina e Chi-rurgia frequentavocome interno la Clinica

Medica allora diretta dal prof.Luigi Villa, uno dei più il-lustri professori di queitempi anche in campointernazionale.Ricordo che le lezioniche, tre volte la setti-mana, il professore tene-va personalmente agli stu-denti riguardavano solitamente uncaso clinico dal quale partire per poiillustrare una specifica patologia.Compito dello studente interno eraquello di raccogliere in maniera pun-tuale e completa la storia clinica(l’anamnesi appunto) del paziente og-getto della lezione, ovviamente con lasupervisione di un medico struttura-to della Clinica Medica. Mi ricordo chetale compito comportava un lavoro in-tenso di almeno una intera mattinatacon non poca fatica e non pochi timo-ri di incorrere nei rimbrotti e nelle la-vate di capo del Direttore nel caso laraccolta dell’anamnesi risultasse in-completa o imprecisa. Allora ritene-vamo, noi studenti e specializzandi, chetale compito fosse puramente accade-mico, noioso e in fondo poco utile. Solodopo anni di esperienza mi sono resoconto che la raccolta di una anamne-si precisa e il più possibile completafosse il vero primo e fondamentale“esame” da cui partire per meglioindirizzare il percorso diagnosticosenza sprecare tempo prezioso in esa-

mi generici e pocogiustificati dal quadro cli-

nico. Il richiedere esami anche co-stosi “sparando nel mucchio “ nellasperanza di avere delle risposte utilialla diagnosi ed alla prognosi di unaeventuale malattia è infatti il modomeno utile e talora fuorviante per rag-giungere lo scopo.Ma in cosa consiste l’anamnesi: è laracconta delle notizie riguardanti lastoria clinica dei familiari del soggettoin esame (anamnesi familiare) , dellosviluppo psico-fisico, delle abitudini ali-mentari e voluttuarie ( anamnesi fi-siologica) , delle eventuali malattie edinterventi chirurgici occorsi al sog-getto negli anni ( anamnesi patologi-ca remota) ed infine ai disturbi accu-sati dal paziente nel momento della vi-sita medica ( anamnesi patologicaprossima).Perché è importante l’anamnesi fa-miliare. Negli ultimi decenni si è os-servato come molte malattie si pre-sentino in maniera più frequente ingruppi familiari rispetto ad altri. Noitutti riceviamo da ciascuno dei nostrigenitori il 50 % dei caratteri (geni) cherenderanno unica la nuova persona, ca-

L’ANAMNESIIl primo ed indispensabile «esame»

per un corretto approccio alle malattie

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ratteri somatici quali la struttura ge-nerale del nostro organismo, il colo-re degli occhi e dei capelli ecc. , e in par-te quelli psicologici per cui un indi-viduo è meglio portato verso la ma-nualità o la introspezione. Questi ca-ratteri ovviamente sono poi influenzatidall’ambiente in cui si vive e si cresce,dalle abitudini alimentari, sociali, dal-l’educazione e dalla cultura della po-polazione di appartenenza . Tra le al-tre molte eredità genetiche però pos-siamo ricevere dai nostri genitori an-che delle predisposizioni “negative”come la predisposizione ad una de-terminata malattia o, in casi più seve-ri, la malattia stessa a trasmissione ge-netica. Vanno però distinte le malat-tie ereditarie vere e proprie legate alpatrimonio genetico da quelle conge-nite legate a modificazioni occasiona-li di alcuni geni (mutazioni) legate afattori non ereditari come nel caso del-la sindrome di Down in cui si ritrovaun cromosoma 21 in più (Trisomia 21),in un terzo dei casi di provenienza pa-terna.La trasmissione può essere limitata aduna maggiore predisposizione ad am-malare di alcune malattie in presen-za di fattori precipitanti. E’ noto chei discendenti diretti di familiari chehanno sofferto ad esempio di un infartomiocardico o comunque di una formadi malattia aterosclerotica interes-sante il cuore o le arterie di vari di-stretti corporei (cerebrale, renale, ecc)sono più facilmente colpiti dalle stes-se patologie se ad esempio hanno unaalimentazione scorretta, fumano, fan-no vita sedentaria, sono sovrappesoecc. Analoga osservazione è docu-mentata per il tumore polmonare . Siè infatti costatato che figli di sogget-ti morti per tumore polmonare, se fu-mano soprattutto con inizio in giova-ne età, hanno una alta probabilità di in-correre nella stessa malattia. Analogaconstatazione si è avuta per l’iperco-lesterolemia ed altri disturbi metabo-lici.La trasmissione diretta di malattie èora dimostrata per innumerevoli pa-tologie, soprattutto ora che le ricerche

scientifiche e lo sviluppo delle analisigenetiche hanno permesso di cono-scere ed approfondire meglio le cau-se e la genesi di innumerevoli malat-tie.Numerosissime sono le malattie atrasmissione diretta genitori –figli.Tra le più note possiamo ricordareemofilia, caratterizzata da disturbidella coagulazione del sangue, per cuiil bimbo malato è ad alto rischio diemorragie anche fatali. Questa malattiache ha influenzato anche la storia deiRomanoff, zar della Russia nel perio-do precedente la rivoluzione bolscevica,è caratterizzata dalla carenza di un fat-tore della coagulazione (fattore VIIIo del fattore IX nel 20% dei casi) permutazioni multiple dei geni predispostialla coagulazione del sangue . Di que-sta malattia sono portatrici sane le ma-dri e il 50 % delle figlie possono esse-re a loro volta portatrici della altera-zione genetica. La malattia però si puòmanifestare nel 50 % dei figli ma-schi. In presenza di una storiafamiliare di emofilia è quindiimportante non solo pren-derne atto, ma per ogni don-na di queste famiglie primadi generare altri figli saràopportuno esaminare ilDNA per accertare sesono o meno portatricidi tale alterazione cro-mosomica. Altre ma-lattie del sangue hannouna genesi geneticaereditaria, tra questel’anemia mediterraneao talassemia, così chia-mata perché presentein modo particolare nel-le popolazioni del Me-diterraneo tra cui l’Italia.In questo caso vi è una ri-duzione congenita ereditaria dellasintesi della emoglobina del sangue eda una produzione di globuli rossi (eri-tropoiesi) alterata. I globuli rossi diquesta anemia risultano alterati nel-la forma (falciformi) e molto fragili. E’questa un’anemia cronica ed eredita-ria in cui se solo uno dei genitori è por-

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tatore della alterazione genetica il fi-glio ne soffrirà in modo discreto,mentre se ambedue i genitori sonoportatori del difetto genetico la ma-lattia sarà manifesta coi sintomi ca-ratteristici. Anche in questo caso unadiagnosi genetica prematrimonialein soggetti con storia familiare dianemia potrà evidenziare nei singoli lapresenza o meno del carattere gene-tico avverso e quindi consigliare la con-dotta più opportuna. Le malattie di origine genetica ed ere-ditaria rappresentano ora un numeroassai elevato e interessano in praticaogni organo; il cuore(cardiomiopatiaipertrofica, sindrome di Brugada, sin-drome del QTc lungo ecc), il connet-tivo come ad esempio osteogenesiimperfetta caratterizzata da ossa fra-gili, articolazioni ipomobili e facili allalussazione, l’intestino come nel caso delmegacolon congenito eccDa queste poche note si può capirequale importanza abbia un’anamnesifamiliare attentamente raccolta e ri-

ferita al curante.L’anamnesi fisiologica ha

un’importanza soprattuttoper evidenziare fattori“esterni” che possonoinfluenzare la predispo-

sizio-ne ge-

n e t i c aalle malat-

tie, come nelcaso del fumodi sigaretta cherappresentauno deim a g g i o r ifattori di ri-schio nei ri-guardi delle

p a t o l o g i ecroniche a carico

dell’apparato respi-ratorio (tumore polmo-

nare e bronchiale, bronchiticroniche, insufficienza respi-ratoria cronica ecc) e cardio-vascolare (infarto miocardico ecardiopatia ischemica in gene-

re, ictus cerebrale ecc ) o l’abuso di al-colici con conseguenti disturbi a caricosia del fegato che del cuore e del si-stema nervoso. Molte volte abbiamoriferito dell’influenza di questi fatto-ri di rischio nella descrizione di nu-merose malattie.Il riferire in modo preciso delle even-tuali malattie ed interventi chirurgi-ci da ciascuno di noi subiti nel propriopassato può aiutare ad orientare il me-dico nel caso di nuovi disturbi. Indi-spensabile è il riferire quali farmaci sistiano assumendo e se si fosse allergiciad essi, ma anche ad alcune sostanzebiologiche o chimiche e alle punture diinsetti.In caso di visita medica per la presenzadi sintomi soggettivi che possono in-dicare la presenza di una nuova ma-lattia, la precisione nella descrizionedegli stessi, quando e da quanto tem-po sono presenti, come si manifesta-no, quanto durano, che caratteristichepresentano, è una guida indispensabileper indirizzare verso una diagnosi. Laprecisione nella descrizione dei sin-tomi, accanto al riscontro obiettivo ri-cavato dalla visita corporale da par-te del medico potranno meglio indi-rizzare quali siano gli esami stru-mentali più opportuni come gli esa-mi di laboratorio indirizzati ad un par-ticolare organo o funzione, gli esamistrumentali che caso per caso sem-breranno più opportuni, come l’elet-trocardiogramma nei casi sospetti car-diologici, una radiografia toracica nelcaso di sospetto processo infiamma-torio polmonare eccetera. Dai risul-tati di questi primi esami, tra i più sem-plici, ma non per questo meno utili, sipotrà poi passare ad esami più com-plessi qualora il sospetto clinico ed irisultati dei primi accertamenti lo ri-chiedano.Per tutti quanti un consiglio utile, quel-lo di tenere pronta una anamnesi fa-miliare, fisiologica, comportamentalee patologica remota costantemente ag-giornata che, soprattutto in caso di ur-genza, potrà risultare di estrema uti-lità e talora salvare una vita.

Dott. Gaetano Bianchi

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L’eterntà è il sogno dell’uo-mo e da secoli la scienza sispende nella ricerca dinuove medicine, tecniche,strumenti e metodi che

possano, se non far vivere per sempre,almeno far vivere il più a lungo pos-sibile e in buona salute. Ricerche,condotte in diverse aree geografiche,studiano le popolazioni più longeve percarpirne i segreti. Cosa avranno maiin comune questi popoli?

IN GIRO PER IL MONDOA CACCIA DI CENTENARINel mondo esistono diverse zone incui gli abitanti vivono sorprenden-temente più a lungo e più in saluteche in altre parti del pianeta. Ad Okinawa, in Giappone c’è un an-tico detto: “A 70 anni sei un bambi-no, a 80 un adolescente, e a 90, se gliantenati ti invitano a raggiungerli inparadiso, chiedi loro di aspettarti finoai 100: a quell’età ti porrai nuova-mente il problema.» Okinawa è uno dei posti in cui la gen-te vive di più ma non è l’unico. Nelmondo esistono diverse aree di lon-gevità. Anche in Italia ci sono luoghiin cui gli abitanti godono di una lun-ga aspettativa di vita: sono in Sar-degna, a Ovodda in provincia diNuoro e in Sicilia, sui Monti Sicani.

È TUTTA UNA QUESTIONE DI GENETICA?Certo che avere una buona salute e vi-vere molto è anche una questione digenetica, ma una buona parte dei fat-tori genetici possono essere modifi-cati da quello che mangiamo. E’ pro-prio vero che siamo fatti di quello chemangiamo: gli alimenti contengonole stesse sostanze che compongonol’organismo e il consumo di alcunicibi, rispetto ad altri, può avere gran-de influenza sulla nostra salute, tan-to che si ipotizza che i nutrienti e icomponenti dei cibi possano, addi-rittura, influenzare il dna delle celluleumane e favorire o inibire lo svilup-po di vari tipi di malattie degenera-tive e anche alcuni tipi di tumore. Unbasso apporto di proteine animali, peresempio, puo’ modificare una serie diprocessi dell’organismo e modificareil patrimonio genetico in modo da fa-vorire la longevità.

L’IMPORTANZA DI UNA DIETA SANAAd Okinawa, gli ultracentenari che viabitano sono meno colpiti dalle ma-lattie degenerative che più affliggonogli altri paesi come le malattie car-diache e cerebro vascolari, l’obesità, itumori ormone-dipendenti e i tumo-ri al colon. Il segreto della longevitàdi Okinawa sta nello stile di vita e in

La fontedell’eternagiovinezza

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una dieta a base di alimenti salutari epoco calorici come cereali, soia, pesce,verdura, frutta, tè, spezie ed erbearomatiche. La dieta di Okinawa hamolto in comune con altri modelli ali-mentari sani, tra cui la tradizionaledieta mediterranea e la dieta DASH( un modello di dieta simile a quellamediterranea ma con meno sodio, usa-ta per combattere la pressione alta).In generale, le caratteristiche im-portanti comuni di queste diete sono:elevato apporto di verdura, frutta ecarboidrati non raffinati, assunzionemoderata di proteine, fornite soprat-tutto da legumi, pesce e carni magrecome fonti, e un contenuto di grassisani (più elevato in grassi insaturicome quelli del pesce e dell’olio di oli-va, rispetto ai grassi saturi comequelli di burro, panna e strutto). Ladieta mediterranea contribuisce si-curamente a una migliore salute e auna migliore qualità della vita. Unadieta bassa di proteine e ricca di frut-ta e verdura, come quella mediterra-nea, influisce positivamente sulla sa-lute, riducendo l’infiammazione, ot-timizzando il colesterolo e altri im-portanti fattori di rischio di malattielegati all’età.

PER RIMANERE GIOVANIFrutta, verdura, pesce e legumi sono

elementi importanti che, nelle giustequantità, permettono non solo dimantenere un buono stato di salutema anche di conservare un aspettogiovane. L’invecchiamento della pel-le, la perdita di tono e la comparsa dirughe possono essere contrastati daun programma alimentare control’infiammazione cellulare e da un’at-tivita’ fisica regolare. Frutta, theverde e verdure contengono nume-rose sostanze antiossidanti che sonoin grado di fermare l’infiammazione,causa del danno cellulare, che sta allabase dei processi di invecchiamento.Alcuni vegetali come ribes, pepero-ni, kiwi, agrumi, pomodori, rucola,lattuga, spinaci e radicchio verdehanno anche un’alta percentuale divitamina C che, oltre a contrastare leossidazioni, aiuta a combattere l’in-vecchiamento e la perdita di elasticitàdella pelle, perché favorisce la for-mazione del collagene e protegge dal-la fragilità capillare. Gli alimentiproteici come il pesce e i legumi, per-mettono di soddisfare il fabbisognodi proteine che contribuiscono altono muscolare e all’elasticità dellapelle. I legumi e, in particolare, lasoia, pur essendo alimenti vegetali,sono molto ricchi di proteine e pos-sono sostituire la carne o il pesce . Gliacidi grassi della serie omega 3,

LE REGOLE CHE AIUTANO AVIVERE A LUNGO

1.NONFUMARE

Il fumo è ben noto per essere laprincipale causa evitabile di morte emalattie croniche in Europa.

2.FAREATTIVITÀ FISICA

Sia durante il lavoro che durante iltempo libero, come camminare, faregiardinaggio, nuoto e danza.

3.MANTENEREIL GIUSTO PESO

Perché evitare di essere sottopeso oobesi e svolge un ruolo importantenel vivere una vita più lunga.

4.SEGUIRE UNA DIETA RICCADI VERDURA E FRUTTA

Perché aiuta a proteggerel’organismo dall’invecchiamento

5.MANTENERE VIVI GLIINTERESSI CULTURALI

Perchè avere interessi e/o una vitasociale si associa a una più lungaaspettativa di vita.

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presenti in alta percentuale nel sal-mone e nelle noci, aiutano a com-battere gli stati d’infiammazione,responsabile dell’invecchiamento del-la pelle e di numerose malattie.

POCHE CALORIE E MOLTI VEGETALISono ormai più di cinquanta anni chesi parla di dieta mediterranea e de-gli effetti benefici degli alimenti chela caratterizzano. Ancora oggi nu-merosi studi, in tutto il mondo, con-fermano il rapporto esistente trasalute del cuore e consumo di cerealiintegrali, frutta, verdura, pesce, oliodi oliva e piccole quantità di vino.Nuovi studi sembrano confermareanche il fatto che il consumo abitua-le dei cibi, tipici della dieta mediter-ranea, allontani anche il rischio di Al-zheimer. Una recente ricerca, con-dotta per 7 anni su 25 volontari sani,ha evidenziato che una dieta mode-ratamente ipocalorica, con alimentiricchi di fibre, vitamine e sali mine-rali, confrontata con una dieta da2500 kcalorie, a base di cibi raffina-ti, rallenta il fisiologico invecchia-mento del tessuto cardiaco che restapiù giovane di 10 – 15 anni.

MANGIARE MENOIl fabbisogno energetico di ogni in-dividuo dipende da vari fattori, tra cuil’età. Bambini e ragazzi consumanopiù energia per kg di peso corporeo,rispetto agli adulti, mentre gli anzianine consumano meno. Andando avan-ti con gli anni, si riduce il consumoenergetico per la perdita di massamuscolare che è quella che ha biso-gno di più calorie. A quaranta anni non ci si può più per-mettere di mangiare come si man-giava a venti, a meno che non si ab-bia un’attività fisica più intensa diquella che si aveva da giovani.Per evitare l’aumento di peso con glianni, è necessario avere uno stile divita attivo e seguire un’alimentazio-ne corretta, ricca di fibre, che ral-lentano l’assorbimento di zuccheri egrassi e aumentano il senso di sazietàe con pochi grassi, che sono i nu-

trienti che forniscono più energia.

COMBATTERE LA MALNUTRIZIONE DELL’ANZIANOI fattori che predicono la mortalitànei pazienti molto anziani, sono di-versi da quelli che interessano le per-sone di mezza età o quelle più gio-vani. Infatti, nell’età molto avanza-ta, la sopravvivenza dipende dallostato funzionale e nutrizionale più chedai fattori di rischio per le malattiecroniche degenerative come succedeper le persone più giovani. Il rischiodi malnutrizione aumenta durantel’invecchiamento a causa dei cam-biamenti fisiologici che si verificanonella composizione corporea a cau-sa dei problemi di salute e di quellisociali che affliggono le personemolto anziane. La malnutrizione ha importanti con-seguenze cliniche e funzionali, ed èstata anche associata a un peggiora-mento delle condizioni di salute del-l’anziano e ad un aumento dellamortalità. Un recentissimo studio ita-liano, pubblicato su una rivista di ge-rontologia, ha analizzato le misuredel braccio di un campione di cente-nari della provincia di Mantova, pervalutarne l’Indice di Massa Corpo-rea (un indice che permette di stabi-lire se una persona è normopeso, sot-topeso, sovrappeso o obesa) e lamassa muscolare. Lo studio ha con-cluso che gli anziani sottopeso ave-vano un rischio di morte, aumenta-to di 3 volte e mezzo, rispetto agli an-ziani non sottopeso.

LO STILE DI VITALa maggior parte delle persone an-ziane e in buona salute riferisce diavere attività fisiche quotidiane, saneabitudini alimentari, non fumare, e hafrequenti occasioni di socializzazio-ne. Questo significa che modificare lostile di vita aumentando l’attività fi-sica, modificando la dieta, e smet-tendo di fumare, potrebbero rap-presentare il “segreto della lungavita”.

Cristina Grande

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Li chiamano con unacronimo inglese, Neet(Not in Education,Employment or Trai-ning): sono i giovani

tra i 15 e i 29 anni che non sonoiscritti a scuola né all’universi-tà, che non lavorano e che nonseguono corsi di formazione oaggiornamento professionale.Nel nostro Paese sono oltredue milioni, il 21,2 per cento del-la popolazione nazionale di ri-ferimento: un esercito immobi-le di nuovi analfabeti lavorativiche ha perso il treno dell’istru-zione, che scivola verso i confi-ni del mercato occupazionale, edè a un passo dal diventare unadulto perduto o un fallito in-

vischiato nella disoccupazionestrutturale.

I DATIL’Isfol (informazioni statisticheper il lavoro) ha realizzato un’in-dagine sulla dispersione scolasticadegli adolescenti “Le dinamichedella dispersione formativa: dal-l’analisi dei percorsi di rischio allariattivazione delle reti di sup-porto” (giugno 2012). Dall’inda-gine è emerso che quasi il 20% deigiovani abbandona il percorso distudi prima di aver conseguito iltitolo, percentuale sensibilmen-te maggiore rispetto alla mediaeuropea. Una delle cause più ri-levanti dell’abbandono si rin-traccia nel percorso accidentato

ALI PER VOLAREPrevenzione alla dispersione scolastica

Fondazione IKAROS operanell’ambito dell’Istruzione e dellaFormazione Professionale, dellaFormazione Continua edell’Inserimento lavorativo. Intervienetrasversalmente nelle aree delDisagio e dello Svantaggio, dellaDispersione Scolastica, delSuccesso Formativo, oltre che dellaRicerca ed Innovazione. IKAROS opera nell’ambito dellaformazione con la consapevolezzache ogni processo educativo devecoinvolgere la persona nella suatotalità, puntando alla valorizzazionedelle risorse e dei talenti checiascuno porta con sé.

Informazioniwww.fondazioneikaros.org

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(bocciature già nella secondariadi primo grado o valutazionibasse ritenute non corrispon-denti alle aspettative) oppurenella confusione che denuncianosul loro futuro. Dalla ricerca emerge che su 179bocciati (su un campione di in-tervistati di 1500) 124 hanno ab-bandonato, 17 si sono iscrittialla IFP e 38 si sono iscritti allascuola superiore. Ciò vuol direche su 100 ragazzi bocciati allascuola secondaria di primo gra-do, il 69,2% è stato segnato a talpunto da non riuscire a conti-nuare gli studi. Gli studi sulla dispersione for-mativa segnalano il primo bien-nio dopo la scuola secondaria diprimo grado come quello mag-giormente a rischio di abbando-no. Successivamente sembra ri-dursi notevolmente il pericolo dinon conseguire una qualifica o undiploma, senza però mai scom-parire del tutto.

COSA SI INTENDEPER DISPERSIONESCOLASTICALa dispersione scolastica è un fe-nomeno complesso che com-prende in sé aspetti diversi e che

investe l’intero contesto scola-stico-formativo. La dispersionenon si identifica unicamente conl’abbandono della scuola, ma riu-nisce in sé un insieme di fenomeni- irregolarità nelle frequenze,ritardi, non ammissione all’annosuccessivo, ripetenze, interru-zioni - che possono sfociare nel-l’uscita anticipata dei ragazzi dalsistema scolastico, e in una con-seguente perdita di opportunitàdi crescita per i giovani e per tut-ta la società. Affrontare il feno-meno della dispersione scolasti-ca è divenuto una priorità inquesti ultimi anni sia a livello eu-ropeo che a livello nazionale.La media nazionale in Italia di chilascia la scuola, infatti, è del18,08%, la media più alta tra gliStati europei. Sono, quindi, ancoratroppi i ragazzi che abbandona-no la scuola ed in particolare neiprimi due anni degli istituti di se-condo grado dove vige la leggedell’obbligo di istruzione fino alcompimento del 16° anno di età.“Voi mi avete aiutato a rafforza-re le radici...i miei piedi, a soste-nermi da sola. Ero una ragazzache non riusciva ad esprimere lesue potenzialità e voi mi avete aiu-tato a stabilirmi...a farmi capire

Intervista a RRoberta Bergamaschicoordinatrice del corso; MMiriam Fumagallipsicologa; PPamela Volpi tutor dei percorsi

Tre laureate in psicologia, tre donne cheamano le sfide difficili e soprattutto amanoi ragazzi: sono loro le anime del progettoSFAm proposto da Fondazione Ikaros:“L’aspetto educativo - spiega lacoordinatrice Roberta Bergamaschi - èstato quello prevalente. Nostro obiettivoera il successo scolastico dei ragazzi, maquesto traguardo è stato raggiunto soloperchè prevalente è stata l’analisi di unintervento più ampio”.Quali i tratti caratterizzanti del vostro

intervento?“La complessità delle situazioni non ci hamai permesso di attuare degli interventistandard. Nella quasi totalità dei casi si èpartiti da un’ipotesi di intervento cheregolarmente è stata cambiata più volteattuando le strategie più opportune inbase alle necessità del singolo ragazzo”.Come si è sviluppata la didattica?“Abbiamo dotato i ragazzi di un IPadcome incentivo, il martedì era dedicato adattività collaterali come il judo che ci haaiutato a far lavorare l’intero gruppo sullagestione dell’aggressività, ognispiegazione è sempre partita dal concretoo da una visita a qualche realtà territoriale

Quale le parole chiave?“Mediazione ed educazione. Abbiamodovuto mediare con ciascuno dei nostriragazzi per raggiungere qualsiasi obiettivo,spesso alternandoci nelle vesti di “figurapaterna” e “figura materna” a seconda diciascuno di loro”.Come è stato possibile trovare il giustoequilibrio?“È necessario sempre mettersi in gioco,non essere mai autoreferenziali, porsisempre all’ascolto. La situazione diciascuno dei nostri ragazzi era moltocomplessa, qualsiasi piccola cosasuccedesse fuori dall’aula portava aconseguenze sul loro rendimento o sul

Fuori un brutto mondo, qui un’occasioneLo

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che devo andare avanti, a vederealtre sfumature nella mia vita, ainiziare una cosa e firnirla, acamminare più avanti, a vedermisempre forte...” testimonianzaSFA 2011-2012.

PROGETTO SFAIl Progetto SFA Minori è natonel 2011 da una sperimentazio-ne con la Regione Lombardia (di-rezione generale Famiglia , Con-ciliazione, Integrazione e Soli-darietà Sociale ) e si è sviluppa-to nell’arco di due anni conclu-dendosi a dicembre 2012. “È un progetto - spiega RobertaBergamaschi, coordinatore pres-so Fondazione Ikaros nella pro-vincia di Bergamo - che è stato ri-volto ad adolescenti dai 14 ai 18anni, in situazioni di disagio so-ciale che necessitavano di inter-venti e risposte personalizzate emirate alle necessità individuali.grazie ai quali sono stati seguiti100 ragazzi. Il contributo regio-nale è stato sufficiente per copriretutto il costo dell’attività”.I destinatari dell’intervento sonostati quei minori tra i 13 e i 18anni che, per diversi motivi, vi-vevano una situazione di disagioche manifestava difficoltà nel

portare a termine percorsi sco-lastici con risultati positivi, nel-l’assunzione di comportamentidevianti (atteggiamenti di bulli-smo, uso di sostanze, comporta-menti aggressivi, ecc.) e nella fra-gilità psicologica: “Ragazzi diquesto tipo - continua Bergama-schi - si trovano in una sorta diLimbo, hanno perso la speranzadi fare altro, la loro è una situa-zione pericolosa, rischiano con-cretamente di perdersi per sem-pre. In Italia la scuola ha una se-rie di criticità strutturali chenon permettono loro di trovareun ambiente entro il quale esse-re accettati e formati. La loro si-tuazione peggiora con il tempo ele bocciature, perchè già cosìproblematici si trovano grandi inclassi di piccoli, aumentano cosìi comportamenti devianti; l’al-ternativa è che siano letteral-mente buttati fuori ma anchequesta per loro non è una situa-zione positiva. So che è un’affer-mazione forte, ma condivisa inquesti anni anche con i ServiziSociali”.

OBIETTIVI DEL PROGETTOUno degli obiettivi principalidel progetto era quello di favorire

loro comportamento, dovevamo farcitrovare pronte”.Come vive un operatore il rapporto conragazzi così difficili?“Quello che si crea è un rapporto moltoforte. Stavano a scuola 12 ore asettimana e vedevano più noi dei lorogenitori, pur nel rispetto del ruoloeducativo si è creato grande affetto tranoi. Fiducia invece è nata con le famigliedei 3 ragazzi che ancora vivevano con igenitori, a volte è stato necessario soloporsi in una posizione d’ascolto: spessoho passato ore al telefono con un genitorepreoccupato, che si voleva sfogare;oppure abbiamo risposto ad una mammache non osava chiedere direttamente alfiglio come fosse andato l’esame ascuola. Sono stati mesi molto belli, ma

anche molto stancanti”.Come descriverebbe l’ambiente delcorso?“Mario, Ivan e Amedeo non hanno mailitigato tra loro e nonostante fossero statisegnalati come casi problematici nonhanno dato grossi problemi dicomportamento. Mario ad esempio erastato segnalato più volte per spaccio efurto, qui non ha mai toccato nullanonostante, volutamente, avessimolasciato in vista pc e materiale elettronico.È come se non avessero voluto fareentrare qui il mondo brutto che stava fuorie che li aspettava al ritorno a casa. Hannocapito che questa era la loro unicapossibilità di uscire da una condizione chenon gli piaceva”.C. E. Lo

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la creazione di una rete con i ser-vizi del territorio: “Si è cercato -continua Bergamaschi - di coin-volgere gli ambiti territoriali(uffici di piano) e i Comuni per ri-spondere ai bisogni dei singoliterritori. Il lavoro si è quindi svol-to prioritariamente in collabo-razione con gli operatori socialinella stesura di un progetto in-dividuale per ogni minore, indi-viduando insieme gli obiettivi ei rispettivi ambiti di intervento.Questo ha permesso di rispon-dere, ciascuno per le propriecompetenze, a tutti i bisogni te-nendo una linea di approccio co-mune definita in fase iniziale.Questa forte sinergia ha, quindi,permesso di intervenire con ef-ficacia nei momenti di “crisi” e ge-stire con coerenza le problema-tiche emerse.L’altra forte collaborazione èstata svolta con alcune Scuole delterritorio, o già conosciute da Ika-ros per altri progetti, o segnala-teci dai Servizi Sociali per i mi-nori in carico.Questa collaborazione è statafondamentale soprattutto per i ra-gazzi che hanno svolto il percorsodi supporto scolastico.”Tra il 2010 e il 2012 Ikaros ha ac-colto circa 100 ragazzi: “Prove-nienti da tutta la provincia -specifica ancora Bergamaschi - in-seriti in piccoli gruppi per il pe-riodo necessario a recuperaresul piano scolastico, seguire at-tività laboratoriali, di orienta-mento, di tirocinio”.

GLI ESITIAlcuni dei ragazzi hanno supe-rato l’anno presso la loro scuola,altri hanno sostenuto positiva-mente gli esami di Stato pressoil Centro Eda di Bergamo: “Perloro si trattava dell’ultima occa-sione scolastica, senza questaavrebbero rischiato di restareadulti ai margini. Nel progettosono stati convolti anche, e so-

prattutto, ragazzi di 16 anni peri quali si è puntato all’inserimentonel mondo del lavoro: “Il tiroci-nio di diversi mesi si è svoltopresso aziende, talvolta pressocooperative, ed è stato predomi-nante. È stato importante far ca-pire come la scuola sia diversa dalmondo del lavoro, quali siano ledifferenti richieste e le diverseaspettative. Si trattava di ragaz-zi terribili a scuola, ma che in am-bito lavorativo hanno dimostra-to capacità di collaborazione e per6 di loro è riuscito l’inserimentoin azienda”.

IL NUOVOE INNOVATIVO PROGETTONel dicembre del 2012 terminail finanziamento regionale e sul-la base dei positivi risultati rag-giunti, Ikaros compie una sceltacoraggiosa proponendosi ai Co-muni della provincia diretta-mente come fornitore di questoservizio: “Dopo qualche mese distudio per organizzare la nuovaattività- prosegue Bergamaschi -abbiamo proseguito dedicando-ci sempre ai ragazzi della fasciad’età da noi seguita tradizional-mente. È stata una sfida, perchèquesta volta erano direttamentei Comuni di residenza dei ragaz-zi a sostenere l’intervento inloro favore. Questa è stata la com-ponente innovativa del lavoro,possibile grazie alla sensibilità eall’attenzione di persone e isti-tuzioni”. Il progetto si è dunqueconcentrato su 6 adolescenti: “Illavoro è stato circostritto, per-sonalizzato, approfondito. Tuttierano in difficoltà, o lo erano sta-ti, entro il sistema scolastico. Ilnostro compito è stato quello diaccompagnarli verso una pro-mozione, o addirittura il conse-guimento della licenza media inaccordo con gli Istituti di riferi-mento, di proporre loro attivitàdi alternanza scuola-scuola, diorientamento al lavoro”.

Le frasi dei ragazziNel dicembre 2012 è statoorganizzato un incontro dichiusura nelle diverse sedi alquale sono stati invitati tutti iragazzi che hanno partecipato alProgetto. Nella sede di Bergamoi ragazzi sono stati suddivisi indiversi gruppi a causa dellanumerosità di partecipanti. Ai ragazzi è stata data lapossibilità di scegliereun’immagine tra quelle a loroproposte e l’indicazione diraccontare attraverso l’immaginescelta il loro percorso a Ikaros.

Ho scelto questa immagine perché voimi avete aiutato a rafforzare le mieradici, i miei piedi... a sostenermi da

sola. Ero una ragazza che nonriusciva ad esprimere le sue

potenzialità e voi mi avete aiutato astabilirmi... a farmi capire che devo

andare avanti, a veder altresfumature nella mia vita, a iniziareuna cosa e finirla, a camminare piùavanti, a vedermi sempre forte. Misono anche divertita. Ho fatto molte

amicizie che ancora ho oggi... mi sonotrovata molto bene nel posto ditirocinio che mi avete trovato e

quest’anno andrò ancora lì. Spero dicontinuare ad arrivare alla miavetta. Una volta queste due manierano vuote, poi ho iniziato a fare

qualcosa... sempre di più... ed ècresciuta una pianta... io ci ho messo

l’impegno... quello che prima nonfacevo e dovevo fare...

E adesso si può arrivare a qualcosadi soddisfacente. Ho preso l’immaginedell’albero perché mi rappresenta. Èla mia storia... sono partito da un

seme e poi sono sbocciato...

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L’IMPORTANZADELLA RETE EDUCATIVA“Per la buona riuscita delle atti-vità è stato fondamentale creareun rapporto basato sul dialogocontinuo con la famiglia, con iServizi Sociali e con la Scuolacondividendo regole e obiettivi.Senza una rete capace di colla-borare, qualsiasi intervento sa-rebbe stato fallimentare. La par-te didattica si è dovuta sposarecon quella educativa, a noi èspettato il compito di fare da pun-to di riferimento”.

LE MODALITÀDELL’INTERVENTOAllontanata la tradizionale re-altà scolastica i 6 ragazzi coin-volti nel nuovo progetto si sonotrovati n una realtà formativa

molto diversa: “È stato neces-sario evitare un metodo didat-tico “puro”, l’approccio è semprestato concreto, il focus è stato larealtà. Ad esempio l’incontro con igiocatori dell’Atalanta è statoutile per svolgere un interes-sante lavoro sulla legalità; op-pure 10 lezioni di Judo sono sta-te occasione per imparare a ge-stire e controllare l’aggressivi-tà”.

GLI ESITI“Con 5 dei 6 ragazzi (di cui rac-contiamo le storie nel box a par-te) si è costruito un rapporto po-stivo di scambio, crescita, ri-spetto. Sono state poste le basi peraccompagnare la costruzione diadulti meno infelici”.

Clelia EpisI nomi dei ragazzi sono di fantasia e i luoghi indicatisono volutamente tratteggiati inmodo vago perchè i protagonistidi queste storie sono tuttiminorenni.

Mario, 15 anni, italiano

Mario vive in un Comunedella provincia berga-masca, ha una situa-

zione difficile: i genitori sono se-parati, vive con il papà che fa fa-tica a gestirlo, ha già 15 anni edè ancora alla scuola media ep-pure rischia un’altra bocciatura.La sua è una storia difficile, lasua strada è fatta di luci e om-

bre... si sta perdendo, ma ha unafortuna: quella di vivere in unodei comuni che in provincia è trai più attenti e sensibili alle te-matiche del disagio.“Il Comune ha deciso di contattarciperchè Mario aveva la necessità diconseguire la Licenza di 3 Media.Prima di essere indirizzato a noi- racconta Roberta Bergama-schi, coordinatrice del progettoper Fondazione Ikaros - era sta-to affiancato più volte da assistentieducatori, ma qualsiasi tentativo erafallito”.Un tipo difficile, Mario, moltodifficile: “È stato uno dei casi piùduri tra quelli seguiti, perchè il suocarattere oppositivo, per lui le re-

È stato un salto... per la scuola, per latesta... le cose le faccio diversamente.

Non avrei pensato di durare cosìtanto, sono riuscita a studiare, tenere

gli impegni con la palestra... la rincorsa è stata ritrovare

la voglia di fare.

È stata un’opportunità che mi avetedato per trovare un lavoro e per non

stare a casa a far niente. Ho iniziato a crescere un po’ con voi,grazie anche ai colloqui che ho fattocon la tutor, mi hai dato un aiuto a

crescere e a lasciare un po’ i problemidegli altri alle spalle.

A pensare un po’ a me... Non sapevoda dove partire, ero indeciso se

continuare o fermarmi. E ho scelto diricominciare. Forse non usavoabbastanza le mie capacità...

La mia vita è come la musica ad altie bassi come le note... le note sono i

momenti, le persone. Le persone sono le tutor e tutte le persone che mi vogliono bene.

NEETSTORIE TRA NOI5 racconti dalla Lombardia

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gole non esistevano, quando deci-deva di non fare nulla era impos-sibile farlo lavorare”.Come si lavora con un ragazzodi questo tipo?“Abbiamo dovuto mediare, con-quistarci la sua fiducia. Mario hasuperato gli esami e persino l’assi-stente sociale del Comune di pro-venienza ne è rimasta sorpresa.Siamo riusciti a fare da collettoretra le varie entità che lo circonda-vano. Fondamentale è risultatal’attività trasversale tra area di-dattica, area educativa, area diorientamento.Ci siamo messi inrelazione con i diversi partnerdella rete educativa, siamo pianpiano riusciti a costruire qualcosache ha portato a riflessi positivi sul-la sua vita. Ora si è iscrititto alleScuole Superiore, ad un istituto chenon ci sembrava adatto per lui, maha scelto in autonomia al terminedi un percorso lungo e per Mariocompiere una scelta è stata la con-quista più grande”.

Ivan, 13 anni

“Ivan - racconta ancora la co-ordinatrice Roberta Ber-gamaschi - stava rifacendo

la prima media, ma rischiava unaseconda bocciatura. Siamo riusci-ti ad ottenere la delega dell’educa-zione parentale, ma sullo sfondol’istituzione scolastica doveva re-stare. Dopo lunghe trattative sia-mo riusciti ad ottenere che Ivan stes-se a scuola un giorno a settimana,per riuscire preservare il pianodell’integrazione”.Ivan ha problemi cognitivi e fa-tica ad apprendere.“Una situazione drammatica frut-to delle difficoltà comportamenta-li segnalate dalla scuola (ma mairiscontrate da noi), di quelle di ap-prendimento, di quelle di integra-zione entro il sistema educativo sco-lastico.Non voleva mai leggere, olo faceva con estrema fatica, avevadifficoltà in ogni materia. Abbia-mo attuato una semplificazione

dei contenuti delle materie, è statointegrato nel nostro piccolo grup-po di studenti e ha retto il ritmo: hapassato l’anno e ha svolto un buonpercorso. Ha partecipato con suc-cesso anche alle attività extrasco-lastiche”.Cosa succederà di lui l’annoprossimo?“Il Comune ha compreso chesenza supporto sarebbe sta-to un fallito, così si è ri-servato la possibilità dipoter confermare l’in-tervento, si valuteràdopo l’inizio dell’an-no scolastico”.

Amedeo, 14 anni, italiano

Amedeo èun ragazzibello, bellissi-

mo simile ad un ange-lo che, però non vive inParadiso. Una bocciatura interza media, un rapporto con-trastato con la scuola, una fa-miglia problematica con ge-nitori separati.Il contatto con Amedeo ègiunto direttamente a genna-io 2014, quando l’anno scola-stico era ormai avanzato: “È ar-rivato da noi tardi, molto tardi -prosegue Roberta Bergama-schi - e ci siamo trovati in diffi-coltà sia perchè la situazione eraormai avanzata. Amedeo eratroppo piccolo per essere indiriz-zato presso il Centro Eda e sia-mo stati costretti a tenere la scuo-la media del suo paese d’originecome referente: è stata una lotta du-rissima”.Nel percorso svolto con Amedeoil sostegno scolastico è stato im-portante, ma gli operatori han-no dovuto affrontare proble-matiche di grande complessi-tà.Passato e presente da can-cellare, ma la voglia di guarda-re al futuro: “Amedeo ha scelto di

Poco tempo fa ero ferma... poi hoscelto una strada, quella della

felicità... non avevo più tempo, e orasono arrivata a metà strada... ho fatto

amicizie... ho conosciuto me stessa. Io ho scelto l’immagine dove c’è il

cartello con l’indicazione “Happy”perché spero di raggiungere presto

questa metaHo scelto questa foto perché c’è un

cartello con l’indicazione “Happy”,felicità. Credo che sia la meta cheogni persona voglia raggiungere.

Ho scelto questa foto perché quandosono partita ero in un tunnel buio e

non sapevo cosa fare. Sono stataaccompagnata e alla fine ho raggiunto

il mio obiettivo. Ho iniziato alavorare, ho ripreso scuola. Mia

mamma è contenta anche se non me lodice... purtroppo non mi dice sono

orgogliosa di te ma me lo fa capire inpiccoli gesti. Finalmente vedo un po’

di felicità dopo tanto tempo.

Io voglio girare il mondo per vedere ilmare, voglio vedere tutto il mare.

Però non riesco... non ho la barca...voglio vedere i pesci da dentro... non

voglio vedere nessuno, solo io e ilmare. E vorrei una bussola... senza

quella non saprei dove andare.

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iscriversi alle Scuole Supe-riori: è intelligente e se il rap-porto con la famiglia verràgestito nel modo più oppor-tuno, potrà farcela anche inambiente scolastico”.

Matteo, 17 anni, italiano

La sua nonè unastoria a

lieto fine: “Adaprile lo ab-biamo presoin caricodiretta-m e n t ed a iServiziSociali,

è venutopochissi-

mo, la suapurtroppo era

una situazioneirreparabile. Mat-teo era agitato, tal-volta quasi violento.Abbiamo provatoogni strada, ma luiha sempre rifiutatola relazione, non hamai dimostrato in-teresse di sorta. Lasua presenza co-minciava a dareproblemi anche nelgruppo costruito

nei mesi prece-denti, siamo staticostretti a non oc-cuparcene più an-che per preservarequanto conquista-to dagli altri. Èdifficle dirlo, ma

non avevamoaltra stra-da. Ha la-sciato, nelnostro la-

voro pur-troppo succede”.

Carlo, 16 anni, italiano

“Carlo è entratro a farparte del progettoSFAm nel marzo

2014, Carlo è stato accompagna-to in un percorso che lo ha educa-to a gestire la sua emotività, lui haaccettato di farlo. Ha frequentatocon impegno, anche le attività tra-sversali, era chiaro che non avreb-be recuperato sotto il profilo scola-stico ma siamo riusciti a stabiliz-zarlo. Anche con lui abbiamo at-tuato un’attività di orientamento,tappa decisiva per la progettazio-ne di se stessi”. “Mentre Carlo era da noi ha pre-so il via il progetto Lombardia Plus(percorsi professionalizzanti per ra-gazzi a rischio di dispersione sco-lastica), così lo abbiamo iscritto adun corso di pasticceria presso unadelle nostre scuole. In passato ave-va seguito il corso di studi per di-ventare cuoco, così ci è sembrato chequesto potesse essere una soluzioneopportuna”.Carlo ha accettato, senza sce-gliere, così come sempre ha fat-to: “Sta frequentando e questo è giàun successo, la situazione si è asse-stata, farà il tirocinio in una real-tà comprensiva capace di entrare inrelazione con lui, poi si vedrà”.

5 storie e 10 mesi intensi, con-ferma Roberta Bergamaschi:“Ogni momento è stato intensoper ciascuno di noi. Si è creato, no-nostante le difficoltà, un gruppo bel-lo e collaborativo. I ragazzi sisono trovati a contatto con adultigiovani, in un contesto informale ediverso dalla scuola che però riu-sciva essere punto di riferimentoeducativo. So che dalla mancanzadell’attività soffriranno soprattut-to Ivan e Amedeo perchè sono piùsoli rispetto agli altri, non hannoamicizie significative. Il futuro ènelle mani delle istituzioni com-petenti”.

C. E.

Ero da solo... e siete arrivati voi.Sono partito da solo senza nessunovicino e con quasi tutti contro e pian

piano ho superato le dune alte ebasse... ci sono stati momenti in cui

ero felice e altri in cui ero triste. La mia tutor mi ha aiutato in tutti icasi, con i miei genitori, con la scuola,

con l’assistente sociale. Oltre non si vede... è il futuro. Ora sto

andando dritto poi si vedrà.

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“Per prima cosa, natu-ralmente, ringraziochi generosamente hasegnalato il mio nomeper un possibile rico-

noscimento alla mia attività e al mio im-pegno. Ed altrettanto naturalmente rin-grazio le responsabili del premio «Lau-ra Bianchini» per avermi concesso l’ono-re di essere riconosciuta come degna di at-tenzione”. Con queste parole RosariaPrandini, vice presidente della sezioneprovinciale dell’AIDO di Brescia, haesordito il 9 maggio scorso parlandodal palco dell’Aula Magna dell’Uni-versità Cattolica del Sacro Cuore diBrescia, luogo dove è stata insignitadel premio Laura Bianchini, un rico-noscimento giunto alla sua 25maedizione e dedicato alle donne bre-sciane.“Non è necessario essere scienziati o fi-losofi per rendersi conto che c’è nella na-tura umana un drammatico mistero,ovvero quello della compresenza del-l’istinto di sopraffazione o di cinica in-differenza insieme con il richiamo a com-prendere ad aiutare chi di aiuto ha bi-sogno - ha continuato la Prandini -.Perché qualcuno obbedisca al primo cor-no di questo dilemma e perché invece qual-

cun’altro si lasci guidare in modo oppo-sto è un quesito cui non è facile rispon-dere. Per conto mio penso che sia una for-tuna essere avvolti e coinvolti dal biso-gno di aiutare chi di aiuto ha bisogno. Enon so se sia per merito o se per istintoche si è portati a fare questa scelta. Mi fapiacere essere stata considerata degna dimerito e quindi avere la possibilità di es-sere compresente ad una iniziativa comequesta, il premio Laura Bianchini. Nu-tro infatti forte convinzione e fiducia chequeste pubbliche cerimonie siano di sti-molo, dando una risposta positiva al ri-chiamo che ci viene dal profondo della no-stra natura. Un richiamo il cui ascolto èdecisivo, fondamento per il completorealizzarsi della nostra vita umana e ci-vile”.Il premio Laura Binchini è intitola-to all’omonima donna bresciana vis-suta tra il 1903 ed il 1983. Laureatain filosofia, insegnante e giornalista,durante la seconda guerra mondialeBinchini è stata partigiana e poimembro dell’Assemblea Costituentee deputata della Democrazia Cri-stiana. Il premio a lei dedicato è ri-volto alle donne bresciane di nascitao di adozione, come recita il testo uf-ficiale dell’organizzazione che necura l’assegnazione annuale, per ren-dere merito alle virtù umane e cri-stiane di quelle donne che si sono di-stinte in tutti i campi dell’agire, daquello familiare a quello sociale, ec-clesiale, artistico e politico passandoper quello lavorativo, culturale e so-cio assistenziale. Dalla sua istitu-zione, nel 1990, l’associazione cheelargisce il premio, il “Gruppo Pro-mozione Donna”, individua e premiaogni anno cinque donne. Ad oggi nesono state insignite 145, compresa ladottoressa Prandini che è stata pre-

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A Rosaria Prandini il premio Laura Bianchini

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miata con la motivazione dell’educa-re al dono. “Devo sinceramente confes-sare che lungo gli anni del mio impegnonon mi è mai nemmeno lontanamente ba-lenata l’idea che esso potesse essere oggettodi un pubblico riconoscimento . Quello cheho fatto l’ho fatto - credo di poter dire così- per una sorta di istinto, che mi ha sem-pre spinto a pensare che, per quanto pos-sibile, bisogna darsi da fare per aiutarechi si trovi in stato di bisogno”.Rosaria Prandini, una laurea in Bio-logia a Pavia e una carriera da inse-gnante nelle scuole superiori, è at-tualmente vicepresidente dell’AIDOprovinciale bresciana “Ormai sonopassati più di 25 anni da quando mi sonoaccostata all’Aido - ricorda - la primavolta fu nell’ 86. Da allora ho continuatoa collaborare e dal 2000 mi occupo pre-valentemente del settore scuola, per alcunianni ho anche organizzato quattro cor-si di formazione per coloro che vanno nel-le scuole a spiegare l’attività dell’AIDOed attualmente sono la referente AIDOprovinciale per questo settore nonchèmembro della commissione scuola AIDOa livello regionale”.Per spiegare la sua attuale attività nel-l’AIDO, la dottoressa Prandini rac-conta come “Ogni anno invio una let-tera a tutte le scuole della provincia diBrescia e ricordo ai referenti scolastici chelo Stato invita a collaborare per la dif-fusione della cultura della donazione.Quando trasmetto il testo inoltre, nemetto a conoscenza i presidenti dei grup-pi comunali Aido affinchè sollecitino aprendere in considerazione la proposta ilpreside o qualche insegnate conosciuto daloro personalmente. Gli incontri avven-gono di norma con i ragazzi di quintaelementare, seconda e terza media e poicon quelli delle scuole superiori, nor-malmente negli ultimi due anni di stu-dio. Raccolte le disponibilità per un in-contro con noi - spiega -, si individua-no i formatori disponibili e geografica-mente vicini ed a quel punto si procede.Quest’anno è stato chiesto anche di farel’incontro durante un’assemblea studen-tesca. Alle elementari, se è la prima vol-ta che l’AIDO entra in una scuola, vadopersonalmente ad conoscere gli inse-

BIBLIOTECA DELLA LEGALITÀLa motivazione al conferimento del premio “Laura Bianchini” alla professoressa RosariaPrandini è sicuramente legata dalla sua decennale attività di volontariato presso l’Aidobresciana ma l’occasione ha permesso anche di mettere in luce un altro aspetto dellavita sociale della Prandini che ha suscitato il pubblico encomio da parte della societàbresciana. Parliamo della Biblioteca della Legalità. “Tre anni fa una mia sorella, FrancaPrandini, è morta improvvisamente di tumore. Anche lei era una professoressa,lavorava presso la scuola media Kennedy e dedicava parte del suo tempo a gestire labiblioteca scolastica. Quando si era ammalata ed era chiaro che non sarebbe guarita,mi aveva confessato che sarebbe stato suo desiderio, una volta che lei non ci fossepiu’ stata, che parte dei suoi risparmi venisse utilizzata per creare qualcosa in grado diaiutare l’educazione dei ragazzi alla legalità ed alla cittadinanza” ricorda Prandini. Fucosi’ che prese forma la Biblioteca della Legalità “L’idea era di creare una bibliotecadedicata esplicitamente a questo obiettivo, lavorando a partire dalla stessa che leigestiva quando era in vita.” L’amore per i libri e la cultura era un sentimento che le duesorelle avevano condiviso per molti anni, da quando nel 1966 erano partite insiemealla volta di Firenze, divenendo parte di quella schiera di giovani che sarebbero statiricordati in futuro come Gli angeli del Fango1 “Nel 1966, mentre ero impegnata a Paviain università, a novembre partimmo insieme per Firenze colpita dall’alluvione edall’esondazione dell’Arno per salvare la Biblioteca Nazionale ed i suoi testi,un’esperienza bellissima e molto forte che nel tempo ha acquisito sempre piu’ senso,soprattutto se vista alla luce delle nostre scelte professionali e di vita”. La Bibliotecadella Legalità è stata inaugurata da don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera2, il28 maggio di quest’anno, data volutamente scelta dall’organizzazione perchècoincidente con il Quarantesimo anniversario della strage di Piazza della Loggia, segnodella precisa volontà di offrire alla città, proprio in quel giorno, un luogo ulteriore dimemoria e di impegno nella ricerca di verità e giustizia. “La Biblioteca della Legalità”, silegge in una nota ufficiale, “nasce per diffondere la cultura della legalità e della giustiziatra le giovani generazioni attraverso la promozione della lettura, nella convinzione che lestorie e le figure hanno un ruolo fondamentale nella comprensione della realtà e sonostrumenti indispensabili per costruire un immaginario che pone il senso civico alcentro.” Attualmente, nel panorama del nostro Paese, questo luogo rappresenta ununicum nel suo genere “Non esiste in Italia una biblioteca come questa, dedicataesclusivamente a mafia, ‘ndrangheta e legalità” spiega infatti Prandini che però non sinasconde le difficoltà di un progetto come questo“ il lavoro da fare è ancora molto mal’obiettivo è di creare un centro di incontri per far conoscere al territorio la storia e lepersone vittime di mafia, i magistrati che combattono questa piaga ed i testimoni dellalegalità. Non solo quello di creare una raccolta di testi sul tema. La biblioteca deveessere un luogo di vita, deve essere viva lei stessa”. Il progetto ha preso l’avvio graziealla donazione di Franca Prandini e al lavoro della sorella Rosaria ed ha vistopartecipare attivamente anche il Comune di Brescia, l’Istituto Kennedy, l’UfficioScolastico Provinciale, Libera, la nipote della professoressa Franca Prandini, l’architettoFrancesca Cima, che ha curato l’arredamento e molte colleghe di Franca Prandini.Altre collaborazioni sono state poi avviate con associazioni di volontariato e con ilcarcere di Verziano per la gestione della biblioteca. “ La biblioteca sarà aperta per lescuole ma anche per i cittadini” ha spiegato Prandini “i libri sono in parte stati compraticon il contributo lasciato da mia sorella, in parte ci sono stati donati dal Tribunale diBrescia, in parte dall’Associazione Libera ed in parte saranno regalati dai cittadini grazieall’iniziativa del “Libro sospeso”. Il nome per questo progetto lo abbiamo mutuatodall’usanza napoletana del caffè sospeso, in questo caso si tratta di un accordo siglatocon le librerie cittadine grazie al quale vengono proposti dei libri con spiegata lamotivazione dell’iniziativa e chi vorrà potrà concorrere all’ acquisto di tali testipartecipando cosi’ alla costruzione ed al mantenimento della nuova biblioteca. Ognilibreria avrà una proposta di libri diversi.” Il logo della biblioteca è stato realizzato daglistessi ragazzi della scuola Kennedy, dove insegnava la sorella della dottoressa Prandini,e il data base di raccolta dei volumi della biblioteca verrà messo in rete con le altrebiblioteche provinciali. (F.S.)

1 L’espressione nacque a seguito dell’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, per indicare le migliaia di giovani volontariche giunsero nella città toscana per aiutare le popolazioni colpite e recuperare, salvandole, le opere d’arte, dipinti, statue, libriantichi, manufatti, patrimoni dell’umanità, che altrimenti sarebbero andati perduti.

2 L’associazione si è costituita il 25 marzo 1995 con l’intento di sollecitare la società civile nel contrasto alle mafie e nellapromozione della legalità democratica e della giustizia. Suo scopo è promuovere e praticare i diritti di cittadinanza, la culturadella legalità democratica, la giustizia sociale, la pace, la solidarietà, l’ambiente; valorizzare la memoria delle vittime di mafie edi ogni altra violenza e non dimenticare chi si è impegnato a costruire giustizia; contrastare secondo i principi della nonviolenza, la diffusione delle illegalità e il dominio mafioso del territorio. La prima iniziativa è stata la raccolta di un milione difirme per una proposta di legge che prevedesse il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, che poi venne tradotta innorma con la legge 7 marzo 1996 n. 109. Libera è riconosciuta come associazione di promozione sociale dal Ministerodel Lavoro, della Salute e della Solidarietà Sociale. Inoltre è riconosciuta come associazione con Special Consultative Statusdal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (Ecosoc). Si occupa anche del coordinamento delle diverseassociazioni aderenti. Alla fine del 2011 raccoglieva circa 1.500 associazioni, enti e gruppi locali che collaborano ai suoiscopi. Don Luigi Ciotti ne è fondatore ed attuale presidente.

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gnanti prima degli incontri con i ragazzi.Per capire con loro quale tipo di approcciosia meglio avere con la classe e mostra-re a mia volta che tipo di materiali mo-streremo ai ragazzi in aula. Alle supe-riori invece, entro direttamente anche inclasse, insieme ad un medico rianimato-re ed un trapiantato. Il nostro compito, inqueste classi soprattutto, è dare ai ragazzigli strumenti per decidere consapevol-mente ed in modo condiviso cosa fare peri propri organi. è importante infatti chela famiglia sappia che cosa vuole il pos-sibile donatore. Spesso è attraverso la fa-miglia che si puo’ far emergere cosaavrebbe voluto il donatore che è diventatocadavere. Sensibilizzare i ragazzi èparticolarmente importante anche perchèspesso svolgono nelle loro famiglia la fun-zione di cassa di risonanza per il mes-saggio che noi gli comunichiamo riu-scendo così a porre le premesse perchè sifaccia una donazione con qualche con-sapevolezza in più, sapendo magari direalizzare un desiderio della persona chedona”.Grazie anche al lavoro svolto dal-l’AIDO la provincia di Brescia, nel2013, è stata dichiarata la più gene-rosa per numero di donatori, 39 nelsolo scorso anno, di cui 5 nella solaDesenzano. “A questi lusinghieri ri-sultati siamo arrivati sicuramente gra-zie all’apporto fondamentale del profes-sor Ottorino Barozzi, coordinatore del-l’area prelievi bresciana che quest’annoandrà in pensione e per il cui succesoresiamo ancora in attesa di notizie - ri-corda Prandini -. Con lui abbiamo col-laborato molto strettamente per annianche per organizzare le visite ai ragazzinelle scuole, per portare in aula i medi-ci rianimatori”.Tornando al Premio Bianchini, Pran-dini ricorda come il suo profilo fos-se stato sottoposto al Gruppo Pro-mozione Donna dal presidente pro-vinciale AIDO, il bresciano LinoLovo a sua insaputa. “A lui è arrivatala mail in cui si annunciava che da lì atre settimane sarei stata insignita del ri-conoscimento e sempre lui mi ha giratol’informazione - racconta - la mia pri-ma reazione è stata di pensare che aves-

sero sbagliato. Io non sapevo nemmenoesistesse un premio simile”. Il giorno del-la premiazione, quando tutto è di-ventato davvero reale e tangibile, almomento della consegna della targa,il piacere è stato doppio “Non avevoavvisato nessuno del premio che avrei ri-cevuto ma, quel giorno in sala, ho nota-to la presenza nell’Aula Magna dellaCattolica dei familiari di un paio di do-natori che conosco personalmente. La no-tizia della premiazione era infatti ap-parsa sui giornali nei giorni precedentie probabilmente, avendone loro presovisione, avevano deciso di partecipare aquesta giornata per me così speciale. Que-sto loro gesto, assolutamente gratuito espontaneo nei miei confronti, mi ha fat-to davvero piacere perchè mi ha dato lasensazione di aver costruito negli anni deirapporti umani veri e solidi”.Tra le varie attività svolte dallaPrandini negli anni infatti, va ricor-data anche l’istituzione della Giornatadel Donatore, ricorrenza che ha cu-rato personalmente per i primi 10anni dalla sua prima realizzazione.“La terza domenica del mese di ottobreinvitiamo i familiari dei donatori ed igruppi comunali per un incontro in uasala pubblica con il sindaco, i rianima-tori e varie altre autorità - spiega - inquell’occasione si ricordano tutti i do-natori, si celebra una messa ed ai dona-tori dell’anno va una targa. La giorna-ta è stata immaginata come un modo perricordare i donatori bresciani, con mes-sa e poi un pranzo con chi è intervenu-to. La condivisione, ho potuto costatarenel tempo, aiuta molto. Pur nella tristezzao nel forte dolore, la condivisione a mesembra possa aiutare anche quando si pro-vano rabbia e dolore. Certo c’è anche chinon desidera condividere, ma la parte-cipazione è libera e ci sono anche alcunifamiliari di donatori che da 15 -16 annisi ritrovano per ricordare”. Racconta an-cora “In genere io partecipo sempre, comeorganizzatrice o semplice spettatrice. è im-portante comunicare, parlare nelle scuo-le ma anche la vicinanza, come in que-sta giornata, credo sia un momentodavvero prezioso”.

Fernanda Snaiderbaur

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