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NAPOLI CONVENTO DI SAN DOMENICO MAGGIORE 3 DICEMBRE 2013 21 APRILE 2014 Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCA DELLA SUA RIPRODUCIBILITÀ DIGITALE UNA MOSTRA Pietrasanta Associazione Polo Culturale

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Page 1: Sotto l’Alto Patronato del Presidente della …...Lello Mazzacane Pierpaolo Venier Traduzione testi in inglese Michael Monkhouse Le musiche dipinte dal Caravaggio sono eseguite dall’Ensemble

NAPOLICONVENTO DI

SAN DOMENICO MAGGIORE3 DICEMBRE 2013

21 APRILE 2014

Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana

L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCADELLA SUA RIPRODUCIBILITÀ

DIGITALE

UNA

MOSTRA

PietrasantaAssociazione

Polo Culturale

Page 2: Sotto l’Alto Patronato del Presidente della …...Lello Mazzacane Pierpaolo Venier Traduzione testi in inglese Michael Monkhouse Le musiche dipinte dal Caravaggio sono eseguite dall’Ensemble
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NAPOLICONVENTO DI SAN DOMENICO MAGGIORE3 DICEMBRE 201321 APRILE 2014

UNA MOSTRA IMPOSSIBILE

LEONARDORAFFAELLOCARAVAGGIO

Un progetto ideato e diretto da Renato ParascandoloDirezione scientifica di Ferdinando Bologna

in collaborazione con

Le MostreImpossibili

® Accademia di Belle Arti di Napoli

Direzione Produzione Rai CPTV Napoli

Ministero dell’Istruzione,dell’Università e della RicercaUfficio Scolastico Regionale per la Campania

Soprintendenza per i Beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e Provincia

Soprintendenza speciale per il Patrimonio storico, artisticoed etnoantropologico e per il Polo museale della città di Napoli

Ministerodei beni e delleattività culturalie del turismo

PietrasantaAssociazione

Polo Culturale

Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana

Assessorato alla Cultura e al Turismo

con il patrocinio del

forum universale delle culture

napoli 2013

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Per il Centro di Produzione Rai di Napoli

Progetto scenografico Lello Barbato

CoordinamentoGigi di MartinoMario Nutile

Per l'Assessorato alla Cultura del Comune di NapoliRachele PennettaMarilù Vacca

Per la Soprintendenza per i Beni architettonici, paesaggistici,storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e ProvinciaGiorgio CozzolinoOrsola Foglia

Per la Soprintendenza speciale per il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il Polo museale della città di NapoliFabrizio VonaIda Maietta

Per l'Ufficio Scolastico Regionale della CampaniaDiego BouchéBruno Palmieri

Per l'Associazione Pietrasanta

Il Presidente Raffaele Iovine

Direzione e coordinamento mostra Pina Capobianco

Ufficio promozioneRosa Criscitiello e Rosa Iaccarino per Effetto Napoli

Art directorRenato Parascandolo

Immagine e comunicazioneAlessandro Leone per Adversa

Ufficio stampaGiovanni Chianelli per Adversa

Coordinamento servizi in mostraClaudio BarberioAntonio FerraroPasquale LepreGennaro Pasquariello

EventiAngelo BeneduceDario Migliardi

AmministrazioneCarlo Finizio

BiglietteriaAERA

Promozione gruppi e scuoleAssociazione Viviquartiere

Proposte di lettura a cura deLa Feltrinelli di Napoli

CorporateGiovanni De Vita

Ufficio legale Gerardo Pauciulo Gabriella Urraro

Responsabile della sicurezzaErnesto Scognamiglio

Per Le Mostre Impossibili

Consulenza scientifica e redazione schedeStefano De MieriMaria Teresa Tancredi

Progetto grafico del Giornale della mostraClaudio Piga

Consulenti Giancarlo BurghiAndrea D'AquinoAnna Del GattoAldo Di RussoFrancesco EspositoJaime Fadda Lello MazzacanePierpaolo Venier

Traduzione testi in ingleseMichael Monkhouse

Le musiche dipinte dal Caravaggiosono eseguite dall’Ensemble Musica Picta

DirettorePaolo Camiz Soprani Maria Donata Misini e Maria Grazia Sibona Contralti Annarosa Bognini e Elena Manetti Tenori Ernesto Costabile e Vittorio Vacca Bassi Daniele Camiz e Paolo Camiz

Si ringrazianoAngelo Agrippa, Alessio Antonello, Paolo Battiniello,Lucio Carlevalis, Luca Cuttitta, Vincenzo De Notaris,Andrea De Vita, Luca De Vita, Roberto Imperatrice,Ermanno Restucci, Paolo Sinno, Marielva Torino, Riccardo Volpe

e inoltreFondazione Banco di NapoliArtellingPeople&Projects

LE MOSTRE IMPOSSIBILIL’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità digitaleRenato Parascandolo

Una mostra dedicata a un grande artista può, realisticamente, presen-tare solo una selezione limitata delle sue opere. Ad esempio, se l’artista è il Caravaggio è praticamente impossibile pensare di esporne tutti i dipinti, nessuno escluso. Ancora più impensabile è immaginare una mostra che esponga, in uno stesso luogo, oltre all’opera completa di Michelangelo Merisi, anche tutti i dipinti di Leonardo e quasi tutte le opere di Raffaello: capolavori che sono disseminati, come è noto, in decine e decine di musei, chiese e abitazioni private di diversi continenti.

Nel convento di San Domenico Maggiore, magnificamente restaurato, dal 3 dicembre al 21 aprile 2014, si potrà, invece, assistere, a questa sorta di prodigio: una “mostra impossibile” che presenta centodiciasset-te dipinti e affreschi dei tre grandi artisti riprodotti rigorosamente in scala 1:1 e ad altissima risoluzione.

L’idea di allestire delle “mostre impossibili” nasce da un’attenta rifles-sione sulla crisi strutturale che investe i musei di tutto il mondo e dalla considerazione che, nell’epoca della riproducibilità digitale dell’opera d’arte, la riproduzione dev’essere tutelata e valorizzata quanto l’origina-le, non solo per motivi economici ma, prima di tutto, perché una diffusio-ne veramente capillare e di massa delle opere d’arte può essere garanti-ta soltanto dalle riproduzioni: un’istanza di democrazia culturale che ha in Paul Valéry, Walter Benjamin e André Malraux i suoi precursori. Non a caso i giovani, gli studenti e, più in generale, quei cittadini che non frequentano abitualmente i musei, hanno rappresentato il pubblico di elezione delle venti mostre impossibili finora realizzate.

Inoltre, la realizzazione di grandi mostre è resa sempre più problemati-ca dalla crescente – peraltro comprensibile – contrarietà dei direttori dei musei a concedere il prestito delle opere ma anche dagli esorbitanti costi delle assicurazioni e delle speciali misure di sicurezza, inevitabili per dipinti d’incalcolabile valore. Il progetto de “Le mostre impossibili” nasce, dunque, da queste premesse e dalle opportunità offerte da un uso rigoroso e creativo delle tecniche di riproduzione digitale delle immagini che pongono lo spettatore virtualmente di fronte all’opera d’arte originale.

A partire dal 2003 sono state realizzate per la Rai numerose esposizio-ni monografiche in varie città italiane (Napoli, Roma, Milano, Torino, Catania, Salerno, Vigevano, Lucca, Todi, Avellino, Vinci) e straniere (Chi-cago, Malta, Santa Cruz).

Si veda, in proposito, il sito www.mostreimpossibili.rai.it. Complessi-vamente, i visitatori sono stati, finora, diverse centinaia di migliaia. Tutta-via, l’originalità di questa edizione della mostra, ciò che la rende ancora più “impossibile”, è il numero delle opere esposte: sessantatre dipinti di Caravaggio, trentasette opere di Raffaello (compreso l’affresco de La scuola di Atene) e diciassette di Leonardo (compresa L’ultima cena).

A differenza di un quadro virtuale che rinvia a un quadro reale, “La mostra impossibile”, non avendo un equivalente nella realtà, è essa stessa un originale, una singolarità, sebbene, a sua volta, riproducibile: esattamente come la pellicola di un film.

Qui sta la novità introdotta da “Le mostre impossibili”: consentire a una moltitudine di visitatori di ammirare, hic et nunc, l’una accanto all’altra, non alcune opere, ma tutte le opere, comprese quelle intrasportabili come gli affreschi. Rendendo spazialmente vicine, opere distanti tra loro migliaia di chilometri si soddisfa “quell’incontestabile esigenza di impos-sessarsi dell’oggetto da una distanza il più possibile ravvicinata nell’immagine, o meglio nell’effigie, nella riproduzione” di cui parla Benjamin. Essendo “impossibili” oggi, e non essendo mai esistite in passato (neanche gli stessi artisti hanno potuto ammirare, contempora-neamente, tutte le loro opere), “Le mostre impossibili”, mostrando la totalità, acquistano un particolare statuto di unicità.

L’emozione che suscita questa visione d’insieme dell’intera opera di un pittore e l’alone di stupore che aleggia tra i visitatori di queste mostre solo teoricamente possibili – ma in realtà impensabili – inducono piace-volmente a credere che questa esperienza estetica abbia qualcosa a che fare con l’aura di cui parlava Benjamin.

Numerosi storici dell’arte di prestigio internazionale: da Settis a Mahon, da Fernandez a Calvesi, a Spinosa si sono espressi a favore di questo progetto ma il più convinto sostenitore della finalità squisitamen-te didattica de “Le mostre impossibili” è Ferdinando Bologna, uno dei più autorevoli discepoli di Roberto Longhi a cui si deve, tra l’altro, il riordino del museo di Capodimonte nei primi anni cinquanta del secolo scorso. Il professor Bologna è stato il direttore scientifico di quasi tutte le mostre impossibili finora realizzate, a partire da quella del 2003 a Castel Sant’Elmo. In quell’occasione, Bologna ebbe a dire: “Questa nuova generazione di riproduzioni d’arte, ad altissima definizione e a grandez-za naturale, consente un approccio agli originali che gli originali stessi, nelle condizioni in cui normalmente si trovano, sia nei musei sia nelle sedi proprie, non consentono. Da quando esiste la fotografia il pubblico non ha mai perso il gusto di guardare l’opera originale. Questo è un fatto storico. L’arte riprodotta può rivelarsi un utile alleato dell’originale perché oltre a risolvere problemi logistici, come i rischi legati agli spostamenti oppure alle speculazioni sullo pseudo turismo culturale, consente accostamenti e confronti che sarebbero altrimenti, per l’appu-nto, impossibili, migliorando la lettura dell’opera completa del pittore”.

Non è un caso che questo progetto sia nato dall’interno del servizio pubblico radiotelevisivo – piuttosto che da un’iniziativa di privati – e che la Rai, coerentemente con la sua missione, si sia dato il compito di far conoscere i capolavori dei grandi artisti del nostro paese ai giovani e, più in generale a un pubblico che non frequenta abitualmente i musei e i luoghi d’arte. Vale, a questo proposito, la frase che ebbe a dirmi Hans Georg Gadamer parlando della necessità di un’eccezione culturale: “La cultura è l’unico bene dell’umanità che se diviso fra tutti, piuttosto che diminuire – poiché ciascuno ne riceverebbe solo una parte – diventa più grande”.

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LE MOSTRE IMPOSSIBILIL’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità digitaleRenato Parascandolo

Una mostra dedicata a un grande artista può, realisticamente, presen-tare solo una selezione limitata delle sue opere. Ad esempio, se l’artista è il Caravaggio è praticamente impossibile pensare di esporne tutti i dipinti, nessuno escluso. Ancora più impensabile è immaginare una mostra che esponga, in uno stesso luogo, oltre all’opera completa di Michelangelo Merisi, anche tutti i dipinti di Leonardo e quasi tutte le opere di Raffaello: capolavori che sono disseminati, come è noto, in decine e decine di musei, chiese e abitazioni private di diversi continenti.

Nel convento di San Domenico Maggiore, magnificamente restaurato, dal 3 dicembre al 21 aprile 2014, si potrà, invece, assistere, a questa sorta di prodigio: una “mostra impossibile” che presenta centodiciasset-te dipinti e affreschi dei tre grandi artisti riprodotti rigorosamente in scala 1:1 e ad altissima risoluzione.

L’idea di allestire delle “mostre impossibili” nasce da un’attenta rifles-sione sulla crisi strutturale che investe i musei di tutto il mondo e dalla considerazione che, nell’epoca della riproducibilità digitale dell’opera d’arte, la riproduzione dev’essere tutelata e valorizzata quanto l’origina-le, non solo per motivi economici ma, prima di tutto, perché una diffusio-ne veramente capillare e di massa delle opere d’arte può essere garanti-ta soltanto dalle riproduzioni: un’istanza di democrazia culturale che ha in Paul Valéry, Walter Benjamin e André Malraux i suoi precursori. Non a caso i giovani, gli studenti e, più in generale, quei cittadini che non frequentano abitualmente i musei, hanno rappresentato il pubblico di elezione delle venti mostre impossibili finora realizzate.

Inoltre, la realizzazione di grandi mostre è resa sempre più problemati-ca dalla crescente – peraltro comprensibile – contrarietà dei direttori dei musei a concedere il prestito delle opere ma anche dagli esorbitanti costi delle assicurazioni e delle speciali misure di sicurezza, inevitabili per dipinti d’incalcolabile valore. Il progetto de “Le mostre impossibili” nasce, dunque, da queste premesse e dalle opportunità offerte da un uso rigoroso e creativo delle tecniche di riproduzione digitale delle immagini che pongono lo spettatore virtualmente di fronte all’opera d’arte originale.

A partire dal 2003 sono state realizzate per la Rai numerose esposizio-ni monografiche in varie città italiane (Napoli, Roma, Milano, Torino, Catania, Salerno, Vigevano, Lucca, Todi, Avellino, Vinci) e straniere (Chi-cago, Malta, Santa Cruz).

Si veda, in proposito, il sito www.mostreimpossibili.rai.it. Complessi-vamente, i visitatori sono stati, finora, diverse centinaia di migliaia. Tutta-via, l’originalità di questa edizione della mostra, ciò che la rende ancora più “impossibile”, è il numero delle opere esposte: sessantatre dipinti di Caravaggio, trentasette opere di Raffaello (compreso l’affresco de La scuola di Atene) e diciassette di Leonardo (compresa L’ultima cena).

L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCADELLA SUA RIPRODUCIBILITÀ

DIGITALE

UNA

MOSTRA

A differenza di un quadro virtuale che rinvia a un quadro reale, “La mostra impossibile”, non avendo un equivalente nella realtà, è essa stessa un originale, una singolarità, sebbene, a sua volta, riproducibile: esattamente come la pellicola di un film.

Qui sta la novità introdotta da “Le mostre impossibili”: consentire a una moltitudine di visitatori di ammirare, hic et nunc, l’una accanto all’altra, non alcune opere, ma tutte le opere, comprese quelle intrasportabili come gli affreschi. Rendendo spazialmente vicine, opere distanti tra loro migliaia di chilometri si soddisfa “quell’incontestabile esigenza di impos-sessarsi dell’oggetto da una distanza il più possibile ravvicinata nell’immagine, o meglio nell’effigie, nella riproduzione” di cui parla Benjamin. Essendo “impossibili” oggi, e non essendo mai esistite in passato (neanche gli stessi artisti hanno potuto ammirare, contempora-neamente, tutte le loro opere), “Le mostre impossibili”, mostrando la totalità, acquistano un particolare statuto di unicità.

L’emozione che suscita questa visione d’insieme dell’intera opera di un pittore e l’alone di stupore che aleggia tra i visitatori di queste mostre solo teoricamente possibili – ma in realtà impensabili – inducono piace-volmente a credere che questa esperienza estetica abbia qualcosa a che fare con l’aura di cui parlava Benjamin.

Numerosi storici dell’arte di prestigio internazionale: da Settis a Mahon, da Fernandez a Calvesi, a Spinosa si sono espressi a favore di questo progetto ma il più convinto sostenitore della finalità squisitamen-te didattica de “Le mostre impossibili” è Ferdinando Bologna, uno dei più autorevoli discepoli di Roberto Longhi a cui si deve, tra l’altro, il riordino del museo di Capodimonte nei primi anni cinquanta del secolo scorso. Il professor Bologna è stato il direttore scientifico di quasi tutte le mostre impossibili finora realizzate, a partire da quella del 2003 a Castel Sant’Elmo. In quell’occasione, Bologna ebbe a dire: “Questa nuova generazione di riproduzioni d’arte, ad altissima definizione e a grandez-za naturale, consente un approccio agli originali che gli originali stessi, nelle condizioni in cui normalmente si trovano, sia nei musei sia nelle sedi proprie, non consentono. Da quando esiste la fotografia il pubblico non ha mai perso il gusto di guardare l’opera originale. Questo è un fatto storico. L’arte riprodotta può rivelarsi un utile alleato dell’originale perché oltre a risolvere problemi logistici, come i rischi legati agli spostamenti oppure alle speculazioni sullo pseudo turismo culturale, consente accostamenti e confronti che sarebbero altrimenti, per l’appu-nto, impossibili, migliorando la lettura dell’opera completa del pittore”.

Non è un caso che questo progetto sia nato dall’interno del servizio pubblico radiotelevisivo – piuttosto che da un’iniziativa di privati – e che la Rai, coerentemente con la sua missione, si sia dato il compito di far conoscere i capolavori dei grandi artisti del nostro paese ai giovani e, più in generale a un pubblico che non frequenta abitualmente i musei e i luoghi d’arte. Vale, a questo proposito, la frase che ebbe a dirmi Hans Georg Gadamer parlando della necessità di un’eccezione culturale: “La cultura è l’unico bene dell’umanità che se diviso fra tutti, piuttosto che diminuire – poiché ciascuno ne riceverebbe solo una parte – diventa più grande”.

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LE MOSTRE IMPOSSIBILIL’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità digitaleRenato Parascandolo

Una mostra dedicata a un grande artista può, realisticamente, presen-tare solo una selezione limitata delle sue opere. Ad esempio, se l’artista è il Caravaggio è praticamente impossibile pensare di esporne tutti i dipinti, nessuno escluso. Ancora più impensabile è immaginare una mostra che esponga, in uno stesso luogo, oltre all’opera completa di Michelangelo Merisi, anche tutti i dipinti di Leonardo e quasi tutte le opere di Raffaello: capolavori che sono disseminati, come è noto, in decine e decine di musei, chiese e abitazioni private di diversi continenti.

Nel convento di San Domenico Maggiore, magnificamente restaurato, dal 3 dicembre al 21 aprile 2014, si potrà, invece, assistere, a questa sorta di prodigio: una “mostra impossibile” che presenta centodiciasset-te dipinti e affreschi dei tre grandi artisti riprodotti rigorosamente in scala 1:1 e ad altissima risoluzione.

L’idea di allestire delle “mostre impossibili” nasce da un’attenta rifles-sione sulla crisi strutturale che investe i musei di tutto il mondo e dalla considerazione che, nell’epoca della riproducibilità digitale dell’opera d’arte, la riproduzione dev’essere tutelata e valorizzata quanto l’origina-le, non solo per motivi economici ma, prima di tutto, perché una diffusio-ne veramente capillare e di massa delle opere d’arte può essere garanti-ta soltanto dalle riproduzioni: un’istanza di democrazia culturale che ha in Paul Valéry, Walter Benjamin e André Malraux i suoi precursori. Non a caso i giovani, gli studenti e, più in generale, quei cittadini che non frequentano abitualmente i musei, hanno rappresentato il pubblico di elezione delle venti mostre impossibili finora realizzate.

Inoltre, la realizzazione di grandi mostre è resa sempre più problemati-ca dalla crescente – peraltro comprensibile – contrarietà dei direttori dei musei a concedere il prestito delle opere ma anche dagli esorbitanti costi delle assicurazioni e delle speciali misure di sicurezza, inevitabili per dipinti d’incalcolabile valore. Il progetto de “Le mostre impossibili” nasce, dunque, da queste premesse e dalle opportunità offerte da un uso rigoroso e creativo delle tecniche di riproduzione digitale delle immagini che pongono lo spettatore virtualmente di fronte all’opera d’arte originale.

A partire dal 2003 sono state realizzate per la Rai numerose esposizio-ni monografiche in varie città italiane (Napoli, Roma, Milano, Torino, Catania, Salerno, Vigevano, Lucca, Todi, Avellino, Vinci) e straniere (Chi-cago, Malta, Santa Cruz).

Si veda, in proposito, il sito www.mostreimpossibili.rai.it. Complessi-vamente, i visitatori sono stati, finora, diverse centinaia di migliaia. Tutta-via, l’originalità di questa edizione della mostra, ciò che la rende ancora più “impossibile”, è il numero delle opere esposte: sessantatre dipinti di Caravaggio, trentasette opere di Raffaello (compreso l’affresco de La scuola di Atene) e diciassette di Leonardo (compresa L’ultima cena).

A differenza di un quadro virtuale che rinvia a un quadro reale, “La mostra impossibile”, non avendo un equivalente nella realtà, è essa stessa un originale, una singolarità, sebbene, a sua volta, riproducibile: esattamente come la pellicola di un film.

Qui sta la novità introdotta da “Le mostre impossibili”: consentire a una moltitudine di visitatori di ammirare, hic et nunc, l’una accanto all’altra, non alcune opere, ma tutte le opere, comprese quelle intrasportabili come gli affreschi. Rendendo spazialmente vicine, opere distanti tra loro migliaia di chilometri si soddisfa “quell’incontestabile esigenza di impos-sessarsi dell’oggetto da una distanza il più possibile ravvicinata nell’immagine, o meglio nell’effigie, nella riproduzione” di cui parla Benjamin. Essendo “impossibili” oggi, e non essendo mai esistite in passato (neanche gli stessi artisti hanno potuto ammirare, contempora-neamente, tutte le loro opere), “Le mostre impossibili”, mostrando la totalità, acquistano un particolare statuto di unicità.

L’emozione che suscita questa visione d’insieme dell’intera opera di un pittore e l’alone di stupore che aleggia tra i visitatori di queste mostre solo teoricamente possibili – ma in realtà impensabili – inducono piace-volmente a credere che questa esperienza estetica abbia qualcosa a che fare con l’aura di cui parlava Benjamin.

Numerosi storici dell’arte di prestigio internazionale: da Settis a Mahon, da Fernandez a Calvesi, a Spinosa si sono espressi a favore di questo progetto ma il più convinto sostenitore della finalità squisitamen-te didattica de “Le mostre impossibili” è Ferdinando Bologna, uno dei più autorevoli discepoli di Roberto Longhi a cui si deve, tra l’altro, il riordino del museo di Capodimonte nei primi anni cinquanta del secolo scorso. Il professor Bologna è stato il direttore scientifico di quasi tutte le mostre impossibili finora realizzate, a partire da quella del 2003 a Castel Sant’Elmo. In quell’occasione, Bologna ebbe a dire: “Questa nuova generazione di riproduzioni d’arte, ad altissima definizione e a grandez-za naturale, consente un approccio agli originali che gli originali stessi, nelle condizioni in cui normalmente si trovano, sia nei musei sia nelle sedi proprie, non consentono. Da quando esiste la fotografia il pubblico non ha mai perso il gusto di guardare l’opera originale. Questo è un fatto storico. L’arte riprodotta può rivelarsi un utile alleato dell’originale perché oltre a risolvere problemi logistici, come i rischi legati agli spostamenti oppure alle speculazioni sullo pseudo turismo culturale, consente accostamenti e confronti che sarebbero altrimenti, per l’appu-nto, impossibili, migliorando la lettura dell’opera completa del pittore”.

Non è un caso che questo progetto sia nato dall’interno del servizio pubblico radiotelevisivo – piuttosto che da un’iniziativa di privati – e che la Rai, coerentemente con la sua missione, si sia dato il compito di far conoscere i capolavori dei grandi artisti del nostro paese ai giovani e, più in generale a un pubblico che non frequenta abitualmente i musei e i luoghi d’arte. Vale, a questo proposito, la frase che ebbe a dirmi Hans Georg Gadamer parlando della necessità di un’eccezione culturale: “La cultura è l’unico bene dell’umanità che se diviso fra tutti, piuttosto che diminuire – poiché ciascuno ne riceverebbe solo una parte – diventa più grande”.

L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCADELLA SUA RIPRODUCIBILITÀ

DIGITALE

UNA

MOSTRA

“La mostra impossibile, non avendo un equivalente nella realtà, è essa stessa un originale”

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LE MOSTRE IMPOSSIBILIL’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità digitaleRenato Parascandolo

Una mostra dedicata a un grande artista può, realisticamente, presen-tare solo una selezione limitata delle sue opere. Ad esempio, se l’artista è il Caravaggio è praticamente impossibile pensare di esporne tutti i dipinti, nessuno escluso. Ancora più impensabile è immaginare una mostra che esponga, in uno stesso luogo, oltre all’opera completa di Michelangelo Merisi, anche tutti i dipinti di Leonardo e quasi tutte le opere di Raffaello: capolavori che sono disseminati, come è noto, in decine e decine di musei, chiese e abitazioni private di diversi continenti.

Nel convento di San Domenico Maggiore, magnificamente restaurato, dal 3 dicembre al 21 aprile 2014, si potrà, invece, assistere, a questa sorta di prodigio: una “mostra impossibile” che presenta centodiciasset-te dipinti e affreschi dei tre grandi artisti riprodotti rigorosamente in scala 1:1 e ad altissima risoluzione.

L’idea di allestire delle “mostre impossibili” nasce da un’attenta rifles-sione sulla crisi strutturale che investe i musei di tutto il mondo e dalla considerazione che, nell’epoca della riproducibilità digitale dell’opera d’arte, la riproduzione dev’essere tutelata e valorizzata quanto l’origina-le, non solo per motivi economici ma, prima di tutto, perché una diffusio-ne veramente capillare e di massa delle opere d’arte può essere garanti-ta soltanto dalle riproduzioni: un’istanza di democrazia culturale che ha in Paul Valéry, Walter Benjamin e André Malraux i suoi precursori. Non a caso i giovani, gli studenti e, più in generale, quei cittadini che non frequentano abitualmente i musei, hanno rappresentato il pubblico di elezione delle venti mostre impossibili finora realizzate.

Inoltre, la realizzazione di grandi mostre è resa sempre più problemati-ca dalla crescente – peraltro comprensibile – contrarietà dei direttori dei musei a concedere il prestito delle opere ma anche dagli esorbitanti costi delle assicurazioni e delle speciali misure di sicurezza, inevitabili per dipinti d’incalcolabile valore. Il progetto de “Le mostre impossibili” nasce, dunque, da queste premesse e dalle opportunità offerte da un uso rigoroso e creativo delle tecniche di riproduzione digitale delle immagini che pongono lo spettatore virtualmente di fronte all’opera d’arte originale.

A partire dal 2003 sono state realizzate per la Rai numerose esposizio-ni monografiche in varie città italiane (Napoli, Roma, Milano, Torino, Catania, Salerno, Vigevano, Lucca, Todi, Avellino, Vinci) e straniere (Chi-cago, Malta, Santa Cruz).

Si veda, in proposito, il sito www.mostreimpossibili.rai.it. Complessi-vamente, i visitatori sono stati, finora, diverse centinaia di migliaia. Tutta-via, l’originalità di questa edizione della mostra, ciò che la rende ancora più “impossibile”, è il numero delle opere esposte: sessantatre dipinti di Caravaggio, trentasette opere di Raffaello (compreso l’affresco de La scuola di Atene) e diciassette di Leonardo (compresa L’ultima cena).

A differenza di un quadro virtuale che rinvia a un quadro reale, “La mostra impossibile”, non avendo un equivalente nella realtà, è essa stessa un originale, una singolarità, sebbene, a sua volta, riproducibile: esattamente come la pellicola di un film.

Qui sta la novità introdotta da “Le mostre impossibili”: consentire a una moltitudine di visitatori di ammirare, hic et nunc, l’una accanto all’altra, non alcune opere, ma tutte le opere, comprese quelle intrasportabili come gli affreschi. Rendendo spazialmente vicine, opere distanti tra loro migliaia di chilometri si soddisfa “quell’incontestabile esigenza di impos-sessarsi dell’oggetto da una distanza il più possibile ravvicinata nell’immagine, o meglio nell’effigie, nella riproduzione” di cui parla Benjamin. Essendo “impossibili” oggi, e non essendo mai esistite in passato (neanche gli stessi artisti hanno potuto ammirare, contempora-neamente, tutte le loro opere), “Le mostre impossibili”, mostrando la totalità, acquistano un particolare statuto di unicità.

L’emozione che suscita questa visione d’insieme dell’intera opera di un pittore e l’alone di stupore che aleggia tra i visitatori di queste mostre solo teoricamente possibili – ma in realtà impensabili – inducono piace-volmente a credere che questa esperienza estetica abbia qualcosa a che fare con l’aura di cui parlava Benjamin.

Numerosi storici dell’arte di prestigio internazionale: da Settis a Mahon, da Fernandez a Calvesi, a Spinosa si sono espressi a favore di questo progetto ma il più convinto sostenitore della finalità squisitamen-te didattica de “Le mostre impossibili” è Ferdinando Bologna, uno dei più autorevoli discepoli di Roberto Longhi a cui si deve, tra l’altro, il riordino del museo di Capodimonte nei primi anni cinquanta del secolo scorso. Il professor Bologna è stato il direttore scientifico di quasi tutte le mostre impossibili finora realizzate, a partire da quella del 2003 a Castel Sant’Elmo. In quell’occasione, Bologna ebbe a dire: “Questa nuova generazione di riproduzioni d’arte, ad altissima definizione e a grandez-za naturale, consente un approccio agli originali che gli originali stessi, nelle condizioni in cui normalmente si trovano, sia nei musei sia nelle sedi proprie, non consentono. Da quando esiste la fotografia il pubblico non ha mai perso il gusto di guardare l’opera originale. Questo è un fatto storico. L’arte riprodotta può rivelarsi un utile alleato dell’originale perché oltre a risolvere problemi logistici, come i rischi legati agli spostamenti oppure alle speculazioni sullo pseudo turismo culturale, consente accostamenti e confronti che sarebbero altrimenti, per l’appu-nto, impossibili, migliorando la lettura dell’opera completa del pittore”.

Non è un caso che questo progetto sia nato dall’interno del servizio pubblico radiotelevisivo – piuttosto che da un’iniziativa di privati – e che la Rai, coerentemente con la sua missione, si sia dato il compito di far conoscere i capolavori dei grandi artisti del nostro paese ai giovani e, più in generale a un pubblico che non frequenta abitualmente i musei e i luoghi d’arte. Vale, a questo proposito, la frase che ebbe a dirmi Hans Georg Gadamer parlando della necessità di un’eccezione culturale: “La cultura è l’unico bene dell’umanità che se diviso fra tutti, piuttosto che diminuire – poiché ciascuno ne riceverebbe solo una parte – diventa più grande”.

NAPOLI, CROCEVIA DI CULTURA UMANISTICA E SCIENTIFICANino DanieleAssessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli

Napoli è una delle grandi capitali europee della cultura. Proprio qui, nel complesso monumentale di San Domenico Maggiore, sono tangibili i segni della universalità di Napoli: dall’aula dove insegnò san Tommaso – il Padre della Chiesa che con la ripresa di Aristotele portò a un punto altissimo il rapporto tra teologia e filosofia – alla biblioteca dove studiò Tommaso Campanella e dove albergò a lungo Giordano Bruno, il pensa-tore che con i suoi “infiniti mondi” aprì gli spazi al moderno.

La “mostra impossibile” di Leonardo, Raffaello e Caravaggio con il suo immenso e fascinoso effetto di suggestione e di potenza pedagogica è un esempio virtuoso di quanto l’arte e, in generale, la cultura umanistica, possano trarre vantaggio dalle nuove tecnologie digitali, soprattutto in termini di divulgazione. Nessuna mostra di opere originali potrebbe, infatti, realisticamente, rappresentare in forma così organica e compiuta l’intera opera di un grande artista del passato.

La storia dell’arte è segnata dal succedersi di svariate tecniche di ripro-duzione: dalla xilografia all’acquaforte, dalla puntasecca alla litografia, dalla fotografia analogica a quella digitale. La riproducibilità è, in questo senso, proprio un tratto distintivo del moderno.

Il carattere didattico della mostra ci induce a pensare che il convento di San Domenico possa diventare, in questi mesi, una “Casa della cultura digitale”, una sorta di laboratorio per i giovani dell’Accademia di belle arti e per i “nativi digitali” che si misurano con le nuove forme di comuni-cazione, con i linguaggi dei nuovi media e con le potenzialità insite nell’incontro tra cultura umanistica e cultura scientifica. Bellezza e verità si apriranno a un dialogo che, ne siamo certi, coinvolgerà migliaia di giovani e tanti visitatori.

Al tempo stesso, “La mostra impossibile” farà anche da cornice a convegni, conferenze e spettacoli che prendono spunto dalla vita e dalle opere dei tre grandi artisti; ma anche momenti di discussione e confron-to sul tema benjaminiano che fa da sfondo a questo progetto: “l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità digitale”.

L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCADELLA SUA RIPRODUCIBILITÀ

DIGITALE

UNA

MOSTRA

Page 8: Sotto l’Alto Patronato del Presidente della …...Lello Mazzacane Pierpaolo Venier Traduzione testi in inglese Michael Monkhouse Le musiche dipinte dal Caravaggio sono eseguite dall’Ensemble

BREVE INTRODUZIONE A “UNA MOSTRA IMPOSSIBILE”Ferdinando Bologna

Questa mostra espone diciassette riproduzioni di dipinti di Leonardo, trentasette di Raffaello e ben sessantaquattro di Caravaggio, realizzate sulla base di procedimenti digitali sofisticatissimi, che non sarebbero stati pensabili, e ancor meno fattibili, anche soltanto quindici anni fa.

Già avviate nel 2003, con l’esposizione dedicata al Caravaggio negli spazi di Castel Sant’Elmo a Napoli, le “mostre impossibili” hanno cono-sciuto nell’arco di un decennio un considerevole successo. La nuova iniziativa, che si tiene, nella stessa città di avvio di tali rassegne, nel com-plesso conventuale di San Domenico Maggiore, raduna semplicemente i materiali finora oggetto di mostre monografiche dedicate a tre prota-gonisti della storia dell’arte in Italia in età moderna, senz’alcuna intenzio-ne di stabilire nessi tra gli stessi. Ciò non rientra, per il momento, nelle finalità delle “mostre impossibili”. Le tre unità della mostra vanno pertan-to considerate, secondo un ordine rigorosamente cronologico – comin-ciando dal più ristretto nucleo dedicato a Leonardo da Vinci, continuan-do con quello riservato a Raffaello Sanzio e concludendosi con la più folta sezione caravaggesca –, come momenti distinti e non comunicanti.

La sezione più corposa della mostra, dunque, è quella incentrata sul Caravaggio. E, in quanto include un numero amplissimo di opere del maestro, essa realizza una mostra dell’opera del Caravaggio senza precedenti; e non solo perché è molto più comprensiva di quanto non riuscirono a essere tutte le altre mostre organizzate durante l’ultimo mezzo secolo, a incominciare da quella foltissima e giustamente celebre del 1951 a Milano, bensì perché, a causa dei proibitivi impedimenti deri-vanti da ragioni diverse e intrecciate, quali lo stato di conservazione, la saldezza dei supporti, l’ampiezza delle dimensioni, la difficoltà della rimozione e i rischi del trasporto, una mostra di altrettante opere origina-li del Caravaggio era e resta impossibile in assoluto. Non per nulla, il sottotitolo dell’impresa del 2003 e di quella odierna parla appunto di “mostra impossibile”.

Ma quasi in epigrafe, il sopratitolo del manifesto della mostra presente parla anche di “opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità digitale”, e ciò echeggia scopertamente almeno il titolo del celebre saggio di Walter Benjamin che trattava, appunto, dell’opera d’arte “nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” (quando, per altro, l’aggettivo “tecnica” poteva intendere solo “fotografica”, né ancora a colori) e poneva la ripro-ducibilità dell’opera d’arte come limite alla sua “reificazione”, vale a dire alla sua riduzione a merce, congiunta alla perdita di ciò che lo stesso Benjamin giudicava irriproducibile e definiva “aura”. In effetti, senza perder nulla della funzione anti-mercificante della riproduzione dell’opera d’arte in quanto moltiplicazione legittima dell’esemplare

L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCADELLA SUA RIPRODUCIBILITÀ

DIGITALE

UNA

MOSTRA

unico in cui l’opera d’arte stessa prende corpo, e anzi caricandosi più efficacemente della capacità di prolungarne la memoria al di là dell’usu-ra degli eventi e di trasmetterne ai posteri una testimonianza attendibile, la riproduzione “digitale” di essa realizza un grado ben più avanzato e quasi esauriente di “leggibilità”, tanto da risultare non solo il miglior sostituto desiderabile della presa di contatto diretto con l’originale, ma un aiuto concreto e analitico a percepirne bene quegli aspetti che di solito restano inaccessibili al potere visivo dello stesso occhio umano.

Bisogna tener presente che dalla seconda metà dell’Ottocento in avanti gli storici dell’arte lavorano su pacchi di fotografie. Oltretutto, questa nuova generazione di riproduzioni d’arte, ad altissima definizione e a grandezza naturale, consente un approccio agli originali che gli origi-nali stessi, nelle condizioni in cui normalmente si trovano, sia nei musei sia nelle sedi proprie, non consentono. Da quando esiste la fotografia il pubblico non ha mai perso il gusto di guardare l’opera originale. Questo è un fatto storico. L’arte riprodotta può rivelarsi un utile alleato dell’origi-nale perché oltre a risolvere problemi logistici, come i rischi legati agli spostamenti oppure alle speculazioni sullo pseudo turismo culturale, una “mostra impossibile” consente accostamenti e confronti che sareb-bero altrimenti, per l’appunto, impossibili, migliorando la lettura dell’opera completa del pittore.

Con tali strumenti, la mostra intende contribuire nel modo più puntua-le alla miglior “lettura” e all’intelligenza più approfondita di ciò che è stato ben definito “il libero esame pittorico” dell’opera caravaggesca: un esame addentrato per forza di colore e di lume nell’osservazione della realtà sgombra di ogni amplificazione esteriormente intellettualistica, e nel recupero quasi etimologico di ogni argomento raffigurabile al grado zero dell’esistente.

“In verità, egli fu per molti aspetti il primo artista moderno. Il primo a non procedere per evoluzione, ma per rivoluzione”. Lo scriveva Roger Fry nel 1905, ponendo il sigillo a una svolta nell’apprezzamento del Caravaggio che era incominciata a Parigi durante gli anni trenta dell’Ottocento. Precisamente nel 1834, a opera del critico, pittore e socialista militante Gabriel-Joseph-Hyppolite Laviron, al quale si deve il primo giudizio davvero innovatore sull’opera del maestro: “Fece una straordinaria rivoluzione fra i pallidi allievi della scuola eclettica dei Carracci e rovesciò tutti i sistemi di pittura alla moda per mettere al loro posto lo studio vero e corretto della natura. […] Le sue opere attrassero potentemente l’attenzione di tutte le classi della società, e di quelle soprattutto che sono di solito le più indifferenti al successo d’un’opera d’arte. In effetti, egli aveva scoperto la pittura del popolo, la pittura che può essere capita e giudicata da tutti, perché rende a ciascuna cosa tutta la forza espressiva che ha in natura, e non sacrifica mai nulla dell’intera verità”.

“Considero geniale il progetto delle ‘mostre impossibili’ ideato e sviluppato, con perseveranza e rigore”

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BREVE INTRODUZIONE A “UNA MOSTRA IMPOSSIBILE”Ferdinando Bologna

Questa mostra espone diciassette riproduzioni di dipinti di Leonardo, trentasette di Raffaello e ben sessantaquattro di Caravaggio, realizzate sulla base di procedimenti digitali sofisticatissimi, che non sarebbero stati pensabili, e ancor meno fattibili, anche soltanto quindici anni fa.

Già avviate nel 2003, con l’esposizione dedicata al Caravaggio negli spazi di Castel Sant’Elmo a Napoli, le “mostre impossibili” hanno cono-sciuto nell’arco di un decennio un considerevole successo. La nuova iniziativa, che si tiene, nella stessa città di avvio di tali rassegne, nel com-plesso conventuale di San Domenico Maggiore, raduna semplicemente i materiali finora oggetto di mostre monografiche dedicate a tre prota-gonisti della storia dell’arte in Italia in età moderna, senz’alcuna intenzio-ne di stabilire nessi tra gli stessi. Ciò non rientra, per il momento, nelle finalità delle “mostre impossibili”. Le tre unità della mostra vanno pertan-to considerate, secondo un ordine rigorosamente cronologico – comin-ciando dal più ristretto nucleo dedicato a Leonardo da Vinci, continuan-do con quello riservato a Raffaello Sanzio e concludendosi con la più folta sezione caravaggesca –, come momenti distinti e non comunicanti.

La sezione più corposa della mostra, dunque, è quella incentrata sul Caravaggio. E, in quanto include un numero amplissimo di opere del maestro, essa realizza una mostra dell’opera del Caravaggio senza precedenti; e non solo perché è molto più comprensiva di quanto non riuscirono a essere tutte le altre mostre organizzate durante l’ultimo mezzo secolo, a incominciare da quella foltissima e giustamente celebre del 1951 a Milano, bensì perché, a causa dei proibitivi impedimenti deri-vanti da ragioni diverse e intrecciate, quali lo stato di conservazione, la saldezza dei supporti, l’ampiezza delle dimensioni, la difficoltà della rimozione e i rischi del trasporto, una mostra di altrettante opere origina-li del Caravaggio era e resta impossibile in assoluto. Non per nulla, il sottotitolo dell’impresa del 2003 e di quella odierna parla appunto di “mostra impossibile”.

Ma quasi in epigrafe, il sopratitolo del manifesto della mostra presente parla anche di “opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità digitale”, e ciò echeggia scopertamente almeno il titolo del celebre saggio di Walter Benjamin che trattava, appunto, dell’opera d’arte “nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” (quando, per altro, l’aggettivo “tecnica” poteva intendere solo “fotografica”, né ancora a colori) e poneva la ripro-ducibilità dell’opera d’arte come limite alla sua “reificazione”, vale a dire alla sua riduzione a merce, congiunta alla perdita di ciò che lo stesso Benjamin giudicava irriproducibile e definiva “aura”. In effetti, senza perder nulla della funzione anti-mercificante della riproduzione dell’opera d’arte in quanto moltiplicazione legittima dell’esemplare

unico in cui l’opera d’arte stessa prende corpo, e anzi caricandosi più efficacemente della capacità di prolungarne la memoria al di là dell’usu-ra degli eventi e di trasmetterne ai posteri una testimonianza attendibile, la riproduzione “digitale” di essa realizza un grado ben più avanzato e quasi esauriente di “leggibilità”, tanto da risultare non solo il miglior sostituto desiderabile della presa di contatto diretto con l’originale, ma un aiuto concreto e analitico a percepirne bene quegli aspetti che di solito restano inaccessibili al potere visivo dello stesso occhio umano.

Bisogna tener presente che dalla seconda metà dell’Ottocento in avanti gli storici dell’arte lavorano su pacchi di fotografie. Oltretutto, questa nuova generazione di riproduzioni d’arte, ad altissima definizione e a grandezza naturale, consente un approccio agli originali che gli origi-nali stessi, nelle condizioni in cui normalmente si trovano, sia nei musei sia nelle sedi proprie, non consentono. Da quando esiste la fotografia il pubblico non ha mai perso il gusto di guardare l’opera originale. Questo è un fatto storico. L’arte riprodotta può rivelarsi un utile alleato dell’origi-nale perché oltre a risolvere problemi logistici, come i rischi legati agli spostamenti oppure alle speculazioni sullo pseudo turismo culturale, una “mostra impossibile” consente accostamenti e confronti che sareb-bero altrimenti, per l’appunto, impossibili, migliorando la lettura dell’opera completa del pittore.

Con tali strumenti, la mostra intende contribuire nel modo più puntua-le alla miglior “lettura” e all’intelligenza più approfondita di ciò che è stato ben definito “il libero esame pittorico” dell’opera caravaggesca: un esame addentrato per forza di colore e di lume nell’osservazione della realtà sgombra di ogni amplificazione esteriormente intellettualistica, e nel recupero quasi etimologico di ogni argomento raffigurabile al grado zero dell’esistente.

“In verità, egli fu per molti aspetti il primo artista moderno. Il primo a non procedere per evoluzione, ma per rivoluzione”. Lo scriveva Roger Fry nel 1905, ponendo il sigillo a una svolta nell’apprezzamento del Caravaggio che era incominciata a Parigi durante gli anni trenta dell’Ottocento. Precisamente nel 1834, a opera del critico, pittore e socialista militante Gabriel-Joseph-Hyppolite Laviron, al quale si deve il primo giudizio davvero innovatore sull’opera del maestro: “Fece una straordinaria rivoluzione fra i pallidi allievi della scuola eclettica dei Carracci e rovesciò tutti i sistemi di pittura alla moda per mettere al loro posto lo studio vero e corretto della natura. […] Le sue opere attrassero potentemente l’attenzione di tutte le classi della società, e di quelle soprattutto che sono di solito le più indifferenti al successo d’un’opera d’arte. In effetti, egli aveva scoperto la pittura del popolo, la pittura che può essere capita e giudicata da tutti, perché rende a ciascuna cosa tutta la forza espressiva che ha in natura, e non sacrifica mai nulla dell’intera verità”.

L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCADELLA SUA RIPRODUCIBILITÀ

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MOSTRA

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GLI STORICI DELL’ARTE SULLE “MOSTRE IMPOSSIBILI”

Ferdinando BolognaLe “mostre impossibili” consentono una più approfondita conoscenza

delle opere e un accostamento, per confronto, di opere che sono normalmente lontanissime fra di loro. Soprattutto, questa nuova genera-zione di riproduzioni d’arte, ad altissima definizione e a grandezza natu-rale, consente un approccio agli originali che gli originali stessi, nelle condizioni in cui normalmente si trovano, sia nei musei sia nelle sedi proprie, non consentono. Anche per questo considero geniale il proget-to delle “mostre impossibili” ideato e sviluppato, con perseveranza e rigore, da Renato Parascandolo.

Salvatore SettisA me piacciono le copie. Mi piacciono perché diffondono la cono-

scenza delle opere d’arte. Qualche volta servono per sostituirle. Servono anche a salvare alcuni monumenti importanti dall’aggressione degli agenti inquinanti. In Giappone si conservano – nell’isola di Shikoku – moltissime copie di arte occidentale, per la maggior parte italiana. Per i giapponesi, che vivono così lontano dai luoghi dove si trovano gli origi-nali, una visita all’isola costituisce un’occasione straordinaria di cono-scenza. Fra i duecentomila visitatori che ogni anno visitano quel museo, non c’è dubbio che molti vorranno poi vedere gli originali. La copia vale in quanto rimanda all’originale, non per sé.

Claudio StrinatiNumerosi sono gli studiosi e gli appassionati di musica che conoscono

certe composizioni ed esecuzioni quasi esclusivamente attraverso la riproduzione discografica. La riproduzione di un’opera pittorica – purché di qualità, sia nell’esecuzione, sia nella rappresentazione – presenta qual-che analogia con la riproduzione musicale. Il che non vuol dire che la riproduzione è equivalente all’originale: cionondimeno un’ottima ripro-duzione di un’opera d’arte può dare una serie di cognizioni, stimoli e intuizioni molto importanti e interessanti. Di qui il mio apprezzamento per il progetto delle “mostre impossibili” ideato da Parascandolo.

L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCADELLA SUA RIPRODUCIBILITÀ

DIGITALE

UNA

MOSTRA Nicola SpinosaA Castel Sant’Elmo, a Napoli, è stata allestita – nel 2003 – la prima

“mostra impossibile”, quella del Caravaggio. Quando mi è stato propo-sto da Renato Parascandolo di ospitare la mostra, avendo constatato la straordinaria qualità delle riproduzioni, ho accolto la richiesta con grande favore. Mi entusiasmava, soprattutto, l’idea di poter vedere, contemporaneamente e nello stesso luogo, l’intera opera del Caravag-gio. Abbiamo così una chiave di lettura sintetica, ma anche analitica, grazie alla scala delle riproduzioni realizzate in grandezza naturale e alla loro qualità. Oggi è il momento di Caravaggio, speriamo però che vi siano altre iniziative del genere in futuro, che in ultima analisi non posso-no non giovare a una più corretta e adeguata conservazione del nostro patrimonio artistico.

Denis MahonNormalmente non è possibile raccogliere tutti gli originali di un singo-

lo artista in un’unica esposizione: pensiamo alla Morte della Vergine al Louvre, che non si sposta mai dal suo museo. Questa impossibilità viene rimossa, per così dire, dalle mostre che, per antifrasi, prendono il nome di “impossibili”. Una caratteristica assolutamente degna di nota è che le riproduzioni sono tutte rigorosamente in scala naturale. Questa riprodu-zione della Decollazione di san Giovanni Battista è assolutamente fedele alla tela originale, di grandi dimensioni, conservata nella cattedrale di Malta. Le possibilità aperte dalle “mostre impossibili” sono meravigliose.

Maurizio CalvesiL’effetto delle riproduzioni di questa “mostra impossibile” è di straordi-

naria drammaticità. Per esempio, fa quasi rabbrividire il corpo del San Giovanni caduto a terra, mentre dal collo sgorga il sangue nel cui rosso il Caravaggio ha apposto la propria firma: un particolare che si può quasi toccare con mano nella riproduzione, mentre nell’originale non sarebbe possibile avvicinarsi tanto.

Page 11: Sotto l’Alto Patronato del Presidente della …...Lello Mazzacane Pierpaolo Venier Traduzione testi in inglese Michael Monkhouse Le musiche dipinte dal Caravaggio sono eseguite dall’Ensemble

GLI STORICI DELL’ARTE SULLE “MOSTRE IMPOSSIBILI”

Ferdinando BolognaLe “mostre impossibili” consentono una più approfondita conoscenza

delle opere e un accostamento, per confronto, di opere che sono normalmente lontanissime fra di loro. Soprattutto, questa nuova genera-zione di riproduzioni d’arte, ad altissima definizione e a grandezza natu-rale, consente un approccio agli originali che gli originali stessi, nelle condizioni in cui normalmente si trovano, sia nei musei sia nelle sedi proprie, non consentono. Anche per questo considero geniale il proget-to delle “mostre impossibili” ideato e sviluppato, con perseveranza e rigore, da Renato Parascandolo.

Salvatore SettisA me piacciono le copie. Mi piacciono perché diffondono la cono-

scenza delle opere d’arte. Qualche volta servono per sostituirle. Servono anche a salvare alcuni monumenti importanti dall’aggressione degli agenti inquinanti. In Giappone si conservano – nell’isola di Shikoku – moltissime copie di arte occidentale, per la maggior parte italiana. Per i giapponesi, che vivono così lontano dai luoghi dove si trovano gli origi-nali, una visita all’isola costituisce un’occasione straordinaria di cono-scenza. Fra i duecentomila visitatori che ogni anno visitano quel museo, non c’è dubbio che molti vorranno poi vedere gli originali. La copia vale in quanto rimanda all’originale, non per sé.

Claudio StrinatiNumerosi sono gli studiosi e gli appassionati di musica che conoscono

certe composizioni ed esecuzioni quasi esclusivamente attraverso la riproduzione discografica. La riproduzione di un’opera pittorica – purché di qualità, sia nell’esecuzione, sia nella rappresentazione – presenta qual-che analogia con la riproduzione musicale. Il che non vuol dire che la riproduzione è equivalente all’originale: cionondimeno un’ottima ripro-duzione di un’opera d’arte può dare una serie di cognizioni, stimoli e intuizioni molto importanti e interessanti. Di qui il mio apprezzamento per il progetto delle “mostre impossibili” ideato da Parascandolo.

Nicola SpinosaA Castel Sant’Elmo, a Napoli, è stata allestita – nel 2003 – la prima

“mostra impossibile”, quella del Caravaggio. Quando mi è stato propo-sto da Renato Parascandolo di ospitare la mostra, avendo constatato la straordinaria qualità delle riproduzioni, ho accolto la richiesta con grande favore. Mi entusiasmava, soprattutto, l’idea di poter vedere, contemporaneamente e nello stesso luogo, l’intera opera del Caravag-gio. Abbiamo così una chiave di lettura sintetica, ma anche analitica, grazie alla scala delle riproduzioni realizzate in grandezza naturale e alla loro qualità. Oggi è il momento di Caravaggio, speriamo però che vi siano altre iniziative del genere in futuro, che in ultima analisi non posso-no non giovare a una più corretta e adeguata conservazione del nostro patrimonio artistico.

Denis MahonNormalmente non è possibile raccogliere tutti gli originali di un singo-

lo artista in un’unica esposizione: pensiamo alla Morte della Vergine al Louvre, che non si sposta mai dal suo museo. Questa impossibilità viene rimossa, per così dire, dalle mostre che, per antifrasi, prendono il nome di “impossibili”. Una caratteristica assolutamente degna di nota è che le riproduzioni sono tutte rigorosamente in scala naturale. Questa riprodu-zione della Decollazione di san Giovanni Battista è assolutamente fedele alla tela originale, di grandi dimensioni, conservata nella cattedrale di Malta. Le possibilità aperte dalle “mostre impossibili” sono meravigliose.

Maurizio CalvesiL’effetto delle riproduzioni di questa “mostra impossibile” è di straordi-

naria drammaticità. Per esempio, fa quasi rabbrividire il corpo del San Giovanni caduto a terra, mentre dal collo sgorga il sangue nel cui rosso il Caravaggio ha apposto la propria firma: un particolare che si può quasi toccare con mano nella riproduzione, mentre nell’originale non sarebbe possibile avvicinarsi tanto.

L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCADELLA SUA RIPRODUCIBILITÀ

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MOSTRA

Page 12: Sotto l’Alto Patronato del Presidente della …...Lello Mazzacane Pierpaolo Venier Traduzione testi in inglese Michael Monkhouse Le musiche dipinte dal Caravaggio sono eseguite dall’Ensemble

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tel. 0810102005fax 0810102006

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