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1 polonia europae 2012 n. 3 Trasformazioni istituzionali e cammino della democrazia: un confronto tra Italia e Polonia L’evoluzione della forma di Stato in Italia: uno Stato regionale senz’anima? di Tania Groppi 1. Dalla proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861, fino ad oggi, passando per la nascita della Repubblica nel 1946 e la Costituzione del 1948, l’evoluzione della forma di Stato (quanto al rapporto tra sovranità e territorio) si è sviluppata in Italia secondo un processo “centrifugo”, ovvero attraverso un decentramento di competenze dallo Stato centrale ad enti esponenziali di comunità locali, stanziate su territori di diverse dimensioni: a un certo punto di questo percorso, alle regioni, enti di area vasta, si è giunti a riconoscere la potestà legislativa, finanche “esclusiva”; agli enti locali (comuni e province) unicamente la titolarità di funzioni amministrative e di potestà regola- mentare. Tale processo non è stato guidato — se si escludono alcune esperienze, in zone pe- riferiche del paese — dall’esigenza di far convivere, in un’unica struttura statuale, co- munità caratterizzate da elementi di tipo identitario, in qualche modo riconducibili all’idea di “nazione-etnos”; esigenza che, invece, come ci mostra il diritto comparato, caratterizza la maggior parte dei federalizing process che si mettono in atto in Stati uni- tari accentrati, come il Belgio e la Spagna. L’affermazione propria di uno dei padri del risorgimento italiano, Massimo D’Azeglio («L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani») ha perso, a quasi 150 anni dalla unificazione, la sua attualità: almeno dal punto di vista di D’Azeglio, oggi potremmo dire che “gli italiani sono fatti” e che l’Italia è uno Stato- nazione rispondente al modello ottocentesco (nonostante le prime timide sfide che ven- gono dai recenti fenomeni migratori). La scelta in favore del decentramento è stata legata in Italia soprattutto a due ele- menti che sono riconducibili alle parole-chiave dell’efficienza e della democrazia (que- st’ultima intesa nelle diverse accezioni di responsabilità, partecipazione e separazione dei Sommario: 1. Le ragioni e le fasi del decentramento nell’Italia unita. 2. Ritorno alle ori- gini: accentramento e decentramento nel Regno d’Italia. — 3. Nell’Italia repubblicana: lo Stato regionale secondo la Costituzione del 1948 e la sua inattuazione (1948-1970). — 4. L’istituzione delle regioni ordinarie, tra spinte autonomistiche e nuovo centralismo (1970- 1990) 5. Tra riforme legislative e costituzionali (1990-2001): l’Italia verso il federalismo? 6. Dopo la riforma costituzionale del 2001: lo Stato centrale come garante del principio unitario e lo svuotamento della potestà legislativa regionale. — 7. Uno Stato regionale alla ricerca di identità e di senso.

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n. 3 Trasformazioni istituzionali e cammino della democrazia: un confronto tra Italia e Polonia

Levoluzione della forma di Stato in Italia: uno Stato regionale senzanima?

di Tania Groppi

1. Dalla proclamazione del Regno dItalia, nel 1861, fino ad oggi, passando per lanascita della Repubblica nel 1946 e la Costituzione del 1948, levoluzione della formadi Stato (quanto al rapporto tra sovranit e territorio) si sviluppata in Italia secondoun processo centrifugo, ovvero attraverso un decentramento di competenze dalloStato centrale ad enti esponenziali di comunit locali, stanziate su territori di diversedimensioni: a un certo punto di questo percorso, alle regioni, enti di area vasta, si giunti a riconoscere la potest legislativa, finanche esclusiva; agli enti locali (comunie province) unicamente la titolarit di funzioni amministrative e di potest regola-mentare.

Tale processo non stato guidato se si escludono alcune esperienze, in zone pe-riferiche del paese dallesigenza di far convivere, in ununica struttura statuale, co-munit caratterizzate da elementi di tipo identitario, in qualche modo riconducibiliallidea di nazione-etnos; esigenza che, invece, come ci mostra il diritto comparato,caratterizza la maggior parte dei federalizing process che si mettono in atto in Stati uni-tari accentrati, come il Belgio e la Spagna. Laffermazione propria di uno dei padri delrisorgimento italiano, Massimo DAzeglio (LItalia fatta, ora bisogna fare gli italiani)ha perso, a quasi 150 anni dalla unificazione, la sua attualit: almeno dal punto di vistadi DAzeglio, oggi potremmo dire che gli italiani sono fatti e che lItalia uno Stato-nazione rispondente al modello ottocentesco (nonostante le prime timide sfide che ven-gono dai recenti fenomeni migratori).

La scelta in favore del decentramento stata legata in Italia soprattutto a due ele-menti che sono riconducibili alle parole-chiave dellefficienza e della democrazia (que-stultima intesa nelle diverse accezioni di responsabilit, partecipazione e separazione dei

Sommario: 1. Le ragioni e le fasi del decentramento nellItalia unita. 2. Ritorno alle ori-gini: accentramento e decentramento nel Regno dItalia. 3. NellItalia repubblicana: loStato regionale secondo la Costituzione del 1948 e la sua inattuazione (1948-1970). 4.Listituzione delle regioni ordinarie, tra spinte autonomistiche e nuovo centralismo (1970-1990) 5. Tra riforme legislative e costituzionali (1990-2001): lItalia verso il federalismo? 6. Dopo la riforma costituzionale del 2001: lo Stato centrale come garante del principiounitario e lo svuotamento della potest legislativa regionale. 7. Uno Stato regionale allaricerca di identit e di senso.

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poteri), che mi sembrano guidare le fasi attraverso le quali pu essere narrata levolu-zione della forma di Stato italiana.

Una prima, prodromica e di fatto, pu essere individuata gi in epoca statuta-ria, nella fioritura della vita locale cui si assiste nellultimo scorcio dello Stato liberaledi diritto. Le ulteriori tre fasi coprono invece il cinquantennio repubblicano e sonomesse in moto da apposite norme giuridiche.

Alla descrizione dei caratteri di queste fasi di decentramento, ciascuna delle quali stata seguita da un periodo di riflusso, dedicata lesposizione che segue.

2. La premessa da cui partire riguarda le modalit attraverso le quali si giunge allanascita dello Stato italiano, poco dopo la met del XIX secolo: lunificazione della pe-nisola avviene attraverso la conquista, per tappe successive, ad opera di uno Stato, ilRegno di Sardegna, insediato, al di l del nome, in una piccola parte dellItalia setten-trionale (il Piemonte) e fortemente influenzato dalla tradizione giuridica e ammini-strativa francese. Il principio che si afferma quello della continuit tra il Regno diSardegna e il Regno dItalia: le istituzioni e la legislazione di quello sono estese al nuovoStato (per fare un esempio, non si adotta una nuova costituzione, ma si estende alRegno dItalia la costituzione octroye piemontese, lo Statuto albertino). Sul pianodella organizzazione territoriale del potere, la scelta per un modello di Stato unita-rio accentrato di impronta napoleonica, basato sul principio di uniformit come tradu-zione del principio di uguaglianza formale: gli enti locali (comuni e province) non hannocompetenze garantite e sono posti sotto tutela dellamministrazione statale, attraversola figura del prefetto. Tutto ci nel quadro di uno Stato liberale che stato definitostatocentrico e monoclasse1.

Lidea regionale (che fa la sua comparsa negli anni della unificazione, concretiz-zandosi anche in un progetto di legge di iniziativa governativa, c.d. progetto Minghetti,poi accantonato), rifiutata per due ragioni: il timore della dissoluzione dellunit dapoco raggiunta (quindi, potremmo dire, lesigenza di fare gli italiani); la grande diffe-renza esistente, in termini di sviluppo economico e di tradizioni di autogoverno, tra levarie parti del paese, e soprattutto il sorgere di una questione meridionale, ricon-ducibile al sottosviluppo economico e alle peculiari strutture sociali dellItalia del sudche, a detta di molti (e degli stessi esponenti liberali meridionali), avrebbero resoimpraticabile lautogoverno in questa parte del paese2.

1 Sullunificazione italiana, sotto il profilo qui trattato, v. almeno: U. ALLEGRETTI, Profilo di storiacostituzionale italiana, Il Mulino, Bologna, 1989; L. VANDELLI, Poteri locali, Il Mulino, Bologna, 1989;R. RUFFILLI, Governo, Parlamento e correnti politiche nella genesi della legge 20 marzo 1865 (1969),ora in ID., Istituzioni, societ e Stato, Il Mulino, Bologna, 1989, I, 275 ss.2 Sul fallimento del tentativo regionalista di Minghetti, v. R. ROMANELLI, Centralismo e autonomie,in R. Romanelli (a cura di), Storia dello Stato italiano, Donzelli, Roma, 2001.

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n. 3 Trasformazioni istituzionali e cammino della democrazia: un confronto tra Italia e Polonia

Ci non di meno, una prima fase di decentramento individuabile proprio neglianni che vanno dalla unificazione allavvento del fascismo e ha al centro gli enti terri-toriali allora esistenti, ovvero i comuni e le province. Lelettivit dei governi locali, ac-compagnata da un progressivo allargamento del suffragio, parte della trasformazionedello Stato liberale italiano, da monoclasse a pluriclasse: i comuni divengono enti espo-nenziali delle comunit locali, sedi dove hanno modo di iniziare a manifestarsi le dina-miche democratico-partecipative. Allo stesso tempo, essi approfittano della riottositdello Stato centrale a voler assumere nuove funzioni, nel campo economico-sociale,per ritagliarsi un ruolo interventista, specie nella gestione dei servizi pubblici locali: lanascita di un embrione di stato sociale avviene in Italia a livello municipale, soprat-tutto nei comuni governati dai nuovi partiti dei lavoratori, quello socialista e quellocattolico3.

A questa fase di decentramento, svoltasi in gran parte senza rilevanti interventinormativi, se si escludono quelli in materia elettorale, e non sprovvista di difficolt(come testimonia il tentativo dottrinale di sistemazione di queste esperienze sotto lam-bigua categoria dellautarchia)4, rispose la fase di accentramento rappresentata dalregime autoritario fascista, che nel 1926 provvide alla soppressione delle elezioni localie alla sostituzione degli organi elettivi locali con organi nominati dal centro, inaugu-rando quindi unepoca di completo accentramento, che corrisponde al carattere auto-ritario assunto dalla forma di Stato ( inutile ricordare che la democrazia costituisce lapremessa indispensabile per qualsiasi Stato decentrato)5.

3. NellItalia repubblicana, la prima tappa del processo di decentramento coin-cide con la Costituzione del 1948. LAssemblea costituente, negli anni 1946-47, fa unascelta in favore dello Stato decentrato, che si concretizza in due tipi di previsioni co-stituzionali: innanzitutto lart.5, che inserisce autonomia e decentramento tra i prin-cipi fondamentali della Costituzione; inoltre, il titolo V della parte II, che istituisce perla prima volta le regioni, come enti dotati di potest legislativa e riconosce lautono-mia dei comuni e delle province. Si tratta di una novit nella storia dItalia, ma anchedi un interessante esperimento a livello di diritto comparato, trovando il proprio ante-cedente soltanto nella breve esperienza della repubblica spagnola del 1931.

3 V. M.S. GIANNINI, Il Comune, in ID. (a cura di), I Comuni, Neri Pozza, Venezia, 1967, 20; F. PUGLIESE,La normazione comunale, ivi, 201. 4 V. F. RUGGE, Autonomia e autarchia degli enti locali: allorigine dello Stato amministrativo, inA. Mazzacane (a cura di), I giuristi e la crisi dello Stato liberale in Italia fra ottocento e novecento,Liguori, Napoli, 1986, 273 ss.5 V. A. AQUARONE, Lorganizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, 1965; E. ROTELLI, Le tra-sformazioni dellordinamento comunale e provinciale durante il regime fascista, in Storia con-temporanea, 1973, 57 ss.

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Il modello costituzionale di Stato decentrato si fondava su un regionalismo diffe-renziato, obbligatorio, esteso allintero territorio. La Costituzione prevedeva due tipidi regioni, quelle a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle dAosta, Trentino-AltoAdige, Friuli-Venezia Giulia) e quelle a statuto ordinario, occupandosi direttamente sol-tanto delle competenze di queste ultime. Per le regioni speciali il cui trattamento dif-ferenziato trovava spiegazione in peculiarit di ordine geografico (insularit) oetnico-linguistico la definizione delle competenze era affidata ad apposite leggi co-stituzionali. Per le regioni ordinarie 15, direttamente individuate dalla Costituzionenellart. 131, facendo riferimento a preesistenti suddivisioni a fini statistici le con-dizioni di autonomia erano definite direttamente dalle norme contenute nel titolo Vdella parte II della Costituzione. Questa disciplina stata letta dai commentatori comedeludente rispetto alla solenne affermazione dellart.56. Il riparto di competenzeera definito nellart. 117 attraverso una lista alquanto circoscritta di materie affidatealla potest legislativa regionale. Tale potest era comunque unicamente di tipo con-corrente, nel senso che la legge statale era chiamata a dettare norme di principio, vin-colanti per la legislazione regionale. Le funzioni amministrative, sulla base del principiodel parallelismo, seguivano quelle legislative, mentre alle regioni erano precluse lefunzioni giurisdizionali. Erano previsti controlli preventivi di legittimit e di meritotanto sugli atti legislativi che amministrativi delle regioni. La risoluzione dei conflittidi competenza era affidata al giudice costituzionale. Le regioni erano dotate di auto-nomia statutaria, ma lo statuto, pur deliberato dallassemblea regionale, doveva essereapprovato poi dal parlamento nazionale. Gli enti locali godevano anchessi di autono-mia costituzionalmente garantita, che doveva esplicarsi nellambito dei principi defi-niti dalle leggi dello Stato, venendosi a creare una sorta di separazione rispetto alleregioni e un rapporto privilegiato con il centro. Infine, assai limitati erano i raccordidegli enti territoriali con lo Stato e le forme di partecipazione delle regioni alle funzionistatali: in particolare, la legislazione ordinaria non dette mai attuazione alla previsionesecondo la quale il senato eletto su base regionale (art.57 cost.), interpretandolaunicamente ai fini della definizione delle circoscrizioni elettorali.

Le ragioni della scelta in favore dello Stato regionale si rintracciano nella volont,che guid, in tutti i campi, i costituenti, di creare uno Stato nuovo, non solo rispetto aquello fascista, ma anche a quello liberale prefascista, cui lascesa del fascismo eraimputata7.

6 Segnalano la discrasia gi i primi commentatori dellart. 5: C. ESPOSITO, Autonomia locale edecentramento amministrativo nellart.5 della Costituzione, ora in La Costituzione italiana, Pa-dova, 1954, 67 ss. A livello bibliografico, sulle posizioni assunte dai primi commentatori in tema diautonomie locali, si veda E. Rotelli (a cura di), Dal regionalismo alla Regione, Milano, 1973, 343 ss.7 V. E. ROTELLI, Lavvento della regione in Italia. Dalla caduta del regime fascista alla Costituzionerepubblicana (1943-1947), prefazione di F. Benvenuti, Milano, Giuffr, 1967.

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n. 3 Trasformazioni istituzionali e cammino della democrazia: un confronto tra Italia e Polonia

La Costituzione italiana non una costituzione negoziata tra vincitori e vinti, comeaccade nelle pi recenti transizioni costituzionali, ma una costituzione dei vincitori (equindi negoziata tra questi), che rompe con il passato e anche le previsioni sugli entiterritoriali rispecchiano tale volont.

Quasi tutti i programmi con i quali i partiti antifascisti si presentarono alle elezionidel 1946 per lAssemblea costituente facevano riferimento alla necessit di dar vita aduno Stato decentrato, al fine di avvicinare il potere ai cittadini e di rendere pi saldele istituzioni democratiche, e la stessa impostazione emerge in Assemblea costituente.Le obiezioni, che pure continuarono ad essere presenti, specie nei partiti della sinistra,comunista e socialista, riguardano il principio di uguaglianza ed esprimono il timoreche una frammentazione del potere in molteplici centri decisionali renda impossibili leriforme economico-sociali ritenute necessarie per porre rimedio alle disuguaglianzeeconomiche, anche di tipo territoriale: esse, come noto, vennero abbandonate nellafase finale dei lavori della Costituente, come scelta tattica, a fronte di una situazionepolitica che faceva prevedere una sconfitta elettorale della sinistra nelle prime, e ormaiprossime, elezioni legislative (ci che effettivamente avvenne il 18 aprile del 1948). Sevogliamo sintetizzare le ragioni della scelta in favore dello Stato regionale, ci pare dipoter dire che si tratt, allora, soprattutto di una scelta per la democrazia, neldoppio senso della partecipazione e della separazione dei poteri di madisonianamemoria8.

La fase di riflusso pesante: nel clima della guerra fredda, come in molti campidella vita costituzionale, anche riguardo alle autonomie territoriali prevale la conti-nuit con il passato9: qualsiasi istituto che possa contribuire a limitare il potere poli-tico del centro guardato con sospetto (questo vale anche per la corte costituzionale,il consiglio superiore della magistratura o il referendum), e ci vero tanto pi per leistituzioni locali, tenuto conto che in vaste aree del paese erano prevalenti forzepolitiche chiaramente ostili allalleanza occidentale e vicine al blocco sovietico (sitratta soprattutto della questione del radicamento del Partito comunista nellItaliacentrale). Riguardo alle regioni, se si escludono quelle speciali, che godevano di regimidi preautonomia (Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige, Valle dAosta) e delle quali gilAssemblea costituente approv statuti speciali che prevedevano ampie competenzelegislative e una accentuata autonomia finanziaria (ad esse si affiancher in unmomento successivo la regione Friuli-Venezia Giulia, prevista dalla Costituzione ma isti-tuita nel 1963), le altre per decenni rimasero sulla carta; gli enti locali continuano afunzionare, se si esclude il ripristino della elettivit degli organi, in un quadro norma-

8 V. Federalist, n. 73: la divisione dei poteri tra due diversi sistemi costituzionali, nella repub-blica federale, rappresenta, secondo Madison, una doppia garanzia di libert.9 V. P. CALAMANDREI, La Costituzione e le leggi per attuarla, in AA.VV., Dieci anni dopo (1945-1955),Bari, 1955, 227 ss.

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tivo rimasto pressoch immutato rispetto a quello dello Stato liberale e fascista (e que-sto stato di cose si protrarr addirittura fino al 1990). Linattuazione del dettato costi-tuzionale nel periodo 1948-1970 ha conseguenze rilevanti che si proiettano fino ai nostrigiorni. Si determina infatti il radicamento di un assetto di stampo accentrato, che si ri-veler assai arduo da smantellare anche quando il mutato clima internazionale con-sentir infine lattuazione del disegno regionale.

4. La seconda tappa si mette in moto alla fine degli anni sessanta (1968: legge perlelezione dei consigli regionali) e ha il suo nucleo centrale nella creazione delle 15 re-gioni ancora mancanti, resa possibile dalla approvazione di una serie di leggi statali(gi previste, a suo tempo, dalle disposizioni transitorie della costituzione) per il tra-sferimento delle funzioni amministrative e delle risorse finanziarie e umane necessarieper il funzionamento. Le ragioni che consentono, sul piano politico, la creazione delleregioni la attenuazione dei profili interni della guerra fredda, e quindi la progressivaincorporazione entro il sistema del partito socialista e comunista (partiti destinati agovernare alcune delle nuove regioni, in virt della loro predominanza in tutta la partecentrale del paese)10. La spinta diretta per lesigenza di riforma amministrativa: loslogan che guida questa fase, che dura per tutti gli anni Settanta, le regioni per lariforma dello Stato11: il trasferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali dovrebbeessere la via per una riforma, in termini di efficienza, dellamministrazione pubblica.Inoltre, le esigenze di partecipazione che, a seguito dei movimenti culturali della finedegli anni sessanta sono forti anche in Italia, potrebbero trovare uno sbocco nel livelloregionale e nella rinnovata valorizzazione degli enti locali.

Molto ci sarebbe da dire sulla fase di istituzione delle regioni, sulla redazione deglistatuti da parte dei consigli regionali neoeletti, sullavvio dellesercizio della potestlegislativa regionale, sui rapporti che si instaurano tra i nuovi enti territoriali e quelligi esistenti, i comuni e le province. Tuttavia, ci pare che la fase dellattuazione dellaCostituzione si intrecci strettamente con quella che possiamo qualificare, ancora unavolta, come fase di riflusso.

In effetti, lazione congiunta del legislatore statale e della giurisprudenza costi-tuzionale ha contribuito a dar vita a uno Stato regionale caratterizzato da una autono-mia legislativa regionale alquanto circoscritta, mentre si affermava la tendenza delleregioni a caratterizzarsi prevalentemente come enti di amministrazione.

10 L. PALADIN, Diritto regionale, Padova, Cedam, 1992.11 AA.VV., Le regioni per la riforma dello Stato, Il Mulino, Bologna, 1976. Su questa fase v. ancheA. Barbera, F. Bassanini (a cura di), I nuovi poteri delle regioni e degli enti locali: commentarioal decreto n.616 di attuazione della legge 382, Il Mulino, Bologna, 1979.

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Lattuazione della Costituzione, negli anni Settanta e Ottanta, ha mostratolimpossibilit di realizzare il modello euclideo di ripartizione delle competenzeprevisto dai costituenti. La debolezza delle regioni e la mancanza di meccanismi di par-tecipazione alle funzioni statali hanno per impedito la nascita di un compiuto modellocooperativo, dando luogo invece a un sistema a netta prevalenza dello Stato centrale.

Vari sono stati gli strumenti utilizzati12: la definizione delle materie avvenutasulla base delle funzioni amministrative trasferite alle regioni, secondo un paralleli-smo allinverso che ne ha comportato la sostanziale decostituzionalizzazione; linte-resse nazionale, previsto nella costituzione come limite esterno alle competenzeregionali, stato utilizzato come titolo giustificativo di interventi statali di dettaglionelle materie regionali, che hanno portato alla espropriazione di interi settori di com-petenza; il sistema leggi statali di principio-leggi regionali di dettaglio stato superatonella prassi, riconoscendo la possibilit di rintracciare i principi fondamentali anchenel complesso delle leggi statali gi in vigore e consentendo al legislatore statale didettare una disciplina di dettaglio cedevole nelle materie regionali. Il sistema preven-tivo di impugnativa delle leggi regionali da parte dello Stato, sommandosi con i ritardiaccumulati dalla Corte costituzionale, ha paralizzato per anni le leggi regionali oggettodi ricorso governativo, dando luogo ad una anomala contrattazione legislativa previa,finalizzata, da parte delle regioni, a evitare ricorsi che si sarebbero tradotti in un con-gelamento dellattivit legislativa, nelle more della decisione della Corte. La finanzaregionale si configurata come essenzialmente derivata, potendo disporre le regioni dilimitate risorse proprie. A fini di riequilibrio, anche sotto limpulso della giurisprudenzacostituzionale13, si sono sviluppati meccanismi di collaborazione tra lo Stato e le re-gioni, culminati nella creazione di un organo misto, la Conferenza Stato-regioni, che riu-nisce i rappresentanti del governo centrale e di quelli regionali. Tuttavia, lassenza diprevisioni costituzionali al riguardo ha impedito alla Conferenza, e in generale al prin-cipio di leale collaborazione, di estendere i propri effetti alla funzione legislativa.

In definitiva, la fase di riflusso che segue alla istituzione delle regioni rivela dueprincipali aspetti. Da un lato, il fallimento della riforma amministrativa: non soltantole regioni non sono un veicolo per la riforma dello stato, ma contribuiscono a creare unterzo livello di burocrazia, che si sovrappone ai due (statale e locale) gi esistenti.

12 E. CHELI, Lo Stato regionale nella giurisprudenza costituzionale, in ID., Il giudice delle leggi.La corte costituzionale nella dinamica dei poteri, Bologna, Il Mulino, 1996, 83 ss.13 Su questa giurisprudenza v. ad es. S. BARTOLE, La Corte costituzionale e la ricerca di un contem-peramento tra supremazia e collaborazione nei rapporti tra Stato e regioni, in Le regioni, 1988,563 ss.; P. CARROZZA, Principio di collaborazione e sistema delle garanzie procedurali (la via ita-liana al regionalismo cooperativo), in Le regioni, 1989, 116 ss.

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Dallaltro, il fallimento del regionalismo politico: le regioni non si dimostrano ingrado di perseguire proprie politiche, anche per una serie di cause: a) le limitate com-petenze legislative loro riconosciute dalla costituzione; b) linvadenza dello stato cen-trale, che pretende di intervenire in ogni campo in nome dellinteresse nazionale; c) lagiurisprudenza costituzionale che giustifica la legislazione statale appoggiandosi propriosulla clausola costituzionale dellinteresse nazionale. Nel complesso, in tutta questafase, il sistema politico che non riesce a riarticolarsi su base regionale e d una let-tura del regionalismo strumentale alle esigenze tattiche del momento (secondo unaprassi che affonda le sue radici gi nellepoca costituente).

5. La terza tappa del decentramento copre tutti gli anni Novanta: potremmo ideal-mente farla iniziare nel 1990, con lapprovazione della nuova legislazione statale sui co-muni e le province (la prima di epoca repubblicana) e terminare con la riformacostituzionale del 2001 (la pi ampia e profonda che abbia investito la costituzione ita-liana).

La spinta viene soprattutto dallefficienza: la necessit di fornirsi di apparati isti-tuzionali che consentano allItalia di acquistare competitivit nel contesto internazio-nale ed europeo14. In questa prospettiva sono trasferite a regioni ed enti locali, conleggi, molteplici funzioni amministrative in precedenza svolte dallo Stato centrale(secondo il principio di sussidiariet, di derivazione comunitaria) e viene modificata laforma di governo locale, con lintroduzione dellelezione diretta dei sindaci e deipresidenti delle province. Lelemento democratico inteso soprattutto nel senso diresponsabilit (e quindi funzionale rispetto allefficienza), collegandosi allelezionediretta dei vertici degli esecutivi, mentre perde rilievo laspetto della partecipazione(con una progressiva emarginazione delle assemblee regionali e locali e della demo-crazia diretta).

Per la prima volta nella storia italiana, sembra emergere anche una diversa spintaalla riforma: quella della richiesta di autogoverno da parte di comunit locali, testimo-niata dal successo elettorale, nel corso degli anni Novanta, della Lega Nord, una forma-zione, radicata nel Nord-est del paese, che faceva del federalismo e della secessione lesue parole dordine. Non stato possibile misurare la spinta federalista attraverso mo-dalit diverse da quelle delle elezioni politiche: la Corte costituzionale ha infatti bloccatotutti i tentativi portati avanti negli anni dalle regioni del nord (Lombardia, e Veneto)di sottoporre a referendum regionale consultivo disegni di legge costituzionale di inizia-tiva regionale volti a modificare in senso autonomistico la Carta costituzionale15.

14 Una sintesi di questa fase in F. Pizzetti (a cura di), Federalismo, regionalismo e riforma dellostato, Giappichelli, Torino, 1998.15 Si vedano le sentenze 470/1992, 496/2000.

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La questione regionale stata comunque portata allattenzione dellopinione pub-blica ed entrata stabilmente a far parte dei programmi politici dei partiti e deigoverni. Lelemento di pluralismo territoriale che chiede una risposta giuridico-isti-tuzionale quindi lirrisolto dualismo economico italiano, nord-sud. A questa spintapossono imputarsi alcuni degli aspetti qualificanti la riforma costituzionale del 2001, dimatrice pi tipicamente federale, in primis la valorizzazione della potest legislativaregionale.

Molte importanti riforme sono state realizzate attraverso la legislazione ordinaria,come il trasferimento di nuove funzioni amministrative, la riduzione dei controlli sugliatti amministrativi, la individuazione di un ruolo comunitario delle regioni, la riformadellordinamento locale, lintroduzione di un nuovo sistema elettorale per i consigli re-gionali, la eliminazione di tutti i finanziamenti vincolati e la loro trasformazione incompartecipazioni ai tributi erariali.

Soltanto alla fine degli anni Novanta si posto mano alla riforma costituzionale,non senza difficolt ed in mezzo ad uno scontro politico che ha assunto toni sempre piaspri, al punto che, nel 2001, la riforma pi importante stata approvata dalla solamaggioranza di governo (di centro-sinistra), con il voto contrario dellopposizione dicentro-destra, ivi comprese le sue componenti pi esplicitamente autonomiste (la LegaNord), bench i suoi contenuti fossero il prodotto di una negoziazione portata avanti peranni, fin dalla Commissione parlamentare per le riforme istituzionali istituita con lalegge cost. n.1 del 1997 (la c.d. Commissione DAlema).

La revisione del Titolo V della Parte II avvenuta in due tappe, con la legge cost.n. 1 del 1999 e n. 3 del 200116.

La prima tappa ha inciso sullautonomia statutaria e sulla forma di governo delleregioni: stata riconosciuta loro piena autonomia statutaria, anche per quanto attienela forma di governo, attraverso la sottrazione degli statuti allapprovazione parlamen-tare. In via transitoria, e in assenza di contraria decisione regionale, si introdottalelezione diretta del presidente della regione.

Nella seconda tappa stato modificato il criterio di riparto delle competenze, in-troducendo un elenco di materie di competenza esclusiva dello stato centrale, e affi-dando alle regioni le competenze residue. Lelenco di materie statali, peraltro, moltoampio, comprendendo il diritto penale, il diritto civile, la tutela dellambiente, la tu-tela della concorrenza, la garanzia dei livelli essenziali dei diritti civili e sociali.

16 T. Groppi, M. Olivetti (a cura di), La repubblica delle autonomie, Giappichelli, Torino, 2003; S.BARTOLE, R. BIN, G. FALCON, R. TOSI, Diritto regionale, Il Mulino, Bologna, 2005.

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Levoluzione della forma di Stato in Italia: uno Stato regionale senzanima?

Tra le materie di competenza esclusiva delle regioni, nondimeno, figurano agri-coltura, industria, commercio, turismo, urbanistica, assistenza sociale Esiste poi unelenco di materie di competenza concorrente, nelle quali lo Stato detta i principi e leregioni la disciplina di dettaglio. Il controllo preventivo sulle leggi regionali scom-parso: contro di esse infatti possibile solo il ricorso successivo alla Corte costituzio-nale. Le funzioni amministrative, sulla base del principio di sussidiariet, sono attribuitein primo luogo ai comuni, che continuano ad avere un ruolo importante nello stato de-centrato italiano. Lautonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali sulla cartaaccresciuta, ma occorrer attendere la concreta attuazione legislativa. Continuano in-vece a mancare i raccordi tra lo Stato e le regioni, essendo naufragata ogni previsionedi riforma della seconda camera e non essendo stata costituzionalizzata la conferenzaStato-regioni, che peraltro mostra di giocare un ruolo crescente nel concreto sviluppodel processo di federalizzazione italiano. Volendo dare un giudizio, sulla carta, della ri-forma del 2001, si potrebbe dire che le regioni hanno acquisito maggiori competenze(soprattutto legislative) e una forte presenza istituzionale, anche in conseguenza delleelezione diretta dei presidenti. Restano comunque presenti alcuni tratti caratteristicidel modello italiano, e in primo luogo limportante posizione costituzionale degli entilocali (valorizzata soprattutto dagli artt.114 e 118 Cost.), che contribuisce a dar vita,piuttosto che al sistema a due livelli caratteristico degli stati federali classici, a un si-stema policentrico fondato, quanto alla distribuzione delle funzioni amministrative, sulprincipio di sussidiariet.

6. Lentrata in vigore della riforma costituzionale del 2001 (che fu sottoposta, perla prima volta nella storia repubblicana, a un referendum costituzionale ai sensi del-lart.138 Cost.)17 stata seguita da una ulteriore fase di riflusso. Cinque anni dopo, lacostituzione vivente, che risulta, oltre che dalle norme costituzionali scritte, anchedalla legislazione, statale e regionale, e dalla giurisprudenza costituzionale, profon-damente diversa dal testo del 200118.

La potest legislativa non ripartita sulla base degli elenchi dellart.117; le fun-zioni amministrative non sono state conferite secondo il principio dellart.118; le ri-sorse finanziarie non sono distribuite sulla base dellart.119; lo statuto non pu sceglierela forma di governo, a differenza di quanto stabilito dallart.123.

17 Nel referendum costituzionale del 7 ottobre 2001 ha partecipato al voto il 34,1% degli aventi di-ritto, ed il s si affermato con il 64,2% dei voti.18 Cos ad es. F. MERLONI, Il paradosso italiano: federalismo ostentato e centralismo rafforzato,in Le regioni, 2005, 469 ss.; S. MANGIAMELI, I processi di riforma in itinere. Considerazioni sul riflussodella riforma federale in Italia, in www.forumcostituzionale.it, 5 ottobre 2006.

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n. 3 Trasformazioni istituzionali e cammino della democrazia: un confronto tra Italia e Polonia

Ha prevalso la continuit con lassetto del regionalismo italiano precedente la ri-forma del 2001: in particolare stata riaffermata una concezione del principio unita-rio incentrata sul ruolo di garanzia dello Stato, che gli rende lecito intervenire in ognimateria, indipendentemente dagli elenchi dellart.11719.

In parte ci pu trovare una spiegazione in termini politici: lattuazione della ri-forma del 2001, approvata allo scadere della XIII legislatura, stata gestita, nella XIVlegislatura, da una maggioranza politica diversa da quella che laveva sostenuta e cheha portato avanti un suo progetto di riforma, noto con il nome, di sicura presa media-tica ma privo di qualsiasi collegamento con il suo contenuto, di devolution20, che,dopo essere stato approvato dalle Camere a maggioranza assoluta nel 2005 stato boc-ciato nel referendum popolare del 25 e 26 giugno 200621. Tuttavia le modalit attraversole quali avvenuto lo svuotamento delle novit principali del testo del 2001 non sononuove. Esse ricordano molto quelle che erano state poste in essere gi negli anni Set-tanta e Ottanta, nei confronti del dettato originario della Costituzione, la cui portataautonomistica era stata notevolmente ridotta in fase di attuazione: si tratta infatti,ancora una volta, dellazione congiunta del legislatore statale e della Corte costituzio-nale.

Il legislatore statale ha agito attraverso tre principali modalit: a) continuando alegiferare a tutto tondo, quasi che la riforma non esistesse, nonostante la introduzionedi una apposita sede procedimentale la commissione affari costituzionali di ogni Ca-mera nella quale deve essere espresso un parere sulla riconducibilit dei disegni dilegge statale alle materie di competenza dello Stato22; b) attraverso lapprovazione diuna legge generale di attuazione delle riforma costituzionale (c.d. legge La Loggia,dal nome dellallora ministro degli affari regionali, legge n. 131 del 2003) che, oltre aporre dubbi sul suo stesso fondamento competenziale, ha contribuito ad una lettura

19 Per una possibile, diversa configurazione del principio unitario, costruito dal basso, nel rapportotra istituzioni e societ, v. V. ANTONELLI, Amministrazione pubblica e unit della Repubblica, inA. Pioggia, L. Vandelli (a cura di), La Repubblica delle autonomie nella giurisprudenza costitu-zionale, Il Mulino, Bologna, 2007, 49 ss. e autori ivi richiamati.20 L. VANDELLI, Devolution e altre storie, Il Mulino, Bologna, 2002.21 Il referendum, che ha visto partecipare al voto il 52,3% degli aventi diritto, ha determinato laf-fermazione del no, con il 61,3%. Per una sintesi sui caratteri della riforma bocciata nel referen-dum, relativamente alle autonomie territoriali, si rinvia a T. GROPPI, La devolution e il nuovo TitoloV, in T. Groppi, P. Petrillo (a cura di), Cittadini, governo, autonomie. Quali riforme per la Costi-tuzione, Milano, Giuffr, 2005, 43 ss.22 Su tale giurisprudenza, v. C. DI ANDREA, Lattuazione del nuovo titolo V in Parlamento. La veri-fica della competenza legislativa nel procedimento di approvazione delle leggi statali, in Le re-gioni, 2002, 249 ss. In linea generale, ci pare di poter dire che un titolo competenziale si trovasempre: basti pensare alla adozione di una legge statale sullagriturismo, l. 20 febbraio 2006, n.96:quando sia agricoltura che turismo sono materie di competenza residuale delle regioni.

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riduttiva della riforma costituzionale (specie riguardo alla potest legislativa concor-rente)23; c) omettendo di approvare norme necessarie per lattuazione della riforma,soprattutto in tema di autonomia finanziaria e di riordino delle funzioni amministrativein coerenza con il principio di sussidiariet. A ci si aggiungano le impugnative, da partedel governo, delle leggi regionali ritenute esorbitare dalle competenze delle regioni,che sono state in numero assai superiore al passato24.

Per parte sua, la Corte costituzionale, come ha detto nella conferenza stampa an-nuale per il 2003 il suo presidente, Gustavo Zagrebelsky, stata chiamata a una fun-zione di supplenza non richiesta e non gradita, trovandosi ad affrontare un numerosenza precedenti di ricorsi in via principale25. Volendo tentare di sintetizzare i princi-pali strumenti utilizzati dalla Corte per giustificare gli interventi statali, riconducendolialla tutela del principio unitario, essi potrebbero essere schematizzati come segue26.

a) In primo luogo, c il principio di sussidiariet, cui la Corte costituzionale hafatto ricorso per introdurre un meccanismo, assente nel testo costituzionale, finalizzatoa rendere flessibile il riparto delle competenze legislative, secondo un modello nondissimile dalla konkurrierende Gesetzgebung dellart. 72 del Grundgesetz. La Corte,con una decisione che, a detta di molti commentatori, ha riscritto il titolo V, haaffermato che, qualora in nome del principio di sussidiariet (espressamente codificatonellart.118 Cost. riguardo alle funzioni amministrative) lo Stato conservi alcune

23 V. ad es. P. Cavaleri, E. Lamarque (a cura di), Lattuazione del nuovo Titolo V, Parte II, della Co-stituzione, Giappichelli, Torino, 2004.24 Sul contenzioso di fronte alla Corte costituzionale v. A. Pioggia, L .Vandelli (a cura di), La Re-pubblica delle autonomie nella giurisprudenza costituzionale, cit.25 Nel 2003, lanno nel quale la Corte ha affrontato appieno le nuove questioni, ben il 15% delledecisioni stato emesso nel giudizio in via principale (contro il 2% del 2002) e delle 136 sentenzeil 36% risolve questioni sollevate nel giudizio principale (a fronte del 40% di sentenze pronunciatenel giudizio incidentale). Nel 2004, quasi il 22% delle decisioni emesso nel giudizio principale,mentre delle 167 sentenze, il 37,72% risolve questioni incidentali (63 in totale) e ben il 48,5% (81in valore assoluto) ricorsi promossi in via principale. Per la prima volta nella cinquantennale sto-ria della Corte costituzionale italiana, il numero delle sentenze rese nel giudizio principale su-pera quello delle sentenze emesse nel giudizio incidentale. Dati analoghi si riscontrano anche nel2005: nel giudizio principale stato emesso il 20,95% delle decisioni, mentre ben 85 sentenze sonostate rese in tale tipo di giudizio (42,93%), a fronte delle 80 del giudizio incidentale (40,40%).26 V. amplius T. GROPPI, Giustizia costituzionale e Stati decentrati: la Corte italiana dopo la revi-sione del 2001, in Amministrare, 2005, 5 ss. e in Revista dEstudis Autonmics i Federals,2005, 9 ss.; una lettura problematica di questa giurisprudenza data anche da A. RUGGERI, Riformadel Titolo V ed esperienze di normazione, attraverso il prisma della giurisprudenza costituzionale:profili processuali e sostanziali, tra continuo e discontinuo, in www.federalismi.it, 6 ottobre 2005e da S. MANGIAMELI, cit., che parla di disarticolazione del riparto di competenze.

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funzioni amministrative, perch ritenute di interesse unitario, ci avr anche conse-guenze sulla competenza legislativa, che rester statale (sentenza 303/2003)27.

b) Un aspetto altamente problematico rimasto quello della definizione delle ma-terie. Qui, nonostante il ribaltamento della enumerazione delle competenze, con lat-tribuzione alle regioni della competenza residuale, la Corte si attestata su posizioniparticolarmente penalizzanti per lautonomia regionale, sotto vari punti di vista.

Innanzitutto, ha circoscritto le competenze regionali residuali, dellart.117,comma 4, riportandole a ambiti interstiziali. Essa ha affermato l'impossibilit di ri-condurre un determinato oggetto di disciplina normativa all'ambito di applicazione af-fidato alla legislazione residuale delle Regioni ai sensi del comma quarto del medesimoart. 117, per il solo fatto che tale oggetto non sia immediatamente riferibile ad unadelle materie elencate nei commi secondo e terzo dell'art. 117 della Costituzione (sen-tenza 370/2003)28.

Inoltre, la Corte ha continuato a utilizzare, al fine di ricondurre un determinato og-getto entro una materia, il criterio legislativo-evolutivo. Con la conseguenza che uncambiamento nella legislazione ordinaria di settore pu comportare lo spostamentodella collocazione di un oggetto nel riparto materiale delle competenze legislative del-lart. 117 Cost.29. Gli atti statali di trasferimento delle funzioni amministrative, benchprecedenti alla riforma costituzionale del 2001, hanno continuato a mantenere lamedesima valenza interpretativa del passato ai fini della definizione delle materie30. Insostanza, questa impostazione comporta un permanere della decostituzionalizzazionedel riparto delle competenze, in favore di una definizione offerta, in via unilaterale, dallegislatore statale.

27 La possibilit, per lo Stato, di disciplinare, in nome delle esigenze unitarie, aspetti di dettagliodelle materie di competenza concorrente (o di intervenire nelle materie di competenza residuale:sentenza 6/2004) tuttavia temperata gi nella sentenza 303/2003 dallaffermazione che i prin-cip di sussidiariet e di adeguatezza convivono con il normale riparto di competenze legislativecontenuto nel Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se la valutazione dellinteresse pub-blico sottostante allassunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, nonrisulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalit, e siaoggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata.28 Ad esempio, i lavori pubblici, di cui pure lart. 117 non parla, costituiscono ambiti di legisla-zione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda delloggetto alquale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potest legislative esclusivedello Stato ovvero a potest legislative concorrenti (sentenza 303/2003). Materie innominate,come ledilizia e lurbanistica, sono a loro volta ricondotte dalla Corte entro la competenza con-corrente del governo del territorio (sentenza 362/2003).29 Cos, ad esempio, a seguito della evoluzione legislativa, la disciplina degli asili nido viene ri-condotta entro la materia dellistruzione e, per alcuni profili, entro quella della tutela del lavoro(sentenza 370/2003); la disciplina delle fondazioni di origine bancaria ritenuta estranea, a se-guito degli sviluppi legislativi, alla materia concorrente casse di risparmio, casse rurali, aziendedi credito a carattere regionale, per essere ricondotta invece a quella, statale, dellordinamentocivile (sentenza 300/2003).30 Vedi sentenze 9 e 26/2004, sui beni culturali, oppure 287/2004, sui servizi sociali.

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In terzo luogo, molte delle materie di competenza statale dellart. 117, comma 2,sono state lette dalla Corte non come materie, ma come clausole trasversali, capacidi incidere su tutte le materie di competenza regionale31.

Infine, in caso di interferenze tra norme rientranti in materie di competenza esclu-siva, spettanti alcune allo Stato ed altre alle Regioni, (ipotesi che la Corte, a partiredalla sentenza 50/2005, definisce di concorrenza di competenze e non competenzaripartita o concorrente)32, la Corte ritiene di poter far ricorso, qualora appaia evi-dente lappartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materiapiuttosto che ad altre, al non meglio specificato criterio della prevalenza, che hagiocato, nei casi in cui venuto in rilievo, in favore della competenza statale33.

c) Altro aspetto controverso quello della definizione dei principi fondamentali.Anche qui, in molte occasioni, si assistito a uno svuotamento delle competenzeregionali, attraverso decisioni che hanno, a vario titolo, ritenuti legittimi interventistatali che esauriscono lintera disciplina della materia. Basti pensare al caso in cui laCorte individua nella legislazione statale un principio fondamentale che impone la ri-serva allo Stato della disciplina di una parte della materia34. In altri casi, essa ha defi-nito come principio fondamentale lintera disciplina statale di una materia, in quantoessa realizza un corretto equilibrio tra valori costituzionali35.

31 In particolare, si fatto ricorso a tale tecnica interpretativa per le materie statali pi stretta-mente legate ai diritti fondamentali: la tutela dellambiente (sentenze 407/2002 e 536/2002), latutela della concorrenza (sentenza 14/2004), lordinamento civile (sentenza 359/2003), i livelliessenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che debbono essere garantiti in ogniparte del territorio nazionale (sentenze 282/2002 e 88/2003). Le esigenze unitarie sottese a talicompetenze statali sono a pi riprese esplicitate dalla Corte.32 Di concorrenza di competenze si inizia a parlare a partire dalla sentenza 50/2005 (v. anchesentenze 51 e 62/2005). La Corte afferma espressamente che per le ipotesi in cui ricorra unaconcorrenza di competenze, la Costituzione non prevede espressamente un criterio di compo-sizione delle interferenze. In tal caso ove, come nella specie, non possa ravvisarsi la sicura pre-valenza di un complesso normativo rispetto ad altri, che renda dominante la relativa competenzalegislativa si deve ricorrere al canone della leale collaborazione, che impone alla legge sta-tale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle lorocompetenze (cos sentenza 219/2005).33 Oltre alla sentenza 50/2005, si pu richiamare la sentenza 234/2005: entrambe fanno preva-lere la competenza statale in materia di ordinamento civile su competenze regionali residuali.34 Ad esempio, essa ha qualificato come principio fondamentale quello secondo cui lindividua-zione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, debba essere riser-vata allo Stato (sentenza 353/2003).35 In tal modo, la legislazione statale in materia di vivisezione ha acquisito in blocco lo statusdel principio fondamentale, poich esprime il punto di equilibrio della sperimentazione, bilan-ciando il rispetto verso gli animali con linteresse collettivo alla sperimentazione (sentenza166/2004).

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n. 3 Trasformazioni istituzionali e cammino della democrazia: un confronto tra Italia e Polonia

Tale avocazione di competenza allo Stato, attraverso la qualificazione come prin-cipi fondamentali di disposizioni statali che espropriano del tutto la regione dellamateria, in alcuni casi stata ricondotta alla esigenza di garantire luguaglianza dei di-ritti. Ci evidente laddove la Corte definisce principi fondamentali previsioni conte-nute in una legge statale che debbono essere necessariamente uniformi su tutto ilterritorio nazionale36.

d) Il ruolo centrale del principio unitario emerge anche nella interpretazione chela Corte ha dato dei poteri statali repressivi e sostitutivi previsti dagli art. 127 e 120,comma 2, Cost. Circa lart.127, la Corte ha affermato che lo Stato pu impugnare leleggi regionali per qualsiasi tipo di vizio proprio perch allo Stato pur sempre riser-vata, nell'ordinamento generale della Repubblica, una posizione peculiare desumibilenon solo dalla proclamazione di principio di cui all'art. 5 della Costituzione, ma anchedalla ripetuta evocazione di un'istanza unitaria (sentenza 274/2003). Quanto allart.120, comma 2, e al potere sostitutivo l previsto, la Corte ne ha sottolineato il carat-tere di rimedio straordinario, a garanzia del principio unitario37. Lintervento delgoverno finalizzato a garantire gli interessi essenziali indicati nel medesimo commaprescinde dal riparto delle competenze amministrative, come attuato dalle leggi sta-tali e regionali nelle diverse materie (e, dovremo aggiungere, da quello delle compe-tenze legislative, in quanto, bench le clausole dellart.120, comma 2, siano ricondu-cibili alle riserve statali dellart.117, comma 2, esse non si riferiscono a materie, maa quelle che la stessa Corte ha definito competenze idonee ad investire tutte le ma-terie: sentenza 282/2002).

36 La sentenza 361/2003, sul c.d. fumo passivo, afferma la natura di principi fondamentali delledisposizioni statali che prevedono varie fattispecie di illecito amministrativo al fine della tuteladella salute. Il carattere di principi fondamentali, necessariamente uniformi, si ricava dalla lorofinalit di protezione di un bene, quale la salute della persona, ugualmente pregiudicato dal-lesposizione al fumo passivo su tutto il territorio della Repubblica: bene che per sua natura nonsi presterebbe a essere protetto diversamente alla stregua di valutazioni differenziate, rimesse alladiscrezionalit dei legislatori regionali. La natura di principi fondamentali delle norme in que-stione si comprende non appena si consideri limpossibilit di concepire ragioni per le quali, unavolta assunta la nocivit per la salute dellesposizione al fumo passivo, la rilevanza come illecitodellattivit del fumatore attivo possa variare da un luogo a un altro del territorio nazionale.37 Essa ha precisato (sentenza 43/2004) che la nuova norma deriva palesemente dalla preoccu-pazione di assicurare comunque, in un sistema di pi largo decentramento di funzioni quale quellodelineato dalla riforma, la possibilit di tutelare, anche al di l degli specifici ambiti delle mate-rie coinvolte e del riparto costituzionale delle attribuzioni amministrative, taluni interessi essen-ziali il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, la salvaguardia dellincolumit e dellasicurezza pubblica, la tutela in tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioniconcernenti i diritti civili e sociali che il sistema costituzionale attribuisce alla responsabilitdello Stato. Essa ha aggiunto che quanto allunit giuridica e allunit economica, quale chene sia il significato si tratta allevidenza del richiamo ad interessi naturalmente facenti capoallo Stato, come ultimo responsabile del mantenimento della unit e indivisibilit della Repub-blica garantita dallart. 5 della Costituzione.

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Il giudizio che si d di questi interventi giurisprudenziali controverso: mi pare dipoter dire che sono dalla maggior parte dei commentatori salutati con favore, come ungravoso compito cui la giurisprudenza costituzionale non si sottratta allo scopo di ri-condurre a coerenza un testo che ne era privo, pur riconoscendo che, in tal modo, si riscritta la costituzione da parte di un organo giurisdizionale38.

Le difficolt in cui la Corte si mossa sono bene testimoniate dal presidente Onida,che parlando nel 2005 ha detto: ci siamo trovati e ci troviamo di fronte ad una con-traddizione, fra un disegno costituzionale innovativo e ambizioso, e una realt effettiva,di metodi e contenuti della legislazione governativa e parlamentare, e talora anche re-gionale, di organizzazione, di capacit di gestione delle rispettive competenze e delleforme di collaborazione, restata largamente ferma ai caratteri del passato. Si sono in-dividuati degli obiettivi, pi o meno condivisibili che siano, ma non si sono individuaticon sufficiente precisione e realismo i percorsi necessari e possibili per passare dal-lassetto preesistente a quello nuovo prefigurato. Questa contraddizione ha posto epone la Corte di fronte al difficile compito di risolvere le controversie cercando di daresoluzioni che non contraddicano la lettera e lo spirito del nuovo titolo V, ma che ten-gano conto della realt di un ordinamento che non pu conoscere interruzioni e vuoti,anzitutto nella tutela dei diritti delle persone e nella stessa continuit degli apparati edellazione amministrativa.

Tuttavia, va aggiunto che, pur essendo saltato limpianto costituzionale, ci non avvenuto senza lasciare tracce.

Le conseguenze si apprezzano soprattutto sul terreno della forma di governo: in-fatti gli interventi statali in nome del principio unitario sono legittimi, secondo la giu-risprudenza costituzionale, in tanto in quanto rispettano il principio di lealecollaborazione39.

38 In questo senso v. gli scritti raccolti in E. Bettinelli, F. Rigano (a cura di), La riforma del titoloV della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 2004, e in Le regioni,2-3/2004. Tra questi in particolare G. FALCON, Le Regioni e lunit nelle politiche pubbliche, 305ss.; M. LUCIANI, Lautonomia legislativa, 355 ss.; P. CARETTI, La Corte e la tutela delle esigenze uni-tarie: dallinteresse nazionale al principio di sussidiariet, 381 ss. Su queste posizioni anche A.DATENA, Giustizia costituzionale e autonomie regionali. In tema di applicazione del nuovo titoloV, in www.issirfa.it, 24 maggio 2006, nonch L. VANDELLI, La Repubblica delle autonomie nella giu-risprudenza costituzionale, in A. Pioggia, L. Vandelli (a cura di), La Repubblica delle autonomienella giurisprudenza costituzionale, cit., 47, secondo il quale la Corte si fatta carico dellatenuta complessiva del sistema.39 Oltre alle ipotesi di chiamata in sussidiariet e di concorrenza di competenze, la Corte ri-tiene costituzionalmente necessaria la leale collaborazione anche qualora la legge statale dispongainterventi finanziari dello Stato in materie regionali: tali interventi, ammissibili in via transitoriafino alla piena attuazione dellart.119 Cost., debbono per sempre prevedere momenti di colla-borazione con le regioni, titolari delle competenze (ad esempio, sentenze 222 e 231/2005).

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n. 3 Trasformazioni istituzionali e cammino della democrazia: un confronto tra Italia e Polonia

La Corte agisce tentando un qualche riequilibrio attraverso decisioni additive, cheinseriscono il momento procedimentale dellintesa, da trovarsi nella Conferenza Statoregioni, quindi a livello di esecutivi. Una volta correttamente realizzatasi lintesa, la viadel contenzioso dovrebbe essere preclusa, venendo a difettare linteresse a ricorrere40.

Da ci discende: a) una ulteriore valorizzazione degli esecutivi, tanto a livello cen-trale che regionale, a scapito delle assemblee rappresentative; b) una sorta di asso-ciazione permanente delle regioni alle decisioni del centro, che incide sui processidecisionali dello Stato centrale, accrescendone la complessit.

Le procedure di collaborazione, peraltro, nellattuale assetto italiano presentanolimiti significativi.

Innanzitutto, una collaborazione zoppa. Essa dovrebbe esplicarsi su due piani,come la Corte ha precisato riguardo alla attrazione delle funzioni in sussidiariet: a) lalegge attributiva delle funzioni dovrebbe essere adottata attraverso procedure cheassicurino la partecipazione al procedimento legislativo di tutti i livelli di governo coin-volti; b) la legge stessa deve introdurre adeguati meccanismi di cooperazione per leser-cizio concreto delle funzioni allocate in capo agli organi centrali (sentenza 6/2004). Inassenza di una norma costituzionale sulla partecipazione regionale al procedimento le-gislativo41, il primo aspetto privo di tutela costituzionale: la partecipazione regionale obbligatoria unicamente a livello sublegislativo e soltanto lassenza di tale contenutonecessario pu portare alla dichiarazione di incostituzionalit della legge42. Quando lalegge individua direttamente il livello unitario dellinteresse, il meccanismo parteci-pativo (relativo in ogni caso alle modalit attuative) appare del tutto inidoneo a con-tribuire a determinare adeguatamente il livello dellinteresse; esso pu servire soltantoa evitare una completa espropriazione della competenza regionale coinvolta ( questoil caso della sentenza 62/2005).

In secondo luogo, restano aperte le incertezze sul carattere, forte o debole, delleintese43. Qualora non sia la legge stessa a determinare il carattere forte della parteci-pazione regionale, la precisazione rimessa alla Corte, che opera con esiti alterni

40 Come la Corte ha espressamente affermato nella sentenza 235/2006.41 Assenza evocata anche dopo la riforma del Titolo V, dalla sentenza 196/2004, secondo la qualenon individuabile un fondamento costituzionale dellobbligo di procedure legislative ispirate allaleale collaborazione tra Stato e regioni (n risulta sufficiente il sommario riferimento allart.11della legge costituzionale n. 3 del 2001).42 V. la sentenza 233/2004 con nota di I. RUGGIU, Trasporti a Bologna e leale collaborazione: metropesante, per una Metro leggera, in Le regioni, 2004, 1392 ss.43 Per intesa forte si intende che lintesa deve necessariamente essere raggiunta affinch sia pos-sibile adottare un atto, mentre per intesa debole si intende che lintesa deve essere perseguitae ricercata lealmente, ma qualora non sia possibile addivenirvi, lo Stato pu comunque adottarelatto.

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Levoluzione della forma di Stato in Italia: uno Stato regionale senzanima?

e secondo orientamenti non sempre decifrabili, lasciando in molti casi impregiudicatala questione quando chiamata a pronunciarsi sulla legge in sede di giudizio princi-pale44. Lo strumento per garantire che la collaborazione, prevista dalla legge, si svolgacon lealt diventa allora il conflitto di attribuzione Statoregioni (o, per meglio dire,regioniStato)45: via di accesso al giudizio della Corte fino ad oggi marginale, ma chepotrebbe invece in futuro assumere sviluppi del tutto imprevisti46.

7. Mi pare di poter concludere dicendo che siamo di fronte ad un caso macrosco-pico di scostamento tra costituzione scritta e costituzione vigente.

Ci pone cruciali interrogativi sulle ragioni di questa situazione e, sulla base dellecause che si individuino, sulle misure da assumere per fronteggiarla.

La premessa , ovviamente, la considerazione che, perch la costituzione scrittaabbia un senso, deve tendere alla effettivit. Quando lo scostamento tra costituzionescritta e costituzione vigente supera un certo livello, si di fronte ad una patologia delsistema, alla quale occorre rimediare, nel senso di ridurre lo scostamento. Ci che puessere conseguito o attraverso una modifica delle norme costituzionali che le adegui allaeffettivit dei rapporti o attraverso una modifica del quadro dei rapporti, che lo ricon-duca entro il disegno delle norme costituzionali.

44 Ma si veda la citata sentenza 62/2005, ove lintesa chiaramente configurata come debole.Al contrario, la sentenza 383/2005 si riferisce alla intesa necessaria per lattrazione di competenzein sussidiariet (si trattava del caso della costruzione di elettrodotti) come intesa forte. La Corteprecisa che nella perdurante assenza di adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni nel-lambito dei procedimenti legislativi dello Stato, tali intese costituiscono condizione minima e im-prescindibile per la legittimit costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui lachiamata in sussidiariet di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazioneregionale, con la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese in senso forte, ossia diatti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale diuna delle parti. In questi casi, pertanto, deve escludersi che, ai fini del perfezionamento dellin-tesa, la volont della Regione interessata possa essere sostituita da una determinazione delloStato, il quale diverrebbe in tal modo lunico attore di una fattispecie che, viceversa, non pustrutturalmente ridursi allesercizio di un potere unilaterale.45 Conflitto che si pu produrre in conseguenza delladozione da parte dello Stato, unilateral-mente, di un atto rispetto al quale la legge (o una sentenza della Corte) prevedeva la necessit diintesa, lasciandone impregiudicata la natura.46 Si veda al riguardo la gi citata sentenza 383/2005 che, una volta proclamato, come si ricor-dato, il carattere forte dellintesa, continua affermando che lesigenza che il conseguimentodi queste intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale col-laborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, potr certamente ispirare lop-portuna individuazione, sul piano legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorireladozione dellatto finale nei casi in cui siano insorte difficolt a conseguire lintesa, ma tali pro-cedure non potranno in ogni caso prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritariadelle parti coinvolte. E nei casi limite di mancato raggiungimento dellintesa, potrebbe essere uti-lizzato, in ipotesi, lo strumento del ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fraStato e Regioni (corsivo nostro).

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n. 3 Trasformazioni istituzionali e cammino della democrazia: un confronto tra Italia e Polonia

Le cause della ineffettivit del titolo V della Costituzione italiana mi pare che pos-sano essere ricercate seguendo due vie, una che si appoggia su cause definibili, a variotitolo, contingenti e una che invece riflette sulle cause di sistema.

Tra le cause di tipo contingente dello scostamento tra previsioni costituzionali edeffettivit dei rapporti spicca la spiegazione in termini politici della inattuazione dellariforma del Titolo V: se si ritiene che lostilit del centro-destra alla riforma costitu-zionale del 2001 stata la principale ragione della sua inattuazione, oggi, venuta menoquella maggioranza, non resta che procedere allattuazione Ma inserirei in questacategoria anche quelle cause che fanno perno sulla presenza di alcune lacune nellariforma del 2001, anchesse dovute a ragioni a loro modo contingenti, come lassenzadi norme transitorie o la mancata costituzionalizzazione di meccanismi di raccordo ecollaborazione (dei quali esisteva un embrione, mai attuato, rappresentato dalla inte-grazione con rappresentanti regionali e degli enti locali della commissione parlamen-tare per le questioni regionali). Da questo punto di vista, sarebbe sufficiente completarela riforma del 2001 con la riforma della seconda camera o con la costituzionalizzazionedi idonei meccanismi di raccordo e collaborazione per poter avviare la costruzione diuno Stato delle autonomie funzionante ed effettivo: compito arduo, ma non tale darimettere in discussione il complesso della forma di Stato disegnata nel 200147.

Qualora invece si ritenga che le cause sono di sistema, il problema si fa pi com-plesso.

Parlando di cause di sistema intendo riferirmi al fatto che il testo costituzio-nale, che contiene previsioni, specie in materia di potest legislativa, assai vicine aquelle caratteristiche degli Stati federali48, non sia adeguato alle esigenze che emer-gono dal corpo sociale e sia pertanto sprovvisto di legittimazione.

Occorre allora interrogarsi sulle ragioni che stanno alla base di una differenzia-zione su base territoriale49. E, in primis, sulle ragioni che giustificano lattribuzione discelte politiche di rango legislativo (ovvero immediatamente infracostituzionale) ad as-semblee esponenziali di collettivit locali: ch il problema della potest legislativa,come disegnata dallart.117, quello che sembra oggi in Italia configurare il pi gravescostamento tra testo ed effettivit costituzionale.

Prima di tutto, ci pu essere giustificato da motivi forti di tipo nazionale o sto-rico: fatto questo che deve essere escluso in Italia, ove mancano pulsioni regionali asfondo nazionalistico (se si escludono i territori su cui insistono alcune delle regionispeciali) e dove non esiste neppure una richiesta di autonomia su base storica, in virt

47 Cos, ad esempio, L. VANDELLI, Dopo il referendum del giugno 2006: quali riforme? in www.astri-donline.it, 2006.48 Cos, ad esempio, M. OLIVETTI, Le funzioni legislative regionali, in T. GROPPI, M. OLIVETTI, La Re-pubblica delle autonomie, cit., 85 ss.49 Su questa linea si colloca A. BARBERA, Il Titolo V tra attuazione e riforma, in www.forumcosti-tuzionale.it, 11 dicembre 2006; S. MANGIAMELI, cit.

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Levoluzione della forma di Stato in Italia: uno Stato regionale senzanima?

della mancata corrispondenza tra le regioni individuate dalla costituzione e gli statipreunitari.

Il senso di uguaglianza e di una comune cittadinanza profondo, il tasso di diffe-renziazione tollerato dal sistema minimo, specie quando vengono in discussione lescelte politiche di fondo, ad esempio quelle che attengono al godimento dei diritti50.

Ci non toglie che esistano ormai, anche in virt di pi di trentanni di regionali-smo, identit regionali caratterizzate da diversificate esigenze economiche e sociali,che si possano rispecchiare nel corrispondente livello istituzionale: con lavvertenzache non pu essere parificato a identit regionale quello che bieco egoismo delleregioni pi ricche. Le competenze delle regioni dovranno essere in ogni caso adeguatealla domanda di autonomia che proviene dalla comunit regionale: tenendo presente laopportunit di introdurre o attivare congegni volti a una differenziazione dei livelli com-petenziali, in risposta a tali diverse esigenze (nel 2001, in nome di tale necessit, stato introdotto il meccanismo previsto dallart. 116, comma 3, Cost., che consentealle regioni che ne facciano richiesta di ottenere, con il consenso dello Stato, maggiorilivelli competenziali in una serie di materie).

Se in Italia la scelta federale non risponde alla volont delle comunit regionalidi compiere scelte politiche fortemente divergenti, al contrario, pare ormai, in un mo-mento in cui la complessit delle relazioni, interne ed esterne allo Stato, si moltiplica,di non poter prescindere da una scelta in favore del decentramento (regionale e locale)a scopo di efficienza, intesa quale adeguatezza: ben possibile che, dato un quadro co-mune di scelte politiche di fondo, certi territori possano gestire alcune funzioni in modomigliore, perch pi adeguato alle loro specifiche caratteristiche di quanto potrebbefare lo Stato centrale con una politica uniforme. Accanto allefficienza, il decentra-mento pu favorire la responsabilit, quale punto di snodo tra efficienza e democrazia.Mi pare che acquisti attualit, in favore di uno Stato decentrato, anche lelemento par-tecipativo, in un momento in cui il sistema politico nazionale appare in seria difficoltnel rapportarsi con la societ civile.

Efficienza e partecipazione: quello che resta da chiedersi se lassetto istituzio-nale delineato dalla riforma del 2001 risponde a queste primarie esigenze.

Lo scostamento da cui si partiti, tra constitution in the books e constitution inaction, in questa prospettiva, mostrerebbe che non cos, almeno riguardo alla distri-buzione delle competenze legislative: la scelta fatta non risultata consona alle esi-genze della societ italiana. Il senso della riforma del 2001, infatti, era quello dicircoscrivere lintervento dello Stato a materie elencate (esclusive o concorrenti),

50 Sul carattere fondamentalmente unitario dellordinamento italiano, che risponderebbe ad ele-menti profondi del modo di essere delle istituzioni, anche regionali, della societ civile, e perfinodella psicologia delle singole persone, v. G. FALCON, La riforma costituzionale e la legislazioneregionale, in Le regioni, 2005, 707 ss., a commento di unanalisi che ha mostrato, in molti settorimateriali, la omogeneit della legislazione regionale.

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lasciando alle regioni le scelte politiche primarie (ovvero con il solo limite delle normecostituzionali) in tutte le altre materie, dalle quali lo Stato avrebbe dovuto essereescluso: una scelta idonea unicamente se lesigenza da soddisfare fosse stata lespres-sione di volont politiche fortemente differenziate da parte dei diversi territori, qualerisposta a forti identit regionali.

Se si riconosce che in Italia non esistono pulsioni di tal fatta non resta (a meno dinon voler procedere sulla strada della costruzione di identit regionali artificiali, basatesu tradizioni inventate51) che prenderne atto e procedere, a ritroso, in modo prag-matico e deideologizzato, in favore dellassetto che sia pi adeguato a queste finalit:un assetto che non pu essere centrato sulla potest legislativa esclusiva delle re-gioni, ma che lasci lo spazio aperto, in ogni materia, per una possibile concorrenza sta-tale; che riconduca allo Stato tutte quelle materie sulle quali la differenziazione nonrisponda ad esigenze di efficienza; che valorizzi i margini di autonomia delle regioni lad-dove si tratti di scelte pi specificamente legate al territorio; che lasci aperta la via,per le regioni che chiedono maggiori spazi di autonomia, ad un regionalismo differen-ziato; che attui appieno il principio di sussidiariet quanto alle funzioni amministra-tive, dando un senso al dettato dellart.114 Cost.

Ovvero, non resta che far coincidere la Costituzione formale non con lattualeassetto dei rapporti materiali, ma con quelli che sono i bisogni della societ italiana,che soli possono fornirle una base di legittimazione.

Pi facile a dirsi che a farsi: alle difficolt presenti in qualsiasi processo riforma-tore volto a (ri)assegnare competenze al centro52 si somma il carattere strumentale algioco politico nazionale che sempre ha connotato le riforme delle autonomie territorialiin Italia. Ci testimoniato dalla stessa riforma del 2001, nonch da quella, soltantotentata, del 2006, la cui vicenda emblematica: anche se finalizzata a realizzare un ac-centramento, essa stata propagandata come volta ad attribuire maggiori competenzealle regioni, al punto che, pur bocciata su base nazionale, ha avuto invece il sostegnodellelettorato in Veneto e Lombardia53, ovvero proprio nelle due regioni che chiedonopi autonomia e i cui esecutivi hanno avviato il procedimento previsto dallart.116,comma 3, Cost., per attingere un pi elevato tetto competenziale54.

51 Alla stregua dei casi esaminati in E.J. HOBSBAWM, T. RANGER, Linvenzione della tradizione, Ei-naudi, Torino, 2002.52 Si veda, come raro esempio, la riforma del federalismo tedesco realizzata nel 2006, con leggedi revisione costituzionale.53 Nel referendum costituzionale del 25 e 26 giugno 2006 i s sono stati il 54,6 % in Lombardia e55,3 % in Veneto, e, bench il testo sottoposto al voto contenesse molte altre riforme, ragione-vole sostenere, anche alla luce della campagna elettorale, che lattenzione degli elettori inqueste due regioni si sia soffermata sulle norme relative alle autonomie territoriali.54 Sullavvio di tale procedimento v. M. BORDIGNON, Federalismo? A velocit variabile, in Il Sole 24ore, 2 settembre 2006.

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Levoluzione della forma di Stato in Italia: uno Stato regionale senzanima?

pertanto altamente probabile che levoluzione prosegua, come nei passaticinque anni, in un intreccio di negoziato politico e interventi normativi di rango noncostituzionale, attraverso continui aggiustamenti legislativi e giurisprudenziali, al difuori di qualsiasi disegno prestabilito. Con conseguenze non secondarie sulla certezzadel diritto e su quella stessa efficienza che rappresenta una delle principali ragioni desseredi uno Stato decentrato.

Tania Groppi. Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso lUniversitdi Siena.

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Streszczenie

Stopniowe wprowadzanie decentralizacji we Woszech dokonao si w trzech eta-pach, po ktrych nastpoway za kadym razem okresy odpywu,czy regresu. By jeustali, naley uwzgldni dwie wane przesanki: pierwsza polega na tym, e celemdecentralizacji woskiej nie by wymg wspycia wsplnot o rnych tosamociach(narodw), jak to miao miejsce w wikszoci procesw federalizacji. Celem decentra-lizacji woskiej byo raczej formuowanie gwarancji demokratycznych oraz zwikszanieskutecznoci w rzdzeniu.

Druga przesanka nawizuje do dziejw zjednoczenia Woch dokonanego wokpodboju pwyspu ze strony jednego pastwa: Piemontu. Ta okoliczno znalaza swjwyraz w strukturze pastwa, scentralizowanej wedug modelu francusko-napoleoskiego,a pogbionej jeszcze w tym kierunku w okresie faszystowskim.

Wychodzc z tych przesanek, mona podda analizie trzy etapy decentralizacjiRepubliki Woskiej i nastpujce po nich odpywy(regresy). Pierwszym znaczcymetapem tego procesu jest konstytucja z 1947 roku, a to z dwch powodw: wczeniedo zasad podstawowych artykuu 5-go, uznajcego i promujcego samorzdy lokalne: b)obecno tytuu V-go, przewidujcego istnienie regionw z wadz ustawodawcz,uzupeniajcych pastwo, oraz uznajcego obecno gmin i prowincji. Powstaje, tymsamym, zupenie nowa forma pastwa, rnica si zarwno od pastwa faszystow-skiego jak i od pastwa liberalnego.

Odnona faza odpywu regresu polega na nie stosowaniu, przez caedziesiciolecia, tych zalece konstytucyjnych (za wyjtkiem regionw o statucie spec-jalnym), a to z uwagi na midzynarodow atmosfer zimnej wojny i wynikajce stdobawy, by niektre regiony woskie nie dostay si we wadanie ugrupowa politycz-nych zwalczajcych istniejcy system polityczny.

Drugi etap mia miejsce pod koniec lat szedziesitych, kiedy powstao 15 regio-nw o statucie zwyczajnym, a kolejna faza odpywu regresu obejmowaa z grubszacay okres lat osiemdziesitych i uwidocznia si w dwch aspektach: a) niepowodzeniereformy administracyjnej; b) nie wprowadzenie w ycie regionalizmu politycznego, za-rwno z powodu ograniczonych kompetencji ustawodawczych, jak i orzecznictwa kon-stytucyjnego kierujcego si interesem oglnokrajowym.

Trzeci i ostatni etap decentralizacji Republiki Woskiej obejmuje cao latdziewidziesitych i osiga swj szczyt reform Tytuu V konstytucji Woch z 2001 roku,ktra odnowia gboko kompetencje regionw, prowincji i gmin. Faza odpywu

Ewolucja formy pastwa we Woszech: pastwo regionalne bez duszy?

Tania Groppi

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Ewolucja formy pastwa we Woszech: pastwo regionalne bez duszy?

The evolution of the State in Italy: a regional State without soul?

Tania Groppi

Abstract

In Italy, the process of decentralisation has been implemented progressively overthree stages that have always been followed by stages of reflux. Two fundamentalpremises are appropriate to identify them. Firstly, the objective of decentralisation inItaly has not been driven by the need to force communities with different identities(nations) to live together, like the case of most federalisation processes. The main ob-jective of the Italian decentralisation process is the need to guarantee democracy andgreater efficiency.

The second premise refers to the historical event of the Italian unification, whichwas carried out through a conquest process conducted by only one State: Piedmont.This process brought about the structure of a centralised State on the basis of theFrench-Napoleonic model and of the fascist experience; these two aspects further in-creased the features of a centralised model.

These premises can be used as a starting point in order to analyse the three sta-ges of decentralisation process of the Italian Republic and its subsequent refluxes. Thefirst large stage of this process was produced in the Constitution of 1948 for two rea-sons: a) the introduction of Article 5, among the fundamental principles, which reco-gnises and promotes local autonomies; b) the introduction of Title V, which entitlesregions with legislative power concurrent with the State recognising the presence of Mu-nicipalities and Provinces. Therefore, a completely new form of Government was con-stituted, with respect both to the fascist and liberal States.

The corresponding reflux stage consists of the failure to implement these consti-tutional provisions (with the exception for regions with a special statute) for decades,due to the international Cold War situation that arose fears for which anti-system po-litical forces could govern some Italian regions.

The second stage falls at the end of the 1960s when the 15 ordinary statute regions

regresu tego etapu jest widoczna w ustawodawstwie 2001-2006, ktre nie uwzgldniowytycznych nowego tytuu V-tego, zachowujc w przewaajcej mierze cigo zpoprzednim ukadem.

Woskie dowiadczenie wykazuje, jak trudn spraw jest wprowadzanie regiona-lizmu tam gdzie nie istnieje odrbna tosamo regionalna, ktra mogaby odwzorowy-wa si na poziomie konstytucyjnym, i jak nie mona pomin uczestnictwa jakowarunku skutecznoci i demokracji. Powstaje pytanie, czy reforma z 2001 roku speniate wymogi i czy nie naleaoby cofn si do ukadu, ktry odpowiadaby lepiej tymcelom.

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were set up. The following reflux stage developed during the 1980s and two aspects canbe identified: a) the failure of administrative reform; b) the failure of political regio-nalism due not only to limited legislative competence but also to constitutional case lawbased on national interests.

The third and final stage of republican decentralisation covers the 1990s and cul-minates in the 2001 reform of Title V, which radically renewed the powers of the Re-gions, Provinces and Municipalities. The reflux stage to this phase can be seen in the2001-2006 legislation, with the failure to implement the new Title V, so that continuityof the previous structure prevails.

The Italian experience highlights how difficult it is to implement federalism wherethere is no regional identity at a constitutional level and that it is not possible to keepapart elements of efficiency and democracy and participation. It still remains to verifywhether the structure of the 2001 reform will react to these needs, or whether it willbe necessary to look back in order to find a structure which better responds to theseaims.