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Raffaele Ruocco Sopravvivere al cibo: una nuova diet-etica aguaplano

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Raffaele Ruocco

Sopravvivere al cibo:una nuova diet-etica

aguaplano

ingrandimenti. 4

Cibo e corpo, cibo e sensi, cibo ed emozioni: la relazione dell’uomo con il cibo non si limita a una semplice questione nutrizionale e l’attrazione per il cibo va ben oltre il bisogno energetico individuale. Essa si configura, nella nostra società, come un’ossessione di massa che esprime più quello che vogliamo che quello di cui abbiamo bisogno, una passione che… divora. La ricerca del cibo per puro piacere sta generando preferenze e avversioni innaturali che hanno modificato radicalmen-te il senso e il significato dell’atto alimentare, trasformandolo in un imperativo del godimento piuttosto che della sopravvivenza. Circondati, assediati, letteralmente sommersi dal cibo e da una valanga di informazioni che lo riguardano, avvertia-mo la necessità di essere più consapevoli e sereni quando scegliamo come e di cosa nutrirci: invece non siamo mai stati così insicuri e ansiosi. Questo libro vuole essere un percorso di esplorazione e conoscenza del cibo; l’inizio di una nuova diet-etica per trasformare l’ossessione alimentare in una sana attenzione verso ciò che mangiamo.

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Raffaele Ruocco è medico chirurgo, specialista in Scienza dell’Alimentazione e Igiene e Medicina preventiva. Laureato in Scienze e Tecniche psicologiche, è esperto in terapia cognitivo-comportamentale. Ha fondato la prima struttura residenziale pubblica in Italia per la riabilitazione psico-nutrizionale dei sogget-ti con disturbi dell’alimentazione e del peso.

Fra le sue pubblicazioni, Il  “peso” del corpo. Conoscere, affrontare e vincere i disturbi dell’alimentazione (2006) e Il “peso” delle emozioni. Cono-scere, affrontare e vincere l’obesità (2008), entrambe con P. Alleri, edite da Franco Angeli. Per i tipi di Aguaplano ha curato, insieme a M.A. Pierotti e A. Stella, Il cibo delle dee. Il contributo del Pellicano onlus per la cura dei disturbi alimentari (2013). Lavora presso l’Azienda ospedaliera di Perugia.

euro 15,00

isbn/ean

9 788897 738411 In copertina: Carol M. Highsmith, «Neon sign of the In-out Burger fast-food chain in Pasadena, California», 2013, Library of Congress Prints and Photographs Division, Washington, D.C.

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Raffaele Ruocco

Sopravvivere al cibo:una nuova diet-etica

Claudio Marotti

La questione giovanile nella società postmodernaRiflessione socio-antropologica

su un mutamento epocale

Prefazione di Amato Lamberti

aguaplano

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Cura redazionale: Raffaele Marciano, Maria Vanessa Semeraro.Progetto grafico del libro: Raffaele Marciano.

isbn/ean: 978-88-97738-41-1

Copyright © 2014, Aguaplano, Passignano s.T. Tutti i diritti riservati. La riproduzione dell’opera è possibile nei limiti fissati nell’ac-cordo del 18 dicembre 2000 fra s.i.a.e., a.i.e., s.n.s. e c.n.a, Confartigianato e c.a.s.a., Confcommercio, ora integrato dall’accordo del novembre 2005, per la riproduzione a pagamento, a uso personale, dei libri fino a un massimo del 15%, nell’ambito dell’art. 69, co. 4 legge cit.

www.aguaplano.eu | [email protected]

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Alla mia compagna Maricetta…cibo per il cuore, cibo per la mente!

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Il problema non consiste nel cosa si mangi o si beva, bensì nel fatto che ci si elevi al di sopra della materia in virtù del proprio spirito (Rudolf Steiner).

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Per cominciare…

La definizione dell’Unesco considera la cultura come “una se-rie di caratteristiche specifiche di una società o di un gruppo sociale in termini spirituali, materiali, intellettuali o emozio-nali”. E a partire da questa definizione risulta innegabile che

il cibo è da considerare fattore culturale a tutti gli effetti, se inteso, fin dai primordi dell’evoluzione della nostra specie, come risposta al bisogno primario della fame e della sopravvivenza, ma attraverso percorsi che sono il risultato di complesse attività umane, che van-no dalla conoscenza e raccolta dei prodotti naturali spontanei, alla loro coltivazione e selezione e produzione, attraverso l’agricoltura, la caccia, l’allevamento, alla loro conservazione ed elaborazione at-traverso semplici o sofisticate pratiche culinarie, oltre all’invenzione e costruzione di strumenti e utensili necessari a garantirne la piena riuscita. Gli esseri umani, come si sa, sono onnivori, quindi caratte-rizzati da una grande flessibilità, data dall’assenza di specializzazione alimentare, che ha consentito alla nostra specie di colonizzare tutti gli habitat della terra, adattandosi quindi alle differenti tipologie di cibo offerte. Questa disposizione ha avuto notevoli conseguenze e ha ridisegnato nei secoli e nei millenni il paesaggio naturale del pianeta, soggetto a una forte antropizzazione e – nel dipanarsi del divenire storico – a vere e proprie razzìe a scapito delle sue risorse alimentari, favorendo la crescita a dismisura della ricchezza, dei commerci, dei consumi in alcune società, nello stesso tempo in cui venivano (vengo-no) condannate alla fame e alla sete milioni di persone, che a quelle risorse – specularmente – non potevano (possono) avere accesso.

“Gli animali si nutrono e l’essere umano mangia”. In questa semplice affermazione si racchiude la divaricazione tra natura e

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8 Per cominciare…

cultura che ha attraversato e attraversa anche l’alimentazione umana, dove la dimensione simbolica del cibo si è fatta subito evi-dente, tant’è vero che possiamo studiarne le tracce nel paesaggio storico della specie, delle sue fortune e delle sue tragedie, in pace e in guerra, in abbondanza e miseria. Penso alla presenza del cibo nell’arte, nella filosofia, nella religione (in principio fu una mela), nella politica; penso alla via delle spezie e ai ricettari della latinità e poi a quelli prestigiosi dell’Umanesimo, ai banchetti rappresen-tati nel vasellame ellenico e negli affreschi tombali dell’antichità, alla letteratura, alla scienza, alla tecnologia e al mito. Un elenco imperfetto e volutamente mantenuto fuori da una qualsivoglia cronologia e/o geografia, a sottolineare la potenza semantica degli alimenti e dell’alimentarsi, che si esprime in immagini e simbo-li sempre attuali. Non dobbiamo dimenticare quanto nella nostra cultura il cibo sia intrecciato a metafore che riguardano àmbiti ap-parentemente distanti, e che la lingua conserva e rivela quando, ad esempio, diciamo che abbiamo “fame” di conoscenza, “sete” di sa-pere, “appetiti” intellettuali, quando confessiamo di non “digerire” certi argomenti (o persone), quando “ruminiamo” su certi progetti, quando non siamo mai “sazi” di certe esperienze, quando “divoria-mo” un libro o abbiamo “nausea” di uno spettacolo, quando dicia-mo parole “dolci” o “acide”, oppure raccontiamo aneddoti “piccan-ti”. Quando intimiamo a qualcuna/o: – Parla come mangi! Oppure ci accorgiamo di “divorare con gli occhi” una torta, un quadro, una persona. Il bisogno di nutrirci (sia in senso materiale che simboli-co) da una parte ci stringe a un rapporto intimamente individuale con ciò che mangiamo, che è intrecciato anche dei complessi per-corsi affettivi che legano i sapori che amiamo alle esperienze più profonde e antiche della nostra vita, senza i quali – come ci ricor-da Proust nell’episodio delle madeleines – molti saperi sarebbero morti al ricordo e, attraverso il ricordo, al contatto con noi stessi e la nostra storia; dall’altra ci lega ai riti e alle tradizioni del ter-ritorio in cui siamo nate/i e viviamo, che conservano il sapere e l’esperienza cumulata da generazioni prima di noi, in una comples-sa serie di rituali, ricette, regole, tabù, veri e propri codici identitari e relazionali. E in questo intreccio di saperi e sapori si conserva la memoria atavica dell’umanità: il suo lungo pellegrinaggio su strade

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9Per cominciare…

che si intersecano e si dividono, in cammini che portano verso il cibo della fame e/o il cibo dell’abbondanza. Ricordo a questo punto un’intervista al grande José Saramago in cui raccontava di essere stato interpellato sull’opportunità di fare leggi per liberalizzare le sostanze stupefacenti. “Mi hanno chiesto: – ricordava lo scrittore – lei è in favore della liberalizzazione delle droghe? Ho risposto: pri-ma cominciamo con la liberalizzazione del pane. è soggetto a proi-bizionismo feroce in metà del mondo”.

E sì, perché se si parla di cibo non possiamo dimenticare che, se questo è la croce e la delizia dei nostri tempi, in questa parte del mondo in cui l’obesità è di gran lunga più vicina alle porte di casa che non la denutrizione; la malnutrizione, e i disturbi dell’alimentazio-ne di gran lunga le esperienze più condivise e più tematizzate nella comunicazione sociale – che pure le induce attraverso la pubblicità e modelli di consumo alimentare, sempre più lontani dai bisogni or-ganici della nutrizione –, esso è solo croce per una parte consistente dell’umanità, “inchiodata” al legno di una tavola sempre tragica-mente vuota o quantomeno insufficiente a soddisfare le necessità alimentari di popolazioni spinte, fin dalla nascita, verso la malattia e la morte per denutrizione. Paradossalmente anche questa situazione è un aspetto della scena sociale dove si rappresentano i banchetti della storia; anche la fame, dunque, è un fattore culturale, in quanto frutto di deprivazione per giochi di potere, dove le potenze mondiali e i loro mazzieri allestiscono partite truccate a spese dei poveri e degli ultimi. E ben dice Luigi Pulci nel suo Morgante, quando mette in bocca al gigante Margutte una professione di fede, in odore di bla-sfemia, ma giocosamente irriverente delle contrapposizioni religiose che vedono i paladini di Francia e i saraceni “miscredenti” scannarsi nei campi di battaglia dell’ennesima crociata:

...ma sopra tutto nel buon vino ho fede,e credo che sia salvo chi gli crede;e credo nella torta e nel tortello:

l’uno è la madre, e l’altro è il figliuolo;il vero paternostro è il fegatello...

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10 Per cominciare…

Morgante, il “gigante nano” (cosiddetto per la sua statura di “soli” quattro metri, a differenza dei tradizionali otto degli altri giganti del poema), esprime la propria risposta ai tempi incerti e imprevedibili in cui vive, facendo del ventre e del cibo le sue divinità tutelari, ma non è forse vero che tanti soggetti sociali – anche nei paesi cosiddetti “ricchi”della contemporaneità – vivono le stesse insicurezze mate-riali e simboliche?

Senza più limiti di natura etica o culturale, la nostra civiltà ci chiama a razziare le risorse della terra – fuori dai riti e dalle tradi-zioni che da sempre le contengono, dentro un orizzonte di bisogni consapevolmente agiti – avvelenando i nostri corpi e le nostre menti e paradossalmente spingendoci a enfatizzare e drammatizzare il no-stro rapporto col cibo, nel periodo forse di maggiore abbondanza e disponibilità degli alimenti.

E, a questo proposito, possiamo utilmente meditare su uno dei principi cosmologici comuni a molte antiche mitologie – a cui anche la scienza sembra dare, in qualche modo, credito – che ci raccontano del Caos primordiale, da cui sarebbero nate tutte le entità preposte allo sviluppo dell’universo e delle sue forme di vita. Nel mito greco, esso viene rappresentato come una voragine profonda, una cavi-tà oscura, una bocca vorace – la parola Caos deriva dal verbo gre-co chasko, che significa “aprire la bocca” – da cui usciranno tutti gli elementi che daranno poi origine a Cosmo, l’universo ordinato in cui trova posto la storia dell’umanità. Il lungo processo da Caos a Cosmo, che il mito ci racconta – fatto di unioni e nascite inconsuete e atti di grande efferatezza –, assomiglia molto a una digestione difficile, che richiede la complessa elaborazione e la conseguente differenziazione degli elementi che sono necessari per l’esistenza stessa degli esseri, e il cui processo inverso non può che avere come approdo finale di nuo-vo il caos, l’annientamento dell’ordine e dell’equilibrio. E in questa chiave, molti dei disturbi nati da un “perverso” rapporto col cibo pos-sono essere letti – al di là delle tragedie personali, a cui nulla si vuole né si può togliere – come metafore dell’inquietante percorso intra-preso dalla nostra società verso l’annichilimento dei suoi fondamen-ti, nel momento in cui il banchetto “globalizzato” a cui siamo tutte/i chiamate/i, e che sostituisce il sushi al cappone nel pranzo di Natale,

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11Per cominciare…

solo apparentemente allarga il ventaglio delle scelte alimentari, men-tre omologa, omogeneizza, “assimila” quanto prima si mostrava coi caratteri delle specifiche differenze etniche e i suoi componenti con la garanzia della biodiversità. Quando ci sediamo davanti alle nostre tavole imbandite di “prelibatezze” ricercate, che hanno via via perso il gusto della novità e la concretezza della concezione, capita sovente di sentire il disagio di un rapporto alienato coi sapori, rispetto ai qua-li non possiamo spendere né sapere né saper fare autonomamente esperiti, e siamo così lasciati in balìa del modo più primitivo e istin-tuale di entrare in relazione col cibo: il rifiuto o la voracità incontrol-lata. Ma il cibo non è solo questo e l’aver dimenticato il rapporto pro-fondo che ogni essere ha con la necessità – e il piacere – di alimentarsi è uno dei veri e grandi peccati della nostra società.

Come si è già detto, “gli animali si nutrono e l’essere umano man-gia”, cioè non solo consuma gli alimenti ma li pensa e li restituisce sotto forma di parole, facendoli uscire – simbolicamente – dallo stesso organo da cui sono entrati. Insomma, forse per la contiguità della gola con la parola, il cibo viene simbolizzato fin dalla notte dei tempi dentro l’àmbito semantico di un’esperienza di conoscenza e comunicazione a largo raggio, che fa di sapore sapere e viceversa, in un rapporto da riconsiderare tra cibo e parola-pensiero.

Parla come mangi! non è solo un’invettiva, ma il riconoscimento di una interazione fondamentale tra le due azioni più importanti per l’esistenza umana. Questa interazione, che esprime il pensiero nei suoi àmbiti più diretti, credo sia da recuperare alla consapevolezza, sottraendo il cibo – e le sue vituperate conseguenze – al potere del-lo sguardo, che fonda il dominio dell’immagine confezionata dalla cultura dei consumi, su cui la maggior parte di noi non ha autore-volmente possibilità di intervento. Se smettiamo di “divorare con gli occhi”e restituiamo l’esperienza del pasto ai sensi dell’olfatto e del gusto che le competono, possiamo – più liberamente – ritrovarci protagonisti della percezione degli aromi e dei sapori, sottoponen-doli all’analisi ultima della nostra anima razionale – o del nostro spirito, o psiche, che dir si voglia – una volta sottratti all’“oscurità del ventre” che deglutisce e incorpora, ma anche as-simila, rende cioè simile a sé, il soggetto e l’oggetto della nutrizione.

Silvana Sonno

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Indice

Per cominciare… introduzione di Silvana Sonno 7

sopravvivere al cibo:una nuova diet-etica

Cibo: il nuovo paesaggio 15Cibo e origini: l’uomo e l’ambiente alimentare 23Cibo e bisogni: metabolismo, energia, alimenti e nutrienti 37Cibo e corpo: il desiderio di cambiare 53Cibo e peso: l’illusione delle diete 65Cibo e mente: i disordini dell’alimentazione e del peso 81Cibo ed emozioni: la fame emotiva 93Cibo e ritmi: l’orologio biologico e la dipendenza da cibo 103Cibo e cervello: nutrire e proteggere il cervello emotivo 117Cibo e informazione: le bugie sul cibo 129Cibo: il nuovo potere 139Per finire… 151

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«Tutti sanno che un buon pranzo, mangiato con letizia di cuore, è un affare intricato, poco preciso, che delude ogni tentativo di minuziose descrizioni.»

(Herman Melville (1819-1891)Il Paradiso degli scapoli e il Tartaro delle fanciulle: I)

Ultima revisione a Torino, in una sera di maggio del 2014.Stampato il 19 maggio 2014 da Grafiche VD, in Città di Castello.

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Raffaele Ruocco

Sopravvivere al cibo:una nuova diet-etica

aguaplano

ingrandimenti. 4

Cibo e corpo, cibo e sensi, cibo ed emozioni: la relazione dell’uomo con il cibo non si limita a una semplice questione nutrizionale e l’attrazione per il cibo va ben oltre il bisogno energetico individuale. Essa si configura, nella nostra società, come un’ossessione di massa che esprime più quello che vogliamo che quello di cui abbiamo bisogno, una passione che… divora. La ricerca del cibo per puro piacere sta generando preferenze e avversioni innaturali che hanno modificato radicalmen-te il senso e il significato dell’atto alimentare, trasformandolo in un imperativo del godimento piuttosto che della sopravvivenza. Circondati, assediati, letteralmente sommersi dal cibo e da una valanga di informazioni che lo riguardano, avvertia-mo la necessità di essere più consapevoli e sereni quando scegliamo come e di cosa nutrirci: invece non siamo mai stati così insicuri e ansiosi. Questo libro vuole essere un percorso di esplorazione e conoscenza del cibo; l’inizio di una nuova diet-etica per trasformare l’ossessione alimentare in una sana attenzione verso ciò che mangiamo.

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Raffaele Ruocco è medico chirurgo, specialista in Scienza dell’Alimentazione e Igiene e Medicina preventiva. Laureato in Scienze e Tecniche psicologiche, è esperto in terapia cognitivo-comportamentale. Ha fondato la prima struttura residenziale pubblica in Italia per la riabilitazione psico-nutrizionale dei sogget-ti con disturbi dell’alimentazione e del peso.

Fra le sue pubblicazioni, Il  “peso” del corpo. Conoscere, affrontare e vincere i disturbi dell’alimentazione (2006) e Il “peso” delle emozioni. Cono-scere, affrontare e vincere l’obesità (2008), entrambe con P. Alleri, edite da Franco Angeli. Per i tipi di Aguaplano ha curato, insieme a M.A. Pierotti e A. Stella, Il cibo delle dee. Il contributo del Pellicano onlus per la cura dei disturbi alimentari (2013). Lavora presso l’Azienda ospedaliera di Perugia.

euro 15,00

isbn/ean

9 788897 738411 In copertina: Carol M. Highsmith, «Neon sign of the In-out Burger fast-food chain in Pasadena, California», 2013, Library of Congress Prints and Photographs Division, Washington, D.C.