Sommario DIO DOSSIER · l’enfasi sul pluralismo culturale e la ... soggettività, alle situazioni...

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Mai più violenza! Mai più guerra! Mai più terrorismo! In nome di Dio ogni religio- ne porti sulla terra giustizia e pace, perdono, vita e amore (Giovanni Paolo II, Assisi, 24 gennaio 2002). Quell’intervento del Papa ad Assisi era uno dei tanti appel- li, a pochi mesi dall’11 set- tembre, a non utilizzare Dio, a non strumentalizzarlo per i propri fini, per le proprie guerre, da una parte o dall’al- tra. Dio è il Dio della pace e non della guerra. Le vicende mondiali anche recenti ci confermano una crescita dell’uso di Dio e del- la religione per giustificare o benedire una guerra. Niente di nuovo, si potrebbe obietta- re: dalla guerra santa, alla guerra giu- sta, alla guerra preventiva. È dalla non accettazione di questo uso di Dio “fon- damentalista” che prende corpo questo dossier. E anche per il legame con mol- ti amici che abitano in Medio Oriente e che ci stimolano a riscoprire il vero volto di Dio, il volto di Gesù principe della pace. Da qui il titolo un po’ pro- vocatorio del dossier che guarda alle fatiche e agli intoppi di una prassi pastorale chiamata sempre più a con- frontarsi con il mondo militare. Basti pensare al grande evento dei funerali a Roma dei soldati italiani uccisi a Nas- siryia. In quell’occasione mons. Bet- tazzi scrisse, parlando della necessità di un impegno di pace: “Lo chiede la volontà di pace della maggioranza del- l’umanità, lo esige il sangue di questi nostri giovani morti nell’illusione di poter diventare operatori di pace”. A lui abbiamo chiesto di ripercorrere il cam- mino della Chiesa sul tema della pace e della guerra, della violenza e nonvio- lenza. Mentre a don Pino Mattai, teolo- go, abbiamo chiesto una riflessione teo- logica fondante, che ci aiuti ad andare alle radici, una riflessione che non si fermi all’emotività, ma ponga pilastri saldi al nostro agire per la pace e nella pace. Scrive don Pino: “Evangelo e prassi di Gesù aprono grandi e inedite prospettive di pace e nonviolenza”. Sergio Paronetto ci ricorda che la pace – o meglio, l’azione nonviolenta – ama la vita. Si prende cura della vita di tut- ti e per tutti. La pace è vita da gustare, da curare e da condividere. È un contributo a vedere la vita, la pace, con occhi nuovi. Infine qualche informazione sull’Ordi- nariato Militare, qualche “preghie- ra militare” per capire una cultura che, pur avendo radici nel passato sembra essere ancora molto viva in una certa retorica che poi diventa anche prassi pastorale. Una confer- ma, piccola e forse insignificante, viene, per esempio, dalla grande diffidenza con cui sono state viste le bandiere arcobaleno della pace esposte all’interno delle chiese. Dif- fidenza che non sembra manife- starsi nei confronti di stendardi, gagliardetti e quant’altro dei vari eserciti e corpi militari. E nemme- no nei confronti delle armi spesso indossate e ostentate anche duran- te le celebrazioni liturgiche. Perché questa tentazione di tirare sempre in ballo Dio? Anche per la guerra. Lasciamolo... in Pace! 15 Novembre 2006 A cura di Renato Sacco Sommario Deporre le armi Giuseppe Mattai 16 Calici e medaglie A cura della redazione 19 Vangelo e mimetica? R.S. 20 Roba da matti! Luigi Bettazzi 22 Rifare il mondo Sergio Paronetto 24 DIO , LASCIAMOLO IN PACE Belgrado, parata militare DOSSIER © Olympia

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Mai più violenza! Mai piùguerra! Mai più terrorismo!In nome di Dio ogni religio-ne porti sulla terra giustizia epace, perdono, vita e amore(Giovanni Paolo II, Assisi, 24gennaio 2002).Quell’intervento del Papa adAssisi era uno dei tanti appel-li, a pochi mesi dall’11 set-tembre, a non utilizzare Dio,a non strumentalizzarlo per ipropri fini, per le proprieguerre, da una parte o dall’al-tra. Dio è il Dio della pace enon della guerra. Le vicende mondiali ancherecenti ci confermano unacrescita dell’uso di Dio e del-la religione per giustificare obenedire una guerra. Nientedi nuovo, si potrebbe obietta-re: dalla guerra santa, alla guerra giu-sta, alla guerra preventiva. È dalla nonaccettazione di questo uso di Dio “fon-damentalista” che prende corpo questodossier. E anche per il legame con mol-ti amici che abitano in Medio Orientee che ci stimolano a riscoprire il verovolto di Dio, il volto di Gesù principedella pace. Da qui il titolo un po’ pro-vocatorio del dossier che guarda allefatiche e agli intoppi di una prassipastorale chiamata sempre più a con-frontarsi con il mondo militare. Bastipensare al grande evento dei funerali aRoma dei soldati italiani uccisi a Nas-siryia. In quell’occasione mons. Bet-tazzi scrisse, parlando della necessità diun impegno di pace: “Lo chiede lavolontà di pace della maggioranza del-l’umanità, lo esige il sangue di questinostri giovani morti nell’illusione di

poter diventare operatori di pace”. A luiabbiamo chiesto di ripercorrere il cam-mino della Chiesa sul tema della pace edella guerra, della violenza e nonvio-lenza. Mentre a don Pino Mattai, teolo-go, abbiamo chiesto una riflessione teo-logica fondante, che ci aiuti ad andarealle radici, una riflessione che non sifermi all’emotività, ma ponga pilastrisaldi al nostro agire per la pace e nellapace. Scrive don Pino: “Evangelo eprassi di Gesù aprono grandi e inediteprospettive di pace e nonviolenza”.Sergio Paronetto ci ricorda che la pace– o meglio, l’azione nonviolenta – amala vita. Si prende cura della vita di tut-ti e per tutti. La pace è vita da gustare,da curare e da condividere. È un contributo a vedere la vita, la pace,con occhi nuovi.Infine qualche informazione sull’Ordi-

nariato Militare, qualche “preghie-ra militare” per capire una culturache, pur avendo radici nel passatosembra essere ancora molto viva inuna certa retorica che poi diventaanche prassi pastorale. Una confer-ma, piccola e forse insignificante,viene, per esempio, dalla grandediffidenza con cui sono state vistele bandiere arcobaleno della paceesposte all’interno delle chiese. Dif-fidenza che non sembra manife-starsi nei confronti di stendardi,gagliardetti e quant’altro dei varieserciti e corpi militari. E nemme-no nei confronti delle armi spessoindossate e ostentate anche duran-te le celebrazioni liturgiche. Perchéquesta tentazione di tirare sempre inballo Dio? Anche per la guerra.Lasciamolo... in Pace!

15Novembre 2006

A cura di Renato Sacco

Sommario

Deporre le armiGiuseppe Mattai 16

Calici e medaglieA cura della redazione 19

Vangelo e mimetica?R.S. 20

Roba da matti!Luigi Bettazzi 22

Rifare il mondoSergio Paronetto 24

DIO,LASCIAMOLO

IN PACE

Belgrado, parata militare

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DEPORRELE ARMI

Non uccidere è norma primaria etica,

prima ancora che comandamento.

Non è lecito sopprimere la vita umana. Ma la Bibbia,

il magistero ecclesialee la teologia proscrivono

ogni tipo di guerra? Giuseppe MattaiTeologo

Su quali principi fondare undiscorso di pace, di condan-na della guerra e di nonvio-lenza e, conseguentemente,di rifiuto della fabbrica di

armi, di eserciti abilitati a combatteree a uccidere in maniera sempre piùsofisticata e di immissione organicadei cappellani militari, con un semi-nario ad hoc ai fini di una loro prepa-razione specifica? Se diamo unosguardo all’attuale temperie culturaleè facile rendersi conto di quanto siaarduo tentare un tale approccio: tende,infatti, sempre più a diffondersi ildiniego di validità a ogni ricorso alleverità, dichiarate assolute e valide perogni persona e per ogni tempo, speciein campo etico. L’accusa di fonda-mentalismo scatta inevitabilmente e

l’enfasi sul pluralismo culturale e lavarietà degli atteggiamenti e delleprassi si fa di giorno in giorno semprepiù forte. Stanno a dimostrarlo i nume-rosi articoli del prof. Umberto Galim-berti, apparsi su “la Repubblica” nelmese di agosto u.s.: relativismo, stori-cismo, scetticismo e nichilismo pre-tendono un diritto di cittadinanza intutti i campi, da quello gnoseologico aquello morale.Tuttavia segni contrari inducono ariproporre la questione, a partire daquanto la gente comune pensa edesprime con molteplici segni su guer-ra e pace, sino alle idee espresse datanti giovani in tema di giustizia e soli-darietà, di investimenti non sullacostruzione delle armi, ma per la for-mazione di una nuova temperie cul-

turale idonea a identificare le diverseforme di ingiustizia e oppressione esuperarle non con la guerra e la vio-lenza, ma con impegni di rinnova-mento, confronto e dialogo ad esseveramente alternativi... Si veda in proposito cosa hanno dettoseicento giovani ad Assisi nella primadecade di agosto, parlando di pace in28 lingue!

Etica della responsabilità?L’etica dei principi veniva definita giàda Max Weber profetica, espressa cioèda chi non aveva responsabilità di altrie poteva quindi rischiare tutto in primapersona. Alcuni parlano di etica deon-tologica, dedotta esclusivamente a par-tire da assiomi senza fare riferimentoalla persona, allo spessore della suasoggettività, alle situazioni storiche ealle conseguenze delle proprie azioni.Ovviamente i due poli non possonoessere disgiunti, ma vanno coniugatiinsieme armonicamente: non fareappello a criteri e valori di fondo irri-nunciabili significa decadere neldeprecabile relativismo moderno (vedil’articolo omonimo di G. De Rosa in“Presbyteri”, 8, 2006), ma contem-plarli in maniera astorica, astratti dal-le persone che li debbono vivere e dal-la varietà delle situazioni concrete incui esse si muovono, sarebbe atteg-giamento errato, utopistico e fonda-mentalistico. Per queste ragioni, in compagnia diillustri teologi cristiani della morale,ho scritto un piccolo libro dal titolovolutamente provocatorio Dall’eticadei principi all’etica della responsa-bilità (Zenit, Firenze 2003), in cui cosìmi esprimevo: “Sull’assolutezza deivalori e sul profilo incondizionato di

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alcune norme generali dell’etica nonsi discute. Sarebbe irresponsabilità nontenerne conto o qualificarle anacroni-stiche e legate a tempi e culture diver-se dalla nostra. Ma quando si scendealla loro determinazione storica, allaloro incarnazione concreta il discorsocambia”(p. 22) e l’attenzionealla persona, alla contingenzastorica e alle conseguenze degliatti acquista diritto di cittadi-nanza. Come è possibile mante-nere fede alle due prospettive(che in linguaggio tecnico sonodenominate l’una deontologicae l’altra teleologica) nelle deli-cate e appassionanti questioniche stiamo per affrontare? Compitoarduo ma, come spero, non deludentequando il discorso fondativo vengaportato garbatamente sui diversi pia-ni: biblico, evangelico, magisteriale,etico-teologico.

Fondazione biblicaL’odierna esegesi biblica è del tuttoaliena dal fondamentalismo che vor-rebbe un’accettazione integrale e let-terale dei libri sacri: i generi letterari ei diversi contesti culturali in cui essisono stati elaborati impediscono unalettura del genere. Per quanto concer-ne il tema della pace il discorso bibli-co sullo shalom fila bene e appare ric-co di suggestioni sempre attuali: quel-lo sulla guerra e la violenza presentanon poche difficoltà interpretative eriesce ostico all’odierno costruttore dipace. Gli studi più recenti consento-no di arrivare a qualche conclusioneabbastanza sicura. L’Antico Testa-mento (d’ora in poi AT) non proscri-ve la guerra ma tende a limitarla nel-l’ambito di una guerra difensiva, nondi espansione o di ritorsione animatada sete di vendetta. Se e quando ilherem, o guerra di sterminio, sia statoeffettivamente messo in atto è que-stione che, in base ai dati disponibili,non può essere risolta; rimane tuttaviail fatto che il monoteismo ebraico non

ebbe sufficiente creatività per scon-figgere sul piano storico la funestamediazione della guerra per raggiun-gere lo shalom. Tuttavia, nell’AT esi-stono almeno due filoni nei quali guer-ra e violenza restano assenti: le memo-rie patriarcali e, soprattutto, i carmi del

Deuteroisaia che, nel misteriosoEbedYhwh, non presentano alcuna tracciadi violenza, ma soltanto obbedienzamite e sofferenza espiatrice.Proprio tali carmi preannunciano l’e-vangelium pacis proclamato e vissu-to con rigorosa e amabile coerenza daGesù di Nazareth. Evangelo e prassi diGesù aprono grandi e inedite prospet-tive di pace e nonviolenza così rias-sumibili: - radicalizzazione entro l’ottica scon-certante delle beatitudini delle 10 paro-le (comandamenti) e in particolare del“non uccidere”; - passaggio dalla difesa della vita fisi-ca all’esigenza etico-religiosa dellapromozione integrale della vita; - superamento di ogni violenza nell’a-more del nemico e nel perdono asso-luto, senza limitazioni di sorta. Orizzonti metaetici che deludonoquanti nel Vangelo ricercano una pre-cisa norma morale relativa alla proi-bizione o liceità della guerra, ma chevalgono più di qualsiasi indicazionenormativa. Tuttavia, scorrendo la storia dellaChiesa, è facile rendersi conto delledifficoltà che insegnamento dottrinalee prassi dei credenti hanno incontratoper dare concretezza storica al Vange-lo della pace: spinte profetiche e cedi-menti allo spirito del tempo si sono

incrociati spesso inducendo ad accan-tonare la nonviolenza e a favorire lagiustificazione della guerra con limititeorici ma disattesi nella pratica.

Fondazione magisterialeFino alla prima guerra mondiale l’i-deologia della giusta guerra detienecampo anche nell’insegnamento del-la Chiesa: cominciano però a emerge-re significative voci di dissenso e dicondanna dei sanguinosi conflitti bol-lati come inutile strage da Benedetto

XV, in una sua nota del 1 ago-sto 1917, rivolta ai governi ealle nazioni belligeranti. Nel-l’indimenticabile enciclicaPacem in terris GiovanniXXIII senza fare cenno allaormai arcaica dottrina dellagiusta guerra, afferma con tonoprofetico che in questa eranucleare, che dischiude la pos-

sibilità della distruzione globale dellapopolazione del pianeta, è ormai assur-do (alienum a ratione) pensare che laguerra sia un mezzo idoneo a risolve-re questioni internazionali e a rimette-re in sesto i diritti violati. La Gaudiumet spes, con toni più pacati, ribadiscetale idea e riafferma il quadrilatero gio-vanneo che ravvisa nella verità, giu-stizia, solidarietà e libertà i fondamentidi una vera pace, giusta e duratura,immagine della pax Christi.La logica iniqua della guerra e la suaimproponibilità appaiono evidenti nel“mai più la guerra” risuonati all’ONUnella voce vibrante e commossa diPaolo VI e di Giovanni Paolo II.Durante il pontificato di quest’ultimoabbiamo potuto registrare un eventomai avvenuto in passato: la precisa enetta condanna di una guerra in parti-colare (guerra del Golfo, contrabban-data come operazione di polizia) e l’e-sigenza di proscrivere ogni guerra siadifensiva che offensiva, che non rive-sta i caratteri di un vero interventoumanitario, e di ravvisare nella paceun bene supremo al quale tutti i pro-grammi devono essere subordinati. Legravi notazioni espresse in occasionedell’ultimo conflitto iraniano e afga-no, dopo l’attentato dell’11 settembrehanno trovato e stanno trovando atutt’oggi dolorosa e crocifiggente con-ferma. Per fondare magisterialmente ilno alla guerra e il sì alla pace sarà uti-le ripercorrere i messaggi per la gior-nata mondiale della pace; rivisitare gliincontri di Assisi che invitano a coniu-gare preghiera, invocazione della pacecome dono di Dio e impegno del cre-dente; i gesti inediti avvenuti durante

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Si è pronti a tuonare contro il sangue versato in guerra e si ha il conto inbanche che foraggiano l’industria degli armamenti, o si passa sopra al fat-to che in conflitti del terzo mondo sono sostenuti dalla produzione massic-cia di armi dei Paesi occidentali.

Mario Hrwat

Mi rivolgo a tutti i responsabili di

questa spirale di violenza,perché immediatamente

depongano le armi. }

La violenza di chi usa le armi è da condannare. Quella di chi le fabbrica pas-sa inosservata. La nonviolenza non è una giustificazione del codardo. È inve-ce la suprema virtù del coraggioso.

Benedetto Croce

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l’anno santo con richiesta di perdonoda parte del Papa per tutti i tradimen-ti della pace e della nonviolenza per-petrati dai credenti in Cristo. Resta dadire che anche Benedetto XVIripercorre gli stessi sentieri: inoccasione degli infausti scontrilibanesi si è rivolto “a tutti iresponsabili di questa spirale diviolenza, perché immediatamen-te si depongano le armi da ogniparte” (30 luglio 2006). “Nullapuò giustificare lo spargimento disangue innocente, da qualunqueparte esso venga” (2 agosto2006).

Fondazione etico-teologicaDestati da questa diana, anche i teo-logi della morale si sono dati da fareper dimostrare l’inapplicabilità di vec-chie teorie alla guerra moderna, per

fondare evangelicamente la pace apartire dalla radicalità del non ucci-dere, mettendo in bilancio le conse-guenze nefaste dei conflitti armati esanguinosi e la praticabilità delle viedi difesa nonviolenta dischiuse nellateoria e nella prassi dai costruttori dipace. La norma “non uccidere” appa-re ai moderni cultori di etica della paceco-originaria all’istanza etica in quan-to tale, perché costituisce la figura pri-maria del riconoscimento dell’altro:eliminare tale norma significa elimi-nare l’etica stessa (M. Reichlin). Apartire dal valore fondamentale di ogni

vita umana, l’odierna etica teologica èindotta a negare liceità morale a ognisoppressione della vita umana (abor-to, pena di morte, eutanasia) coeren-

temente e senza ambiguità compro-missorie. Per quanto concerne gli esi-ti negativi dei conflitti armati vengo-no evidenziati: la loro inutilità perrisolvere i problemi internazionali;l’accumulazione di piramidi di odi chepreparano altri conflitti; l’uccisione diun gran numero di civili e bambini,anche dopo la fine della guerra, amotivo di mine e armi inesplose; ladistruzione delle risorse; il fenomenodei profughi; l’eclissi di valori eticifondamentali, e così via. Per la costruzione della pace vera sisottolinea l’esigenza di una nuova eco-nomia, del superamento delle leggi delmercato erette a regola suprema delvivere sociale, di rigettare una globa-lizzazione immemore della giustizia edella solidarietà. Attenzione particolare è rivolta a unaripresa della politica finalizzata albene comune nazionale e internazio-nale, in un mondo divenuto piccolatribù, e alla riforma dell’ONU e deldiritto internazionale. In merito al pro-blema della difesa, sempre moltoavvertito particolarmente oggi a moti-vo del terrorismo ubi-quitario, i teologi siavvalgono delle nuoveacquisizioni teoriche edi realizzazioni prati-che che dimostrano lapercorribilità, l’effica-cia e la valenza etico-religiosa della DifesaPopolare Nonviolenta(DPN). Esiste dunqueun’alternativa alladifesa militare e all’e-sercito tradizionale. Ilricorso alle armi restalimitato alle azioni dipolizia internazionale– sempre come extre-ma ratio e autodifesain atti aggressivi nonaltrimenti superabili –gestite dall’ONU e

sottratte all’arbitrio dei singoli Stati.

ConseguenzeDalle riflessioni fondanti esposte in

forma estremamente sintetica, èpossibile ricavare indicazioni,anche se non sempre perentorie eda valutare con senso di respon-sabilità, in merito alle moltepliciobiezioni di coscienza, alla fab-brica e al mercato delle armi, allariforma dell’esercito e alla pre-senza dei cappellani militari.Come si ricava dalla loro storia,l’esigenza di un’adeguata attività

pastorale nel vasto e complesso mon-do dei militari è sempre stata moltosentita: appare difficile, senza ade-guate ricerche in campo, asserire cheil loro inserimento con stellette e gra-di consenta una presa di coscienza euna libera espressione dei valori del-la pace e della nonviolenza o, quan-do fosse necessaria, l’obiezione dicoscienza. Averla suggerita dal sottoscritto inoccasione della guerra del Golfo (cfr.“Famiglia Cristiana” del mese di giu-gno 2003, p. 134), ha suscitato unacosì forte reazione da indurre i mieisuperiori alla fraterna richiesta di aste-nermi in futuro da interventi che pos-sano apparire provocatori. Penso che non rientri in tale cortesedivieto una riflessione sul seminarioprevisto per i cappellani militari. Iseminari sono ordinati alla prepara-zione dei sacerdoti per il bene dellaChiesa universale e delle Chiese loca-li. Restringerli a un ceto particolare(cappellani o preti operai) appareun’operazione alquanto discutibile,salvo meliore iudicio.

SCAFFALI

Nella grande mole di scritti in materia mi limito asegnalare:L. Lorenzetti (a cura di), Dizionario della teologiadella pace, EDB, Verona 1997Id., Enchiridion della pace, 2 voll., EDB, Verona2004Delle mie non poche, ancorché modeste, pubbli-cazioni cito:- La pace oggi: domande gravi, risposte stimolanti,Ennepilibri, Imperia 1999- La difesa popolare nonviolenta (DPN): discorsofondativo, in Id., Dall’etica dei principi all’etica del-la responsabilità, Zenit, Firenze 2003, pp. 119-137 - Nodi moraltelogici in tema di pace e guerra, in“Asprenas”, 1994, n. 2, pp. 247-258 - Verso la grande pace: utopia o profezia?, in“Asprenas”, 2001, pp. 525-534.

Esiste un’alternativa alla difesa militare e

all’esercito tradizionale:la Difesa Popolare

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Il vesovo ordinario è Generale diCorpo d’Armata. Difendono lavita, ma vanno in guerra. Senzaalcuna obiezione di coscienza.Hanno un seminario tutto loro.

Pubblicano anche il Cursore: periodi-co della Diocesi per i militari italiani,inviato gratuitamente a tutte le parroc-chie d’Italia. Proprio mentre andiamo instampa apprendiamo che è stato nomi-nato il nuovo Ordinario Militare, chesuccede a mons. Bagnasco, ora vesco-vo a Genova, si tratta di mons. Vincen-zo Pelvi, vescovo ausiliare di Napoli. L’Ordinariato Militare in Italia (O.M.I.)ha sede in Roma, Salita del Grillo 37.Chiesa principale è S. Caterina da Sie-na a Magnanapoli, in Roma. Vi è pre-posto l’Ordinario Militare per l’Italia(O.M.), con dignità arcivescovile [...]Designato dal Papa e nominato conD.P.R. (Decreto del Presidente dellaRepubblica) su proposta del Presidentedel Consiglio dei Ministri di concerto

con i Ministri della Difesa e dell’Inter-no, è assimilato di rango al grado diGenerale (Gen.) di Corpo d’Armata (L.512/61) o Tenente Gen. [...]I luoghi riservati ai militari sono soggettiin primis alla giurisdizione dell’O.M.,in secundis al Vescovo Diocesano quan-do manchino O.M. e Cappellano Mili-tare (C.M.). Il Presbiterio dell’O.M.I.consta di Sacerdoti Secolari e Religio-si in servizio stabile. [...]Appartengono all’O.M.I.: i fedeli mili-tari; i civili al servizio delle Forze Arma-te (FF.AA.), le loro famiglie (coniugee figli anche maggiorenni se conviven-ti); i parenti e le persone di servizio con-viventi; gli allievi delle Scuole e delleAccademie militari, i degenti, gli addet-ti a ospedali militari, le case per anzia-ni e simili; tutti i fedeli che svolgono sta-bilmente compiti loro affidati dall’Or-dinario Militare o con il suo consenso.Il mondo militare ha proprie regole e tra-dizioni: dalla “militarità” costitutiva di

questo mondo non va escluso il Clero.Perciò la Chiesa Italiana ha voluto chei Cappellani Militari (CC.MM.) fosseroinquadrati militarmente, equiparati dirango ai gradi di ufficiali, e vivesserocon i militari. Il Primo Sinodo dellaChiesa O.M.I. (celebrato a Roma dal 3al 6 maggio 1999), presieduto dall’O.M.S.E.R. mons. Giuseppe Mani, ha spe-cificato le finalità e la struttura dellaChiesa Ordinariato Militare. Oggi laChiesa O.M.I. è ripartita in 16 zonepastorali geografiche, istituite per coor-dinare il servizio pastorale da rendere aimilitari: con la divisione in comunitàpresbiterali zonali è stata introdotta lafigura del Cappellano Capo-Servizio-Interforze. Il 25/9/1997 è stata istituitacon apposita “Convenzione tra il Mini-stro della Difesa On. BeniaminoAndreatta e l’O.M. S.E.R. monsignorGiuseppe Mani” la “Scuola Allievi Cap-pellani Militari”, denominata “Semina-rio Maggiore dell’Ordinariato Militarein Italia” con disposizione retroattivadella Segreteria di Stato (Santa Sede) indata 01/06/2001 – n. 4753/01/RS e rela-tivo Decreto Canonico diocesano(O.M.I.) in data 08/12/1998 – n.A11/AS. I CC.MM. provenienti da que-sta Scuola vengono incardinati nel-l’O.M.I. Oggi, dunque, vi sono due cate-gorie di CC.MM.: gli incardinati nel-l’O.M.I. perché ordinati dall’OrdinarioMilitare pro tempore, e i CC.MM. pro-venienti dalle Diocesi o dagli OrdiniReligiosi. Attualmente la tabella orga-nica dell’O.M.I. prevede 204 compo-nenti di cui: l’O.M. (Arcivescovo); ilVicario Generale Militare (Presbitero);3 Ispettori (Presbiteri); 199 CC.MM.(Presbiteri). [...]Le informazioni sono tratte dal sito uffi-ciale www.ordinariato.it

CALICI EMEDAGLIE

Hanno tanto di stellettee divisa.

Sono preti assimilatiai militari graduati.

Ma chi sonoi cappellani militari?

Ecco una scheda trattadal loro sito ufficiale.

A cura della redazione

PREGHIERA DEL BERSAGLIERE

A Te, eterno Iddio, Signore della pace e della guerra, noi – Bersaglieri diLamarmora – innalziamo la nostra preghiera.Tu, che ci hai fatto conoscere le asperità di tante battaglie, il gaudio di tan-te vittorie, la pena di tante rinunce, fa’ che il raggio di gloria illumini sem-pre la nostra fronte.Fa’ che la terra tremi sotto il nostro piede veloce e i nostri occhi mai veda-no vinte le nostre armi, mai piegata la bandiera della Patria.Tu che ci hai dato un cuore di fiamma, guida i nostri passi sulla via dell’o-nore e, se un giorno dovessimo cadere, rendi forte l’animo delle nostre mam-me e delle nostre spose.Benedici, o Signore, le piume che ci tramandano un secolo di assalti; bene-dici i nostri cuori che palpitano per la Patria santa; benedici Coloro che,dal Mincio al Don, sul campo restarono; benedici l’Italia e gli Italiani.Tutti gli Italiani. Ascolta. O Dio onnipotente, la viva voce di chi SOLO A TEsi arrende.

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Saluto le autorità presenti:religiose, civili e militari. Èuna frase che abbiamo senti-to in diverse occasioni, in par-ticolare durante cerimonie e

liturgie solenni. Se questo può esserevisto come un saluto di “buona educa-zione”, c’è qualche problema in piùquando si arriva alla benedizione, inmodo particolare a quella di strumentidi guerra. E anche qui, quante volteabbiamo visto, anche solo in Tv o suigiornali, solenni benedizioni di canno-ni, carri armati, aerei, navi da guerra,come ad esempio la portaerei Cavour.Per questa nuova nave da guerra, PaxChristi ha espresso tutta la sua per-plessità sia attraverso il presidentemons. Diego Bona (luglio 2001, ini-zio lavori), sia mediante il coordinato-re nazionale Tonio Dell’Olio (luglio2004, inaugurazione e benedizionefinale). Ma rischia di essere visto comeun fatto isolato, come una fissazione dichi non sa fare le mediazioni richiesteda una buona sensibilità pastorale.Anche don Tonino Bello, presidente diPax Christi e vescovo di Molfetta ciaveva provato. Era lui stesso a raccon-tare che, chiamato a una cerimonia uffi-ciale, a un certo punto sente: “‘E orail vescovo benedirà le Forze Armate’.Io mi sono sentito spiazzato, non ave-vo previsto questo invito a benedire leForze Armate. Allora ho visto che inprima fila c’era la Banda musicale e hodetto: ‘Va bene, adesso il vescovobenedice le forze armate... di strumen-ti musicali’”. E raccontava anche que-sto episodio: “Qualche mese fa, eroappena tornato dall’ospedale, quandomi invitano a celebrare per l’inaugu-razione di una nuova nave militare. Ioascolto l’ufficiale che legge tutti i com-

piti a cui è chiamata questa nave: soc-correre i dispersi in mare, portare aiu-ti, ecc. Allora io dico nella preghiera:‘Fa’, o Signore, che se questa navemanterrà fedelmente tutti gli impegni,la sua bandiera sventoli sul pennonecome tovaglia di altare; ma se nonmanterrà questi impegni la sua ban-diera cada a terra come uno strofinac-cio da cucina’. Sentivo i commenti diqualcuno ‘e dire che sta male, è moltomalato ed è appena tornato dall’ospe-dale, guai se stessebene!’. Al terminedella Messa, mentremi tolgo i paramenti,mi si avvicina un altoufficiale, fa il salutomilitare e aggiunge‘eccellenza, le devodire che questa seraandrò di nuovo aun’altra Messa’. ‘Be-ne, sono contento’, glidico io. ‘Sì’, concludel’ufficiale, ‘perché lasua Messa mi hadisgustato’”.

Prassi pastoraliAl di là dei singoliepisodi è un dato difatto che la prassipastorale spesso sitrova a “incrociare”situazioni, istituzioni,persone e cose chesono direttamentelegate alla guerra. LeMesse “organizzate”dai vari corpi militari,all’interno della festa,locale o nazionale,sono una realtà. E

all’interno della celebrazione è prassisempre più acquisita che si reciti anchela preghiera... dell’alpino, del bersa-gliere, del marinaio.“Rendi forti le nostre armi” recita unadi queste preghiere. Sarebbe interes-sante documentare casi in cui questocollegamento tra liturgia e militare,pastorale e guerra sia stato messo indiscussione. Negli anni passati ci sonostate parrocchie, alcune in Piemon-te, in cui si è cercato di ribadire la

VANGELOE MIMETICA?

Messe organizzate da corpi militari.

Feste, gagliardetti, mimetiche e armi.

E sullo sfondo cappellanimilitari con le stellette.

Ripartiamo dalla lorosmilitarizzazione.

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centralità della preghiera universaledella Chiesa, della Comunità e non delsingolo Corpo. Ma non è stato e nonè facile ancora oggi. D’altronde la cre-scente tendenza a liturgie sempre piùsolenni e “pompose” che rischiano didare quasi più valore ad alcuni aspet-ti esteriori: paramenti, cori polifoniciin latino ecc. portano a vederecon occhio più benevolo il col-legamento con il mondo milita-re anch’esso portato a dare rilie-vo alla forma, alla precisione:picchetti, gagliardetti, ordine edisciplina...E così molti credenti, laici e nonsolo, si interrogano, si chiedo-no quali scelte siano da fare per riba-dire una libertà della Chiesa, uno spa-zio allo Spirito Santo, alla Parola diDio, alla liturgia vera e non ridotta a“cerimonia” per non correre il rischiodi andare verso quella che oggi sichiama religione civile.In questo contesto, oggi come ieri,non può non porre interrogativi nellarealtà italiana, la Chiesa tra i militarie in particolare i cappellani militari o,per usare il titolo di una recente pub-blicazione curata dall’Ordinariatomilitare, Il Vangelo in mimetica.

Cappellani militari“Non c’è il rischio – ha scritto d.Fabio Corazzina, coordinatore nazio-nale di Pax Christi, in risposta a un’in-tervista all’ordinario militare mons.Angelo Bagnasco pubblicata da“Famiglia Cristiana” il 21 maggioscorso – che anche il Vangelo venga‘arruolato’ come si è detto per i gior-nalisti? Arruolato per vedere e giusti-ficare la storia dalla parte dei forti,non delle vittime, soprattutto civili.Arruolato per giustificare e benedireviolenza e morte. Come si può coniu-gare la ‘via militare alle Beatitudini’e ‘il militare cristiano che porta learmi e sa di poter essere costretto ausarle’ pur sapendo ‘che la sua vita èinserita nello spirito delle Beatitudi-ni che gli conferisce il ruolo di ope-ratore di pace con quanto è scritto neiLineamenti di sviluppo delle ForzeArmate negli anni Novanta, docu-mento presentato in Parlamento nel-l’ottobre del 1991?”. Lì si parla di“concetti strategici di difesa degliinteressi vitali ovunque minacciati ocompromessi”. Come tacere la con-danna a questi lineamenti che hannodato il via alla teoria della “guerra pre-ventiva”? Guardando all’Iraq oall’Afghanistan, come è possibileconiugare ancora umanitario e mili-

tare? Tanto più oggi, dopo i cambia-menti avvenuti, come l’abolizione del-la leva obbligatoria, la professionaliz-zazione dell’esercito composto davolontari, il coinvolgimento dei soldatiitaliani in vari territori di guerra, i nuo-vi e sempre più micidiali sistemi d’ar-ma utilizzati e in fase di studio. “Lo so

che la cosiddetta ‘militarità’ può fareproblema – diceva mons. Bagnasconell’intervista al settimanale paolino –e sembrare fuori posto per un prete.Ma c’è una ragione. Il senso di appar-tenenza alle Forze Armate è altissimo.È un mondo con regole precise. Ilsacerdote, per essere pienamenteaccolto, ne deve far parte fino in fon-do, convinto che il rispetto delle per-sone e dell’ambiente passa anche attra-verso la loro totale condivisione”.Pax Christi aveva già posto il proble-ma dei cappellani militari con unappello alla Chiesa italiana e ai poli-tici, senza molto successo, in occa-sione del Convegno della Chiesa ita-liana a Palermo, nel 1995. In occa-sione del 30° anniversario della mor-te di don Lorenzo Milani scriveva:“Senza far uso strumentale della sto-ria, senza intenti di polemica fine a sestessa, Pax Christi chiede, nuova-mente, che si ritorni a discutere sulruolo dei cappellani militari, non pertogliere valore alla presenza e all’an-nuncio cristiano tra quanti, soprattut-to giovani, stanno vivendo la vita mili-tare, ma per essere più liberi, senzaprivilegi e senza stellette”. Parole poiriprese dall’editoriale di “Mosaico dipace” dell’ottobre 2000.Anche al Congresso Eucaristico diBologna (1997), dove era prevista unacelebrazione Eucaristica presiedutadall’ordinario militare, Pax Christiinterviene chiedendo di “aprire un dia-logo sul ruolo dei cappellani militari:la loro smilitarizzazione potrebbeessere un gesto significativo e con-creto di conversione, proprio in occa-sione del Congresso Eucaristico,anche alla luce del Giubileo del 2000,per iniziare il terzo millennio più fede-li al Vangelo di Cristo nostra pace”.Ma l’occasione più significativa eapprofondita su questo tema è statosenza dubbio il seminario di studio

tenutosi alla Casa per la Pace diFirenze, nel novembre 1997, pro-mosso in collaborazione con il Cen-tro Studi Ecumenico Sociale per laPace: Cappellani militari oggi e...domani, con interventi di giuristi, diun cappellano militare e di Pax Chri-sti. “Si è ribadita pertanto la neces-

sità – si legge nel comunicatofinale – di un sempre maggioreimpegno non solo della Chiesapresente tra le Forze Armate, dicui s’è riscontrata la disponibilitàal dialogo, ma di tutta la Chiesaitaliana per un cammino semprepiù determinato sulla via dellanonviolenza e della pace”. Sono

passati quasi dieci anni, e questoimpegno al dialogo resta semprevalido e doveroso. Perché è un pro-blema di Chiesa, di tutta la Chiesaitaliana: per questo è auspicabile unariflessione aperta, serena ma fermasul ruolo dei cappellani militari e sul-la loro completa integrazione all’in-terno dell’apparato militare.

Seminari specificiCon alcune domande: come mai esi-ste un seminario per la formazionedei cappellani militari? La chiusura,di qualche anno fa, del seminario perl’America latina e la non apertura, diun seminario per i preti operai paresia dovuta anche a una motivazionedi fondo: si diventa preti per la tuttala Chiesa, non per un “settore” par-ticolare. Perché non scegliere anche per i cap-pellani nell’esercito un ruolo di pre-senza sul modello della Polizia diStato o degli Istituti Penitenziali,dove i cappellani non sono inqua-drati nella struttura? Insomma, unministero di accompagnamento spi-rituale ma libero dalle stellette, libe-ro anche dal lauto stipendio e dai pri-vilegi dovuti al fatto che si è partedella gerarchia militare. Perché allora non tornare a esserepreti come gli altri, inseriti in unadiocesi come le altre? Perché nonaffidare la cura pastorale dei milita-ri alla parrocchia nel cui territoriosorge la caserma?.Infine, guardando al 2007, 40° anni-versario della morte di don Milani,perché non cogliere l’occasione perchiedere perdono a don Lorenzo e atutti coloro che hanno scelto l’obie-zione di coscienza? Va ricordato che la sentenza di con-danna non è stata mai cancellata epesa ancora nei registri penali ai dan-ni del priore di Barbiana.

La smilitarizzazione dei cappellani militari

potrebbe essere un gesto significativo e

concreto di conversione.{ }

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La guerra fuor di ogni logicanella Pacem in terris.

E non solo. Sulle orme di una Chiesa che gusta la pace,

pellegrina, sognatrice di un mondo senza guerre.

Per riconoscere il valore della nonviolenza.

Luigi BettazziVescovo emerito di Ivrea

Lo sviluppo della Chiesa neisecoli è il cammino di unorganismo che cresce e sisviluppa, alla luce dellaRivelazione – Parola di

Dio affidata alla Tradizione – e perl’azione dello Spirito nei singoli bat-tezzati, nelle comunità e nell’insiemedella Chiesa.Anche il tema della pace, che pure faparte costitutiva del messaggio evan-gelico (cfr. L’Annuncio di Betlemme,Lc 2,14) ha avuto un suo camminosignificativo. All’inizio, in una Chie-sa che si sentiva “straniera e pellegri-na” nel mondo (1 Pt 2,11), la preoccu-pazione della pace si rivolgeva all’in-terno della vita della comunità cristia-na, come pace tra i membri della Chie-sa. Poi, con lo stretto collegamento trail Cristianesimo e l’impero (da Costan-tino a Teodosio), la pace cristiana è sta-ta identificata con la pace dell’impero,da ottenere e da difendere con le armi.Anche la pace all’interno della Chie-sa è stata vista come tanto importante

da non rifuggire dal-la violenza delleguerre religiose edelle Inquisizioni.

Nuovi mondiGli umanesimi e gliilluminismi, radica-ti nel Vangelo masollecitati anche dal-le tensioni tra levarie confessioni cri-stiane, hanno fattomaturare una menta-lità nuova nellaChiesa cattolica. Giàsi erano scongiuratele guerre come “inu-

tili stragi” (Benedetto XV nei con-fronti della prima guerra mondiale) ocome grave perdita comune (Pio XIInella prima guerra mondiale); ma è ilConcilio Vaticano II, ispirato dall’En-ciclica Pacem in terris di GiovanniXXIII, che guarda alla pace come ilmassimo valore umano da persegui-re, per cui la Chiesa deve impegnarsidando il contributo dei suoi membri edelle sue comunità. Non è stato – e nonè ancora – un cammino facile. I cappellani militari, ad esempio,inseriti strutturalmente nell’esercito,devono esaltarne l’esistenza e i com-piti, contestando e svalorizzando l’o-biezione di coscienza (come feceronella vicenda che portò alla condan-na di don Milani e di padre Balducci)o illustrando come gesti di caritàquelli dell’aviatore che esce per bom-bardare e avviare così il processo dipace (come si disse all’epoca dellaguerra in Kosovo).Nella Pacem in terris in realtà si guar-da alla pace come sintesi dei valori

umani più elevati, dalla verità alla giu-stizia, dalla libertà all’amore; e per laprima volta si dice che, date le armi didistruzione oggi nelle mani degliuomini e la possibilità di incontri e diaccordi a ogni livello, ritenere che leguerre possano portare alla pace è alie-num a ratione (n. 42), frase che è sta-ta pudicamente tradotta come “sembraimpossibile pensare”, ma che in realtàvuol dire “è fuori dalla ragione” (sidirebbe: “roba da matti!”).

Parola di ConcilioL’Enciclica fu ripresa dal Concilio; male vicende della guerra in Vietnamindussero i vescovi americani a chie-dere di soprassedere a una condannadrastica della guerra (“Non pugnala-te alle spalle – supplicava il card. Spel-man, arcivescovo di New York e ordi-nario militare dell’esercito americano– i nostri giovani che in EstremoOriente stanno difendendo la civiltàcristiana”!). Si giunse soltanto allacondanna (l’unica in un Concilio chepapa Giovanni aveva voluto “pastora-le”, quindi senza anatemi) della guer-ra totale (n. 80), come allora venivachiamata la guerra atomica, che coin-volse popolazioni inermi (e c’eranogià state, al termine della secondaguerra mondiale, l’uso di bombenucleari che avevano distrutto le cittàgiapponesi di Hiroshima e Nagasaki!).Un passo avanti fece però il Concilio,ammettendo l’obiezione di coscienza(sia pure come vaga ipotesi, di frontealla quale si invitavano i governi aconsiderarla “umanamente”, n. 79).Ma le acque della riflessione si eranomosse; e dopo due anni (1967) PaoloVI pubblica l’Enciclica Populorumprogressio, in cui si dice fin dal titolo

ROBADA MATTI!

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che il nuovo nome della pace è “lo svi-luppo dei popoli”, ma riconoscendol’organizzazione ingiusta del mondoper cui lo sviluppo dei popoli più for-ti e più fortunati è pagato con la man-canza di sviluppo degli altri popoli,che sono la maggioranza del-l’umanità. Quell’Enciclicavenne contestata come rivolu-zionaria (“comunista”, si dice-va allora); ma dopo vent’annipapa Giovanni Paolo II, pro-veniente dal mondo comuni-sta, si rifà a essa con una nuo-va Enciclica – Sollicitudo reisocialis – precisando che oggila pace si identifica con la solidarietà,che è anche il nome attuale della carità.Cosicché, se uno non può dirsi cri-stiano senza la carità, va concluso cheuna persona e una comunità non pos-sono dirsi cristiane se non partono dal-la solidarietà.

Il popolo della paceÈ da dire che queste dichiarazioni deiPapi, anche se ufficialmente spessodisattese (si pensi al forte impegno diGiovanni Paolo II per evitare sia la pri-ma che la seconda guerra del Golfo e lanon accoglienza del mondo politico, maanche ad alti livelli del mondo cristia-no), hanno però portato a far crescerenell’opinione pubblica l’influenza del-la Chiesa nel “popolo della pace”. Pen-so, ad esempio, alla difficoltà di PaxChristi italiana per far accettare da alcu-ne diocesi la “Marcia di Capodanno”,che pure, nella notte di inizio d’anno,intendeva proporre e attualizzare ilmessaggio del Papa per la Giornata del-la Pace, indetta per il 1° gennaio, eormai riconosciuta universalmente.La “Marcia di Capodanno” venneaccolta più... pacificamente anche da

grandi città quando fu posta sotto l’e-gida della Commissione “Giustizia ePace” della CEI; così come l’obiezio-ne di coscienza al servizio militare,avviata da Pax Christi tra le diffiden-ze nel mondo cattolico, venne poi

accettata e largamente diffusa quan-do ebbe il patrocinio della Caritas ita-liana (organismo della CEI).Pax Christi italiana, particolarmentesotto l’impulso del suo Presidentemons. Tonino Bello, propugnò la non-violenza attiva evangelica, recuperan-do questo impegno che era stato lan-ciato da Gandhi (il quale diceva diaverlo appreso anche dal Vangelo,aggiungendo che non si era mai fattocristiano vedendo – ahimè – quantopoco i cristiani lo mettono in pratica!).Lo collegò con il programma di Gesùil quale, quando suggeriva di offrirel’altra guancia (Mt 5,39), non allude-va alla passività o alla rassegnazionequanto a non rispondere con la vio-lenza, sollecitatrice di nuove violenze,proprio come fece Lui quando, schiaf-feggiato dal servo del Sinedrio, lo feceriflettere perché rinunciasse anche luialla violenza (“Se ho parlato male,dimmi dov’è il male, ma se ho parla-to bene, perché mi percuoti?”, Mt18,23). Dunque la nonviolenza attivaè impegno a cercare di risolvere i pro-blemi senza usare la violenza fisica.Richiede il controllo di sé, la rinuncia

all’illusione che la nostra forza pre-ponderante possa soffocare la violen-za contraria. Alle volte può farla tace-re lì per lì (non sempre!), ma seminanuovi germi di violenza, suscitavolontà di rivalsa, stimola ricerche di

nuove vendette.Credo proprio che questo siail compito del Cristianesimooggi, tanto più del Cristiane-simo occidentale, posto chesiamo noi occidentali quelliche utilizzano le proprie supe-riorità e i propri privilegi pro-ponendo leggi e organizzandoalleanze per garantire e accre-

scere il proprio benessere e il propriopotere, e posto che gli occidentali sonogiudicati nel mondo (a cominciare dalmondo islamico) come “i cristiani”.Anche Giovanni Paolo II, nel dicem-bre 2003 ha esaltato la nonviolenzaattiva, e a essa si è appellato Benedet-to XVI durante le sanguinose vicen-de del Libano nel luglio 2006. Credoche più che mai Pax Christi debba sen-tire come sua specifica vocazionequella di approfondire i principi dellanonviolenza attiva, di svilupparne lemodalità storiche, di suggerirne leapplicazioni concrete, per un cristia-nesimo più coerente, per un mondo piùpacifico.

Nella Pacem in terris in realtà si guarda

alla pace come sintesi dei valori umani più elevati,

dalla verità alla giustizia, dalla libertà all’amore.

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PREGHIERA DELL’ALPINO

Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi ove la Prov-videnza ci ha posto, a baluardo fedele delle nostre contrade, noi, purificatidal Dovere pericolosamente compiuto, eleviamo l’animo a Te, o Signore, cheproteggi le nostre mamme, le nostre spose, i nostri figli e fratelli lontani, eci aiuti ad essere degni delle glorie dei nostri Avi.Dio Onnipotente, che governi tutti gli elementi, salva noi, armati come sia-mo di Fede e di Amore. Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tor-menta, dall’impeto della valanga; fa che il nostro piede posi sicuro su lecreste vertiginose, su le diritte pareti, oltre i crepacci insidiosi; rendi forti lenostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera,la nostra millenaria civiltà cristiana.E Tu, Madre di Dio, candida più della neve, Tu che hai conosciuto e raccol-to ogni sofferenza e ogni sacrificio di tutti gli Alpini caduti; Tu che conosci eraccogli ogni anelito e ogni speranza di tutti gli Alpini vivi e in armi, Tu bene-dici e sorridi ai nostri Battaglioni e ai nostri gruppi. Così sia.

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RIFAREIL MONDO

Pace è prendersi cura di ogni creatura.Presupposto per

una teologiadella nonviolenza.

Per una comunità ecclesiale che viva il magistero

della prassi. E creda nella corresponsabilità ecclesiale.

Sergio Paronetto

Azzardo una domandaradicale: ci sarà ancora lavita? Ci sarà un futuro?Cosa vuol dire oggi per icredenti nella pace attua-

lizzare il tema del Convegno eccle-siale di Verona: Testimoniare GesùRisorto, speranza del mondo? Da molto tempo, a fare le spese deigrandi e ramificati sistemi di guerrae di fame sono sempre i più deboli, ibambini e le bambine, il futuro delmondo. Ma se i bambini e le bambi-ne stanno morendo, allora non c’èfuturo. Confrontare le spese per unoscudo spaziale o per una semplice por-taerei, per l’armamento atomico o peruna operazione militare, per la rico-

struzione improbabile dopo una guer-ra devastatrice, con la morte per famedi un bambino o di una bambina(40.000 persone ogni giorno, circa unaogni 8 secondi, muoiono a causa del-la fame, mentre ogni minuto muoreuna donna a causa del parto), signifi-ca squarciare l’abisso dell’ingiustiziae sprofondare nella notte più oscura.Chi si prende a cuore la sofferenza delmondo? Chi si prende cura del dolo-re degli “innocenti”? Le cifre dellamorte sono persone, volti. La situa-zione è gravissima perché, anche senon ci fossero guerre, la corsa agliarmamenti di per sé rappresenta una“ingiustizia” permanente, anzi “un’ag-gressione che si fa crimine: gli arma-

menti, anche se non messi in opera,con il loro alto costo, uccidono i pove-ri, facendoli morire di fame”. Lo affer-mava nel 1976 un testo profetico del-la Santa Sede.

Difesa della vitaBasta questa riflessione per dichiara-re superata ogni teoria della “guerragiusta”, diversamente presente in ogniambito (culturale e politico, religiosoed ecclesiale). Non si può parlare didifesa della vita senza tale consape-volezza. Siamo tutti e ovunque impa-stati di violenza.Prenderne coscienza è cominciare aorientarsi per ripensare e rifare il mon-do. Alla fine di una poesia intitolata

Ricordando Guillèn. Tesi perspiegare la morte di un bambi-no, la poetessa nicaragueseMariana Yonusg Blanco, dopoaver elencato le morti infantiliper disidratazione, denutrizione,scambio ineguale, imperialismo,politica complice e compiacen-te, così conclude: Aiutami a ripensare il mondoperché la mortedi un solo bambinoè una condizioneterribilmente sufficientee urgentemente necessariaper rifare il mondo.Bisogna allora stringere vitie togliere mollee rovesciare strutturee indicare i responsabilicon nome, cognome e conto bancario.Aiutami perché ho paura di odiarema non mi interessa amare se muore un bambino.DO

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Ripensare il mondo vuol dire ripensa-re tutto, rovesciare il pensiero unicodel “libero mercato armato”, supera-re ogni logica del nemico e la necro-filia dei terrorismi uguali e contrari.Penso sia necessario affermare che lapace o, meglio, l’azione nonviolentaama la vita. Si prende cura della vitadi tutti e per tutti. La pace è vita dagustare, da curare e da condividere. Lanonviolenza è sempre biofiliaoperante, sanità mentale, respirodel cuore, etica del volto. Aiutaa vincere la paura. Tenta la ricon-ciliazione nella verità, risana leferite, ricostruisce i rapporti.Suscita la gioia di vivere e il pia-cere di comunicare. Sa che ènecessario cambiare per vivere,e vivere con dignità.L’operatore di pace ama la vitaperché la promuove, crea le pre-messe per il suo fiorire. Demo-crazia, dunque, è preparare lecondizioni per la difesa e lo sviluppodella vita. Per questo, l’attenzione allavita minacciata si estende sempreall’impegno per la giustizia e la pace.“Con tutti i nostri limiti ma anche conil nostro entusiasmo di operatori dipace, anzi di amici della nonviolenza– si scrive nel documento che il Con-siglio Nazionale di Pax Christi pre-senta al Convegno ecclesiale di Vero-na – riteniamo necessario ricordare anoi stessi, alle comunità cristiane e atutti i nostri compagni di strada chela vita va tutelata e promossa nella suavarietà e interezza sempre e ovunque.

La vita è un bene globale, comune,conviviale, interdipendente, laico, cri-stiano, ecumenico, interreligioso, uni-versale. Solo se coerente e completa‘la scelta della vita’ diventa verace,credibile e autorevole. Il Vangelo del-la vita e Vangelo della pace formanol’unico Vangelo di Cristo, figlio delDio vivente, ‘via, verità e vita’, ‘nostrapace’”.

Il magistero della paceRaramente nel linguaggio della gerar-chia ecclesiastica italiana spicca taleprospettiva. Il magistero della pacesembra figlio di un dio minore, non èentrato nella prassi quotidiana o nel-la pastorale ordinaria. A volte si bloc-ca o diventa parziale. Se ci sono, comesi dice, “beni indisponibili” come lavita, occorre dichiararsi “indisponibi-li” a ogni guerra, dichiarandola “anti-creazione” e sterminio.Per ogni guerra dovrebbe valere lasolenne affermazione presente nella

Evangelium vitae: “La scelta delibe-rata di privare un essere umano inno-cente della sua vita è sempre cattivadal punto di vista morale, e non puòmai essere lecita né come fine, nécome mezzo per un fine buono. Èinfatti grave disobbedienza alla leg-ge morale, anzi a Dio stesso, autore egarante di essa, contraddice le fonda-mentali virtù della giustizia e dellacarità” (n. 57). Per questo “si dovran-no rimuovere le cause che favorisco-no gli attentati alla vita” (n. 90). Pen-so che l’esplicita condanna dellaEvangelium vitae vada estesa a ognivita sempre e ovunque. Essa ricordaun’analoga solenne affermazione del-la Gaudium et spes: “Ogni atto diguerra che indiscriminatamente miraalla distruzione di intere città o di

vaste regioni e dei loro abitanti,è delitto contro Dio e contro lastessa umanità e con fermezza esenza esitazione deve esserecondannato” (n. 80). Nella Cen-tesimus Annus del 1991, Gio-vanni Paolo II esclamava: “No,mai più la guerra che distruggela vita degli innocenti, che inse-gna a uccidere e sconvolgeugualmente la vita degli ucciso-ri, che lascia dietro di sé unostrascico di rancori e di odi, ren-dendo più difficile la giusta solu-

zione degli stessi problemi che l’han-no provocata” (n. 52).

Una trama colorataOggi nella percezione comune, questomagistero viene dimenticato oammorbidito. Sulla scena politica emediatica, per responsabilità differenti(informative, politiche, ecclesiali),l’intervento episcopale appare quasiesclusivamente attento ai temi dellavita nascente, della sessualità e dellafamiglia. Spesso il panorama si irrigi-disce. Quando si affrontano i temi del-la vita o della famiglia, spuntano sem-pre due schieramenti contrappostiorientati a esasperare i toni, a divide-re il mondo in bene e male, vita e mor-te, buoni e cattivi. Da un lato si ripro-pongono costantemente i diritti del-l’embrione, il superamento della leg-ge 194, il rifiuto dei patti di solidarietàcivile. Dall’altro lato, si ripetono anti-chi pregiudizi verso la religione cat-tolica considerata sempre antimoder-na, clericale, intollerante. Di fronte ainodi problematici e complessi dellavita – osserva sempre il documento diPax Christi – è necessario argomenta-re “senza frasi ultimative, senza esa-sperazioni faziose, senza schematismi,

La maturazione di una teologia

della nonviolenza può essere solo frutto

dell’azione comune del popolo di Dio

in cammino.{ {

PREGHIERA DEL MARINAIO

A Te, o grande Eterno Iddio, Signore del cielo e dell’abisso cui obbedisco-no i venti e le onde, noi, uomini di mare e di guerra, Ufficiali e Marinai d’Ita-lia, da questa sacra Nave armata dalla Patria leviamo i cuori! Salva ed esalta, nella Tua fede, o Gran Dio, la nostra Nazione. Da’ giusta glo-ria e potenza alla nostra Bandiera; comanda che le tempeste e i flutti ser-vano lei; poni sul nemico il terrore di lei; fa che per sempre la cingano in dife-sa petti di ferro, più forti del ferro che cinge questa Nave; a lei per sempredona vittoria.Benedici, o Signore, le nostre case lontane, le care genti. Benedici nellacadente notte il riposo del popolo. Benedici noi che, per esse vegliamo inarmi sul mare! Benedici!

Molti usano bollare – facendo d’ogni erba un fascio – chi si impegna per lapace e la nonviolenza con un aggettivo “codardi”. Certo v’è chi ciancia soloa parole su temi sacri come questi; ma guai a ritenere che la baldanza, ilvalore, il fegato, l’ardimento siano appannaggio di chi adotta la forza e rite-nere pauroso che si impegna incessantemente per la pace, il rispetto, l’in-tesa, la concordia. La vera grandezza e l’autentico coraggio è di chi sa spez-zare col perdono la catena della violenza.

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senza contrapposizioni pregiudiziali”. È bene praticare la ricerca della veritànel dialogo e acquisire una visioneglobale e unitaria dei problemi. “Lavita e la pace sono sorelle che cam-minano assieme”. L’indicazione è pre-sente anche nel testo preparatorio delConvegno ecclesiale (Testimoni diGesù Risorto, speranza del mondo,15) dove si scrive che la dinamicaassai articolata delle esperienze, “ladimensione affettiva delle relazionisociali” e “le varie forme di rappre-sentazione pubblica degli affetti han-no un grande bisogno di aprirsi allasperanza e, quindi, alla ricchezza del-la relazione”.I credenti, allora, non possono annun-ciare il messaggio cristiano della vitacon processi alle intenzioni, con giu-dizi perentori, con divieti e condanne.Possono celebrare la bellezza della vitasolo in modo globale e gioioso, valo-rizzando il decisivo contributo fem-minile. È importante fare sintesi, pen-sare-vivere i temi della vita e dellapace in modo coerente e completocome beni interconnessi, nel contestodi una reciproca fecondazione. È,quindi, urgente sperimentare la costru-zione di percorsi comuni, laici-cristia-ni, riconoscendo la complessità delleproblematiche, la dimensione apertadella ricerca e del dialogo, la legitti-mità di diverse risposte politiche inambito giuridico, il valore della laicitàcome progetto di convivialità umana.Benedetto XVI, nel maggio 2005, inoccasione della vicenda referendariasulla procreazione assistita, ha chie-sto “misure economiche e legislativeche sostengano le giovani famiglie nel-la generazione e nell’educazione deifigli”, ha ribadito che “ogni essere

umano non può mai venire ridotto a unmezzo, ma è sempre un fine”. Ha, poi,aggiunto: “la stessa sollecitudine per ilvero bene dell’uomo che ci spinge aprenderci cura delle sorti delle fami-glie e del rispetto della vita umana siesprime nell’attenzione ai poveri cheabbiamo tra noi, agli ammalati, agliimmigrati, ai popoli decimati dallemalattie e dalla fame”. Pochissimi allo-ra hanno evidenziato questi elementi.La trama colorata della vita e dellapace è immensa: superamento dell’a-borto, paternità e maternità responsa-bile, politiche competenti e rispetto-se nell’ambito dell’interruzione dellagravidanza, della fecondazione assi-stita o della cura di malattie comel’Aids; prevenzione e cura delle varieforme di violenza contro le donne e ibambini; prevenzione e cura dei tos-sicodipendenti; rispetto delle biodi-versità e dei beni essenziali dell’uma-nità; accoglienza degli immigrati percostruire la cittadinanza umana; atten-zione ai problemi delle sorelle e dei

fratelli omosessuali; politiche di disar-mo, difesa nonviolenta, sicurezzaumana; lotta alla morte per fame o permalattie; accesso ai farmaci essenzia-li; trasparenza per le “banche armate”;riduzione della produzione e del com-mercio delle armi; sminamento; azio-ne contro la tratta degli esseri umani ele nuove schiavitù, la tortura, la penadi morte, la complicità mafiosa; per-corsi di “riconciliazione nella veritàe nella giustizia”; lotta alla disoccu-pazione, al precariato permanente, alcaporalato, agli incidenti sul lavoro;educazione alla pace, alla legalità, allasocialità, alla promozione dei dirittiumani: sono tutti capitoli dell’unicolibro della vita e della pace nella non-violenza.

NonviolentiLa passione per la nonviolenza ci por-ta ad affermare l’urgenza del “nonuccidere” e del “non lasciar morire”sempre e ovunque come progetto quo-tidiano e planetario, come impegnoper una rete di politiche preventive euna gestione positiva dei conflitti, l’a-pertura di percorsi di guarigione e diriconciliazione, l’attivazione di stra-tegie conviviali. È vivere il magistero della prassi, lateologia-pratica della nonviolenza, lalaicità credente (sacerdotale-profeti-ca-regale) nella corresponsabilitàecclesiale. La maturazione di una teologia dellanonviolenza può essere solo frutto del-l’azione comune del popolo di Dio incammino. “Chi salva una vita salva ilmondo”, dicono alcuni testi sacri. L’a-more per la pace, che cura la vita sem-pre e ovunque, custodisce in noi la fre-schezza dell’alba. È nuova nascita. Èparto di un mondo. Se fosse questa la“nuova creazione” di S. Paolo e del-l’Apocalisse?

PREGHIERA DELL’ARTIGLIERE

A te, Dio degli Eserciti, Eterno Signore delle genti, noi Artiglieri d’Italia ele-viamo i cuori.Sii lodato, o Signore, per la terra che ci donasti come Patria; e fai che conEssa il Tuo nome sia onorato, che la fede in Te sia Luce che illumini la nostravita. Dona o Signore, vanto alla nostra Bandiera; gloria eterna ai nostri Eroi;pace, nella Tua Luce, ai nostri Morti.Noi Ti preghiamo onde voglia rendere il nostro cuore forte come la tempradei nostri cannoni; puro il nostro animo come la fiamma che erompe dainostri pezzi.Fa che aleggino, a noi d’intorno, gli Spiriti dei nostri Caduti; che avvampi anoi la fiamma che ravviva la fragile materia, e l’Anima esalta nell’adempi-mento del Dovere.Proteggi, o Signore, la nostra Patria, le nostre famiglie, le nostre case, enoi tutti che in te confidiamo. Benedici!

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