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S O M M A R I O

EDITORIALE

Centri storici e minaccia sismica Giovanni Fontana pag. 2

TERREMOTI

L’Aquila città d’EuropaIntervista ad Antonio Gasbarrini Giovanni Fontana pag. 4

TESI DI LAUREA

La grande centralità delle città di fondazione dell’Agro Pontino Laura Fabriani pag. 13

L’ARCHITETTURA E LA STORIA

Sabaudia: una storia lunga 75 anni Luigi Bevacqua pag. 18

DETTAGLI

L’architettura della “differenza” Massimo Terzini pag. 25

ARCHITETTURA E FOTOGRAFIA

Le poetiche del ferro in architettura Gio Ferri pag. 29

IL TERRITORIO E LA STORIA

Canterno, il lago che non c’era Gaetano De Persiis pag. 34

Le mura megalitiche del Lazio meridionaleArcheologia tra storia e mito al Complesso del Vittoriano Daniele Baldassarre pag. 42

Quadrimestrale dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Frosinone Reg. Tribunale di Viterbo n. 408 del 31/05/1994 maggio-agosto 2009 - anno XVI - n. 20

In copertina: Massimo Terzini, S. Maria Sàlome,Veroli (particolare)

Direttore responsabileGiovanni Fontana

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Responsabile DipartimentoInformazione e ComunicazioneFrancesco Maria De Angelis

Segretaria di redazioneAntonietta Droghei

Impaginazione e graficaGiovanni D’Amico

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ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI FROSINONE

Presidente: Bruno Marzilli Vice Presidente: Dario Giovini Vice Presidente: Alessandro Tarquini Segretario: Francesco Maria De Angelis Tesoriere: Gilberto Venditti Consiglieri: Lucilla Casinelli

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Consigliere Junior: Adamo Farletti

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ntonio Gasbarrini, critico e storico dell’arteaquilano, ora “naufrago” sulla costa tera-

mana, che ci ha rilasciato l’intervista che pubbli-chiamo in apertura, ci ha fornito preziose indica-zioni bibliografiche sui terremoti che hanno scon-volto in passato la città dell’Aquila.«La Cronica rimata [della città dell’Aquila, dallasua fondazione del 1254 al 1362] fu scritta daBuccio di Ranallo, nato nella città federiciana sulfinire del Duecento da genitori provenienti daPoppetlum, l’attuale Coppito, proprio dove il Go -verno italiano ha organizzato il G8. Buccio fu testimone oculare del terremoto che nel1349 distrusse la città e fece contare 800 morti:“Corria li annjs Dominj annj mille trecento / epiù quaranta nove, credete ca no mento, / quan-no fo lu terramuto / e questo desertamento; /e quillj che moreroci, Dio li abia a salvamento”.La sua descrizione del “desertamento” della cittàevoca in modo impressionante tutto il pathos chesei secoli e mezzo dopo sarebbe scaturito dalla tra-gedia del 6 aprile: “Quanno le case cadero / fotanta polverina, / no vidia l’uno l’altro quella mati-na; / multi ne abe a ucidere senza male de ruina:/ ben se llj de’ conuscere la potenzia divina”.Castigo divino per antonomasia, il terremoto diquel 1349 durò poco più di 9 settimane e fuaffrontato con l’intelligenza dovuta: “No iaceva-mo in case ma le logie [baracche] facemmo, /più de nove semmane pur da fore iacemmo; /più friddu assai che caldo / in quillo tempo avem-mo / e de nostri peccatj pochi ne penetemmo”.Un altro cronista aquilano, Francesco d’Ange luc -cio di Bazzano, nelle Cronache delle cose del -l’Aquila descrive con vivido realismo le variescosse dell’altro terremoto abbattutosi sulla cittàpoco più di un secolo dopo, mettendo però in

evidenza lo strettissimo rapporto di causa edeffetto tra la distruzione parziale delle abitazio-ni nelle prime scosse e quella definitiva: “E a di17 de Dicembre 1461, a ore 8 de nocte, reven-ne uno terramuto bono granne che tutcte le per-sone, ch’erano rannate a casa retornarono afare le logie, come aviano facte da prima. E ca -scarono paricchie case da quelle ch’erano conta-minate dallu primu terramuto e lle persone tuttestanno con gran paura”.Il terremoto, iniziato il 27 novembre terminerà aiprimi di gennaio, dopo di che “tucti li omini sonoretornati ad avetare [abitare] in le loro case”. Mentre gli aquilani dei tempi di Buccio di Ranalloe di Francesco d’Angeluccio di Bazzano, poteronorientrare in una città più bella e più ampia diprima (città poi nuovamente distrutta nel terre-moto del 1703, ma ostinatamente riedificata),buona parte degli attuali discendenti non conosco-no ancora il loro ingrato destino. La descrizione dell’altro terribile terremoto del1703 (con migliaia di morti), da parte dello sto-rico Antinori, ci aiuta a capire – in uno dei passisalienti – come fu impossibile, all’epoca, rico-struire fedelmente la città distrutta, riedificata pre-valentemente con le macerie, e perciò meno bellae grande: “Dopo questo orrido disastro, la cittànuovamente ricostruita non poté rappresentarepiù l’antica. La fisionomia dell’Aquila fu cambia-ta, le sue alte torri o scomparse o ricostruite piùbasse, i suoi grandi palazzi o scomparsi anch’es-si o riedificati più piccoli e con moderna architet-tura. Questa città bisogna immaginarsela rico-struendola con la fantasia coi pochi avanzi diquella distrutta”.In effetti confrontando visivamente questa descri-zione della città ricostruita ex novo nei primi del

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di Giovanni Fontana

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Settecento (vale a dire L’Aquila che avevamoconosciuta, ammirata ed amata fino al 5 aprile)con la città analiticamente dipinta con tutte le suechiese, piazze, fontane, palazzi, mura di cinta eporte da Paolo Cardone nel Gonfalone (1572)fortunosamente e fortunatamente recuperatodalle recenti macerie del Castello Cinquecentesco,si può percepire abbastanza bene “la riduzione discala” urbana subita. Riduzione ora tristementein atto, che svuoterà (chissà per quanti anni!) lacittà capoluogo di una buona parte dei suoi abi-tanti. A fronte di tale riduzione sarà incrementa-ta giocoforza la dispersione fuori dalla cinta urba-na. E dire che gli statuti medioevali della cittàvietavano la costruzione di case fuori le mura,come ricorda puntualmente l’architetto matema-tico Pi co-Fonticulano nella sua cinquecentina De -scit tione di sette città illustri d’Italia: “Non hapalazzi attorno, perciò che per un statuto fatto atempo delle discordie e nemicitie civili, si vietaagli aquilani il quivi habitar con le famiglie”.Invece ora, per una perversa, vendicatrice Ne -mesi, il nucleo più consistente delle casette anti-sismiche costruite tutte extra moenia, sta spun-tando proprio a Bazzano, la terra del nostro cro-nista Francesco D’Angeluccio».La cosa che più angoscia di fronte a questo terre-moto è sapere che per i centri storici, in Italia, sista facendo poco e niente, mentre si continua conimmutata “voracità” ad impegnare aree liberecon nuovi interventi. In Italia in quindici anni èstata cementificata una superficie pari a quelladella regione Abruzzo e della regione Lazio mes -se insieme; mentre devitalizzazione e spopola-mento, incuria e degrado hanno continuato e con-tinuano a colpire la maggior parte dei centri, talo-ra irrimediabilmente. È vero che alcune comunità,

più sensibili, hanno adottato particolari provvedi-menti di tutela, ma, purtroppo, nella generalitàdei casi mancano strumenti efficaci. In tema diterremoto, per esempio, con la direttiva P.C.M.del 12 ottobre 2007 si pone attenzione allavalutazione e riduzione del rischio sismico delpatrimonio cultura-le, con riferimentoalle norme tecnicheper le costruzioni. Ildocumento fornisceindicazioni per defi-nire l’azione sismi-ca, in relazione allapericolosità del si -to, alle caratteristi-che della struttura ealla destinazioned’uso del singolo manufatto. Bene. Ma i centristorici nella loro complessità (e fragilità) struttura-le quando saranno presi in considerazione?Sembra impossibile, eppure negli ultimi anni per-fino i temporali di portata appena fuori dell’ordi-nario falciano le loro vittime.1 La Carta di Gubbio,nel 1960, stabiliva che i centri storici sono monu-menti in sé, imprescindibili dal suo contesto socia-le. In realtà essi costituiscono la più grande ric-chezza della nazione. Ecco, allora, che le attivitàdi salvaguardia e di recupero acquistano un valo-re fondamentale ed assoluto. In quest’ottica, l’ur-genza della rivitalizzazione del centro urbanodell’Aquila, visto come complesso monumentaleunitario, riveste valore fortemente e universal-mente emblematico.

1. Mentre la rivista è in composizione registriamo la tra-gica notizia del nubifragio di Giampilieri e ScalettaZanclea.

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Il terremoto che colpì il Regno di Napoli il 30luglio 1627 in unastampa di Giovanni dePoardi (Roma, 1627).

el numero scorso abbiamopubblicato un’intervista ad An -tonio Gasbarrini, storico e criticod’arte aquilano, editore e galle-rista, Art Director del “Cen troDo cumentazione Artepoesia Con -temporanea Angelus No vus”,fondato nel 1988 a L’Aqui la,per parlare del suo la voro Bran -conio e Raffaello. Ami ci nellavita e nell’arte, un libro che rive-la l’intreccio, particolarmente

Gasbarrini, profondo conoscitoredi genti e di pietre, ha abitato aPorta Napoli, poi in via XXSettembre e in via Pescara, orarisiede a Pianola, dove avevagià abitato in passato, a circatre chilometri da Porta Napoli; ilsuo Centro di Documentazione,sede delle edizioni “AngelusNovus”, con l’annessa galleria el’archivio d’arte, era in via Sas -sa 15, a pochi metri da piazzaDuomo. Di tutto ciò resta ora uncumulo di macerie.

- Antonio, tu sei un aquilano atutto tondo: sei nato all’Aquila,ci vivi e la conosci nei dettagli;in particolare hai una conoscen-za profonda della sua storia del-l’arte e delle sue vicende uma -ne. Il terremoto ha straziato

questa città, ne ha messo anudo le ossa. Delusi dalla super-ficialità mediatica, ormai ende-mica nella nostra nazione, cirivolgiamo a te per ascoltare pa -role diverse, più dirette, più sen-tite, ma anche più informate,visto che dal giorno del terre-moto non hai fatto altro cheosservare, studiare, indagare,affrontando con passione i variaspetti che compongono il qua-dro di questa tragedia. Qual -cuno ha voluto parlare di trage-dia annunciata. Tu cosa pensi inproposito?- Sì, aquilano a tutto tondo (maanche cittadino europeo a pienotitolo), ho intravisto non solonegli occhi, ma anche nella lace-rata anima di un’intera comuni-tà sradicata, i nerastri bagliori di

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di Giovanni Fontana

T E R R E M O T I

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Intervista adAntonio Gasbarrini

Il valore dellearchitetture e la loromolteplicità, riassunta nella figurasimbolica del numero 99, qualificano il centrostorico e lo rendonoidoneo ad essere accolto come patrimoniodell'umanità e dell'UnescoL’AQUILA

CITTÀ D’EUROPAsignificativo per gli studi artistici,tra la vita di Raffaello Sanzio equella di Giovanni Battista Bran -conio dall’Aquila, umanista sti-matissimo ai suoi tempi, che ri -coprì numerosi incarichi sottoLeone X. Il volume offre un inte-ressante spaccato di storia aqui-lana, che viene riletta secondoampi registri nazionali ed inter-nazionali. Quell’in ter vista fu rila-sciata prima dei tragici avveni-menti del 6 aprile scorso.Conoscendo l’attaccamento diAntonio Gasbarrini alla sua città,ci è sembrato giusto tornare suquei luoghi, così profondamenteferiti, per raccogliere una testi-monianza appassionata edautorevole, ma soprattutto, dipri ma mano, completamenteestranea al sistema mediatico.

posti in uno scantinato diquell’Ospedale Maggiore volutoe fatto costruire da Giovanni daCapestrano nella seconda metàdel Quattrocento (a stretto ri -dosso della Chiesa di S. Ber -ardino divenuta poi famosa intutta l’Europa del tempo e finoai nostri giorni per la splendidafacciata progettata da Coladell’Amatrice), andava a cacciadel gas radon, uno dei più pro-banti precursori-messaggeri delterremoto. I dati rilevati nelle

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una morte civile annunciata: daiterremoti prima (perché di terre-moti si è trattato e si tratta, nongià di innocui sciami sismici) edagli spot lanciati, poi, dallemacerie ancora imbevute di pol-vere e sangue.Per la verità, avevo sottovaluta-to le decine e decine di incursio-ni nei mesi più recenti, comequella del 30 marzo 2009, ve -ro e proprio “preavviso di sfrat-to” dato dal terremoto, a di -stanza di una sola settimana,all’intera città. A mia scusaposso, e devo chiamare in cau -sa, il fior fiore di “cervelli scien-tificizzati” radunati a L’Aquiladalla Protezione Civile, i qualialcuni giorni prima dell’infaustavisita del sisma, avevano solen-nemente sentenziato co me lescosse senza fine, in atto daqualche mese, non dovesserodestare alcuna preoccupazione:gli aquilani tutti, potevano(come in modo autonomo ave -va già deciso il sottoscritto) dor-mire sonni tranquilli tra le loroamichevoli lenzuola.

- Certo, col senno del poi, è piùfacile esprimere un giudizio.Bisogna, però, convenire che,forse, un tipo di informazionediversa, certamente ben ponde-rata ed equilibrata, avrebbepotuto sortire effetti utili. Se -condo te, come si è rapportatoall’evento il sistema dell’infor-mazione ? Non sarà stato trop-po rassicurante? - In realtà non si sentivano tran-

quilli né le migliaia e migliaia diaquilani (che da tempo passava-no le loro insonni notti fuori dicasa tentando di dormire in

macchina), né tanto menol’oscuro ricercatore Giuliani(Giuliani, chi è costui?) il qualecon i suoi moderni alambicchi

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dalle manipolazioni massmedia-tiche – quasi nessuno (aquilanicompresi) sa più nulla di quelledisordinate cataste di pietra che“furono”, nel loro inimitabilerosato splendore, chiese, palaz-zi, case, fontane messe perprime su (nel corso di circa ottosecoli) dagli avi provenienti dai99 castelli, fondatori dellaprima città federata d’Europa.Già! Perché L’Aquila sveva diFederico II e Corrado IV, divenu-ta poi angioina e successiva-mente caduta sotto la domina-zione spagnola, ha semprerespirato quell’aria poliglotta“scritta” ancor oggi nelle suevie e palazzi (Corso Federico II,Via e Piazza Angioina, Via edArco dei Francesi, Palazzo diMargherita d’Austria, ecc.) il cuiacme, a livello urbanistico-archi-tettonico, può essere ancoraindividuato nella sconquassatafortezza spagnola, prezioso scri-gno di quell’invidiabile MuseoNazionale d’Abruzzo pressochédistrutto dal furibondo sisma del6 aprile. Le mura medioevalidella città, cingenti ancor oggiquello che “fu” uno dei più sug-gestivi centri storici italiani edeuropei, sono anch’esse crollatein più punti, ma il loro ampissi-mo perimetro (evocato nellapianta cinquecentesca della cittàdisegnata dal matematico archi-tetto Pico Fonticulano, e che asua detta superava quello diNapoli) ha, alla fin fine, resistitoa quella tremenda botta chenon ha risparmiato, extra moe-nia, gli altri mini-centri storicisatellitari delle frazioni, paesi eborghi viciniori, pieni di capola-vori su capolavori medioevali,rinascimentali e barocchi messicosì duramente alla prova.

- Conosciamo L’Aquila come unacittà profondamente legata alla

apparecchiature inventate daGiuliani, unica Cassandra ina-scoltata, non promettevanonulla di buono.

- E nonostante questi segnalicome hai potuto continuare adormire sonni tranquilli?- Il terremoto lo avevo conosciu-to sin da quand’ero bambino. Lochiamavo e lo chiamo ancoraMr. T. Me lo aveva presentatomia madre. Anche se invisibile,non era difficile individuarlo. Ilpiù delle volte si faceva prean-nunciare da una specie di tuono.Poi, chissà perché, cominciava afar muovere lampadari, caderebottiglie e bicchieri, e, sopratut-to, danzare il letto. Proprio sulletto, mia madre mi aveva inse-gnato il trucco per non averpaura di quel cane capace diabbaiare, mettere un po’ didisordine qua e là, per poiandarsene in punta di piedicome un ospite indesiderato:«Conta fino a dieci e vedrai:tutto, o quasi, tornerà comeprima!». Il sortilegio, fino al 6aprile e nell’arco temporale diuna dozzina di lustri (per dirlacon il gergo furbastro di alcuniprotagonisti della Fontamarasiloniana), era sempre riuscito.Per queste ragioni il terremoto,la decina di volte che era venu-to a trovarci a L’Aquila, non miaveva mai spaventato più ditanto. Lo avevo trattato semprealla stregua di un compagno discuola antipatico quanto sivoglia, ma con cui in un modo onell’altro bisognava convivere.Né mi era mai passato in mentedi scappare fuori ogni volta chesi presentava (come facevanotutti i vicini di casa urlando ed inpreda al panico).

- Ma il 6 aprile sarai anche tuuscito fuori di casa urlando in

preda al panico come i tuoi vici-ni di casa?!- Niente affatto. Con la miaconsueta nonchalance, anzichéprecipitarmi fuori come aveva-no saggiamente fatto i vicini dicasa, ero tutto indaffarato araccogliere bicchieri e piattirotti, ad accatastare libri sulibri, allorché la voce spezzatadi mia figlia proveniente dal-l’esterno, invocava la mia usci-ta. Appena raggiunta, la scenanon mi quadrava: mia figlia ter-rorizzata, piangeva a dirotto.Era venuta con la macchina dalcentro storico (io abito a Pia -nola, che dista circa tre chilo-metri dalla più vicina porta diaccesso alla città, Porta Na -poli). Era in pigiama, scarmi-gliata e senza scarpe. Il visoter reo dava conto del suo statodi choc. Cosa le era accaduto?Una sua frase, incomprensibileed inattendibile al momento eche poi, invece, avrebbe avutotutto il suo greve peso, mi sem-brava inverosimile: «Pa’, L’Aqui -la non c’è più!». «Che staivaneggiando?». «L’Aquila nonc’è più!». A distanza di qualchegiorno ricordava solo tre partico-lari: il cielo rosso, la puzza digas e la polvere.

- Posso ben immaginare comepossa averti colpito la secchezzatragica di una comunicazionecome quella di tua figlia.- L’opinione pubblica nazionale

ed internazionale, dopo tantigiorni da quella mortifera nottesenz’alba, non conosce né lequotidiane tribolazioni delledecine di migliaia di aquilaniammucchiati nelle tendopoli, nétanto meno la finta tranquillitàdi quelli approdati, come storditinaufraghi, sulla costa. Nelladisabitata città fantasma –rossa per la vergogna causata

sua storia e orgogliosa delle suearchitetture. Tu ricordavi i 99 ca -stelli degli avi. Un numero intor-no al quale si è coagulata la tra-dizione (non sappiamo fino ache punto storica o mitica) delle99 chiese, delle 99 piazze,delle 99 fontane simbolicamen-te collegate alle 99 cannelledella misteriosa fontana dei 99mascheroni, che ricorderebbero i99 fondatori della città forsechiamati dallo stesso Federico IIa compiere un’impresa socio-urbanistica per quei tempi dienorme difficoltà tecnica ed eco-nomica. Un numero che fino al5 aprile rappresentava simboli-camente l’integrità della città. Ilgiorno dopo questo non era piùvero. Oggi, purtroppo, non hacorrispondenza reale: chiesecrollate, fontane abbattute,piazze impraticabili. Il terremo-to ha aggredito quel simbolonumerico, testimone di unitànella molteplicità, traccia di anti-che convergenze rinsaldate neltempo nelle pietre. Ora la suavalenza ci appare depauperatasul piano materiale, ma sonosicuro che il suo pieno significa-to è ben saldo nel cuore dellagente. Sbaglio?- Per capire a fondo la gravitàd’una tragedia, fino qui recitataspesso come melodramma,occorrerà girovagare, all’internodel centro storico, tra le visibilirovine del “centro antico” coin-cidente grosso modo con ilnucleo urbanistico medioevaledei Quattro Quarti: quasi nulla èstato risparmiato dalla furiadevastatrice scatenata dallamaledetta manciata di secondiscattati alle 3 e 32 e dalla suc-cessiva distruzione in progressverificatasi con le centinaia ecentinaia di scosse tuttora incorso. Quel “centro antico”, orairrimediabilmente sfregiato, che

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A pagina 5:1. Chiesa del Suffragio in Piazza Duomo; 2. Una strada del centrostorico**; 3. Voragine nel bosco di S. Giuliano.In questa pagina:4. Hotel Duca degliAbruzzi **;5. Zona PiazzaPalazzo**.6. Corso Federico II **.* Foto di AntonioGasbarrini.** Foto scattate il giorno dopo il terremoto(7/4/2009).

le pauperistiche risorse finanzia-rie messe a disposizione dalgoverno o le cervellotiche, pena-lizzanti norme sancite nellalegge appena approvata allaCamera, rischiano di “assassina-

re” una seconda volta!Un solo esempio per tutti. Aparte le emergenze architettoni-che di pregio artistico (bastipensare al centinaio di chiese),il tessuto urbano del solo “cen-

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tro antico” è costituito da circamille palazzi e da altre migliaiadi case costruite nel corso deisecoli senza alcuna soluzione dicontinuità lungo l’asse portantedi vie e vicoli (e perciò ognunaavente i muri comuni con quellaconfinante). Giuridicamente coe -sistono quasi sempre in unastessa unità architettonica plu-riabitativa, appartamenti in cuila proprietà può essere ricondot-

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ta, contemporaneamente, “allaprima casa” o “alla seconda ca -sa”; inoltre il proprietario puòessere residente o non residen-te. Aver previsto nella legge ric -o rdata il rimborso a fondo per-

duto solo per i cittadini aquilaniresidenti ed unicamente per laprima casa, significa aver “de -cretato” (questa volta sì) lamor te della città, in quanto que-gli stessi palazzi e case (aventi

peraltro un tasso di distruzionedifferenziato), non saranno tec-nicamente ricostruibili per leragioni accennate. C’è di più. Lerisorse finanziarie necessarie peril ripristino integrale del “centroantico”, saranno immani: infat-ti, una cosa è mettere a norma(antisismica) un appartamentomoderno, altra cosa è interveni-re sulle stratificazioni architetto-niche di un tessuto urbano plu-risecolare. Se questo è, come è, l’ancor“traballante” sfondo urbanisticod’una città moribonda, qualesarà l’immediato destino deisuoi 70.000 abitanti? Sfumatanel nulla la boutade della Newtown, si è via via passati allapromessa sistemazione (entronovembre) di circa 13.000 con-cittadini in “provvisorie” 3.000-4000 casette lignee, da un gior-no all’altro diventate (con uncolpo di bacchetta magica), incemento a due-tre piani, disse-minate in una ventina di areegravitanti prevalentemente at -torno alle preesistenti frazioni.Tanto per fare un solo esempio,a Cese di Preturo si passerebbedagli attuali 300 abitanti a1.800: quali saranno i servizisociali messi a loro disposizio-ne? Avremo una ventina dighetti di sfollati? Per quantotempo? All’appello, comunque,mancano 57.000 abitanti: chisono ed in quale parte dellacittà vivevano? Dove andran-no? Una buona parte dovrebberientrare nelle case dichiarateagibili (al momento non riguar-dano il centro storico, né tantomeno il “centro antico”); adesser ottimisti circa 20-25.000persone. E le altre 25.000 co -me, dove e per quanto temposaranno sistemate in alloggi difortuna, in residence o in alber-ghi, in attesa della ricostruzione

7. Piazza Duomo*;8. Consorzio Agrario nei pressi delle muramedioevali (Stazioneferroviaria)**;9. Una strada del centrostorico**;10. Quartiere S.Pietro**.

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delle loro abitazioni? Un’ultimadomanda per tutte: quale saràla futura qualità della vita, neiprossimi anni, di questi 70.000“sfortunati”, privati oltre che deiloro beni, di servizi essenzialilegati all’istruzione, alla salute,alla giustizia, al tempo libero evia dicendo?

- Si tratta di un quadro veramen-te inquietante. Qui i numeri as -sumono un valore realmentedrammatico. Quale potrebbeessere, secondo te, la strada daintraprendere?- Solo un illuminato progetto dilungo, ampio respiro, affidatoalla responsabilità creativa diurbanisti, architetti, ingegneri,geologi, sismologhi, storici del-l’arte, restauratori ed altre figu-re professionali di elevata com-petenza reclutati a livello italia-no, europeo ed internazionale(con il concorso di idee delleintelligenze e delle comunitàlocali, s’intende) potrà garantireun’adeguata soluzione ad unproblema di estrema complessi-tà, affrontabile moltiplicandoper varie volte le striminzite ri -

sorse finanziarie stanziate con ildecreto legge. Se gli euro dispo-nibili in bilancio per la “posticciaricostruzione di cartapesta” so -no più che scarsi, si istituiscasubito un’imposta di solidarietà

nazionale (mettendo le maninon già nelle tasche degli italia-ni, ma facendo leva sui loro pul-santi cuori), coinvolgendo inol-tre in primis la Comunità euro-pea ben oltre gli interventi finan-

11. Chiesa di S. Giuseppe dei Minimi in via Sassa*;12. Il tempestivopuntellamento diuna chiesupola in zonaMartini*;13. Via Sassa*.

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ziari promessi (circa 500 milio-ni di euro). Inoltre (ed è beneche si sappia e traduca in tutte lelingue in un auspicabile sitointernazionale aggiornato onreal time), una delle fondamen-

se stessi, non solo dagli abitantifuggiti in ogni dove, ma dall’ap-proccio inadeguato di chi, alivello istituzionale, avrebbedovuto provvedervi con la tem-pestività richiesta dalla gravitàdel caso: stiamo ovviamenteparlando del Ministero per i BeniCulturali, della Regione Abruzzoper quanto di sua competenza,dei vertici della Protezione civileper la carente strategia di “sal-vaguardia preventiva” sino a qui“non” messa in cantiere. A direfino in fondo la verità, i puntel-lamenti, sino a qui effettuati conl’apporto determinante dei Vigilidel fuoco che hanno persoanche la vita per mettere insalvo prevalentemente chiese(più d’una senza alcun valoreartistico, ma esclusivamentedevozionale), hanno manifesta-to un oggettivo trattamentodiversificato tra i beni apparte-nenti al patrimonio “storico-ideologico” di uno Stato estero– la Città del Vaticano – e quel-li non destinati al culto facenticapo allo Stato italiano, allecomunità locali ed ai cittadiniaquilani. Né l’ottimo interventod’imbracatura sul traballanteCastello cinquecentesco o suqualche altra emergenza artisti-ca di pregio, com’è avvenutoper la cupola del Valadier(Chiesa del Suffragio) e per laChiesa di S. Giusta a Bazzano,va ad inficiare il mio amaroragionamento di fondo. Ben ve -nute, ovviamente, sia le armatu-re in legno o in metallo già pre-disposte per gli edifici religiosi eper gli altri monumenti caratte-rizzati da una forte valenzaarchitettonico-artistica (com’èfacilmente riscontrabile per i“44 gioielli” già adottati o incorso di adozione da parte diPaesi stranieri disponibili afinanziarne l’integrale recupe-

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tali parole d’ordine, potrebbeben es sere: L’Aquila città d’Euro -pa / L’Aquila patrimonio del-l’umanità e dell’UNESCO. Dettoin altri termini, L’Aquila, perquelle che sono “ancora e nono-stante tutto”, le sue impareggia-bili bellezze naturalistiche, urba-nistiche, architettoniche ed arti-

stiche, non appartiene esclusiva-mente né agli aquilani, né agliabruzzesi, né tanto meno agliitaliani, ma all’Europa ed almondo intero. Solo una con-giunta solidarietà nazionale edeuropea corroborata da risorseaggiuntive provenienti dal getti-to fiscale (e giammai l’autarchi-ca e provinciale italietta del“ghe pensi mi” o l’emozionalepartecipazione degli italianitutti, con le pur lodevoli iniziati-ve di sostegno sino a qui mani-

festate) farà uscire definitiva-mente gli aquilani da quel tre-mendo, sfigato girone dell’in-ferno in cui sono stati, per unacattiva, quanto malefica sorte,confinati.

- Il patrimonio storico-artisticocostella la città e la caratterizza.

Ovviamente, non è pensabile(tantomeno ripensabile) la cittàdell’Aquila senza i suoi beni cul-turali. E di questo sono perfetta-mente coscienti i suoi abitanti,stando almeno alle testimonian-ze dirette di numerosi amici eparenti che io stesso ho in que-sta città. Al momento, qualiprovvedimenti sono stati presiper tutelare le emergenze archi-tettoniche?- Ad oltre due mesi e mezzo dalsisma, quasi nessuno dei circa1900 palazzi di pregio artisticosottoposti al vincolo ed alla tute-la delle Soprintendenza è statoprotetto con tempestivi interven-ti di puntellamento. Stessa brut-ta sorte hanno subito le altremigliaia di palazzetti e case dicivile abitazione abbandonati a

14. Piazza dellaRepubblica**;15. CastelloCinquecentesco**.

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Su “Il Capoluogo d’Abruzzo”, quotidiano web degli aquilani, in data 12 settembre 2009 è apparsa una nota dell’Arch.Gianlorenzo Conti, Presidente all’Ordine degli Archi tetti P.P. e C. della Provincia dell’Aquila, circa la “dichiarazione in corso d’ope-ra di agibilità sismica totale o parziale” [Circolare Protezione Civile n. 44170 del 10.09.2009].Ne riportiamo alcuni stralci.Sulla stampa odierna è apparsa la notizia della pubblicazione della Circolare […]con la quale, al fine di accelerare il rientro dellapopolazione negli immobili danneggiati dal sisma, è possibile effettuare tale rientro prima e/o durante i lavori sulla base di unacertificazione di responsabilità da parte dei professionisti.Premetto che il presente documento costituisce una riflessione personale dato che la rapidità degli eventi non ha consentito unaconsultazione con gli iscritti all’Albo (cosa che avverrà con un’assemblea generale […]). La sorpresa, a mio modesto parere, [è] legata ai seguenti aspetti:• fallimento in termini numerici del progetto C.A.S.E.;• presa d’atto delle complessità procedurali messe in atto per la redazione e verifica delle progettazioni(Fintecna/ReLuis/Cineas);• presa d’atto delle problematiche connesse alla tardiva pubblicazione del prezziario avvenuta il giorno 8 settembre, nonché delletardive emanazioni della modulistica, del manuale ReLuis, ecc.In oltre cinque mesi noi che siamo i protagonisti principali della ricostruzione non abbiamo mai avuto il piacere di stringere la manoal Commissario Bertolaso.Abbiamo avuto un solo incontro con De Bernardinis per ascoltare promesse poi non mantenute. Non siamo mai stati coinvolti inalcuna scelta che riguardasse il nostro territorio e mai coinvolti in alcuna programmazione o progettazione ed oggi, invece, siamochiamati a redigere atti di una responsabilità inaudita quale quella di certificare la sicurezza dei cittadini all’interno di immobilinon riparati. Chi si è assunto delle responsabilità le deve portare fino in fondo. La Protezione Civile ha etichettato le nostre case(A-B-C ecc.) ed alla stessa compete la responsabilità delle certificazioni per il rientro nelle abitazioni.Come mai ci si accorge solo oggi che non è possibile garantire il rientro prima della stagione invernale? Come mai provvedimenti snelli non sono stati presi prima sentendo gli Ordini Professionali?Una scelta corretta poteva essere quella di consentire l’avvio dei lavori nelle more di approvazione dei progetti, documentando iltutto all’interno di una perizia di assestamento.Il mio intervento non deve essere assolutamente inteso come un ostacolo al processo di rientro ma la base per una rivisitazionedel provvedimento che mi lascia sconcertato!I criteri della Circolare sembrano essere emanati da chi non ha mai vissuto un cantiere edile; da chi non ha mai effettuato deilavori, anche di semplice tinteggiatura, entro la propria abitazione. Provate ad immaginare lo stato di sicurezza dei cantieri con-dominiali con la presenza contemporanea di diverse imprese. Come si può pensare di vivere negli appartamenti mentre si stannosvolgendo i lavori sul corpo scale o mentre le varie ditte stanno operando all’interno delle singole unità immobiliari? […] Questa volta non ci sto! Che ognuno si assuma le proprie responsabilità!.

Successivamente si è svolta l’assemblea straordinaria degli iscritti all’Albo e il 21settembre “Il Capoluogo d’Abruzzo” ne ha for-nito un resoconto, da cui riportiamo stralci:[…] l’attività professionale degli architetti deve essere attenta alla predisposizione di atti di responsabilità ma tesa all’obiettivocomune di “non ostacolare il rientro nelle abitazioni” […]. L’Assemblea ritiene in particolare che la “dichiarazione di agibilità”debba essere valutata caso per caso e limitata alle situazioni dove è garantita la piena incolumità dei cittadini in ragione dellostato dell’immobile e del fatto che ci si trova ancora in una fase sismica attiva, per questi motivi secondo l’Ordine degli Architettidella Provincia dell’Aquila la Circolare deve essere modificata in modo da prevedere:• esclusione degli immobili con esito “E”;• dichiarazione dei cittadini a rilasciare in futuro libero l’immobile durante l’attività di riparazione per i casi in cui la stessa è stataeseguita in parte o ancora da eseguire;• assicurazione da parte della Protezione Civile, nei casi di cui al punto precedente, di temporanea diversa sistemazione abitati-va per il tempo impiegato per la riparazione dell’immobile;• predisposizione di un nuovo modello tipo di “dichiarazione di agibilità” controfirmato dalla Protezione Civile e con dichiarazio-ne liberatoria dell’Ispettorato del Lavoro e ASL sul totale rispetto del DL 81/2008 e smi;• possibilità da parte dei tecnici di redigere, nelle more di redazione ed approvazione dei progetti di riparazione, il “certificato diconsegna ed inizio lavori in via di urgenza” e la “perizia-progetto in corso d’opera” da rendicontare, con pieno riconoscimento delbuono contributo, ad ultimazione completa dei lavori stessi.L’Ordine degli Architetti, congiuntamente a quello degli Ingegneri, chiarisce inoltre in una nota che “Gli ordini, nel ruolo socialeche hanno sempre svolto, sono stati favorevoli al rilascio del certificato di agibilità parziale degli edifici, richiedendolo espressa-mente alla Protezione Civile e si sono adoperati per la modifica delle clausole contenute nello schema di certificazione, dove eranopreviste, a carico del Professionista, dichiarazioni che difficilmente potevano essere rilasciate”. […] “Il rilascio del certificato diagibilità per gli edifici classificati “B” e “C” potrà essere effettuato solo dopo l’ esecuzione dei necessari lavori per mettere in sicu-rezza l’edificio, mentre non può essere rilasciato per gli edifici classificati “E” che presentano danni strutturali”.

QUESTIONI DI AGIBILITÀro), sia ogni altro intervento fi -nanziario pubblico che dovrànecessariamente profilarsi al -l’orizzonte.

- Da quello che dici la situazioneappare di una gravità estrema.Se così stanno le cose si potreb-be addirittura correre il rischio diulteriori crolli ? - Purtroppo il centro storico dellacittà dell’Aquila continua a cade-re a pezzi giorno dopo giorno,non certamente per un cinicodestino. Il forte rimbombo av -vertito a Piazza Duomo l’altroieri (19 giugno) provenientedalla vicina zona della Chiesa diS. Marciano, segnalava anche aisordi l’ennesimo crollo d’unaltro palazzo. Le centinaia ecentinaia di scosse forti susse-guitesi da quel nefasto “lunedìSanto” (si fa per dire) del 6aprile, hanno aggravato a voltein modo irrimediabile, la preca-ria situazione di instabili mura,pareti, pavimenti, tetti, soffitti,ora cascanti da tutti i lati, anchea causa delle insistenti pioggeverificatesi, facendo così dadetonatore al successivo sfarina-mento del manufatto.

- L’autunno arriverà presto.Chiedersi cosa succederà duran-te l’inverno e quali saranno glieffetti delle gelate sono doman-de retoriche. Come retorico edinopportuno sarebbe chiederticosa senti dentro e quali sono letue preoccupazioni immediate.Preferisco domandarti se ti seifatto un’idea dei tempi necessa-ri occorrenti per un ritorno allanormalità, ammesso che si pos -sa attingere rapidamente a fi -nan ziamenti congrui.- Le verifiche di agibilità in corsonel cuore urbano della città, cheha pressoché smesso di batterein vari quartieri disastrati (per

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dro d’intervento. Non vogliopensare che sia così. D’altraparte, in casi come questi comesi può non riferirsi ad un pianod’azione organico?- Esigere l’elaborazione di unpiano organico, che riduca alminimo gli inconvenienti accen-nati, non ci sembra un’ideaperegrina: il blocco urbano sog-getto agli interventi va unitaria-mente considerato alla streguadi un organismo vivente. L’im -provvisazione sinora registratadovrà essere immediatamenteabbandonata. Tutti i dilettantiur banisti, messisi autonoma-mente in campo con saccentequanto improvvida faccia tostaper la costruzione della ventinadi mini-towns accerchianti ilcapoluogo, vanno tolti di mezzoa furor di popolo.

- Eppure in questi nostri anninon mancano certo gli strumen-ti adeguati per poter intervenirein modo corretto. La scienza ela tecnologia ci hanno messo adisposizione un patrimonio diconoscenze e di mezzi che ga -rantirebbero esiti positivi intempi relativamente brevi.L’importante è adottare lemetodologie adatte. Si pensialle attuali tecniche del restau-ro. Abbiamo registrato ottimirisultati in interventi di recuperostrutturali (e non) realizzati aseguito di simili disastri. Pensoad Assisi.- Sì, ma circa la metodologia daseguire per i futuri restauri, siprenda lezione dai gravissimierrori commessi in passato inmoltissimi casi (la cementifica-zione con cui pietre e mattonisecolari sono stati disinvolta-mente assemblati) e s’imbocchidecisamente, dove sarà possibi-le, la tecnica dell’anastilosi,ovvero “l’arte di rialzare colon-

ne”: «In architettura e, soprat-tutto, in archeologia è la tecni-ca con la quale si rimettonoinsieme, elemento per elemen-to, i pezzi originali di unacostruzione distrutta, per esem-pio dopo un terremoto». Perciòi lenti, artigianali procedimentidel rimettere su, pietra su pietrae mattone su mattone – origi-nari – da ricollocare nello stes-so incrocio geometrico cartesia-no, potranno garantire una rico-struzione fedele dell’architettu-ra sventrata o crollata del tutto.Questo metodo presupponeva epresuppone una forte mobilita-zione di risorse umane (giovani-li innanzitutto) già specializzateo formate ad hoc, in grado ditrasformare pazientemente ilcaotico disordine delle macerie,del tutto abbandonate a se stes-se come fossero repulsivi cumu-li d’immondizia, in un potenzia-le e futuribile ordine facilmenteconseguibile con l’apporto stru-mentale della grafica tridimen-sionale computerizzata. Dettoin altro modo, partendo dalleimmagini già disponibili delmanufatto, prima che fossesfregiato o maciullato dal terre-moto, è possibile simulare sulcomputer la sua originaria volu-metria fisica, nonché riplasma-re, sin nei minimi dettagli, lasua tradizionale configurazioneestetica.

- Insomma, da quanto mi sem-bra di capire, la strada da percor-rere è molto lunga e tortuosa.Probabilmente tutta in salita.Ipotizzando un itinerario simboli-co di 100 km, che distanza ritie-ni che sia stata finora percorsa?- Mi sento solo di dirti che èstato sufficiente varcare l’offlimits della “zona rossa” intramoenia (per arraffare comeladri, nei pochi minuti concessi

tutti S. Pietro e S. Domenico),stanno comprimendo, e dimolto, le iniziali ottimisticheprevisioni basate sulle somma-rie diagnosi effettuate negli edi-fici periferici. Ci vorranno dai cin-que ai dieci anni per riportarel’attuale stinto splendore delcentro storico alla sua primitivaluminosità. Nell’immediato, dueineludibili questioni di fondorimangono comunque aperte: itempi necessari per porre in attola salvaguardia invocata e leingenti risorse finanziarie indi-spensabili per le propedeuticheoperazioni di carpenteria, non-ché per il recupero e la cataloga-zione delle macerie. Circa i tem -pi, al momento l’orologio dellasventura è rimasto paralizzatoalle 3 e 32, mentre la clessidradella rinascita, appena rovescia-ta, s’è subito ostruita di fronteall’estrema complessità dell’ac-caduto ed agli “zero euro” fino-ra stanziati per queste necessi-tà. Il labirintico dedalo di vicoli evicoletti costeggiati spesso daPalazzi dalla mole imponente(penso a via S. Martino), rende-rà la vita difficile, molto difficile,a chi dovrà intervenire per evita-re un malaugurato abbattimen-to o la completa ostruzione de -gli indispensabili spazi di scorri-mento per camion, gru, ecc. Larecentissima messa in sicurezzadegli edifici fiancheggianti il cen-tinaio di metri di Corso FedericoII (può essere con siderato tra itratti di strada più larghi) è lacartina di tornasole delle più checomplesse problematiche d’af-frontare.

- I mass media hanno parlato econtinuano a parlare (anche seora con meno enfasi) di provve-dimenti diversi che, almenoall’apparenza, non sembranofar riferimento ad un unico qua-

dai Vigili del fuoco, qualchestraccio di memoria da quegliirriconoscibili ambienti familiarioffuscati ora da lacrime in cadu-ta libera), per vedersi sbattutoin faccia tutto lo sfacelo da cui èattorniata la propria malconciaabitazione. Non c’è stato unsolo fabbricato del centro storicodella città-territorio (L’Aquila esue frazioni) e dei comuni vici-niori ribattezzato dalla Pro -tezione civile “zona rossa”, chesia stato risparmiato da questadistruzione in progress aggrava-ta da cause naturali sì, maanche favorita dalla totale as -senza di una qualsivoglia tutelapost-scossa media 6,3 dellascala Richter di uno dei più pre-stigiosi (ex?) patrimoni architet-tonici italiani ed europei.Disinformati dalle manipolazionimassmediatiche tese a minimiz-zare i devastanti effetti di unterremoto epocale che ha rasoal suolo persino la convivenzacivile di un’intera città-comuni-tà, gli stessi aquilani deportati inmassa nelle tendopoli e neglialberghi della costa, comincianofinalmente a prender coscienzadella cruda, orribile realtà. Almomento, quei terremotati (mecompreso) si limitano ad incro-ciare storie su storie imbastitecon gli spezzoni di confusi ricor-di ritmati dal frastuono di unadebordante scala Richter mar-chiata a fuoco sulla loro pelle.Se la morte preannunciata dellaloro (mia) amatissima cittàdovesse avvenire, la sua finesarà rispecchiata negli stessiocchi stralunati di cui parlaCesare Pavese, riempiti però disole macerie: «Verrà la morteed avrà i tuoi occhi» (“L’Aquilabella mé!”).

L’Aquila - Pineto, 21-23 giugno2009

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oncepito per lungo tem -po soprattutto come

territorio da attraversare a causadelle malsane condizioni am -bientali in cui versava e definitoattualmente da un sistema in -sediativo diffuso senza rilevantiemergenze economiche e cultu-rali, l’Agro Pontino è in attesadi accogliere un’entità in gradodi gerarchizzare e sintetizzare ilcarattere omogeneo e sparsoche lo definisce e che possa sot-trarlo dalla dipendenza nei con-fronti dell’area metropolitanadi Roma.L’assenza di un polo fieristico

Tirreno, tra la città di Cisterna diLatina e Terracina, dominato dalpromontorio del Circeo, attraver-sato dal lungo rettifilo della viaAppia, l’Agro Pontino è misuratoterritorialmente dalla magliaordinatrice di strade migliare ecanali che è stata il supportodella bonifica delle PaludiPontine. Il processo di bonifica,iniziato ai tempi dei Romani,ripreso più volte nel corso deisecoli, portato avanti da Pio VInel 1777 con la creazione delsistema ortogonale delle fossemigliare-canale Linea Pio, e con-cluso durante il Ventennio fasci-

punti a quota più bassa del ter-ritorio e con l’allargamento e laregolarizzazione del corso deicanali. La successiva divisione in

T E S I D I L A U R E A

LA GRANDE CENTRALITÀ delle città

di fondazionedell’Agro

Pontino

1. L'impianto fieristicovisto dalla via Appia. Si tratta di un edificio a sviluppo lineare situato a cavallo dell'asse stradale dellalunghezza complessiva di 1361 metri.

Università degli studi di Roma“La Sapienza” - Facoltà diArchitettura Valle GiuliaAA 2006-2007Tesi di laurea in ProgettazioneArchitettonica e TerritorialeTitolo: La grande centralità dellecittà di fondazione dell’AgroPontinoLaureanda: Laura FabrianiRelatore: Franco PuriniCorrelatore: Francesco Menegatti

permanente tale da accogliereeventi legati alla produzioneeconomica locale ha fatto na -scere l’idea di inserire in unaposizione baricentrica tra l’AgroPontino e i Monti Lepini unanuova polarità con funzionecatalizzatrice.Situato a sud di Roma, racchiu-so tra i Monti Lepini e il Mar

sta, ha apportato un mutamen-to radicale al territorio, che daimpervio luogo di morte diventail simbolo della vittoria dell’uo-mo sulla natura. Il regime fasci-sta, infatti, riesce a completarel’opera di bonifica idraulica dellePaludi Pontine grazie al sistemadi macchine idrovore di solleva-mento dell’acqua poste nei

poderi delle terre bonificate e larelativa assegnazione ai coltiva-tori immigrati per l’occasioneforniscono al territorio pontino ilsupporto economico dell’agricol-tura. L’ultimo passo dell’operadi bonifica attuata dal regimefascista consiste nella fondazio-ne di cinque nuove città: Littoria(oggi Latina), Pontinia, Sa bau -

Cdi Laura Fabriani

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dia, Aprilia e Pomezia e dei rela-tivi borghi.Attraverso la lettura, l’analisi e ilridisegno delle carte topografi-che si è giunti a tracciare gliIdeogrammi pontini: rappresen-tazioni in forma diagrammaticache sintetizzano le diverse qua-lità morfologiche e strutturali delterritorio. Gli ideogrammi rivela-no, infatti, tre caratteri domi-nanti: un sistema ortogonale,un sistema a sviluppo longitudi-nale e un sistema a zolle, chefonde il sistema ortogonale conquello radiale. Da uno degliideogrammi a zolle, attuandoun’operazione di progressiva

riduzione, si è arrivati a definireuna figura composta da cinqueelementi: cinque aree corrispon-denti a cinque diverse vocazionidel territorio pontino. L’obiettivoè quello di definire un sistemaformato da quattro aree dadestinare a parco naturale e dauna quinta area costituente lagrande centralità delle città difondazione dell’Agro Pontino.Collocata nel centro geograficodel territorio, delle dimensioni diun miglio per due, delimitatadalle strade migliare 45 e 46,dal canale Botte, dalla stradaMurillo II e tagliata in due partidalla via Appia, l’area di proget-

to ospita sei padiglioni espositi-vi, un albergo, uno spazio permanifestazioni all’aperto e duearee da destinare a bosco.La scelta dell’area è moti-vata da ragioni di tipo culturalee logistico. L’idea, infatti, èquella di restituire all’Appia ilruolo di spina dorsale dell’AgroPontino. In secondo luogol’area scelta è fortemente se -gnata dalle tracce di due diversiinterventi dell’uomo sul territo-rio: il primo sistema è il traccia-to ortogonale di cui si è già par-lato, il secondo invece corr i-sponde al sistema di strade ecanali usato fin dai tempi dei

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romani e che costituisce la ner-vatura di supporto a quelli cheerano chiamati i ‘campi’, areeposte alle pendici dei MontiLepini non ancora sommerse ecoltivate dagli abitanti dei paesisituati sul versante dei montiche si affaccia sulla pianura,Sermoneta, Sezze, Pri verno,Sonnino e Terracina. Questi‘campi’ misurati secondo il si -stema di centuriazione romanaseguono l’andamento naturaledel terreno, diagonale rispettoal sistema Appia-migliare; inparticolare la direzione diagona-le dei campi di Sezze, incon-trando il tracciato regolatore

ortogonale, individua un’areacoincidente con il centro geogra-fico dell’Agro Pontino: sceltacome area di progetto essaesprime sinteticamente l’operadella natura e dell’uomo su que-sto territorio. Oltre a coinciderecon il centro geografico del -l’Agro Pontino quest’area è si -tuata sull’asse che collega il ter-ritorio pontino con quello ciocia-ro, da sempre uniti dalla valledell’Amaseno che taglia in dueparti il sistema dei Monti Lepini.Il progetto dell’impianto fieri-stico consiste in un edificio a svi-luppo lineare situato a cavallodella via Appia della lunghezza

complessiva di 1361 metri. Ècostituito da due corpi di fabbri-ca affiancati e collegati permezzo di ponti: il corpo piùstretto di 14,8 metri ospita i ser-vizi di supporto alla fiera(banca, posta, pronto soccor-so), i magazzini, gli uffici, lecucine dei ristoranti, l’altro,largo 79,60 metri è composto asua volta da una stecca di servi-zio delle stesse dimensioni delprimo corpo di fabbrica, cheospita le sale riunioni, le salebar e i ristoranti, e dallo spazioespositivo principale largo57,20 metri e alto 13,80metri. Questo ampio spazio è

2. Individuazione dellecinque areecorrispondenti allecinque diverse vocazionidel territorio pontino. 3. Planimetria delterritorio pontino.4. Ideogrammi pontini:rappresentazioni informa diagrammaticache sintetizzano lediverse qualitàmorfologiche e strutturalidel territorio.5. Planimetria eprospettiva a volod'uccello dell'impiantofieristico.

definito dal sistema strutturaledi piloni a forma di albero, inparte ingabbiati in una strutturavetrata, in parte lasciati liberi,che sorreggono la copertura pertutta la lunghezza dell’edificio.La copertura, proprio in corri-spondenza dei piloni, presentadelle grandi aperture quadratedalle quali entra la luce. Gli ac -cessi sono disposti unicamentesui lati lunghi dell’edificio esono differenziati per il persona-le addetto e per i visitatori. I pri -mi hanno accesso dal lato checosteggia la migliara 45 e cioèdalla stecca di servizio, i secon-di dal lato che guarda il giardi-

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no, i parcheggi e il grande alber-go. Quest’ultimo, con i suoi1200 posti letto è in continuitàcon l’idea che vedeva il viaggioattraverso le Paludi Pontineintervallato da momenti di sostada effettuarsi in appositi luoghidi ristoro e di accoglienza postilungo la via Appia: Tripontium,Forum Appii, Bocca di Fiume,Mesa di Pontinia sono piccolicentri che hanno svolto questafunzione nel corso dei secoli e

6-7-8. Sezioni eprospettiva dell'internodel padiglione principale. Lo spazio è definito dalsistema strutturale dipiloni a forma di alberoche sorreggono lacopertura per tutta lalunghezza dell’edificio.

che oggi non sono più attivi ocomunque non adeguati alle esi-genze di un quartiere fieristicodi grandi dimensioni. L’albergonasce come supporto al polo fie-ristico ma può essere utilizzatoseparatamente.La metrica di tutto il progettoè determinata dalla distanzaminima necessaria per scavalca-re, per mezzo di un ponte, lavia Appia e il canale Linea Pio.Individuata nella misura di 36

metri, tale distanza va a defini-re una griglia quadrata che indi-ca la posizione dei grandi pilonistrutturali. A questa maglia sene sovrappone una seconda di7,20 metri che determina lamisura degli spazi di servizio. Ilpasso successivo è stato quellodi innalzare delle pareti schermotra i piloni così da delimitare duetipi di spazio alternato: lo spazioespositivo caratterizzato da ottopiloni ingabbiati e lo spazio di

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passaggio tra un padiglione el’altro, denominato ‘bolla’, co -stituito da quattro piloni liberi. Aquesti due spazi, attraversoun’operazione di compressionesu uno dei due lati lunghi sonostate affiancate due stecche diservizio. L’edificio è tagliato indue parti in corrispondenza del -la via Appia per poi riconnettersial quarto livello della stecca diservizio. Il segno identitario del territo-

rio, espresso planimetricamen-te dalla metrica costante dellestra de migliare e dei canali in -tersecanti la via Appia, insiemealla scansione prospettica deifilari arborei, viene introiettatoin scala minore nel sistema deipadiglioni, il quale trova, nellosviluppo lineare ininterrotto diun chilometro e trecento metri,come unico punto di sospensio-ne l’attraversamento della viaAppia.

9. Particolare del pilone.10. La sala conferenze11. Piante dell'attacco aterra.12. Vetrata dello spazioespositivo principale.

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L ’ A R C H I T E T T U R A E L A S T O R I A

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uest’anno ricorre il 75o

anniversario della fon-dazione di Sabaudia. Me lo haricordato il numero 75 di coloreazzurro, posizionato per l’occa-sione in alto, sulla torre delpalazzo comunale.1

Come è noto, la posa della pri -ma pietra di Sabaudia è avvenu-ta il 5 Agosto 1933. In quell’oc-casione, Benito Mussolini firmòla pergamena assieme a Valen -tino Orsolino Cencelli, commissa-rio dell’Opera Nazionale Com -battenti. Il 15 Aprile 1934, ap -pena otto mesi dopo, si inaugu-rò la città, alla presenza di Vit -torio Emanuele III, re d’Italia. Unvero record, se si considera chenel nostro Paese (è ormai quasiprassi consolidata) per realizza-re opere pubbliche di minoreentità non sono sufficienti decen-ni e decenni! In così poco tempo si realizzò il

nucleo storico, vale a dire: ilMunicipio con la sua torre, l’al-bergo ristorante del Circeo, lacasa del Fascio, la casa del Com -battente; con la costruzione delcinematografo e del bar-ristoran-te si delinearono i confini di Piaz -za della Rivoluzione.Nello stesso periodo si costruì laricevitoria postelegrafonica; qual-che anno dopo (1935) risultòultimato l’ospedale e viale Giulio

Cesare con la Chiesa dell’An -nunziata sullo sfondo (inaugura-ta il 24 febbraio1935). Si trat-ta in gran parte di edifici rappre-sentativi, rimasti integri e funzio-nali, per fortuna, fino ad oggi,anche grazie ad interventi ocula-ti e mirati di restauro conserva-tivo e di ristrutturazione, fattaeccezione per il mercato copertoche è stato invece demolito perdare luogo ad una grande piazza(S. Barbara), pavimentata earredata con gusto discutibile,anche se con ottimi materiali.Sostan zialmente si tratta delnucleo urbano più significativo.A questo, oggi, si contrappone la“nuova” città, pianificata conl’adozione di strumenti urbanisti-ci che hanno sottovalutato o deltutto ignorato i presupposti, iprincipi basilari, le linee guidadel primo piano regolatore redat-to dai giovani promettenti archi-

tetti-urbanisti Gino Cancellotti,Eugenio Montuori, Alfredo Scal -pelli, guidati da Luigi Picci nato(1899-1983), “uomo af fa sci -nante, colto, comunicativo, otti-mo architetto […] maestro digenerazioni di professionisti del -la pianificazione”2 che ha privile-giato, giustamente, come si sa,il rapporto della città nascentecon il suo paesaggio, la veraemergenza naturale: “[…] un

sistema di zone verdi che pene-tra nella compagine edilizia e siapre verso l’esterno valorizzan-do visuali panoramiche e portan-do fin dentro l’abitato l’aria puradei boschi e del mare”.3 In sinte-si: grande rispetto per le bellez-ze naturali e paesaggistiche co -me premessa essenziale nellapianificazione del territorio, ov -vero nella definizione di qualun-que progetto che ne preveda latrasformazione. La lezione, purtroppo, non èstata recepita. Da molto tempo,occorre dire, l’espansione dellacittà avviene in modo disordina-to: proliferano i quartieri dormi-torio (organismi autonomi, isola-ti) carenti di servizi di base e laqualità architettonica del costrui-to è di difficile percezione. Sabaudia “nuova”, di recente for-mazione, si contrappone alla Sa -baudia razionalista con una seriedi “paesaggi urbani” di difficilecomprensione, espressione di se -gni e di linguaggi estranei al con-testo originario, vale a dire to -talmente privi di memoria storica. Il valore estetico della cittadina,come spazio visivo, si sta lette-ralmente compromettendo, per-ché ormai da tempo è venuto amancare, troppo spesso, ciò cherappresenta la componente pri-maria di qualunque progettazio-ne: lo spazio vitale per l’uomo;e, “dove questo manchi non c’èarchitettura”.4

Un intervento risolutivo in gradodi porre fine allo sconvolgimen-to del restante territorio, peral-

Qdi Luigi Bevacqua

SABAUDIA

N O T E1. E non solo. Si sono svolte,infatti, nel mese di aprile, periniziativa dell’Amministrazionecomunale e di altre istituzioni,ricche manifestazioni ed attività di rilievo che hannocoinvolto operatori culturali e

Per questo articolo ci siamoavvalsi della collaborazione di Benedikt Hotze, il quale,gentilmente, ha messo adisposizione alcune fotografie di Sabaudia tratte da unreportage realizzato nel Lazioqualche anno fa. Benedikt Hotze è nato nel 1964.Ha studiato architettura aBraunschweig (Germania) e a Losanna (Svizzera). Nel 1990ha iniziato a lavorare come criticoe fotografo di architettura. Dal 1993 al 1996 è statoredattore dell’importante rivista“Bauwelt” di Berlino, con la qualeha continuato a collaborare. Nel 1996 ha fondato gli ufficieditoriali di “BauNetz”, oggiportale leader per l’informazionedi architettura in Germania, dove fin dall’inizio svolge il ruolodi capo redattore.Sulle pagine di “BauNetz”(http://www.baunetz.de) gli architetti trovano servizi sulpanorama dell’architetturacontemporanea e informazioniimportanti per la professione, laformazione, la normativa edilizia.“BauNetz” si pone anche comerisorsa online per l'industria delle costruzioni; il portaletedesco pubblica quotidianamenteuna vasta serie di recensioni e segnalazioni suddivise persoggetti (architetti, pianificatori e urbanisti, imprenditori edili,acquirenti finali) e un'accuratodizionario tecnico che costituisceuna vera e propria vetrina per le aziende del settore.

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tro davvero limitato, credo siaormai di difficile attuazione.È bene ricordare che la realizza-zione di Sabaudia in tempi re -cord è stata possibile per il veri-ficarsi di un momento magico,irripetibile, che ha visto conver-gere le energie di tutte le com-ponenti in gioco, dai progettistivincitori del concorso, allamanovalanza (si operava giornoe notte), alle Istituzioni tutte,

verso un solo ed unico obiettivo:tentare di far di ventare realtà unsogno impossibile. È stato cosìrealizzato un centro urbano uni-versalmente riconosciuto come

una storia lunga 75 anni

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eccellente esempio di architettu-ra razionalista. “Parlare di città è un non senso.La città suppone qualcosa dimurato, di chiuso, di contrappo-sto alla campagna. Da qui losforzo del primo quarto del seco-lo per il decentramento urbano.Senonché le città satelliti sono

ancora legate alle grandi città”.5

Occorrono dunque “[…] nuo -ve forme urbane aperte e de -centrate, equilibrate con la lorofunzione. Frank Ll. Wright haavuto il coraggio di esaminare afondo la situazione urbanisticaideale. Occorre vedere la regio-ne-città, la provincia-città, lanazione-città”.6

“Nei pressi della capitale, nellabonifica pontina, sorgono aggre-gati monumentalistici, come Lit -toria oggi Latina, fondata nel1932, o triti e vernacolari, comePontinia e Aprilia. Fa eccezioneSabaudia, […]. La torre comu-nale funge da riferimento del ret-tifilo di accesso, ma la sua vir-tuale retorica si scioglie nel dialo-go di piazze e strade confortevo-li ed eleganti, connotate da unlinguaggio duttile, privo di enfa-

si. Mancano gli espedienti lecor-busieriani delle finestre a nastro[…]; ma l’ambiente è schietta-mente moderno”.7 “[…] giocosapiente, corretto e magnifico,delle forme sotto la luce”,8

“Sabaudia è stata creata dalregime, non c’è dubbio, perònon ha niente di fascista in real-

tà se non alcuni caratteri esterio-ri”. “[…] il vero fascismo èpro prio questo potere della socie-tà dei consumi che sta distrug-gendo l’Italia”.9

Lo stesso concetto è ribadito daBruno Zevi: “Si configura così ilparadosso di un’architettura

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1. La torre della chiesadell'Annunziata (foto Hotze).2. La piazza del Comune(foto Hotze).3. Particolare della torredel Palazzo Comunalecon l'emblema del 75°anniversario (foto Bevacqua).4. Il progetto per lanuova sistemazione dellapiazza del Comune.5. La torre civica e l'exAlbergo del Circeo (foto Bevacqua).6. L'ombra della torrecivica si proietta sullapiazza (foto Hotze).7. Veduta posteriore del Palazzo Comunale (foto Hotze).

eretica, sostanzialmente antifa-scista, commissionata dal fasci-smo. Non è la prima volta nellastoria: basti ricordare la Ferraradi Biagio Rossetti, organismodemocratico e popolare, tutt’al-tro che estense”.10

Appena un cenno ad alcuni “mo -

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semplici cittadini. Voglio ricordarein particolare l’omaggio reso allo scultore Emilio Greco, con la presentazione di unaudiovisivo (a Sabaudia, da diversi anni, è stato allestitoun mu seo permanente di sueopere scultoree e pittoriche) el’interessante mostra di AmedeoBocchi (1883-1976), il pittoredelle paludi pontine, con lacollaborazione della fondazione“Monte di Parma” che ha

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numenti” realizzati dall’uomo inrapporto ai “monumenti” natu-rali: mare, macchia mediterra-nea (bosco del Circeo), lago diPaola e monte.Piazza della Rivoluzione, orapiaz za del Comune, “… costi-tuisce il centro della vita diSabaudia e, a somiglianza dellenostre vecchie piazze italiane,rappresenta un ambiente unitoben proporzionato nei suoi ele-menti”.11

La piazza, in effetti, delimitatadalle quinte degli edifici storici,allo stato attuale risulta invasadal traffico cittadino e non svolgeormai da tempo la sua funzioneprimaria. Di recente, nel cortiledel palazzo comunale, sonostati esposti al pubblico gli elabo-rati di un progetto di ri quali fica -zio ne: un’iniziativa apprezzabile

in quan to sollecita la partecipa-zione dei cittadini e dà l’opportu-nità a chiunque lo desideri di for-mulare soluzioni alternative edeventuali obiezioni. È bene diresubito, però, che la proposta pro-gettuale presentata suscita qual-che perplessità. Non certamentenell’utilizzazione di certi materia-li per il rifacimento della pavi-mentazione, già presenti nel con-testo; né per la soluzione adotta-ta nella ridistribuzione del traffi-co cittadino. Non convince, inve-ce, la “tendopoli”, vale a dire ilreticolo “di vele in tessuto retteda puntoni e tiranti di acciaio, daattrezzare con sedute e servizi”.La proposta, a mio avviso, ècreativamente fragile, disgiuntada quell’atmosfera metafisicache aleggia nel contesto e che,magicamente, proietta in una

dimensione atemporale. I punto-ni metallici, i tiranti di acciaio, lecoperture orizzontali in tessuto,le sedute ed i servizi (bancarel-le?) mi rimandano al mercatinodel giovedì.Ma perché l’Amministrazionecomunale non bandisce un con-

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corso nazionale (o internaziona-le) di idee, esattamente come èstato fatto correttamente nel lon-tano 1933?Il contesto rappresenta la memo-ria storica della cittadina; è ne -cessario intervenire nel rispettodei valori esistenti, occorrono piùidee progettuali a confronto!

Il palazzo del Comune, forte-mente caratterizzato dalla pre-senza del suo segno verticale(torre) che lo rende significativa-mente percepibile a notevoledistanza, è l’edificio, a tutt’oggi,istituzionalmente più rappresen-tativo: impianto asimmetrico,

8. La chiesadell'Annunziata e il battistero(foto Hotze).9. Facciata della chiesacon il mosaico delFerrazzi(foto Bevacqua).10. Palazzo dellaricevitoriapostelegrafonica diAngiolo Mazzoni(foto Hotze).11. Le palmecostituiscono il leitmotivdel verde urbano(foto Hotze).

volumi possenti di ottime propor-zioni e ben articolati nello spa-zio; grande apertura tramite un“ponte” terrazzo verso il pae-saggio (lago); rivestimento intravertino (parte bassa) e a cor-tina (mattone rosso scuro).“[…] il cortile, tutto in matto-ni, è aperto verso il lago: solo

una loggia aerea, a guisa diponte, mette in comunicazioneverso ponente i due corpi di fab-brica, inquadrando il paesaggio.Lo scalone principale, moltosemplice e austero, è in marmorosso del monte Amiata con zoc-colatura in stalattite e corrimano

in Nero Reale Nord Carrara. Loscalone immette in una grandegalleria al primo piano che disim-pegna gli ambienti di rappresen-tanza”.12

Quanto alla torre, realizzata insoli diciotto giorni, attualmen tedestinata ad una mostra per-manente di opere cedute aSabaudia dall’artista LorenzoIndrimi (oggi dotata anche di unascensore che permette di per-correrla in breve tempo), fuoggetto di contestazione daparte del Commissariato perl’Agro Pontino perché l’altezzadi 42 metri superava di oltre 10metri il campanile di Littoria(Latina). Rimase, però, immuta-ta grazie ad un accorato appellodei progettisti a S.E. il Cav.Benito Mussolini (lettera del19.02.1934 - XII): “È, anzitut-to, ovvio che l’ideazione di un

edificio risponde nel suo insiemead una concezione costruttiva edestetica profondamente organicae strettamente connessa alleproporzioni delle sue varie partied in equilibrato rapporto con gliedifici circostanti; equilibrio chenon ammette arbitrarie altera-zioni. E tanto più è valido questoprincipio elementare dell’archi-tettura in un edificio quale quel-lo in parola, dove è stato nostro

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autorizzato la riproduzionedelle opere originali.2. Bruno Zevi, Controstoria eStoria dell’Architettura, Newton& Compton Editori.3. Luigi Piccinato, Il significatourbanistico di Sabaudia, in “Ur ba ni sti ca”, gennaio-febbraio1934, XII, n. 1, ora in G. Pellegrini e M. Vittori [a curadi], Sabaudia 1933-1943.L’utopia mediterranea delrazionalismo, Ed. Novecento.4. Giovanni Michelucci, in Bruno Zevi, op. cit.5. Luigi Piccinato, in Bruno Zevi, op. cit.

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sforzo quello di armonizzare inritmi composti le varie parti peresprimere nel rapporto tra latorre e gli altri fabbricati quasi lasintesi della vita civica. Oltre atali considerazioni di carattereurbanistico ed estetico nonmeno importanti sono quelle diindole tecnica costruttiva ...”.13

La chiesa dell’Annunziata, co -struita in una posizione strategi-ca, quinta prospettica di corsoViale G. Cesare, rappresenta atutt’oggi un forte polo di attra-zione; articolazione complessae del tutto innovativa dei volumi“secondari” (battistero, campa-nile, canonica) che, distribuiti inrelazione alla loro funzione,determinano una correlazionedi spazi e di percorsi che facilita-no gli incontri, la socializzazio-ne. Una seconda piazza, dun-que, in alternativa alla piazzaistituzionale (piazza del Comu -ne) in verità più raccolta, fami-liare, dominata dalla presenzadi possenti masse murarie,espressione del vigore della fe -de cristiana. “I volumi dellaChie sa e del Battistero, isolati enel vuoto della piazza (dedicataalla regina Margherita), deter-minano una varietà di effetti edi visuali piena di attrattive,mentre il ritmo regolare degliedifici minori che racchiudono lapiazza stessa e le loro propor-zioni bene intonate alle dimen-sioni generali, ricreano la sem-plicità e l’intimità dell’ambientepaesano”.14

L’interno (navata centrale conabside e sei cappelle laterali) èsobrio ed elegante, ma anchemaestoso per la spregiudicataaltezza che si proietta all’ester-no, sul fronte; quest’ultimo risol-to in modo innovativo con ungrande portico che crea effettichiaroscurali di notevole intensitàe con un’incombente nicchia che

si sviluppa a tutta altezza, conandamento curvilineo, per acco-gliere il grande mosaico di Fer -ruccio Ferrazzi. In questa grandeultima opera è rappresentata lascena dell’Annun ciazione con-trapposta alle due scene campe-stri. Tra i personaggi si notano lefigure di B. Mussolini, ritratto conun covone di grano tra le bracciae di Valentino Cencelli.La doppia rappresentazione re -

ligiosa e politica suggerì al“Ventuno” di Venezia di affer-mare: “Questo concetto di rico-struire nell’opera d’arte l’am-biente nel quale essa sorge, faci-lita al popolo d’avvicinarsi al -l’espressione artistica, […].Ferrazzi con questo vuole torna-re a quel concetto classico cheintonava la iconografia religiosaa contatto con la vita”.15

Una citazione, più approfondita,

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6. Luigi Piccinato, in Bruno Zevi,op. cit.7. Bruno Zevi, op.cit.8. Le Corbusier, Les tendancesde l’architecture rationaliste enrapport avec la collaboration dela peinture et de la sculpture,Convegno di arti dellafondazione A. Volta sui rapportidell’architettura con le artifigurative, Roma, 25-31 ottobre1936, cit. G. Pellegrini e M.Vittori, op. cit.9. Pier Paolo Pasolini,Documentario della serie “ Io e… ”, intitolato Pasolini e …la forma della città, a cura diPaolo Brunatto, Rai -Tv7.02.1974.10. Bruno Zevi, op.cit.11. Marcello Piacentini,Sabaudia, in “Architettura”,giugno 1934, cit. in G.Pellegrini e M. Vittori, cit.M. Piacentini, all’inizio dellacarriera, fu per un breve periodocollaboratore di L. Piccinato. 12. Marcello Piacentini, op. cit.13. G. Pellegrini e M. Vittori,op.cit.14. Marcello Piacentini. Nuoviedifici a Sabaudia, in“Architettura”, XV, settembre1935- XII, fasc. IX, cit. in G.Pellegrini e M. Vittori, op. cit.15. I mosaici di Sabaudia, in“Il Ventuno”, Venezia 1935,cit. da Chiara Barbato, Vicendeforme figure, in G. Pellegrini eM. Vittori, op. cit.16. F. T. Marinetti, “LaGazzetta del Popolo”,17 Aprile1934, cit. da Chiara Barbato,Vicende Forme Figure, in G.Pellegrini e M. Vittori, op. cit.17. Ricordiamo in un rapidoexcursus almeno gli interventialla stazione centrale di Firenze,alla stazione Termini di Roma, la realizzazione delle stazioni di Bolzano, Reggio Emilia,Trento, Reggio Calabria,Messina, ecc., nonché gli edificipostali di La Spezia (con mosaicidi Prampolini e Fillia), Nuoro,Ragusa, Ferrara, Bergamo,Gorizia, Grosseto, Pistoia,Palermo, ecc. [ndr].18. Romano Prodi, Difendiamodavvero il nostro territorio, in “Il Mes saggero”, 26 agosto2009. 19. Dacia Maraini, in “Cronaca”a cura di Irene Maria Scalise, “La Repubblica”, 11 luglio, 2008.

merita la ricevitoriapostelegrafonica diAngiolo Maz zoni.Realizzata su corsoVittorio Ema nuele III

è attualmente oggetto di unintervento di restauro che lasciaprevedere buoni risultati. Il pro-gettista considera “[…] l’im-portanza costruttiva del colore eintuendone l’infinita efficaciaper liricizzare la geometria haideato un palazzo postelegrafo-nico rivestito di ceramica il cuicolore dominante blu-Savoia,armonizzandosi col vermiglionedelle vetrate a grata antimalari-ca e relative cornici di pietra ros -so di Siena si sposa col pennonefascista tricolore”.16

L’adozione di un rivestimento in

tessere di ceramica di coloreazzurro è la vera peculiarità del-l’edificio: il pittorico pare vogliacontendere la supremazia deivolumi fortemente caratterizzatidalla presenza di un imponentescalone che porta al piano supe-riore (casa del custode) sul pro-spetto posteriore.Per capire queste scelte proget-tuali inverosimilmente innovati-ve, occorre dire che AngioloMaz zoni venne a contatto conBoccioni, Balla e altri esponentifuturisti di rilievo; conobbe,Marinetti, aderì al futurismo efirmò il “Manifesto futurista del-l’architettura aerea” (1934).L’edificio postale e la stazioneferroviaria allo scalo di Littoriasono altre sue eccellenti opere.

Mazzoni ha dato un valido con-tributo al rinnovo dell’ediliziapubblica intervenendo special-mente su stazioni ferroviarie ededifici postali.17

Concludo, ritenendo di dovermiassociare al grido di allarme lan-ciato da Romano Prodi sulle pa -gine del Messaggero del 26Agosto 2009. Si parla di inarre-stabile devastazione del territo-rio italiano, in particolare dellenostre coste, di urbanizzazioneselvaggia prodotta da “un’azio-ne combinata di speculazione eincultura … di interesse politicodi breve periodo che finisce colprevalere rispetto all’interessecollettivo”.18

Peccato che il nostro ex Pre si -dente del Consiglio dei Ministrise ne sia accorto soltanto duran-te queste ultime vacanze! InItalia, è triste affermarlo, abbia-mo raggiunto il primato quantoa saccheggio del territorio (saràcolpa anche e soprattutto degliarchitetti?); vige la politica delrinvio, la comoda regola di de -mandare agli altri le iniziativeresponsabili e indifferibili.Dacia Maraini soltanto qualcheanno fa dalle pagine di Repub -blica esortava: “Per favore nonrovinate quel gioiello (Sabau -dia) con il cemento”.19

Voglio sperare che gli attuali de -tentori del destino di Sabaudia, aqualunque titolo, diano ascolto aqueste parole, tanto semplici,quanto sensibili e significative. Frosinone, Agosto 2009.

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12. Ancora un'immaginedella torre civica (foto Hotze).

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D E T T A G L I

Vdi Massimo Terzini erso la fine del 2000, quan-

do pensai di dedicarmi a questolavoro e prima ancora di decide-re quali sarebbero stati i sogget-ti che avrebbero fatto partedella raccolta, la mia intenzioneera quella di rappresentare alcu-ni pezzi di architettura “dalvero” attraverso la tecnica del-l’acquerello. Il fatto che la scel-ta sia poi caduta sulle chiese fudeterminato dalla felice coinci-denza con il progetto che mivenne affidato dall’Ammini -strazione Provinciale di Frosi -none attraverso il quale si vole-va promuovere, in occasione del

caso l’architettura sarebbe dovu-ta prevalere sulla pittura (alme-no in quel particolare contesto)o che almeno quella tecnica,usata tradizionalmente inmaniera per così dire romantica,non tradisse il mio vero intento,

omo geneità culturale di un pre-ciso ambito territoriale. Pro -cedendo nella selezione dei sog-getti e alternando le “sedute” dilavoro, ora in un punto ora in unaltro della nostra provincia, miaccorgevo che non solo l’ogget-to che mi stava di fronte eraassai diverso da quello osserva-to magari appena il giornoprima a pochi chilometri di di -stanza, ma che anche le vocidella gente che mi passava ac -canto producevano accenti dissi-mili, come diversi erano la qua-lità della luce e il colore dell’at-mosfera. Questo mi costrinse a

primo anno del nuovo millennio,il valore artistico del nostro terri-torio con una serie di dodici dise-gni che in seguito sarebberostati raccolti in un calendario.All’aspetto stimolante, legatoalla tecnica che stavo sperimen-tando in quel periodo e di cuinon avevo verificato ancoratutte le difficoltà, si associava iltimore che quel particolaremodo di dipingere trasferisseautomaticamente sul soggettorappresentato un che di “pittore-sco” che intendevo in ogni mo -do evitare. Inoltre una certa de -formazione professionale miinduceva a ritenere che in ogni

che era quello di restituire all’ar-chitettura il rigore geometricoche le è proprio, in modo da rac-contare quelle chiese non comeelemento “di spalla” all’internodi una scenografia urbana più omeno articolata (pittoresca, ap -punto), ma come soggetto pla -stico autonomo.All’inizio dell’operazione, sia ioche il mio inaspettato e presti-gioso committente confidavamosu un prodotto capace di rappre-sentare la qualità diffusa dellaterra di Ciociaria attraverso unasintesi paradigmatica di architet-ture eterogenee che tuttaviasapesse restituire il senso di

chiedermi se l’idea che tutti noiabbiamo in mente, di questanostra terra, corrisponda fino infondo alla realtà e quanti indi-scutibili segnali di differenzateniamo quotidianamente soffo-cati in nome di una riconoscibili-tà antropologica e culturale chesi tende ad accreditare.Se l’arte davvero ci rappresenta,l’immagine che stava venendofuori non confortava affatto laconvinzione di questa rassicu-rante omogeneità. Tutto ciò mi indusse a pensareche probabilmente avrei ottenu-to lo stesso campionario di “dif-ferenze” se avessi scelto di rap-

L’ARCHITETTURA DELLA“DIFFERENZA”

Il campanile dellacattedrale di S. MariaAssunta, Frosinone.

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seduzioni: la beatitudine eternae l’eterna dannazione.Dove avviene il punto di contat-to tra i coloni pontini a un passodai primi sobborghi della Ca -pitale ed i pastori contadini coni poderi incastonati nel Re gnodei Borboni, se non attraversoquesto diffuso senso di margina-lità che in larga misura ancoraoggi ci portiamo addosso? Dovecomincia veramente questaterra, e dove finisce? Erroresarebbe considerarla una banalecampitura geografica il cui peri-

noi deformiamo in diversa misu-ra la comune radice latina?Cosa c’è di veramente analogoin questa terra dagli incerti con-fini compressa tra la catenaappenninica da un lato e lacosta tirrenica dall’altro? Re -gione nella regione la Cio ciaria,o forse piuttosto enclave territo-

riale dall’identità inafferrabileche da sempre mescola assiemeforti spinte religiose con le atavi-che superstizioni delle genti dimontagna; spazio geograficoincastonato a cerniera tra Napolie Roma - entrambe capitali sto-

riche dell’Italia centrale - capacedi coniugare il meglio e il peggiodell’una e dell’altra; terra nellaquale per secoli santi e brigantisi sono mossi con la medesimadisinvoltura e dove la gente haassorbito nel tempo tutte le con-traddizioni derivanti dalla spintaopposta e combinata tra le due

secoli ci etichetta in blocco, siain fondo un’invenzione allaquale ci siamo assuefatti. C’èveramente da chiedersi cosamai abbiano in comune tra loroi “ciociari”, dove sia riposta que-sta famosa e fumosa identitàculturale di cui talvolta si parlasforzandosi di attribuire uncarattere riconoscibile ad atteg-giamenti, linguaggi, costumi etradizioni anche assai distantitra loro. Cos’hanno veramentedi simile le mille inflessioni dia-lettali con le quali i nostri avi e

presentare dei paesaggi anzichédegli edifici. Da ciò deriva laconsiderazione, del tutto digres-siva in questo contesto, che,spostando per un attimo ildiscorso dall’architettura allasociologia, forse in Ciociariatutto è assai mutevole: che que-sto presunto imprinting che da

1. S. Maria Assunta,Atina; 2. SS. Pietro e Paolo, Arce; 3. S.Michele Arcangelo,Arpino; 4. Il timpanomistilineo della Chiesadegli Scolopi ad Alatrifa espresso riferimentoad un antecedentetipologico borrominianoadottato nell’Oratoriodei Filippini, in basso in questa pagina;5. S. Maria Annunziata,Fumone; 6. Abbazia di S. Benedetto, Cassino; 7. Cattedrale, Anagni;8. S. Maria Maggiore,Ferentino; 9. S. Mariadella Libera, Aquino.

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campi, il clima ci restituisconoun’immagine sempre contrad-dittoria ed in forte contrasto conchi volesse dipingere i ciociaricon il medesimo colore: forsenemmeno il sole batte con lastessa incidenza su una terrache passa dalla quota del mareagli oltre mille metri di alcunicentri minori.Credo che queste chiese, presetutte assieme, rappresentinobene tutto questo. Al di là del loro specifico valorestorico ed artistico esse costitui-

metro sia perfettamente sovrap-ponibile alla provincia di Fro -sinone (De Sica ambientava lasua “Ciociara” nella piana diFondi) e quanti cromosomi incomune ci sono davvero traFiuggi e Ceprano, o tra Arnara eCampoli Appennino? Il modo dicuocere i cibi, le colture dei

sta, al contrario, nella difformi-tà, nell’eccezione, nella polve-rizzazione dei riferimenti tipolo-gici e dunque nella sorpresa.Chi, a partire da me, avesseusato questi edifici per accredi-tare l’ipotesi di una identità

scono una prova piuttosto con-vincente di quale e quanta di -stanza ci possa essere all’inter-no di una stessa tipologia archi-tettonica.Se il postulato era che la coe-renza è un valore, il teoremanon aveva soluzione. La peculiarità di queste chiese

me volti diversi di una foto difamiglia restituivano solo unaquota parte di una omogeneitàforse solo presunta. Cosa cipoteva essere di sovrapponibiletra la S. Maria della Libera diAquino e la pur coeva S. Re -stituta di Sora che potesse con-fortare la teoria secondo laquale l’identità di una terradebba passare incorrotta attra-verso il setaccio della coerenza,della linearità stilistica, del-l’omologazione formale? Cosac’era di morfologicamente equi-

socio-culturale priva di spigoli edi insenature avrebbe commes-so un errore: la rassicuranteimmagine di una terra afferrabi-le al primo colpo non corrispon-deva a ciò che veniva fuori daquesta pur limitata antologia diforme. Quelle dodici chiese esposte co -

mensionalmente as - sai mo deste, quasicontratte all’in ternodel tessuto edilizio,co me la minuscolaS. Maria Assunta aFu mone, altre svet-tano con esuberan-za al di sopra delcostruito, come i SS. ApostoliPietro e Paolo di Arce o l’auste-ra facciata della Catte drale diAtina, al limite del “fuoriscala” rispetto alle abitazioniadiacenti.

valente e di tipologicamente as -similabile tra i marmi levigatidella settecentesca facciatadegli Scolopi ad Alatri ed i mat-toni rossi incorniciati da parastein pietra calcarea della pur vici-nissima e contemporanea S. Sà -lome verolana?Alcune di queste chiese sono di -

10. La facciata del S. Michele arcangelo aBoville Ernica recupera evidenti tratti dellacinquecentesca S. Girolamo degli Illirici, in basso in questa pagina.

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Quale conferma si poteva pre-tendere da un’architettura cosìdifforme, così deviante, nelmomento in cui la si prendeva amodello per raccontare il carat-tere di una comunità cui la geo-grafia e la consuetudine, maanche i grossolani stereotipi direcente conio, avevano in qual-

che modo accredita-to una identità dacondividere? O meglio, ribaltandola domanda: quanto

di veramente omogeneo, filolo-gicamente contiguo, formal-mente e culturalmente invarian-te dell’essere e del fare “ciocia-ro” passava senza lasciare sco-rie attraverso il filtro dell’archi-tettura?La cifra stilistica misurabile suciascuna di quelle facciate, ilvalore artistico individuabileall’interno di ogni fregio, diogni modanatura, di ogni ele-mento plastico o decorativoaveva un certo peso se preso inmodulo, calato cioè nel propriospecifico, circoscritto alla “pagi-na” sulla quale veniva scritto,ma subito risultava fuorviantese si usciva dal valore assolutoe se ognuna di esse proponevaun confronto, una sorta di scon-tro diretto con tutte le altre.Quel filo rosso, che all’inizio dellavoro presumevo esistesse traAnagni e Cassino, tra Arpino eFerentino, tra Veroli e Sora edin virtù del quale valori esteticicondivisi sarebbero emersi conchiarezza, in realtà risultavaspezzato in più punti: non cirestituiva quell’integrità forma-le che ci avrebbe fatto piacereindicare come prova schiaccian-te di una appartenenza etnica edi un comune sentire, ma alcontrario ci costringeva a rive-dere l’intera teoria. Le chiesedella Ciociaria, e di conseguen-

za le città che le ospitano, nonsono leggibili attraverso un’uni-ca categoria estetica, né omolo-gabili in quanto prodotti di unamedesima cultura, così come alcontrario avviene per i castellidella Loira o per le ville dellavalle del Brenta. Esse propon-gono di volta in volta paradigmie stilemi che rimandanoora all’arte colta, oraall’artigianato locale,ora ad evidenti contatticon modelli prodottidalla Curia romana, oraall’ingenua improvvisa-zione di qualche scalpel-lino di talento.Costrette molte volte inspazi angusti, le chiesedella nostra terra si sonospesso dovute adattaread un’orografia difficile,ad un tessuto urbano diper sé modesto, un po’distorcendo le proporzio-ni tra le parti, un po’alterando il ritmo delleaperture, a volte soppri-mendo una voluta –magari troppo difficileda realizzare – a volteassottigliando esagera-tamente un marcapiano,sempre tuttavia puntan-do ad ottenere un“effetto”, a dare respiroad una quinta scenogra-fica, per concorrere, da protago-niste, al disegno della città. Sarebbe intellettualmente scor-retto attribuire a questo purponderoso repertorio di formeun peso specifico ed una dimen-sione artistica fuori misura, maaltrettanto ingeneroso e miopesarebbe distoglierne lo sguardoliquidandolo come esempioresiduale di un’arte che soloaltrove ha dato i suoi fruttimigliori.Quello che forse si può dire, alla

fine, è che la realtà può essereraccontata solamente per fram-menti, attraverso un’indagineche non trascuri nessun indizioe non cedendo alla comoda ten-tazione di generalizzare. Que -ste dodici chiese non sono lepiù belle, né le più importantitra quelle che la nostra terra ci

ha conservato: sono solo dodicitra le tante che una selezionearbitraria ed un senso esteticodiscutibile hanno racchiuso neilimiti angusti di un calendario.Appare evidente dunque, chechi volesse veramente avereun’idea più precisa dellaCiociaria partendo dall’analisidei suoi edifici, dovrebbe cerca-re altri infiniti “dettagli” tratutte quelle altre che da questaselezione sono rimaste ingiusti-ficatamente escluse.

11. S. Maria Sàlome,Veroli; 12 S. Restituta, Sora.

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A R C H I T E T T U R A E F O T O G R A F I A

Idi Gio Ferri l saggio ricco di immaginidi Giovanni Fontana1 sulla Re -torica della fotografia di Euge -nio Miccini e sulle riletture foto-grafiche di Pompilio Fiore mi hapiacevolmente costretto a rovi-stare nei miei dispersi archiviper ritrovare una serie di foto-grafie che scattai nei primi anni’80 del secolo scorso girova-gando per Parigi alla ricerca (aParigi assai facile) di alcunetestimonianze, macro e micro-strutturali, delle diffuse architet-ture in ferro, prima fra tutte,ovviamente, la Torre Eiffel. Fontana analizzando una foto-

Se spostiamo il punto di vistapotremo dire che l’accostamen-to paronomasico sta alla basedi tutte le strutture dell’architet-tura in ferro dell’‘800, maanche, in ferro o no, del ‘900.Funzionalità statica e volontàdecorativa vanno sovente dipari passo: per certi aspetti per-sino il razionalismo più spintonon manca (da Mondrian aTerragni, per esempio) di piace-volezze spaziali non semprestaticamente essenziali.C’è un breve passo di un lungosaggio di Eleonora Fiorani2 chegiustifica questa condizione:

mondiale nella tecnica dellecostruzioni, dalla Galérie d’Or -leans di Parigi, alla Torre Eiffel(assolutamente esemplare nel -la sua… poetica inutilità!),alla Stazione King’s Cross diLon dra, alla Galleria di Men go -ni di Milano, al ponte di Opor -to, al Reliance Building di Chi -cago… etc., etc, fino – manon è storicamente ultimo – alBeaubourg parigino.Le infinite costruzioni che si sus-seguono in più di due secoli pre-sentano tutte, in contesti spa-ziali sempre di straordinariaampiezza (com’è logico consi-

grafia per l’appunto di Fiore cheriproduce una scultura in bronzoarditamente verticale e appunti-ta del Trocadero sullo sfondosfuocato della Torre dice, ripren-dendo un concetto di retoricascritturale, di una «paronoma-sia… di una addizione ripetiti-va: l’elemento scultoreo vertica-le svetta in primo piano, paral-lelamente al profilo velato dellaTorre Eiffel…mentre il detta-glio plastico si impone netta-mente…: è proprio il profiloarcinoto della torre, sia purenella sua evanescenza, chesvolge il ruolo principale dellacomposizione».

«Anche per il mondo dei sensivale il dualismo fra materia espirito e materia e forma, fracorporeo e incorporeo; vale ilprimato del logos e della vitacontemplativa che diffida deisensi e delle apparenze e di ciòche ci coinvolge nel mondoconcreto…».

Come è ben noto l’architetturain ferro fu uno dei prodotti diquella rivoluzione industrialeche fin dal 1794 (“Corso discienze delle costruzioni” del-l’Ècole polytechniche) realizzòcon notevoli risparmi di spesa edi tempo una trasformazione

derate le proprietà specifichedel materiale e la sua articolabi-le resistenza) alcune caratteri-stiche – insite appunto nellamateria stessa – al di là dellafunzione, decisamente poetiche(nel senso lato del fare). Vale adire strutturate su di una sintesiformale che si articola fra spa-zio, scrittura e sonorità.Potremmo insistere, a compro-va di questa considerazione,che può apparire paradossale opiù semplicemente metaforica,di diffuse caratterizzazioni reto-riche (riprendendo l’osservazio-ne di Fontana su Fiore) qualil’allitterazione, la concatena-

LE POETICHE DEL FERROIN ARCHITETTURA

zione semico-analogica (unasorta di rima e quindi di ritmici-tà), la leggerezza ambigua eperciò l’apertura significante, larivelazione di fascinose micro-proposte strutturali… il tuttoproteso ad una smisurata ten-sione. Tensione fisico-funziona-le arditamente equilibrante, e

tensione fantasmatica, vertigi-nosa, quasi onirica (sognared’essere in bilico!). Per ripren-dere Eleo nora Fiorani possiamoaf fer mare anche nel caso del-l’architettura (soprattutto inferro) quello che possiamo diredella scrittura poetica: «Il pro-

blema infatti non è quello dellapriorità della vista, l’essereumano è tutt’occhi – si è giàdetto che in lui vedere è sapere– ma quello del tipo di vista edi sapere. La connessione dellavista con il logos allontana ilmondo colorato delle apparen-ze e dei chiaroscuri, dei contor-

ni sfumati, per la nettezza delleforme, facendo prevalere lesuperfici e il nitore dei contorni.Mira al terzo occhio dell’invisi-bile. È una vista privata dellasua tattilità. È simile al ‘vederecome’, che per Wittgenstein,interpreta, media, procede per

analogie, paragoni, riconosci-menti rispetto al ‘vedere così’proprio di una visione dell’acca-dere dell’evento, dell’improvvi-so balenare, dell’intensità in cuila cosa si presenta: e si vedequalcosa come ‘qualcosa’, chesi può ‘guardare’»3.Se vogliamo dire della legge-

rezza nell’apertura strutturalepossiamo facilmente (e ovvia-mente) confrontare le costru-zioni in ferro rispetto alle seco-lari architetture in materialipieni e ponderali (pietre, terra,mattoni…). Il ferro recita unintrecciato ritmico, uno struttu-

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1-2. Il vetro partecipaalla composizione della struttura del Grand Palais di Parigi.

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totipo… parola dal greco chesignifica immagine…». È fintroppo facile vedere nell’archi-tettura in ferro il modello-giocat-tolo, in cui le singole parti siarticolano alla ricerca analogicadi composizioni equilibrateattraverso modalità ritmiche.Esemplare è il gioco anche fan-

ciullesco delle co -stru zioni in matton-cini “Lego”. O il gio -co, ormai quasi indisuso, del cosiddet-to ‘meccano’ in fer -ro (“Märklin”).Il gioco della parola, della lette-ra, e della struttura verbale,per esempio, in un sonetto è,per paragone, ben più di unafacile metafora utile ad inter-pretare la consistenza struttura-le di un oggetto, di una cosa,così come può intendersi ancheuna poesia.

L’equilibrio strutturale, fra tuttequeste aggregazioni, rivela ri -sultati architettonici sorpren-

rato, e tuttavia articolabile,poema rispetto alla prosasticacompattezza dell’antico discor-so architettonico. Basta osser-vare insieme il Colosseo e laTorre Eiffel! Quest’ultima è tra-sparente e apre da tutti i lati alpaesaggio e al cielo, il Co -losseo divide inesorabilmentelo spazio in campiture chiuse.Certamente anche l’arco roma-no o la costruzione ogivale pos-seggono funzionali resistentiaperture, ma la loro solidità lesovrasta e le rende perciò se -condarie, sovrastrutturali. Il fer -ro, la barra metallica, l’intrec-cio sono l’essenza della costru-zione, non pongono ostacoli.Perciò ho detto sopra anche diuna sonorità: i rumori naturali eurbani e soprattutto il ventoattraversando quasi sen za osta-coli l’oggetto architettonico lofanno vibrare, talvolta addirittu-ra risuonare.

L’intreccio strutturale ricco diallitterazioni, grammaticali e sil-labiche, di concatenazioni dianalogie consequenziali, sfidal’equilibrio in sequenze dinami-che spettacolari. Ma l’architet-tura metallica, nella sua macro-scopica presenza paesaggistica,risente fortemente anche delletemperature ambientali e adesse sa adattarsi. Poichè c’èanche una particolare termodi-namica dei materiali4.I metalli solidi si compongonoanch’essi di microstrutture cri-stalline atomiche che influisco-no naturalmente, e in manieraarticolata e autoriproducentesi,sulle macrostrutture. I metallipossiedono una disponibilitàtermica che appunto li fa reagi-re alle modifiche della tempera-tura. Ne deriva insieme unacondizione di contenuta instabi-lità che ne accentua, tuttavia,

l’elasticità. Gli esempi più rico-noscibili possono darsi nelladilatazione dei binari ferroviari(aumento considerevole dellatemperatura per attrito), e informe più contenute ma ugual-mente costanti nell’esposizionedei metalli al gelo e al caloreatmosferico. Fino alla capacità

di resistenza ad oscillazionianche clamorose: esperienzeregistrabili in costruzioni metal-liche di notevole altezza (torri)e lunghezza (ponti, ponti so -spesi).Tutte proprietà caratteristichedei corpi solidi ovviamente, ma

non certo misurabili con taleevi denza nelle architetture inpietra.

Le architetture metalliche si va -lo rizzano attraverso corrispon-denze iconiche5:« I modelli legati ai prototipi dacorrispondenza iconica sono

quelli ai quali si pensa normal-mente quando si parla dimodelli in senso generico. Lacorrispondenza iconica è la rela-zione di modello usata neimodellini giocattolo… Il risul-tato è di solito la riproduzionenel modello delle forme del pro-

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3-4. Gli intrecci aerei e areati della Torre Eiffel che, da alcunipunti di vista, vengono a formarsi sotto il nostro sguardo.

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denti. Il ponte di Bir-Hakein diParigi manifesta insieme lapropria potenza e la propriaelasticità. Regge diverse ma -sto dontiche arcate, pesantistrutture decorative, statuarie,in ferro e in marmo, ed ancoradue so vrapposti passaggi per iltraffico stradale automobilisti-

co e per la metropolitanasopraelevata, con sollecitazio-ni violente e ininterrotte. Ilponte poggia su ‘minuscoli’(rispetto alla misura della co -

struzione) cunei triangolarisemplicemente ‘ap po ggiantisi’sugli apici, tenuti da un altret-tanto minuscolo perno, unitiinfine dalla smisurata insisten-za ponderale dell’intera strut-tura (fig. 5 e 6).L’equilibrio fondato sulla artico-lazione di perni e tiranti si ritro-

va nella sorprendente leggerez-za della struttura a sottili tiran-ti incrociati che compattanonell’aria la ardita scatola delBeaubourg (figg. 7, 8, 9, 10).

L’impalcatura (qualcosa di simi-le alle note provvisorie strutture“Innocenti”) resiste all’equili-brio della tensione, in qualchemodo ‘minaccioso’ come losono le epifanie, gli abissi inte-riori consci o inconsci di unacomposizione poetica con lesue arditezze formali.Meno poeticamente mi piacericordare un episodio catastro-fale al quale ho personalmenteassistito. In un capannone piùo meno di 150 mq, a un retico-lo di tubi, appunto “Innocenti”,erano appese diverse centinaiadi provoloni in stagionatura del-l’altezza di un uomo e del pesodi circa 100 Kg ciascuno. Unautocarro in retromarcia colpì efece saltare un singolo pernoad uno spigolo della struttura:con una spaventosa inarrestabi-le raffica, uno ad uno, tranciatovia via ogni equilibrio struttura-le, saltarono tutti gli agganci –risuonando un ritmo fulminan-te… fra l’elettronico e il…sinfonico atonale! Fino allacaduta precipitevole dell’interaimpalcatura. Alla fine del mas-sacro gli enormi provolonierano a terra, uno sull’altro,quasi tutti infilzati, sventratidai tubi crollati su quella pove-re… carni!

Organici, direi quasi biologico-genetici, sono i risultati visividi queste costruzioni che solole leggerezze intrecciate delfer ro, dell’acciaio, delle loro ri -spondenze possono donarci ri -chiamandoci decisamente allabellezza (non è termine ecces-sivo) delle forme nello spazio.Con un senso di infinitezza cheoscilla fra la logica rigorosa ela fantasmagoria irrazionale.Tan to più quando anche ilvetro partecipa alla composi-zione (figg. 1, 2). Ma d’altro

5-6. Il ponte di Bir-Hakeim di Parigimanifesta insieme la propria potenza e la propria elasticità.7. Particolare dei tiranti della struttura del Beaubourg.

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canto anche il vetro non è chesilice+quar zo+ carbo na ti+os -sidi. Compo sizioni cristalline inpar te tipiche anche dei metalli.Gli intrecci aerei e areati che,da alcuni punti di vista, vengo-no a formarsi sotto il nostrosguardo (figg. 3, 4), metamor-fizzano la funzionale e rigoro-sa geometria delle strutture,creando una con-fusa unità ma -gmatica. Immisurabile se con doi criteri (ingegneristici-architet-tonici-geometrico-matematici)che sorreggono le me desimeequilibratissime strut ture. Cosìche si formano immagini irre-golari e conturbanti (quanto loè l’inconscio) che, forse, solouna geometria dei frattali puòin qualche modo chiarirci, tut-

tavia senza ricondurci allaragione di una geometria clas-sica (per altro necessariamentesottesa al l’og getto architettoni-co). Con Man delbrot6 potrem-mo dire di «… un termine cheil giovane Norbert Wiener[1920] prediligeva per descri-vere una forma estrema didisordine naturale. Questo ter-mine è caos, ed esso ci consen-te di rilevare… due osserva-zioni distinte. Da un lato, lageometria della natura è caoti-ca e mal s’identifica nell’ordineperfetto delle forme abitualieuclidee…, dall’altro, essaevoca piuttosto la complicazio-ne delle matematiche createintorno al 1900 (…).Progressivamente maturatesi,

queste due scelte hanno creatoqualcosa di nuovo: tra il domi-nio del caos incontrollato e l’or-dine eccessivo di Euclide, siestende ormai una nuova zonadi ordine frattale». Che, possia-mo aggiungere, trova nonpoche corrispondenze nellaarchitettura, nell’arte, nella let-teratura, nella musica contem-poranee.Dall’assoluto al particolare, percapovolgere una antica aspira-zione, si va alla scoperta diquelle spazialità nuove e micro-formali, appunto, ma tuttaviapiù profonde, che sollecitanol’interesse semiologico (e poe-tico) di Miccini e di Fiore. E diFontana che ne ha riscoperto leopere.

8-9-10. L’equilibriofondato sullaarticolazione di perni etiranti si ritrova nellasorprendente leggerezzadella struttura a sottilitiranti incrociatidel Beaubourg.

N O T E1. Giovanni Fontana,“Sulla retorica dellafotografia”, Territori n. 17,2008.2. Eleonora Fiorani,“Leggere i materiali”,Lupetti, Milano 2000;pag. 61.3. Eleonora Fiorani,op.cit.; pag. 61.4. Sergio Carrà, “Strutturee stabilità. Termodinamicadei materiali”, Mondadori,Milano 1978; pag. 106.5. AA.VV., “Pensare permodelli”, Mondadori,Milano 1979; pag. 15.6. Benoît. B. Mandelbrot,“Gli oggetti frattali”, tr.it. Einaudi, Torino 1987(pagg.11,12.)

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fittile riaffiorano oggi dal fangoe dalle nebbie del passato. Neimillenni da allora trascorsi, il

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oglio raccontarvi la storiadel lago di Canterno e l’incipit,come in tutte le storie che sirispettino, dovrebbe essere«C’era una volta un lago...»,ma questa volta dovrò per forzainiziare dicendo «Una volta illago non c’era...». Ed ecco ilperché. Prima, nella conca che lo ospita,a sud-est dell’odierna Fiuggi,era tutto un intersecarsi di fossi,laghetti, canali, pantani mutevo-li nella loro portata in conse-guenza dei capricci delle stagio-ni, più o meno piovose; ma diun lago vero e proprio non c’erala minima traccia perché ditanto in tanto (e proprio quandola massa liquida iniziava a dive-nire notevole) le viscere dellaterra si aprivano e “in ghiot ti va -no” rapidamente gran parte del-l’acqua. Quei volubili pantani avevano ilpregio di attirare grandi quantitàdi uccelli e di selvaggina. Al loroseguito, giunse a stabilirsi inquei luoghi anche il più temibiledei predatori: l’uomo. Ha lascia-to tracce che risalgono in dietro

nel tempo fino all’età del bron-zo antico: punte di frecce inselce e frammenti di vasellame

testo e foto di Gaetano De Persiis

I L T E R R I T O R I O E L A S T O R I A

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regime delle acque è rimastopressoché immutato e ancoranelle carte seicentesche non v’è

CANTERNO, IL LAGOCHE NON C’ERA

lena della salita e della discesadel pelo dell’acqua. Il bacinosenza nome si riempiva e si vuo-tava con imprevedibile, ma ine-sorabile e serrata cadenza.Venne, infine, l’anno 1821. Unqualcosa, di cui non si ha chia-ra nozione, accadde nel profon-do dei suoli sottostanti e lacompattezza del “tappo” l’eb-be vinta sul peso dell’acqua:

alcun indizio che lasci intuire lanascita del nuovo lago. Le profonde voragini carsiche,che drenavano le acque, talvoltaerano ostruite da masse copiosedi detriti vegetali e di fanghi: illivello dei pantani saliva, ma erapoi il peso stesso della colonnad’acqua a sfondare il “tappo” etutto tornava come prima. Persecoli e millenni è durata l’alta-

nacque così il lago di Canterno.Per non smentire la sua indole,tuttavia, da lì al 1942 e ancoradel tutto naturalmente, fece inmodo di scomparire per dodicivolte e dodici volte ricomparire.Ma in quel 1942, il sapiens perantonomasia (quell’Homo, cheavevamo prima intravisto fra lenebbie dei millenni e che aveva,nel frattempo, conquistato i

regni della tecnologia), deciseche era giunto il momento difarla finita con i capricci di quellago novello e bizzoso e che eraopportuno, piuttosto, asservirloalle proprie occorrenze. Canterno fu vuotato e poi nuo-vamente riempito, non prima,però, di aver dotato quell’in-controllabile inghiottitoio delPertuso di un vero tappo e que-

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di bel nuovo e fatte precipitareverso una centrale posta circa300 metri più in basso attraver-so una condotta forzata e unagalleria, anch’essa nuova, cheper due chilometri fu scavatasotto il Monte Maino, che chiu-de a meridione il nostro lago. Da quel momento, alle bizze del

lago subentrarono le ben peg-giori e surreali bizze delsapiens. Non vi dico nei dettagliche cosa sia avvenuto lì intorno(potrebbe essere un bello spun-to di approfondimento per i piùcuriosi), ma non si può nonricordare che, per alimentare ilbacino, fra le altre cose, è stata

A pagina 35: 1. Canterno e i MontiErnici.2. Prati allagati.3. Cormorani a Canternonel novembre 2008;l'uccello inanellato ènato in Finlandianell'estate del 2007.

sta volta di cemento: una “torredi sfioro”, come si dice appuntonel linguaggio tecnologico. Siera deciso di trasformare quel-l’antica palude, che MadreNatura ave va voluto trasformarein lago, in un bacino ad usoidroelettrico: le acque furonocaptate sotto il tappo costruito

derivata acqua dal fiume Cosa(le cui sorgenti distano quasinove chilometri in linea d’aria)e dai laghetti Lattanzi. Non sipuò neppure dimenticare che ilfosso del Diluvio, storico addut-tore del lago, è stato cementifi-cato nelle sponde ed utilizzatoper raccogliere lo scarico del

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Oro-morfologia41°45’ N - 13°15’ E. Ha avutoorigine naturale nel 1821. Èsituato a m 538 s.l.m. ed è di ori-gine carsica (lago di dolina). Laprofondità media è di 3-4 me tri;la massima di 18-20 metri. Lalunghezza massima è di circa Km1,7; la larghezza massima è dicirca Km 0,9. Di forma allunga-ta, l’asse è orientato da nord-ovest verso sud-est. Il suo bacinoè più stretto a settentrione e piùlargo a meridione.

IdrologiaI principali immissari sono: danord-ovest, il fosso del Diluvio e ilfosso delle Cese, le cui acque untempo si perdeva no in un anticoinghiottitoio detto Sgolfo o Boccadi Mu ro; da nord-est, il fiumeCosa, le cui acque arrivano attra-verso una condotta di derivazionenel periodo 16 settembre - 31maggio; da est, i laghetti Lat -tanzi. Le acque del lago sonodestinate ad uso idroel ettrico:quota di minimo invaso a m535,50 e di massimo invaso a m548,50. La captazione avviene attraverso un’opera di presa in cemen-to armato costruita nel 1942 sopra l’inghiottitoio detto Pertuso.

Riserva Naturale RegionaleA tutela del lago e del suo comprensorio, è stata istituita una RiservaNaturale con Legge Regionale n. 29 del 6 ottobre 1997 con un’esten-sione di 1824 ettari. Sono interessati i comuni di Anagni, Fiuggi, Fu -mo ne, Torre Cajetani e Trivigliano. Ente gestore: Provincia di Fro si none.

CuriositàNella documentata memoria del Prof. Aldo G. Segre (Laghi scompar-si o meno noti del Lazio Meridionale e del bacino di Canterno -Bollettino dell’Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale - annoXII, Roma 1987 - pagg.11-12) si legge: “Anche dopo le sparizioni,le acque ricomparivano già popolate di tinche adulte, che trovavanoambiente adatto alla loro esistenza, durante i tempi di magra o di sic-cità, in vaste cavità sotterranee connesse con l’emissario (il Pertuso,n.d.r.) ... Nel 1942 il lago è stato svuotato per sistemazione idroe-lettrica: durante lo scavo della galleria sotto Monte Maino, lunga 2

Km. Per convogliare le acque sul fianco esterno dell’altopiano delleCarceri, donde ha inizio la condotta forzata con salto di m 300, èstata incontrata una grande voragine a fenditura percorsa da fortecorrente d’aria fredda; essa è rimasta beante nonostante l’ingentequantità di materiali scaricati per chiuderla. Verosimilmente rappre-senta l’appendice del complesso sistema di grotte del vecchio scari-co naturale del lago, verso Tufano”. G.D.P.

4. Il sistema idrograficoCanterno-Tufano nellacarta di Giacomo FilippoAmeti, 1693. Illustraz.tratta da “Bollettinodell'Istituto di Storia e diArte del LazioMeridionale”, Anno XII,Roma 1987; Aldo G.Segre "Laghi scomparsi omeno noti del LazioMeridionale e del bacinodi Canterno".5. Inghiottitoio del lagodi Canterno dopo ilprosciugamentodell'agosto 1942.Foto tratta da “Bollettino dell'Istituto di Storia e di Arte delLazio Meridionale”, cit. (pagg.5-17).

Il lago di Canterno

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depuratore di Fiuggi. E ancora:le praterie a ridosso del lago so -no state utilizzate anche per uncentro di volo di deltaplani eultraleggeri; discariche abusiverifornite d’ogni tipo di materiali,dagli elettrodomestici allegomme d’auto, dai materassi aibidoni di oli esausti, dai calcinac-ci ai vecchi sanitari.«Ohibò!” – direte voi – Comesi può tradire in questo modovolgare un sì meraviglioso dise-gno di Madre Natura?». È ve ro,perbacco! L’hanno pensatoanche altri! E, infatti, ecco pron-ta l’istituzione di una Ri servaNaturale Regionale! Tutto risolto, allora? Giudicatevoi. Le immondizie e rifiuti continua-no a fluttuare dentro e fuori del-l’acqua, con mucchi che si rin-novano con solerzia. L’inal te -rata e costante attività di pescasportiva è incrementata coninopportune gare di pe sca, che

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6. Vista di Canterno.Tavolozza dei colori dimaggio.7-8-9. Canterno innevatocon gli Ernici sullosfondo.10. Moriglioni immersinella bassa nebbiadell'alba. 11. Fioritura difiordalisi.

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Secondo dei tre appuntamentilacustri con le fotografie diGaetano De Persiis. Tre piccolilaghi del Lazio meridionale,ciascuno con diversecaratteristiche idrogeologiche epaesistiche; tre isole faunistiche e floristiche; tre opportunità perl’uomo; tre differenti maniere di rapportarsi alla natura. Nel numero scorso, il lago di PostaFibreno; in questo, Canterno; nelprossimo, il lago di Paola. L’autorecollega ad immagini di rarabellezza una nota garbatamenteed amaramente polemica.

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12. Il sole del tramonto sispecchia nel lago diCanterno. Panorama daiMonti Ernici (M. Pozzotello).13. Garzetta che inseguela preda.14. Canterno. Panoramada sud.15. Lago di Canterno alplenilunio.16. Folaga nei riflessi deltramonto a Canterno.17. Un Cavaliare d'Italiain volo radente sull'acquabassa della riva.18. Cormorani.Sembrerebbe una foto diBaja California.19. Alba nebbiosa aCanterno.20. Da Canterno: puntedi frecce in selce risalentiall'età del bronzo.

con tribuiscono fra l’altro a lorda-re le rive con ulteriori rifiuti,nastri colorati e cartelli bella-mente abbandonati. Una stradadi circa un chilometro è statarealizzata ex novo attraversouna meravigliosa prateria adoriente del lago (e si dice chegià si pensi ad asfaltarla!).Costose piste ciclabili costruiteanche a spese di decine d’albe-ri abbattuti. Boschi tagliati puresui fianchi di un monte dovesono stati spesi denari per larealizzazione di un “sentieronatura” (ver rebbe da ridere, senon ci fosse da piangere!).Quo tidiani voli d’elicotteri inattività d’addestramento (an -che a bassa quota e sullo spec-chio d’acqua), che provocanol’immaginabile scompiglio fragli uccelli presenti. E come nonba stasse, il livello dell’acqua dellago che sale e scende di oltretre metri fra il massimo e ilminimo livello (per giunta pro-prio nel periodo primavera-esta-te), con decine di nidi di svasso

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monti, nelle calure d’estate enei geli invernali, nei voli d’uc-celli, nei riflessi dell’acqua sem-pre cangianti...Venite qui e fatevi paladini diquesto lago, perché possa man-tenere i suoi aspetti non ancoraperduti e riconquistarne d’anti-chi; perché possa incantare an -che in futuro e perché, fra mil-l’anni, non si debba iniziare la

sua storia con un triste «c’erauna volta un lago... che unavolta non c’era».

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che rimangono al l’asciutto, pre -da indifesa di volpi.E allora che dire? Faccio parteanch’io della specie umana esono perciò pienamente consa-pevole che il cosiddetto progres-so ha degli altissimi ed inevitabi-li costi da pagare nei confrontidel pianeta che abitiamo. Sobene che non possiamo piùrinunciare agli agi conseguiti,che non possiamo certissima-mente tornare ai tempidegli arnesi di selce,

che, pure, tanto ci affascinanoper le storie di vita da essi evo-cate, che non possiamo più pri-varci di quanto comunque con-quistato nei millenni con sanguee sudore, ma proprio in nomedella consapevolezza e del-l’equilibrio che dovremmo oggiaver acquisito, è necessariorivolgere ogni sforzo per rinun-ciare non già al necessario,

ma almeno al super-fluo. E sareb-be troppo

chiedere che una Ri serva Na -turale, nata per educare e pro-teggere, riuscisse almeno a sal-vare un prato, un bo sco, un nidod’uccelli...?Non scoraggiatevi, comunque,voi che leggete. Venite qui.Portate nel cuore gli adatti stru-menti e ancor’oggi, nonostan-te tutto, riuscirete a cogliere

sulle rive di Canterno vi sionid’incanto, nelle albenebbiose e neichiari tra-

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tra i quali riveste particolare in -teresse quello del nostro re -dattore Daniele Baldassarre.Da quel te sto pubblichiamouno stralcio.

“Allorquando mi trovai dinanzia quella nera costruzione titani-ca, conservata in ottimo stato,quasi non contasse secoli esecoli, ma soltanto anni, provaiun’ammirazione per la forzaumana assai maggiore di quel-la che mi aveva ispirata la vistadel Colosseo…”

[Gregorovius, 1857]1

Attraverso una storia di benoltre duemila anni, le mura poli-gonali hanno segnato il paesag-gio del Lazio meridionale con iprimi recinti megalitici al culmi-ne delle alture, poi con lunghecinte urbane ed ancora, fino atutto il periodo della Repubblicaa Roma, con terrazzamentiche, regolarizzando i terreni dei

opere, tanto affascinanti quantomisteriose. In mostra sono state ampiamen-te documentate le imponentimura di Alatri, Arpino, Atina,Cassino, Ferentino, Sora, Veroli,ma anche le opere poligonali dialtri centri della Provincia diFrosinone fino ad ora rinvenute:Alvito, Anagni, Aquino, Ausonia,Boville Ernica, Casalvieri, Castrodei Volsci, Castrocielo, Ceccano,Collepardo, Colle San Magno,Co reno Ausonio, Filettino, Mon -te San Giovanni Campano, Po -sta Fibreno, Rocca d’Arce, SanBiagio Saracinisco, San Donato

Val di Comino, San Vittore delLa zio, Sant’Elia Fiumerapido,Ser rone, Supino, Trevi nel Lazio,Vicalvi, Villa Santa Lucia.Per l’occasione è stato pubbli-cato un libro-catalogo a cura diAlessandro Nicosia e Maria Cri -stina Bettini, edito da Gan gemiEditore, che contiene contributiscientifici di numerosi studiosi,

Roma, dal 5 giugno all’8luglio, il Complesso del Vitto -riano ha ospitato la mostra “Lemura megalitiche. Il Lazio meri-dionale tra storia e mito”, a curadi Giuseppe Guadagno, GiovanniMaria De Rossi e Daniele Bal das -sarre, con la direzione e il coor -dinamento generale di Ales san -dro Nicosia.L’iniziativa è stata promossadalla Regione Lazio, Asses so -rato alla Cultura, Spettacolo eSport, in collaborazione con ilMinistero per i Beni e le AttivitàCulturali, Soprintendenza per iBeni Archeologici del Lazio, e la

Provincia di Frosinone.Oltre 100 opere, tra incisioni,litografie, disegni, acquarelli,stampe, olii, libri, lettere, foto-grafie d’epoca, mappe, planime-trie, scenografie, pannelli,gigantografie e video, hannoripercorso la storia, il mito, levicende e le ipotesi archeologi-che di queste straordinarie

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di Daniele Baldassarre

I L T E R R I T O R I O E L A S T O R I A

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LE MURA MEGALITICHEDEL LAZIO MERIDIONALE Archeologia

tra storia e mito al Complesso del Vittoriano1

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declivi, hanno permesso l’edifi-cazione di templi, santuari e ditante villae rusticae.

Hanno pertanto costituito, insie-me all’arcaica rete dei percorsi,la base del disegno del territo-rio, sulla quale nei due millennisuccessivi si sono posate chie-sette e cattedrali, rocche ecastelli, palazzi nobiliari ed inte-ri rioni di abitazioni, creando ununicum nel panorama architet-tonico. In alcuni casi sono rima-ste nascoste nei sotterraneidelle costruzioni successive;2 intanti altri, pur rimanendo invista, sono diventate “semplici”sostruzioni per l’elevato supe-riore. In aperta campagna poi,per secoli fino ad oggigiorno,sono state spesso considerate“macere”, confuse con quelleeffettive (certo di ben minoridimensioni nei blocchi) cresciu-te tutt’intorno.Lentamente, quasi inspiegabil-mente, forse per assuefazioneo per inconsapevolezza, lemura poligonali – e certo nonsolo quelle del Lazio meridiona-le – erano perciò entrate in unalone di dimenticanza ed indif-ferenza che, al di là di singolecitazioni (Ciriaco D’Ancona,1436; Leon Battista Alberti,1498…),3 ha iniziato a dira-darsi nel Settecento; se ne inte-ressarono il Winckelmann, ilPiranesi,4 ma il momento decisi-vo si ebbe solo alla fine delsecolo.Quando, come è ormai noto

agli studiosi e agliappassionati, l’aba-te Louis CharlesFran cois Petit-Radelimpressionato dallemura delle non lontane Fondi eCircei iniziò un lavoro di ricercache durò oltre quarant’anni,5

ottenendo l’aiuto di cultori enotabili locali con un fitto car-teggio.6 Nel suo lavoro fu pureaffiancato dall’Instituto di Cor -rispondenza Archeologica diRoma che, grazie ai suoi “socicorrispondenti” sparsi in tuttaEuropa, esplorò un territorioben più vasto del Lazio edell’Italia stessa. In simile fermento culturale lemura iniziarono così ad attrarrein questi paesi, appunto duesecoli fa, una nutrita schiera diricercatori, storici ed artisti cuidobbiamo ampie descrizioni efascinose illustrazioni. Oltre aMarianna Candidi Dionigi7

vogliamo ricordare EdwardDodwell, del quale sono ripor-tate ben cinque tavole su Alatrie cinque su Ferentino nel pre-gevole album in folio Viewsand Descriptions of Cyclopian,or, Pelasgic Remains, in Greeceand Italy... stampato postumoa Londra nel 1834, con l’ap-porto del celebrato litografoCharles Joseph Hullmandel,8

pubblicazione preziosa per leoltre cinquanta litografie dedi-cate alle mura poligonali delLatium (su un totale di 131,che comprende anche quelle diMicene, Tirinto ed Orco men -

1. Probabile sostruzionestradale presso SanGiorgio ai Monti, interritorio di Anagni.2. La parete megaliticasotto il Convento deiCappuccini ad Alatri.3. Particolare dell’opera poligonale in località Collicillo, sul confine tra Alvito e Vicalvi.4. Simbolo fallicosull’angolo inferioredella cinta urbana di Arpino.5. Atina, resti della cinta urbana in località Pozzello.

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no); quindi il giovane accompa-gnatore del Dodwell stesso inalcune sue ricognizioni, JohnIzard Middleton, che appenaventitreenne raggiunse i nostriluoghi dalla Carolina del Sud,lavorando al suo album di

schiz zi per una futura pubblica-zione.9 Infatti già nel 1808inviava all’Institut de France idisegni su Norba, Segni e Fe -rentino.10

Qualche decennio più tardi lemura, i costumi, il paesaggioven nero immortalati nellesplen dide litografie di Edward

Lear, raccolte anch’esse ingrandi album11, fino ad arrivarealla fine del XIX e l’inizio delXX secolo, con le tantissimefotografie di Thomas Ashby,che hanno fermato le immaginigiusto prima dei grandi cambia-

menti urbani e territoriali nove-centeschi.12

L’operato di tali personaggi hasicuramente dato fama interna-zionale ai siti del Latium arcai-co (dove al fianco delle città“saturnie” spiccano chiaramen-te anche le circostanti Anxur,Setia, Norba, Cora, Signia, la

Civita di Montefortino, Prae -neste…),13 ma molto si puòtuttora fare per dare visibilitàsoprattutto alle aree più internedel frusinate, rimaste in buonaparte fuori dai percorsi dei visi-tatori otto-novecenteschi, e per

ricreare così un quadro territo-riale che possa riunire questeultime ai centri più conosciuti:un quadro unitario delle cono-scenze, da cui possa poi perinverso risaltare nel confrontola grande varietà e ricchezza disituazioni.Del resto le numerose realizza-zioni in opera poligonale diquesto ambito regionale (com-paiono – allo stato attuale delconosciuto – in circa un terzodei 91 comuni) colpiscono pro-prio per i molteplici aspetti, chenon di rado assumono caratte-re di assoluto rilievo quantitati-vo ed interesse qualitativo: lamaestosità dei recinti megaliti-ci delle arx, le dimensioni deiblocchi utilizzati, la presenzaanche nello stesso sito dellediverse “maniere” classificatedal Lu gli,14 la perfezione co -struttiva dimostrata in non po -chi casi, l’estensione di alcunecinte fortificate, la loro posizio-ne strategica (di cui oggi occor-rerebbe valorizzare la splendi-da realtà panoramico-paesisti-ca), i mo men ti salienti che lecaratterizzano (porte, posteru-le, bastioni…) […]. In particolare ad Alatri stupisco-no soprattutto, in più punti, leenormi grandezze dei massi,che avevano fortemente colpitoil Gregorovius […] o la perfe-zione raggiunta dalla tecnicapoligonale nel cosiddetto “iero-ne”, sotto la Cattedrale o l’al-tezza dello spigolo sud-e st dellamedesima arx, rilevata in16,62 metri da HermannWinnefeld nel 188915. Il tuttoinserito in uno scenario naturalevasto, per cui dalla spianata del-l’acropoli (oltre 500 m. s.l.m.)si ha un rapporto visivo direttocon i monti Ernici, con i Lepini econ non pochi centri antichi neidintorni: “dall’alto dell’acropoli,

6. Ferentino: il cunicolodella “Grottapara”, che Marianna CandidiDionigi definiva “Portadi sortita dellaCittadella”.7. Terrazzamento inlocalità La Tagliata a Posta Fibreno.

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N O T E1. Ferdinand Gregorovius, Passeggiate perl’Italia (Wanderjahre in Italien), diari di viag-gio scritti dal 1856 e raccolti in cinque volu-mi, Lipsia, 1877; capitolo I Monti Ernici.2. Emblematici sono i casi dei tratti murarisotto la chiesa di Santa Maria Maggiore aFerentino o sotto il convento dei Cappucciniad Alatri.3. Vedi Louis Charles François Petit-Radel,Recherches sur les monuments cyclopéenset description de la collection des modèlesen relief composant la galerie pélasgique dela Bibliothèque Mazarine, pubblicato postu-mo dai manoscritti dell’autore, Parigi,1841; pp. 59-60.4. L.C.F. Petit-Radel, idem ; p. 60.5. L.C.F. Petit-Radel, Eclaircissemens deman-dés par la Classe des Beaux-Arts de l’InstitutNational de France, sur les Constructions deplusieurs monumens militaires de l’antiqu i-té; par le C. Louis Petit Radel , pp. 446-472in MAGASIN ENCYCLOPÉDIQUE, OU JOUR-NAL DES SCIENCES, DES LETTRES ET DESARTS... IX.e ANNÉE TOME CINQUIEME,Parigi, 1804.- L.C.F. Petit-Radel, Rèsultats généraux dequelques recherches historiques sur lesmonuments cyclopéens de l’Italie et de laGrèce, lus à la sèance publique de la Classed’histoire et de litterature ancienne, par M.Louis Petit-Radel. Moniteur Universel Ann.1807 N. 194, Parigi, 1807.- L.C. F. Petit-Radel e Eduard GerhardLES MURS PÉLASGIQUES DE L’ITALIELETTRE DE M. PETIT-RADELPrefet de la Bibliothèque Mazarine, Membrede l’Institut de France, de l’InstitutArchéologiqueA M. GERHARDSecretaire de l’Institut ArchéologiqueET SA RÉPONSEin MEMORIE DELL’INSTITUTO DI CORRI-SPONDENZA ARCHEOLOGICA Volume primo,Roma, 1832.- L.C.F. Petit-Radel, 1841a, Recherches surles monuments cyclopéens…, op. cit.- L.C.F. Petit-Radel, 1841b, Monumentscyclopéens: recueil de planches relatives àl’ouvrage intitulé “Recherches sur les monu-ments cyclopéens ou pélasgiques” par L.C.F.Petit-Radel..., Paris, 1841... [collection fac-tice rassemblée par L.C.F. Petit-Radel],Parigi, s.d.6. Ad esempio - Petit-Radel 1841a, p. 67 -nel 1803 il vescovo di Alatri Della Casa Dei,ed altri, comunicarono all’abate le loro infor-mazioni sulle mura ciclopiche di Alatri. Lastessa cosa e nello stesso anno fecero ilvescovo di Ferentino, Buschi ed altri tra cuiun canonico Campovecchio. 7. Marianna Candidi Dionigi, Viaggi in alcu-ne città del Lazio che diconsi fondate dal reSaturno, Roma, distribuito in fascicoli dal1809 al 1812.8. Edward Dodwell, Views and Descriptions

of Cyclopian, or, Pelasgic Remains, inGreece and Italy;with Constructions of a Later Period; fromDrawings by the late Edward Dodwell, Esq.F.S.A.Intended as a Supplement to his Classicaland Topographical Tour in Greece, during theyears 1801, 1805, and 1806 (34 paginedi testi e 131 tavole in litografia, in folio),Londra, 1834.9. John Izard Middleton, Grecian Remains inItaly. A description of Cyclopian Walls and ofRoman Antiquities with Topographical andPicturesque Views of Ancient Latium,Londra, 1812.10. Vedi L.C.F. Petit-Radel, Recherches surles monuments… op. cit., p.79.11. Edward Lear, Views in Rome and itsenvirons: Drawn from Nature and on Stoneby Edward Lear (2 fogli, 25 tavole),Londra, 1841.- Edward Lear, Illustrated Excursions in Italy,Londra, 1846.12. AA. VV. - British School at Rome, Il Laziodi Thomas Ashby 1891 - 1930, Roma,1994.13. Le attuali Terracina, Sezze, Norma,Cori, Segni, Artena, Palestrina…14. Giuseppe Lugli, La tecnica edilizia roma-na. Con particolare riguardo a Roma eLazio, voll. I-II, Roma, 1957.15. Vedi p. 138 da Hermann Winnefeld,Antichità di Alatri, Estratto dal Bollettino del-l’imp. Istituto archeologico germanico, pp.126-152, Roma, 1889.16. Dalla novella “la rallegrata”, in Novelleper un anno, 1922.17. Fausto Zevi, Alatri, pp. 84-96 inHellenismus in Mittelitalien, Göttingen,1976.- Caterina Zannella ed Elisabetta De Minicis,L’acropoli e le mura di Alatri: archeologia eurbanistica nell’Ottocento, Roma, 1985. - AA. VV., Mura Poligonali - 1° Seminarionazionale di studi - 1988, Alatri, 1989.- AA. VV., Mura Poligonali - 2° Seminariointernazionale di studi - 1989, Alatri, 1990.- Sandra Gatti, Per una rilettura dell’acropo-li di Alatri, pp. 289-296 in Lazio & Sabina3, atti del convegno Terzo Incontro di Studisul Lazio e la Sabina, Roma, 2006.- Dario Pietrafesa, Nuovi dati per lo studiodelle fortificazioni urbane di Alatri, pp. 17-50 in Marilena Maniaci - Giulia Orofino (acura di) Saper valorizzare, Cassino, 2007.18. Per completezza non si può infatti nonconsiderare un ulteriore aspetto: le mura diAlatri (e pure di altre città della Ciociaria)nell’ultimo trentennio hanno sempre piùattirato l’interesse degli studiosi diArcheoastronomia, dagli esordi di donGiuseppe Capone ai più recenti studi diGiulio Magli. - Anthony F. Aveni e Giuseppe Capone,Possible Astronomical Reference in theUrbanistic Design of Ancient Alatri, in

dicesi del Torrione, si eleva unramo delle medesime di doppiacostruzione, e va a cingere lasommità del più alto colle chia-mato di Civita-Vecchia, perchéivi era l’antica fortezza”.23 Intale sovrastante Civitas Cice -roniana, per tutto quel secolo, ilcapolavoro unico rappresentatodalla “porta acuminata” hamonopolizzato l’attenzione de -gli artisti, che lo ritrassero intante incisioni e litografie finoalla foto di Thomas Ashby del1903.24 Ma pure della CivitaFal conara (la seconda alturache è appunto legata all’acro-poli dal lungo sviluppo dellacinta urbana) abbiamo una sug-gestiva immagine d’insieme neldisegno originale di EdwardLear, datato 1 aprile 1842 econservato al Courtauld Insti tu -te of Art Gallery di Londra. Sulfoglio stesso il grande illustrato-re evidenziava con una annota-zione le alte mura a valle, anco-ra libere dagli edifici che inseguito si sarebbero appoggiatisu di esse. Un’ultima citazione per un altrofamoso ed interessato visitato-re, Heinrich Schliemann, comeconferma una sua lettera daNapoli all’antropologo Giusti -niano Nicolucci: “22 settembre1875 Ill.mo Sr Dttr Ho avutogrande piacere à esaminare lemura ciclopee d’Arpino chesono antichissime. Con moltopiacere vi avrei scavati deipozzi per esaminare i l terreno,ma questo non è cosa facileavendo l’accumulazione delrot tame e delle rovine unospessore di 4 à 5 metri. Risolsidunque di ritornare à Napoli edi scavare i pozzi tosto arriveràqui la madre di mia moglie; mafin allora debo rimanere conquesta. I pozzi mi prenderannodue giorni e sapremo allora se

su le maestose mura ciclopiche,si scopriva una vista meraviglio-sa” scrisse Luigi Pirandello nel1922.16 Insomma l’antica Ale -trium con le sue molteplici testi-monianze appare uno dei luo-ghi più significativi ed emblema-tici per le mura poligonali delfrusinate ed oggetto di conve-gni, ricerche e scavi fino ai primianni di questo millennio,17 oltreche dell’attenzione di studiosida tutto il mondo, anche indiscipline diverse dall’archeolo-gia classica.18

Invece di sicuro a Ferentino hacolpito e colpisce la “sedimen-tazione” delle epoche e delletecniche, così chiaramente leg-gibile sull’alta, imponente pare-te sud-ovest nell’avancorpo del-l’acropoli, o sulla parete della“Porta Sanguinaria” o ancorapresso la “Porta Casamari”[…]. Non meno interessanti isuoi terrazzamenti urbani, intramoenia (presenti tra l’altronella stessa Alatri), tra i qualispicca quello su cui apre la“Grottapara”, che la Dionigidefiniva “Porta di sortita dellaCittadella”19 (Marianna CandidiDionigi si era recata più volte aFerentino, e già nel 1803 viaveva effettuato precisi rilievi“anche col mezzo di varj sca -vi”20 insieme all’architetto LuigiCampovecchio, dando inizioanche qui ad una serie di studispecialistici che, dopo quellinovecenteschi di Thomas Ashbyed Alfonso Bartoli, giunge finoai nostri giorni).21

Tornando ad Arpino, vi potrem-mo ammirare un complessonotevole di mura,22 che fino al -l’inizio dell’Ottocento era anco-ra visibile nella sua interezza,almeno stando alle parole dellaDionigi stessa: “Veggo le muraCiclopee circondare quasi l’inte-ra Città; ma dalla porta, che

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vale la pena di farvi degli scavigrandi o no. Colla maggior’stima Dr Schliemann HôtelGinevra”.25

Abbiamo sottolineato l’aspettodimensionale delle cinte urba-ne: Atina ne costituisce il casolimite.Scriveva il Tauleri nel 1702:“Ati na antica, e potente cittàde’ Volsci, compresa poi nelLazio, & ora nella Provincia diCampagna Felice… Oltre d’es-sere anticamente recinta da trèordini di fortissime mura, emolte Torri, che la difendevano,con l’apertura solo di trè Portemaggiori, e sette minori, venivamunita dall’istessi monti, che lacircondano con darvi appenaangusti ingressi per Vicalbi, perle Mainarde, per Cancello, e perAquino: Per lo che, fù serbata,più dell’altre Città d’Italia, dal-l’incursioni de’ Barbari, e dal-l’armi de’ stranieri capitani”.26

Essa è l’ultima delle cittàdescritte dalla Candidi Dionigi,che in apertura annota: “Dopoaver passato a guado la Melfaascesi il monte di Atina. Me -more di quanto avea letto inPlinio e Virgilio, che danno aquella Città l’aggiunto di nobi-lissima e di potente,27 io mi cre-dea vedere in essa ragguarde-voli avanzi della sua passatagrandezza, ma in seguito nonho trovato che la sua totaledistruzione”.28

Evidentemente, e comprensibil-

mente, non era riuscita inbreve tempo a rintracciaretutte le testimonianze nel suoterritorio. Nelle pagine 412-413 del terzo volume (1831)degli Annali dell’Instituto diCorri spon denza Archeologica diRoma troviamo una Lettera diSir William GELL al prof. Ge -rhard a titolo “Mura d’Atina”accompagnata, nella “tavolad’aggiunta E particolare 1”,dall’incisione di un tratto diqueste eseguita sui disegnidella contessa Augusta diCoventry, che più volte si erarecata nella cittadina per stu-diarne appunto le fortificazionie che secondo il Gell è stata laprima a “riscoprire” l’acropoli:“I lettori degli Annali archeolo-gici saranno, secondo ch’iocredo, ben contenti di trovarqui disegnata una parte de’muri dell’antichissima fortezzad’Atina, i quali apparentemen-te assai più mostran d’età diquelli dati nel saggio dellasignora Dionigi, che al dire diquesti montanari non giunsefin sulla acropoli di quell’anticacittà…”. Sempre a quell’anno(7,8,9 maggio) sono datati idisegni originali del Dodwellconservati ora al John SoaneMuseum di Londra, che dimo-strano una sua buona cono-scenza delle mura atinati, dalColle Santo Stefano, alla ValleGiordana alla Porta dellaFontana.29

Nel Novecento invece, dopo gli

8. Il terrazzamento sottola Madonna di Correano,nella campagna diAusonia. 9. Resti di murasotto la distrutta chiesadi San Pietro a Ceccano.10. Un tratto isolato di muro sui monti diFilettino. 11. La lungaparete sotto l’Abbazia di Montecassino.

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Archaeoastronomy, Washington DC, 1985.Giulio Magli, I segreti delle antiche cittàmegalitiche. Il tempo dei ciclopi in Italia enel Mediterraneo, Roma, 2007.Giulio Magli, Dalle piramidi di Giza all’acro-poli di Alatri. Misteri e scoperte del -l’Archeoastronomia, Alatri, 2008.19. M. Candidi Dionigi, op. cit. foglio 11.20. M. Candidi Dionigi, op. cit. foglio 8.21. Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli,Ricerca topografica a Ferentinum, pp. 159-244 in Opere di assetto territoriale ed urba-no - ATTA 3, Roma, 1995.- Anna Maria Ramieri, Ferentino dalle originiall’alto medioevo, Ferentino, 1995.- Rachele Frasca, Recenti interventi di inda-gine archeologica a Ferentino, pp. 225-232in Lazio & Sabina 4, atti del convegnoQuarto Incontro di Studi sul Lazio e laSabina, Roma, 2007.22. Valentina Leoni, La forma antica diArpinum, pp. 127-190 in Edilizia Pubblica ePrivata nelle città romane - ATTA 17, Roma,2008.23. M. Candidi Dionigi, op. cit. foglio 47.24. AA. VV. - British School at Rome, Il Laziodi Thomas Ashby…, op. cit. p. 156.25. Il testo della lettera di Schliemann èriportato in: Francesco Fedele e AlbertoBaldi (a cura di) Alle origini dell’antropolo-gia italiana, Napoli, 1988.26. Buonaventura Tauleri, MemorieIstoriche dell’Antica Città d’Atina. Rac -colte, e date in luce dal P. BuonaventuraTauleri, Cittadino della medesima…Divise in cinque libri, Napoli, 1702; lib. Ipp. 21-22. Riportato anche in Armando Mancini, LaStoria di Atina. Raccolta di scritti vari, 2a edi-zione, Sala Bolognese, 1994; pp. 257-258.27. Verg., Aen. VII 630. (Publio VirgilioMarone, Eneide).28. M. Candidi Dionigi, op. cit. foglio 55.29. A. Mancini, La Storia di Atina…, op.cit. p. 1256.30. Silvio Elisena, Atina dalle sue origini allacaduta dell’Impero Romano, tesi di laurea,manoscritto del 1906. Edizione integrale inHistoria XVIII, Centro di Studi Storici“Saturnia”, Atina, 2008.- AA. VV., Atina Potens, Roma, 1928.31. Eugenio Maria Beranger e AntonioSorrentino, La cinta muraria di Atina, Sora,1979.- Torquato Vizzaccaro, Atina e Val diComino, Cassino, 1982; pp. 72-81.- Giovanna Rita Bellini, Atina. Il sistemadifensivo, pp. 22-26 in Centri fortificati delLazio Meridionale. Vicalvi, Atina, S. EliaFiumerapido, S. Vittore del Lazio, Historia I- Centro di Studi Storici “Saturnia”, Atina ,1989.- A. Mancini, La Storia di Atina…, op. cit.1994. - A. Mancini, La Storia di Atina. Raccolta di

scritti vari, 2a edizione - Parte II, Formia,2004.- Vincenzo Orlandi, Le mura poligonali diAtina. Contributi, pp. 24-40 in Atti 1o

Convegno Popoli dell’Italia Antica - Gentesfortissimae Italiae - Samnium, Latium etCampania - Storia, Archeologia eNumismatica, in HISTORIA V, Centro di StudiStorici “Saturnia”, Atina, 2000.- Massimo Lauria, L’urbanistica romana diAtina nella continuità con l’insediamento for-tificato sannitico. Nuove acquisizioni per laforma urbana, pp. 167-187 in AA. VV.,Dalle sorgenti alla foce. Il bacino del Liri-Garigliano nell’antichità: culture contattiscambi, a cura di Cristina Corsi e EugenioPolito, atti del convegno Frosinone-Formia10-12 novembre 2005, Roma, 2008. 32. A. Mancini, La Storia di Atina…, op.cit. 1994, pp. 890-892.33. Paolo Sommella, p. 28 in AA. VV.,La Ciociaria Storia Arte Costume, Roma,1972.34. Sabatino Moscati, Nuove passeggiatelaziali, Roma, 1983; p. 219.35. Liv., IX 24. (Tito Livio, Storia di Roma). 36. Eugenio Maria Beranger, La cinta mura-ria di Sora nel quadro delle fortificazioni inopera poligonale della Media Valle del Liri,Sora, 1981.- Marcello Rizzello, I problemi dell’urbanisti-ca di Sora in epoca romana, pp. 47-81 inBiblioteca di Latium 2, ISALM Anagni,1986.- Alessandra Tanzilli , Antica topografia diSora e del suo territorio, Isola del Liri, 1982.- Stefania Mezzazappa, La forma della cittàdi Sora e i suoi santuari, pp. 99-126 inSantuari e luoghi di culto nell’Italia antica -ATTA 12, Roma, 2003.- Alessandra Tanzilli, museo della mediavalle del liri sora, Isola del Liri, marzo2009.37. “Verulo, di Turno fratello, un tempo altat’eresse” affermava Sulpizio Verulano traQuattro e Cinquecento.38. Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli,Ricerche di topografia per la forma urbana diVeroli, pp. 157-224 in Città e monumentinell’Italia antica - ATTA 7, Roma,1999.39. Giovanni Maria De Rossi, Lazio meridio-nale, Roma, 1980; p. 213.40. Angelo Pantoni, L’Acropoli diMontecassino e il primitivo monastero diSan Benedetto, Montecassino, 1980.41. Settimio Boezi: Porta recentementescoperta nelle mura di Alatri, pp. 217-219in AA. VV., Società Romana di Storia Patria.Bollettino della Sezione per il LazioMeridionale - II, Anagni, 1953.42. Benedetto Catracchia: Recenti rinveni-menti archeologici e lavori per la conserva-zione dei monumenti ferentinati, pp. 213-217 in AA. VV., Società Romana di StoriaPatria. Bollettino della Sezione per il LazioMeridionale - II, Anagni, 1953.

studi di Silvio Elisena e l’opu-scolo del 192830 occorrerà at -tendere più di cinquant’anniperché altri autori torninoapprofonditamente sull’argo-mento.31 Oggi si conosce abba-stanza di questo grande com-plesso, anche grazie alle misu-razioni puntuali, pubblicate dalMancini32; quello che però stupi-sce sono appunto le dimensioni[…], sia nello sviluppo linea-re, che diversi studiosi locali sti-mano potesse superare nellasua massima estensione benoltre i dieci chilometri, sia nel-l’area compresa intra moenia,la quale parrebbe raggiungere i110 ettari, quindi ben piùampia delle dimensioni di uncentro abitato antico!Altra città che ha avuto un pas-sato importante nel territorio èSora. In verità qui i terremoti(come del resto ad Atina)hanno causato molti crolli, marestano a tutt’oggi i segni chia-ri di un notevole apparato mili-tare, potenziato tra l’altro nelMedioevo e nel Rinascimento.Sin dal 1972 Paolo Sommellaaveva evidenziato la fortevalenza strategica del sito:“Appare certo che uno dei capi-saldi dell’irradiamento volscolungo la Ciociaria fu Sora,posta allo sbocco dell’alta valledel Liri nel punto in cui tre diret-trici si aprono alla penetrazio-ne: verso il frusinate, attraver-so l’Amaseno ernico; nellazona fregellana, per mezzodell’ultimo tratto del Liri primadell’incontro col Sacco; neldistretto metallifero delleMainarde con passaggio nellavalle di Atina”.33 Ma SabatinoMoscati scriveva ancora nel1983: “V’era una fitta nebbia,sulla storia più antica di Sora:un pò come quella che si leva,in certe mattine d’inverno,

dalle acque del suo fiume, ilLiri. E di diradare quella nebbiav’era poca speranza; se infatti isuccessivi terremoti hannoabbattuto le costruzioni moder-ne, si poteva dire, come avreb-bero risparmiate quelle anti-che? Ma su questo non erava-mo nel giusto: sia perché i muridi un tempo sono spesso piùsolidi di quelli moderni, sia per-ché esistono antichi scrittoriche suggeriscono come trovarli,a chi sappia studiare e abbiabuone gambe per affrontare ilcammino”.34

Leggendo Tito Livio35 sappiamodell’assedio romano nel 314a.C. riuscito solo grazie all’aiutodi un traditore; e salendo poicon “buone gambe” sul colle diSan Casto e Cassio – o comesignificativamente gli abitanti diSora chiamano il luogo: LaCivita – scopriremo sin dall’ini-zio del percorso, sul fianco dellachiesa di S. Antonio Abate, igrandi blocchi di una cinta chedoveva essere piuttosto lunga.In effetti le ricerche effettuatesul finire del Novecento e neiprimi anni di questo secolo36

hanno portato a definire untracciato abbastanza completodelle mura che, partendo dallesponde del Liri si snodano,alternandosi ai dirupi rocciosinaturali, lungo la forma allun-gata del colle, fino a ridiscende-re verso il fiume nel versantenord-orientale. Dall’Ottocentoinvece ci resta soltanto un rarodisegno, eseguito da WilliamGell nel 1831.Al pari di Atina e Sora ancheVeroli era fuori dei percorsi piùfrequentati dai viaggiatori otto-centeschi. Cosicché della cintache sale fino a San Leucio (aquasi 600 m. s.l.m., con unavisuale aperta a 360°),37 scan-dita dalle torri medievali e dalle

12. La cinta sul MonteSambucaro, sopra SanVittore del Lazio.13. Resti sotto il MuseoArcheologico di Sora.14. Una probabile basisvillae in località Schiavia,nel territorio di Trevi delLazio. 15. Muro inlocalità Brecceto, sullosfondo Veroli. 16.Basamento in contrada S. Giorgio a Vicalvi.

aperture di tre posterule, abbia-mo pochissime immagini d’epo-ca; tra cui le foto di ThomasAshby conservate alla BritishSchool at Rome e quelle diGiuseppe Marchetti Longhi(ISALM). Solo a tempi relativa-mente recenti risalgono poi lericerche sull’antica forma urba-na della cittadina,38 ed oltremo-do recente è la sistemazionemuseale che permette la visio-ne di pareti in poligonale ritro-vate sotto il Palazzo Comunale.E pensare che Veroli insieme aFerentino ed Alatri già “sulloscorcio del VI sec.”39 era entra-ta a far parte della Confe de -razione Ernica capeggiata daAnagni.Un luogo invece frequentatissi-mo, del quale però in diversinon avranno forse notato levestigia più antiche, è Mon -tecassino. Scriveva nel 1980don Angelo Pantoni, per cin-quant’anni monaco nell’Ab ba -zia: “La scarsezza d’acqua, cheinvece sgorga da abbondantisorgive ai piedi della monta-gna, non permise mai lo stabi-lirsi di un centro montano diqualche consistenza sulla suacima, o nei suoi paraggi, masolo un’acropoli o fortezza-san-tuario, collegata con muraglieal centro a valle, ove sorse poiCassino. Si trattava, come inaltri casi analoghi, di acropolicon funzioni di culto e di rifugioin occasione di guerre”.40 Quan -do San Benedetto vi giunse, nel

529, sul Monte erano soltantoi resti di quell’antico insedia-mento, e sopra quanto rimane-va del pagano tempio di Apolloiniziò con il costruire una chiesaed un oratorio, prime compo-nenti di un organismo architet-tonico che sarebbe cresciuto indimensioni ed importanza, finoa diventare il centro del mona-chesimo occidentale. Ma anco-ra oggi, arrivando in cima, sinotano tratti del recinto del-l’arx, mentre alla base dellavasta facciata, sulla destra del-l’ingresso principale, sono incor-niciati da un’arco i massi poli-goni di quello che era stato ilbasamento del tempio…

Oltre a tali centri – che potrem-mo definire principali – hannocomunque una loro attrattivaanche i luoghi dove le realizza-zioni si mostrano meno com-plesse, o non così ben conserva-te o ancorché “vissute” […].Rimane la certezza che nontutto è stato ancora scoperto, enon dovrebbero mancare ulte-riori sorprese future. Si può in -fatti immaginarlo, consideran-do che di non pochi terrazza-menti e cinte siamo venuti aconoscenza solo negli ultimidecenni o ricordando come duetra le posterule più belle, quelladetta “Porta San Benedetto”ad Alatri41 e quella “pentagona-le” a Ferentino42, siano stateriportate in piena luce solo agliinizi degli anni ’50!

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