Sommario 18/2006 Mission - FeDerSerDDa parte nostra centrale è tenere fede all’impegno di...

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La relazione al Parlamento sul fenomeno droga presentata a fine giugno, tra tante interessanti previsioni fotografa una certezza: su una stima di 350.000 persone meritevoli di cura nel nostro paese per uso di sostanze dagli oppiacei alla cocaina, ben 200.000 sono già seguite dai Ser.T. I Ser.T. vedono un aumento consistente di cocainomani in trattamento e anche il problema del poliabuso e dell’alcoldipendenza trova nei Servi- zi territoriali il luogo principe dell’accoglienza e della cura. Il tema all’ordine del giorno è lo sviluppo dei Servizi, la loro specializ- zazione e la costruzione di una efficace rete territoriale di intervento con tutti gli altri soggetti sanitari e sociosanitari. In recenti interviste a quotidiani e agenzie stampa nazionali ho potuto illustrare la mission e i risultati raggiunti in ormai trent’anni di vita dei Ser.T. in Italia ed anche le reali difficoltà dei Servizi. Il fatto non è irrilevante, ed è inconsueto. Che vi sia un nuovo interesse per il sistema di intervento? Le prime azioni del Ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero, che valorizzando l’incontro con la nostra Federazione, ha affermato come fosse logico sentire subito i dipendenti pubblici, del SSN, per valutare lo stato dell’intervento e proporre una legislazione nuova nel settore, e il proposito annunciato dalla Ministra della Salute Livia Turco di fare una ricognizione della realtà dei Ser.T. e delle Comunità, unitamente agli operatori e alle Regioni, vanno nella giusta direzione. Non concordo con chi già evidenzia immobilismo, ritardi e delusione: gli operatori hanno ormai la memoria lunga e non credo sia utile fare la conta dei giorni di insediamento del Governo per valutarne i risultati. Nel campo dell’intervento antidroga importante è partire con il piede giusto; i prossimi mesi ci diranno se i fatti saranno congrui con le pre- messe. 18/2006 Sommario M ission PERIODICO TRIMESTRALE DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEGLI OPERATORI DEI DIPARTIMENTI E DEI SERVIZI DELLE DIPENDENZE Anno V - II trimestre 18/2006Mission.................................................................................................................. 1 Ancora sul sistema dei Servizi: uno sguardo sulla realtà Alfio Lucchini 1 AREA EPIDEMIOLOGICA Il Sistema Informativo Nazionale Dipendenze Pietro Fausto D’Egidio 3 AREA PREVENZIONE La prevenzione delle Tossicodipendenze e la cultura dell’eccesso. Note sparse dal Congresso di Pescara Pietro Fausto D’Egidio 6 NOTIZIE IN BREVE Dipendenze e mentoring 14 Ceref - Corso di perfezionamento in Clinica delle Dipendenze 21 AREA ANTROPOLOGICA, CULTURALE E SOCIALE Evoluzionismo e prevenzione Maurizio Fea 15 AREA CLINICA Doppia diagnosi: disturbi bipolari e disturbo da uso di sostanze Giuseppe Maina e Virginia D’Ambrosio 20 Efficacia del trattamento metadonico sul controllo dei sintomi psicotici sottosoglia nei tossicodipendenti G. Di Petta, V. D’Auria, G. Sirico, G. Liguori et al. 31 Riabilitazione alcologica: il modello dell’Ospedale S. Marta di Rivolta d’Adda G. Cerizza, E. Battistini, P .Rapuzzi, P. Ranalletti 47 AREA FARMACOLOGICA- TOSSICOLOGICA Quali farmaci sono stabilizzatori dell’umore? Giuseppe Maina, Umberto Albert, Virginia D’Ambrosio 22 AREA ORGANIZZATIVA MANAGERIALE Uno studio esplorativo sul case management Giuseppe De Luca e Alfio Lucchini 36 AREA RIDUZIONE DEL DANNO Tossicodipendenza e riduzione del danno. Una ricerca al Ser.T. di Bergamo Barbara Cavarzan e Andrea Noventa 41 FeDerSerD/FORMAZIONE Congresso FederSerD Lazio 51 Convegno FeDerSerD-SITD Piemonte 52 Congresso FeDerSerD Campania 52 RECENSIONE 52 FeDerSerD/ORGANIZZAZIONE Comunicato stampa di FeDerSerD del 31 maggio 2006 56 Ancora sul sistema dei Servizi: uno sguardo sulla realtà FrancoAngeli

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La relazione al Parlamento sul fenomeno droga presentata a fine giugno,tra tante interessanti previsioni fotografa una certezza: su una stima di350.000 persone meritevoli di cura nel nostro paese per uso di sostanzedagli oppiacei alla cocaina, ben 200.000 sono già seguite dai Ser.T. I Ser.T. vedono un aumento consistente di cocainomani in trattamento eanche il problema del poliabuso e dell’alcoldipendenza trova nei Servi-zi territoriali il luogo principe dell’accoglienza e della cura. Il tema all’ordine del giorno è lo sviluppo dei Servizi, la loro specializ-zazione e la costruzione di una efficace rete territoriale di interventocon tutti gli altri soggetti sanitari e sociosanitari.In recenti interviste a quotidiani e agenzie stampa nazionali ho potutoillustrare la mission e i risultati raggiunti in ormai trent’anni di vita deiSer.T. in Italia ed anche le reali difficoltà dei Servizi. Il fatto non è irrilevante, ed è inconsueto. Che vi sia un nuovo interesseper il sistema di intervento?Le prime azioni del Ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero, chevalorizzando l’incontro con la nostra Federazione, ha affermato comefosse logico sentire subito i dipendenti pubblici, del SSN, per valutare lostato dell’intervento e proporre una legislazione nuova nel settore, e ilproposito annunciato dalla Ministra della Salute Livia Turco di fare unaricognizione della realtà dei Ser.T. e delle Comunità, unitamente aglioperatori e alle Regioni, vanno nella giusta direzione.Non concordo con chi già evidenzia immobilismo, ritardi e delusione:gli operatori hanno ormai la memoria lunga e non credo sia utile fare laconta dei giorni di insediamento del Governo per valutarne i risultati.Nel campo dell’intervento antidroga importante è partire con il piedegiusto; i prossimi mesi ci diranno se i fatti saranno congrui con le pre-messe.

18/2006Sommario Mission

PERIODICO TRIMESTRALE DELLA FEDERAZIONEITALIANA DEGLI OPERATORI

DEI DIPARTIMENTI E DEI SERVIZI DELLE DIPENDENZE

Anno V - II trimestre

18/2006•Mission..................................................................................................................1

Ancora sul sistema dei Servizi:uno sguardo sulla realtàAlfio Lucchini 1

AREA EPIDEMIOLOGICA

Il Sistema Informativo Nazionale DipendenzePietro Fausto D’Egidio 3

AREA PREVENZIONE

La prevenzione delle Tossicodipendenzee la cultura dell’eccesso.Note sparse dal Congresso di PescaraPietro Fausto D’Egidio 6

NOTIZIE IN BREVE

Dipendenze e mentoring 14Ceref - Corso di perfezionamentoin Clinica delle Dipendenze 21

AREA ANTROPOLOGICA,CULTURALE E SOCIALE

Evoluzionismo e prevenzioneMaurizio Fea 15

AREA CLINICA

Doppia diagnosi: disturbi bipolarie disturbo da uso di sostanzeGiuseppe Maina e Virginia D’Ambrosio 20Efficacia del trattamento metadonicosul controllo dei sintomi psicoticisottosoglia nei tossicodipendentiG. Di Petta, V. D’Auria, G. Sirico,G. Liguori et al. 31Riabilitazione alcologica: il modellodell’Ospedale S. Marta di Rivolta d’AddaG. Cerizza, E. Battistini, P .Rapuzzi,P. Ranalletti 47

AREA FARMACOLOGICA-TOSSICOLOGICA

Quali farmaci sono stabilizzatori dell’umore?Giuseppe Maina, Umberto Albert,Virginia D’Ambrosio 22

AREA ORGANIZZATIVAMANAGERIALE

Uno studio esplorativo sul case managementGiuseppe De Luca e Alfio Lucchini 36

AREA RIDUZIONE DEL DANNO

Tossicodipendenza e riduzione del danno. Una ricerca al Ser.T. di BergamoBarbara Cavarzan e Andrea Noventa 41

FeDerSerD/FORMAZIONE

Congresso FederSerD Lazio 51Convegno FeDerSerD-SITD Piemonte 52Congresso FeDerSerD Campania 52

RECENSIONE 52

FeDerSerD/ORGANIZZAZIONE

Comunicato stampa di FeDerSerD del 31 maggio 2006 56

Ancora sul sistema dei Servizi:uno sguardo sulla realtà

FrancoAngeli

18/2006•Mission.................................................................................................................2

PERIODICO TRIMESTRALE DELLA FEDERAZIONEITALIANA DEGLI OPERATORI DEI DIPARTIMENTI E

DEI SERVIZI DELLE DIPENDENZE

www.federserd.it

FrancoAngeli

ANNO V, 2006 - N. 18

Proprietà: Fe Der Ser D

Sede legaleVia Giotto 3, 20144 Milano

Comitato di DirezioneRoberta Balestra, Emanuele Bignamini,Alessandro Coacci, Bernardo Grande,Alfio Lucchini, Luciana Bacci,Roberto Cataldini, Antonio d’Amore,Pietro Fausto D’Egidio, Donato Donnoli,Maurizio D’Orsi, Maurizio Fea,Guido Faillace, Claudio Leonardi,Raffaele Lovaste, Ezio Manzato,Norberto Pentiricci, Roberto Pirastu,Edoardo Polidori, Gianna Sacchini,Giorgio Serio

Direttore scientificoAlfio Lucchini

Comitato di RedazioneMaurizio Fea, Vincenzo Marino, Laura Tidone,Giovanni Strepparola, Cinzia Assi

Sede operativa e Redazione MissionVia Martiri della Libertà 21, 20066 Melzo (Mi), tel. [email protected]

Direttore responsabile: Franco Angeli

Progetto grafico: Elena Pellegrini

Stampa: Mecenate LitoGrafica, via Lazio 16, S.Giuliano Milanese (Mi)

Copyright by FrancoAngeli s.r.l. MilanoPoste Italiane Spa - Sped. in Abb. Post. - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1 - DCB Milano Autorizzazione Tri-bunale di Milano n. 131 del 6 marzo 2002

Chiuso in redazione il 20 agosto 2006

Edizione fuori commercioTiratura: 6.500 copie

Mission Ma devo dire che sono lavori come quello sul Sistema InformativoNazionale Dipendenze che segue in questo numero che mi fanno sen-tire il senso di presiedere una organizzazione come FeDerSerD. A benguardare e leggere, nell’articolo di Fausto D’Egidio sono infatti racchiu-se le potenzialità e le criticità della attuale realtà dei Servizi pubblici perle tossico ed alcol dipendenze.Nel numero 17 di Mission con una nota riferita al sistema SIND, signi-ficammo l’interesse che volevamo dare a questo tema. Cari colleghi, nel recente incontro con il Ministro Paolo Ferrero, delquale in altra parte della rivista pubblichiamo il comunicato stampa,abbiamo sottolineato la necessità di formalizzare un centro di riferi-mento nazionale di epidemiologia clinica valorizzando le competenzedel CNR. Questo semplice lavoro mi conforta sulla bontà della proposta.Variabili sono i sentimenti che si mescolano guardando i dati fornitidai colleghi dei Ser.T. e prima ancora le premesse sullo stato delsistema.Un quinto dei Ser.T. non ha la posta elettronica, e se guardiamo allerisposte fornite non è lontano dal vero affermare che almeno un altroquarto dei Servizi abbia sistemi informatici del tutto inutilizzabili.Dissi in una intervista che i Ser.T. operativi ai sensi di legge, in Italia nonsono 550, ma al massimo 300, 1 ogni 200.000 abitanti.Mi riferivo ai criteri usuali di accreditamento, in particolare alla veraaccessibilità per gli utenti; forse sono stato ottimista.Le osservazioni dei colleghi, alcune delle quali vengono pubblicate(con la scelta di mettere le iniziali dei nomi, pur in presenza di tutte ledichiarazioni regolarmente firmate) permettono di entrare nel piatto dialtri tipi di problemi.I temi della regionalizzazione, delle strategie aziendali, della scarsaconsiderazione del lavoro clinico e sociale.Tutti temi sui quali si misura la capacità di tenuta dei Servizi e la possi-bilità di sviluppare Servizi qualitativamente rilevanti, a condizione chesiano potenziate le risorse. A tale proposito appare plausibile ed eticamente giustificato, avanzarela proposta di reperire le risorse necessarie ad incrementare la quota delfondo sanitario per le dipendenze al 1.5%, anche utilizzando parte degliintroiti derivanti dalle tasse sugli alcolici e dai proventi dei giochi gesti-ti dalle aziende di Stato e dai casinò municipali. Da parte nostra centrale è tenere fede all’impegno di valorizzare in ognisede il patrimonio tecnico, scientifico, culturale rappresentato dai pro-fessionisti del Servizio pubblico e del privato professionale e continua-re a costruire, partendo dall’attualissimo tavolo di Alta Integrazione, retiassociative, istituzionali, di soggetti interessati alle politiche sulla drogain Italia.

Alfio Lucchini Presidente FeDerSerD

Milano, 20 agosto 2006

EDITORIALE

18/2006•Mission...............................................................................................................................................................................................3

Nel mese di marzo 2006 FeDerSerD ha informato con una mailtutti i servizi italiani del tavolo di lavoro costituitosi a Roma acura del Ministero della Salute e delle Regioni per la realizza-zione del “Sistema Informativo Nazionale Dipendenze”(SIND), parte del “Nuovo Sistema Informativo Sanitario” (NSIS)http://www.ministerosalute.it/nsis/nsis.jsp.Un punto cruciale ci è subito apparso quello di avere una infor-mazione un po’ meno aneddotica rispetto alla possibilità attua-le dei servizi di attivare in maniera efficace una raccolta di infor-mazioni per singolo paziente. I dati classificati e codificati in modo omogeneo e le metodolo-gie condivise sono gli elementi comuni del Nuovo Sistema Infor-mativo Sanitario (NSIS) che rappresenteranno i “Mattoni delSSN” http://www.ministerosalute.it/nsis/pgServizi.jsp?area=mat-toni&language=italiano.La sua corretta e concreta realizzazione contribuirà a dare visi-bilità e riconoscimento al nostro lavoro quotidiano. Rappresentaquindi un progetto importante per il sistema dei servizi per ledipendenze in Italia e noi dobbiamo impegnarci affinché sia por-tato a compimento e bene.Uno degli elementi critici è la fattibilità del SIND in rapporto aidati che verranno richiesti ai servizi e come questi dati sarannoin grado di “servire”, “di essere utili” a chi li ha prodotti.Nella prima riunione è stato proposto di avere come punto diriferimento la “Tabella Unica delle prestazioni socio-sanitarie”prodotta nell’ambito del Progetto SESIT. Si tratta di sostituire le informazioni aggregate che siamo abitua-ti a fornire con le tabelle ministeriali Ann. e Sem. con informa-zioni specifiche per ciascuno dei nostri pazienti. È un notevolepasso avanti che dobbiamo fare cercando di capire “quantolungo” questo passo potrà essere.Per questo motivo abbiamo pensato di fare, in via preliminare,un velocissimo sondaggio per sapere in quanti Ser.T. in Italia èconosciuta la “Tabella Unica delle prestazioni socio sanitarie”prodotta nell’ambito del Progetto SESIT, quanti l’hanno già inuso e quanti prevedono di implementarla entro 12 mesi. In Italia ci sono 546 Ser.T. Di 112 servizi non siamo riusciti a trovare l’indirizzo mail e 108servizi hanno risposto. La distribuzioni per Regione delle rispo-ste è illustrata nel grafico 1. Quasi tutte le regioni hanno parte-cipato all’indagine, mancano Valle D’Aosta, Trentino Alto Adige,Umbria.Solo il 34% dei servizi (grafico 2) che hanno risposto indicano sialla prima domanda, 17 alla seconda e 25 alla terza.È plausibile ritenere che le percentuali di risposte positive scen-dano tra chi non ha risposto e si azzerino tra coloro che nonhanno nemmeno un indirizzo e-mail.

Questi dati hanno suggerito di essere molto attenti nel tenere inconsiderazione quelle che sono le possibilità dei servizi nell’im-plementare in maniera credibile il Nuovo Sistema InformativoNazionale per le Dipendenze (SIND). Si deve ritenere che in molte realtà siano necessarie comunquerisorse aggiuntive per ottenere i risultati desiderati e che comun-que possa essere utile avviare un percorso “a campione” nonpensando di poter attivare in tempi rapidissimi il nuovo sistemain tutti i servizi italiani.Un elemento sostanziale su cui c’è stato un accordo unanime èche il SIND non intende in alcun modo retroagire su quanto giàdisponibile a livello locale. Gli aspetti definiti condivisi nel corso degli incontri hanno valenzaesclusivamente per la costruzione del livello nazionale del SIND. Gli incontri del Gruppo di Lavoro sono stati finalizzati alla con-divisione del patrimonio informativo da raccogliere e delle con-nesse regole.

AREA EPIDEMIOLOGICA

Il Sistema Informativo Nazionale DipendenzePietro Fausto D’Egidio*

* Segretario esecutivo nazionale di FeDerSerD.

Graf. 1 - Numero di servizi che hanno partecipato alla indagine sud-divisi per regione

Graf. 2 - Risposte

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Per maggiori dettagli circa gli aspetti più strettamente “informa-tici” del SIND, è necessario attendere la conclusione della fasedi realizzazione dell’applicativo, a valle della quale, sarà pro-dotta un’apposita documentazione che consentirà alle Regionidi predisporre i dati secondo le regole convenute.Addentrandoci ad un livello più di dettaglio possiamo porre inrilievo alcuni elementi.Nel tracciato SET-SESIT, così pieno di tantissime informazioniche hanno e dovrebbero essere trattate per ranghi diversi diimportanza, manca una informazione essenziale che, abbiamosuggerito, dovrebbe essere aggiunta alla stessa e quindi anche almodello dati SIND: la diagnosi che si formula per il paziente. Non è corretto definire nella tabella della patologia concomi-tante il “codice della patologia psichiatrica (DSMIV-R)”. Le cate-gorie di diagnosi del manuale citato, definite su 5 assi – e quin-di abbisognevoli di campi adeguati – sono sufficienti per descri-vere la patologia primaria e quella concomitanteI tracciati proposti dal modello dati SIND appaiono corretti, conuna buona coerenza interna, non ridondanti. Rispetto ad alcune realtà operanti nel Paese ci potrà essere chisottolinea qualche piccola difformità rispetto, per esempio, alcodice finalità o al dosaggio medio, ma queste sono cose dipoco conto.Alla conclusione dei lavori, l’8 giugno, si è addivenuti ad unastruttura condivisa del SIND che presenta molti pregi. Primo tra tutti si è riusciti a raggruppare in soli 13 gruppi omo-genei le prestazioni erogate nei nostri servizi. Questo renderà molto più agevole nella operatività pratica laraccolta delle prestazioni. Inoltre non bisognerà documentareanaliticamente ogni singola prestazione, ma si indicherà in uncampo il numero di micro-prestazioni effettuate nell’ambito delgruppo omogeneo di prestazioni erogate nel periodo compresotra le date di “inizio gruppo di prestazioni omogenee” e “chiu-sura gruppo di prestazioni omogenee”.Diversi software in uso, tra cui cito Proteus nella Regione Abruz-zo, potranno agevolmente estrarre i tracciati proposti nel model-lo dati SIND.Per i flussi informativi che afferiranno al SIND con periodicitàannuale, è stato proposto un tracciato che aggreghi le informa-zioni minime necessarie come di seguito rappresentato: infor-mazioni comuni, anagrafica soggetto, esami sostenuti, patologiaconcomitante, contatto, esame all’ammissione, sostanzed’uso/comportamento, gruppi di prestazioni omogenee.Di particolare interesse è la definizione dei gruppi omogenei diprestazioni che sono stati ricondotti a soli 13 item la qual cosasicuramente snellisce di molto le possibilità di raccolta delleinformazioni.

1. Relazioni sul caso, prescrizioni e certificazioni. Comprendele diverse relazioni sul caso prodotte per l’esterno, le relazioni suinvii, segnalazioni ed altre relazioni a fini giudiziari, le certifica-zioni e la produzione di tutti quegli atti rilasciati al paziente o adaltri autorizzati, per gli usi consentiti dalla legge, ed il rilascio diricetta, impegnativa o prescrizione esami senza visita. 2. Visite. Comprende la visita di accoglienza, la prestazione diprima valutazione diagnostica dal punto di vista medico, alcolo-gico, tossicologico, per patologie organiche alcool correlate,infermieristico, controlli di monitoraggio, anche al domicilio.Rientra sotto questa voce anche il tempo relativo all’aggiorna-mento della cartella clinica per la visita. 3. Colloqui. Comprende il colloquio di accoglienza, il colloquiodi counselling psicologico, sociale, la prestazione di prima valu-tazione diagnostica dal punto di vista psicologico, sociale, con-

trolli di monitoraggio anche al domicilio. Rientra sotto questavoce anche il tempo relativo all’aggiornamento della cartella cli-nica per il colloquio.4. Esami e procedure cliniche. Comprende l’esecuzione di pre-lievi ematici, biologici, la raccolta di campioni urinari, l’attivitàdi richiesta e di registrazione degli stessi e l’esecuzione di mano-vre cliniche ed esami strumentali.5. Somministrazione farmaci e vaccini. Somministrazione diret-ta di farmaci, consegna di terapia per il domicilio, compresa laregistrazione, il carico e lo scarico. Esecuzione diretta della vac-cinazione e la programmazione ed il controllo degli esami. 6. Interventi psicoterapeutici. Comprende interventi psicotera-peutici sull’individuo, sulla famiglia o sulla coppia (comprendeanche psicoterapia di gruppo ristretto, allargato, familiare, multifamiliare ecc.). 7. Interventi socio/educativi. Comprende interventi di assisten-za ai gruppi di auto-aiuto (altri interventi socio-educativi chenon rientrano nelle altre voci). 8. Test psicologici. Comprende la somministrazione con valuta-zione di test, questionari ed altri strumenti valutativi atti a com-prendere il singolo caso clinico. 9. Attività di supporto generale al paziente. Comprende tuttiquegli atti finalizzati all’approntamento di risorse specifiche perle azioni di reinserimento e supporto sociale del paziente (atti-vità lavorative, ricreative, contributi economici, reperimentoalloggi ecc.). Comprende, inoltre, le attività di accompagna-mento del paziente presso le strutture di diagnosi e cura. 10. Predisposizione/revisione programma terapeutico indivi-duale e negoziazione terapeutica. Riguarda l’elaborazione e lastesura del programma di cura individuale, la predisposizionedella negoziazione terapeutica e le successive attività di revisio-ne delle medesime, con il coinvolgimento dell’utente e della retefamiliare/sociale che lo supporta. 11. Prestazioni alberghiere. Comprende la fornitura di pasti,alloggio, attrezzature e sanitari per l’igiene personale e lavande-ria, coperte e biancheria letto12. Prestazioni straordinarie di carattere economico. Compren-de l’eventuale erogazione ai non abbienti di beni per la cosme-si e l’igiene personale, sigarette, farmaci o integratori alimentarinon a carico del SSN, vestiario, alloggiamento extrastruttura,spese per viaggi, per procedimenti legali, per piccole spese pertempo libero/cultura, ecc.13. Inserimento in Comunità. Riguarda l’inserimento del sog-getto in Comunità.

Sempre di più riscontriamo l’utilità dei commenti dei colleghi,che hanno il vero polso della situazione nei servizi, in una spe-cie di brainstorming.Riportiamo quindi alcuni commenti significati dei colleghi chehanno partecipato all’indagine conoscitiva di FeDerSerD sullastringa SET-SESIT.

F.G. - LombardiaEgregio collega, la auspicabile e utile iniziativa di rendere omo-genea e moderna la rete dei sistemi informativi cozza, letteral-mente, con la situazione di degrado e di abbandono nella qualevarie sedi, compresa la mia, versano da tempo e con prospettivepiù vicine al peggioramento che non ad un miglioramento. Bastipensare ai vari vincoli aziendali che impongono agli operatori dilavorare dovendosi quasi sentire in colpa quando si fermano alSer.T. un’ora in più, perché le regole dell’orario di servizio nonprevedono eccezioni, o quasi; alle varie carenze, strutturali, diorganico, di approvvigionamento di materiali di comune uso per

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un Ser.T. (bicchieri e provette, per esempio) che obbligano adestenuanti trattative con le UO Complesse competenti per otte-nere quanto richiesto. Questo succede alle porte di Milano e non è uno sfogo momen-taneo di un medico che dal ‘94 lavora nei Ser.T., è una situazio-ne che andrebbe monitorata da Federazioni come la Vs affinchési potesse essere riconosciuti validi e rispettabili interlocutori difronte a delle controparti che, in realtà, non dovrebbero esseretali (alludo alle direzioni dei Distretti sanitari dai quali dipendo-no molti Ser.T. e alle Direzioni dei Dipartimenti delle Dipen-denze) che, proprio per la organizzazione aziendale vigente,tendono ad abbandonare i Ser.T. territoriali delegandone ognitipo di gestione ai Distretti e ricordandosi di questi Servizi soloquando ne vanno prelevati gli operatori per farli partecipare aiprogetti regionali con 50-60 ore di supervisione in un bimestre.Pertanto, va bene, modernizziamoci con la rete informatica (cheperaltro è un altro tema di deludente bilancio viste la qualità ela quantità della dotazione informatica). Io mi rendo conto cheVoi Direttori Dipartimentali abbiate un ruolo difficile e delicatoma prima di mettere mano a queste iniziative modernizzanti esicuramente utili, provate a chiedervi, alle Vs riunioni, se non siaanche il caso di pensare a chi lavora nei Servizi periferici e nonsolo ai loro PC?

A.B. - LombardiaLe prestazioni/codifiche di SESIT andrebbero uniformate al siste-ma informativo CECILIA che in regione Lombardia è ancora infase di sperimentazione.

C.D.C. - AbruzzoCi lascino lavorare in santa pace.

D.C. - Emilia RomagnaEccessivamente laboriosa e poco aderente all’operatività dei ser-vizi.

B.G. - CalabriaSiamo privi di supporti informatici.

A.S. - LazioSono favorevole a questo sistema e potendo disporre di adegua-te risorse lo adotterei.

F.R. - LiguriaMolto utile, ma necessitano tempi adeguati per la messa a punto.

P.G.S. - LiguriaAlcune prestazioni non sono esaustive delle varie voci che finoad ora raccoglievamo con un programma locale; abbiamo ini-ziato da poco ad utilizzare MFP e vorremmo concordare primaa livello Regionale (è prevista una riunione ad hoc a Genova) epoi a livello Nazionale, alcune aggiunte e modifiche sia perquanto riguarda le singole voci che per quanto riguarda gli auto-matismi generati da MFP.

C.E. - LombardiaMancano: sede del servizio idonea e accreditabile, PC e relativicollegamenti internet o intranet.

M.S. - LombardiaPer il momento presso il nostro Servizio viene effettuata solo larilevazione delle prestazioni con invio trimestrale alla RegioneLombardia. Ci sono ancora alcuni nodi non risolti nella rileva-

zione delle prestazioni perché per tutti gli utenti per cui non èstata aperta la cartella clinica, le prestazioni non vengono regi-strate.

E.D. - Trentino Alto AdigeHo importanti perplessità per il rispetto dell’anonimato e per laprivacy.

E.B. - PiemonteAbbiamo altri applicativi che ci soddisfano.

L.M.C. - PiemonteLa maggior parte di tali dati li potremo ricavare dalla nuova Car-tella informatizzata della Regione Piemonte.

G.V. - ToscanaLa struttura della tabella dovrebbe essere predisposta per un usoflessibile che possa rispondere ad ulteriori esigenze locali, di stu-dio e di ricerca.Quella in uso presso la Sezione Dipartimentale da me diretta èstata formulata avendo presente SESIT e quanto espresso.

G.S. - PugliaNel servizio in cui opero sono stati installati i computer da 6mesi, ma vergognosamente!!! Non è possibile attivare il sistema(manca collegamento ad internet e input all’avvio del sistemada parte di chi è preposto a farlo).

Gi.Z. - VenetoÈ esagerata.

Ge.Z. - VenetoÈ un sistema di registrazione delle prestazioni molto valido ecompleto.

R.B. - Friuli Venezia GiuliaLa nostra regione ha aderito al progetto Sesit. Abbiamo decisodi modificare nel 2005 i relativi sistemi di raccolta dati localiper permettere il dialogo ed il confronto tra i sistemi informati-ci. Oggi con la regione stiamo verificando lo stato dell’arte. Lanostra preoccupazione è che il sistema nazionale, che prevedela identificazione del singolo, rischia di trasformarsi in unarchivio dei soggetti tossicodipendenti (e di questi tempi direiche qualche preoccupazione bisogna averla). Per tutti questimotivi bisognerebbe dedicare al tema qualche specifica rifles-sione.

A conclusione penso che un impegno importante dovrà esserequello di promuovere nei servizi l’importanza del progettoSIND, sollecitare le amministrazioni a fornire ai servizi quantonecessario in termini di materiali e di personale e supportare icolleghi nella implementazione delle nuove procedure.

Per contribuire ad ottenere questo risultato FeDerSerD offretutta la collaborazione, con la nostra rivista, il nostro sito web,la nostra struttura organizzativa e la nostra competenza nellaformazione.

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Il Congresso che abbiamo tenuto a Pescara in maggio su “La pre-venzione delle Tossicodipendenze e la cultura dell’eccesso. Perun cambio di paradigma che coinvolga tutti” è stato il primomonotematico su questo tema organizzato dalla nostra Federa-zione. È stato un successo sia per i contenuti scientifici espressisia per la partecipazione: oltre 450 colleghi (con una prevalenzadi medici e di psicologici, ma anche con una folta rappresentan-za di infermieri, educatori e assistenti sociali) provenienti da tuttele regioni italiane hanno dibattuto i temi proposti e riflettuto sulleiniziative di eccellenza in via di realizzazione in tutta Italia.Il tema della prevenzione delle tossicodipendenze è sempre pre-sente nei dibattiti e nei talk show.Tutti ne parlano come della strada giusta per contrastare l’usodelle droghe ma aspettandosi che “altri” la agiscano.Parlare di prevenzione è difficile e lo dimostra il fatto che pochi,molto pochi sono i congressi che hanno come oggetto la pre-venzione: e le ragioni sono molte.La nostra Federazione ha voluto cimentarsi su un tema difficilecon l’impegno che la contraddistingue organizzando questocongresso nazionale.Ben consapevole che la prevenzione è un contenitore spessousato e anche abusato per descrivere le più diverse iniziative.Ben consapevole che la prevenzione ha un suo dottrinale scien-tifico consolidato e condiviso, che molti gruppi lavorano oltreche sui fattori di rischio anche sui fattori di protezione (colleghiricercatori ne hanno individuati oltre 70). Che esistono dei rife-rimenti scientifici internazionali importanti come le linee guida

del NIDA sulla prevenzione che noi abbiamo già tradotto in ita-liano e divulgato presentandole al nostro ultimo congressonazionale.Questo è stato un congresso molto speciale. Diverso dai conve-gni medici e sanitari a cui siamo abituati perché il tema di cui sioccupa è un tema che riguarda tutte le agenzie sociali.L’Italia è ricca di un patrimonio di esperienze che hanno vistoil protagonismo di molte intelligenze e di molti entusiasmi nelsettore. Esperienze polimorfe e dai contenuti anche moltidistanti.Nel nostro Paese da molti anni molti gruppi si sono cimentati ininterventi di prevenzione e queste molto spesso sono iniziativepregevoli, di qualità, di assoluto spessore, in cui traspare capa-

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La prevenzione delle Tossicodipendenzee la cultura dell’eccesso. Per un cambio di paradigmache coinvolga tutti. Note sparse dal CongressoPietro Fausto D’Egidio*

* Segretario esecutivo nazionale di FeDerSerD.

AREA PREVENZIONE

“Dunque, chi sono?”si chiede un ragazzo, e prosegue “Mi immetto in differenti realtà,alla ricerca dell’assoluto piacere, riscontrando in esse particolari emozioni, che la mia stessa natura contraddice”.

Buongiorno o buonasera che sia, sono un giovane del presente.Facile è giudicare dall’esterno, un po’ più ardua la cosa se si è protagonisti di un periodo non feli-ce per la nuova generazione.È pane quotidiano ascoltare over 60 raccontare le proprie sventure e le proprie sofferenze…La fame, il lavoro in età tenera, lo sfruttamento esagerato, le guerre… Gli stessi argomenti che i nostrigenitori cercano di rinfacciarci ogni giorno, Non è vero che le famiglie non riescono a tamponare que-st’emorragia di divertimento… Ci provano, ma ormai sono diventate comparse di un film che durauna vita. Ci basta vederli in faccia per capire che, con la puntualità di autobus al mattino arriva lasolita romanzina riguardante il più delle volte il loro misero passato… sembra di rivivere ogni giornolo stesso film in un’atmosfera surreale; un dì autunnale con la pioggia scrosciante secca le foglie… checadono a terra.E ogni mattina ho lo stimolo di cambiare la mia vita…

cità, cultura, entusiasmo, inventiva. Molte volte però si esauri-scono allo scadere dei finanziamenti, molto spesso non hanno laopportunità di essere conosciuti. Nascono, brillano e si esauri-scono all’interno di un territorio ristretto. Noi invece crediamoche questo sia un patrimonio di esperienze e una vera risorsa peril nostro paese che deve assolutamente trovare il modo di esse-re conosciuto e valorizzato. La prevenzione deve poter essere lo strumento per fornire all’uo-mo le prospettive positive per un suo reale equilibrio nell’ecosi-stema del pianeta terra.La prevenzione delle Tossicodipendenze ha sedimentato un dot-trinale di riferimento corposo: dalla epidemiologia clinica agliapprofondimenti sulla psicologia dei gruppi e sui cambiamentipsicologici correlati alle mutate dinamiche sociali; dalla struttu-razione progettuale alla valutazione.Oggi si usano droghe, e si comincia ad usare droghe, in dimen-sioni trasversali per età, censo, cultura. E ci si fa più o meno malecon l’uso delle droghe anche in rapporto ai setting di uso e allerisorse personali.Molte dinamiche e motivazioni legate ai nuovi modelli di con-sumo sono comuni ad altre espressioni di quella che abbiamochiamato “la cultura dell’eccesso”.Il rincorrere in maniera convulsa la soddisfazione del piacereriducendo sempre più il tempo del desiderio; il mettersi in giocoin una dinamica sempre più estremizzata, tipica del “tutto onulla”, senza distinguere tra rischio e pericolo; il non accettareil susseguirsi naturale delle stagioni e dei cambiamenti ad essolegati: sempre giovani, sempre sesso, sempre atletici, sempre piùbisognosi di un divertimento incalzante che dia l’unico sensoche ci sembra di poter accettare nella nostra vita e quindi lifting,viagra, doping, droghe.Tutto questo ci allontana sempre più dalla nostra dimensionebiologica. Quella scritta, come dice Boncinelli, nei nostri geni inmaniera praticamente immutata da millenni.

L’uso di droghe si inserisce ormai in una dimensione minutamenteradicata in così tante espressioni della nostra quotidianità che, soloabbracciando questa complessità, possiamo operare quel cambiodi paradigma essenziale per coinvolgerci tutti in quella che abbia-mo fino ad ora chiamato la prevenzione delle Tossicodipendenze.L’educazione alla salute, la promozione dell’agio, la valorizza-zione e la riscoperta di dimensioni di vita più naturali, il rifiutodi essere vittima di un mercato che ci trasforma da soggetti inconsumatori non possono più essere relegati solo ai contestifamiliari e preadolescenziali.Tutte le agenzie sociali, a cominciare dai mass media, e tutti noidobbiamo essere consapevoli che se si comincia a farsi male

con le droghe a 12 o a 45 anni questo dipende anche dai nostrivalori.Convinti di tutto questo abbiamo costruito il nostro congressoembricando due percorsi. Il primo è lo svolgimento di una rifles-sione culturale, congruente nelle varie sessioni, che ruota intor-no alla cultura dell’eccesso. Il secondo percorso è dato dallarappresentazione di un numero selezionato di interventi di pre-venzione svolti in varie regioni del Paese. Per questo abbiamoscelto di costruire per la loro rappresentazione un ampio spazio– che è definito da relazioni, comunicazioni, presentazione diabstract e dalla disponibilità di uno spazio multimediale in cuipoter presentare i tanti materiali prodotti – all’interno di un filoconduttore unico. Nelle mission delle varie sessioni sono stati posti in rilievo unaserie di importanti temi di riferimento.La prevenzione è una dimensione culturale per una lettura fina-listica della realtà complessa degli umani eventi. Ma la preven-zione è anche uno strumento essenziale per cercare di ottimiz-zare le dinamiche relazionali tra gli uomini e per cercare di strut-turare la società a misura d’uomo. La prevenzione attinge a mol-teplici discipline scientificamente accreditate e necessita, per-tanto, in ogni contesto competente, di estremo rigore e consa-pevolezza nell’utilizzo delle risorse, nella definizione dei pro-cessi e nella individuazione dei risultati attesi. In caso contrariorischia di essere un mero esercizio intellettuale. Il concetto di prevenzione in Italia è stato spesso il contenitoredi esperienze troppo polimorfe per potervi ritrovare delle radiciinvarianti. A questo segue una rappresentazione sociale delleprevenzioni tra gli operatori del sistema dei servizi e delle agen-zie sociali del territorio in cui trovano spazio anche le esperien-ze mistiche e quelle caratterizzate da un arido schematismo.Una rappresentazione sociale che ci appare troppo spesso inge-nerosa per una straordinaria quantità di esperienze e di iniziati-ve che hanno fatto crescere cultura e vaste competenze e chetroppo spesso sono misconosciute. Dobbiamo favorire la lorocrescita integrandole con le conoscenze scientifiche acquisitesia in tema di progettazione che di valutazione.Il rapporto tra uomo e droghe nasce dalla scoperta di un benenaturale che si inserisce armonicamente nei vari contesti cultu-rali contribuendo alla evoluzione della “filosofia” e della “medi-cina”. Siamo riusciti a trasformare questo rapporto in un ele-mento di sofferenza, di pericolo e di stigma. I mass media hanno un ruolo sempre più invasivo ed imponen-te nel determinare le modificazioni culturali che vedono il valo-re dell’uomo sempre più legato alla sua capacità di consumareche non, come è stato per millenni, di produrre e di realizzare.La cultura dell’eccesso è quella che alza sempre più il livello

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delle lusinghe e promuove l’incalzare dei consumi in una ricer-ca compulsiva di piacere che riduce sempre più il tempo deldesiderio. E lascia insoddisfatti giovani e adulti chiamati acimentarsi in una relazione sociale che è sempre più governatadalla incertezza del futuro e da una richiesta di flessibilità.I giovani hanno ancora, come sempre nel passato, il bisogno diun mondo adulto di riferimento. Superato il modello patriarcalegli adulti sono sfidati a proporre modelli alternativi significativi esignificanti che non rappresentino una semplice tolleranza inuna ambiguità di affetti.Esiste nella società attuale una tendenza alla anticipazione deidesideri e una spinta al consumo che sposta sempre “oltre” il“bene” che ci appaga davvero. Da ciò nasce un senso di inadeguatezza che in genere non si tra-sforma in un percorso di crescita ma rimane spesso solo comeelemento di disagio.I processi che stanno veicolando le globalizzazioni sociali, eco-nomiche e culturali, sono costellati di molteplici elementi dicomplessità. Gli strumenti essenziali che devono essere utilizza-ti per gestire questi processi sono rappresentati dalle varie formedi integrazione e di mediazione: essi rappresentano la ineludibi-le camera di compensazione di questa difficile transizione chevede il convivere di miriadi di sottoculture. Questi stessi stru-menti rappresentano i veicoli culturali per “la prevenzione” incui tutti debbono sentirsi impegnati.I giovani hanno nelle loro mani le nostre speranze per il futuro.Per essi abbiamo costruito una dimensione sociale complessa,contraddittoria, piena di rischi. Ed in questo humus pieno dilusinghe effimere e di eccessi i ragazzi debbono vivere le tappedi transizione verso il mondo adulto.Per farlo affrontano molti rischi compreso l’uso di droghe. Ed ilmondo adulto fa finta di non vedere, oppure guarda, non capi-sce, è attonito, chiede alle istituzioni di “fare prevenzione” illu-dendosi di abdicare al proprio ineluttabile ruolo di attori e diprotagonisti.

Penso che questo accada soprattutto perché il mondo adultoprima si disinteressa del problema dell’abuso di droghe e se poiquesto tocca la sua famiglia cerca nel suo bagaglio di esperien-ze cosa fare e… ”non trova nulla…”. Allora… chiede agli spe-cialisti.Coloro che usavano le droghe e che tanti anni fa hanno fatto dacavia e ci hanno allenato a fare questo mestiere non ci sono più.Le caratteristiche intrinseche, psicologiche, le motivazioni, ilmodo di essere e di vivere, i setting dei tossicodipendenti deglianni ottanta non esistono più. Conosco e conosciamo insiemepazienti che mai avrebbero toccato la cocaina pur se ne avesse-

ro avuto un grande quantità davanti. Oggi quasi non conoscia-mo pazienti che non usano molte droghe diverse, ma soprattut-to usano contemporaneamente sostanze sedative e sostanzeeccitanti: eroina e cocaina. Concentriamoci su queste. Siamoandati ad interrogarci sul perché di questi cambiamenti. Sicura-mente gioca un ruolo importante l’offerta del mercato, ma sicu-ramente siamo anche di fronte ad un cambio generazionale diobiettivi, di sensazioni, di valori, di desideri e questa nostrariflessione è venuta contemporaneamente con i risultati delleprime indagini che facevamo sulle popolazioni giovanili e che ciaprivano degli orizzonti. A questo punto ci siamo ricordati diKonrad Lorenz e della sua etologia, di come le oche seguonoanche un uomo se l’hanno visto allo schiudersi dell’uovo e quin-di la considerazione che comunque tutti, anche i giovani di oggi,hanno bisogno di un mondo adulto di riferimento. Ma a questopunto si poniamo un altro interrogativo: non sarà che questomondo adulto di riferimento gioca un ruolo importante nei cam-biamenti che osserviamo? Pensiamo di si, come cercheremo didimostrare e conseguentemente riteniamo che uno dei principiguida della prevenzione debba consistere nel rimettere in giocogli adulti.

La nostra società si caratterizza per la pervasività della “cultu-ra dell’eccesso” e siamo andati a rileggere tutta la nostra espe-rienza precedente alla luce di questo nuovo punto di osserva-zione. Un eccesso di cui ci sono migliaia di espressioni anchenel mondo adulto non legato alle tossicodipendenze, quelmondo adulto che poi diventa stampo, marchio, che dà l’im-printing ai giovani. Una cultura dell’eccesso che è diffusa intutto il nostro mondo occidentale e che fa da matrice ai com-portamenti in cui si può leggere questa propensione all’uso didroghe.Molti autori hanno in questo periodo prodotto riflessioni sullacultura dell’accesso, sulla flessibilità, sulla incertezza del futuro,su questo avere valore più che per la capacità di produrre per lacapacità di consumare, su questo bisogno da parte dei venditoridi merci di alzare sempre di più il livello di suggestione per farconsumare sempre di più, sul succedersi incalzante di consumistimolati dal piacere di consumarli. I ragazzi desiderano una cosaè dopo un minuto ce l’hanno; magari ce l’hanno anche prima diaverlo desiderato, lo consumano in brevissimo tempo e poi lolasciano perché c’è subito qualcosa di altro da “consumare”. Renzetti, parlando di stili di vita, sistemi valoriali e comporta-menti a rischio, ha offerto al congresso una serie di stimoli uti-lissimi e molto apprezzati rispetto alla aggressione del sistemamediatico nella coercizione al consumo sfrenato, molto in lineacon i temi della cultura dell’eccesso.

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Circa 8 anni fa la TIM lanciò la rete di telefonia mobile con unoslogan molto indovinato: “A cosa serve un confine? Ad esseresuperato. Oggi quella formula (poi copiata da altre aziende, es.Fernet Branca “liberi da confini”) si è notevolmente “radicaliz-zata” offrendo una promessa enorme: “TIM - vivere senza confi-ni”. L’Adidas da parte sua alimenta la voglia di andare oltre ognilimite con una frase che suona perentoria come un comanda-mento: “Impossibile non è un fatto ma un’opinione”.Mentre la Ford Fiesta ci invita a “liberare” le nostre emozionie l’Alfa Romeo ribadisce che “il cuore ha sempre ragione”,specie quando è governato da un pizzico di follia. La FIAT –all’ultimo salone di Ginevra – ha riesumato una frase del vec-chio Jack Kerouac: “Dobbiamo andare e non fermarci finchénon siamo arrivati. Dove andiamo non so, ma dobbiamo anda-re”. Ma la più sconcertante campagna promozionale è quelladel marchio Aprilia (moto): dopo averci ricordato che “è cosìdisonorevole essere superati” ci mostrano la foto di un moto-ciclista (in realtà addobbato come un guerriero d’altri tempi)che fa harakiri: un enorme spadone nella pancia e sangue chegronda!!!Possiamo sorridere o scandalizzarci, ma poi dobbiamo prende-re in considerazione molto seriamente la pubblicità perché –parafrasando Von Clausewitz – “la pubblicità è la continuazionedella guerra con altri mezzi”, nel senso che è una variante del-l’arte della conquista e della sottomissione. Non a caso, il bilan-cio annuale della pubblicità supera i 500 miliardi di dollari. Edè il secondo bilancio mondiale, dopo quello della guerra –appunto – che è di 800 miliardi di dollari (Serge Latouche – D:4 marzo 2006).Da sempre, i messaggi pubblicitari ci invitano a sfidare l’imma-ginabile, oggi promuovono una soluzione vincente: per vivere inmaniera soddisfacente – nel lavoro o nel tempo libero – dobbia-mo adottare protesi ad alto contenuto tecnologico e rimedi chi-mici dall’effetto dopante. Dunque, tutto diventa possibile se daispazio alla tecnologia. La tecnologia è un treno che non preve-de fermate, senza pause riflessive e valutazioni critiche, e noisiamo lì, lungo i binari, passeggeri ansiosi, terrorizzati all’idea dirimanere a piedi e disposti dunque a saltar su ad ogni costo. Efino a dove possiamo spingerci? Facciamo una rapida carrellatadi notizie rubate dai giornali.Nicholas Negroponte – fondatore e direttore del Media Lab delMIT di Boston (dunque non di un circolo ricreativo di mattac-chioni) scrive: “Immaginate un paio di pantaloni che cammi-nano al vostro posto. Mediante un vostro semplice comando, ilmateriale diventa rigido, articolato e capace di amplificare pic-coli movimenti. Starsene in fila non richiede nessuno sforzo, eoltrepassare con un salto una macchina è un gioco da ragazzi.

Se vi sembra esagerato, provate a immaginare un paio di scar-pe che vi insegnano a ballare o che vi evitano di inciampare ocompiere passi falsi. O magari una giacca che vi sussurra all’o-recchio il nome della persona che state per incontrare. Solouna parte della tecnologia deriva dalla scienza e dalla inge-gneria, molte altre cose derivano da un certo “punto di vista” enel Media Lab stiamo facendo di tutto perché questo possaaccadere” (MODA - supplemento della Repubblica del 20 feb-braio 2006).A Stoccolma, nel dicembre 2005, alcuni cervelli della geneticaannunciano: stiamo entrando nell’era del doping genetico e icultori dell’epo (l’ormone che fa volare) dovranno adeguarsi.Entro 10 anni si potrà modificare il DNA dei futuri atleti cam-biando la qualità muscolare della persona: aumenterà il volume,la forza, la velocità e la resistenza. Inoltre si potrà incidere posi-tivamente su dolore e fatica.Questa è una piccola e disordinata rassegna di “novità” (senzacitare lo straordinario successo delle droghe illegali) ma èabbastanza da formulare un’ipotesi: mondi e saperi apparente-mente lontanissimi (ricerca farmacologia, sistemi digitali, indu-stria della moda e tecnologia delle macchine) si corrono incon-tro, si abbracciano e cooperano per realizzare una “mutazio-ne” estetica ed estatica, ridisegnando la nostra identità ibridaattraverso la manipolazione del corpo e la cosmesi dellamente. È una rivoluzione in cui potenza – riskio – lusso – peri-colo vanno a braccetto.In tutto questo percorso da sempre, almeno io memore dellelezioni dei miei maestri che dicevano che la diagnosi te la fa ilmalato solo se sei modesto e umile e capace di stare ad ascol-tarlo, sostengo la tesi che bisogna ascoltare i giovani per capirli.

Sono loro che, se li sai sollecitare e ascoltare nella maniera giu-sta, ti dicono chi sono, cosa vogliono e cosa succede. Forse stain questo la grande capacità che ha Charmet quando poi conforza arriva a dire “… non si fuma contro il padre, non si fumacontro la madre”.La prevenzione la pensano sempre gli adulti convinti che biso-gna agire sul mondo giovanile. Pensiamo da tempo che la pre-venzione debba riguardare tutti, giovani e adulti, e che ci debbaessere uno scambio in cui dobbiamo imparare dai giovani,ascoltandoli, per metterci tutti in gioco.In un brainstorming diffuso che ha interessato oltre 300 studentiabbiamo ascoltato le loro opinioni su questi temi. Uno dei leitmotiv è lo spaesamento. Tra i ragazzi dell’ultimagenerazione, molti sono consapevoli sia del labirinto di con-traddizioni che caratterizza la società di cui sono parte, sia delfatto di essere, fin da bambini, l’oggetto e il target specifico di un

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immenso mostro divoratore: l’economia delle società post-indu-strializzate, che li abitua da sempre a consumare, e che li con-suma, dentro. Perché troppo spesso ci si ostina a sottovalutare ilpotere usurante del consumismo sull’intelletto e sull’intuizione,quando fino a pochi anni fa consumare e stare al passo con lemode e le innovazioni tecnologiche era solo una piccola, e inalcuni casi minuscola, porzione dell’esistenza?L’idea dell’eccesso si lega immediatamente alla idea di superareil limite, il limen, ad andare oltre.Scrive Turner, l’autore di Antropologia della Performance: “laliminalità dissolve tutti i sistemi positivi e accettati dal buonsenso nei loro elementi e gioca con essi in modi inesistenti sia innatura che nelle consuetudini”. In questo senso, Turner coglienel limen il gusto per la ribellione, che tra i giovani di oggi appa-re tuttavia prevalentemente afinalistica e aspecifica e dunquenon supportata da modelli di vita alternativi più o meno validi.

Nei suoi connotati ludici, percorrere il limen è un giocare con ilnulla. Un modo per sfiorare, senza terrorizzarsi, il vuoto e lapaura. Esistere nella liminalità permette di negare una parte del-l’esistenza, e di non viverla. Ma il diniego diventa un cane chesi morde la coda, accrescendo il disagio e quegli stessi senti-menti di incertezza e inadeguatezza da cui è scaturito. Viviamo ormai in una società in cui l’uomo consumatore si defi-nisce sempre più come collezionista di piaceri e cercatore diemozioni. Il tempo del divertimento non è più una parentesi nellosvolgersi delle nostre attività. La cultura dell’eccesso non è sola-mente dei giovani e incide profondamente sui nostri livelli di sod-disfazione, sulla nostra ricerca continua di superare il limite.Gioca un ruolo importante nella genesi dei comportamenti diabuso così come ora li osserviamo e che coinvolgono tutte le età.Addirittura mi viene da pensare ad una vera e propria “malattiadell’eccesso” intesa come ad una mentalità distorta necessaria-mente scaturita in un ambiente altrettanto alterato e distorto.Eppure una buona parte del mondo “adulto”, quando il rappor-to situazione/comportamento non funziona o è addirittura com-pletamente squilibrato, è propensa ad attribuire la stranezza allapersona piuttosto che alla definizione della situazione. Unodegli elementi costitutivi di questa malattia dell’eccesso sta nelfatto che, in modo quasi palpabile, molti ragazzi esperisconouna condizione anomica. L’anomia (a nomos – privo di legge)può essere definita come l’assenza di leggi, di regole, di ordine.Ma chi ricorda gli studi del sociologo francese E. Durkheim equelli più recenti di R. Merton, sa che l’anomia indica anche unacondizione interna dell’uomo, un modo di percepire (o non per-cepire) la vita e la società circostante. Se alla divisione del lavo-ro sociale accostiamo le continue innovazioni tecnologiche ed

economiche, la fine della stabilità delle posizioni lavorative, losmantellamento e il riassemblaggio di molte strutture istituzio-nali e sociali di riferimento e la progressiva complessità e diver-sificazione sociale, il rischio di anomia è praticamente inevita-bile. Così, assistiamo alla disgregazione ontologica di milioni dipersone che non riescono ad integrarsi e ad individuarsi e per-dono il contatto e il legame con la realtà. Parlando di malattia dell’eccesso dobbiamo porci altre domande.Il fatto che si possa vivere nella sensazione di una mancanza distimoli in un mondo caratterizzato proprio dall’iperstimolazionee dall’eccesso di informazioni, porta con sé un doloroso interro-gativo: in una società in cui la sovrabbondanza di informazionigenera ignoranza, è possibile che l’eccesso di stimoli conducaall’apatia? E con quali strumenti possiamo discernere ciò che cinutre da ciò che ci inquina e ci avvelena interiormente… se è lasocietà a far apparire normale ciò che non lo è? In verità avere troppi desideri, sollecitati e tartassati da ogniparte, nella fabbrica di quelli che Marcuse aveva definito “falsibisogni” – e che altro non è che la moderna società, è come nonaverne nessuno. Una delle caratteristiche dei nuovi modelli di uso delle droghe stanel fatto che usi le droghe e le usi un momento e basta e quindile usi ma non ne sei drogato, non ne sei malato, ne puoi fare unuso sporadico, transitorio, in un momento della tua vita, in unmomento del tuo mese o del tuo anno, proprio come un oggettoda consumare e da buttare via quando cambiano i percorsi.Crediamo che conoscere un po’ di più questa cultura dell’ec-cesso ci aiuta a capire meglio i comportamenti di abuso e aguardare con desiderio alle “politiche della libertà”.

A questo punto della nostra riflessione è sembrato che questotema era, meritava, aveva la suggestione sufficiente per spender-ci energie, per studiare questo mondo e questo è quello che cisiamo messi a fare. All’interno di questo mondo, abbiamo vistocome appunto si riduce sempre il tempo del desiderio, come ciracconta Italo Calvino in quel libro “ T con zero” e anche Gia-como Leopardi nello Zibaldone italiano. E nessuno mai comePlatone (dice U. Galimberti) ha indagato la natura del desiderio,cogliendone l’essenza nell’insaziabilità, perché il desiderio èmancanza, è vuoto, da pensare non come uno stato stabile con-trario al pieno, ma come uno stato insaturabile che si svuotaman mano che cerchiamo di riempirlo, come la “giara bucata”,per stare alle immagini di Platone, o come il “piviere” che èquell’uccello che mangia e nello stesso tempo defeca. Iniettarsieroina si dice in italiano “bucarsi”. Il corpo si fa “abisso” che eti-mologicamente significa “senza fondo”. Allo stesso modo inFrancia “essere alcolizzato” si dice “boire comme un trou” bere

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come un buco. Tossici e alcolizzati parlano in greco antico edescrivono la loro incapacità di “contenere” con immagini pla-toniche. La tossicomania sembra infatti incarnare alla lettera lateoria platonica del desiderio che fa della mancanza non ilmotore della ricerca della felicità, ma quella “belva dispotica eindomabile”, per stare ad un’altra immagine platonica, che spin-ge ad aggrapparsi ad essa senza poter più tendere ad altro. Sottoquesta forma il desiderio ci fa provare un dolore insopportabileeppure irresistibile, e il piacere che ne se segue è cessazione diquesta pena, non-dolore, piacere negativo, come dopo la primadose, quando quella successiva non porta voluttà, ma evita lacaduta nella sofferenza.Un altro elemento che abbiamo potuto osservare costantementee che ci sembra molto rilevante è la sempre maggiore confusio-ne che c’è tra rischio e pericolo dove nell’uno c’è la componen-te che non viene dalle tue scelte, un qualcosa di ineluttabile,mentre il pericolo è invece legato alle tue scelte.

In questo mondo incalzante di eccessi si tende a confondererischio e pericolo come se il tuo prendere rischi (p.es. andandoa duecento all’ora sulla autostrada) diventa parte irrinunciabile,uno stereotipo a cui tu sei obbligato. Parlando di incertezza del futuro e di flessibilità, Buzzi ha sotto-lineato il ruolo che esse hanno come pre condizioni che rendo-no possibile la cultura dell’addiction e la cultura dell’eccesso. Viè sicuramente una relazione tra l’incertezza del futuro, la flessi-bilità e lo svilupparsi dell’attenzione giovanile nei confronti del-l’addiction e dell’eccesso. Noi viviamo in un momento storiconel quale la nostra società, lo abbiamo già sottolineato prima, stacambiando a ritmi rapidissimi, e questa trasformazione vera-mente veloce, rende difficile per l’individuo metabolizzare ilcambiamento.Una società che cambia così rapidamente produce molti effetti.• Il primo di questi è la crisi dei modelli di riferimento tradizio-

nali, forti, che sono il portato delle ideologie, della sensibilitàreligiosa. Oggi si assiste ad una obsolescenza dei sistemi divalori totalizzanti, siamo entrati in un periodo dove le certez-ze si sono vanificate, si sono incrinate le tradizionali basi sucui poggiavano in passato le sfere etiche socialmente condi-vise. I risultati di questo processo sono all’occhio di tutti. Oggisono in crisi le appartenenze collettive che diventano semprepiù deboli. L’interesse dei giovani è un interesse che lascia lasfera sociale, la sfera collettiva, per concentrarsi sempre di piùnella sfera della piccola società ristretta, cioè ad esempio ilgruppo dei pari.

• Vi è un declino della partecipazione, tutte le ricerche ci dico-no come l’associazionismo sia in declino. L’associazionismo

un tempo dava uno spazio di azione ai giovani più ampio, eraanche un ambito di relazionalità diversificata rispetto allasemplice e più ricorrente relazionalità del piccolo gruppo.

• S’impone anche una sorta di relativismo valoriale.Queste trasformazioni sociali, hanno influenzato enormemente iprocessi socializzativi, Charmet parla di una trasformazionedelle strutture familiari italiane che passano dalla “famiglia delleregole” alla “famiglia degli affetti”. La famiglia delle regole avevauna mission importante e molto chiara: la trasmissione di model-li di vita ai propri figli basati sull’assunzione di ruoli dettati dalleaspettative sociali adulte. La famiglia degli affetti, invece, mutaquesta mission; l’accento viene posto sugli aspetti relazionali,sugli aspetti affettivi. La famiglia diviene soprattutto uno spaziodi relazione affettiva.La trasmissione delle regole e i modelli di vita perdono di cen-tralità, anzi le norme di convivenza all’interno della famigliadiventano negoziabili e quindi si assiste a una continua nego-ziazione di norme e di regole all’interno della famiglia stessa tragenitori e figli. Non solo, ma, mentre nella famiglia tradizionalei ruoli erano ben chiari e definiti, e la leadership all’interno dellafamiglia era evidentissima, oggi questi rapporti cambiano, diven-tano più complessi, a volte si assiste addirittura a una inversionedi leadership e di ruoli. Pensiamo alla conoscenza, un tempo sisapeva bene chi conosceva, erano i genitori che conoscevano ei figli dovevano imparare: era molto semplice il rapporto. Aristo-tele dedicò la sua maggiore opera etica al figlio Nicomaco, sim-boleggiando quella trasmissione della saggezza che ha caratte-rizzato il mondo occidentale per millenni. Fino a ieri la nostracultura era dominata dal valore della maturità. Oggi siamo difronte a un cambiamento epocale. Un padre ha ben poco dainsegnare ai suoi figli. L’esperienza conta sempre meno, l’aper-tura all’innovazione sempre di più. Per questo oggi il rapportofigli genitori è diventato molto complesso. La e-revolution è laprima ad essere fatta dai giovani in nome della gioventù. “Per laprima volta – scrive Don Tapscott, nel suo Growning Up Digita”– i ragazzi conoscono e controllano meglio dei loro padri un’in-novazione centrale per la società”.

Con la cultura digitale, con l’avvento della tecnologia, oggi i gio-vani sanno molto di più rispetto ai loro genitori, anzi, e sempremolto più frequentemente, i genitori devono rivolgersi ai giova-ni, ai figli nel momento in cui debbono sapere qualcosa, deb-bono far funzionare qualche marchingegno elettronico, devonoconsultare internet. E si rivolgono al bambino o alla bambina di10 anni, perché è più in grado di entrare in questi contesti cono-scitivi e di nuovo sapere.

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Queste trasformazioni hanno ovviamente anche avuto dellegrosse influenze sulla cultura giovanile.Inoltre, la popolazione giovanile attuale vive lo schiaccianteparadosso di trovarsi sì dentro il villaggio globale della comuni-cazione multimediale, così precocemente e selvaggiamenteaccessibile a tutti, ma nello stesso tempo di essere al di fuori daogni circuito di produzione e fruizione di una conoscenzaapprofondita.La sovrabbondanza e il caos informativo hanno contribuito adun progressivo depauperamento e dequalificazione dei livelliconoscitivi, smembrando in modo significativo anche il back-ground culturale delle precedenti generazioni. L’evoluzione dei media ha diminuito il valore e il significato del-l’essere fisicamente presenti nel fare esperienza di persone edavvenimentiSecondo D.J. Boorstin, autore di The Republic of technology, inuovi media “producono in massa il momento” rendendo le espe-rienze ripetibili, e contribuiscono ad appiattire tempi e luoghi. Già nel lontano 1964, McLuhan affermava che i media elettro-nici avevano abolito il tempo e lo spazio. Relegare le emozioniin situazioni “virtuali”, videogames, chat-line, play-station equant’altro, non contribuisce forse ad acuire le normali difficoltàadolescenziali nelle relazioni interpersonali e nell’acquisizionedi una propria identità? Nel trovare una collocazione spazio-temporale a se stessi, nel dare un senso al proprio essere-nel-mondo?Uno degli snodi fondamentali allora è la concezione del tempo.L’incertezza del futuro si collega con la concezione che i giova-ni hanno del tempo. A volte non ci soffermiamo su questo aspet-to ma è un aspetto fondamentale. Il tempo è distinto in dimen-sioni, abbiamo il passato che è l’esperienza, è la memoria stori-ca. Un giovane non ha molta esperienza, non ha molta memo-ria storica, però l’importanza di riuscire a valorizzare il passato,quindi la propria esperienza è fondamentale nella crescita di ungiovane. Poi, abbiamo il presente, che è la dimensione contin-gente, nel quale il giovane vive, nel quale esprime le sue scel-te. Infine abbiamo il futuro, che è il proiettarsi nel divenire. Perun giovane questa dimensione è fondamentale: infatti ha davan-ti a sé uno spazio di divenire e di crescita molto ampio. Tanto èvero che la concezione del tempo muta a seconda dell’età, adesempio un anziano è molto più rivolto al passato che al futu-ro, per il giovane dovrebbe essere il contrario.Oggi invece si assiste ad un fenomeno che Cavalli chiama “lasindrome di destrutturazione temporale”, cioè egli nota nellenuove generazioni una dilatazione abnorme della dimensionedel presente. Che cosa vuol dire una prospettiva giovanile di tipopresentista? Gli psicologi parlano di frammentazione del tempopsichico, oppure di segmentazione del vissuto quotidiano: sonotutti elementi che poi si riferiscono allo stesso concetto di “pre-sentismo”. Il presentismo nasce dai ritmi incessanti del cambia-mento. In una società dove tutto cambia così velocemente, ilpassato perde di importanza, perde di significato. Pensiamo soloal ruolo dei media, di come sono sempre sull’evento del contin-gente, e tutto ciò che è capitato qualche giorno fa viene dimen-ticato, perché le notizie incalzano in maniera rapidissima. Oggilo spettatore televisivo è uno spettatore proiettato in maniera ab-norme nel presente, perché poi le cose del passato si dimentica-no, perché sono incalzate e sostituite da cose nuove. Accanto alfatto che il passato sta perdendo lentamente di significato, in unasocietà che cambia velocemente, anche il futuro è molto pro-blematico. Come si fa a investire su un futuro che non si cono-sce e che ci cambia a un ritmo così evidente e così intenso? Ilpassato ha perso di importanza e il futuro non è più prefigurabi-

le almeno in modo preciso, e il giovane tende a controllare l’u-nica dimensione che riesce a capire e cioè il presente. Oggi igiovani sono presentisti, vivono nella contingenza, vivono nelleloro relazioni in maniera estremamente pragmatica, i problemi liaffrontano di volta in volta così come nascono, così come si pro-pongono loro.In questo andamento fantasmagorico le età della vita perdono iloro connotati anagrafici. Prendiamo altre due notizie dai gior-nali: il 63% delle bambine inglesi tra i 7 e i 10 anni usa il ros-setto (da un rapporto dell’Istituto di Ricerca Mintel – 2005), mal’obiettivo più ambizioso è conquistare la fascia d’età dai 7 ai 12anni con una tavolozza di prodotti appetibili come lo smalto perle unghie, ombretti, rossetti, creme rassodanti e profumi. Conqueste offerte così lungimiranti finalmente le bambine possonoavere un’aria da donna.Seconda notizia: nei negozi di abbigliamento femminile non sitrovano facilmente abiti con taglie al di sopra della 46 e le tren-tenni o cinquantenni dalle linee morbide (insomma, non filifor-mi) devono impegnarsi non poco per cercare misure adatte, sfi-dando persino lo sguardo della commessa taglia 42. Da unaparte sembra che la maturità – in ogni senso – stia perdendo ildiritto di cittadinanza, e dall’altra si accorciano le tappe di avvi-cinamento all’età adulta. Non è più la biologia a marcare i con-fini, ma gli stili di vita, di abbigliamento, di linguaggio. Nasco-no figure ibride: adolescenti che invecchiano prematuramente eadulti inchiodati a una condizione di perenne adolescenza.Quindi da una parte abbiamo la incertezza, da una parte abbia-mo un esasperato pragmatismo, dall’altra abbiamo il declinodella partecipazione. Ecco, questi concetti sono tra di loro inter-connessi.In una interessante ricerca sui giovani e il senso della storia, igiovani sarebbero sempre di più incapaci di pensarsi protagoni-sti attivi nei confronti dei processi decisionali collettivi.Questo è un elemento fondamentale: la tecnologia ha reso pos-sibile il vivere, ed in maniera esasperata, nel presente. È possibi-le vivere il presente senza programmarlo. Questo sembra unsalto concettuale estremamente rilevante.Vi è anche un secondo elemento: particolarmente importante dasottolineare: quello della reversibilità della scelta. In un mondoincerto, in un futuro incerto, il processo decisionale si complica.Come si fa ad assumersi la responsabilità di una scelta se non sap-piamo con precisione dove questa scelta ci porterà? Le scelte defi-nitive diventano un elemento di pericolo, di instabilità psicologi-ca. Il giovane preferisce rivolgersi a quel tipo di scelte che sonorevocabili, quelle scelte da cui si può tornare indietro. Una sceltadefinitiva spaventa, è un’assunzione di responsabilità eccessiva.Che cosa vuol dire poter tornare indietro? Vuol dire lasciarsi aper-

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te tutte le possibilità; vuol dire, fra le varie opzioni, porsi in ter-mini esplorativi: tento e se non mi piace torno indietro. Forse que-sto è uno degli elementi che caratterizzano oggi la gioventù d’Ita-lia. A trent’anni la maggior parte dei giovani italiani vive ancorain famiglia, non ha ancora fatto quella scelta definitiva di diven-tare adulto. Certo, ci sono aspetti strutturali nel mondo del lavo-ro, nel sistema di welfare, che ostacolano il passaggio dei giovanidall’adolescenza all’età dei ruoli adulti, però esistono anche delledimensioni culturali, che influenzano questo passaggio. È possi-bile legare questa propensione a vivere rifuggendo dalle sceltevissute come “irreversibili” con un altro fenomeno, che è quellodell’accettazione del rischio. Accettare il rischio in un otticareversibile vuol dire essere convinti di poter tornare indietro. Io miubriaco, assumo sostanze, però sono sicuro di poter tornare indie-tro. Questa è un po’ l’illusione giovanile dei giovani di oggi: vuoldire essere convinti di controllare ad esempio la sostanza.L’incremento dell’offerta, in tutti i settori, complica la vita degliindividui e dei giovani in particolare e di conseguenza, lo sappia-mo bene, l’incertezza per il futuro si acuisce. E quando il proble-ma della scelta diventa un problema sempre più difficile, i com-portamenti di crisi aumentano, si diffonde l’esposizione al rischio,aumentano i consumi compulsivi, la cultura dell’addiction, tutti ifenomeni che derivano e sono facilitati da questa situazione.

Un altro elemento di straordinaria importanza che caratterizza ilmondo giovanile è “l’imporsi del relativismo valoriale”, che è unpo’ il superamento di quelli che erano i grandi sistemi di valoretradizionale. Oggi si assiste a un ampliarsi del relativismo valo-riale. Molti dicono che i giovani non hanno valori. Non è vero igiovani hanno dei valori, ne hanno tantissimi: il problema è chenon li hanno inseriti all’interno di un sistema. Il problema deivalori giovanili oggi è che non costituiscono un sistema di valo-ri organico, dove vi sono delle priorità, ma costituisce un insie-me, diciamo un’accozzaglia di ideali dove non esistono priorità,dove un valore vale all’interno di un certo contesto, ma non valeall’interno di un altro contesto esistenziale. Quindi è l’ambitoesperenziale che produce la scala dei valori. Con gli amici ivalori sono di un certo tipo, in famiglia visto che poi ci riman-gono fino a trent’anni e quindi una certa negoziazione di rego-le, di norme e di valori esiste, i valori che sono prevalenti sonoaltri. E il giovane oggi vive senza contraddizioni il passaggio daambiti valoriali a ambiti valoriali di un altro tipo. Un esempio ècostituito dalla assunzione di sostanze. Fino a qualche decenniofa l’assunzione di sostanze era legata a una motivazione di carat-tere discutibile, ma di carattere valoriale. L’assunzione di drogheera una manifestazione nei confronti della società adulta, vi eraconsapevolezza (almeno per le droghe leggere) della trasgres-

sione. Oggi il giovane che assume hashish e marijuana è un gio-vane che non ha la consapevolezza della trasgressione.Per questo motivo è ulteriormente difficile oggi fare prevenzio-ne. Infatti il giovane che si trova la sera con gli amici e fuma lospinello, non sta vivendo un’esperienza di trasgressione: all’in-terno di questo ambito esperenziale questa è normalità. Quindii valori che vengono espressi all’interno di questa esperienzapossono permettere cose che in altre situazioni il giovane nonritiene possibili e quindi ritiene non attivabili.Il tempo schiacciato sul presente, il relativismo valoriale, il decli-no dei modelli di riferimento tradizionali, il dominare dei valoridella società ristretta, una vita vissuta in multitasking dove unaduplice o addirittura multipla personalità diventa “normale” fa siche queste continue, pressanti, seduttive offerte migliorativedebbano prevedre un funzionamento neurobiologico compatibi-le, una duttilità bio-pisco-sociale ad alta definizione. E quando inostri personali limiti non tengono il ritmo, allora ci sono alme-no due modi per fronteggiare le sfide della contemporaneità:drogarsi o doparsi – rimedi antagonisti e complementari, comel’asola e il bottone, possibilità trasversali al visibile e all’invisibi-le, a ciò che è legale e alle pieghe dell’illegalità. Le città appa-renti e quelle impresentabili si specchiano l’una nell’altra e facil-mente le persone passano, anche nell’arco di una sola giornata,da una dimensione all’altra.Come dice acutamente uno scrittore, “se la realtà non ti soddi-sfa, ti conviene inventarti qualcos’altro alla svelta” (cit. in AdamLanger, I giorni felici di California Avenue, Einaudi) ed è questoche facciamo, o almeno ci proviamo.In questa cornice culturale, valoriale, etica, che senso ha parla-re di “prevenzione”, di promozione e tutela della salute? Se dav-vero vogliamo farlo, allora dobbiamo accettare qualche premes-sa: questa è la società della chimica, delle protesi tecnologicheed è anche l’era delle immagini.Le immagini ci inseguono, si sovrappongono e trionfano, mentrele parole restano lontane, quasi un rumore di fondo, a volte moltoirritante. Le immagini ci assediano e ne siamo prigionieri giocosi.Le immagini in movimento e i suoni hanno la stessa virtù dellachimica: sono veloci, immediate, potenti. Le parole scivolano via,come sabbia: ritenzione zero. E questo ha qualche conseguenza.Sono saltati i rimedi, le cure e le proposte terapeutiche fondatesul suono della parola, sul ritmo del pensiero. Le parole hannobisogno di tempo, per essere formulate, ascoltate, sedimentate, edunque sono lente. La chimica, al contrario è veloce. Le parolepresumono l’incontro, la relazione, la ricerca di spazi protetti. Lachimica si insinua ovunque, ci accompagna con discrezione, siadatta a tutte le situazioni. La filosofìa e la psicoanalisi hanno ilfiato grosso: troppe ore al chiuso. La chimica ha l’alito fresco,seduttivo, sensuale. Le parole compongono un blob denso,vischioso: rimasticano concetti insipidi. La chimica ti fa sentirelucido e scattante come la pallina di un flipper. Le parole sonotimide, prudenti, piene di scrupoli e di incertezze: formulanodomande e altre domande. La chimica offre certezze, e alla velo-cità della luce. Le parole indugiano, sono costrette a deviazioni,devono chiarire malintesi. La chimica va dritto al bersaglio. Leparole generano sensi di colpa, pentimenti, faticosi cambiamentidi rotta. La chimica ti alleggerisce e mette a tacere i dilemmi del-l’esistenza. Le parole lasciano lunghi spazi al silenzio, al formi-colio della mente, al torpore. La chimica ti ricorda che life is now:la vita è adesso e non c’è tempo da perdere. Come ha scrittoqualcuno (Flaubert) – col suono delle parole vorremmo “com-muovere le stelle”, ma a mala pena facciamo “danzare gli orsi”.Possiamo rassegnarci alla civiltà delle protesi? La mente è unsistema composito, una parte razionale (progettuale – responsa-

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bile – orientata a valutare le conseguenze future) e l’altra incon-scia (emotiva – incline al rischio – centrata sul qui ed ora). Orail problema è che queste due componenti comunicano inmaniera imperfetta, anzi mettono in atto conflitti infiniti chegenerano auto inganno, dissonanza cognitiva, desideri e com-portamenti contraddittori (F. Daveri - II Sole 24 Ore, 12 marzo2006). Se il cervello non è un’organizzazione gerarchica in cuila padronanza di sé tiene saldo il posto di comando, allora que-sto dovrà avere qualche conseguenza anche sul nostro modo difare prevenzione. Senza indulgenza né cinismo, bisogna coglie-re alcuni tratti evolutivi della “normalità” per scoprire la radicedei nostri “comportamenti estremi”. Quello che ci spinge a for-zare le abilità e le doti personali con il supporto di protesi divaria fattura (e diversa natura) è l’ansia di stare “dentro” e non“fuori”. O meglio, il dentro e il fuori (padronanza di sé versoalterazione del sé) sono contrapposizioni ormai desuete einconsistenti perché per stare ben “dentro” non possiamo chesentirci non solo “fuori” ma decisamente “oltre”. I1 sogno diuna vita al 100%, il desiderio di un’esistenza “multicentrum”,con le aspettative, le priorità e gli interessi che si moltiplicanoseguendo una geometria stellare, è alimentato da una chimicache non conosce limiti, dove ogni prodotto ne “giustifica”almeno altri due, senza troppe sottili distinzioni, tra naturale eartificiale, prescritto e autoprescritto, legale e illegale, ricreativoe performativo. Oggi il sistema sanitario – quello costituito daiServizi Formali di Prevenzione, Diagnosi e Cura – sotto la pres-sione di una dieta dimagrante che non ha limiti (e rischia seria-mente l’anoressia) dibatte un quesito difficile: come allocarerisorse scarse a fronte di richieste crescenti? Acuzie o cronicità?È un problema indecidibile perché prefigura l’obbligo di una“scelta tragica”, ovvero una decisione che non risolve e scon-tenta tutti. La questione resterà aperta a lungo ed è probabileche saranno premiati quei sistemi di cura che risponderannoalle acuzie, alle emergenze, a quelle criticità troppo visibili perpoterle nascondere. E, tra questi, sarà opportuno potenziare erendere diffusi i servizi di “pronto soccorso” in grado di rimet-tere in piedi e “far funzionare” le persone vittime del fuocoamico, le persone che acriticamente si sono affidate alle virtùdella chimica trascurandone gli effetti iatrogeni. A marzo, in unseminario promosso dall’ISS, gli operatori dei pronto soccorso edei centri anti-veleni hanno discusso delle nuove emergenze edi come non solo molti ricoveri per incidenti stradali, ma nume-rose altre acuzie, sono imputabili al consumo combinato di far-maci, alcol e droghe; droghe nuovissime e meno nuove, sostan-ze la cui composizione chimica è misteriosa, inedita e scono-sciuta. Sarebbe necessaria la presenza di un tossicologo clinico

in ogni dipartimento di emergenza, dicono questi colleghi. Cer-tamente sì, e non basta. Renzetti allora formula una piccola ere-sia: un’azione preventiva sui rimedi dopanti può essere utile sesi innesta puntualmente su esperienze negative e, di conse-guenza, apre spazi di elaborazione.Certo, è vero, le parole sono lente, ma la chimica contiene nonpochi effetti iatrogeni. Quando questa verità diventa esperien-za, quando questa esperienza diventa “evento critico”, a quelpunto le parole tornano udibili e acquistano senso.Essere lì dove le cose accadono significa che non si fa preven-zione solo a scuola o in discoteca, ma con modalità differentianche nei servizi di pronto intervento, certo senza confondere,sovrapporre e ostacolare i diversi piani di lavoro. A sentire le sueriflessioni a noi tornano in mente le parole di Gary Becker, unpremio Nobel, e i suoi studi “sull’approccio economico al com-portamento umano”.Pensate alla pubblicità televisiva di un “banale” antidolorifico dabanco: i suoi vantaggi vengono descritti con immagini rassicu-ranti, mentre le avvertenze e le contro indicazioni sono ridottead una mitragliata incomprensibile di parole. Come trovare unmodo per dare più spazio e credibilità alla seconda parte delmessaggio?Forse per cogliere quell’opportunità bisognerà pagare un contomolto salato. Temo che la prevenzione per essere efficace debbalegarsi ad un evento critico che, interrompendo il flusso dellanormalità, ci spinge in una posizione di ascolto.L’evento critico può favorire alcune riflessioni sui modelli di con-vivenza e sulla compatibilità di alcuni sistemi valoriali. Abbiamobisogno di una zona di sosta, di una “chill out” mentale per chie-derci finalmente qual è per noi uno stile di vita compatibile enon solo desiderabile.Galimberti, nel suo recente libro (La casa di psiche, Feltrinelli)usa un’espressione bellissima: “decolonizzare l’immaginario”, ciricorda che nel Tempio di Delphi erano scolpite queste due sen-tenze: “conosci te stesso” – “nulla di troppo”.Dunque, ascoltati, scrutati, prendi le tue misure perché solo cosìpuoi governare desideri eccedenti che, in quanto impossibili,indeboliscono e tormentano la vita.La conoscenza di sé vuoi dire scoprire i propri limiti perché“solo nell’esperienza del limite la vita acquista forma”. Solomisurando il proprio limite si riesce a capire qual è il “troppo daevitare”. Il limite viene compreso non solo con l’apertura incon-dizionata a tutte le possibilità che abbiamo di fonte, ma con lacapacità di elaborarne il contatto, l’esperienza diretta.Forse questo potrebbe fare la Prevenzione… se ci riesce, se riac-quista il dono della parola.

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Il vicepresidente nazionale di FeDerSerD, dott. Guido Faillace,presente per la Federazione nel gruppo di lavoro, comunica lapubblicazione da parte dell’ISFOL, per conto del Ministero delLavoro e della Previdenza Sociale e all’interno di un progettodell’Unione Europea, di un volume su Dipendenze e Mentoring(maggio 2006).Il volume offre un quadro della situazione delle dipendenze inItalia e strumenti di lavoro utili a coloro che siano interessati asperimentare percorsi innovativi di recupero delle personedipendenti da sostanze d’abuso.

Il mentoring, come forma di accompagnamento uno-a-uno dellepersone dipendenti, assume particolare importanza nell’ambitodella prevenzione del disagio giovanile e del sostegno alle fami-glie. L’analisi delle attività e delle competenze dei mentori cheoperano con i giovani e le famiglie ha reso possibile l’individua-zione di due diverse modalità di sostegno e l’identificazione didue modelli di mentoring per i soggetti con problemi di dipen-denza e per le famiglie.Il volume contiene schede su strutture della rete del sistema deiservizi italiani, tra cui una riferita a FeDerSerD.

NOTIZIE IN BREVE

Dipendenze e mentoring.Prevenzione del disagio giovanile e sostegno alla famiglia

Il conflitto tra paradigmi morali e paradigmi scientifici sviluppa-ti per la spiegazione e comprensione di comportamenti umanisocialmente rilevanti, si caratterizza come una costante dei siste-mi culturali complessi, e sembra avere una solida base biologi-ca1. L’intero emisfero sinistro è implicato nel tentativo di rende-re logici gli stimoli incongruenti, interpretando le continue infor-mazioni del mondo esterno, integrandole in storie coerenti, performare un resoconto aggiornato delle rappresentazioni del sé edelle credenze. “Non c’è condizione in cui la capacità umana di formare e man-tenere credenze diventi più rigida di quando chiari dati scienti-fici contrastano gli assunti di determinate credenze personali”(M. Gazzaniga, La mente etica, Codice ed., p. 141).Forse anche per questa ragione, sebbene i primi studi di Olds eMilner2 che hanno condotto alla identificazione delle basi neu-rali dei processi incentivanti e motivazionali dopaminergici,risalgano al 1954, queste e molte delle successive ricerche3

hanno impiegato circa 30 anni per essere trasferite dal contestodelle neuroscienze a quello della clinica delle dipendenze,almeno nel nostro paese.Questo ritardo culturale ha prodotto numerosi effetti anche nelcampo della prevenzione, favorendo per tutti gli anni ‘80 l’ado-zione di paradigmi esplicativi inappropriati e inefficaci chehanno generato approcci probabilmente anche dannosi per i sin-goli e per la comunità4.Il giudizio morale5 sui comportamenti di uso di sostanze hacostituito la base per costruire impianti normativi e giuridici didisapprovazione e condanna di tali comportamenti, che hannoriscosso anche un certo consenso, a dispetto delle molte evi-denze scientifiche che suggeriscono di integrare le chiavi inter-pretative di tali fenomeni alla luce dei processi motivazionalibiologicamente condizionati.Per effetto di questo ritardo storico, il paradigma della gratifica-zione e la sua base biologica appaiono tutt’ora la chiave inter-pretativa più convincente per spiegare i comportamenti di appe-tizione e consumo di sostanze psicoattive6.Ma sia le osservazioni cliniche che le ulteriori ricerche di neu-roscienze7 suggeriscono la necessità di rivedere l’interpretazionedel reward system come spiegazione delle motivazioni all’uso disostanze, sulla base unicamente del piacere e della gratificazio-ne prodotta dalla attivazione di tale sistema8.Il segnale dopaminergico contribuirebbe alla percezione dellegratificazioni ma sarebbe evocato di volta in volta dallo stimolo

di altri neurotrasmettitori: è stato ipotizzato che, ad esempio,l’assunzione di cibo sia capace di produrre una attivazione deirecettori dell’acido glutammico (NMDA) che a sua volta sarebberesponsabile del release di dopamina nell’accumbens.La dopamina, considerata dapprima il mediatore della gratifica-zione, appare oggi meglio in evidenza come il mediatore dell’a-spettativa del nuovo piuttosto che fruizione del rinforzo in sé.L’esposizione di un animale da esperimento alla inaspettata pos-sibilità di consumare cibo stimola l’incremento di dopaminanella parte periferica dell’accumbens (shell); al contrario l’espo-sizione allo stimolo appetitivo, e cioè la presentazione di ciboattraverso una scatola perforata, senza la possibilità reale di usu-fruire del cibo, incrementa la dopamina in modo significativa-mente più consistente proprio nella parte centrale o “core” del-l’accumbens.Dunque il sistema dopaminergico viene considerato non comesistema del “liking” o dell’apprendimento di nuovi stimoli pia-cevoli o spiacevoli ma come il sistema del “wanting”, cioè quel-lo dell’aspettativa e del desiderio rispetto agli stimoli piacevoli(Berridge, 1996). Alla percezione del piacere in sé sembrano essere deputati, inve-ce, il sistema oppioide e il sistema gabaergico che contribuisco-no anche all’instaurarsi dei condizionamenti e al controllo del-l’ansia e delle pulsioni che cessano con i meccanismi dellasazietà: l’appagamento, infatti, conseguente alla fruizione di unrinforzo porta con sé una sostanziale condizione di tranquilliz-zazione connessa con l’attivazione dei peptidi del GABA (Ber-ridge, 1996). Le droghe d’abuso generano un segnale eccessivamente potentedi “wanting” (o un forte incentivo) attraverso la loro azione sullatrasmissione dopaminergica, come pure esercitano una guida dilunga durata per i neuroadattamenti nel sistema dopaminergico(Robinson e Berridge, 2000; Robinson e Berridge, 2001). Tali osservazioni9 ci aiutano a comprendere la ragione biologi-ca che mantiene alta la motivazione all’uso di sostanze anchedopo l’estinzione più o meno totale dei rinforzi piacevoli pro-dotti dalle esperienze primarie, che è ciò che fenomenologica-mente si presenta come frattura tra il desiderio che persiste edil piacere o l’appagamento che svaniscono sempre più rapida-mente. In situazioni ambientali ancestrali non c’era nessuna necessità diuna regolazione istintiva della trasmissione dopaminergica acausa dell’autolimitazione delle risorse, ma attualmente le cosevanno diversamente: simbolicamente ricordiamo la famosa can-zone dei Rolling Stones “I can get no satisfaction”.Allo stesso tempo, queste droghe possono fornire una varietà divantaggi iniziali evolutivamente rilevanti, cioè meno dolore, più

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AREA ANTROPOLOGICA, CULTURALE E SOCIALE

Evoluzionismo e prevenzioneMaurizio Fea*

Qualunque sia l’opinione o la fede professata dagli uomini, ciò che lidistingue è soprattutto la presenza o l’assenza, nel loro pensiero e nella

loro persona, di questo oltre, il loro sentimento di abitare un mondocompiuto ed esaurito in se stesso oppure incompleto e aperto all’altrove.

(Claudio Magris, Danubio, Garzanti ed.)

* Psichiatra, formatore, docente universitario, direttivo nazionaleFeDerSerD, co-coordinatore Consulta Nazionale Società ScientificheDipendenze.

piacere, meno stress, più energia, più opportunità sessuali,aumentato benessere e successo nelle relazioni sociali, e cosìvia. E queste sono indubbiamente le motivazioni affettive e com-portamentali sottese alla decisione di assumere qualsivoglia tipodi sostanza ad effetto psicotropo10.Una lettura evoluzionistica delle basi biologiche del comporta-mento suggerisce una interpretazione meno antropomorficadel sistema di ricompensa, dal momento ché i sistemi neuro-comportamentali si sono sviluppati ed evoluti per massimizza-re l’adattamento, non la felicità, perciò i nostri piaceri sonospesso transitori e facciamo esperienza di molte sofferenze nonnecessarie.La capacità di provare emozioni piacevoli non si è evoluta comefine in sé, ma piuttosto come segnale interno per informare l’in-dividuo della qualità biologicamente positiva della propria con-dotta e delle circostanze ambientali11.Analogamente il dolore mentale si è evoluto per salvaguardarela sicurezza biologica, e in determinate circostanze, il suo ruoloadattativo è essenziale, anche se questo si traduce talora in unlivello di sofferenza individuale particolarmente gravoso.La gratificazione perciò è uno strumento, non la finalità. Lafinalità è l’adattamento. L’adattamento è un tratto evolutivo chespiega alcuni aspetti di importanza vitale per un organismo inquanto migliora la sua capacità di crescita, sopravvivenza eriproduzione e la richiesta di adattamento è tanto maggiorequanto più rapido è il cambiamento dell’ambiente in cui l’or-ganismo vive12.Possiamo quindi dire che il successo biologico è il prodotto fina-le dei processi di adattamento, e i meccanismi incentivanti cheorientano lo sviluppo e facilitano la selezione di certi comporta-menti ne sono lo strumento13.In questa prospettiva il successo biologico è la possibile spiega-zione del vantaggio evolutivo che rende le ragioni dell’uso piùconvincenti rispetto alle ragioni del non uso, almeno per unacerta parte della popolazione, quella che può essere facilitatadall’uso di sostanze nei processi di adattamento e sopravvivenzache altrimenti risulterebbero o verrebbero percepiti come diffici-li se non impossibili da ottenere.Le risposte adattative condizionate dall’uso di sostanze possonoessere molto diverse tra loro, in relazione alle caratteristicheindividuali ed al contesto ambientale che ne può facilitare lapropensione all’uso, sebbene le ragioni di uso sembrino caratte-rizzate tutte dalla aspettativa di un miglioramento delle intera-zioni tra quel particolare individuo in quel particolare momentoambientale.

Apprendimento Emozioni Droghe

Sicuramente la regolazione comportamentale innata ed istintua-le è più funzionale e più economica se l’ambiente si mantienerelativamente costante. Se invece l’ambiente cambia veloce-mente è necessario un apprendimento continuo, basato anchesull’imitazione, ma l’imitazione comporta il comprendere oltrequello che l’altro fa anche quello che l’altro pensa14.Studi di brain imaging15 hanno mostrato che quando immagi-niamo una scena visiva si attivano regioni del nostro cervello chesono le stesse che si attivano durante la reale percezione dellastessa scena. Gli stessi ricercatori (Rizzolatti e Gallese 2004) hanno eviden-ziato nel cervello della scimmia l’esistenza di una popolazionedi neuroni pre-motori che si attivano non solo quando la scim-mia esegue con la propria mano azioni finalizzate, ma anche

quando osserva le stesse azioni eseguite da un altro individuo.Tale sistema è presente pure nell’uomo e sembra implicatoanche nella comprensione e attribuzione di senso a movimentiapparentemente privi di significato, come gesti vaghi e impreci-si e non solo nella comprensione di movimenti finalizzati. Dunque nel corso della evoluzione per fare fronte alla mutevo-lezza sempre più repentina dell’ambiente, all’aumento dei sog-getti che lo popolano e competono per le risorse (cibo, partner),alla necessità di disporre di criteri e strumenti di riconoscimen-to ed interpretazione di strutture relazionali sempre più com-plesse, sono intervenuti programmi adattativi complessi di natu-ra biologica messi a punto dalla selezione, geneticamentedeterminati, ma aperti alla modificazione e apprendimentodalla esperienza.Tra i programmi neurocomportamentali sviluppati nel corsodella evoluzione, le emozioni rappresentano il programma adat-tativo più sofisticato di cui disponiamo per la regolazione fine egrossolana dei nostri comportamenti.• Le emozioni sono stati neuronali coordinati in grado di aggiu-

stare le risposte fisiologiche e comportamentali per trarre van-taggio dalle opportunità e fronteggiare le minacce manifesta-tesi nel corso della evoluzione. R. Nesse 199816.

• Offrono al cervello e alla mente un mezzo naturale per valu-tare l’ambiente all’interno e all’esterno dell’organismo e perreagire in modo adattativo. A Damasio 199717.

• Sono amplificatori di stimoli sensoriali. Le Doux 200218.Nei processi di coevoluzione tra individuo e ambiente19 si sonosviluppate strategie comportamentali tendenti all’attiva assimila-zione dell’ambiente, a realizzare soluzioni nuove e individuali apartire da una larga variabilità individuale20.La funzione delle emozioni, da quella di motivare i comporta-menti di approccio e di evitamento, funzionali al reperimentodel cibo o dell’accoppiamento e alla fuga da condizioni ambien-tali o stimoli nocivi, si è evoluta, diventando progressivamentedapprima la forma primitiva e confusa dei sistemi di simbolizza-zione, successivamente il presupposto per le forme logiche diconoscenza superiore, fino a diventare quella forma di giudiziovalutativo che quotidianamente esperiamo nel nostro modo diabitare il mondo21.In questo processo evolutivo si sono andate perfezionando in talmodo: la rapidità dei processi valutativi, le interazioni tra indivi-duo e ambiente sociale, la vigilanza sugli stati mentali propri edaltrui, in altri termini tutti quegli aspetti della vita di relazioneche hanno assunto sempre maggiore importanza in tempi stori-camente prossimi. Nel nostro ambiente i predatori sono diventati soprattutto preda-tori psichici, i partner sono diventati numerosi e selezionabili, ilcibo è abbondante, perciò ciò che sembrerebbe acquisire valo-re per la selezione sono le variazioni che migliorano la capacitàdi regolare gli stati affettivi, ovvero di monitorare e influenzare lenostre forme di giudizio valutativo. Sono ben note le evidenze cliniche che rendono chiaro il rap-porto tra emozioni e sostanze quali potenti regolatori degli statiaffettivi e dunque potenti influenzatori delle risposte adattative22.Il controllo, la regolazione od il potenziamento di stati affettiviche possono apparire vantaggiosi in determinate circostanze,sembrano essere la motivazione più plausibile della diffusionedei comportamenti di assunzione di sostanze, anche in virtùdella rapidità con la quale in genere si raggiungono gli effettiattesi e si consolidano gli apprendimenti associati.Nei sistemi culturali la chiave del successo è la capacità di impa-rare rapidamente e di continuare ad imparare in un mondo checambia23, e il successo culturale consiste nel realizzare le cose

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che rendono probabile il successo biologico, cioè un’alta ido-neità complessiva (inclusive fitness)24.La questione più complicata rimane pur sempre come verificareil nesso tra fenomeni culturali e precondizioni biologiche, datoche nella vita sociale umana entrano in scena livelli e criteri disuccesso diversissimi che tendono a mutare anche molto rapi-damente, e non sappiamo se una certa norma o sistemi diregolazione sociale sono stati in vigore abbastanza a lungo perprodurre un marcato cambiamento nella frequenza dei rispet-tivi geni.Mentre la biologia del successo sembra essere rimasta costantenel tempo e geneticamente legata al vantaggio riproduttivo, la cul-tura del successo ha assunto forme e caratteristiche polimorfe,alcune delle quali esasperate dall’aumento delle strategie e deglistrumenti a valore biologico, che sono culturalmente determinati.La disponibilità di sostanze ad effetto psicotropo, di farmaci,interventi chirurgici, trapianti, controllo riproduttivo, risorse eco-nomiche, interventi sul genoma, costituiscono un corredo enor-me di possibilità culturalmente e tecnologicamente determinate,che hanno però un forte impatto biologico sia individuale checollettivo. La possibilità di intervenire direttamente o indirettamente sullecaratteristiche biologiche e quindi sul futuro evolutivo della spe-cie umana è a portata di mano dei singoli e della collettività,25 ela forbice aperta tra natura e cultura sembra potersi risolvere avantaggio di quest’ultima, ovvero della capacità della cultura diintervenire in maniera sempre più radicale sulle condizioni bio-logiche che ne hanno favorito questo tipo di sviluppo.L’uso di droghe si colloca legittimamente in questo scenariointerpretativo, in virtù degli effetti che sembrano consentireanche a fenotipi comportamentali contestualmente svantag-giati, di ottenere performances culturalmente e socialmenteappetibili.Non sappiamo in realtà se queste performances siano ancheevolutivamente vantaggiose, poiché non disponiamo di misuresignificative, in rapporto a tempi evolutivi troppo brevi, per capi-re se questi successi possano o meno favorire la selezione divariazioni geniche.Lo scollamento temporale tra natura e cultura,26 il mismatchevolutivo viene prodotto anche dallo sforzo culturale, e dallamediazione tecnologica, di dare finalismo a ciò che in natura ècasuale, ovvero le risposte adattative e i processi selettivi.Orientare, condizionare e selezionare culturalmente le risposteadattative che sembrano migliori in certi contesti, ma di cui nonc’è alcune evidenza che lo siano anche dal punto di vista biolo-gico, sembra avere tuttavia un certo valore, almeno nell’imme-diato futuro individuale.A dispetto di alcune evidenze (aumento del rischio di mortalitàrelativa ad alcuni tipi di sostanze) le droghe e le sostanze dopan-ti sembrano assolvere questa funzione: permettere ai meno adat-ti di garantirsi le condizioni biologiche per sopravvivere e spera-re di avere quel successo culturale che a sua volta rende più pro-babile un alta idoneità complessiva.Chi sono i meno adatti?Gli individui che in relazione al contesto ambientale nel quale sisviluppano, dispongono di caratteristiche e tratti comportamenta-li meno funzionali a produrre risposte adattative che miglioranoil rapporto tra l’individuo e il suo ambiente di crescita.È una definizione che attiene ad una varietà di individui, che perragioni diverse (fattori che ne hanno condizionato la crescita elo sviluppo, opportunità colte o perdute, casualità) nel corsodella loro storia personale non sono stati in grado di svilupparequei tratti fenotipici che avrebbero migliorato la loro fitness.

Alcuni di questi individui diventano perciò più sensibili o vulne-rabili all’effetto adattativo delle sostanze psicotrope. Questo tipo di vulnerabilità è appannaggio specifico dell’uomoperché intrinsecamente legata alla complessità ed ai tempi indi-viduali (ontogenesi) del suo sviluppo, che non deve essere con-fusa con la discrepanza tra patrimonio genetico, a lentissimaevoluzione, e quello culturale, a rapida evoluzione (fenomenodefinito come genoma lag), bensì alla specificità della naturadell’uomo costretto come “animale specializzato nella non spe-cializzazione”ad apprendere tutto ciò che è necessario per lasua sopravvivenza e per lo sviluppo di competenze relazionaliadeguate27.Ciò rende ciascuno di noi più o meno vulnerabile, a secondadelle fasi evolutive del proprio sviluppo, ad errori, imperfezio-ni, incompiutezze, la cui gravità è da mettere in rapporto allaprecocità ed alla rilevanza degli eventi significativi, ma èanche ciò che ci rende originali, unici ed irripetibili nellanostra imperfezione.

Dal pensiero tipologico al pensiero popolazionale

Mettere al centro della riflessione il concetto di vulnerabilitàcosì definito, permette di passare dal pensiero tipologico aquello popolazionale e di sviluppare un corollario fondamen-tale: considerare il nostro lavoro non come intervento sulladiscontinuità tra salute e stato patologico, tra normalità edevianza, ma come attenzione al carattere particolare dei pro-cessi con cui ogni persona interagisce con l’ambiente e con glistimoli patogeni, ovvero la suscettibilità particolare e la vulne-rabilità individuale.Ciò diventa particolarmente interessante perché sposta il fuocodella prevenzione dal modello ontologico alla visione selettivadegli interventi. Dalle cause in sé come fattore deterministico sulquale intervenire a prescindere dalla storia individuale (le dro-ghe sono la causa in sé e quindi vanno combattute) alla relazio-ne storicamente determinata tra individuo e ambiente che nedefinisce il grado di vulnerabilità e adattamento.La prevenzione universalistica nel campo dell’abuso di sostanzeè ontologica e anche per questa ragione è stata un fallimento,mentre la prevenzione selettiva28 e indicata, sembrano piùconformi alla idea che sia possibile ed efficace migliorare lerisposte dei meno adatti. Possiamo dunque ragionevolmente ritenere che siano da svilup-pare due indirizzi di lavoro per la prevenzione:• ridurre la vulnerabilità dei meno adatti;• intervenire sui fattori socioculturali che determinano specifi-

che pressioni selettive.Il primo è compito dei professionisti della salute con programmimirati, selettivi, precoci, in grado di influire sulle relazioni traindividuo e ambiente di sviluppo, per ridurre i livelli di vulnera-bilità e sensibilità alla modulazione chimica delle emozioni29.Tali programmi dovranno sviluppare la capacità di reggere alladilazione delle gratificazioni e la possibilità di fruire dei risultatiin una dimensione progettuale non connotata dall’immediatez-za e dall’assolutezza. Un secondo scopo della prevenzione è di aiutare i bambini e gliadolescenti a controllare le emozioni e l’impulsività, insiemeagli elementi del carattere capaci di generare l’ansia. Quindi sostenere azioni rassicuranti e di supporto da partedella famiglia, potenziare una forte rete sociale e la capacitàdegli adulti di far percepire ai giovani serie prospettive di futu-ro, costituiranno un importante presidio nei confronti di quel-

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le incertezze connesse con la labilità emozionale, l’ansia el’impulsività.Sviluppare un attaccamento empatico, intenso, un forte senso diappartenenza alla famiglia e alle istituzioni pro-sociali, una pre-parazione a percepire le emozioni e a comunicarle.Va da sé che questo modo di intendere il lavoro di prevenzione,non può essere compito unicamente dei professionisti delledipendenze, ma richiede lo sviluppo di strategie e programmi

che coinvolgano i professionisti della salute e gli adulti di riferi-mento per questo tipo di responsabilità.Il secondo è compito degli adulti e quindi indirettamente anchedei professionisti della salute, che hanno “il potere” di orientarequei fattori culturali rilevanti nel determinare alcune caratteristi-che degli ambienti di crescita e nel potenziare pressioni seletti-ve che incentivano risposte condizionate e apprendimenti fina-lizzati a dominare il mondo più che ad abitarlo.

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Con “doppia diagnosi” si intende una situazione morbosa in cui c’èconcomitanza di una condizione tossicomanica e di un altro distur-bo psichiatrico. In realtà tale denominazione è utilizzata per indicare situazionispesso ad elevata complessità diagnostica in soggetti che presenta-no quadri di comorbidità in cui, nella maggior parte dei casi, levarie condizioni psicopatologiche si intrecciano e si influenzanoreciprocamente.Il problema della doppia diagnosi è di forte attualità perché permolto tempo in queste situazioni complesse ha dominato la ten-denza ad effettuare un’unica diagnosi basata sul quadro clinicodominante: disturbo psichiatrico o disturbo da assunzione disostanze. Ciò spesso ha comportato un approccio terapeutico unidirezionalecon risultati inferiori a quelli attesi. Nonostante gli studi condottinegli ultimi anni, l’approccio alla doppia diagnosi presenta ancoradelle questioni aperte. Ad oggi molti autori sono concordi nell’affermare che, tra i disturbipsichiatrici maggiori, i disturbi bipolari sono quelli più frequente-mente riscontrati in associazione con l’uso di sostanze psicoattive. Si ritiene inoltre che, nell’ambito di tale associazione, la presenza diun disturbo da uso di sostanze (DUS) costituisce un fattore progno-stico negativo, determinando nel decorso clinico un elevato rischiodi comparsa di episodi misti, di rapida ciclicità, suicidio e scarsarisposta alle terapie, in particolare a quella stabilizzatrice con sali dilitio (Albanese et al., 2006; Albanese et al., 1994). Viceversa i dati della letteratura indicano che l’alcolismo associatoa disturbo bipolare avrebbe una prognosi molto migliore rispettoall’alcolismo puro (secondo Winokur et al., 1995, dopo trattamentoe follow-up di 10 anni, di 131 pazienti con doppia diagnosi inizia-le, solo 1 avrebbe conservato l’abuso alcolico). La frequente compresenza di DUS e di disturbi bipolari è ancoraoggetto di discussione accesa sotto l’aspetto etiopatogenetico. Rimangono ancora aperti i seguenti interrogativi: Il DUS è una com-plicanza del disturbo bipolare? Il disturbo bipolare è espressione cli-nica di un disturbo da uso di sostanze? L’uso di sostanze può sla-tentizzare un disturbo bipolare in soggetti predisposti? Si tratta didue patologie concomitanti indipendenti? E in quest’ultimo caso,esiste una rapporto gerarchico tra i due disturbi? I dati emersi nell’ambito dell’Epidemiological Catchment Area Pro-gram evidenziano che il 56.1% dei soggetti affetti da disturbo bipo-lare presentano anche un disturbo da uso di sostanze (Regier et al.,1990). La elevata frequenza di doppia diagnosi tra i pazienti condisturbo bipolare riceve conferma anche dalla osservazione che ilrapporto di prevalenza di disturbo bipolare con doppia diagnosi e didisturbo unipolare con doppia diagnosi è di circa tre a uno. In let-teratura la comorbidità lifetime con l’abuso alcolico in soggetti condisturbi bipolari risulta mediamente presente nel 30% dei casi conpunte massime di circa il 70%. Le percentuali variano tra il 14% eil 60% con riferimento alla comorbidità per l’abuso di altre sostan-ze (Cassidy et al., 2001). In uno studio condotto da Goldberg e coll.(2002) si osserva che il disturbo bipolare si complica più frequente-

mente con abuso di alcol (82% dei soggetti) e in misura progressi-vamente minore con abuso di cocaina, marijuana e altre sostanzequali amfetamine e allucinogeni. Ulteriori dati ottenuti da campio-ni clinici confermano che l’alcol è la sostanza d’abuso più frequen-temente riscontrata tra gli individui con disturbo bipolare (Chengap-pa et al, 2000). In maniera speculare, anche indagando la presenzadi alterazioni dell’umore in soggetti con DUS si riscontrano risultatianaloghi. In un ampio studio condotto circa 20 anni fa, Weissman ecoll. (1980) hanno riportato che il 70% degli alcolisti soddisfa i cri-teri per un altro disturbo psichiatrico e che ben il 50% presenta unadiagnosi di depressione o di disturbo bipolare. Queste percentualirisultano confermate da uno studio condotto più di recente da Kes-sler e coll. (1997) in cui è stata riscontrata un’elevata incidenza didisturbo bipolare in soggetti abusatori/dipendenti da alcol.Le ipotesi finora avanzate per spiegare l’elevata frequenza con cui ilDUS complicherebbe i disturbi bipolari sono contrastanti. In tempinon troppo lontani è stata avanzata l’ipotesi dell’automedicazionesecondo cui i pazienti bipolari utilizzerebbero sostanze (d’abuso) aldi fuori di una prescrizione medica per alleviare la sofferenza sog-gettiva o modificare le alterazioni psicopatologiche che il disturbocomporta. La riduzione della sofferenza agirebbe poi come rinforzoe porterebbe all’assunzione ripetuta della sostanza fino a creare undisturbo da uso di sostanze in comorbidità con il disturbo psichia-trico di base. Secondo tale modello, i pazienti bipolari assumereb-bero sostanze ad azione deprimente sul SNC (alcol) per il controllo,ad esempio, dell’insonnia e dell’euforia. Al contrario, si verifiche-rebbe l’assunzione di sostanze psicostimolanti in fase depressiva. Adoggi tale ipotesi sembra essere poco accreditata: esistono studi chedimostrano la persistenza delle stesse condotte d’abuso indipen-dentemente dal peggioramento o altra variazione del quadro sinto-matologico (Kosten et al., 1988; Miller et al., 1990; Schuckit et al.,1990) ed è stato documentato l’abuso di sostanze psicostimolanticome la cocaina anche in pazienti maniacali (Weiss et al., 1988).Utilizzando un criterio gerarchico secondo cui il disturbo primarioè il disturbo bipolare e il DUS è accessorio, l’abuso/dipendenza dasostanze potrebbe essere conseguente ad esempio alla condizionedi innalzamento patologico del tono dell’umore che si accompagnaa condotte impulsive e illecite con riduzione della capacità di giu-dizio. Alla base di queste considerazioni vi è inoltre l’osservazioneche l’abuso di alcol e sostanze sembra essere correlato a particolaricaratteristiche temperamentali (come il temperamento ciclotimico),per cui una lieve ma persistente instabilità affettiva potrebbe favori-re le condotte di abuso e infine slatentizzare un disturbo bipolare inun soggetto che altrimenti avrebbe avuto solo una modesta predi-sposizione (Maremmani et al., 1994). Un approccio gerarchico allacompresenza di disturbi bipolari e di DUS non è però del tutto com-patibile con la definizione più restrittiva di doppia diagnosi, che ègiustificata solo qualora si tratti di disturbi concomitanti e indipen-denti. Pertanto, a stretto rigore, non sarebbe giustificata una doppiadiagnosi quando il DUS risulta essere primario e il disturbo bipola-re accessorio e viceversa. Sulla base di tale presupposto, dovrebbeessere accuratamente esclusa la “doppia diagnosi” nei casi in cui lemanifestazioni cliniche del disturbo bipolare sono diretta conse-guenza di un abuso o dipendenza da sostanze (mania e depressio-ne “secondarie”). Spesso, infatti, quadri clinici di eccitamentomaniacale acuto o di depressione dovuti a intossicazione o astinen-

AREA CLINICA

Doppia diagnosi: disturbi bipolarie disturbi da uso di sostanzeGiuseppe Maina*, Virginia D’Ambrosio*

* Dipartimento di Neuroscienze, SCDU Psichiatria, Università degliStudi di Torino.

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za da sostanze sono del tutto indistinguibili dai disturbi primari, mageneralmente regrediscono in pochi giorni dopo sospensione dellasostanza d’abuso, ragion per cui la evidenziazione di una relazionetemporale con l’assunzione di sostanze può essere di grande ausiliodiagnostico. In alcuni casi, però, in cui il DUS è cronologicamenteprimario rispetto al disturbo bipolare, i quadri clinici osservati pos-sono persistere più a lungo nel tempo, lasciando supporre in talisituazioni un ruolo slatentizzante del DUS nei confronti di un distur-bo bipolare ed è frequente poi rilevare nell’anamnesi di questi sog-getti pregresse alterazioni dell’umore, talora subcliniche, o unafamiliarità positiva per disturbi dell’umore. Abbandonando i tentativi di “gerarchizzazione” all’interno delladoppia diagnosi, tra DUS e disturbi bipolari, si fa strada l’ipotesi,attualmente più suggestiva, che i due disturbi siano epifenomeni diun unico substrato biologico. Secondo Akiskal (1988) la compresen-za di depressione e abuso di sostanze definiva un disturbo bipolaresecondo il concetto di “spettro bipolare allargato”. Gli studi familia-ri e quelli più recenti di genetica molecolare sul disturbo bipolare(Berrettini et al., 2001) supportano la presenza di una correlazionegenetica tra DUS e disturbo bipolare. Tale correlazione è evidenzia-ta soprattutto dagli studi familiari condotti su pazienti bipolari conabuso di alcol. In un’analisi rivolta ai familiari di pazienti bipolari siriscontra una più elevata frequenza di alcolismo nei parenti dipazienti bipolari con abuso di alcol rispetto ai parenti dei pazientibipolari senza abuso e rispetto ai parenti dei soggetti di controllo.Nello stesso campione non si osservano differenze significative nellafrequenza di disturbo bipolare tra i parenti dei pazienti bipolari abu-satori e non (Winokur et al, 1995). Tali dati suggerirebbero un con-cetto di “cosyndromality” (piuttosto che di “comorbidity”) tra i duedisturbi che avrebbero pertanto un substrato genetico comune, nelsenso che nell’ambito familiare la presenza di un fattore geneticopredisponente all’alcolismo costituirebbe una condizione necessa-ria, ma non sufficiente, per l’insorgenza di un disturbo bipolare, perla cui estrinsecazione in uno dei membri sarebbe necessario il con-corso di un secondo fattore genetico o familiare a sua volta patoge-neticamente collegato con l’alcolismo. Tale tipo di concatenazionericorda situazioni similari che si osservano in altri ambiti patologiciin cui si configurano quadri cosindromici piuttosto che di comorbi-dità come ad esempio le sindromi neoplastiche che complicano sin-dromi genetiche eredo-familiari (neurofibromatosi, ecc.) (Winokur,1999; Winokur and Reich, 1970).

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NOTIZIE IN BREVE

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Introduzione: definizione di stabilizzatore

Il trattamento farmacologico del disturbo bipolare comprende laterapia degli episodi di alterazione dell’umore o terapia acuta ela terapia di mantenimento o a lungo termine. Nel trattamento dell’episodio acuto, tuttavia, è importante tene-re in considerazione la prospettiva longitudinale del disturbo stes-so: risulta di fondamentale importanza impostare un trattamentoche sia efficace non solo in acuto per determinare la risoluzionedella sintomatologia (ipo)maniacale o depressiva, ma soprattuttonel lungo termine, cioè nella prevenzione delle ricorrenze. A tale proposito si utilizzano farmaci detti stabilizzatori del tonodell’umore. Esistono diverse definizioni, più o meno restrittive, di stabilizza-tore dell’umore. Non esiste, tuttavia, una definizione comune-mente accettata e riconosciuta da tutti i ricercatori di stabilizza-tore dell’umore, tanto che il termine stesso non è accettato dallaFood and Drug Administration (FDA) Americana. Una delle definizioni più rigorose e restrittive è, ad esempio,quella proposta da Bauer e Mitchner (2004) secondo cui unagente può essere considerato uno stabilizzatore dell’umore sepresenta efficacia in quattro fasi distinte: il trattamento dellamania acuta, il trattamento della depressione in acuto, la pre-venzione delle ricorrenze maniacali e la prevenzione delle ricor-renze depressive. I farmaci attualmente disponibili che rispondono a tali definizio-ni di stabilizzatori dell’umore sono il litio, il valproato, la carba-mazepina, la lamotrigina e l’olanzapina. Per altri antipsicoticiatipici quali la quetiapina sono già stati effettuati studi rando-mizzati e controllati in alcune fasi del disturbo ma mancano perora evidenze di efficacia nel mantenimento. Anche per gli antipsicotici atipici, quindi, vale il discorso di unanon equivalenza di efficacia nel trattamento del disturbo bipola-re all’interno di composti della stessa classe, così come giàdimostrato per gli anticonvulsivanti che non sono di per sé tuttianche stabilizzatori dell’umore (non lo sono, ad esempio, inquanto esistono studi negativi in monoterapia, il gabapentin o iltopiramato). Esistono tuttavia alcune differenze di efficacia tra questi compo-sti, che permettono al clinico di utilizzare al meglio un farmacoa seconda delle caratteristiche del paziente bipolare. Scopo del presente lavoro è rivedere i dati di letteratura circa l’ef-ficacia dei vari stabilizzatori nelle diverse fasi del trattamento deldisturbo bipolare, sottolineandone le eventuali differenze, in mododa orientare la scelta all’interno della classe degli stabilizzatori.

Efficacia nel trattamento dell’episodio maniacale

Per quanto riguarda gli stabilizzatori nel trattamento della maniaacuta, il litio risulta avere attualmente evidenze di efficacia in

almeno due studi clinici randomizzati e controllati versus place-bo (Maggs et al., 1963; Bowden et al., 1994) e in sette diversistudi in cui il litio è stato confrontato versus controllo attivo(Johnson et al., 1968; Platman, 1970; Spring et al., 1970; John-son et al., 1971; Prien et al., 1972; Takahashi et al., 1975; Sho-psin et al., 1975). Si sottolinea che per la FDA sono necessarialmeno due studi in doppio-cieco controllati verso placebo epositivi per ottenere l’indicazione (in questo caso per il tratta-mento della mania). Per quanto riguarda il confronto diretto con altri farmaci antima-niacali, in uno studio di Bowden e coll. (1994) condotto in dop-pio cieco e controllato con placebo, il litio si è dimostrato di pariefficacia rispetto al Divalproex nel trattamento della maniaacuta. Il valproato ha almeno tre studi controllati versus placebo(Pope et al., 1991; Bowden et al., 1994; Emrich et al., 1980) equattro studi versus controllo attivo (Freeman et al., 1992; Vasu-dev et al., 2000; Tohen et al., 2002; Zajecka et al., 2002) che nedimostrano l’efficacia antimaniacale. Anche per il valproato,quindi, esistono prove documentate di efficacia nell’episodiomaniacale tali da soddisfare i criteri della FDA.Per quanto riguarda l’efficacia della carbamazepina nella maniaacuta, invece, nonostante l’ampio utilizzo di tale farmaco nellapratica clinica giornaliera, esiste un unico studio randomizzatoe controllato versus placebo, tra l’altro molto recente (Weisler etal., 2004); secondo i criteri della FDA, che richiedono almenodue studi controllati verso placebo, la carbamazepina non hasufficienti dati di efficacia per avere l’indicazione nella maniaacuta. Vi sono numerosi studi controllati verso comparatori atti-vi: quattro studi controllati versus litio (Lerer et al., 1987; Lusz-nat et al., 1988; Okuma et al., 1990; Small et al., 1991); uno stu-dio di Vasudev e coll. (2000) che dimostra una efficacia superioredel valproato rispetto alla carbamazepina (miglioramento superio-re alla YMRS e più precoce) e uno studio di Brown e coll. (1989)che ne dimostra una pari efficacia rispetto all’aloperidolo. Non esistono dati di efficacia della lamotrigina nel trattamentodell’episodio maniacale.Se esaminiamo le linee guida disponibili per il trattamento del-l’episodio euforico, possiamo osservare che le linee guida del-l’American Psychiatry Association del ’94 riportavano il litiocome farmaco di prima scelta nel trattamento della mania acuta,mentre nel 2002 le stesse sono state ampliate comprendendocome farmaci di prima scelta anche il valproato o gli antipsico-tici atipici. Anche le linee guida della British Association of Phar-machology del 2003 riportano come prima scelta il litio, il val-proato o gli antipsicotici atipici (Fountoulakis et al., 2005). Nonviene menzionata la carbamazepina, sulla base delle considera-zioni precedentemente effettuate. Oltre ai classici stabilizzatorivengono invece menzionati nelle linee guida più recenti gli anti-psicotici atipici; per quanto riguarda nello specifico la scelta diun antipsicotico atipico nel trattamento della mania bisognatener conto di tre caratteristiche fondamentali: l’antipsicoticodeve essere efficace nella fase acuta, non deve indurre un mag-gior rischio di switch in depressione e infine deve essere effica-ce nella prevenzione delle ricorrenze.

AREA FARMACOLOGICA - TOSSICOLOGICA

Quali farmaci sono stabilizzatori dell’umore?Giuseppe Maina*, Umberto Albert*, Virginia D’Ambrosio*

* Servizio per i disturbi depressivi e d’ansia, Dipartimento di Neuro-scienze, Università degli Studi di Torino.

Gli antipsicotici atipici attualmente studiati con metodica rigo-rosa, cioè in studi randomizzati e controllati (RCT), sono l’olan-zapina, il risperidone, la quetiapina e l’aripiprazolo. Per quanto riguarda il primo punto, cioè l’efficacia nella maniaacuta, tutti gli antipsicotici atipici hanno mostrato di essere effi-caci. Per l’olanzapina sono stati condotti tre studi controllati ver-sus placebo (Tohen et al., 2003; Tohen et al., 1999; Tohen et al.,2000) e tre studi versus controllo attivo in cui l’olanzapina si èdimostrata parimenti (Zajecka et al., 2002) o più efficace (Tohenet al., 2002) del valproato e di pari efficacia rispetto all’aloperi-dolo (Tohen et al., 2003). Gli RCT condotti sull’utilizzo di rispe-ridone nella mania hanno evidenziato che è più efficace del pla-cebo (Sachs et al., 2002; Yatham et al., 2003; Khanna et al.,2005; Smulevich et al., 2005; Hirsschfeld et al., 2005) e ha pariefficacia rispetto a litio e aloperidolo (Segal et al., 1998; Sachs etal., 2002). Gli RCT condotti sulla quetiapina nel trattamentodella mania acuta hanno dimostrato che è più efficace del pla-cebo (Sachs et al., 2004; Yatham et al., 2004; Vieta et al., 2005;Bowden et al., 2005), è efficace come il litio (Bowden et al.,2005) e come l’aloperidolo (Mcintyre et al., 2005). Gli RCTcondotti su aripiprazolo, infine, hanno evidenziato che è piùefficace del placebo (Keck et al., 2003) e di aloperidolo (Vietaet al., 2005). Ritorneremo sugli altri due punti (non induzione di switch in epi-sodi contropolari e efficacia nella prevenzione delle ricorrenze)nei paragrafi successivi.

Efficacia nel trattamento dell’Episodio DepressivoMaggiore Bipolare

Molto più esigui appaiono invece gli studi di classe A (secondola Food and Drug Administration, cioè studi clinici randomizza-ti, controllati in doppio-cieco verso placebo o altro compostoattivo) condotti nella depressione acuta bipolare. Ne risulta che nessun farmaco, al momento attuale, ha l’indica-zione per il trattamento della depressione bipolare.Per il litio esistono almeno tre studi controllati versus placebo,tutti condotti negli anni Settanta in cui si confrontava la rispostadegli stessi soggetti a placebo o a litio (disegno dello studio ABA)(Goodwin et al., 1972; Baron et al., 1975; Mendels et al., 1976),che ne dimostrano l’efficacia sui sintomi depressivi. Al momen-to attuale il litio è quindi l’unico farmaco per cui esistono datisostanziali di efficacia nel trattamento dell’episodio depressivomaggiore bipolare.Esistono dati di efficacia per quanto concerne la lamotrigina; inuno studio in doppio cieco condotto da Calabrese e coll. (1999)la lamotrigina è stata confrontata con il placebo nel trattamentodella depressione nell’ambito del disturbo bipolare di tipo I: intale studio la lamotrigina è risultata più efficace del placebo.Diversi sono gli studi con lamotrigina nella profilassi degli epi-sodi di opposta polarità, ma non esistono altri studi pubblicati inletteratura sull’efficacia della lamotrigina in acuto e in monote-rapia, per cui sono necessarie ulteriori conferme. Ciononostantela lamotrigina è considerata uno stabilizzatore from below ed èconsigliata come farmaco di prima scelta insieme al litio per ladepressione bipolare.Non sono ancora indicate chiaramente linee guida sull’utilizzodegli antipsicotici atipici nel trattamento della depressione bipo-lare, ma emergono dati recenti che sembrano indicarne un ruoloanche in questa fase del disturbo bipolare: sono stati condottidue studi (Tohen et al., 2003; Calabrese et al., 2005) in cui sonostati confrontati olanzapina e quetiapina versus placebo nel trat-

tamento dell’episodio depressivo. Secondo quanto evidenziatoda Tohen e coll. l’olanzapina in monoterapia è più efficace delplacebo e ancor più efficace se ad essa viene aggiunta fluoxeti-na. Nello studio randomizzato in doppio cieco verso placebocondotto da Calabrese e coll. la quetiapina, indipendentementedal dosaggio raggiunto (300 mg/die vs 600 mg/die) è più effica-ce nel ridurre i sintomi depressivi in pazienti con disturbo bipo-lare I o II. È verosimile, quindi, che per il loro profilo d’azionesul sistema serotoninergico, alcuni antipsicotici atipici possanoavere un’azione anche antidepressiva pur nell’ambito diagnosti-co del disturbo bipolare.Secondo una definizione meno restrittiva di stabilizzatore del-l’umore appare di fondamentale importanza il fatto che il far-maco utilizzato nel trattamento in acuto del disturbo bipolarenon determini uno switch nell’episodio contropolare. Questo èparticolarmente rilevante quando si consideri la potenziale azio-ne stabilizzatrice di un antipsicotico.A tale proposito l’introduzione degli antipsicotici atipici nel trat-tamento in acuto della mania ha rappresentato un importantepasso avanti rispetto ai neurolettici in quanto questi ultimi eranogravati da un elevato tasso di switch in episodi contropolari: unostudio in doppio cieco condotto a 12 settimane da Tohen e coll.(2003) ha evidenziato che olanzapina, ad esempio, ha un minortasso di switch in depressione rispetto a aloperidolo (rispettivamen-te 4.7% vs 12.2%, e tale differenza è statisticamente significativa).Questa è la ragione per cui i neurolettici non possono essere con-siderati degli stabilizzatori pur essendoci prove di efficacia nel trat-tamento degli episodi maniacali, mentre l’olanzapina sì.Esistono studi che dimostrano altresì che l’impiego di olanzapi-na (5-20 mg) o della combinazione olanzapina/fluoxetina neltrattamento dell’episodio depressivo bipolare non è associato adun aumento significativo rispetto al placebo di episodi successi-vi contropolari (ipo o maniacali) (Amsterdam e Shults, 2005;Keck et al., 2005). Mentre appare intuitivo per l’impiego di olanzapina in monote-rapia, l’associazione con fluoxetina (più efficace, si ricorda, neltrattamento dell’episodio depressivo) non espone il paziente adun aumentato rischio di switch.

Efficacia nella prevenzione delle ricorrenze

Considerando gli stabilizzatori dell’umore secondo un’ottica piùristretta, essi devono essere farmaci efficaci anche nella profilas-si delle ricorrenze del disturbo bipolare. Necessaria premessa èche gli studi condotti in doppio cieco nel trattamento profilatti-co (prevenzione di nuovi episodi) del disturbo bipolare sonopochi e tutti di durata limitata nel tempo (1 anno circa, massimodue anni) per le ovvie difficoltà metodologiche (necessità dimantenere il doppio cieco a lungo ed esposizione a placebo). Esistono studi in aperto di durata molto superiore (in genere perònon superiore a cinque anni), che tuttavia non citeremo nella pre-sente trattazione dal momento che lo scopo principale di questatrattazione è analizzare i dati derivanti dagli studi controllati.L’azione profilattica del litio nei confronti degli episodi affettivi èstata analizzata in molti studi controllati versus placebo (Baastrupet al., 1970; Coppen et al., 1971; Cundall et al., 1972; Prien et al.,1973; Prien et al., 1973), risultati tutti positivi. In particolare, alcu-ni studi sono stati condotti per dimostrare l’efficacia profilatticadel litio, specificatamente, nei confronti degli episodi depressivi emaniacali. In uno studio condotto da Stallone e coll. (1973) il litioè risultato più efficace del placebo nella prevenzione delle ricor-renze sia depressive che maniacali, mentre in uno studio di Dun-

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ner e coll. (1976) l’efficacia è stata riscontrata per le ricorrenzemaniacali. Dallo studio più recente di confronto con placebo elamotrigina (Goodwin et al., 2004), infine, sembra emergere cheil litio ha una efficacia preferenziale nel prevenire episodi(ipo)maniacali (Litio>placebo; lamotrigina>placebo; litio>lamotri-gina) mentre non sembrerebbe diverso da placebo per quellidepressivi (Litio=placebo; lamotrigina>placebo). Vi è da sottoli-neare, tuttavia, che tale studio era “arricchito” per la presenza disoggetti responders alla lamotrigina in acuto (i pazienti per lo piùvenivano trattati con lamotrigina in acuto e successivamente ran-domizzati nel mantenimento a litio o lamotrigina), il che rendemaggiore la probabilità di risposta preferenziale alla lamotrigina.Per il litio esistono quindi evidenze sicure dell’efficacia comestabilizzatore dell’umore, anche derivanti da uno studio di meta-analisi (Geddes et al., 2004) che sottolinea l’azione preferenzia-le sulla prevenzione delle ricorrenze maniacali.Per il valproato i dati di efficacia sono maggiormente controver-si. Esiste un unico studio randomizzato e controllato versus pla-cebo e litio nella profilassi delle ricorrenze (Bowden et al., 1994),che tra l’altro aveva come primary outcome measure il tempofino alla ricorrenza e non il tasso di ricorrenza. Tale studio nonha dimostrato una superiore efficacia di nessun composto attivo(né litio né valproato) rispetto al placebo. Una analisi, tuttavia,ristretta ai soli soggetti trattati in acuto con valproato (campio-ne “arricchito”) ha permesso di rilevare una differenza statisti-camente significativa rispetto al placebo, ad indicare che iltrattamento profilattico deve comunque essere condotto con lostesso farmaco impiegato in acuto per determinare la remissio-ne della sintomatologia dell’episodio. Esistono per il valproatoaltri due studi controllati recenti, uno verso olanzapina e unoverso litio nei rapidi ciclici. Nel primo studio, condotto daTohen e coll. (2003), il valproato è risultato avere la stessa effi-cacia dell’olanzapina nella prevenzione delle ricorrenze siamaniacali che depressive dopo remissione dell’episodiomaniacale; il tasso di remissione dell’episodio acuto era iden-tico per i due farmaci, ma il tempo medio per ottenere la remis-sione è risultato inferiore per olanzapina. Uno studio recente,infine, controllato verso litio (Calabrese et al., 2005) ha dimo-strato una pari efficacia del valproato rispetto al litio nella pro-filassi a 20 mesi delle ricorrenze del disturbo bipolare in uncampione di rapidi ciclici.Per quanto riguarda la carbamazepina, sono stati condotti ununico studio controllato versus placebo, in cui la carbamazepi-na non è risultata superiore al placebo (Okuma et al., 1981), etre studi versus litio (Coxhead et al., 1992; Simhandl et al, 1993)dai risultati ambigui; l’ultimo studio, più recente e rigoroso, hadimostrato una efficacia inferiore della carbamazepina rispettoal litio (Hartong et al., 2003). Non vi sono quindi prove suffi-cienti di efficacia dell’azione profilattica della carbamazepina.Per la lamotrigina esistono almeno due studi rigorosi rispetto aplacebo e comparatore attivo (litio); da una pooled analysis con-dotta da Goodwin e coll. (2004) sui risultati dei due studi effet-tuati (già citata precedentemente) è risultato che la lamotrigina èpiù efficace del litio e del placebo nel prevenire le ricadutedepressive. Il litio è risultato essere più efficace nella prevenzio-ne delle ricadute maniacali rispetto alla lamotrigina e al placebo. Secondo la definizione più ristretta di stabilizzatore dell’umoregli antipsicotici atipici devono dimostrare efficacia nel tratta-mento in acuto del disturbo bipolare ma anche nella profilassidelle ricorrenze. A tal proposito, esistono studi di classe A (con-trollati verso placebo o comparatore attivo, in doppio cieco)solo per olanzapina. Esistono studi in cui altri antipsicotici ati-pici sono stati impiegati in aggiunta (add-on therapy) ad altro

stabilizzatore, ma lo scopo di questa revisione della letteraturaè sottolineare in dati di efficacia riguardo all’impiego in mono-terapia per poter rispondere alla domanda su quali farmaci pos-sano essere considerati stabilizzatori.Per quanto riguarda l’utilizzo dell’olanzapina in monoterapianella profilassi delle ricorrenze del disturbo bipolare esiste unostudio condotto versus placebo in soggetti che avevano prece-dentemente risposto all’olanzapina (Tohen et al., 2006): in talestudio l’olanzapina si è dimostrata più efficace nella prevenzio-ne delle ricorrenze sia depressive che maniacali. Al momentoattuale questo è l’unico studio pubblicato condotto in doppio-cieco e verso placebo nella profilassi del disturbo bipolare conun antipsicotico atipico in monoterapia.Esistono inoltre per olanzapina studi in monoterapia a lungo ter-mine di confronto con valproato e litio. Il primo, già citato(Tohen et al., 2003), ha evidenziato che i tassi di ricaduta doporemissione dell’episodio maniacale sono uguali per olanzapinae valproato; olanzapina è tuttavia più veloce nel determinare larisposta in acuto. Lo studio clinico controllato di confronto tralitio e olanzapina in monoterapia condotto in doppio cieco(Tohen et al., 2005) ha evidenziato che i tassi di ricadute sonouguali per quanto riguarda le ricadute depressive mentre perquanto concerne le ricadute maniacali l’olanzapina risulta supe-riore al litio (rispettivamente 11.9% vs 25.4%). Tale studio è par-ticolarmente significativo in quanto è stato condotto su soggettila cui remissione della sintomatologia acuta era stata ottenutacon trattamento combinato litio e olanzapina; il campione nonè quindi “arricchito” in favore di uno dei due farmaci stabilizza-tori come in altri studi.

Conclusioni

In conclusione, facendo riferimento alla definizione più ristrettadi stabilizzatore, quale quella proposta da Bauer e Mitchner, sol-tanto il litio potrebbe essere incluso tra gli stabilizzatori in quan-to possiede almeno due studi di classe A (studi randomizzati econtrollati) che ne dimostrano l’efficacia sotto quattro diversipunti di vista nel trattamento del disturbo bipolare: trattamentodell’episodio maniacale acuto, della depressione bipolare acuta,prevenzione sia degli episodi maniacali che di quelli depressivinei pazienti bipolari.Diversi altri farmaci, tra quelli esaminati nella presente trattazio-ne, possono però essere definiti stabilizzatori dell’umore secon-do una definizione meno restrittiva e più utile nella pratica cli-nica, con tuttavia notevoli differenze circa la consistenza delleprove di efficacia.Per l’acido valproico mancano dati certi di efficacia per quantoriguarda il trattamento dell’episodio depressivo maggiore bipo-lare; sono inoltre necessarie conferme circa l’efficacia profilatti-ca. Mancano invece dati di efficacia sul lungo termine per la car-bamazepina, tanto che nessuna delle linee guida attualmentepresenti la considera farmaco di prima scelta nella terapia profi-lattica del disturbo bipolare. Sono promettenti i dati circa l’efficacia della lamotrigina, il cuiruolo, tuttavia, è limitato all’impiego nel trattamento delladepressione bipolare e nella prevenzione degli episodi soprat-tutto depressivi.Tra gli antipsicotici atipici, solo per olanzapina esistono almomento attuale evidenze documentate di una buona efficaciaantimaniacale e di una buona efficacia nella prevenzione degliepisodi di opposta polarità nella terapia a lungo termine deldisturbo, ed è infatti l’unico composto di tale classe ad avere l’in-dicazione nel trattamento di mantenimento del disturbo bipolare.

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Questo lavoro si propone di verificare l’efficacia della terapia dimantenimento metadonico a dosaggio adeguato sul controllodella sintomatologia psicotica sottosoglia repertata nella popola-zione dei tossicodipendenti in trattamento metadonico (media56,87 mg/die) in carico ai Ser.T. della ASL NA 3. A tale scopo èstato arruolato un campione di 83 tossicodipendenti, privi di sin-tomatologia psichiatrica oggettivamente descrivibile e concla-mata, estratto randomicamente dalla popolazione di 1000 tossi-codipendenti afferenti alle tre differenti UO SerT che insistononell’hinterland al margine nord di Napoli. Attraverso la sommi-nistrazione del questionario FBF per il rilevamento dei Sintomidi Base (SB) si è evidenziata, in tutti i soggetti reclutati, la pre-senza di una significativa quota di dimensioni fenomenichedisturbate sul piano psicopatologico soggettivo (media 36/98).Selezionando, in questo campione, il sottogruppo di 20 utenticon punteggio all’FBF inferiore a 30/98, si è riscontrata l’assun-zione di un dosaggio metadonico più elevato (media di 81,25mg/die) rispetto al resto del campione esaminato (49,13 mg/die).I dati comparativi tra le medie di item compromessi in questosottogruppo selezionato (16/98) ed il campione rimanente(44,16/98), depongono per un’azione significativamente conte-nitiva e protettiva del dosaggio metadonico adeguato sulla note-vole vulnerabilità psichiatrica repertata nel campione esamina-to, con evidente riduzione del rischio psicotico.

Introduzione

La massiva diffusione della comorbilità psichiatrica nella popo-lazione dei tossicodipendenti sta ponendo al sistema socio-sanitario italiano notevoli problemi di trattamento e di progno-

si, non esistendo, soprattutto, nell’attuale organizzazione dico-tomica Salute mentale/Servizi per le Dipendenze, strutture spe-cifiche deputate al trattamento integrato. Come per tutte lepatologie gravi, croniche, fortemente invalidanti e ad altoimpatto sociosanitario, anche per la doppia diagnosi è, pertan-to, del tutto fondamentale impostare un discorso preventivoincentrato su criteri obiettivabili e univoci. Se la doppia dia-gnosi incombe sul futuro della popolazione tossicomane piùche come un’eccezionalità, come un’aspettativa, diventa cru-ciale poter utilizzare strumenti di rilevazione precoce e presididi trattamento efficaci sia nel contenimento che nella prote-zione dello scompenso psicotico nel tossicodipendente. Comeè noto il trattamento precoce delle psicosi agli stadi iniziali sitraduce in una prognosi migliore, risultante dalla relativa con-servazione delle abilità sociali e dalla ritenzione in trattamen-to. Tutto ciò si configura, ovviamente, in una ricaduta positivasui Servizi, in termini di risorse umane e di costi e di outcomegenerale degli interventi. È da tempo nota l’azione antipsicotica del metadone nella sinto-matologia conclamata, paranoide e aggressiva, anche in sogget-ti non tossicodipendenti (1, 2, 3, 4). È altresì dimostrato che iltossicodipendente con sintomatologia psicotica conclamatanecessita di una protratta terapia di mantenimento metadonicocon incremento del dosaggio al fine di limitare le conseguenzacomportamentali delle alterazioni percettive e del pensiero. (5)Non ci sono, invece, in letteratura, studi che dimostrino l’effica-cia del metadone nella prevenzione della sintomatologia psico-tica nei tossicodipendenti, e nella protezione dallo scompensonei soggetti vulnerabili. Non esistono, del resto, allo stato attua-le, neanche studi che rilevano la presenza di sintomatologia dimarca psicotica sottosoglia nei tossicodipendenti. L’obiettivo chequesto lavoro si propone, quindi, è duplice: 1) monitorare la presenza di sintomi sottosoglia di inconfondibi-le segno psicotico nella popolazione generale dei tossicodipen-denti in trattamento metadonico;2) dimostrare come il trattamento sostitutivo con metadone pre-venga, in questa popolazione, il manifestarsi di crisi psicoticheconclamate. In particolare lo studio si propone di verificare ilrange di dosaggio metadonico che dà maggiori garanzie di pro-tezione nei confronti dello scompenso psicotico nei soggetti vul-nerabili.

AREA CLINICA

Efficacia del trattamento metadonico sul controllodei sintomi psicotici sottosoglia nei tossicodipendentiG. Di Petta*, V. D’Auria**, G. Sirico***, G. Liguori****, P. Scurti*****, B. Piazza+,A. Cimminiello++, A. Falcone+++, A. Valdevit°, A. Di Cintio°, D. Della Porta°, G. Trojano°,C. Padricelli°, R. Bruno°°

Questo lavoro è stato premiato nel corso del recente congresso di Pescara al secondo posto del 2° concorso nazionale indetto daFeDerSerD in collaborazione con la ditta Molteni “Il trattamento del paziente con doppia diagnosi: il ruolo del metadone”.La commissione giudicatrice, composta dall’Ufficio di Presidenza e dal Coordinamento del Comitato Scientifico Nazionale diFeDerSerD, ha espresso il seguente giudizio.“Lavoro che presenta una buona casistica, una valida originalità; una ottima scelta della randomizzazione. Valida appare lametodologia di report, mentre carente è l’aspetto statistico nella valutazione di significatività. Appare elevata la ricaduta sulleattività dei Servizi. - Punteggio finale 16/20”.

* Neuropsichiatria, Dirigente Medico, Responsabile UO Doppia Dia-gnosi, ** Dirigente Medico, Responsabile UO Ser.T. DSB 65, *** Diri-gente Medico, Responsabile UO Ser.T. DSB 68, **** Dirigente Medi-co, Responsabile UO SerT DSB 63, ***** Dirigente Psicologo,Responsabile UO Riabilitazione, + Dirigente Medico, UO Ser.T. DSB65, ++ Dirigente Medico, UO Ser.T. DSB 63, +++ Educatore, UOSer.T. DSB 68, ° Psicologo Volontario, UO Doppia Diagnosi, °° Psi-cologo Borsista, UO Doppia Diagnosi, area farmacotossicodipen-denze ASL NA 3, coordinatore V. D’Auria.

Materiali e metodi

Il campione arruolato è costituito da 83 utenti tra i 1000 afferen-ti afferenti alle tre UO Ser.T. dell’ASL NA 3, tutti in trattamentosostitutivo metadonico senza comorbilità psichiatrica conclama-ta oggettivamente rilevabile, ai quali, dopo un colloquio psichia-trico, è stato somministrato da un operatore precedentementeaddestrato con adeguato training il questionario dei sintomi dibase (SB) FBF (Frankfurter Beschwerde Fragebogen di Sullwold L.,curato per l’ed. it. da Stanghellini, Strik e Cabras)1. Il criterio direclutamento degli utenti per lo studio è stato random, in manie-ra da riproporre l’immagine fotografica di uno spaccato quantopiù possibile reale dell’utenza ordinariamente in carico ai Servi-zi per le Dipendenze. Il questionario FBF, utilizzato allo scopo direpertare la sintomatologia sottosoglia, è uno strumento di valu-tazione psicopatologica di matrice tedesca di impostazione feno-menologica, fondato esclusivamente su quanto gli stessi pazientisono in grado di riferire all’intervistatore circa i disturbi nella per-cezione della propria esperienza di sé, con gli altri, nel mondo.Il questionario, costituito da 98 item ai quali il soggetto è invita-to a rispondere SI oppure NO, prende in esame i sintomi di base(SB) che sono definiti, in letteratura, come alterazioni elementarie aspecifiche dell’esperienza interna del soggetto, avvertite comedisturbanti, che possono costituire un prodromo di accesso allospettro psicopatologico di segno psicotico.È noto che l’abuso di sostanze, in particolare di oppiacei, in molticasi copre un sottostante disturbo psichiatrico, pertanto, nellaricerca della vulnerabilità psicotica di cui i sintomi sottosogliasono forti indicatori, è necessario utilizzare uno strumento di rile-vamento rivolto non tanto alle manifestazioni eclatanti del distur-bo psichiatrico, che possono essere silenziate dal camoufflageoperato dalle sostanze, ma piuttosto uno strumento sensibile acogliere quelle alterazioni sottili, pervasive e radicali dell’espe-rienza interna del soggetto, che, non traducendosi in comporta-menti visibili, non sono osservabili obiettivamente. Le dosi dimetadone assunte dal campione in esame variano da un minimodi 5 mg/die ad un massimo di 200 mg/die (media = 56.87mg/die). I punteggi emersi dalla somministrazione del questiona-rio FBF variano tra un minimo di 1/98 e un massimo di 93/98(media = 36,38). È stato utilizzato, come cut off di gravità, ilnumero di 30 item positivi, che ha consentito la definizione di unsottogruppo di 20 utenti, sul campione totale di 83, a bassa inten-sità di sintomatologia. In questo sottogruppo è stato verificato ildosaggio metadonico, allo scopo di chiarire la correlazione tradosaggio metadonico e gravità della sintomatologia sottosoglia.

Risultati

Dai dati in esame emerge una distribuzione casuale in merito aipunteggi per le singole dimensioni fenomeniche e i totali delquestionario.Seguono dei diagrammi di distribuzione di frequenza tra i pun-teggi FBF totali e il decrescente livello metadonico (fig. 2), ungrafico di dispersione tra queste due dimensioni (fig. 3) e infinele distribuzioni delle medie metadoniche con i singoli puntegginelle scale dei sintomi di base.Nell’ambito della popolazione studiata, a questo punto, è statoisolato un sottogruppo di 20 soggetti che presentavano un relati-vamente basso punteggio nel totale dei sintomi di base (minoredi 30/98); questo sottogruppo di soggetti era, di fatto, quello trat-tato a dosaggio metadonico più elevato. In particolare è emersoil dato, estremamente interessante, che tra i 50 e i 100 mg/die si

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Tab. 1 - Sintesi delle statistiche descrittive

Media Moda Mediana

Controllo 3,55 2 3Percezione semplice 2,49 0 2Percezione complessa 2,18 0 1Linguaggio 3,95 0 4Pensiero 4,72 1 5Memoria 3,72 0 3Motricità 3,38 0 3Automatismi 4,40 1 4Depressività 4,41 1 4Stimoli 4,53 2 4Totale 37,35 78 36

Fig. 1 - Grafico a barre relativo al dosaggio metadonico per i singo-li soggetti

Fig. 2 - Relazione tra SB e terapia sostitutiva in ordine decrescenteper dosaggio

Fig. 3 - Grafico di dispersione del dosaggio metadonico nel campione

raggiunge un tetto di stabilizzazione della sintomatologia dibase, non ulteriormente riducibile anche se si passa a dosaggimaggiori (fig. 4). I dati indicano, pertanto, che ad una mediametadonica è di 81,25 mg/die (moda di 80) corrispondono unamedia e la moda del totale FBF di 16.Confrontando le medie emerse da questo sottogruppo e il cam-pione totale rimanente, emergono i dati seguenti: per i 63 sog-getti la media dei SB emersa è di 44,13, mentre il livello meta-donico medio è di 49,13 mg/die. Seguono due grafici di distri-buzione di frequenza e di dispersione (figg. 6 e 7).

Discussione

I risultati emersi sono inquadrabili, concettualmente, secondo leseguenti linee interpretative:

1) la totalità dei soggetti esaminati (83 utenti randomicamentereclutati), pur non manifestando segni evidenti di disturbo psi-chiatrico conclamato, presenta un discreto punteggio (36/98)al questionario FBF, indicatore della presenza di una alterazio-ne pervasiva e sottile di dimensioni importanti della salutementale, come quella percettiva e quella del pensiero, tali daconfigurare possibili costellazioni sintomatologiche prodromi-che all’esperienza psicotica. Questo dato, se convalidato dastudi più estensivi, rappresenterebbe un indicatore allarmante,perché significherebbe che una quota rilevante della popola-zione tossicomane non psichiatrica, attualmente già in tratta-mento metadonico presso i Servizi per le Dipendenze, sta pro-babilmente velocemente viaggiando verso lo scompenso psi-chiatrico;

2) evidentemente, il trattamento sostitutivo con metadone clori-drato, assunto da tutti i soggetti reclutati (56,87mg/die), esercitagià di per sé una valida azione frenante sullo slittamento dellasintomatologia soggettiva rilevata dal questionario FBF verso unasintomatologia oggettivamente rilevabile e nosografizzabile condiagnosi di asse I del DSM IV-R. Questo significa che l’eventua-le l’interruzione del trattamento metadonico, in questi soggetti,senza un’adeguata copertura con farmaci antipsicotici specificio, peggio, la detossificazione forzata o assistita in regime resi-denziale sono pratiche altamente suscettibili di scompensare, daun punto di vista psicotico, i soggetti in esame (5);

3) in un sottogruppo del campione di utenti presi in esame(20/83) è evidente che l’incremento dei dosaggi metadonici(81,25 mg/die) corrisponde ad un livello di sintomatologia rile-vata dall’FBF notevolmente più basso (16/98). Questo dimostrala straordinaria efficacia dell’azione antipsicotica del metadonee la sua capacità di indurre una regressione, sotto trattamento,della sintomatologia di base con il ripristino e la stabilizzazionedi ampie zone del funzionamento intrapsichico, interpersonale esociale del soggetto;

4) tolti i 20 soggetti a correlazione fortemente positiva tra incre-mentato dosaggio metadonico (81,25 mg/die) e bassa sintoma-tologia di base (16/98), nel rimanente campione di 63 soggetti,emerge come la sintomatologia di base (44,13 mg/die) rimangaalquanto “scoperta” dal dosaggio metadonico (49,13/98). Èverosimile, pertanto, che questi soggetti, qualora non completi-no l’azione antipsicotica del metadone con un abuso di sostan-ze oppiacee che abbiano un’azione autoterapeutica di add on,sono a più forte rischio, rispetto agli altri, di scompenso psicoti-co in breve periodo di tempo, poiché non si gioverebbero apieno dell’azione protettiva garantita da un dosaggio metadoni-co adeguato.

Conclusioni

Questo lavoro basa le proprie inferenze su dati preliminari rac-colti randomicamente su un segmento di popolazione tossico-mane in trattamento metadonico afferente ai Ser.T. di una vastae degradata area perimetropolitana. L’interesse degli Autori, inquesto studio, si è concentrato sullo spaccato di situazione realee non selezionata utenza mista e variegata presa in carico contrattamento metadonico, su cui la valutazione clinica specialisti-

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Fig. 4 - Relazione del sottogruppo in analisi tra dosaggio della tera-pia sostitutiva e SB

Fig. 5 - Grafico di dispersione tra dosaggio terapeutico e livello SB

Fig. 6 - Relazione del gruppo in esame tra dosaggio terapeutico esomministrazione terapeutica

Fig. 7 - Grafico di dispersione del gruppo tra dosaggio terapeuti-co e SB

ca ha escluso la presenza di psicosi conclamata rubricabilesecondo i criteri diagnostici del DSM IV-R. I risultati emersi daquesto ristretto, ma significativo campione, tracciano una lineadi allarme rispetto alla massiccia e assolutamente insospettatapresenza di sintomatologia psichiatrica sottosoglia nella popola-zione tossicomane normalmente e quotidianamente trattata neiSerT e scoraggiano l’adozione di trattamenti a scalare breve e abasso dosaggio (5), se non si è, in qualche modo, preparati afronteggiare il possibile slatentizzarsi della crisi psicotica. I datirelativi alla correlazione tra dosaggio più alto di metadone(81,25 mg/die) e livello più basso della sintomatologia psicoticasottosoglia (16/98 FBF) depongono, al contrario, per l’adozionedi un atteggiamento terapeutico rivolto all’adeguamento deldosaggio in tutte quelle condizioni vulnerabili e quindi a rischiodi scompenso psicotico. Si sottolinea come, in un soggetto affet-to da una serie di disturbi come i sintomi di base, che modifica-no pervasivamente la sua esperienza interna, è meramente illu-sorio pensare che possa fare a meno della terapia sostitutiva e,insieme, dell’abuso di sostanze. Il nodo della problematica inquestione, per il paziente non adeguatamente trattato, qui, nonè più quello dell’astinenza fisica, bensì quello della necessità dilenire o, in alcuni casi, far regredire o mantenere stabile un livel-lo di disfunzionamento interno percepito come sgradevole,disturbante ma, soprattutto pericolosamente evolutivo. Questiaspetti potrebbero illuminare, accanto ai più noti circuiti dellagratificazione, le basi psicopatologiche del craving. Il craving,infatti, potrebbe essere dettato, in questi soggetti, dalla stringen-te necessità di placare la quota di angoscia e di disfunziona-mento intrapsichico ed interpersonale determinato dalla pervasi-vità dei sintomi di base e dalla loro ricaduta sull’omeostasi gene-rale del rapporto io-mondo. Data l’attenzione che il tossicoma-ne dedica al proprio assetto cenestetico, inoltre, non è da esclu-dere che, vista una notevole componente cenestopatica nei sin-tomi di base, questa venga scambiata o confusa dal soggetto conla fase astinenziale, e quindi farebbe precipitare la ricaduta tos-sicomanica, compromettendo il buon esito del trattamento sca-lare o detossificante praticato. Di estremo interesse, poi, è il datosecondo cui, nei soggetti trattati, l’adeguamento del dosaggiometadonico alla quota media di almeno 80 mg/die, senza biso-gno di salire a dosaggi più estremi, rappresenterebbe già di persé, un sufficiente ed efficace presidio preventivo e protettivo, inquanto eserciterebbe un controllo nei confronti della sintomato-logia psichiatrica sottosoglia, mantenendola sul livello di 16/98,compatibili con un funzionamento sociale adeguato, con unapiù alta ritenzione in trattamento e con una migliore complian-ce alla presa in carico, dove questa è possibile, psicoterapeuti-co-riabilitativa. È verosimile, qui, che il miglioramento della sin-tomatologia di base sia da attribuirsi, oltre che all’azione anti-psicotica specifica del metadone, alla stabilizzazione e almigliore funzionamento delle generali condizioni di vita delsoggetto, al suo mantenersi socialmente inserito e al minorebisogno di consumare sostanze ad azione potenzialmente psi-cotogenetica. Continuare a gestire una popolazione come quel-la dei tossicodipendenti in carico ai Servizi per le Dipendenze

con dosaggi inadeguati di metadone, ovvero con dosaggi ugua-li o inferiori ai 50 mg/die, oltre a non offrire alcun risultato sul-l’estinzione dei comportamenti d’abuso, non offre alcuna pro-tezione nei confronti della sintomatologia psichiatrica sottoso-glia e pertanto rischia di incrementare significativamente laquota di tossicodipendenti attualmente non psichiatrici chetransiteranno verso spettri clinici psichiatricamente rilevanti. Ènoto il vantaggio in termini di prognosi qualora la psicosivenga individuata e trattata precocemente, anziché tardiva-mente nel suo conclamato manifestarsi (6). Ciò è ancora piùvero nel caso della doppia diagnosi. Quindi gestire con un trat-tamento metadonico a basso profilo una popolazione ad altorischio psicotico configura, sul piano deontologico ed etico,una precisa responsabilità di mancata assistenza, da parte deglioperatori, nei confronti degli utenti, soprattutto se si pensa,come nei casi evidenziati in questo studio, che la dose di meta-done con efficacia protettiva (81,25 mg/die) sulla sintomatolo-gia psicotica sottosoglia, non è poi così lontana da quella giàordinariamente somministrata (56,87 mg/die).

Nota

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PremessaDurante l’estate del 2005 è stato messo a punto ed applicato suun ristretto numero di professionisti del Dipartimento Dipenden-ze della ASL Milano 2 un questionario sul case management. Gli operatori che hanno collaborato su base volontaria sono statiquelli del Ser.T. di Gorgonzola e di Melegnano. Prima della somministrazione del questionario v’è stata una ses-sione di formazione in cui il responsabile del progetto ha illu-strato gli obiettivi ed i metodi utilizzati nella costruzione delquestionario ed anche le finalità che con questo studio esplora-tivo si intendevano raggiungere. Tali finalità erano quelle di valutare l’efficacia conoscitiva dellostrumento di indagine e la sua validità intrinseca prima di appli-carlo su un campione più esteso di operatori.Questo studio esplorativo si inserisce all’interno del progetto“Un programma integrato” che la Cooperativa di Studio e Ricer-ca Sociale Marcella sta realizzando in convenzione con la ASLMilano 2.

Commenti ai datiI dati, che qui di seguito commentiamo, sono quindi rappresen-tativi di questo piccolo universo. Il questionario utilizzato eracomposto da cinque aree: identificazione, valutazione, pianifi-cazione, implementazione e aggiornamento. Esse riflettono lastruttura della conoscenza sulla managed care come si presentaattualmente in letteratura scientifica.Il questionario è stato somministrato sotto forma anonima e lepersone hanno scelto liberamente di compilarlo in tutto o inparte. Ogni area racchiude un gruppo di domande che la carat-terizzano.

Area identificazione

Nell’area identificazione sono comprese tutte quelle domandeche permettono di tracciare il profilo psicosociale del Servizio.Ebbene: la totalità dei 36 partecipanti allo studio esplorativosostiene che non vi sono né ostacoli, né barriere nel raggiunge-re il Servizio, il quale è orientato all’utente. Per questo tra le suepriorità sono previste quelle della tutela dei diritti degli utenti.Inoltre, il Servizio non è polarizzato su interventi monospeciali-stici, ma svolge interventi plurispecialistici, nel senso che l’uten-te ha la possibilità di accedere ad una ampia gamma di presta-zioni cliniche e riabilitative.Per quanto concerne l’individuazione immediata del referente diun caso il gruppo si divide a metà. Il 53% sostiene che il refe-

rente del caso è individuato subito, l’altro 47% è convinto chequesto non è vero. Quest’ultimo gruppo esprime il convinci-mento che passa un certo lasso di tempo tra l’intervento pluri-specialistico e l’identificazione di un operatore di riferimentoper la gestione integrata del caso.L’immagine pubblica del servizio è appropriata nel 70% degliinteressati, non lo è del tutto nel restante 30%. Questa parzialeinadeguatezza dell’immagine richiederebbe, per essere supera-ta, una strategia di comunicazione sociale che riduca l’effettostigma connessa al Servizio e valorizzi i vantaggi della fruizionedelle sue opportunità.La campagna informativa “Conosci il tuo limite” potrebbe esse-re un modo inedito di presentare il Servizio pubblico ed i suoivantaggi.Solo il 20% del gruppo degli interessati è dell’idea che vi sonotempi di attesa lunghi, l’80% sostiene che esiste una accettabileattesa tra segnalazione del bisogno ed intervento.Il 23% degli intervistati sostiene che il referente di un caso non hadel tutto chiaro quello che deve comunicare agli utenti, mentre il77% sa comunicare con certezza e convinzione, cioè trasferiscesicurezza e stabilità nel rapporto che instaura con gli utenti. Per quanto concerne il processo di valutazione, il 60% è dell’i-dea che l’insieme delle formazioni possedute è sufficiente a for-mulare concretamente una valutazione, il restante 13.30%sostiene che le informazioni che possiede sono inadeguate aduna completa e corretta valutazione dei bisogni degli utenti, il26.6% non si esprime. Il quesito qui è: le informazioni ci sono e non circolano tra glioperatori, nel senso che sono racchiuse dentro ruoli e funzionispecifiche, oppure le informazioni non sono raccolte? In entram-bi i casi si registra una disfunzione.Non sempre chi ha informazioni carenti si rivolge al coordinato-re del servizio per colmare questa lacuna. Solo il 46.6% lo fa, il23.3% si astiene. I non so qui sono il 26.6%.L’operatore poi non sempre ha una visione di insieme della reteintegrata dei servizi territoriali: solo il 50% la possiede pienamente. Esce rafforzata infine la filosofia orientata all’utente che il Servi-zio persegue anche nella gestione degli appuntamenti. Ognispostamento di orario viene concordato con l’interessato. Que-sta metodologia dovrebbe aumentare il livello di affidabilitàdegli utenti ed avere come risultato la non esistenza di tempimorti nell’organizzazione del lavoro.Da questi dati possiamo estrapolare le componenti psicosocialiche identificano il Servizio.Esso è partecipativo nei confronti degli utenti, ne tutela i diritti econsidera il loro punto di vista ed i loro bisogni. Ha un approc-cio multidisciplinare nella valutazione dei livelli di gravità e con-sistenza della dipendenza da sostanze. Non sempre le informa-zioni sul caso sono accessibili e fruibili per espletare una com-piuta valutazione diagnostica. Questo si riflette sul modello dicomunicazione attivato che a volte genera poca chiarezza e tra-sparenza. Inoltre ha difficoltà ad identificare subito il referente diun caso e non sempre è in rete ottimale con gli altri Servizi.

AREA ORGANIZZATIVA MANAGERIALE

Uno studio esplorativo sul case managementGiuseppe De Luca*, Alfio Lucchini**

* Responsabile scientifico Cooperativa di Studio e Ricerca SocialeMarcella.** Direttore Dipartimento Dipendenze ASL provincia di Milano 2.

Area valutazione

In questa area sono considerate tutte quelle domande che fannodella valutazione un punto cruciale per la formulazione di unpiano di trattamento. Quasi sempre la valutazione si svolge in unambiente confortevole ed accessibile. Il 70% degli intervistati èdi questa idea, il 20% è dell’idea opposta e cioè che spesso lavalutazione non si realizza in contesti adeguati sia dal punto divista abitativo che relazionale.Non tutti quelli che sono coinvolti nella valutazione possonoaccedere facilmente nel contesto dove essa si realizza. Sembre-rebbero esistere, cioè, delle barriere organizzative e logisticheche impediscono la partecipazione.Il modello di comunicazione utilizzato durante la valutazionespesso è sicuro ed efficace (70%) ma in altri casi (30%) esso pre-senta elementi di insicurezza ed inefficacia.Per quanto riguarda il coordinamento del programma di valuta-zione prevale un orientamento a non definire il responsabile(63% vs 37%).Questo atteggiamento può essere generato da un approccio mul-tidisciplinare alla valutazione e da un eventuale prolungamentooltre il dovuto della discussione in equipe.Che la prima considerazione possa essere la motivazione è det-tato dal fatto che quando si tratta di effettuare valutazioni spe-cializzate si identifica subito l’interlocutore (73% vs 27%). È evi-dente che è carente la cultura del coordinatore del caso, chepotrebbe aiutare a risolvere questa disfunzione.Viene poi confermato l’approccio aperto e senza frontiere delServizio. Esso, infatti, cerca di coinvolgere tutti gli operatori che a qual-siasi titolo sviluppano un rapporto con l’utente.Da questo punto di vista la valutazione è un evento chiuso, cioèdefinito da regole, metodi ed obiettivi precisi da raggiungere, maè anche un evento aperto cioè orientato al coinvolgimento dirisorse cliniche e scientifiche non collocabili dentro il Servizioma fuori, ed al tempo stesso dinamica ed evolutiva.Nel percorso valutativo il Servizio è dotato di un’ampia gammadi competenze tale da renderlo autonomo ed indipendente peril 93.3%. Questa assoluta autonomia potrebbe essere un ostacolo perchéesso sia messo in rete con modalità integrative.Infatti, il Servizio non ha bisogno di informazioni esterne a quel-le da lui raccolte per formulare un piano di trattamento (90%).Mentre, dal punto di vista tecnico e metodologico, la valutazio-ne tiene conto delle risorse residue sia dell’utente che di coloroche l’assistono (90%).Così, come si tende a personalizzare la valutazione sia nellascelta dei valutatori che nello stile di valutazione, entrambeadattate ai bisogni, alle aspettative, agli interessi degli utenti. Nei rapporti con l’utente infine prevale un clima culturale esociale di solida empatia e di disponibilità all’ascolto ed allacomprensione (100%).La valutazione secondo l’opinione degli operatori si regge suiseguenti architravi:a) Deve promuovere un rapporto empatico con l’utente.b) Deve seguire regole, metodi ed obiettivi precisi e definiti nel

tempo ed al tempo stesso essere aperta alle innovazioni.c) Deve coinvolgere tutti quelli che per qualsiasi ragione sono

interessati alla realizzazione di un piano di trattamento inte-grato verso l’utente.

d) Deve essere il più possibile personalizzata, vicina cioè allecaratteristiche di personalità degli utenti, sia nella scelta di chifa la valutazione sia nello stile esecutivo. Da questo punto di

vista i ruoli e le funzioni dentro il Servizio non devono esse-re rigidi ma flessibili ed adattabili.

I punti critici della valutazione sono invece identificati neiseguenti fattori:• L’ambiente (setting) di valutazione spesso è d’ostacolo alla

piena partecipazione di tutti gli operatori e all’utilizzazionedel loro sapere.

• Il coordinamento della valutazione spesso non è definito conchiarezza e precisione, da qui la necessità di sviluppare azio-ni formative sul case/care management e/o creare un ruolospecifico di coordinatore del caso riempiendolo di contenutiformativi ed operativi.

• L’integrabilità con altri Servizi e quindi l’inserimento nella retedelle opportunità locali. Qui l’integrabilità dovrebbe spingersiverso l’alto (progettualità di eccellenza) piuttosto che verso ilbasso (gestione di routine dei casi).

Area pianificazione

In questa area sono racchiuse le domande che servono a defini-re le strategie di pianificazione delle risorse.L’approccio consultivo e partecipativo è il tratto dominante(90%), insieme alla propensione all’ascolto della considerazionedel punto di vista dell’altro (90%).Questo porta alla scelta di costruire programmi di interventobasati sulle identificazione delle risorse non ancora intaccatedalla malattia (90%).Non sempre il personale coinvolto nella programmazione degliinterventi è sufficiente, questo dato incide negativamente sullarealizzazione dei programmi ed è coerente con le risorse limita-te possedute.Le informazioni che sono raccolte attraverso il processo valutati-vo sono adeguate per programmare un intervento (73% vs 27%).Il programma di intervento viene considerato come un carico dilavoro (56%), questo significa che qualunque attività spinga l’o-peratore ad uscire dal suo ruolo tradizionale ha connotazioni diappesantimento operativo, un di più che pesa nella strutturadella attività quotidiana.Di conseguenza la resistenza all’integrazione sarebbe basata suun sovraccarico di lavoro.Il 56% sostiene che le Agenzie esterne influenzano la pianifica-zione degli interventi e che non sempre è chiaro di chi è laresponsabilità del piano di trattamento. Anche qui si registra un deficit di integrazione tra i Servizi inter-ni e quelli esterni che operano sullo stesso caso. Questo nonostante il Servizio sia organizzato per conoscere esoddisfare i bisogni degli utenti (86%).Nonostante questa generale apertura all’utente può accadereperò che l’utente stesso non può cambiare operatore nel caso incui non si trovi bene con quello assegnato (40% vs 46%), anchese viene data assoluta libertà all’utente di rompere il contrattoterapeutico senza temere conseguenze negative.Le attuali caratteristiche di base nella pianificazione delle risor-se possono essere quindi così sintetizzate:

Punti deboli• Un atteggiamento generalizzato verso il programma di inter-

vento che tutti percepiscono come un carico di lavoro oltrequello di routine.

• Una carenza nell’attribuzione delle responsabilità di un pianodi trattamento integrato.

• Una carenza di personale nella fase di programmazione degliinterventi.

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• Una problematicità nell’integrazione con le agenzie esternenella realizzazione di un piano di trattamento.

Punti forti• Un approccio partecipativo alla elaborazione del programma

di intervento con il consenso informato dell’utente. • Una attenta valutazione dei bisogni di base degli utenti.

Area implementazione

In questa area sono riportate le domande che identificano la stra-tegia più opportuna per l’implementazione di un programma ditrattamento.L’ostacolo più ricorrente è l’effetto stigma collegato con l’immagi-ne pubblica del Servizio (56%) anche se esso, dal punto di vistaculturale, è aperto al territorio ed alla comunità locale (83%).Questo fa sì che essi sono usati anche da persone che non pre-sentano specifiche patologie di dipendenza da sostanze e quin-di considerano una vasta gamma di bisogni (es. orientamento,counselling).Fanno leva sulle risorse residue degli utenti e non sulle lorocarenze per implementare un programma (83%), puntano quin-di a rendere l’utente protagonista del piano di trattamento.Infine sono coerenti con quanto previsto dal piano individuale ditrattamento (90%), ma non sono complementari ad altri Servizi(53%). La loro specificità li porta a considerarsi unici. Nel 70% dei casi, le informazioni possedute sul caso sono ido-nee allo svolgimento appropriato del proprio ruolo, non lo sonoabbastanza nel 30% dei casi.Nel caso di errori od ostacoli nella realizzazione del piano ditrattamento è chiaro a chi bisogna riferire nel 66% degli intervi-stati, non lo è pienamente nel 34%.Non sempre nel Servizio esiste la possibilità di scegliere e la fles-sibilità (43% vs 43%).L’équipe è attrezzata per fare fronte alle emergenze nel 43% deicasi, non lo è pienamente secondo il 43%.Non sempre in una Agenzia esterna si identifica subito unresponsabile se c’è qualcosa che non funziona (33% vs 26%,37% non so).I punti critici delle strategie di implementazione del programmasono identificati• Sul piano culturale in una resistenza all’accettazione della

diversità nella comunità locale nonostante i Servizi si sforzi-no di essere aperti ad un’ampia gamma di interventi.

• Sul piano psicologico, nella carenza di flessibilità ed adatta-bilità degli operatori.

• Sul piano organizzativo, nella insufficiente linearità nellagestione di un caso con le agenzie esterne.

• Nell’organizzazione interna del lavoro dell’équipe che nonsempre è orientata alla gestione delle emergenze,

• Inoltre, essa punta sulle risorse residue degli utenti, è coeren-te con il piano di trattamento ed è chiaro a chi bisogna ripor-tare nel caso di errori o di insuccessi.

Area aggiornamento

In questa area sono racchiuse le domande che definiscono irequisiti dell’aggiornamento di un piano di trattamento.Qui, emerge che non sempre esiste un monitoraggio del pro-gresso dell’utente (33% vs 67%) e che di fonte ad una disfun-zione del Servizio non sempre è chiaro come gestirla (40% vs36%, 20% non so).

Molto spesso la discussione sul caso ha ripercussioni sulla strut-tura delle prestazioni erogate dal Servizio (50% vs 30%).Inoltre, quando si aggiorna un caso, a volte si seguono i vincolidella pianificazione (45%) e a volte no (55%).L’aggiornamento del caso non è mai improvvisato (83%), esso faparte dell’agenda del Servizio e quindi le informazioni possedu-te a sostegno dell’aggiornamento del piano di trattamento sonosufficienti (76%). Il caso poi viene aggiornato frequentemente (76%) ma le perso-ne di riferimento non sono sempre le stesse (66%). Esiste un indi-ce alto di turnover.Possiamo tracciare l’identikit dell’aggiornamento del caso inquesto modo:• È frequente.• Non è improvvisato.• È basato scientificamente.• Segue parzialmente le specifiche tecniche della pianificazione.• Ha riflessi sulle attività del servizio, non è quindi indolore.• Non sempre c’è un responsabile che fa il monitoraggio del-

l’evoluzione del caso.• Esiste una scarsa dimestichezza e familiarità con la gestione

delle disfunzioni.• C’è un indice di cambiamento elevato nelle figure di riferi-

mento per gli utenti.

Conclusioni

Le conclusioni provvisorie alle quali possiamo arrivare sono chenel gruppo che ha partecipato allo studio esplorativo esiste unatendenza a costruire un modello di comportamento professiona-le orientato alla managed care, anche se esso non possiede stru-menti e competenze.Questa tendenza andrebbe rafforzata con due azioni specifiche. La prima, riguarda una formazione continua e sistematica sullamanaged care, sia dal punto di vista tecnico-scientifico sia daquello metodologico ed organizzativo.La seconda azione dovrebbe concretizzarsi con la sperimenta-zione di una gestione di alcuni casi (ad esempio: i casi multise-guiti) secondo i principi e le linee-guida della managed care.Essa servirebbe come base dimostrativa per apprendere diretta-mente dall’esperienza.

Note

1. Gli autori ringraziano i responsabili (Antonio Colaianni e Cinzia Assi) e glioperatori del Ser.T. di Gorgonzola e del Ser.T. di Melegnano Vizzolo Preda-bissi che hanno preso parte a questo studio esplorativo senza i quali questocontributo non avrebbe potuto essere scritto.

2. I Dipartimenti delle Dipendenze interessati a conoscere gli strumenti ope-rativi e a prendere parte ad uno studio nazionale sul case management pos-sono collegarsi con Giuseppe De Luca [email protected], www.coop-marcella.it o Alfio Lucchini [email protected], www.federserd.it.

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La Riduzione del Danno

La Riduzione del Danno – R.d.D. – è un approccio che mira aridurre le conseguenze negative dell’uso di droghe. Lavorandocon la persona nella sua interezza, le politiche e i programmidi R.d.D. creano condizioni e sviluppano strategie per attivareprocessi di cambiamento sugli orientamenti e sui comporta-menti. Gli interventi possono essere diversi in relazione allecaratteristiche dei consumatori, alla sostanza assunta, ma l’o-biettivo di fondo rimane lo stesso: incontrare i consumatori disostanze là dove essi sono per aiutarli a diventare più consape-voli dei rischi che corrono e individuare opzioni per ridurrequesti rischi (Regione Emilia Romagna, Progetto Regionaledipendenze, 2005).È una strategia ancora in divenire, aperta ad integrazioni e arric-chimenti per il fatto che mentre offre risposte concrete a proble-mi altrimenti non risolvibili, comporta una serie di interrogatividi natura etica, operativa e politica di grande rilevanza. La concezione della limitazione del danno tiene conto del fattoche si continua e si continuerà ad abusare di sostanze modifica-trici dell’umore e mira a dare risposte immediate ai problemi deitossicodipendenti attivi inducendoli nel tempo ad accettare pro-grammi di cura e di reinserimento. Parte dalla constatazione chevi è chi per motivi diversi, in quella particolare fase dell’esisten-za, non riesce o non vuole cambiare, ma proprio per le condi-zioni in cui vive necessita di un sostegno indispensabile alla pro-pria sopravvivenza. Riduzione del danno significa attivare tutte le forme di contattoe di accompagnamento affinché siano garantite le condizioniminime che permettano, quando diventa matura l’intenzione dicambiare, di poterlo fare evitando l’irreversibile compromissio-ne di tali condizioni. La R.d.D. si fonda su una concezione della personalità umanacapace di libertà e di autodeterminazione che in ogni momentopuò dischiudersi a un nuovo progetto di vita. È perciò determi-nata ad accogliere ogni tossicodipendente e in particolare i piùemarginati a partire dal riconoscimento della loro dignità e deldiritto-dovere di realizzazione delle loro potenzialità, nascendoda una solidarietà responsabile nei confronti della personaumana che si dispiega ben oltre la disapprovazione della suacondotta auto ed etero distruttiva (Pinkus L., 1999). Non si tratta di approvare o meno un dato comportamento, maè mettersi accanto alla persona con rispetto, ridonandole spe-ranza ed accompagnandola nella ricerca di un progetto per ilsuo futuro (Pilotto F., Alberti I., 2002). I tre principali obiettivi della R.d.D. definiti dall’OrganizzazioneMondiale della Sanità (Aa.Vv., Linee guida sulla riduzione deldanno, 2000), distinti tra loro e riferiti a esperienze, valori e

atteggiamenti sociali differenti, sono complementari consenten-do e richiedendo la loro coesistenza in un’unica azione mentrecondizione necessaria diventa la costituzione di una rete di ser-vizi ben strutturata. • Tutela della salute e dell’integrazione sociale del tossicodi-

pendente. L’intento è di contenere i problemi più rilevanti dichi è già in una situazione di dipendenza in particolare ridur-re la mortalità e le patologie correlate all’abuso di droghemediante un sostegno terapeutico, sia preventivo che curati-vo; si vogliono limitare gli effetti negativi del consumo didroga sull’organismo del tossicodipendente, sul suo equili-brio psichico e sul suo adattamento sociale.

• Difesa sociale. Obiettivo orientato all’esigenza del sistemasociale di arginare gli effetti che il consumo di droga esercitasulla vita e sul tessuto sociale in rapporto alla salute e all’or-dine pubblico. Si tratta di contenere la diffusione di patologieinfettive, di lotta alla micro-criminalità, di stimolare la rifles-sione e l’intervento della comunità per prevenire intolleranzaed emarginazione.

• Accoglienza indirizzata al recupero. Viene privilegiata l’acco-glienza cioè il tentativo di offrire al tossicodipendente unluogo relazionale in cui possa riscoprire la propria identità,sperimentare e condividere relazioni affettive e l’autenticasolidarietà disinteressata da parte di altre persone facilitandola maturazione di processi di cambiamento nell’uso di sostan-ze e nello stile di vita.

Per la sua particolare funzione, la R.d.D. prospetta per i pro-blemi degli utenti, soluzioni semplici e di immediata percorri-bilità, servendosi di tutti i mezzi utili (farmacologici, psicologi-ci, logistici, ecc.), per facilitare un contatto veloce e il più pos-sibile precoce con il tossicodipendente, con lo scopo di instau-rare rapporti con una minima probabilità di mantenersi neltempo mirando a ridurre i rischi e a migliorare la qualità di vitadel soggetto.La modalità più idonea e privilegiata per il conseguimento deisuoi obiettivi è il lavoro di strada con la metodologia che gli èpropria: interventi di comunità caratterizzati da un’operativitàche si realizza non in ambito terapeutico e istituzionale, manell’ambito della quotidianità, delle relazioni sociali ed inter-personali dei consumatori nei luoghi da loro frequentati; inter-venti a bassa soglia che rinunciano a porre soglie di ingresso edi accesso ai servizi (residenza, nazionalità, patto terapeuti-co…); relazioni a legame debole caratterizzate dall’instaurarecon i pazienti relazioni non giudicanti, non normative ma fles-sibili, rispettose dei diritti dell’anonimato e della segretezza, unlegame che privilegia la negoziazione degli obiettivi, un‘allean-za comunicativa tra operatore e cliente (Ranci D., 2001). Atten-zione alla dimensione gruppale: un lavoro di prevenzione ededucazione alla salute che privilegia l’avvio di meccanismiautoregolativi attuati dagli stessi attori e finalizzati al cambia-mento delle subculture dei gruppi, quindi supporto ed educa-zione tra pari, utilizzo di operatori grezzi (Pilotto F., Alberti I.,2002).

AREA RIDUZIONE DEL DANNO

Tossicodipendenza e Riduzione del Danno.Una ricerca al Ser.T. di BergamoBarbara Cavarzan*, Andrea Noventa**

* Educatrice professionale, Treviso. ** Dirigente psicologo, responsabile UO prevenzione, DipartimentoDipendenze, ASL Bergamo.

La Riduzione del Danno al Ser.T. 1, ASL di Bergamo

Gli antecedenti storici all’attuale attività di riduzione del dannoa Bergamo risalgono al 1990, ed anche precedentemente seintendiamo, ad esempio, in tal senso la conduzione di tratta-menti metadonici ad alto dosaggio anche per il perseguimentodi obiettivi parziali e realistici (diminuzione dell’uso di sostanze,della prostituzione, dei contagi). Trovano effettiva realizzazionesolo nel 1998 quando il contesto socio-culturale, la maggior dif-fusione della filosofia e delle pratiche della R.d.D., un’utenzache sempre più difficilmente rispetta obiettivi di astinenza, crea-no condizioni più idonee all’avvio di un Progetto di Unità Mobi-le. Il servizio è attualmente erogato in forma integrata pubblico-privato: ASL 1, Cooperativa Sociale Bessimo, Istituto Bonomelli(Colleoni P., 2003).L’Unità di Strada, un camper attrezzato in modo idoneo al servi-zio, svolge due principali funzioni diversificate per obiettivi, tar-get, tipologia di intervento.• Somministrazione di metadone per fornire un servizio di

sostegno farmacologico a quelle persone che non sono ingrado di interrompere l’uso di eroina e che non vogliono oriescono a sostenere programmi terapeutici di cambiamento.Può rappresentare l’unica possibilità terapeutica richiesta edaccettata dall’utente e l’unico terreno su cui stabilire un’al-leanza per poter elaborare nel tempo altre possibilità.

• Attività educativa di strada per mettere in campo azioni fina-lizzate alla prevenzione delle malattie e delle complicanzesanitarie collegate all’utilizzo di droghe e delle overdose,avvicinare il Ser.T. alla strada, agganciare utenti non cono-sciuti o persi di vista, il cosiddetto sommerso. L’educatore instrada osserva i comportamenti dei soggetti e le dinamiche delloro ambiente, si relaziona con loro in modo diretto e dialo-gico, valuta i loro bisogni e risorse, valorizza la rete di oppor-tunità disponibili.

Gli operatori impegnati nell’unità di strada sono Educatori edInfermieri Professionali che erogano prestazioni che compren-dono: la distribuzione di materiale di profilassi come siringhesterili con la possibilità di scambiare quelle usate, distribuzionedi fiale di acqua distillata e fazzoletti disinfettanti, distribuzionedi profilattici e di fiale di Narcan (farmaco contro l’overdose); ladistribuzione di materiale informativo sulle sostanze, sulla ridu-zione dei rischi, sull’overdose, sull’HIV, sulle epatiti e malattiesessualmente trasmissibili; consulenza e informazione sanitaria,prima valutazione su problemi sanitari, invio alle strutture ido-nee, educazione sanitaria; aggancio e costruzione di relazioni,punto di riferimento quotidiano, sostegno, accompagnamento,consulenza su problematiche sociali; somministrazione dimetadone.

Riduzione del Danno: una ricerca

Quanto detto finora definisce e descrive in breve cosa si intendecon Riduzione del Danno. La ricerca (Cavarzan B., 2005) diseguito presentata vuole offrire una fotografia, con una messa afuoco più diretta e mirata, sulle persone che sono coinvolte alServizio di Riduzione del Danno di Bergamo per rendere possi-bile una comprensione più reale, approfondita e concreta dicome la R.d.D. opera nel territorio perseguendo gli obiettivi chele sono propri. La ricerca si pone come obiettivo generale di capire quantosiano soddisfatti gli utenti dell’unità mobile del servizio e delleattività che vengono loro offerte e quanto siano soddisfatti gli

operatori stessi (gli educatori in particolare) dell’attività che svol-gono. La ricerca si è sviluppata quindi in due differenti dirama-zioni: utenti ed educatori. L’indagine di cui sono stati oggetto gli utenti si è avvalsa di que-stionari anonimi con domande a scelta multipla e domandeaperte somministrate da un intervistatore a tutta l’utenza del ser-vizio in un determinato arco di tempo. Gli educatori sono statisottoposti ad un’intervista.

Gli utenti1

Chi sonoI dati anagrafici raccolti rilevano una netta maggioranza dimaschi, 76,6%, con un’età che va dai 23 ai 54 anni, una mediadi 36 anni. Sono per la maggior parte di cittadinanza italiana, il12% sono stranieri, e per il 54,4% celibi/nubili, con una buonapercentuale di senza fissa dimora, il 30% della popolazionecomplessiva, il 59% delle donne. Il 5% degli intervistati vivonoin strutture pubbliche facendo riferimento soprattutto alla Caritasnon solo per alloggi ma anche per servizi mensa e doccia.

Che sostanze utilizzanoLa tabella 1 rileva che l’eroina è la sostanza preferita dagli uten-ti dell’unità mobile. Seguono tutte le altre sostanze che nellamaggior parte dei casi sono utilizzate in combinazione tra diloro dimostrando la tendenza quindi per il poli-consumo disostanze del campione che utilizza l’eroina combinata con lacocaina, eroina con tutte le sostanze, eroina con cocaina e alcol,poi eroina combinata con psicofarmaci e cannabis. Il tempo d’uso rispetto alle sostanze maggiormente utilizzate dalcampione preso in esame, eroina, cocaina, alcol, è superiore ai5 anni per buona parte del campione, valore indicativo del fattoche gli utenti dell’unità mobile sono consumatori già da lungotempo in particolare di eroina a cui poi nel tempo hanno asso-ciato altre sostanze. La frequenza è in prevalenza quotidiana pereroina e alcol, settimanale per la cocaina.Il 40,5 % degli intervistati indica stabilità nel consumo di sostan-ze, poco meno ha un consumo in diminuzione, per l’11% ilconsumo è in aumento. Sono in trattamento metadonico il71,4% del campione di riferimento contro il 19,9% che invecedichiara di non esserlo.

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Tab. 1

ConsumiSostanze Maschi Femmine M+F

(%) (%) (%)

Eroina 18,75 10,00 16,69Eroina e cocaina 9,37 20,00 11,90Alcol 9,37 10,00 9,49Tutte le sostanze 6,25 20,00 9,49Cocaina 9,37 0,00 7,10Eroina, cocaina, alcol 9,37 0,00 7,10Cocaina, alcol 3,12 10,00 4,80Eroina, cocaina, cannabis 6,25 0,00 4,80Cannabis 3,13 0,00 2,39Eroina, cocaina, psicofarmaci 3,13 0,00 2,39Eroina, psicofarmaci 3,13 0,00 2,39Eroina, alcol, psicofarmaci 3,13 0,00 2,39Eroina, cannabis, alcol 3,13 0,00 2,39Eroina, cannabis 3,13 0,00 2,39Missing 9,37 30,00 14,29Totale 100,00 100,00 100,00

cano ancora la soddisfazione di buona parte della popolazioneche cerca ascolto e consigli, consulenza e accompagnamento. Nella voce ascolto si rilevano le percentuali più alte anche nellacategoria del molto soddisfatto (19%), superate solo dalle infor-mazioni sui servizi (24%).Per quanto riguarda il rapporto con gli operatori, il 69% degliutenti si trova molto bene mentre limitati sono i riscontri negati-vi; il 50% trova gli operatori sempre disponibili mentre dell’altrametà il 15% trova la disponibilità limitata, il resto da un riscon-tro comunque positivo. Il livello di soddisfazione per la profes-sionalità degli operatori mostra alte percentuali nelle categoriemaggiormente positive, 28% molto soddisfatto, 26% moltissimo,33% abbastanza soddisfatto, il 7% esprime bassa soddisfazione.

Gli educatori

Gli educatori impegnati nell’Unità Mobile sono sette con un espe-rienza in questo ambito che va da un minimo di due a un massi-mo di cinque anni, due sono in servizio solo da qualche mese.Rispetto agli obiettivi della Riduzione del Danno, gli educatoriattribuiscono prioritaria importanza alla funzione informativa edi indirizzo verso le strutture del territorio più adeguate perrispondere ai bisogni degli utenti, il lavoro di rete, e la cura dellapersona, abituarla ad aver cura di sé e della propria salute, perdare speranze di vita e stimolare un maggiore attaccamentodella persona alla vita. Obiettivo importante è anche quello delprimo aggancio con nuovi utenti, con il sommerso, per poterdare sollievo immediato alla sofferenza fisica e psicologica con-nessa all’uso di sostanze mirando ad un uso meno frequente. Lamediazione, l’ascolto, l’accompagnamento, il sostegno psicolo-gico sono considerati, in seconda battuta, di particolare impor-tanza presupponendo anche il raggiungimento di una relazionecon l’utenza: relazione intesa come maternage che consentacura, un’attenzione che faccia sentire la persona non emargina-ta ma appartenente ad una comunità e, su questa base, sensibi-lizzarla ad un’attenzione per la comunità stessa.Gli obiettivi che si stanno effettivamente raggiungendo sono l’in-vio ai servizi, la relazione che si instaura con l’utenza così comeil conforto, la mediazione, l’accompagnamento. Quelli più diffi-cilmente raggiungibili sono legati alla vita di strada che condu-cono gli utenti, la possibilità di toglierli da questa situazione e ilraggiungimento dell’astinenza dalle sostanze. Si segnala anchela difficoltà nell’aumentare l’attenzione e la cura di sé, il lavorodi rete e il reinserimento sociale.

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Come si rapportano al ServizioIl 32% degli intervistati si rivolge all’Unità Mobile da più di treanni con una frequenza giornaliera nell’81% dei casi. I serviziofferti dall’Unità Mobile più utilizzati, rappresentati in tabellacon una variazione dei valori tra l’80,9% e il 52,5%, sono nel-l’ordine: distribuzione di materiale sterile, ascolto, informazionisui servizi, richiesta di consigli, consulenza professionale, infor-mazioni sanitarie, accompagnamento ai servizi. Servizi come lafornitura di materiale per medicazioni, scambio di siringhe, som-ministrazione di metadone, fornitura di profilattici e Narcan,sono utilizzati da una percentuale di utenti che varia tra il 52,5%e il 33,4% (tab. 2).

I servizi più graditi sono quindi quelli relativi ad una dimensione diascolto, informativa e di accompagnamento anche se il primoposto spetta al materiale di profilassi, mentre la stessa sommini-strazione di metadone è considerata di secondaria importanza.La tabella 3, rappresentativa del grado di soddisfazione per i ser-vizi e le attività dell’unità mobile, indica una tendenza generalea valutazioni positive, solo una minoranza si esprime negativa-mente. Per quanto riguarda l’area dei materiali resi disponibili(rosa), le percentuali più alte mostrano una popolazione soddi-sfatta dei servizi, soprattutto per il materiale sterile (52,4%), per iprofilattici (31%), per il materiale per medicazioni (28,6%). Nel-l’area delle informazioni (verde), i valori più alti sono quelli dellasoddisfazione soprattutto rispetto alle informazioni sui servizipresenti nel territorio (35,7%) e in misura lievemente minore perle informazioni sanitarie (33,3%). Nell’area della dimensionerelazionale (azzurro), i valori più alti, dal 48,2% al 35,7%, indi-

Tab. 2 - I servizi più utilizzati

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Tab. 3 - Grado di soddisfazione per i servizi e le attività dell’unità mobile (espresso in valore percentuale)

Servizi e attività No uso Per niente Poco Abbastanza Soddisfatto Molto sodd. Missing

Somministrazione metadone 40,50 4,80 7,10 23,80 14,30 9,50Materiale sterile 11,90 4,80 11,90 52,40 11,90 7,10Profilattici 45,20 2,40 4,80 31,00 7,10 9,50Narcan 52,40 9,00 19,60 7,10 11,90Materiale per medicazioni 35,70 2,40 11,90 4,80 28,60 4,80 11,80Scambio siringhe 42,90 2,40 2,40 4,80 26,20 14,30 7,00

Informazioni servizi 9,50 2,40 9,50 7,10 35,70 23,80 11,90Informazioni sanitarie 23,80 2,40 9,50 7,10 33,30 11,90 11,90Informazioni sostanze 54,80 4,80 2,40 21,40 4,70 11,90

Ascolto 9,50 4,80 2,40 9,50 45,20 19,00 9,50Consigli 19,00 2,40 2,40 14,30 40,50 14,30 7,10Consulenza professionale 23,80 4,80 7,10 7,10 38,10 11,90 7,10Accompagnamento 33,30 4,80 4,80 35,70 11,90 9,50

Motivi di gratificazione professionale degli educatori sono indi-viduati nel miglioramento delle condizioni di salute degli utentia cui si danno risposte concrete a problemi e bisogni, nel con-tatto umano e nella relazione che si instaura, nel realizzare effi-caci invii ai servizi senza ostacoli di natura burocratica, sentirsisostenuti dall’equipe del servizio. Senso di frustrazione è segnalato rispetto all’aggravamento, allasiero-conversione degli utenti, rispetto alle difficoltà del lavoroin equipe, alla collaborazione, comprensione e condivisionereciproca tra gli operatori. Gli educatori danno alcune indicazioni su ciò che potrebbefavorire il raggiungimento degli obiettivi della R.d.D.: la possibi-lità di fornire un servizio di drop-in (a bassa soglia), in idoneasede per rispondere alle esigenze degli utenti e avviare gruppi diauto-aiuto, attività lavorative, un accompagnamento ai servizipiù importante, un maggiore riconoscimento e valorizzazionedell’operato del servizio dell’Unità Mobile.Le difficoltà maggiormente riscontrate dagli educatori si riferisconoproprio alla scarsa visività e riconoscimento sociale del serviziocon la conseguente mancanza di alleanze e sostegni. Si percepiscela tendenza ad una medicalizzazione degli interventi con minorpossibilità di attuazione data ad interventi di natura educativa erelazionale mentre gli educatori considerano importante puntaresu un contatto personale con l’utenza, sull’accompagnamentodella persona, sull’intervento individualizzato e personalizzato. Le politiche di riduzione del danno, segnalano gli educatori, stan-no attraversando una fase critica: riuscire a mettere in campoazioni di speranza necessita di una pluralità di interventi, non soloun approccio pragmatico e solidaristico; attualmente si dannopoche possibilità e opportunità di uscita dall’emarginazione.La ricerca qui presentata sinteticamente, ha voluto fornire unquadro generale dell’utenza dell’unità mobile e del consumo disostanze della stessa, offrendo anche una lettura dei bisogni edelle domande che pone, della soddisfazione riscontrata rispet-to alle risposte del servizio, del vissuto degli educatori. Confron-tando i dati dei due soggetti presi in considerazione nella ricer-ca, si nota che se gli utenti cercano e apprezzano in modo par-ticolare la disponibilità dei materiali offerti dall’unità mobile,importanza peculiare è data anche alla dimensione relazionalee al lavoro di rete degli educatori. Gli educatori pur essendoconsapevoli di essere cercati per alcuni aspetti della dimensionerelazionale come consigli, consulenze, accompagnamento, nonriconoscono o comunque sottovalutano l’importanza che gliutenti attribuiscono alla specifico aspetto dell’ascolto. Gli educatori pongono un accento di particolare forza, perimportanza ed interesse, alla cura della persona, alla relazione,al lavoro di rete, ma anche al ruolo e alle finalità dell’equipe disettore, (composta da tutti gli operatori operanti nel servizio),temi centrali attorno a cui ruota tutto il loro impegno ed attivitàprofessionale ed i loro motivi di gratificazione e frustrazione.Relazione personale, contatto umano, intervento personalizzato,collegamento ai servizi, riconoscimento istituzionale, visibilità,alleanze e sostegni, sono le parole chiave su cui più di frequen-te il vissuto degli educatori si esprime.

Osservazioni sulla riduzione del danno

Perché l’attività di riduzione del danno possa trovare un sostegnoallargato, possa crescere e trovare mezzi e strumenti più adegua-ti al fine del raggiungimento degli obiettivi di cui si è fatta garan-te, è necessaria da parte degli operatori e dei servizi, un’azionemirata sulle culture della cittadinanza e sui processi di mediazio-ne, azioni mirate in particolare contro la cultura della tolleranzazero e dell’assistenzialismo e che favoriscano invece processi di

mediazione sociale ed educativa. (Coordinamento dei Servizi aBassa Soglia del Piemonte, 2002). Il servizio di Riduzione delDanno può essere un luogo ponte tra normalità e devianza chene facilita una convivenza civile fatta anche di disponibilità emo-tiva a mettersi in contatto con le fatiche e le fragilità umane chenelle sostanze cercano illusioni di riscatto e di benessere.

Ringraziamenti

Si ringrazia per la disponibilità:– il Gruppo di lavoro del Servizio dell’Unità Mobile che ha col-

laborato alla realizzazione della ricerca: M. Bosisio, E.Maino, M. Dotti, M. Del Vecchio, S. Rizzi, P. Colombo, C.Pellegrino, I. La Cioppa;

– il Dipartimento delle Dipendenze: L. Tidone, P. Colleoni.

Nota

1. Per notizie più specifiche e dettagliate sui numeri annuali dell’attività(contatti, trattamenti metadonici, siringhe…): Dipartimento delle dipenden-ze, Ser.T. 1 ASL di Bergamo, www.aslbergamo.it, [email protected].

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NOTIZIE IN BREVE

PremessaIl consumo di droghe come conseguenza delle condizioni di lavoro èun fenomeno in aumento nei paesi dell’Unione Europea. Accantoalle droghe tradizionali legali ed illegali sono consumate nuove dro-ghe sintetiche come ecstasy e crack. Questo fenomeno è un proble-ma serio ed ha conseguenze negative sia per la qualità della vita deilavoratori che per la loro efficienza lavorativa. Esso produce per-dita di giornate lavorative, aumento di infortuni e di assenteismo,richieste eccessive di trattamenti riabilitativi, riduzione della soli-darietà, della cooperazione e del reciproco aiuto tra i lavoratori.Conseguentemente, questo fenomeno si riflette su tutti i costi dell’im-presa ed è considerato un fattore di rischio per un ambiente di lavorosano e sicuro. È quindi importante che le imprese abbiano una politi-ca scritta sulla prevenzione del disagio psicosociale connesso all’orga-nizzazione del lavoro con particolare riferimento alla violenza psico-logica ed alle dipendenze patologiche da sostanze nei luoghi di lavoro.

Assunti strategiciOsservato che le sostanze psicoattive sono spesso utilizzate perridurre gli effetti negativi dello stress.Considerato che stress e violenza psicologica, infatti, sono le condi-zioni di lavoro che facilitano la diffusione di questo fenomeno,soprattutto nelle PMI che non hanno politiche scritte per contra-stare e prevenire questo problema.Tenuto conto che anche le grandi imprese non sono esenti ed immu-ni da questo fenomeno.Valutato che questi problemi psicosociali sono aggravati da parti-colari forme di occupazione basate su precarietà e bassi salari cherendono più vulnerabili i giovani lavoratori, quelli cioè che per laprima volta entrano nel mondo del lavoro.Rilevato che esistono, quindi, nel mondo del lavoro nuovi rischi psi-cosociali che generano nuove domande di salute e di sicurezza.Sottolineato che uno di questi nuovi rischi è la violenza psicologica.Essa è distruttiva per il benessere psico-fisico dei lavoratori e puòspingere, chi ne è colpito, ad uno abuso di sostanze stupefacenti.Rilevato, anche, che la violenza psicologica e l’abuso di sostanzehanno un impatto sulla differenza di genere.Identificato che per soddisfare queste nuove domande di salute e disicurezza è necessario progettare piani di azione specifici su dipen-denza da sostanze e violenza psicologica sul lavoro.

Osservato che ancora non esistono in molti stati dell’Unione Euro-pea leggi nazionali per contrastare la violenza psicologica sul lavo-ro e ridurre le sue conseguenze negative per l’individuo, il contesto,la società.Tenuto conto anche della carenza di studi e di ricerche che metto-no in evidenza il nesso causale tra le condizioni distruttive della vio-lenza psicologica ed il consumo di droghe legali ed illegali in mododa costruire linee-guida di comportamento preventivo e manuali dibuona prassi.

Sulla base di quanto detto sopra e delle prospettive strategichetracciate, questo seminario europeo propone che:a) La Commissione Europea deve dare rilevanza, nei propri pro-

grammi di azione annuali, al fenomeno della violenza psicologi-ca, dipendenza da sostanze e disagio psicosociale nel mondo dellavoro, destinando risorse per questo proposito.

b) I governi nazionali devono promulgare leggi in materia di pre-venzione e riduzione della violenza psicologica sul lavoro e pre-vedere apposite azioni di tutela dei diritti di chi è colpito da que-sta forma di maltrattamento.

c) Le autorità locali devono attivare iniziative di monitoraggio delfenomeno, allestire primi interventi preventivi e formulare pro-grammi di sostegno e di aiuto rivolto a chi ne è colpito.

d) Le autorità locali devono promuovere campagne di informazio-ne e sensibilizzazione sulla violenza psicologica sul lavoro rivol-te ai lavoratori, ai manager, ai delegati e funzionari sindacali conl’obiettivo di aumentare la loro conoscenza, la loro competenzae le loro capacità di contrastare il fenomeno.

e) Le parti sociali devono prevedere appositi programmi di azionisulla violenza psicologica e le dipendenze da sostanze nei lorocontratti collettivi di lavoro. L’attenzione deve essere posta piùsulla prevenzione che sulla riabilitazione.

Sulla base di queste raccomandazioni Euridice Network avanzeràalla European Commission un primo Joint Programme per lo stu-dio nazionale di casi su violenza psicologica e abuso di sostanze sullavoro, in modo che possa essere creato un archivio europeo delleesperienze più significative di intervento sulla violenza psicologica ele dipendenze da sostanze sul lavoro.Questo archivio europeo funzionerà come generatore di programmidi prevenzione, di formazione e di aiuto valutabili e trasferibili.

Seminario EuropeoMobbing and substances dependence at the workplace

11 e 12 maggio 2006 - Ontinyent (Valencia, Spain)

Si è tenuta ad Ontinyent l’annuale euroconferenza di Euridice Network. L’argomento all’ordine del giorno è stato quello del mobbing edell’abuso di sostanze sul lavoro. Erano presenti tutti i partner del network Euridice, i rappresentanti di alcune organizzazioni interna-zionali, le autorità locali e regionali di Valencia, i rappresentanti del governo centrale di Madrid. Al termine dei lavori è stata approva-ta la seguente risoluzione sulla violenza psicologica e l’abuso di sostanze sul lavoro, incluso il mobbing, il bullying e le molestie morali.

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Alcolismo: i principali modelli interpretativi

Il trattamento dell’alcolismo ha risentito in passato e risentetutt’oggi dell’approccio teorico, ossia degli elementi interpretati-vi utilizzati.Il primo modello interpretativo con dignità scientifica è senz’al-tro quello “biologico-organicistico” che considera l’alcoldipen-denza come una malattia organica su base ereditaria o con fortefamiliarità di tipo biologico. Con queste premesse teoriche il trattamento conseguente consi-steva nel fornire adeguate terapie alle patologie organiche, senzaintervenire sui comportamenti e sulle scelte di vita dei portatoridelle patologie. Trovavano giustificazione in ciò ricoveri ospeda-lieri per le complicanze organiche o mentali legate all’utilizzo dialcol. Questa tipologia di intervento mise presto in evidenza lasua parzialità, se non la sua inutilità.Rimaneva infatti non tratta-to il disagio relazionale, familiare e l’aspetto della dipendenza.Il modello di “alcolismo come malattia” è stato assorbito daAlcolisti Anonimi (Associazione nata nel 1935 in America), cheper prima ha attuato un approccio volto a favorire il cambia-mento del comportamento verso l’alcol in chi ha sviluppato unadipendenza.Partire dal concetto di Alcolismo come malattia, motivo per cuil’alcolista è impotente e decide di non bere più, serve ad AA peroccuparsi del disagio esistenziale dell’alcolista proponendocome esperienza cardine quella del gruppo. Il modello valoriz-za lo scambio di esperienze diverse, l’incontro di persone checondividono gli stessi problemi. Nei gruppi di AA (ci sono grup-pi per alcolisti e gruppi per i familiari che si riuniscono per lo piùseparatamente, salvo alcuni incontri) non c’è nessun operatore,si tiene l’anonimato, il gruppo ha anche valenza sociale.Il modello che si è affermato successivamente ritiene l’alcolismouna disfunzione delle relazioni familiari con implicazioni nonsolo sullo stato di salute dell’alcolista, ma anche sulle dinamichepsicologiche e sociali dei componenti il nucleo familiare. Que-sto modello si riferisce in parte alla teoria sistemica. Esso consi-dera i processi patologici frutto di uno squilibrio nei meccanismiomeostatici dell’organismo, inteso non solo nella sua accezionebiologica, ma anche come insieme di sistemi psicologici e socia-li. Il trattamento derivante da questo modello è orientato all’in-tegrazione degli interventi medici psicologici e sociali (modellobio-psico-sociale). Evoluzione di questo è il modello di alcolismo inteso comecomportamento o “stile di vita” non più riferibile al solo nucleofamiliare dell’alcolista, ma all’intera Comunità territoriale. Il trat-tamento prevede l’utilizzazione del modello ecologico, ossia un

intervento complesso finalizzato a modificare le abitudini di unaintera collettività territoriale. Questi concetti trovano espressionenella pratica nell’attività dei gruppi CAT (club alcolisti in tratta-mento) che si rifanno alla “metodologia Hudolin”.

Approccio psicoterapico: scuole a confronto

Entrando più nel dettaglio dei diversi orientamenti psicoterapici,troviamo impianti teorici che forniscono coordinate entro cuimuoversi nell’affrontare problemi che interessano la psiche, iproblemi esistenziali, lo stato di salute dell’intera persona e delsuo ambiente, un bagaglio utile, cui attingere in modo flessibile,ma che non ci fornisce una chiave di lettura specifica per l’alco-lismo a sostengno di un intervento riabilitativo altrettanto speci-fico. Perciò, dopo aver fatto una breve sintesi dei vari approcci,cerchiamo di delineare il nostro modello interpretativo, nato dal-l’esperienza e da riflessioni, via, via maturate nel tempo, che sot-tende il nostro intervento riabilitativo.L’approccio psicodinamico è basato sull’assunto che eventisignificativi e conflitti antecedenti contribuiscano all’insorgenzadel comportamento d’abuso e che l’abuso stesso provochi con-flitti psicologici. L’insight e la consapevolezza della relazione traconflitti intrapsichici e comportamenti attuali possono, di per sé,modificare il comportamento presente e futuro.L’approccio comportamentale colloca l’agente causale del cam-biamento nell’ambiente globale. Fondante è il paradigma del-l’apprendimento sociale, focalizzato soprattutto sui modi in cuile reciproche interazioni del presente possono venire meno erinforzare l’uso di sostanze. Ciò che viene preso in considera-zione è il passato esterno, ambientale, non quello interno. Varifattori ambientali interagiscono con il comportamento piuttostoche causarlo direttamente.Il modello della terapia cognitiva prende in esame il ruolo dellecognizioni maladattative nel mantenimento dell’abuso di sostan-ze. In base a questo modello, le cognizioni distorte non hannoun ruolo causale nell’insorgenza del disturbo (il quale vieneattribuito ad una serie di fattori interni ed esterni) quanto piutto-sto la funzione di mantenerlo ed esacerbarlo. Tuttavia, per supe-rare il problema dell’abuso di sostanze, può risultare utile un’a-nalisi ed una modificazione di tali cognizioni.Una variante della Terapia comportamentale: REBT (approcciorazionale-emotivo-comportamentale) prende in esame il ruolodi una disfunzione emozionale nei problemi psicologici e com-portamentali (tra cui l’abuso di sostanze). Questo modello operauno sganciamento-separazione tra conseguenze ed eventi pre-cedenti. Esso considera le conseguenze come originate dal siste-ma di credenze. La REBT tenta di aumentare la tolleranza allafrustrazione e ai pensieri catastrofici.L’approccio olistico, centrato sul cliente, punta sul raggiungi-mento di obiettivi a breve e lungo termine, obiettivi scelti dal

AREA CLINICA

Riabilitazione AlcologicaIl modello della “piacevolezza esperienziale” Ospedale S. Marta - Rivolta d’Adda.Dalle premesse generali all’attuale strutturazioneGiorgio Cerizza*, Elena Battistini**, Paola Rapuzzi**, Paola Ranalletti°

* Psichiatra responsabile, ** Medici, ° Educatrice professionale Ospe-dale Santa Marta, Rivolta d’Adda, Azienda Ospedaliera di Crema(Cremona).

cliente. Il terapeuta aiuterebbe a decidere verso quali obiettivilavorare, tra questi potrebbe anche non essere compreso il rag-giungimento dell’astinenza completa dalla sostanza.La terapia della famiglia considera l’alcolismo come una malat-tia familiare in quanto l’alcolismo di un membro della famigliainfluenza potentemente gli altri membri familiari. D’altro canto,inconsapevolmente, gli altri membri della famiglia giocano spes-so un ruolo importante nel bere dell’alcolista. La famiglia, con-siderata un sistema, tende a mantenere il suo equilibrio, sia sanoche malato; la teoria dei sistemi ipotizza che l’inerzia fa sì cheogni sistema familiare resista ad un cambiamento. Questomodello interpretativo è stato applicato alla famiglia dell’alcoli-sta ed ha evidenziato una sua utilità nel seguire il profondo cam-biamento costituito dalla sobrietà di un alcolista. L’approccio basato sul rinforzo di comunità combina interventitratti da vari modelli come quello dei sistemi comportamentali,della terapia familiare, della terapia cognitivista, con aspetti rela-tivi alla prevenzione delle ricadute, al training occupazionale ericreativo.

Il “modello della piacevolezza esperienziale”: aspet-ti teorici

Pur tenendo in considerazione quanto di valido e significativoogni Scuola propone, la nostra Storia di Servizio specifico e spe-cialistico ci ha portato a definire un nuovo modello interpretati-vo che ha avuto una sua evoluzione nel tempo. Il punto di par-tenza è senz’altro stato quello di superare un modo settoriale,prevalentemente medico, di affrontare PPAC, e cioè di pensareall’alcol esclusivamente come presenza patogena. Porsi invece la domanda: “Perché l’alcol fa bene?” può rappre-sentare la svolta chiave nella lettura delle situazioni problemati-che che si presentano.Nella relazione con il paziente, questa domanda talvolta spiaz-za l’interlocutore che per lo più è frastornato da ripetute frasi diquesto tipo: “ma non vedi che ti fa male?”, aiuta a non fermarsiai luoghi comuni, che pur contengono delle verità, dà una sortadi dignità ad un comportamento spesso solo pesantemente giu-dicato. Spesso scaturisce un avvicinamento incoraggiante chepuò porre la base per il trattamento riabilitativo.Così come ogni sintomo psichico è difesa e trappola, necessarioe limitante, la presenza dell’alcol va compreso nel suo significa-to e nella sua finalità. Se il Valore è un senso di calore e pienez-za, rimedio per inquietudine e sofferenza possiamo intuire comel’alcol sia risposta impropria e nello stesso tempo portavoce delbisogno di un caldo affetto che manca, di una carenza di auto-stima, di una non competenza relazionale, di una mancanza dicondivisione con gli altri o di altro che si può scoprire in unautentico rapporto con l’altro. È solo partendo dall’ascolto (enon dallo scontato) di quale bisogno l’alcol è stato rispostaimpropria che apre la strada a nuove consapevolezze, ossia allariabilitazione.Come Winnicott affermava “non esiste un bambino senza unamadre”, e come Adler asseriva che per capire una persona ènecessario vederla nel suo ambiente, così noi diciamo che nonesiste un alcolista senza la sua famiglia, infatti l’alcol non ciparla solo della sofferenza di una persona, ma anche di tutticoloro che l’hanno tollerato, accettato e pagato fino alle piùgravi conseguenze. Anche per loro l’alcol ha un valore, o un“vantaggio” secondario. Per ogni verità non detta c’è pronta unafinzione condivisa, per ogni posto abbandonato c’è qualcunoche vi si è più o meno comodamente collocato, generando il più

totale sovvertimento dei ruoli, dietro ogni imputazione sinasconde la difesa di una “colpa” non accettata. Frequentemen-te si osserva nella famiglia dell’alcolista una “familiarità malata”,ossia una comunicazione distorta, una assunzione di ruoli inver-tita, e/o rapporti funzionali al mascheramento/evitamento diprofonde problematiche individuali.Il primo passo della riabilitazione è l’ascolto, ascoltare vera-mente significa abbandonare ogni certezza perché non si saprima dove porterà l’altro, probabilmente verso qualcosa di sco-nosciuto, incerto. Aprirsi alla dimensione dell’“incerto” aiuta ascorgere, dietro la sorprendente uniformità di caratteristiche cuil’alcolismo conduce nel suo esito finale, una sconcertante edinattesa complessità. In ogni situazione si ritrova l’unicità creati-va dell’individuo che scaturisce dall’incontro tra fattori persona-li, ambientali, familiari, sociali.La riabilitazione alcologica ha come strumento principe il grup-po e la dimensione della relazione, che necessita anche forte-mente di una valenza educativa, espressione di una funzionematerna e paterna.Espressione di ciò, fin dall’inizio è stato il lavoro in equipe dioperatori provenienti da diversi Servizi, con diverse professiona-lità. Il modello Hudoliniano è stato il modello di partenza; lericadute, l’osservazione dei risultati, l’attenzione ad una utenzasempre più giovane, ci ha portato via, via ad aggiungere rifles-sioni ed autocritiche sul nostro operato e nello stesso tempo acomprendere cosa funzionava, a nostro avviso e perché.Il legame così forte, tale da costituire una dipendenza, con lasostanza alcolica si instaura come espressione di bisogni nonadeguatamente soddisfatti. Come le neuroscienze mostrano inmodo sempre più evidente, la sostanza alcolica, agendo a livel-lo dei centri correlati con il mondo emotivo e la percezione delpiacere, come soddisfazione del bisogno, può facilmente costi-tuire una risposta incongrua ai bisogni che l’individuo sentenella sua esperienza di vita.L’esperienza con la sostanza è una esperienza che bypassa larelazione umana, ma è una esperienza di “rapporto totale”,“unico” che ha a che fare col bisogno di relazione; bisogno chefa i conti però con una incapacità, impreparazione, paura, dife-sa, oppure anche opposizione (per svariati motivi) verso il biso-gno stesso.Guardare la presenza dell’alcol porta perciò a guardare ilmondo relazionale dell’individuo, i modelli di attaccamento, lefigure di riferimento, la famiglia, l’ambiente, i legami attuali, ibisogni insoddisfatti, le tappe di sviluppo, i compiti evolutivi, lasua storia.Nella riabilitazione guardare coincide con operare. Conseguen-temente all’analisi svolta, ci siamo accorti che serve sostituire alrapporto con la sostanza il rapporto con la persona, un rapportonon di dipendenza, non funzionale, in cui l’individuo non oscil-li dalla onnipotenza alla nullità.L’operatore “si somministra” in un rapporto umano che mostral’altro, un interlocutore, non sempre identico a se stesso e prontoal consumo, come la sostanza, ma che interagisce, che può com-prendere, che può porre limiti, che differenzia, che individua. L’operatore può comprendere e favorire la comprensione,offrendo una comunicazione chiara, che non dà nulla per scon-tato, può comprendere mettendosi nei panni dell’altro, mostran-do e spiegando le proprie emozioni, perciò facilitando la letturadelle emozioni.L’individuo nella riabilitazione alcologica, attraverso l’operatoreè portato a fare i conti con la realtà (non con risposte preconfe-zionate) con tempi ed attese, talvolta con delusioni e rifiuti, maanche costantemente con “qualcuno” (non qualcosa) che può

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ascoltare, che può attivare una reciprocità, che noterà reazionidi cui terrà conto.La funzione materna e paterna che l’operatore esprime nel rap-porto con l’utente, potrà così venire interiorizzata, acquisita, orichiamata e riattivata, dall’utente ed alfine essere esercitata conse stesso e con gli altri.Nell’esperienza di gruppo, dove la sostanza non c’è più, è pos-sibile vivere il calore della vicinanza e l’autenticità dei rapporticon gli altri, non utilizzando il sotterfugio o la complicità tossi-ca e ciascuno può servire all’altro per comprendersi e conoscer-si nelle similitudini e nelle diversità.

L’operatore come farmaco antagonista

All’operatore alcologo, indipendentemente dallo specifico profes-sionale, spetta un ruolo educativo; reputiamo che la funzione edu-cativa vada intesa non solo in senso letterale, come insegnamen-to di comportamenti nuovi, ma anche come possibilità di far spe-rimentare “risposte diverse” da quelle che i nostri pazienti hannoricevuto fino ad ora dal loro mondo familiare e relazionale.In questo senso ciò che caratterizza il ruolo dell’educatore spet-ta come funzione a tutti gli operatori dell’équipe i quali hanno ilcompito-dovere, proprio perché estranei al gioco patologicodella famiglia alcolica, di offrire una risposta nuova e come talefautrice di un possibile cambiamento.Il momento degenziale ospedaliero da noi proposto, permette dicreare una situazione esperienziale tale da favorire l’interioriz-zazione delle valenze positive di una “famigliarità sana”.La “legge”, rappresentata da regole chiare, discutibili, ma nonderogabili, la gerarchizzazione trasparente, la suddivisione deiruoli, la responsabilizzazione del paziente, si configurano comeespressione della funzione paterna, della sicurezza, della giusti-zia, del permesso-dovere alla crescita.La funzione materna si esprime nei tradizionali compiti di accu-dimento, ma anche nell’ascolto della parola.Grande attenzione è riservata all’ascolto interessato e non giudi-cante di ogni storia al fine di recuperare e rileggere i vissutirimossi, volontariamente nascosti o mistificati.La presenza contemporanea di tali funzioni si presta ad esserevissuta come presenza ideale, di una coppia genitoriale adegua-ta e positivamente interiorizzata.Tutto ciò in linea con quella che da sempre è stata la nostra atten-zione nel divenire terapeutico: cercare di fornire dei sostituti affet-tivi ed esistenziali alle persone che fino ad ora hanno trovato nellesostanze e non nelle persone la risposta ai loro bisogni.In questa luce l’operatore alcologo può diventare un “modula-tore” nel percorso esistenziale del paziente se mette in gioconella relazione terapeutica una vicinanza ed un’affettività cheaiutino a crescere e ad uscite da uno stato di “infantilismo rela-zionale”. Vicinanza agita come presenza attiva, consapevole,interessata all’ascolto dell’altro ed al calore umano.Essere vicini e caldi non significa però entrare in simbiosi con ilpaziente ma giocare la propria specifica competenza professio-nale, consci della propria specifica competenza umana.L’operatore alcologo, in quanto adulto che fornisce un modelloaccettabile di comportamento, dovrebbe coltivare le seguenticaratteristiche:• autorevolezza (essere affidabile);• compassione (saper partecipare alle emozioni);• senso dello humour (capacità di sdrammatizzare);• capacità clinica (saper integrare rapidamente l’osservazione

del paziente con il proprio bagaglio di conoscenze).

Questo modello non è privo di rischi, l’operatore alcologo deveinfatti presidiare alcuni aspetti fondamentali della relazione tera-peutica:• il rischio dell’operatore di agire il proprio bisogno di dipen-

denza che entra in risonanza con quello del paziente (tipicodelle relazioni tossiche e della coppia funzionale cui ilpaziente è abituato);

• il rischio dell’operatore di agire il proprio bisogno di viversionnipotente che impone al paziente di restare piccolo (rela-zione genitoriale caratterizzata da una figura materna invasi-va o simbiotica);

• il rischio di negare l’aggressività disconoscendo la sua natu-rale presenza nelle relazioni umani (narcisismo primario).

L’operatore alcologo, parimenti a qualsiasi farmaco, deve esseresomministrato individuando tempi e modalità appropriate.Importante inoltre è sottolineare che l’operatore alcologo è parteintegrante di un’intera équipe multiprofessionale che interviene,nella propria assunzione del ruolo educativo, in modo differen-te ma integrato, in ogni attività riabilitativa. La discussione quo-tidiana dei casi e la progettazione congiunta servono comedeterrente contro i rischi sopra enunciati.

Il “modello della piacevolezza esperienziale”: aspet-ti operativi

La scelta di proporre un programma riabilitativo ospedaliero èlegata sia alle caratteristiche dell’utenza che agli obiettivi terapeu-tici che ci poniamo. La degenza è ritenuta efficace e, a volte, indi-spensabile, se e in quanto in grado di fornire i seguenti vantaggi:• possibilità di operare in un ambiente protetto rispetto la pre-

senza della sostanza; permette la gestione dei disturbi asti-nenziali grazie agli interventi sia farmacologici che di soste-gno psicologico; permette la messa in discussione di relazio-ni e situazioni ambientali spesso strettamente concorrentinella genesi e nel mantenimento del sintomo “alcolismo”;

• possibilità di affrontare la complessità delle diverse situazionicon uno strumento altrettanto complesso e articolato come lastruttura ospedaliera che prevede una multidisciplinaritàespressa dal lavoro di équipe, vari punti di osservazione, varietàdegli strumenti diagnostici e terapeutici…;

• possibilità di operare a diversi livelli attraverso la varietà deglistimoli, sulla scoperta e sulla valorizzazione e potenziamen-to delle motivazioni al cambiamento.

È necessario ricordare a proposito del lavoro motivazionale, pre-messa indispensabile e cuore della riabilitazione, che nella mag-gioranza dei casi prevede un momento di crisi profonda, spessodirompente che interessa, se efficace, tutti i familiari coinvolti ocomunque presenti. La struttura ospedaliera permette di megliogestire questa fase per la funzione contenitiva e rassicurante cheessa svolge, sia per i pazienti che per gli operatori stessi.L’ospedale inoltre costituisce un ambiente che offre la possibilitàdi osservare il paziente in un contesto diverso dal suo abituale,ma in situazioni emozionali e relazionali abbastanza simili alquotidiano e soprattutto permette di vivere col paziente espe-rienze significative, momenti ordinari ed informali in cui l’ope-ratore stesso, ciascun operatore nella sua funzione, è occasionetrasformativa, è funzione terapeutica. Gli operatori nei momentiorganizzati e nelle situazioni informali tentano di proporre unafamiliarità sana alternativa a quella malata frequentemente vis-suta, offrendo quando necessario accoglimento, considerazionee comprensione (funzione materna) o ponendo limiti e riportan-do a regole necessarie o favorendo istanze di crescita e respon-

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sabilità (funzione paterna). Per spiegare ciò è necessario descri-vere le attività svolte e la giornata tipo, poiché è lì che si sviluppaun clima incoraggiante e una funzione educativa e terapeutica.

Va aggiunto per la domenica, oltre alle attività di riordino, l’u-scita al mattino in paese, e l’uscita a correre, nel pomeriggio lamerenda organizzata con i pazienti e i familiari presenti, per ilresto tempo libero.Il mercoledì sera uscita in piscina (di una parte del gruppo)Il lunedì sera, una volta al mese, uscita in discoteca per unaparte del gruppo, o tutto il gruppo in base alla composizione.(queste attività si sono consolidate negli ultimi anni con la note-vole presenza di persone giovani fruitori del ricovero)Questa organizzazione consente di osservare e di “vivere” ilpaziente in diverse condizioni e situazioni sia formali che non edi utilizzare, quali fattori diagnostici e progettuali, gli spunti e leconsiderazioni che emergono da questa osservazione a tuttocampo e da diversificati punti di vista. Il cogliere alcuni aspettidi buon funzionamento, di capacità in una persona può essere ilpunto di partenza per un processo incoraggiante e per il recu-pero di autostima, oltre che rendere più tollerabile il mettere indiscussione meccanismi poco funzionali, o distruttivi.

Il gruppo multifamiliare

Elemento caratterizzante del modello è la presa in carico dellafamiglia sancita nel primo colloquio che prosegue con tre incon-tri settimanali.Il gruppo multifamiliare è il gruppo più caratterizzante di tuttol’intervento degenziale. La sua importanza nasce soprattutto dal-l’assunto che dietro il sintomo dell’alcolismo si trova la sofferen-za di tutta una famiglia.Si è scelto il termine Gruppo multifamiliare per sottolineare ladimensione terapeutica della gruppalità e la caratterizzazionerispetto agli altri gruppi data dalla presenza essenziale dei fami-liari dei pazienti ricoverati. Questo gruppo è costituito daipazienti, dai familiari (e/o persone con legami significativi), dalconduttore e da tutti i membri dell’équipe ospedaliera. Per lecose esposte fino ad ora la disponibilità dei familiari a parteci-

pare a questo tipo di gruppo è condizione e presupposto essen-ziale per la presa in carico di un paziente in questa forma ditrattamento. Il gruppo si riunisce tre volte alla settimana senzaeccezioni. In questi gruppi i familiari hanno l’opportunità dicapire se esiste anche in loro un desiderio di cambiamento equali sono gli ostacoli al suo verificarsi. Ogni familiare non puòche essere presente per se stesso, spogliato di ogni veste di dub-bio altruismo. Tale atteggiamento, se esiste, è il primo ad esse-re smascherato, in quanto ogni minuto di connivenza sarebbela tacita accettazione del principio che esista un sano ed unmalato, un santo e un demone, una vittima ed un carnefice aseconda delle categorizzazioni con cui ognuno ha cercato direndere in qualche modo leggibile per sé e per gli altri la pro-pria finzione. Questa opzione di trattamento incontra spessoresistenze molto forti in quanto “va contro” quelle modalità dimistificazione che la famiglia alcolica ha adottato per sopravvi-vere, ma può essere adottata in virtù di quella richiesta di aiutoa cambiare posta spontaneamente sia dall’alcolista che daifamiliari nel primo colloquio e dell’accordo terapeutico che neè seguito.Lavorare “lungo” il mantenimento almeno temporaneo delledifese o “contro” le stesse dipenderà da una complessa valu-tazione.Il gruppo multifamiliare è fucina di fortissime emozioni che nonpossono essere soffocate, pena il fallimento di ogni interventomutativo, né lasciate esplodere senza garanzia di contenimentoe risposta. Qui non si parla del padre, della figlia, del maritoecc., ma si parla con loro, con delle persone presenti le cui paro-le non sono solo raccontate, immaginate, come avviene nelgruppo psicoterapeutico, esse sono azione nel qui ed ora. Perciòquesto gruppo necessita di una conduzione esperta e qualifica-ta in grado di leggere e cogliere quando e dove agire e quandoe come fermarsi nello smantellamento delle finzioni e nella sol-lecitazione delle interazioni. Possiamo definire il gruppo multi-familiare anche come un gruppo di lavoro dove le valenze posi-tive e costruttive si alleano e producono esperienze di cambia-mento, sperimentazioni di diverse soluzioni sotto l’attenta guidadel conduttore. Una delle caratteristiche peculiari di questogruppo è di essere, in un certo senso, azione verbale e non ver-bale. In quest’ottica la presenza di ognuno, così come l’assenza,la posizione, la gestualità, le parole dette e non dette sono spun-to di lavoro, punto di partenza per interpretazione e cambia-mento (ad esempio talvolta vengono fatti fare degli spostamentidi posizione, o altri tipi di interventi agiti sempre con un signifi-cato ben preciso e reso manifesto); le azioni del conduttoredevono essere azioni pensate, cioè i comportamenti verbali enon devono essere dotati di significato in modo che si inseri-scano in maniera nuova nella routine di azioni-reazioni fossi-lizzate. Tutti sono testimoni presenti, spettatori (ma poi con-temporaneamente coinvolti e attori) da molteplici punti diosservazione, sia cognitivi che affettivi, liberi di segnalare laproblematicità della realtà relazionale, familiare discussa. Èpiù facile quindi problematizzare ciò che pareva accettabile edaccettato grazie all’alcol aprendo o sviluppando una situazio-ne di crisi che offra poi la possibilità di intravedere come per-corribili strade che sembravano escluse dal campo del possibi-le. Al conduttore spetta il compito di ascolto, comprensione,sintesi e restituzione di queste voci diverse, ne nasce una rinar-razione della storia di ognuno, una storia non più solipsistica,ma resa più vitale poiché arricchita nel presente da pensieri,sentimenti e parole spesso a lungo congelati e affidati allasostanza, una storia protesa verso un futuro diverso finalmentepensabile.

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PROGRAMMA GIORNALIERO:

ore 7.00 Sveglia (riordino del letto, della camera, igiene per-sonale)

ore 7.30 Riordino dei locali del Repartoore 8.00 Colazione insiemeore 8.30 Attività di espressione corporeaore 10.00-11.30 Il martedì, giovedì e sabato Gruppi MultiFamiliari

(Motivazionali)ore 10.00-11.00 Il lunedì, mercoledì, venerdì Attività di socializza-

zione e uscita programmataore 11.00 Il lunedì, mercoledì, venerdì Riunione organizzativa

di gruppoore 12.00 Pranzoore 13.00 Tempo liberoore 14.30 Il lunedì, martedì, giovedì e venerdì Psicoterapia di

gruppoore 14.30-18.00 Il mercoledì Cineforumore 14.30-17.30 Il sabato Attività programmata il venerdì (uscita,

spesa, giochi ecc.)ore 15.30 Tempo liberoore 16.30 Il lunedì, venerdì Educazione sanitaria

Il martedì, giovedì Attività espressivaore 19.00 Cenaore 20.00 Riordino, tempo libero

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Bibliografia

Adler, Il temperamento nervoso [1912], Astrolabio, Roma, 1950.Adler, La psicologia individuale nella scuola [1929], Psicologia dell’educa-

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denza. Trattamenti a confronto.Hudolin Vl., Manuale di alcologia, Trento, Erickson, 1991 seconda edizione.Hudolin Vl., Introduzione, in Hudolin Vl., Ciullini A., Corlito G., Dellavia

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Congresso FeDerSerD Regione Lazio

Buone pratiche nel managementdelle dipendenze patologichee della doppia diagnosi

28 e 29 settembre 2006 - Centro CongressiHoliday Inn Parco dei Medici - Roma Eur

Per informazioni e iscrizioni: Segreteria Organizzativa FeDerSerD - EXPO POINT - Organizzazione Congressi Eventi - Via Matteotti, 3 - Mariano Comense (CO) - Tel. 031/748814 - Fax 031/751525 - e-mail: [email protected] - www.federserd.it - Federazione Regionale Lazio e-mail: [email protected]

FeDerSerD/FORMAZIONE

Giovedì 1914.30 Presentazione15.00 Saluto Autorità15.30 Stato dell’Arte17.00 Prima sessione - Welfare delle Dipenden-

ze: l’integrazione socio-sanitaria. La politi-ca dell’intervento

18.30 Cocktail di benvenuto

Venerdì 2009.30 Seconda sessione - I trattamenti della Dipen-

denza da eroina: nuovi scenari terapeutici11.00 Cofee break11.15 Terza sessione - Coinfezione HIV-HCV nel

tossicodipendente: interazioni farmacolo-giche e problemi terapeutici

12.45 Pranzo14.30 Quarta sessione - Percorsi terapeutici nella

comorbilità psichiatrica

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FeDerSerD/FORMAZIONE

Congresso Regionale FeDerSerD Campania

DIPENDENZE E SERVIZI, TRA QUOTIDIANITÀ E FUTUROCapri, 19-21 ottobre 2006 - Grand Hotel Quisisana

Programma preliminare

Costi di iscrizione: Iscr. FeDerSerD € 100,00 +iva - Non iscr. FeDerSerD € 150,00 + iva - Iscr.FeDerSerD non laureato € 8,00 + iva - Non iscrit-to FeDerSerD non laureato € 130,00 + iva

Costi di iscrizione dopo il 10 settembre: Iscr.FeDerSerD € 13,00 + iva - Non iscr. FeDerSerD€ 180,00 + iva - Iscr. FeDerSerD non laureato €120,00 + iva - Non iscritto FeDerSerD non lau-reato € 160,00 + iva

Il costo di iscrizione comprende il materiale con-gressuale, i coffee break ed il lunch del venerdì.Gli iscritti FeDerSerD devono dimostrare l’iscri-zione al 31 maggio

Segreteria Organizzativa Studioesse Congressi -Tel. 081/8904040 - Fax 081/8907169 - e-mail:[email protected]

16.00 Quinta sessione - Interventi psicoterapicinei Servizi: attualità e prospettive

Sabato 2109.00 Approfondimenti tematici

• Linee di sviluppo dei Servizi• Una nuova sfida per i Servizi: il gambling• Prospettive diagnostico-laboratoristiche• Progettualità sul territorio• Modelli di comunicazione

11.00 Compilazione questionari ECM e consegnaattestati

11.30 Assemblea Soci

Ogni sessione avrà un moderatore, un relatore,un caso clinico ed un report

Categorie ECM: Medico - Psicologo - Infermiere -Educatore professionale - Biologo

Giovedì 16 novembre

PLENARIA MATTINOSaluti delle Autorità Relazioni:• Dei delitti e delle pene• Sistema penitenziario e riabilitazione• La tossicodipendenza come malattia• Tra coazione e cura

PLENARIA POMERIGGIORelazioni:• Problemi di diagnosi in carcere• I rischi della detenzione

• Atteggiamenti degli operatori• Esperienze nazionali significative• (Castelfranco Emilia)• Esperienze nazionali significative (una

custodia attenuata gestita da un Ser.T. -Rebibbia)

Venerdì 17 novembre

MATTINOSESSIONI PARALLELE• Esperienze nel territorio regionale• Droghe, carcere e minori• I Trattamenti farmacologici

PLENARIA POMERIGGIO

TAVOLA ROTONDA

Temi:• Delitti e pene• La Prefettura• Legge e terapia

Per informazioni e iscrizioni: Segreteria Orga-nizzativa Nazionale FeDerSerD - EXPOPOINT - Via Matteotti, 3 - Mariano Comense(CO) - Tel. 031/748814 - Fax 031/751525 - e-mail: [email protected]

Primo annuncio

FeDerSerD e SITDRegioni Piemonte e Valle D’Aosta annunciano un CONVEGNO sul CARCERE

DELLE DROGHE E DELLE PENEI tossicodipendenti tra cura e castigo

Torino, 16 e 17 novembre 2006 - Starhotel

RECENSIONE

Gaetano Liguori, Vincenzo D’Auria,Ferdinando Russo,Arcangelo Cimminiello

ALCOL: TRA CLINICAE LETTERATURAPresentazione di Vittorio PellegrinoPostfazione di Alfio Lucchini

Collana: Clinica delle dipendenze e deicomportamenti di abuso/Quaderni, direttore scientifico: Alfio Lucchinipp. 128, € 14,00 – Cod. 231.1.29 (V)

L’attuale diffusione delle bevande alcoliche, l’acquisizione di modelli di con-sumo non tradizionali, la generale tolleranza verso il bere e la difficoltà didefinire l’inquadratura diagnostica ed il profilo terapeutico rendono indi-

spensabile lo sviluppo di una coscienza critica ed attenta al fenomeno del-l’alcolismo e della patologia alcol-correlata.Il presente volume si propone di farlo partendo da una prospettiva origina-le: intrecciando il discorso clinico a quello letterario ravvisa un significativoconnubio tra l’uomo e l’alcol, illustrando il senso delle domande che da sem-pre l’umanità si è posta ed il significato delle risposte che si è data nel corsodelle epoche e delle culture in relazione a questo particolare rapporto.Alternando parti argomentative sulla biochimica, la neurofisiologia, la clini-ca e la terapia dei quadri di intossicazione acuta e cronica a parti riassunti-ve, caratterizzate da tabelle e grafici, il testo si offre come spunto di riflessio-ne e strumento operativo per quanti vogliano avventurarsi nel campo dell’in-tervento sull’uso-abuso di bevande alcoliche, laddove l’infinito universo dellapoesia umana, interpretando un rilancio continuo tra l’eredità e la ricerca,traduce e traccia un fenomeno vissuto e segnato nel fondo dell’anima.

Gaetano Liguori, medico psicoterapeuta, è responsabile del Servizio Tossi-codipendenze ed Alcolismo del Distretto 63/64 Sant’Animo Asl Napoli 3.Vincenzo D’Auria, medico odontoiatra, è responsabile dell’area di coordi-namento delle Dipendenze patologiche dell’Asl Napoli 3.Ferdinando Russo, medico fisiopatologo, è dirigente responsabile delDistretto socio-sanitario 63 Sant’Animo Asl Napoli 3.Arcangelo Cimminiello, medico nefrologo, è incaricato dei trattamenti cli-nici presso il Ser.T. del Distretto 63/64 Sant’Animo Asl Napoli 3.

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L’Ufficio di Presidenza di FeDerSerD èstato ricevuto oggi a Roma alle 14 dal Mini-stro per la Solidarietà Sociale On. PaoloFerrero.Nell’incontro, cordiale e costruttivo, abbia-mo illustrato al Ministro le ragioni dellanostra società scientifica che svolge ancheun riconosciuto ruolo di rappresentanza deiservizi pubblici.È necessario fare una netta distinzione tral’uso di droghe (sempre più diffusa) e lepatologie da abuso. I bisogni delle personemalate di droga possono essere accolti e adessi si può dare una risposta solo se si rifor-ma il DM 444/90 ridefinendo i compiti e leofferte di servizi dei Ser.T., tenendo contodella diffusione delle droghe eccitanti e deicontesti sociali di abuso.La rapida ridefinizione del ruolo delle pre-fetture e la abolizione delle sanzioni per iconsumatori; l’abrogazione della LeggeFini; la definizione dei percorsi per arrivarequanto prima alla nuova Conferenza Nazio-nale sulle Tossicodipendenze con il coinvol-gimento delle Regioni, degli Enti locali edelle Associazioni; una campagna naziona-le di formazione per gli operatori del siste-ma dei servizi; la disponibilità nelle farma-cie di tutti i farmaci sostitutivi in uso per ladipendenza da eroina e l’impegno dei

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FeDerSerD/ORGANIZZAZIONE

Comunicato stampa di FeDerSerD del 31 maggio 2006

Sede legale: Via Giotto 3, 20144 Milano

aderente a:

COGNOME ______________________________________ NOME ______________________________NATO A ___________________________________________________________ IL ________________INDIRIZZO (personale) ________________________________________________________________CITTÀ _________________________________________ PROVINCIA ________ CAP _____________TEL. _______________________ FAX ____________________ CELL. __________________________E-MAIL (per invio news e comunicazioni)___________________________________________________TITOLO DI STUDIO ___________________________________________________________________DATA CONSEGUIMENTO TITOLO DI STUDIO____________________________________________SPECIALIZZAZIONE__________________________________________________________________POSIZIONE PROFESSIONALE ATTUALE________________________________________________INDIRIZZO (lavorativo) ________________________________________________________________TEL. ______________ FAX ______________ CELL. ______________ E-MAIL ___________________

Chiedo▫ Di essere iscritto in qualità di SOCIO ORDINARIO per l’anno 2006▫ Di rinnovare l’iscrizione in qualità di SOCIO ORDINARIO per l’anno 2006a FeDerSerD - Federazione degli Operatori dei Dipartimenti e Servizi delle Dipendenze______________________ lì _____ / _____/2006 Firma ____________________________________

Si autorizzano FeDerSerD e la Segreteria Expopoint al trattamento dei dati inclusi nella presente scheda

Versamento quota associativa di ▫ € 50,00 (laureati) ▫ € 30,00 (non laureati)(allegare copia bonifico bancario o ricevuta versamento)Visto il Segretario Esecutivo Nazionale_____________________________________________________Visto per approvazione: Il Presidente _____________________________________________________

Presidente OnorarioRita Levi Montalcini

Direttivo NazionaleAlfio Lucchini (Presidente), Guido Faillace (Vicepresidente),Pietro Fausto D’Egidio (Segretario esecutivo),Alessandro Coacci (Past president),Luciana Bacci, Roberta Balestra, Emanuele Bignamini,Roberto Cataldini, Antonio d’Amore, Donato Donnoli,Maurizio D’Orsi, Maurizio Fea, Bernardo Grande,Claudio Leonardi, Raffaele Lovaste, Ezio Manzato,Norberto Pentiricci, Roberto Pirastu,Edoardo Polidori, Gianna Sacchini, Giorgio Serio

Comitato Scientifico NazionaleClaudio Leonardi (coordinatore),Ezio Manzato (coordinatore),Giorgio Serio (coordinatore),Bruno Aiello, Clara Baldassarre, Roberto Calabria,Cesare Di Carlo, Michele Ferdico, Gilberto Gerra,Fabio Mariani, Vincenzo Marino, Antonio Mosti,Felice Nava, Pier Paolo Pani

RICHIESTA DI ISCRIZIONE IN QUALITÀ DI “SOCIO ORDINARIO”

Il versamento della quota associativa, pari a € 50,00 per i laureati e a € 30,00 per i non laureati, si può effettua-re tramite:▫ versamento sul Conto Corrente Bancario n. 000003417x16 intestato a FeDerSerD presso la Banca Popolare diSondrio - Agenzia di Carimate - CIN D ABI 05696 CAB 51090▫ versamento diretto ai referenti regionali con rilascio di ricevutaL’accoglimento dell’istanza di iscrizione a FeDerSerD in qualità di Socio Ordinario avverrà nella prima riunione in calen-dario del Consiglio Direttivo e ne verrà data comunicazione e conferma con il rilascio e l’invio della Tessera Annuale.

ANNO 2006 - RICHIESTA DI ISCRIZIONE IN QUALITÀ DI “SOCIO ORDINARIO”Da trasmettere per posta a Expo Point - via Matteotti, 3 - Mariano Comense (Co)

o tramite fax al numero 031/751525 o per e-mail [email protected]

Medici di Medicina Generale; la costituzio-ne dei Dipartimenti delle Dipendenze intutte le ASL; la formalizzazione di un Centrodi riferimento nazionale di epidemiologiaclinica valorizzando le competenze delCNR; un impegno importante nella preven-zione sono stati alcuni dei temi posti allariflessione nell’incontro.FeDerSerD, che pone alla base del suo agirele evidenze scientifiche e l’esperienza deglioperatori, che ha rapporti in tutte le Regionie con tutto il mondo degli operatori; che hadimostrato negli anni di essere un sicuro ecostante punto di riferimento per il settore,sia di natura scientifica sia di riflessione isti-tuzionale; che ha una riconosciuta e insu-perata capacità organizzativa nel settoredella formazione, ha offerto al MinistroPaolo Ferrero le risorse e la serietà dell’orga-nizzazione per affrontare subito le emergen-ze del settore e per giungere al più presto alnuovo Testo Unico sulle dipendenze.Il Ministro, ribadendo il ruolo centrale delServizio Pubblico, ha sottolineato la neces-sità di lavorare per modificare la rappresen-

tazione sociale del fenomeno droga, ulte-riormente compromessa nei cinque anni delpassato governo.Ha condiviso la lettura dei fenomeni e lenecessità del sistema dei servizi, così comerappresentate nelle priorità di FeDerSerD.Nel lungo incontro si sono poste le basi perun lavoro comune. Una valutazione diimpatto a 6 mesi della legge Fini-Giovanar-di e la attivazione di tutte le risorse disponi-bili per l’applicazione di provvedimenti utiliad evitare gli effetti più negativi della leggee favorire la operatività dei servizi sono iprimi provvedimenti concordati. Il Ministro, infine, si è detto disponibile a visi-tare i Ser.T. come atto anche simbolico divicinanza agli utenti e agli operatori pubblici.

L’Ufficio di Presidenza di FeDerSerDAlfio Lucchini, PresidenteGuido Faillace, Vice presidentePietro Fausto D’Egidio, Segretario esecutivoAntonio d’Amore, componente del Diretti-vo NazionaleRaffaele Lovaste, componente del DirettivoNazionale

Poste Italiane Spa - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 - DCB Milano - Franco Angeli srl, viale Monza 106, 20127 MilanoIn caso di mancato recapito inviare a CMP Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi.

PUBBLICAZIONI / ESPERIENZE CURRICOLARI DA SEGNALARE / PROGETTI SCIENTIFICIIN CORSO / AREE DI INTERESSE SCIENTIFICO / INTERESSI CULTURALI