SOLIANA n°2 -02 · sto che di una globalizzazione; in cui la parcellizzazione risulta molto più...

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Editoriale Francesca Falchi POESIA Mimmo Bua Tommaso Iorco Yuanne Orunesu ARTE Mirella Mibelli FILOSOFIA Luigi Mazzarelli Cinema Fabrizio Derosas RACCONTI Elisabetta Rombi Francesco Lamendola Bruno Pittau MEMORIE Nunzio Caponio Mimmo Bua RECENSIONI Francesca Falchi Elisabetta Rombi RIVISTA DI ARTI, CINEMA, POESIA, FILOSOFIA E LETTERATURA 4 Anno II – N° 4 settembre 2008 S O LiANA Edita a cura dell'associazione manuelfurru & co e di Broken Art

Transcript of SOLIANA n°2 -02 · sto che di una globalizzazione; in cui la parcellizzazione risulta molto più...

EditorialeFrancesca Falchi

POESIAMimmo Bua

Tommaso IorcoYuanneOrunesu

ARTEMirellaMibelli

FILOSOFIALuigi Mazzarelli

CinemaFabrizio Derosas

RACCONTIElisabetta RombiFrancescoLamendola

Bruno Pittau

MEMORIENunzio CaponioMimmo Bua

RECENSIONIFrancesca FalchiElisabetta Rombi

RIVISTA DI ARTI, CINEMA, POESIA, FILOSOFIA E LETTERATURA

4Anno II – N° 4

settembre 2008

SOLiANA

Edita a curadell'associazionemanuelfurru & coe di Broken Art

Via dalle città: piccole comunità crescono – Francesca Falchi

PoesiaLasciatemi divertire... – Mimmo BuaVersi sberleffi – Tommaso IorcoTrinkittàta de su káne fonnésu – Yuanne Orunesu

ArteMirella Mibelli

FilosofiaIl qui e ora, il frattempo e il giorno dopo – Luigi Mazzarelli

Cinema - TeatroLa tempesta Greenaway – Fabrizio Derosas

RaccontiLa finestra sulla piazza – Elisabetta RombiSplendore della luce invernale – Francesco LamendolaNel profumo della notte d’estateil ricordo respira e prende vita – Francesco LamendolaAlla ricerca dell’autorizzazione perduta – Bruno Pittau

MemorieMemorie di un viaggio di sola andata – IV – Nunzio CaponioCiao Kurt. Omaggio postumo a Kurt Vonnegut – Mimmo Bua

RecensioniMario Mereu, “Prima della pioggia di settembre” – Francesca FalchiIrène Némirovsky, “Suite francese” – Elisabetta RombiIrène Némirovsky, “Il ballo” – E. R.Mario Domenichelli, “Lugemalé” – E. R.Salvatore Niffoi, “La vedova scalza” – E. R.

SOLiANARivista di Arti • Poesia •Filosofia • Letteratura •fondata e coordinatada Mimmo Bua

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www.soliana.net

Direttore responsabile:Francesca Falchi

Comitato di redazione:Mimmo Bua

Fabrizio DerosasFrancesca FalchiBruno Pittau

Elisabetta Rombi

Progetto graficoe impaginazione:Bruno PittauBROKEN ART, CA

AUTORIZZAZIONEDEL TRIBUNALE DI CAGLIARIn° 23/07 del 9.08.2007

Anno II

n. 4settembre 2008

Le opinioni espresse negliarticoli firmati impegnanoesclusivamente i loro autori.

Il Copyright © dei testi edelle immagini (saggi, poe-sie, racconti; disegni, foto-grafie, riproduzioni d’arte) èdei rispettivi autori.Tale materiale è liberamen-te utilizzabile per citazioni erecensioni, a condizione dicitare la fonte con il relativourl:www.soliana.net

Immagine di copertina:Bruno Pittau, Lonesome Oona Blues – un ricordo di Domus De Janas, 1990-2006, tecnica mista rielaborataal computer, cm 50 x 70

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Il numero dei festival in Sardegnasembra crescere anno dopo annoin maniera esponenziale:non è stato ancoracalcolato esatta-

mente quante sianole manifestazioniche, dedicate alteatro, al cine-ma, alla musica,alla letteraturae, trasversal-mente, all’arte,si avvicendanonell’isola nell’arcodi dodici mesi. Ciòche però colpisce(elemento sul quale valela pena maturare un’attentariflessione) è il decentramento ditali manifestazioni rispetto alle aree urba-ne. In Sardegna il festival sembra trovare ilsuo habitat ideale nei piccoli centri, inuna logica di recupero e riqualificazionedelle aree extraurbane. Tali paesi, soprat-tutto situati all’interno, spesso in zonelontane dai centri “importanti”, rischianodi scomparire a causa dello spopolamento,dovuto alla migrazione “forzata” delle gio-vani generazioni in cerca di lavoro.Focalizzare l’attenzione su questi paesi,che altrimenti rimarrebbero sconosciuti,se non dimenticati e pertanto destinanti

all’estinzione, avvalendosi di un mezzopotente come la cultura, in qualunque

sua forma, costituisce unmezzo efficace per rivita-

lizzare e stimolare gliabitanti attraverso il

rapporto con l’altroda sé, e, aprendonuove prospettivee c o n o m i c h ebasate sull’afflus-so turistico, perconsentire la sco-perta di quelle

zone della Sarde-gna che mantengo-

no intatte la bellezzaed il valore di identità e

comunità. Il tutto, a dispet-to di ogni potere accentratore ed

omologante. La comunità “chiusa”, chepreserva la propria cultura e tradizione, il“locale”con le sue caratteristiche di origi-nalità e unicità, diventa luogo di incontroe confronto tra un sapere “popolare” defi-nito, legato alle tradizioni del luogo, e unsapere “particolare”, quello dell’artistaproveniente da mondi “altri”: artisti chemettono a disposizione non solo la pro-pria arte ma il proprio vissuto a disposi-zione della comunità che li ospita, dive-nendo temporaneamente (quando nonper sempre) parte di essa. Questa, a sua

Via dalla città:piccole comunità crescono

Francesca Falchi

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Bruno PittauMarylin,1987-2000,tecnica mista,cm 35 x 50

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volta, li ingloba in un processo di vivifica-zione ed evoluzione che coinvolge entram-bi. Asuni, Berchidda, Bosa, Carloforte,Gavoi, Jerzu, Montresta, Sant’Anna Arresi(per citarne alcuni) divengono poli cultu-rali riconoscibili, in cui residenti, artistiospiti e pubblico “vivono” insieme,attuando uno scambio reciproco, secondoi termini di una “glocalizzazione”, piutto-sto che di una globalizzazione; in cui laparcellizzazione risulta molto più efficacedi un accentramento; in cui il rispetto del-l’individualità di un percorso umano edartistico appare più forte ed efficace diuna omologazione a criteri imposti da un“alto”, che si esprime attraverso il control-lo su tutto e su tutti, quasi a temere che ilpensiero originale dell’uno possa sovverti-re l’ordine (se poi un ordine c’è) costituito

dell’altro, sabotando quel neanche tantovelato controllo sulla cultura che abbiamovisto manifestarsi mediante improbabili“accorpamenti” che hanno il sapore dioperazioni politiche mascherate da inizia-tive culturali. Purtroppo sembra profilarsiall’orizzonte, dopo il gestore unico dell’ac-qua, un gestore unico della cultura. Eanche se può sembrare che della cultura sipossa fare a meno mentre dell’acqua no,speriamo che la prepotenza di un qualsi-voglia Golia possa essere sconfitta dallaforza e perseveranza di mille Davide, apatto che questi comincino ad affrancarsi,trovando nuove risorse, da una dipenden-za economica “istituzionale” che li rendeschiavi e dunque, loro malgrado, costrettiad inchinarsi a qualunque decisione,anche la più bizzarra e priva di logica.

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Una delle composizioni poetiche, forse fra le più note o antologizzate, di AldoPalazzeschi, Lasciatemi divertire – canzonetta, inizia così:

Tri tri tri,fru fru fru,uhi uhi uhi,ihu ihu ihu.

Il poeta si diverte,pazzamente,smisuratamente.Non lo state a insolentire,lasciatelo divertirepoveretto,queste piccole corbelleriesono il suo diletto.

Ovviamente si rende conto che “Certo è un azzardo un po’ forte, / scrivere delle cosecosì, / che ci son professori, oggidì, / a tutte le porte...”

E tuttavia insiste:

Lasciate pure che si sbizzarrisca,anzi è bene che non la finisca.Il divertimento gli costerà caro,gli daranno del somaro.

Per concludere:.

Ahahahahahahah!Ahahahahahahah!Ahahahahahahah!

Infine,io ho pienamente ragione,i tempi sono cambiati,gli uomini non domandono più nulladai poeti:e lasciatemi divertire!

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Lasciatemi divertire...Mimmo Bua

Introduzione a “Poesia”

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Bruno PittauCrack-Up,

1998Tecnica mista

Ce l’hanno immediatamente richiamataalla memoria, la celebre canzonetta diPalazzeschi, i testi ricevuti da due assidui epregiati collaboratori di Soliana: TommasoIorco, raffinato poeta, saggista, traduttore,ci regala questi Versi sberleffi, nati comesemplice divertissements, scritti per gioco enon destinati alla pubblicazione, ma tutt’al-tro che privi di una dignità e di una inten-sità poetica, o poetico-satirica, ironica, chenon sminuisce la produzione più matura,affidata in particolare alla raccolta L’operadella Fenice. E la Trinkittàta o Ballata delcane fonnese, anch’essa un “gioco” di quelliche si mandano a pochi amici, sperandoche si divertano a leggerla, di YuanneOrunesu, pseudonimo di uno dei piùimportanti poeti sardi del Novecento (enon solo), e che infine abbiamo il permessodi pubblicare non senza molte insistenzeprima di riuscire ad ottenerlo.

Dei “Versi Sberleffi” di Iorco, come luistesso si premura di precisare in una brevenota di accompagnamento, New Age vuolessere una presa in giro del movimentoomonimo; Tantra d’Occidente evidenzia ederide certi travisamenti occidentali dellamistica Tantra; Eròbito , neologismo nato

dall’incrocio fra “eros” e “obito”, descriveuna vecchia donna che negli anni ha sotto-posto a svariati e patetici trattamenti dichirurgia estetica il proprio corpo, che oragiace su un letto, privo di vita, in attesa diessere cremato; infine Tom of Bethlehm(tipico personaggio inglese rappresentante“lo scemo del villaggio” e citato di sfuggitaanche da Shakespeare, forse nel King Lear)“è un componimento a carattere puramen-te ludico, dove mi sono divertito a combi-nare alcune rime, perlopiù interne, ma –in realtà – è anche una parodia (di nonfacile comprensione, lo ammetto) realizza-ta per farmi beffe di Sua Eccellenza l’Ego”.

La Ballata di Yuanne amigu ’e sempermette impietosamente alla berlina certafigura di protosardo post-nuragico, fonda-mentalista assertore dell’assoluta purezza‘identitaria’ della razza, tronfio e fiero delsuo latrare di n’importe quoi , ma in limba,perbacco! a parte l’anemia di lontane ori-gini endogamiche. Satira feroce, ma senzacattiveria, puro divertimento per sé e perl’altro. Dato che c’è la piena consapevolez-za che i tempi sono cambiati ulteriormen-te, nessuno chiede più nulla ai poeti.Lasciamoli, se non altro, divertire.

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NEW-AGE

Eccolo compiere i suoi primi passifra cibernetici campi virtualicon lo scafandro, il topo e gli interassi

informatici e in più multimediali,il moderno caosnauta formattato,mentre riceve su cavi coassiali

l’inizializzazione allo statodi Verità Ergonomica Sommache solo ottiene il boolean liberato.

Nella memoria a bolle una sommadepositata nella banca-datipermette di creare qualche domma

che in base all’elaborazione datisarà la nuova religione — o divo!semiotica burotica dei vati

muniti del vangelo interattivo(interfacciabile e quindi ecumenico)fino al prossimo ciclo iterativo.

TANTRA D’OCCIDENTE

Sull’orma dell’amore di Sophiauna peripatetica espertat’ha fatto penetrare la sua haghíachiedendoti però di stare all’erta.

Come quando il mistico s’indíaentrando nel sacrario dalla portadel cuore risvegliando per la viala Serpe che assopita pare morta,

cosí dal basso-ventrre la tua bisciacon la mano sinistra lei sollevareclamandoti soldi con la destra.

Se mi chiedi consiglio, dico: “Lasciaperdere e smetti d’accusare Evaper la tua stupidaggine maldestra”.

Versi sberleffiTommaso Iorco

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ERÒBITO

Guarda quel ch’è venuta e se par dessa.Giannozzo Sacchetti

Con gli occhi chiusi, quel corpo muliebrenudo sul letto, pareva alabastroliposcolpito in interita statua:i grandi seni turgidi si ergevanocome pennoni su un’annosa nave,le labbra simili a gonfi gommoni;sulla nuca una coda di cavalloe sul volto un profilo da giumenta.Díruta ma assai ben bonificataquella dimora mucida abbicatafra candide lenzuola si stagliavacome guano di daino sulla neve.Giaceva là in postura assai sepsiaspettando il suo turno con pazienzaprima di entrare nel fuoco lustrale.

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TOM OF BETHLEHEM

Figlio dell’astro nero della voltaperduto nell’ellisse d’un austeropianeta in un’ellisse prematuracaduto, sezionato e imprigionatonella segreta ove ride al supplizioe stride dall’inizio della lemma.Con quanta flemma lepido scandisce(prisco trisagio allorché presagiscela sua sciagura e il suo disagio gravi)fervido panegirico in parabasio sordida iattura dei miei avi!:in candida parafrasi capiscol’onirico suo pirrico vagare.

(nota di accompagnamento)

Quanto alle poesie, devi sapere che sono nate come dei semplici divertissements.Sebbene mi pare abbiano una loro dignità poetica, non erano destinate alla pubbli-

cazione, ma se ti piacciono puoi inserirle nella rivista, possibilmente precisando che sitratta di testi inediti scritti per gioco e quindi non rappresentativi dello stile dell’autore,che li offre in esclusiva alla rivista Soliana. Se vuoi affiancarli a qualcosa di più maturo,puoi prendere due o tre liriche da L’opera della Fenice. In ogni caso, come potrai leggere,NEW-AGE è una presa in giro del movimento omonimo; TANTRA D’OCCIDENTEderide certi travisamenti occidentali della mistica tantra; EROBITO (parola composta,di mia creazione, nata dall’incrocio fra “eros” e “obito”), descrive una vecchia donna chenegli anni ha sottoposto a svariati e patetici trattamenti di chirurgia estetica il propriocorpo, che ora giace su un letto, privo di vita, in attesa di essere cremato; infine, TOMOF BETHLEHEM (tipico personaggio inglese rappresentante “lo scemo del villaggio” ecitato di sfuggita anche da Shakespeare – se la memoria non mi fa difetto, nel King Lear)è un componimento a carattere puramente ludico dove mi sono divertito a combinarealcune rime, perlopiù interne, ma – in realtà – è anche una parodia (di non facile com-prensione, lo ammetto) realizzata per farmi beffe di Sua Eccellenza l’Ego.

Mi farai sapere, con calma, se l’invio è giunto a buon fine e se i documenti sono tuttileggibili.

Un affettuoso abbraccio pieno di pace, salute e dolcezzaTommaso

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TRINKITTÀTA DE SU KÁNE FONNESU

Káne fonnésupretàle sarduilmúrzo sémperáva kin lardu

jùstu pro kustuso’ unu Baléntekontr’a fulànosde Kuntinénte

est’ un’imbólikuki so’ romànuke Ospitòne’ippo paganu

su sàmben’ méukin s’eretàtesémper garàntinis’Identitàte

si so’ imbeléskitude puddikínasm’es’ testimóndzude Raikìnas

su kórfu ’e gúlade s’appeddàretzértu no bénitd’àtteru mare

ántes ki Kristospikési’ rukevinkìa mill’annosa Bàkis Núke

Trinkittàtade su káne fonnésu

Yuanne Orunesu

unos fueron, que ya no son, y otros son, que ya no fueron.Cervantes, Quijote, I, 21.

BALLATA DEL CANE FONNESE

Cane fonnéseson protosàrdomi nutro sempresolo di lardo

questo m’ha fattoben Resistentealle invasionidel Continente

è un falso storicofarmi romanocome Ospitòneio fui pagano

gruppo sanguignoD-N-Ami riconfermanol’Identità

e un vecchio deboleper le perniciben testimoniale mie Radici

il do di glòttidenell’abbaiarecerto non vienedall’oltremare

nel terzo secoloavanti Cristoero più anticodi Trismegìsto

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Karthaginésos?’imus kompàresin kussas ghérrassèmper impàre

e si sas ghérrasno’ son’sas nostrasa kan’a kostanos son’ impóstas

vìntzas Amsìkorahappo konnòttuin kussos témposde abolóttu

isse ke mérenois ke theràkkoskène pessàreki semus makkos

de sos Romanosin kússas ghérrastottu sos kànesfátt’happ’a pérras

kànes anzénasnon ne montàmusdae Tertenìanke las furàmus

nova bardànade ssas Sabìnasmakàri in ghìzzasolu kanìnas

sémper montànnesolu paréntesmi nke son’ rùttastottu sas déntes

kàntu mi tìmoki torr’a lùtusi sa Regionenon dat tribùtu

o akkunòrtats’antika razzao da-e Fònnefakímus prátza

Cartaginesi?...fummo comparicontro i Romanida pari a pari

per conto terzisu questa terrach’era la nostrafacemmo guerra

e con Amsícorafummo alleatilungo quegli anniun po’ sfigati

noi come servilui da padronesenza rifletterech’era un ladrone

nelle battagliecontro i Romaniho sterminatoi loro cani

quindi è impossibilel’esogamìama rimediammocon Tertenìa

fu un nuovo rattodelle Sabìnes’intende in formesolo canìne

talché costrettoa endogamìami son buscatoun’anemia

così che rischiogià l’estinzionesenza tuteladella Regione

se non tutelal’antica razzapresto da Fonniscendiamo in piazza

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fìntzas s’Unéscudéret kampàreno solu pàndasma s’appeddàre

appédd’ in limbalèghe happ’in fàmain su kuìleo kin sa gàma

fidèle in kústua ssu Konnòttukin sos limbìstasfàk’ abolóttu

makàr’ in dòmonon l’appeddémasnéssi in iskòlanos l’imparémas

ma kàle limba?! …báulo fonnésunon de sekúrukampidanésu

si sa matàssas’es’ tropeítain mesanìae limb’unìta

sèmper «Sa Diede ssa Kanìzza»sos piemontèsosfàk’ a sardìzza

dae s’antikòrjua su presènteprùs de sa prétaso resistènte

m’happo gastàturìvos e màresmontes e terraspro ses dinàres

e ghài a sékusispítza ispítzam’han bisestràtuvíntzas sa ghítza ...

dovrà l’Unescosalvaguardarenon solo il pandama il mio latrare

io latro in limbasecondo leggesempre in ovileseguendo il gregge

ligio anche in questoallo Statutoch’ha la mia linguariconosciuto

e se in famiglianon la latriamoandando a scuolala unifichiamo

ma quale limba?!...latro fonnésee non di certocampidanése

e se il dibattitos’è incasinatotra mesanìae unificato

sempre nel “Giornodella Canizza”coi can sabaudiscenderò in lizza.

dai tempi antichifino al presentepiù della pietrason resistente

mi son vendutomontagne e mariterreni e fiumiper sei denari

così alla finegratto che grattifinii col perderei connotati …

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Mirella Mibelli, Senza titolo, 1991,acquerello su carta, cm 78 x 57.

Mirella Mibelli

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Mirella MibelliNata ad Olbia (SS) nel 1937. Diplomata a Roma presso l’Istituto d’arte Zileri. Ha frequentato nel1958 a Salisburgo la Scuola del vedere diretta da Oskar Kokoschka presso la Sommerakademie furBildende Kunst. Nel 1981 ha preso parte al corso di calcografia presso la stamperia l’Aquilone aCagliari. Nel 1982 ha frequentato il corso di xilografia presso l’Accademia Raffaello di Urbino,nello stesso anno ha partecipato al corso di tecniche antiche d’incisione dirette rispettivamente daFranco Ferrovecchio e Giulia Napoleone. Nel 1883 e 1984 ha frequentato il corso di lithografiapresso l’Accademia Raffaello di Urbino. Nel 1989 ha partecipato al corso di pittura diretto da JorgImmendorff presso la Sommeracademie fur Bildende Kunst di Salisburgo. Nel 1997 e 1998 ha fre-quentato il 1° e 2° “Stage Avanzato d’Incisione” svoltosi a Cagliari presso l’ExMa’, CentroComunale d’Arte e Cultura, curato dal docente belga Enk De Kramer. Ha insegnato dal 1968 al1996 Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico Statale di Cagliari.

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Mirella Mibelli,Medusa, 1989,olio su tela, cm 50 x 50

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Mirella Mibelli,Studio per NostraSignora Martinica,1989,disegno preparatoriosu carta,cm 120 x 120

Esposizioni - dal 1955 al 19981998

Collettiva, L’antico sposalizio selargino tra passato presente e futuro,Casa Canonico Putzu Selargius (CA)Collettiva,Quarto Cofanetto d’Arte Edizioni Casa Falconieri,I.S.O.L.A. Show Room, CagliariCollettiva, Spaventapasseri d’artista - Segni e Sogni, ExMa’, CagliariCollettiva, Emozioni nel giardino - Composizioni floreali su dipinti,Giardino della Provincia,CagliariCollettiva,Hortus Artis - Natura e Artificio, Università degli Studi, CA

1997Collettiva, Divenire pittura, Galleria d’Arte La Bacheca, CagliariCollettiva, Segno e Sperimentazione, ExMa’, Cagliari

1996Collettiva,Omaggio a Salvatore Naitza, Biblioteca ComunaleSelargiusCollettiva,Omaggio a Salvatore Naitza, Galleria Man Ray, Cagliari

1995Collettiva, L’Artistico e i suoi artisti, Galleria Comunale d’Arte, CAPersonale, Galleria Man Ray, Cagliari

1994Personale, Galleria del Cervo, OlbiaCollettiva, Ritratto e Autoritratto, Galleria La Bacheca, CagliariCollettiva, Partecipazione cartelle serigrafie dedicate a A. Pigliaru,Cittadella dei Musei, Cagliari

1993Collettiva, Fogli di Festa - Xilografia, ExMa’, CagliariCollettiva,Opus Opuntia, Aspis, Pirri - Cagliari

1992Collettiva, Festival degli Artisti Sardi, Cittadella dei Musei, Cagliari

1991Collettiva, Incisioni - Settimana della Cultura, Gabinetto

delleStampe dell’Università, CagliariCollettiva, Sul Tema dell’Acqua - Giornata Regionale dell’Acqua, CACollettiva, Atelier della Creatività - Tela di Aracne, Villa Satta, CA

1990Collettiva, Gli artisti nelle collezioni civiche del ’900, GalleriaComunale d’Arte, CagliariCollettiva, Arte in-utile, Palazzo dei Consoli, GubbioCollettiva, Arte in-utile, Galleria Duchamp, Cagliari

1989Collettiva, Sommeracademie, Fortezza Hohensalzuburg, SalisburgoCollettiva, Pittura e Grafica Contemporanea, Castello Bitritto, BariPersonale, Galleria Comunale, CagliariCollettiva,Omaggio a Nivola, Galleria Duchamp, Cagliari

1988Collettiva, Segni d’Autore - Grafica Contemporanea,Galleria Comunale, CagliariCollettiva, L’Attualità della Ricerca, Villa Asquer, CagliariCollettiva, Inciso da Cagliari, Biblioteca Comunale Palo del Colle, BariCollettiva, Aracne o della Tela Infinita, Festival dell’UnitàCollettiva, EXPO ARTE BARI - Cartella incisioni - 4 Asolo Davanti alMare - presentazione di Marcello Venturoli, Stamperia Salomon, BariCollettiva,Opere su Carte, Cagliari

1987Personale, Incisioni all’acquaforte e all’acquatinta, Stamperial’Aquilone, CagliariPersonale, Tre Giorni a casa di Mirella Mibelli, Pirri - Cagliari

1985Collettiva, Partecipazione Cartella Incisioni - Terra Acqua Pietra diSardegna - Presentazione Salvatore Naitza, Stamperia l’Aquilone, CA

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Mirella Mibelli,Nostra Signora

Martinica, 1989,olio su tela,

cm 120 x 120

1984Personale, Galleria 9 Colonne - Organizzazione d’ARS, BergamoCollettiva, Un’Idea Meccanica, Palazzo dei Diamanti, Ferrara

1983Collettiva, Invitata 3° Biennale Grafica Europea Heidelberg,Baden Baden - GermaniaCollettiva, Grafica Internazionale, Politecnico Leeds - InghilterraCollettiva, Stamperia l’Aquilone, ARTE FIERA BOLOGNA, Bologna

1982Cartella Incisioni - Inchiostri, Stamperia l’Aquilone, CagliariPersonale, Stamperia l’Aquilone, CagliariCollettiva, Istanze Contemporanee - Gruppo Cagliari,Galleria Chironi 88, Nuoro

1981Collettiva, Insegnanti Liceo Artistico, CagliariCollettiva, 8° Festa della Donna, Giardini della Biennale, Venezia

1980Collettiva, Festival della Donna, Festival della Donna, RomaCollettiva,Mostra Regionale Arti Figurative, Fiera campionaria, CACollettiva, Centro-Forme, Alghero

1979Collettiva, ARTE FIERA BOLOGNA, Galleria Le Feu Vert, BolognaPersonale, Galleria La Bacheca, CagliariPersonale, Il Portico, Nuoro

1977Personale, Galleria La Bacheca, Cagliari

1974Collettiva, Galleria Sinibaldi, Cagliari

1972Collettiva, Premio Mario Sironi - Medaglia d’oro, Sassari

1971Collettiva, Galleria il Cancello, Sassari

1970Personale, Galleria Dattena, Cagliari

1960Collettiva, 2° Mostra Regionale Arti Figurative, S. Saturnino, Cagliari

1959Collettiva, 1° Mostra Regionale Arti Figurative - Medaglia d’argento,S. Saturnino, CagliariCollettiva, 3° Biennale di Pittura, Nuoro

1958Collettiva,Mostra Artisti Sardi - Taccuino delle Arti,Palazzo delle esposizioni, RomaCollettiva,Mostra d’Arte del Lazio, Incontri della Gioventù,Palazzo delle esposizioni, RomaCollettiva. 4° Mostra Gruppo 58 - Figura e Nudo, Gabinetto delleStampe dell’Università, CagliariCollettiva, 3° Mostra Gruppo 58 - Bianco e Nero, Sala Franz, Cagliari1° Convegno Regionale della Cultura Sarda indetto da ICHNUSAcol Gruppo 58, NuoroCollettiva, 2° Mostra Gruppo 58, Sala Comunale, San GavinoCollettiva, 1° Mostra Gruppo 58, Sala Franz, Cagliari

1957Personale, Cenacolo, CagliariCollettiva, Biennale, Nuoro

1955Collettiva,Mostra d’Arte del Lazio, Incontri della Gioventù,Palazzo delle esposizioni, Roma

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Luigi Mazzarelli, La Semantica, 1984, olio su tavola, cm 70 x 100.

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Beh, possono almeno gettare sul tavolole fatidiche domande che tormentano icostruttori:

Quando?Dove?Come?

Sebbene …Sebbene gli uomini del giorno dopo, da

quando non poggiano più i piedi perterra, sono diventati piuttosto prudenti.Essi temono miraggi sospiri sogni emetafore più del nulla che amorevolmenteli avvolge ma punto li consola. No, è pro-prio del solido che hanno bisogno! …

Il qui e ora,il frattempo e il giorno dopoPresentazione del libro “Alla ricerca della forma perduta”

Quattro interventi di LUIGI MAZZARELLI

IV

Si ri-Comincia dunque il giorno dopoil salto nel Nulla iridato. Mentre ilSoggetto che ri-prende, ovvero che

ri-Nasce, è l’Epì-Gonos: cioè colui il quale,come dice il termine greco, nasce il giornodopo.

Ma che cosa possono fare gli uominidel giorno dopo senza Mondo? Che cosapuò fare l’anima in pena che ossessivaripete nel vuoto:

Che faccio, dove vadoVagoCorpo senza anima vagoAnima senza corpo sospiro?

Ultimo interventoinedito di L. Mazzarelli

dell’aprile 2001 –Le parti I, II e III

sono state pubblicatenei n° 1-3 di Soliana.

Il Qui e l’Ora

Il Tempochi più di noi lo sa?!è condanna e premioè l’esistenza stessa. Verrà,certo verrà il soffio vitaleche spegnerà l’ultimo istantedell’Ora e lascerà il Quiall’eternità. Il Quidell’eterna beatitudinema moltomolto.Aspetteremo

Aspettarequi il Quisenza tempoè il Tempo.

Zappa e Cazzuola che sono gli strumentidolci con i quali gli uomini riuscirono acoabitare pacificamente con la Terra.Niente più in fondo, che protesi del corpoirrorate di sangue colori suoni e pensieri.In essi vi è un rapporto inversamente pro-porzionale tra la potenza operativa piutto-sto bassa dal punto di vista tecnologico, el’alta densità del costrutto intellettivo-espressivo-fabrile che è possibile ricavarnegiacché esso è stato fino a non moltotempo fa depositario e insieme strumentodel Logos.

Purtroppo quel Logos ha perso la capa-cità di rinnovarsi e di dare forma ai nuovibisogni e alla nuova sensibilità in un oriz-zonte antropologico e tecnico radicalmen-te stravolti. È un Logos residuale, autone-gantesi, il quale tuttavia è pur sempre ilpunto d’appoggio estremo, il fronte dell’a-bisso, dal quale è giocoforza prendere ledecisioni fatali che seguiranno: sia perproseguire il cammino o tornare indietro,sia per gettare impossibili ponti di lianenel fronte opposto o per lasciarsi morire.Ma è soprattutto il rapporto inversamenteproporzionale tra potenza tecnica e usabi-lità (in chiave platonico-heideggeriana)l’aspetto decisamente interessante da met-tere in rilievo per la nuova progettualità.

Non c’è altro che si possa umanamentepraticare per gli uomini del giorno dopo.Tecnica e Scienza vanno energicamenterespinte in attesa di un loro drastico, gra-duale ridimensionamento teso appunto arendere inversamente proporzionaliPotenza e Usabilità affinché entrambesiano rese compatibili con le forme viventi.E la volontà di potenza combattuta comeforza demoniaca nemica delle creature. Etecnologi e scienziati inseguiti col randellofino all’abisso che hanno scavato e lì per-suasi a gettarsi.

Solo il Bricolage come tecnica storica-mente collaudata che fornisce qui e orastrumenti al bisogno in una sorta di napo-letano “speriamo che me la cavo”, va salvatoe incrementato. Sempreché per esso siintenda quella disciplina nata ai marginidell’industrialismo che ha saputo collocar-si a metà tra arte e tecnica evitando il nar-cisismo della prima e la volontà di potenzae l’utilitarismo dell’altra. Non quello che

Perciò lasceranno momentaneamentein sospeso il Quando e il Dove ovvero itempi e i luoghi estremi per i quali dovran-no obbligatoriamente elaborare una strate-gia spazio-temporale mai neppure pensata.Il Come sembra loro più facile. Ma pervenirgli incontro dovranno ritornare alPrima che precede di un soffio il Dopo.

È proprio qui, nello spazio ricavato trail Prima e il Dopo, che essi ritengono dipoter squadernare il Come e mostrare anoi che seguiamo fiduciosi Strumenti eProgetto.

Anche a me, devo dire, questa strategiadel contrattempo pare la più adatta allacondizione estrema nella quale siamocostretti …

Ebbene, il Progetto è l’Opera! Mentre loStrumento è l’Arte auratica che aprirà

alla nuova Prassi del Fare! …L’Opera è la Cattedrale simbolica intor-

no alla quale la Comunità troverà aggrega-zione e sede. L’Opera è al contempo l’attofondativo della Soggettività che ad essaattende e per essa elabora la Prassi adegua-ta. Per realizzarla si impegneranno all’uni-sono tutti i coaguli aggregativi che nelFrattempo saranno stati realizzati e resioperanti.

Anche coloro che un tempo trovaronodimora presso la Forma-artista potrannoconcorrervi. Pur con le cautele che piùavanti vedremo. Per le forme aggregative sirenderà necessario avviare una lunga faseinterlocutoria che avrà scadenza periodicacon delle Costituenti. Nel corso di questafase verranno realizzati dovunque sia pos-sibile dei laboratori nei quali ex artisti divaria competenza disciplinare, bricoleurs,creativi di varia formazione e provenienza,si incontreranno anzitutto per definire itempi i modi e gli strumenti dell’aggrega-zione, quindi per elaborare nella prassi,uno due cento volte, i modi, gli intrecci,le forme della creatività collettiva finaliz-zata alla costruzione dell’Opera.

Con quali strumenti? Anzitutto conquelli di cui si può disporre facilmentesenza pagare tangenti al Dominio. Glistrumenti delle arti auratiche e del brico-lage originario vanno bene, e con essi

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Luigi Mazzarelli,Catasta per il “Rogod’artista”, 1996e un’immagine deipreparativi.foto BP.

d’arte nel mercato, è un fenomeno assaipiù profondo e generalizzato. Se l’Operad’arte è miracolo di unità tra forma e con-tenuto essa non potrebbe a rigore prestarsial feticismo giacché questo rende cosatutto ciò che cade sotto il suo potere. Seperò ciò accade, come da troppo tempoincontestabilmente accade, è segno chel’Opera è perduta, ha perso il quid: sicchéil contenuto suo più profondo è evaporato,è ritornato all’essenza madre …“Feticizzare”, è dunque sottrarre il valoreessenziale alle cose. È anche spostare ilvalore dal contenuto alla forma. Vale a direridurre le cose alla Forma pura, la quale,pur restando al di qua del confine dell’a-dorniana ulteriorità, si dà come assoluto,

da diversi decenni si è reso disponibile allestrumentalizzazioni dell’industria e alleconnesse mercificazioni.

In questi laboratori si dovrà definire lanuova Prassi che superi la differenza tra“fare prosaico” e “fare artistico” e includal’approccio collettivo finalizzato all’Operacome imprescindibile presupposto.

Qui la Soggettività artistica individua-le, quale è venuta originariamente confi-gurandosi con la rivoluzione romanticanella Forma-Artista, va decisamente ridi-mensionata adattandola ai nuovi compitiche l’attendono. In quali termini non èfacile dire. Possiamo al momento dire solociò che non ha da essere.

Anzitutto bisogna mettere fine alle pre-tese egemoniche dell’Io e alle squallidemanovre del protagonismo e della vana-gloria per le quali la Soggettività artisticaricerca preliminarmente l’unicità del pro-prio stesso costituirsi. È in virtù di questapretesa che il candidato all’unicità, in con-trotendenza rispetto agli altri membridella società, odia il simile più che il diver-so. Egli esige preliminarmente di essere ilsolo a beneficare della grazia creativa allivello più alto e tutto il suo comporta-mento si adegua a questo imperativo.

Occorre inoltre affrontare di petto ilproblema del feticismo e della tesaurizzazio-ne del pezzo d’arte. Il feticismo non riguar-da solo il valore di scambio delle opere

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ni del deserto si lasciano alle spalle con unsorriso amaro. Dato da sempre è l’errore,data è la paura …

Troppo spesso si sono associatiall’Etnos Chiusura e Hybris. I disastridella ex Jugoslavia e dell’Africa, per limita-re il campo alle zone del mondo a noi piùvicine, sono un richiamo severo che nes-suno il quale intenda riproporre la centra-lità del luogo e del ceppo di appartenenzanella definizione di Comunità può per-mettersi di ignorare. E se il Mondo-altro,non entra da subito ad ampliare e arric-chire gli orizzonti della costituendaComunità e perciò a temperarne gli ecces-si autonomistici e la volontà di potenza, sicade immancabilmente nella xenofobia adanno dei più deboli.

Da quando la Modernità ci ha immessinella Globalità e nella Complessità nonpossiamo più sperare di ritrovare laComunità come era al tempo del tempoperduto o nelle dimensioni comunitarieprimitiva o arcaica che oggi tanto ci affa-scinano. Sicché l’Etnos da universo finitoche tuttavia aveva propaggine nel cuoredella Specie, si è gradualmente trasforma-to in questo o quel “pezzo” di umanitàdispersa entro una totalità alienata in cuiogni parte è inesorabilmente abbandonataalla propria frustrazione e solitudine. Giàa suo tempo quando in Occidente laStoria andava avanti come un treno etutto “storicamente definiva” fin nei detta-gli, c’è voluta la genialità di semidei comeDante, Leonardo, Shakespeare per farediventare le rispettive ComunitàUniverso-Mondo! Pensa noi che aspettia-mo ancora il treno e il Messia!

E se anche per assurdo qui e ora ci riu-scisse di conquistare la nostra autonomia,come dovremmo comportarci con gli altriche ci stanno intorno in un mondo che haperduto tutti i confini? Certo il minimoche si può dire a questo proposito è: ritor-nino pure confini e barriere e dogane, per-dio! e ritornino lingue e costumi e gustidiversi! Ritorni la Differenza o la si pro-muova su basi ancora più solide! Il proble-ma è semmai come porre l’autonomia inun mondo densamente popolato in cui siriconosce a tutti i diversi, ma proprio atutti, i nostri stessi diritti e alla differenza

in una intrascendibile autonomia funzio-nale predisposta alla indefinita riproduci-bilità e alle infinite combinazioni sintatti-che. È questa che finisce per diventarefeticcio e ritorcersi contro gli apprendististregoni che la evocano e la manipolano. Èun fenomeno che si definisce altrimentioggettivazione. Il Feticismo è dunque unareazione a catena di oggettivazioni …

No, la creatività finalizzata all’“Opera”non ha momenti parziali nei quali le sueparti possano diventare feticci e come taliindurre in tentazioni autonomizzanti poi-ché tutto il processo di costituzione èfinalizzato all’Opera! Le singole parti sonoperciò espressione della mancanza e fuoridal processo si autoannullano. Con ciò il“Pezzo” sul quale tutta l’arte contempora-nea, e con essa mercanti e collezionisti,avevano fondato la loro fortuna, è desti-tuito di senso.

Destituita di fondamento è del pari lapretesa dell’Artefice di accrescere col“Pezzo riuscito” la propria potenza. Il sin-golo che concorre alla varie fasi dell’Operascioglie interamente in essa la propriacreatività Non ha perciò di che far leva peraccrescere il proprio Ego. Egli cresce conl’Opera. Ma ad essa concorre nei modipiù impensati e creativi l’intera colletti-vità.

Opera e Campanile, si è detto. E anche,Prassi e Comunità. Ma i termini di talerapporto non sono disgiungibili dall’unitàdialettica incontro alla quale si dispongo-no. L’Opera è anche il Campanile. Di più:essa non è fin quando non diventa ciò a cuiaspira. Con l’Opera si costruisce laCattedrale simbolica incontro alla quale laComunità si costituisce e definisce la pro-pria Identità. La Nostalgia ha il compitofondamentale di mantenere aperto il varcoverso il Passato, ma non basta, resterebbesenza soluzione il problema strategico delFuturo. Occorre perciò al contempo ope-rare affinché la continuità stabilita con ilpassato apra la strada al Futuro, faccia percosì dire da ponte tra l’uno e l’altro.

Dunque l’Etnos quantunque intravistoa tratti nelle folgorazioni della Nostalgianon è già dato, è il miraggio che i pellegri-

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Luigi Mazzarelli, Senza titolo, 1980, Olio su tavola.

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il diritto di esprimersi in tutta libertà.Ecco un modo elegante di porre limitiall’Autonomia e alla Differenza. Ma sì,perché se ti riconosci uguale all’altro nelchiedere la differenza, questa ha gia persoun grado …

A ciò bisogna aggiungere l’aspetto fon-damentale: la Specie di cui da oltre unsecolo favoleggiamo è, per così dire, mul-tietnica e plurilinguistica. E la Tradizionea cui mi riferisco come artista e intellet-tuale cagliaritano, quella che mi ha forma-

to e nella quale, pur con tutti i limiti cheho mostrato, ho ancora le mie radici, èanch’essa multietnica e plurilinguistica.Che dire poi dell’Arte moderna e della suasoggettività? Non è forse a partire dalromanticismo che l’artista ha assunto unaindelebile connotazione cosmopolita chene ha fatto un apolide in cerca di mondoe di umanità?! …

Occorre evidentemente trovare unasoluzione al rapporto tra individuo e col-lettività, e al rapporto tra l’universo lin-guistico-disciplinare con il quale preferi-bilmente ci rappresentiamo il mondo el’universo che sta fuori dalla disciplinaprescelta. I sistemi che connettono e met-tono in relazione le parti, siano essi lingui-stici o sociali, tendono necessariamente achiudersi e a diventare autoreferenziali,perciò si rende necessario predisporre inessi adeguate chiavi di apertura. Ma pergiungere a trovare un equilibrio traChiusura e Apertura così dei sistemi for-mali come delle aggregazioni comunitarie– siano esse semplici categorie sociali overe e proprie Comunità autoriconoscen-tesi – occorre ai nostri giorni una capacitae una volontà che superano di molto l’in-telligenza e la disponibilità attuali.

La Globalizzazione non va semplice-mente rifiutata, dobbiamo affrontare cor-rettamente i problemi di cui essa, volentio nolenti, ci fa carico. Non possiamoritornare semplicisticamente al “pane ecipolle” dello Strapaese di Maccari sulquale giustamente Gramsci ironizzava.Non possiamo sperare di uscire dalla cata-strofe in cui anche l’Etnos è coinvolto senon ci investiamo a nostra volta del dram-ma spropositato della Globalità per tro-varvi la via d’uscita. E non abbiamo altromodo di farlo che dando ai problemi unadimensione politica, ciò di cui si è persal’abitudine e la capacità, sedotti dagli spe-cialismi, ultimi dei quali, ma non menofuorvianti, etnologia e archeologia da unlato e trascendentalismo dall’altro.

Al problema tutt’altro che faciledell’Etnos, litigioso inquilino nell’affollatocondominio del Mondo, si correla quellodella tradizione culturale a cui fare riferi-mento e, per noi ex artisti quello della tra-

Luigi Mazzarelli,Senza titoloanni ’80-90acquerello su carta

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Luigi Mazzarelli,Senza titoloanni ’80-90

acquerello su carta

inconfondibile matrice europea alla qualeconcorrono inseparabilmente i fondamen-ti della classicità. Folklore e Arcaismo, midispiace, sono sovrapposizioni ideologicheche talvolta suadono più spesso deprimo-no …

Per colmo di sventura abitiamo in unaterra dove l’automistificazione e l’autoin-ganno sono giunti ai massimi storici gra-zie alla raffinata inversione incrociata diMito e Storia, Sogno e Realtà: il mito èsenz’altro promosso al rango di storia, la

dizione figurativa. La cosiddettaTradizione figurativa sarda che ha comefondamento l’incontro tra iconografiaBiasesca e iconologia Deleddiana e il rap-porto non risolto tra il paradigmadell’Arte contemporanea e il paradigmadella Sardità, ovvero tra i contenuti folclo-rici e le forme moderne, è un falso storicomagnifico quanto si vuole ma di cortorespiro e come tutti i falsi storici si è esau-rito nel giro di qualche generazione senzalasciare tracce.

È fatale: miti, storia e archetipi chenon trovano la strada per diventare flussosanguigno e giungere al cuore dellaComunità, ovvero valicare il fronte tem-pestoso del Presente e fare da ponte trapassato e futuro, sono destinati a trasfor-marsi quanto prima in scorie inerti.

Avete presente quella efficacissimaimmagine popolare che dice: “Fammisognare!” Ebbene, l’Arte deve far sognare.Finora una sola Opera (dico “Opera”, non“Pezzo”!) i Sardi moderni hanno prodotto:è La madre dell’ucciso di Ciusa. Questomiracolo della Specie fa ancora di più: cifa entrare nell’Etnos profondo là dovepulsa il cuore della comunità barbaricina.

L’equivoco di fondo che l’Arte contem-poranea ha diffuso presso gli Addetti stanel fatto che la Destinazione è scissa sudue piani incomunicabili: appunto ilfronte che oppone Addetti e Profani.Ebbene, una Forma-arte che abbia laComunità come agente, committente edestinatario supera alla radice questa dico-tomia!

Per la fortuna dei nati il giorno doponon c’è un solo punto di riferimento cul-turale a cui attenersi. Per dirne una, lacomunità barbaricina è solo una dellecomponenti della nostra Isola certoimportante ma non esclusiva, ce ne sonoaltre altrettanto importanti. Perciò occorrepensare alla forma confederale in tutte leaggregazioni di grande ampiezza comesaggiamente propone il manifesto diEliseo. E la nostra tradizione pittorica,nonostante tutti i tentativi di depistaggioeffettuati dai sacerdoti della Sardità chehanno preteso imporre una dittatura bar-baricina al nostro immaginario (sassaresiin prima fila, chissà perché) ha una

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due secoli e fatali tradite fino all’estenua-zione mandando allo sbaraglio i puri dicuore?!

Anche su questo fronte per noi decisi-vo bisogna avere il coraggio di rimescolarele carte e reimpostare il gioco …

Ed eccoci ritornati al punto. Ricordateil difficilissimo Quando e l’impossibileDove? Ebbene, tutto quanto detto finorariguardava l’istante di mezzo tra il Prima eil Dopo là dove il Mondo stava ancorasotto i piedi. Il difficile per gli uomini delgiorno dopo viene a partire dal momentoin cui le carte vengono lanciate in aria enoi con esse presi dal vento che portòDorothy in Oz.

Per coloro che la sorte fa volteggiarenella post-storia con nient’altro che ungrido strozzato in gola e un pezzo di car-bone in mano il “rimescolamento” è vitalegiacché essi non hanno altro scopo cherifondare la Prassi alla radice. Là dove,come più volte detto, l’Arte, chiamata aconcorrervi, vi sarà disciolta!…

Il problema è dunque politico e precisa-mente in questo totalizzante e aereo! Ildramma dell’individuo e della rappresen-tazione del Mondo che egli può farseneconsiste allora nel fatto che tanto l’unoquanto l’altra non possono avere soluzione

storia è senz’altro promossa al rango dimito; il sogno è realtà, la realtà è sogno.Sarebbe tutto magnifico se di ciò si fosseconsapevoli: infatti che il sonno dellaragione possa generare favole non è male,il peggio è quando le favole diventanostrumento della perpetuazione del sonno.Ma il peggio del peggio è che in questefalsificazioni incrociate gli opposti vengo-no entrambi liquidati.

Per colmo di sventura abitiamo in unaterra dove l’Invidia, cioè l’odio per il simi-le, è riuscita a conglomerarsi con il granitoe a diventare parte essenziale del paesag-gio. Come poi la disistima per l’autoctonounita alla sconfinata ammirazione per lostraniero possa conciliarsi con la volontàautonomistica sbandierata in tutte le occa-sioni, è un mistero per noi insondabile…Una terra dove tutti i giuramenti di rina-scita di autonomia di libertà di fratellanzaogni mese rinnovati davanti ai fuochi sva-niscono con la digestione che lenta consu-ma gli arrosti e manda in piscio il vino. Adigestione avvenuta si impiega tutta l’in-telligenza e la buona volontà miracolosa-mente recuperate nel demolire uno dopol’altro i fratelli ritrovati.

“A chi?!” – dice Totò – A chi – mi asso-cio – volete darla a bere vecchie baldrac-che della Sardità che fatali vi ripetete da

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Luigi Mazzarelli,Senza titolo, 1987

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in una visione parziale. I ritagli di esisten-za individuali e le sequenze a pezzi dellerelative rappresentazioni, i quali avevanouna ragione nel Flusso lineare del tempoperduto della Recherche, ora, dinanzi aipaesaggi sconfinati della post-Storia e allaillimitata responsabilità, alla illimitata pre-senza cui richiamano, non hanno piùmotivo d’essere. Come non ha più motivod’essere la Torre d’avorio in cui la Recher-che aveva rinchiuso il proprio ambitocoscienziale e la propria prassi.

Non è più tempo di Geni, diDemiurghi, di Messia! Non a caso di essisi è persa ogni traccia. Il Genio, ilDemiurgo, il Messia erano le figure prede-stinate della Comunità di profonda tradi-zione che subiva violenza oppressione sac-cheggi. Ora non c’è più Comunità in unmondo del tutto omologato e sincronizza-to dove sopravvivono solo coloro che siuniformano o riescono a fare parte dellecaste supertecnologizzate dei nuovi domi-natori. Un mondo in cui i nostalgicidell’Aura autentica possono solo morire didisperazione o incancrenirsi nella frustra-zione e nell’invidia.

Ora è il tempo del Richiamo, è il tempodel Raduno, è il tempo del Riconoscimento.

Dispersi Sconfitti Feriti MoribondiDisperati devono cercarsi ovunque la sorteli ha colpiti e relegati e trovare i modi e isensi del nuovo intreccio del Sé conl’Altro. È vero, ora non abbiamo più terranon abbiamo più casa non abbiamo piùcampanile ma è il tempo finalmente in cuil’altro trova dimora in noi e noi in lui. Noiancora una volta senza patria senza casa.Senza Mondo! Ma ora è il tempo …

Non – dio ce ne scampi! – il tempo deileggendari horeris cagliaritani, che la vocepopolare voleva dessero la corda al sole,ma il tempo mai udito mai scanditodell’Ora senza il Qui, il tempo mai uditomai scandito del Frattempo, luogo acerboquantunque sublime in cui troveremorifugio il Giorno dopo che, terribile più chemai, l’Apocalisse si sarà ripetutanell’Apocalisse …

Si ricomincia dunque là Dove … iltempo ha dimora nel tempo! Ce la faremo?Riusciremo in questi spazi inesplorati deltempo a edificare quei nuclei di resistenza-esistenza nei quali se non altro coltivare lasperanza di rifondare la nuova prassi delvivere?

Chissà. È certo molto, molto difficile…

Solianasettembre 2008

Luigi Mazzarelli,Senza titolo, 2003

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Già, perché se difficile ci sembrava finoa poco fa il Dove e il Quando, impossibileci appare ora il Come! Noi afflitti dai restiradiotossici della Recherche; incatenatinelle tempeste elettroniche del Dire omo-logato; sequestrati nelle fabbriche sincro-nice del Fare! Noi che il Come – cioè nien-te meno che la Prassi – abbiamo rifiutatoin tutte le suadenti forme in cui laModernità ce l’ha proposto. Solo dopoquesto rifiuto si può capire che cosa èNudità e in essa dolore e speranza.Sebbene ...

Sebbene nella Nudità vera restano gliuomini! Vi sembra poco?

Restano uomini e donne che sono pas-sati attraverso le tempeste di questo finemillennio. Uomini e donne che hannovisto compiersi sotto i loro occhi la distru-zione di ogni ideale di bellezza verità giu-stizia. Uomini e donne che hanno subitoviolenze espropriazioni delazioni solitudi-ne ma non hanno perso la speranza e lavolontà e riservano per i momenti miglio-ri abilità destrezza progettualità fantasia edesideri riservano e pensieri.

C’è una generazione di nostri conterra-nei che non ha perso la memoria del pro-prio vissuto e di tutti i sogni fatti nelsonno e nella veglia. I pochi che hannodato dimora dentro di sé ai bisogni e aidesideri di intere generazioni e tenutoacceso il fuoco dell’Identità. Quasi cariati-di tra le rovine del tempo che le infestantihanno del tutto coperto. Tra questi i nontanti poeti narratori scultori pittori chehanno appreso l’arte raffinata di lavorarein silenzio. Coloro che hanno appreso l’ar-te quasi impossibile di ascoltare nei giorniferiali e parlare la domenica.

Da tempo costoro nella loro prassihanno avviato una regressione tecnologicacontrollata che ha riportato il tempo e ilmondo a misura d’uomo come si dicevaprima che l’uomo fosse la misura di ognimancanza di misura. Qui essi hannorifondato la Prassi e creato i nuovi circuitidi comunicazione dove il dire non superala distanza della voce e il fare non superala distanza di una stretta di mano.Saranno questi raffinati cultori dellaDomenica il nostro Campanile? Loro inuovi abitatori del Frattempo?

Ahimè, non bastano! …

Difficile, quasi impossibile è il Dove! Inquali luoghi di riunione e di scambio intra-prendere la purificazione? Ci piacerebbedire Qui, perdio! Nelle città e nelle campa-gne della nostra amata Isola, dovunque nelfrattempo venga innalzata la bandiera dellaresistenza e dell’alterità; anche in quei luo-ghi spuri dell’aggregazione che il Manifestodi Eliseo Spiga ha chiamato Circoli comu-nitari. Anche se questa nuova forma diaggregazione che va prendendo piede nelmondo industrializzato come istanza dibase opposta alla Globalizzazione deipotenti potrebbe presto fare la fine deimitici Soviet, già alle prime mosse colpiti amorte dalla Forma-partito e poi affossatidalla Rivoluzione realizzata ...

Che dico! difficile quasi impossibile èQuando. Ci piacerebbe dire ancora e sem-pre oggi nell’attimo prima che diventi ieri.Nel Qui e Ora sempre atteso stringendo amazzetti gli attimi fuggenti raccolti neiprati!

Ci piacerebbe … Ma la strada è tuttain salita e il Quando il Dove e il Comeancora tutti terribilmente indeterminati.Così la Tattica e la Strategia e in essiPresente e Futuro.

Ancora al tempo degli ultimi colpi dicoda delle socialdemocrazie europee, appe-na ieri, quando ancora si credeva che ilpensiero critico avesse lenza ed esistere fosseresistere, si parlava di Tattica e di Strategia,ricordate? In effetti la sola Strategia autenti-ca era la Tattica: cioè il puro e sempliceaccettare l’esistente, mentre la Strategia erachiacchiera, pantomima, rituale esorcisticocon il quale ci si difendeva dal pensieromolesto mai abbastanza rimosso dellaRivoluzione pur tanto lontana.

Ma se di Tattica non è più il caso diparlare tanto il nome è compromesso, sipone per noi il compito ineludibile delPresente. Anche per noi il Presente è lachiave di volta di ogni possibile strategiama incomparabilmente più difficile cheper coloro i quali in esso si sono arresi oserenamente hanno fatto atto di sottomis-sione o sadicamente partecipano.

Solianasettembre 2008

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anzitutto a me, singolo, a cui spetta ilcompito indubbiamente di tesaurizzaremetabolizzare ovvero volgere in mia rap-presentazione le esperienze con le quali lacostituenda Comunità metterà in forma ilMondo sempre sognato ma ancor primaed essenzialmente, di promuovere coesionicomunitarie e avanzare ipotesi. È proprioin questa propensione individuale che ilFrattempo ha il massimo rilievo strategico.

A noi compete invece il compito stra-tegico di eluderlo, di viverlo mentre inesso prepariamo il terreno del Mondoaltro. È resistenza ed esistenza insieme,insieme attacco, anzi distacco!!

Cercarsi, legittimarsi reciprocamente,elaborare nei nuclei di co-esistenza comu-nitaria la nuova prassi del vivere è uncompito improrogabile che non si puòdelegare a nessun altro che a noi stessi e

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Luigi Mazzarelli,anni ’80-90acquerello su carta

dere: Arte finissima è quella di star di mezzonon già all’ora, o al minuto, o al secondo –universi sterminati – ma all’istante!

Arte difficile è l’Arte impossibile di sot-trarre in larghezza spazi sublimi al filo delrasoio e leggervi storie mai scritte! Artesublime è sfogliare le pagine dell’ultimofoglio rimasto! Arte sottile è l’arte del sot-tile! …

Non nego, ho parlato del qui e ora neipaesaggi sulfurei dell’apocalisse, di circolidel riconoscimento incrociato, di labora-tori esistenziali in cui rifondare laSoggettività e la Prassi … e aggiungo, èpossibile perpetuare come pro-memoria latestimonianza individuale sottratta alfeticcio per prepararsi al salto nelFrattempo e qui apprendere l’arte impossi-bile di costruire castelli in aria?

Ma nel Presente si è anche ostaggi delDominio e delle potenze demoniache chesono riuscite finora a eterodirigere ognipercorso individuale. Siamo anche ostaggidell’Io. E l’Io, signori, è una potenza tellu-rica ben lontana dall’essersi sottratta alladimensione ferina della natura dalla qualetrae origini neppure troppo lontane. L’Io èil cavallo di Troia grazie al quale le poten-ze eteronome instaurano in noi il lorodominio. E dunque non c’è “cittadellafortificata” che non possa in qualsiasimomento essere ripresa.

No, non ci sono dubbi! Per noi la chia-ve di volta sta in ciò che nel Presente ha ilbattesimo di fuoco e al Presente sfugge: ilFrattempo, abbiamo detto.

Arte sottile non a tutti concessa è quelladi stare in mezzo al tempo che sta per sca-

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Luigi Mazzarelli,Senza titolo, 1961olio su tela

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nostra Isola ha totalizzato i peggiori falli-menti. Ebbene, a prescindere dalla veritàsottaciuta e mai interamente pensata,secondo la quale tutto sommato essa nonha mai veramente voluto liberarsi, io noncredo francamente che se anche riuscisse arecuperare la volontà possa farlo ora, inquesta fase storica. Ha perso occasioni sto-riche importanti che non si ripeterannopiù. E soprattutto ha sempre mancato l’o-biettivo fondamentale di munirsi degliautentici soggetti storici che si facesserocarico del progetto, delle modalità e deitempi di realizzazione. Sono mancatiinsomma i padri della patria entro unagrande dinastia di intellettuali solidalicreativi e premurosi con il loro popolo!

Figurarsi ora che nell’intera geografiapolitica, nel corso di qualche decennio,sono stati annientati, uno dopo l’altro,tutti i Soggetti antagonistici del Dominio.Non solo, il Simbolo ha finito per sostitui-re di nome e di fatto l’Ideologia là dovequesta era una catena organica di allegorieche avevano il reale storicizzato come refe-rente, la volontà come motore e l’utopiacome prospettiva mentre quello non hache simulacri all’origine e l’involuzionesoggettivistica come fine.

Si sono tuttavia verificati degli eventiin questi ultimi anni mossi da soggetti deltutto nuovi che alimentano in noi qualchesperanza. Il variegato Popolo di Seattle èindubbiamente un soggetto inedito,impossibile da inquadrare nei consuetischemi sociologici politici e geografici, cheha dato prova di riuscire a smuovere quel-l’incredibile equilibrio dei poteri delCapitale che sembrava del tutto inattacca-bile alle vecchie forme di lotta. È ancorapresto per ridestare i cuori e srotolare lebandiere, almeno per gente come noi a cuiil vento da qualche decennio suggeriscecautela, ma almeno abbiamo la prova chele vie della liberazione, come quelle dellaprovvidenza, seguono le strade più impen-sate. Di più: il rapporto stringente che ilsub-comandante Marcos istituisce tra lalotta di liberazione del Chiapas e il fronteantiglobalizzazione (per la prima voltavisibile a Seattle in tutta la sua vastità radi-calità e determinazione), sembrano rilan-ciare su nuove basi l’unità nonché la con-

Credo di sì. Ma non chiedetemi dovecome quando se il dove come quandoattengono a ciò che resta del Mondo.Sarei costretto a dirvi: Non lo so, vediamoinsieme.

Non sono il Messia, mi dispiace perquelli che oggi sono venuti con i chiodi ...

Certo mi piacerebbe essere più concre-to. Mi piacerebbe per esempio gridare aimiei vecchi compagni di strada e disogno: ehi Italo Tonino Gaetano PrimoGiuseppe Cipriano Pinuccio RosannaAttilio, dico a voi fratelli del sogno, dai,salite nel Frattempo, ahiò tutti insieme!Potremmo aprire un laboratorio mai vistomai pensato mai udito noi vecchie cariati-di delle arti visive in perenne avanscoper-ta. E chiamare i giovani a raccolta … Mala voce me la porterebbe via il vento chene ha udite tante e non crede più a nientee a nessuno…

Ciononostante, gentili signore e signoriche per ben quattro volte avete attesopazientemente che alle mie parole seguisseil sodo, io – ancorché visibilmente in lie-vitazione depressiva – ci sono; io – quan-tunque non abbia fatto altro finora cheprofondere sospiri – ci sto. Vi do nome eindirizzo, cercatemi, cerchiamoci … fac-ciamo cerchio facciamo mondo!

Tutto sommato l’aspetto più confor-tante del Manifesto di Eliseo Spiga consi-ste per me nel fatto che con esso ho laprova che in questo mondo esiste ancorachi trae la forza di lanciare appelli anche làdove in tutta evidenza la gente ha perso lavista l’udito la fantasia e la mobilità comele quaglie d’allevamento che invariabil-mente nominava il mio amico RenatoCarpentieri (già compagno di strada inquel di Servire il popolo) quando volevadare un’immagine di sintesi degli intellet-tuali sardi! Evidentemente la disponibilitàalla risalita non manca anche laddovemeno ve n’è segno. Ma il problema – inquesta terra dove cento sono le teste ecento i berretti e mille le voglie di distrug-gere tutti quelli che differiscono dal pro-prio– è unirli queste donne e questi uomi-ni che la Nudità ha affratellato!

È appunto nel fare mondo, nel farecomunità su un progetto comune che la

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Perché no?! col Frattempo la partitadecisiva si gioca in casa, nel cuore dellaSoggettività e del Tempo che sono in noi.È su questo fronte che dobbiamo misurarele nostre forze. È qui che hanno premessail Campanile e l’Opera.

È detto: abbiamo bisogno di purezzanoi uomini donne e bambini e del Fontebattesimale al centro della Piazza sotto ilCampanile dove ogni Io si scioglie nell’ac-qua che ha purificato l’Altro.

La battaglia decisivadio io dello specchio è làdove il nemico è di casaqui dentro la corazzadove sovrano comandail dio io dello specchio!

Luigi MazzarelliCagliari, 25 aprile 2001

vergenza strategica tra “Regionalismo” e“Cosmopolitismo”. Chissà …

Vedi bene, Eliseo, che quel poco-queltanto che si muove contro ancorché dentroil mondo globalizzato, oggi, supera d’unbalzo la strettoia del vecchio dilemmacittà-campagna nel quale per anni steril-mente ci siamo dibattuti. E la rispostaviene sempre dalle cose stesse: quelle con-traddizioni che il caro buon Carlo Marxaveva configurato come le contraddizioniindigeribili del Capitale che tutto governae tutto pretende sottoporre alla sua legge.È come dire: la Globalizzazione dà laGlobalizzazione toglie. E poi, il Deserto,visto da un certo punto di vista, hai nota-to? è tutto campagna!

Riusciremo a raggiungere il Frattempoora che il Simbolo ha sostituito di nome edi fatto la Realtà, ora che la Libertà è sca-duta e siamo tutti modellati a misura diCircostante e pugnalati dalla sorte? Ci riu-sciremo?

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Luigi Mazzarelli,W Lenin, anni ’60olio su tela

in Il ventre dell’architetto (1987) ha chiusoun uomo nell’Altare della Patria e inGiochi nell’acqua (1988) ha usato il liquidoprimordiale per eliminare personaggiadulti. Non è improbabile che l’ossessionedegli animali gli arrivi dal padre ornitolo-go, quella dei numeri e delle simmetrie daBorges, quella delle prospettive dal fattodi essere pittore.

I suoi film in effetti prima si vedono,poi si guardano e infine si percepiscono.

Greenaway nato nel 1942 in Galles si èconvertito alla macchina da presa grazie alfilm di Bergman.

Settimo sigillo: la scoperta che si potes-sero mescolare in un’unica opera simbolo-gie e metafore, nozioni di gioco e di filo-sofia, gli scacchi con la mitologia dellamorte, gli ha dato la convinzione che ilcinema non fosse solo una storia da rac-contare. E ad ogni film sposta in avanti il

La tempesta GreenawayFabrizio Derosas

Con Peter Greenaway prosegue l’e-splorazione dei territori del cine-ma attraverso la conoscenza di

importanti personalità autoriali.Figura di artista dai molteplici interes-

si: illustratore, curatore di mostre, scritto-re, critico, videoartista e regista cinemato-grafico. Peter Greenaway è così: tanti inte-ressi, poetica strabordante di elementisignificativi sino alla saturazione.

Figlio di un impresario edile e ornito-logo dilettante, studia pittura alWalthamstow Art College, rivela un tem-peramento sicuro e allucinato. Nel ’65 èassunto dal Central Office of Informationcome montatore.

Per conto proprio, gira cortometraggisperimentali (Train, Tree, Revolution,Intervals), raccoglie materiali sparsi realiz-zati in varie occasioni e compone 92 situa-zioni secondo il criterio della musica alea-toria di John Cage e nello spirito accumu-latorio di una enciclopedia (The falls,1980). È la strada, segnata dai numeri edalla composizione dentro una strutturavisiva, che lo conduce al primo, affasci-nante successo, I misteri del giardino diCompton House (1982), storia di un dise-gnatore – siamo nel 1694 – ingaggiato percomporre dodici “visioni” di una villa etrascinato a poco a poco in un gioco per-verso dove si confondono sesso, avidità,potere e delitto. Da film a film le perver-sioni crescono di numero e di intensità,per una sorta di furore manieristico.

Peter Greenaway fa cinema con tuttoquello che c’è al mondo: acqua, colori,carne, matematica, illusioni ottiche, archi-tettura. Greenaway è quel signore chenello Zoo di Venere (1985) ha indagatosulla velocità di decomposizione dei corpi,

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suo discorso sul cinema. Il cinema? «Forsedeve ancora nascere», provoca Greenaway.«È immagine, ma il 95 per cento dei filmnascono come testi scritti. In cento annidi vita non ha ancora trovato una suaidentità, è per lo più teatro filmato, non èriuscito a unire immagine e scrittura». E ilcinema del futuro? «Immagino una full-immersion emotiva, una performancetotale che coincida con tutti i nostri cin-que sensi».

I racconti del cuscino

Ispirato a The pillow book, il classicodella letteratura giapponese scritto

attorno all’anno mille, il film ci raccontadi una dama di corte che, educata dalpadre all’antica arte della calligrafia, sidiletta a farsi ricamare ideogrammi sullapelle dai suoi numerosi amanti. Finché siinnamora di un inglese e invertirà le parti:sarà lei a scrivere tredici libri calligraficisulla pelle di lui, e a trasformarlo in untesto fitto fitto sull’amore e infine sullamorte.

Il corpo, dunque, si fa testo e operad’arte.

Greenaway, sperimentatore estremo dilinguaggi, spaziando dalla video-art allapittura obbliga lo spettatore a frantumareil proprio sguardo. Sullo schermo, infatti,si aprono riquadri che tagliano il foto-gramma come le finestre di un Macintosh,il colore convive con il bianco e nero, le

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immagini sono attraversate da ideogram-mi e scritte in inglese, francese, giappone-se, cinese.

E, mentre il racconto interseca piùdimensioni temporali (il Giappone antico,l’infanzia della protagonista, la sua vitanella Hong Kong di oggi), chi guarda èobbligato a muoversi contemporaneamen-te su più livelli di spazio e di linguaggio. Afondere erotismo, cinema e letteratura.

Greenaway condensa qui tutte le suemagnifiche ossessioni: la sensualità rituale,il gusto per la scrittura, le suggestioni pit-toriche, il culto del libro, il corpo-metafo-ra.

Insoddisfatto del cinema, che ritiene sisia evoluto molto poco nel corso di unsecolo rispetto alla pittura e letteratura,dove invece sono avvenuti cambiamentiimportanti nello stesso arco di tempo,Greenaway è alla ricerca di nuovi linguag-gi cinematografici. Provocatore colto e raf-finato, esperto di numeri, di simbologia edi linguistica, ama le citazioni secondo ilprincipio dei tableaux vivants, come se lapittura, da cui proviene e che continua aconsiderare la più esplorativa e radicale trale arti, potesse entrare nel cinema funzio-nalmente, per necessità di comunicazionee di espressione; così per I racconti delcuscino si è ispirato al mezzo pittorico-let-terale della tradizione calligrafica orienta-le, che propone come linguaggio idealeper un cinema ideale.

Giacomo sta per lanciare quando si blocca, le braccia sospese nel lancio, la pallascivola a terra. È un attimo, abbandonando il gioco, corre via. «Che cosa tiprende?» i compagni gli urlano dietro ma lui non si ferma, corre fino a casa.

«Pazienza, faremo a meno di lui». dice Alessandro prendendo la palla.La casa è dei primi del Novecento, decorazioni liberty e mascheroni di gesso sovrasta-

no porte e finestre. Verde acqua e giallo sono i suoi colori. Le gelosie sono socchiuse.Dentro un’oscurità permanente vivono Carmela e Nora.Nora dietro la finestra, osserva i passanti. Ha un volto moltopallido, occhi piccoli cerchiati da pesanti borse oscure, labocca sottile deformata in una smorfia malvagia. Si truccameticolosamente, come da ragazza. La cipria evidenzia i solchie le rughe che l’ira del suo temperamento hanno scavato sullapelle. La riga nera della matita scurisce il contorno degli occhirendendo il volto simile alla cera. Quando, nel pomeriggio,Nora riposa, Carmela scende faticosamente le scale. È moltorobusta e l’artrosi le ha deformato le ossa.

«Mamma, chi abita nella casa verde della piazza?» chiedeGiacomo alla madre entrando in casa di corsa.

«Nessuno, caro. Perché?» «Ma io l’ho vista. È una strega, hauna faccia cattiva». «Chi ti racconta queste storie?» «L’ho vista,l’ho vista». La madre accorgendosi dell’agitazione del bambinosmette le faccende e gli si avvicina. «Calmati. Vieni qui» loprende tra le braccia «cosa è successo?» «Giocavo a palla quandolei si è affacciata alla finestra». «E ha fatto qualcosa?» «Nulla, miha guardato in modo cattivo. Allora, mamma, è vero? Ci abitanole streghe?» «Ma chi ti racconta queste storie?» glichiede ancora lei. «Lo dicono tutti». «La gente è cattiva». «Cisono le streghe?» «Ma cosa dici! Le streghe non esistono».«Mangiano i bambini?» «E tu ci credi?» «Un po’». «Solo perché seicosì piccino. Vieni» e la madre lo prende tra le braccia. «Se ti fapaura non andare a giocare in piazza, stai in cortile». «Oh, mamma!Lo sai che ci sono tutti i miei amici». «Allora di che cosa hai paura?»«Non so».

A Nora i bambini che giocano nella piazza, con le loro urla chiassose,danno noia, vorrebbe scacciarli. Cerca di spaventarli aprendo gli scuri all’improvvi-so e mostrando il suo aspetto arcigno. Si affaccia se è sicura che nessun altro, solo i bam-bini, sono nella piazza. A Carmela, invece, fanno compagnia quelle voci allegre. Nonama il silenzio, lei. Quando, nel pomeriggio, Nora riposa, Carmela scende faticosamentele scale.

Passa qualche giorno, Giacomo dimentica la paura e ritorna a giocare con gli amici inpiazza. Evita di guardare verso la casa, gli dà le spalle senza avvicinarsi troppo. Non la

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La finestra sulla piazzaElisabetta Rombi

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Bruno Pittau,L’inquilinodel 3° piano,1980, china

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vede ma ne percepisce la presenza. Non siavvicina: ha la sensazione che la casapossa, allungando due lunghe mani invisi-bili, attrarlo a sé e ingoiarlo.

Carmela vorrebbe non avere ricordi.C’è stato un tempo in cui la casa risuona-va di altre voci e volti. Genitori, fratelli ezii, zie, cugini, amici. Grandi tavolate,feste e balli. C’è stato un tempo in cuiCarmela correva leggera da un pianoall’altro, e la sua voce armoniosa cantava.Sono sempre state molto diverse, le duesorelle. E una ironica sorte le ha unite persempre. Carmela non ama il silenzio.Quando, nel pomeriggio, Nora riposa, leiscende con fatica le scale. Arrivata infineal piano terra, prende alcune caramelle dalcassetto della madia e, socchiusa la porta,aspetta. Aspetta con pazienza, in silenzio.Rimane così, Carmela, finché non sente lasorella scendere. Allora chiude la porta e siallontana dall’uscio.

Anche oggi Carmela ha socchiuso laporta e aspetta.

È pomeriggio, Giacomo si trova a pas-sare nella piazza per caso. A quest’ora, inquesta stagione, non ci sono altre persone.Cammina velocemente a piccoli salti, cer-cando di ingannare il timore. Con la codadell’occhio intravede il profilo della casa,un movimento lo spinge a voltarsi, a guar-darla.

Carmela è paziente, ogni giorno, daquando è cominciata quella convivenzaforzata compie gli stessi gesti. In lei è lasperanza di spezzare il destino. Sa beneche è difficile, quasi impossibile. Ciò cheha legato le due sorelle può essere spezzatosolo da un atto di coraggio, l’atto corag-gioso di un innocente.

Giacomo si volta e guarda. La porta èsocchiusa e una mano, una mano piccolae bianca, gli fa un cenno amichevole. Ilvolto è celato nell’oscurità, appare lamano gemella con delle caramelle. È uninvito. Giacomo apre e chiude gli occhisorpreso e quasi ipnotizzato da un gestoche non si aspettava.

Il bambino è fermo, non sa cosa fare.La curiosità combatte contro la paura.Quella mano gli sembra gentile, e oraintravede un sorriso oltre la porta socchiu-sa, una voce dolce gli dice: «Vieni!»

Carmela è felice, adesso lui riesce avedere il suo viso. Lui non ha più paura.Lei non tenta di afferrarlo dentro la casa,nella sua oscurità, ma gli rovescia nellemani i dolci e lo ringrazia. Poi, improvvi-samente, scompare. Giacomo si trova solonella piazza, la porta chiusa. Le caramellesono così tante che deve chinarsi a racco-glierle.

«Chi te le ha date?» chiede la mammamentre Giacomo rovescia sul tavolo lecaramelle. «Quella donna che abita nellapiazza, nella casa verde…» «Chi?» «Non lastrega, un’altra. Questa è gentile».

La madre di Giacomo si fa raccontarecon pazienza ciò che il bambino le narra.Non interviene, non lo contraddice. Solonon capisce. Lei sì, le ricorda quelle duedonne, erano vecchie quando lei era bam-bina. Quando giocava nel piazzale con lesue amiche, le due donne sedute accantoalla porta della loro casa, le osservavano. Sele ricorda bene. Vecchie, con i capelli bian-chi raccolti, gli occhi come capocchie dispillo. Dopo un’influenza terribile cheaveva sterminato la loro famiglia, vivevanoinsieme. La spagnola, aveva ucciso i genito-ri di entrambe, e i figli e il marito diCarmela, la più giovane. Nora era stata l’u-nica a non ammalarsi ed era riuscita astrappare Carmela alla morte. Lo avevafatto per odio, diceva la gente, per legarla asé. La tiranneggiava, si faceva servire comefossero state padrona e schiava, non sorelle.La madre di Giacomo non ha mai credutoalla gente. Le gelosie della casa però eranotalvolta misteriosamente socchiuse. Alcunidicevano che lo spirito malvagio di Noraattraesse i bambini per ucciderli. Almenoquesto, adesso lo sa, non è vero. Il pensierodel pericolo corso dal figlio la fa tremare.Lo abbraccia stretto dicendogli: «Non rac-contarlo a nessuno. È un nostro segreto».«Va bene». dice lui sorridendo, felice dellafiducia accordatagli dalla madre. Da quelgiorno nessuno dei bambini ha più vistoaffacciarsi dalla finestra sulla piazza ladonna dai capelli bianchi e gli occhi piccolicerchiati, a capocchia di spillo. Nessuno hapiù scacciato i bambini dalla piazza.

La casa adesso è vuota, le imposte chiuse.�

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Ogni giorno, poco prima del tramonto, un miracolo si ripete sotto i nostri occhi– se solo abbiamo occhi per vedere.

Si ripete ogni giorno e ogni giorno si prolunga di qualche istante, sempre ugualeeppure sempre nuovo: come un dono inesauribile che si rinnova e, rinnovandosi, si offresovrabbondante, senza mai accennare ad esaurirsi.

Non occorre andarlo a cercare; è lui che ci segue e ci si offre, umile eppure splendido,come una donna troppo innamorata per giocare a fare la preziosa, che non teme di essermeno desiderabile agli occhi dell’amato perché, in quel cercarlo e in quell’offrirsi senza

condizioni, ella è fresca e spontanea in tutto il suo essere.È il miracolo delle giornate che si allungano, del Sole che riacquistaforza e luminosità, delle superfici che, smorte ed opache, s’incendianodi luce e di vita e rinascono a una nuova esistenza, rigenerate e rinno-vate dalla prova del gelo e dell’oscurità.

È il miracolo di gennaio che ritorna e, pur stringendo le cosenella morsa del freddo e della neve, elargisce il dono

munifico, specialmente nei minuti che precedo-no il tramonto, di un presentimento lumino-so di bellezza, di forza e di speranza, mentresparge nell’aria limpida un certo non soche di teneramente primaverile, quasi unprofumo indefinibile di gemme, un tur-gore di attesa e d’imminente rivelazione.Ed eccola, la rivelazione, proprio quidalla finestra presso cui stiamo scri-vendo: come una dolcissima amica èvenuta a posarsi sui vetri, a farecenno, a invitare lo sguardo a disto-gliersi dalla pagina e a inebriarsi dellasua primizia d’infinito.

Le montagne vicine, dalleripide severe pendici e dallecime scintillanti di neve,fanno da sfondo a questa

Bruno Pittau,L’ombra del ritorno,1988, matita

Splendoredella luce invernale

Francesco Lamendola

FRANCESCOLAMENDOLAlaureato in Lettere eFilosofia, insegna inun liceo di Pieve diSoligo, di cui è statopiù volte vice-preside.Si è dedicato in passa-to alla pittura e allafotografia, con diversemostre personali ecollettive. Ha pubbli-cato una decina dilibri e oltre cento arti-coli per svariate rivi-ste. Tiene da annipubbliche conferenze,oltre che per varieAmm. comunali, perAss. culturali comel’Ateneo di Treviso,l’Ist. per la Storia delRisorgimento; la Soc.“Dante Alighieri”;l’“Alliance Française”;L’Ass. Eco-Filosofica;la Fondazione “LuigiStefanini”. È il presi-dente della LiberaAssociazione Musicale“W.A. Mozart” diSanta Lucia di Piave esi è occupato di studisulla figura e l’operadi J.S. Bach.

Vedi:ALTRA DIMENSIONE...la rubrica diFrancesco Lamendolasul web:http://www.edicolaweb.net/

dimensio.htm

Altri articoli in:http://www.nwo.it/francesc

o_lamendola.html

e sul sito di Ariannaeditrice:http://ariannaeditrice.it

epifania del tramonto di gennaio, che illu-mina le cose di un magico fulgore primadi tornare a nascondersi, pudicamente,nelle ombre ancor precoci della sera.

Ed ecco la casa di fronte: bassa, sempli-ce, circondata da una siepe e da un piccolocortile; una casa comunissima, come millee mille altre. Le persiane verdi sono abbas-sate, l’edera incornicia la tettoia e si arram-pica sulla terrazza al primo piano; le tegoledel tetto, il camino, gli abeti sullo sfondo,tutto è assolutamente normale, eppure…

Eppure, ecco l’epifania della luce d’in-verno. Il Sole, già vicino all’orizzonte, ha

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trovato un varco e colpisce in pieno la fac-ciata della casa: con un angolo d’incidenzaparticolarissimo, che non si ripeterà nellegiornate ardenti dell’estate, pur così lunghee luminose. La investe in pieno, in manierauniforme, e la accende, sì, questa è la paro-la giusta, la accende letteralmente, la trasfi-gura, come se provenisse non dall’esterno,ma dall’interno; come se le superfici avesse-ro preso vita, gloria e magnificenza.

Come se fossero divenute incredibil-mente sontuose e volessero offrirci la gioiadella loro bellezza, del loro fremito di pie-nezza, del loro anelito d’infinito.

Mirella Mibelli,Senza titolo,

1989, acquerello sucarta, cm 78 x 57

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Un dono straordinario, e tuttavia umil-mente quotidiano, come un cielo azzurroe vittorioso in una piccola pozzangherad’acqua sporca.

I muri esterni della casa di fronte sonostati ridipinti di recente, lo sappiamo, conun deciso color rosso mattone; eppure, inquesti istanti, non hanno più colore; sem-brano bianchi, bianchissimi; sono intera-mente rischiarati dalla luce. Di più: sonodivenuti di luce essi stessi; sono luce che splen-de e, splendendo, accende in cuore unostruggente sentimento di vita e di bellezza.

Ed ecco il secondo miracolo.Il platano nudo, il platano spoglio che

si affaccia alla finestra proietta, nel Sole, lasua sagoma su quella superficie splendentedei muri chiari e lisci: la sua sagoma scura,quasi nera, dai contorni netti, con labiforcazione dei lunghi rami che si levanoin alto, come per pregare.

Il platano è lì, dalla bianca corteccia,davanti a noi, vicinissimo, che muovepiano nel vento le ultime foglie dell’au-tunno, così vicino che potremmo quasitoccarlo allungando il braccio; e un altroplatano, fatto di ombra scura, ma dallaforma e dalle dimensioni perfettamenteuguali, si proietta e si allunga sulla facciatadella casa, oltre la strada: e la sua ombrascura fa spiccare ancor di più la luce deimuri, creando un contrasto affascinante,inesprimibile a parole.

È come se la notte carezzasse il giorno,o come se una fontana zampillasse chioc-colando nella sabbia del deserto: dueestremi che si toccano, stupefatti e inna-morati; e, toccandosi, si esaltano a vicen-da, ingigantendo e sfiorando il misterodell’Assoluto.

Come in un giardino Zen, ove gli ele-menti più semplici – la ghiaia rastrellatain onde curve, qualche sasso arrotondato,e null’altro – creano la sensazione dell’in-finito, il magico incontro e l’abbraccioreciproco dello yin e dello yang.

La superficie luminosa dei muri e l’om-bra allungata e forcuta che si stampa e siadagia su di essa divengano un tutto unicoe armonioso, quasi un ideogramma allusi-vo scritto, su una pagina di pura luce, inuna lingua misteriosa e, tuttavia, non inte-ramente sconosciuta.

Momenti solenni, momenti magici:assistere a un tale spettacolo di splendore ècome essere introdotti a un rito sacro esegreto; è come essere chiamati a parteci-pare a tutto l’incanto e a tutta l’armoniadel mondo.

Il tempo è sospeso; il ritmo della vitaordinaria è sospeso; ogni cosa abituale, giànota, già sperimentata, è abolita di colpo.Tutto è come sempre e niente è più comeprima; le cose, le cose umili e quotidiane,si sono adornate di una veste smaglianteche le rende diverse, nuove e sorprendenti.

È come tornare ai cieli sconfinati del-l’infanzia.

Il bambino piccolo vede le cose conocchi ben diversi da quelli, distratti e offu-scati, dell’adulto. Le vede in tutto il lorosplendore abbagliante, in tutta la loroforza prorompente, perché le vede per laprima volta e il suo sguardo incantatoriflette tutta la freschezza aurorale di unmondo nuovo, che gli si spalanca davantie gli offre i suoi tesori.

Ecco perché al bambino le coseparlano: parlano una lingua semplicissima,eppure all’adulto quasi incomprensibile,perché l’adulto l’ha dimenticata; anzi, nem-meno ricorda di averla mai saputa, diaverla mai adoperata.

Torniamo ai muri luminosi della casaincendiata dal Sole basso dell’inverno.

Una nuvola, evidentemente, è passatadavanti al Sole perché, di colpo, la magiasi conclude, la luce scompare e le superficitornano smorte e opache, come lo eranoprima.

Anche l’ombra del platano, l’ombrameravigliosa e disegnata con estrema net-tezza, che sembrava una cosa viva nel suoperfetto aderire alle vive superfici deimuri, è scomparsa di colpo; mentre il pla-tano è ancora lì, tutto solo, nell’aria freddadel pomeriggio.

Ma tutto questo dura poco.Ecco, di colpo, la luce che ritorna: e i

muri son di nuovo vivi e luminosi; el’ombra del platano è di nuovo viva eallungata come il corpo di una vergine;di nuovo i vetri, incendiandosi, ardonodi uno splendore corrusco, simili a deifuochi di felicità.

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E gli alberi dietro i tetti, che spettacolodi una fastosità indicibile, senza pari!

L’abete che si trova al centro, più ditutti, ci incanta con la sua enorme figurapatriarcale, con la sua possanza elegante;sintesi perfetta di forza e leggiadria.

I suoi palchi maestosi che si allarganoin ogni direzione; più corti verso la cima,dove si alzano e si protendono verso ilcielo, lasciando penzolare i rametti secon-dari, carichi di verdi aghi: è un colpo d’oc-chio ineguagliabile, uno spettacolo regale.

Quell’abete, illuminato dal Sole bassodi gennaio, è adesso veramente il maesto-so sovrano di una corte di giganti arborei,le cui cime svettano in alto, a venti metridal suolo, nella gloria del giorno che anco-ra non vuol finire.

Questo giorno che ha strappato alletenebre qualche istante in più di luce; edomani ne strapperà qualche altro; e cosìavanti, ogni nuovo giorno vincerà la nottecon qualche altro attimo di Sole, di vita,di bellezza: fino alla primavera.

Questo, forse, è il senso riposto dellavita.

Non l’attesa di una felicità futura, mala consapevolezza della presente; non l’at-tesa della pienezza, ma il desto godimentodelle cose in ogni loro sfumatura: anche ailoro timidi inizi, anche negli aspetti più“normali”.

Perché, a guardare il mondo con gliocchi incantati di un bambino, ci si accor-ge che niente è normale, scontato, dovuto;che tutto è miracolo, rivelazione, grazia.

Che tutto è vita, bellezza, preghiera,lode e ringraziamento.

E che noi esseri umani siamo, forse, leuniche creature al mondo che si dimenti-cano di pregare, di lodare, di ringraziare.

Cerchiamo negli oggetti artificiali labellezza, negli articoli costosi; oppure lavediamo solo quando essa è particolar-mente appariscente, magari un po’ volga-re. Poveri ciechi, che brancolano al buio ecredono di vedere più di tutti gli altri.

E poveri infelici, che inseguono lontanimiraggi di gioia, di serenità, di pace lungosentieri che li allontanano sempre più datali cose; e ignorano o disprezzano laverità che è lì, accanto a loro; anzi, ancora

più vicina: proprio dentro di loro. Perchéla bellezza delle cose che si accendono diluce tutto intorno, altro non è che lanostalgia dell’infinito che si accende nellaparte più riposta, più segreta e più vera dinoi stessi.

E la nostalgia è l’indizio del presenti-mento; del presentimento non di questa oquella cosa, non di questo o quel bene,ma della cosa in sé e del bene in sé. Altroessa non è che il presentimento, quasidoloroso tanto – a volte – ci punge ilcuore, dell’Essere.

Tutte le cose anelano all’Essere; tutte lecose tendono all’Essere; tutte le cose loda-no, pregano e ringraziano l’Essere.

L’universo intero è una preghiera dilode e di ringraziamento, come lo è l’in-canto della luce di gennaio che accende displendore le superfici delle cose.

Anche le tenebre della lunga notte, aloro modo, pregano, lodano e ringraziano;perché, se così non fosse, neanche la lucepotrebbe pregare, lodare e ringraziare.Senza le tenebre la luce sarebbe, e basta.Invece essa loda e ringrazia perché, quan-do è giunto il momento, le viene conferitoil potere di vincere il freddo e l’oscurità.

L’uomo soltanto è libero di scegliere sepregare oppure no, se lodare e ringraziareoppure no. L’uomo soltanto può sceglieredi esserci, e basta.

Quando ciò avviene, ecco che il suocielo si offusca e ogni cosa rientra nell’o-pacità e nel grigiore; e, allo stesso modo, sispegne anche la sua potente luce interiore.

Precipita nel buio, nel freddo, nell’in-consapevolezza.

Perché essere consapevoli significasaper vedere il mondo, in ogni istante,come se fosse appena uscito dalle mani delCreatore, riscaldandoci ai suoi raggi,lodando con gratitudine la sua magnifi-cenza.

E, intanto, saper coltivare la salda spe-ranza della rivelazione finale, che abbat-terà l’ultimo muro divisorio e che ci intro-durrà, in un mare di luce, nella dimoraeterna dell’Essere.

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Mirella Mibelli,Autoritratto di una scimmia,

1989, olio su tela,cm 100 x 100

ta. I fitti boschi che ammantano i collisono scuri come recessi misteriosi cheattendono, trattenendo il fiato, qualcosache deve accadere.

Nessun rumore: né d’uomini, né d’ani-mali. Dormono sui rami, nel nido, i pas-seri coprendosi il capo con le ali.Dormono le rondini negli angoli dei murisotto i tetti, sognando l’immensità delmare e dei deserti attraversati; dormono ipipistrelli a testa in giù, nei loro oscurinascondigli; dormono le cicale sotto lacorteccia dei tronchi, e i grilli al riparodelle zolle erbose.

Un profumo intenso, pungente, di cosebuone e lontane, si sparge ovunque e con-cilia lo spirito al ricordo.

Si direbbe proprio lo stesso profumo ditanti anni fa – o era ieri? –, in quella casadi campagna sospesa fra l’ultimo bastionedi quelle altre montagne e l’ampia valleghiaiosa del fiume che scorre là in basso,calmo e solenne come se già fosse in vistadel mare.

Ed ecco il prodigio.

Chiudendo gli occhi nella gran pace enel gran silenzio della notte estiva, mentrele prime gocce di una pioggia sottile eduguale cominciano a cadere con un fru-scio di seta, il profumo dei boschi e dellemontagne bagnate riporta quelle cose lon-tane, una dopo l’altra.

Come un mosaico che si completapoco a poco, tessera sopra tessera, quellecose ritornano, tutte, con precisione infal-

Belle sono le tarde ore della notte,quando la campana del villaggiosuona le due, e il silenzio è una

cosa viva che respira dolcemente dallaterra.

Si sono spente, da tempo, anche le ulti-me luci; come un presepe addormentato,le case del borgo sono scivolate nel buio,con gli orti e i cortili, con i tetti lucidi dipioggia, con gli alberi dove l’ultimo merloha spiegato l’ultima nota del suo cantomelodioso già da molte ore, zittendosi nelfolto della chioma.

È un momento senza tempo e senzastoria, quando le cose di sempre taccionoe scompaiono, e il modo erompe nella suaessenzialità, nel suo profumo, nella suafragranza. Cadono le maschere, le appa-renze, lo sciocco affaccendarsi e tuttoquanto non è essenziale, come le foglie alvento d’autunno.

Rimane solamente l’anima delle cose.

Nella tenera notte d’estate, fresca e vivacome l’aria dopo il temporale, perfino igrilli tacciono, tutto tace e s’immerge inuna pace vastissima e amichevole, cheaccoglie pensieri ed emozioni come ungrembo materno.

Non è limpido il cielo, nessuna stella sivede, né la luna; grandi nuvole basse egonfie incombono sulla valle, si posanosui fianchi delle colline e coprono le cimedelle montagne. Sono cariche di pioggia,ma non c’è vento; solo un’aria frizzanteche odora di campi bagnati, di piante checrescono, di vita che sta per essere partori-

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Nel profumodella notte d’estate

il ricordo respira e prende vitaFrancesco Lamendola

se fossero venute dal passato, ma presenti,e la coscienza con loro.

Non è uno sforzo della memoria, quelloche le fa riemergere; è la coscienza destache si accorge di essere ancora lì, come allo-ra, come sempre; che non ci sono un primae un dopo, un quaggiù e un laggiù. Chetutto è sempre attuale, sempre fresco, sem-

libile, e fanno rivivere il quadro completo,lo fanno tornare come se mai si fosseallontanato.

Non è la memoria che torna ad esse,sono loro che ritornano amichevoli; anzi,non ritornano: riemergono, là dove eranosempre state, dove non se ne erano maiandate. E adesso sono qui, vive: non come

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Mirella Mibelli,Senza titolo,

1982, tecnica mista sucarta, cm 76 x 57

Quelle sere estive lunghissime, odorosedi pioggia, con il sole che non si decide atramontare dietro i monti, mentre spandeun alone dorato sulla valle del fiume, conle ultime rondini che sfrecciano verso ilnido, nel concerto insistente d’innumere-voli grilli.

Quell’affacciarsi dal balcone a occiden-te, verso i raggi del sole che muore, conquel cielo dalla luce surreale, lattiginosa,simile a un’aurora boreale; mentre il giar-dino, lì sotto, si riempie di ombre, di sus-surri, di mistero…

Quelle notti d’agosto con gli occhi fissisullo spettacolo fantastico delle stellecadenti, delle stelle di San Lorenzo; queglioggetti d’altri mondi che scendono, incen-diandosi, nella luce ancora trepida delsereno crepuscolo: incredibile sensazionedel contrasto fra le loro tremende poten-zialità distruttive e l’incomparabile bellez-za dei disegni che tracciano in cielo, cosìveloci da avere appena il tempo di formu-lare un desiderio…

Senza sforzo, particolari dimenticatiriaffiorano uno dopo l’altro: quel disegnosul giornalino a fumetti; quel ciuffo d’erbapresso la rete metallica, in giardino; quellaosteria vasta e misteriosa, dal pavimentodi legno che risuona sotto i passi, con laveranda posteriore che pare affacciarsi suun altro mondo, popolato di boschi e dicerbiatti – chi può dire se sia sogno orealtà…

Un crudele terremoto ha buttato giùogni cosa, alcuni anni più tardi.

Poi, ad eccezione dell’antichissimocastello, il paese è stato ricostruito – oh,alla perfezione, esattamente come prima–, ma ormai non è più quello. Come unasignora non più giovane, dopo che si èsottoposta al lifting: troppo liscia la suapelle, troppo fresco il suo sorriso; artificia-le, impossibile. È ancora lei, ma non è piùlei.

pre nostro; e che questa è la cosa più natu-rale del mondo, anzi, l’unica cosa possibile.

Impossibile è la separatezza, impossibi-le la dimenticanza. Qui, ora, nel fresco enel profumo della notte estiva carica dipioggia, mentre il mondo tace e i boschiaffondano nella nebbia, la cosa più logicae perfettamente naturale è ritrovare tutto,essere ancora e sempre quelli di allora, frale cose di allora.

Dov’è la mente, in questo momento?

Rivede tutto: i luoghi, le cose, le perso-ne, le emozioni, le tonalità delle emozioni.No, non rivede, rivive. Nemmeno questo:vi è immersa, e dall’interno.

Quella casa semplice, costruita da emi-granti, un mattone sopra l’altro, col suopiccolo giardino, la conigliera sotto lascala, e la minuscola vasca di cemento peri bagni estivi; con quei mobili di legnochiaro, ingenuamente pretenzioso, cheodorano ancora di vernice e i caprioli scol-piti sulle ante della credenza, lì in salotto.

Il terrore della strega che si nascondesotto il letto, e quel tirarsi le coperte finosopra il mento, senza lasciar fuori neancheun dito, perché lei non balzi fuori all’im-provviso e non lo afferri con un ghignosatanico.

L’estasi di entrare in quel negozio digiocattoli che sembra il palazzo incantatodelle meraviglie, e poi di uscirne con inmano un minuscolo, inestimabile tesoro:un paio di soldatini nuovi fiammanti, cosìben dipinti da sembrare veri, armati epronti per combattere innumerevoli,appassionanti battaglie senza quartiere.

Quella simpatica vecchietta, custode diuna biblioteca ove non entra mai nessuno,felice di poter mostrare finalmente i suoitesori, in un uggioso pomeriggio in cuipiove a catinelle; e la scoperta folgorante,meravigliosa, della lettura, immergendosinel deserto nevoso di Zanna bianca, popo-lato di lupi che escono dalle immenseforeste al calar del crepuscolo.

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E non è la coscienza che si porta indie-tro, che ritrova le cose di allora; sonoquelle cose, quei colori, quei sapori, queiprofumi, che riaffiorano nella coscienza,vivi e intensi come allora; che riafferranola coscienza nel loro eterno presente, nelloro esserci senza tempo.

Quell’odore buono dei pastelli a cera,per esempio, fedeli compagni di tante oreliete, legato per sempre a quel pomeriggiodi sole in cui si consegnarono, nuovi, per-fetti, bene allineati, dentro la loro scatolaa vivaci colori, per un’amicizia di lunghis-sima durata.

E quel freddo della sera, dopo cena,che scende giù dai monti e che accarezzala pelle con ruvida mano, spingendo atirar fuori dall’armadio i maglioni di lana;quella carezza virile che fa rabbrividire e

Eppure è ancora tutto qui presente,non nei muri di pietra e di mattoni; nonnelle strade in salita e nelle rocce deimonti che s’innalzano bruscamente sullecase; non nell’antico duomo romanico,con gli stupendi rosoni e con quel gigan-tesco San Cristoforo, scolpito sulla faccia-ta, che incute una strana soggezione, quasifosse un abitatore di altri mondi.

È tutto presente nella coscienza –neanche nella memoria, perché la memo-ria è il ricordo di cose passate – no, nellacoscienza che non ha tempo, che non haetà, che è sempre giovane e bella, semprevestita d’ingenuità e d’entusiasmo, semprepiena di stupore e di meraviglia. Nellacoscienza che è come una bellissima fan-ciulla, che ti guarda con un sorriso soave,un sorriso azzurro, pieno di sole e di devo-zione; un sorriso di dolcezza infinita.

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Mirella Mibelli,Senza titolo,1982, tecnica mista sucarta, cm 76 x 57

E questo profumo sontuoso di terrabagnata, di nuvole gonfie, di umiditàpungente come quella che impregna ilponte di un veliero che solca l’oceano: dadove viene? Da quali lontananze deltempo e dello spazio, da quali mondi, daquali dimensioni?

È strano: più la mente desta si svuotadi pensieri, di desideri, di intenzioni, e piùvengono a galla immagini precise, sensa-zioni definite che parevano scordate persempre. Vengono per forza propria, senzasforzo, senza tensione della mente.

Più la coscienza desta si abbandona e silascia andare, più emerge con forza quel-l’altro mondo parallelo al nostro, o forsepiù nostro di quello quotidiano, più verodel nostro atto maggiormente intenziona-le.

Più l’io si fa piccolo, e più ingigantisceil Sé, la nostra consapevolezza più profon-da: non razionale né calcolante; non defi-nibile a parole; non riassumibile in unaformula.

Bisogna perdersi, per potersi ritrovare.

Bisogna farsi poveri di tutto, per poterriacquistare tutto.

Lietamente, serenamente ci si devespogliare della volontà, del desiderio,della paura e del dolore, di tutto quelloche è oggetto di amore e odio, di brama etimore. Come quando a sera, stanchi, cisi spoglia dei vestiti per accingersi alriposo: così bisogna spogliarsi del fardellodel piccolo io, del falso io che appesanti-sce inutilmente.

Solo allora il mondo apparirà, eternogiovanetto, in tutto il suo splendore.

[Fonte: Arianna editrice, 17/06/2008]

che rende più acute tutte le sensazioni,destando nel cuore di un bambino di cittàquel sottile piacere fatto di spensieratezza,di libertà, di vacanza; quella nostalgia dol-cemente dolorosa di spazi indefiniti, diprospettive sconfinate…

Che cos’è il tempo, che cos’è lacoscienza? E che cos’è il presente, cosasono il passato e il futuro, il ricordo e l’at-tesa? Chi siamo noi? Dove siamo ora, eperché? È l’adulto che si rammenta delsuo io bambino, o è quest’ultimo che rie-merge, intatto, dalle profondità dell’adul-to? È l’adulto che sogna di essere ancoraun bambino, o è il bambino che sognad’essere diventato adulto?

Dov’è il dentro, dov’è il fuori? Dovesono l’alto e il basso, il prima e il poi?Siamo noi che viviamo nel ricordo, o ilricordo ci ha afferrati nel suo eterno pre-sente? Quelle immagini, quei volti, quegliodori, sono laggiù, trascorsi, svaniti;oppure sono qui, perenni, sempre giovani,anche quando noi saremo vecchi? Anchequando non ci saremo più? O, magari,ancor prima che ci fossimo?

Ma è proprio vero che un giorno nonci saremo più? E che c’è stato un tempo incui non c’eravamo? O è soltanto un’illu-sione della mente, della mente ragionante,che crede di sapere tante cose e che invece,forse, non sa proprio nulla di nulla?

E se tutto è ancora qui, se è semprestato qui, lo è stato in noi, o noi in lui?

La pioggia cade sottile, uguale, con unrumore secco nel silenzio totale della notteestiva. Nemmeno il più piccolo rumore lefa schermo, è come se ogni singola gocciagiungesse nitidamente al nostro udito.

Ma che pioggia è questa che sta caden-do? È quella di adesso, o quella di allora?

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in nome di Dio a purificare questo luogoe prenderne possesso come dimora per mee le mie genti... Capisco la sua perplessitàe il suo stupore, ma è tutto perfettamentein regola, ho con me i documenti che pro-vano che i nostri padri ebbero queste terree ne vennero scacciati con la forza... Oggiveniamo a redimere quel torto e ripren-derci i nostri possedimenti».

«Un momento... – obiettò Tonio –Questa casa la costruì mio bisnonno e poidopo di lui fu di mio nonno e poi di miopadre e infine...».

«Sciocchezze... – lo interruppe spazien-tito e irritato Elhoim – Si tratta di appenatre generazioni... Noi vantiamo dirittiantichissimi che ora intendiamo reclamarecon le buone o con le cattive...».

Con le buone o con le cattive...Tonio diede uno sguardo altezzoso e

soverchiante al ridicolo ometto... Econfortandosi della sua stazza da camioni-sta, della mazza da baseball appoggiata alrododendro e della doppietta appesa inveranda, cercò di capire con quale forzaquel tale intendesse far valere i suoi stram-palati e arroganti “diritti”.

Indubbiamente appariva mingherlino emacilento, ma anche risoluto e determina-to, come da fanatica protervia...

Ma ecco l’ometto srotolò una pergame-na e così recitò all’allibito Tonio:

«Ecco, io Adonai Signore degli Eserciti eDio sopra tutti gli Dei ho deciso di donareal mio popolo quell’isola felice, ridondantedi pascoli, fiumi e dolci colline dove cresce la

Toc! Toc!

Era il “toc toc” che scuote le nostre sopitepaure e con un tuffo al cuore ci presenta leangosce che volevamo dimenticare. MaTonio non colse la minaccia, non presentìla sciagura, non vide le dense nubi delDestino... No, lieto e incosciente, eglireagì prontamente a quel “toc toc” e corsead aprire.

I – QUESTA TERRA È LA MIA TERRA

Il visitatore inatteso si manifestò sottosembianze di un ometto scialbo e vaga-

mente repellente, abbigliato in tunica nerae turbante, con delle ridicole treccine euna lunga barba caprina, un fardello dilibri e polverosi rotoli di pergamena.

L’ometto varcò rapidamente la soglia ein assoluta indifferenza verso il padrone dicasa prese a guardarsi attorno. Esaminòattentamente il fabbricato e l’armoniosochiostro che circondava il lussureggiantegiardino. Osservò il vecchio pozzo com-pletamente avvolto dai rampicanti, videgli alberi da frutto e le file ordinate di suc-cosi ortaggi. Notò perfino la catasta dilegna da ardere e la piccola rimessa con gliattrezzi agricoli. Infine, mostrandosi sod-disfatto e compiaciuto della ricognizione,rivolse la sua attenzione all’ospite e si pre-sentò.

«Sono Elhoim Shaaron... – intonò convoce lamentosa e accento lugubre – vengo

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Alla ricercadell’autorizzazione perduta

Bruno Pittau

A tante sciagure ha potuto indurre la religione.(Lucrezio, De rerum natura)

«Basta così... – tagliò corto Tonio convoce dura e indicando l’uscita – Se hadiritti da reclamare vada nei tribunali...Ma questa è la mia terra... e chi verrà asottrarmela verrà abbattuto senza tantestorie...».

Elhoim per niente intimorito ma conrassegnata perseveranza riprese la perga-mena e lesse nuovamente: «Ecco, ioAdonai Signore degli Eserciti e Dio sopratutti gli Dei ho deciso di donare al miopopolo quell’isola felice...».

II – JETTATURA BIBLICA

Tonio non volle sentir altro, chiara-mente era un pazzo o un malfattore,

ma lui non era tipo da chiamare le auto-rità in simili evenienze, no, prese per ilbavero l’impudente e lo scaraventò per lastrada con tutte le sue pulci e le polverosepergamene.

L’ometto rovinò miseramente nell’a-sfalto mostrandosi indignato, contrariato,indispettito e sconcertato... quasi che soloin quel momento gli balenasse l’idea di unserio contrasto ai suoi voleri.

«Osi opporti alla volontà di Dio? –strepitò adiratissimo Elhoim Shaaron –Ma allora proprio non vuoi capire? Ormaiche Dio ci ha autorizzati non ci ferma piùnessuno... Io manifesto la volontà di Dio einvoco su di te orribile maledizione...».

Tonio, che non lo autorizzava proprionessuno e si assumeva completamente lapotestà del suo comportamento, stavaseriamente considerando di dare una gravelezione di botte all’aggressivo ometto.

Ma non ebbe il cuore abbastanza duroper abbattere sul nascere la minaccia einfliggere al malandrino una lezione dadistoglierlo per sempre dalle sue rivendica-zioni. Si limitò a ringhiare torvo davantiall’uscio, a braccia conserte ed a gambelarghe, nella postura che vuol dire “di quinon si passa” e “adesso vediamo come va afinire”.

Elhoim sembrò accettare la sconfitta,ma era solo una finta, srotolò una sudiciapergamena e si incamminò recitando così:

vite e il grano... Essa è abitata dagli iniquiShardan, i costruttori di torri che sacrifica-no a Baal... Ma io Adonai ho scelto quell’i-sola e devastato sarà il paese, io compirò unosterminio e darò a te, mio popolo, le terredei Shardan...».

«Adonai? iniqui Shardan? Ma che cazzodici?» protestò Tonio.

Ma l’ometto replicò prontamente e conrisentita, quasi dolorosa severità: «È laparola di Dio... I manoscritti del MarCaspio hanno rivelato inediti di Isaia, gliappunti di Geremia e la brutta copia delPentateuco nella prima stesura che ne feceMosè... Insomma, non posso spiegare adun ignorante non circonciso i Sacri Libri,ma sappi che è tutto molto chiaro e senzapossibilità di equivoci o interpretazionidiscordi... Le terre dei Shardan sononostre e voi ora usurpate queste terre incontrasto con la volontà stessa di Dio!».

«Queste terre... – chiese increduloTonio – la mia casa e il mio terreno?».

«Non esattamente... – puntualizzò l’o-metto – per essere precisi veniamo ariprenderci TUTTO il territorio. Però lasua casa mi piace abbastanza, ben soleg-giata e con un giardinetto niente male...Certo, ci vorranno degli aggiustamenti...Penso che taglierò quell’orribile ficus epianterò una fila di palme. Abbatterò laquercia e il melograno ed erigerò un altarein pietra per sacrificare a Jahwè in ripara-zione del nostro esilio ed a purificazionedella vostra usurpazione... Ma, insomma,l’avrei scelta come mia dimora persona-le...».

«Ma non pensi che gli attuali occupan-ti dei vostri pretesi ex territori voglianotenersi le loro case?» replicò Tonio.

«Che se ne tornino donde venirono iloro padri... – rispose serissimo l’ometto –Ma alcuni, i più civili ed istruiti, potrannorestare e saranno accolti per svolgere ilavori pesanti e le mansioni di bassorango. Ho già con me i progetti di quar-tieri appositi che sorgeranno per ospitarela forza lavoro... Lei, per esempio, mi sem-bra una brava persona... credo che potreitenerla per curare il giardino e coltivarmila vigna».

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Tonio ebbe un leggero smarrimento,non si aspettava certo questa accoglienza...

Tziu Piriku riattaccò improvvisandoliberamente: «E l’agnello di Dio si faràlupo e si pascerà delle carni dell’empio...verrà divorato vivo dagli angeli di Elhoimche si inebrieranno del suo sangue... giac-ché ha sfidato il Signore degli Eserciti e siacomandato che tutte le sue genti sianodisperse e annientate...».

Tonio non volle udire altro, abban-donò al suo delirio il vicino e si recò dalsuccessivo, sicuro di trovare miglioreaccoglienza. Era infatti segretario localedel Partito Riformista Marxista-Pop-periano Democratico, di incorruttibilechiarissima fede comunista e laico damolte generazioni.

«Buongiorno tziu Boiku – disse Tonio– Venivo a chiederle un consiglio e unaiuto contro dei fanatici religiosi chevanno in giro a minacciare e...».

La frase si spezzò, Tonio arretrò diqualche passo e inorridì. Tziu Boiku conlo sguardo allucinato e la bava alla boccaprofferì solenne e ispirato: «O peccatoreimpunito e impenitente nel cui cuorealbergano l’odio e la vendetta, perchévieni a cercare solidarietà e strumenti peril tuo rancore in chi come me è un Giustoche riposa nella Parola di Dio?».

Tonio balbettò disperato «ma tziuBoiku, che cazzo dice?».

«Cadrete come Sodoma e Gomorra! –continuò tziu Boiku a ruota libera –Jahwè è grande e farà scempio e giustiziadi voi cananei... Ecco, sentite? Udite losquillo tremendo? Sono le trombe diJericho... Tremate peccatori maledetti...».

Inquieto e sconcertato Tonio ancorauna volta fuggì via e si recò da un altrovicino, noto illuminista anticlericale,seguace di Garibaldi e studioso diNietzsche, questi certamente l’avrebbeconfortato e soccorso.

«Buongiorno tziu Luisiku – attaccòTonio – Stanno accadendo fatti sconcer-tanti, fanatici di religioni sanguinariehanno sparso il loro veleno ovunque...Pensi che vogliono requisirmi la casa edicono che...».

«E l’Eterno disse... – intonò lugubre esolenne Elhoim Shaaron – Avvicinatevipopoli, per udire,e voi, nazioni, prestate ascolto;ascolti la terra e quanti vi abitano,il mondo e quanto produce!Poiché il Signore è adirato contro tutti ipopolied è sdegnato contro tutti i loro eserciti;li ha votati allo sterminio, li ha destinati almassacro.I loro uccisi sono gettati via,si diffonde il fetore dei loro cadaveri;grondano i monti del loro sangue».

«... e il coltello del Signore degli spiriti saràubriaco del loro sangue...».

«... Sterminerai dunque tutti i popoli che ilSignore Dio tuo sta per consegnare a te...».

III – IL MALEFICIO INFETTA I GENTILI

Tonio, l’abbiamo già detto, era unpacifico camionista dedito al suo

lavoro e alle petunie amaranto, alla cacciadi frodo e alle serate al biliardo. Nonaveva opinioni “politiche” e curava il quie-to vivere evitando di schierarsi e di parte-cipare. Ma adesso c’era una provocazioneche veniva ad insidiarlo nella sua stessacasa, un affronto che minacciava lui e l’in-tera comunità...

Tonio volle cercare forse solidarietà,forse qualcuno cui raccontare la sua scon-certante vicenda, forse chiedere man fortecontro gli inaspettati invasori. Iniziò colrecarsi da un suo vicino.

«Buongiorno tziu Piriku... – esordìTonio – Non le dico cosa mi è capitato...Dovrà credermi sulla parola perché la sto-ria è da non crederci...».

Ma tziu Piriku non gli sorrise amiche-vole, non lo invitò ad entrare, non gli offrìda bere. Severo e accigliato gli puntò l’in-dice e recitò con spietata contrizione: «Eda una parte sistemerà i giusti che hannoonorato il Suo Nome, e dall’altra metteràgli iniqui che infangarono la Sua Legge...e per questi il castigo sarà tremendo einflessibile nella sua Suprema Giustizia!».

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Tziu Luisiku prese a sbattersi la testa almuro, darsi pugni in testa e invocare conurla raccapriccianti l’Inferno e laDannazione...

Poi l’urlo da terribile si fece inarticola-to e disumano... Il peccatore iniziò a con-torcersi in pose assurde e scomposte...prese a vibrare sempre più velocemente edivenne prima grigio in tutto il corpo epoi rosso e infine incandescente... quindiesplose in una vampata accecante lascian-do di sé un mucchietto di cenere, alcunescintille nere e per l’aria un greve tanfo digabbiani.

Tonio urlò e fuggì via in preda al pani-co e alla disperazione.

Si sentì accerchiato. In trappola. Solocontro tutti.

Da solo non poteva farcela, dovevaricorrere ad altre Potenze.

Ma tziu Luisiku non lo ascoltava, pro-strato sul pavimento piangeva e singhioz-zava percuotendosi il petto e strappandosii capelli. «Sì, ho peccato... è giusto che ilSignore mi punisca... me lo merito perchésono stronzo e peccatore... O Jahwè,Jahwè! Puniscimi! Manda la tua folgore adincenerirmi! Sbattimi all’inferno e chenon se ne parli più...».

Allibito e sconcertato Tonio cercò difar ragionare il povero afflitto. «Ma tziuLuisiku! Non si faccia infinocchiare dallapropaganda ebrea! Freud ha dimostratoche il senso di colpa e il complesso pater-no sono associati al credo religioso!Insomma sono tutte fandonie! Dio nonesiste! E se esiste non è ebreo! Non diaretta alla bibbia... Dio non avrebbe maiscritto un libro del genere...».

Ma ormai era troppo tardi e le invoca-zioni accorate di Tonio non potevanoscuotere il pover uomo.

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Bruno Pittau,Supremazia della matita,

1990, tecnica mista

percepita dall’orecchio, ma Sardus Paterparlò.

Con sua profonda delusione constatòche si esprimeva in italiano.

«Così ti parlo – gli spiegò Sardus Pater– giacché la mia antica lingua, con laquale cantavano le Mie lodi i Shardan, tunon la capiresti... e non pretenderai certoche mi adatti alla vostra odierna “limba”,completamente corrotta dal latino...».

«Certamente, Babbai – rispose affettuo-samente Tonio – Ma non La invocai di certoper disquisizioni storico-linguistiche...».

«Sai com’è – proferì con impercettibileamarezza Sardus Pater – Ormai non miinvoca proprio più nessuno...».

«Sì, devo ammettere con estremo rincre-scimento che negli ultimi millenni il Vostroculto è stato alquanto trascurato... Ma sonovenuti in armi, hanno spodestato i Vostrisantuari e con la spada ci hanno imposto iloro dèi... – si giustificò Tonio – Ma io avreiun’idea per restituire ai Sardi il loro unicovero Dio... E appunto per questo Vi hoinvocato... Da solo non ce la posso fare...».

«Siamo alle solite... – commentò conlieve sarcasmo Sardus Pater – Siamo allesuppliche... Per le proprie miserie si vor-rebbe scomodare nientemeno che ilSignore dell’Universo!».

«No, Sardus Pater... – replicò Toniocon fiero orgoglio – Non chiedo nienteper me stesso... Fronteggerò e annienteròla canea nemica con la sola forza della miavirtù... Ma la mia aspirazione è più gene-rale... Ho un’idea per scuotere le masse eunificare l’identità dei Sardi...».

Sardus Pater, si limitò a lampeggiare trail punto interrogativo e la perplessità.

«Occorre il Suo divino intervento... –riprese Tonio con ardore ed entusiasmo adesporre il suo piano – Ella dovrebbe fartrovare un documento, una targa, un’iscri-zione, magari in più copie ed in diversi sitiarcheologici... dove Ella, Sardus Pater,regala ai Sardi il continente europeo...oppure, in seconda istanza, ci concede laCatalogna e la Toscana...».

Sardus Pater rise fragorosamente inperfetto stile “sardonico”. Poi la divina ila-rità si spense e così parlò: «Tutto il maleviene dalla parola scritta... e non credereche abbia risparmiato critiche alla brillan-

IV – SE NON PUOI VINCERLI

UNISCITI A LORO

Nelle profondità della cantina diTonio, arde ininterrottamente dal

Pleistocene una lampada dalla luce rossa-stra al centro di un cerchio di consuntimenhir.

Tonio si purificò nel lavacro rituale,indossò la veste sacerdotale in pelo di tzir-bone, mise la tiara dalle corna di cervo,cinse alla cintola il bronzeo pugnale ebevette una pozione propiziatoria a basedi cannonau e segale cornuta.

Entrò nel cerchio, rianimò il sacrofuoco ed i menhir risplendettero di vividibagliori. Sparse sulla brace essenze profu-mate e sostanze aromatiche e senza altripreamboli così parlò al suo proprio dio:«Dio dei Sardi! O Sardus Pater! Udite l’in-vocazione di un mortale offeso e calpesta-to dall’impostura di dèi nemici...».

Contrariamente al dio ebreo che nes-sun vivente può scorgere senza immedia-tamente morire, il dio dei sardi è invece dinatura benigna e pertanto all’occorrenza sidà sembianza nella forma che i nostrisensi sanno intendere.

Iniziò come nuvoletta tenue di lumine-scenza vagante... poi qualcosa si addensòin una vaga forma globulare, pulsante trail cerchio ed il tronco conico... mutevole eipnotica. Echi prenuragici... templi antidi-luviani... la Dea Madre... sottofondo dilauneddas e campanacci.

Tonio pianse di commozione pura eintensa quale non credeva di poter prova-re. Ma fu solo un attimo di debolezza,trasse un respiro profondo, scacciò via l’e-stasi e riprese il controllo della situazione.Si levò in piedi e da fiero Gentile cosìparlò al suo proprio Dio:

«Dio dei Sardi... Non chiedo per me lavendetta che saprò prendermi con la miaforza e il mio coraggio... Ma nonostante ilmio valore niente potrò contro la moltitu-dine della canea nemica... Dunque io michiedevo... Se il Dio dei Sardi manifestassela Sua potenza con un intervento specia-le... Sì, insomma... ripagarli con le lorostesse armi... Ecco, si potrebbe...».

Tonio non saprebbe dire se quella vocechiara e tonante fosse generata dal cuore o

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che dovrei forgiare lascia alquanto a desi-derare...».

Nuovamente risuonò la divina ilarità.Una risata di sconfinata gioia e diverti-mento quale soltanto gli dèi possonoesprimere di fronte alle vicende umane.

Poi l’eco si spense, una folata di vento ela cantina divenne improvvisamente fred-da e buia.

Tonio urlò atterrito e disperato, SardusPater se ne era andato... il sacro fuoco cheardeva ininterrottamente dal Pleistocene siera spento!

te idea del dio Toth di insegnarvi la scrit-tura... Ma ormai era troppo tardi, gliumani hanno colto al volo l’opportunitàdi quel sistema... hanno compreso imme-diatamente l’autorità e il potere che ven-gono da segni che si fanno parola...».

Tonio rimase disorientato e confuso,non aveva invocato il suo Dio per sentirsirifilare considerazioni morali... No, eglivoleva un aiuto concreto...

Sardus Pater riprese, con tono diverti-to: «E poi, caro Tonio, lasciatelo dire daltuo Dio, non hai la tempra del Mosè...».

«Beh, se è per quello... – replicò Tonioindispettito – anche la tempra del popolo

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Bruno Pittau,Viaggio al termine dellaNotte – un ricordo di

Domus de Janas,1990-2001,

tecnica mistarielaborata al computer

«Benissimo, ma questo è compito suo...– puntualizzò il professore – La mia partel’ho fatta ed ora, come convenuto, lei mipaga e noi non ci siamo mai visti...».

«Sì, certamente, ci mancherebbe...»accondiscese Tonio, un po’ deluso eimprovvisamente consapevole di tremendasolitudine, di sconforto e vertigine per ilgrandioso progetto, l’enormità del compi-to che si era dato.

Ma Tonio ritrovò la fredda determina-zione, pagò l’opera del falsario e si saluta-rono cordialmente ribadendo l’intesa «noinon ci conosciamo».

VI – CAMBIARE QUEL CHE FU IN QUEL

CHE SAREBBE DOVUTO ESSERE

La Storia ci insegna che non ha impor-tanza quanto possa essere folle, deli-

rante e assurda un’idea; se qualcuno neavrà i mezzi la realizzerà. Così i sognatoridivennero grandi allorché seppero darsi imezzi per i loro propositi, altrimentisarebbero rimasti degli illusi frustrati e laStoria non ci tramanderebbe le loro con-quiste.

Tutto questo per dire che Tonio era unilluso sognatore, un perdente votato allasconfitta. Tutti i suoi mezzi erano uncamioncino sgangherato carico di falsireperti archeologici, la complicità merce-naria del custode del sito di Barumini e diun suo compare sorvegliante al museo diCagliari... invece per lo strombazzamentomediatico e la corruzione di accademici el’interessamento dei politicanti non avevail becco d’un quattrino.

«Ma il resto verrà da sé... – affermòTonio con esagerata fiducia – Sarà suffi-ciente che la stampa riporti la notizia deiritrovamenti che si innescherà un meccani-smo inarrestabile. Basterà che un giornali-sta butti giù a caso qualche considerazionesull’identità del popolo sardo... e che qual-che astuto politico colga al volo l’opportu-nità e rilanci aumentando la posta... eappena il popolo sarà infiammato spunte-ranno come funghi i visionari ed i miraco-lati, i profeti ispirati e gli scribi che incide-ranno le gesta magnifiche dei fieri Shardane delle loro terre “al di là del mare”...».

V – CARTE FALSE

«Per compiere Grandi Imprese, gentecomune non va adoperata: se hanno collabo-rato, siano ricompensati con denaro».

(I King)

Aiutati che Dio t’aiuta era uno degliottimi motti appresi da Tonio nella

sua infanzia e adesso era il caso, con lacomplicità o anche a dispetto del propriodio, di darsi da fare in prima persona.

Tonio non aveva né il tempo né la for-mazione per fare le ricerche scientifiche ade-guate, occorreva trovare un complice conprofondi studi sulle lingue antiche e compe-tenze in archeologia e tecniche di falsifica-zione. Il professor Matzoneddu si prestòimmediatamente alla truffa, aderì con entu-siasmo e quasi non stava nella pelle per lagioia dell’esercizio accademico di creare unfalso con tutti i crismi della verosimiglianza.

«Stia pur certo... – esclamò soddisfattoil professor Matzoneddu – che inganneràil più rinomato esperto...».

«Professore, ho completa fiducia... –osservò Tonio – Ma oggi esistono sofisti-cati metodi di datazione... Non vorrei che,insomma... È proprio sicuro che ad ognianalisi risulterà autentico?».

«Non faccio per dire... – ridacchiò alle-gro e divertito il professor Matzoneddu –ma oltre agli studi propriamente accade-mici sono stato lunghi anni “a bottega” daun falsario di Volterra... E stia pur certoche ne abbiamo gabbati di dottoroni eru-ditissimi... Pensi che i bronzi di Riace li harealizzati un mio allievo del primo anno eglieli ho fatti buttare in mare perché mal-riusciti... eppure, ha visto? stanno neimusei e girano il mondo...».

«Sì, ma questa volta la stiamo sparandoveramente grossa...» osservò Tonio.

«Non tema... – affermò perentorio ilprofessor Matzoneddu – Abboccheran-no... Più la cosa è spropositata e più gliaccademici ci cascano... dia retta a me...».

«Speriamo bene... – si augurò Tonio –Domani faremo trovare una stele aBarumini... Un’iscrizione spunterà nelnuraghe Losa ad Abbasanta... Un’altraverrà fuori nel nuraghe Arrubiu e così viaper una dozzina di siti...».

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lei me lo autorizza vado e ce ne portouguali...».

«Taci! Bestia ignorante!» strillò esaspe-rato il direttore, poi, sotto un frammentod’anfora scorse un riflesso metallico...

«E questo cos’è?» si incuriosì. Scostòcocci e vetraglia e scoprì una targa bronzeaall’interno di un grosso frammentod’anfora.

«Oh perbacco! – esclamò il direttore –Questa poi... Chi l’avrebbe mai detto?!».

§

L’indomani la notizia faceva il giro delmondo e da quel momento fu un succe-dersi ininterrotto di ritrovamenti impen-sabili nei siti più impensati.

Il professor Attilio Ruderi, AltoAccademico della Facoltà di Storia Antica,Antichissima e Protostoria Remota, dopouna notte insonne lacerata da dubbi eincertezze ma coronata all’alba da soffertadecisione, prese il telefono e chiamò il col-lega professor Enrico Geroglifo, AltoAccademico della Facoltà di Archeologia eAntichità Vetuste.

«No, Enrico... al diavolo il prestigioaccademico! Qui è in gioco la nostra one-stà intellettuale di studiosi... dobbiamorivedere le nostre precedenti convinzioni...dobbiamo prendere atto delle nuove sco-perte... Ricorda che: Essere arditi quandosi ha un passato da compromettere è il segnopiù grande della forza».

«Calma, Attilio, calma... – risposeflemmatico il prof. Geroglifo – Noncominciare con i tuoi aforismi solenni... esoprattutto non traiamo conclusioniaffrettate... Ponderiamo con calma... Badache alla Commissione per la Cattedra diProtostoria aspettano solo una tua mossafalsa per favorire il professor Putzoni, cheha meno titoli di te...».

«Metto in gioco la mia carriera, il mioprestigio accademico, accetto il rischio delridicolo... – insistette il prof. Ruderi – Mai reperti venuti alla luce, incontrovertibil-mente autentici, mi obbligano a rivederel’intera storia dell’umanità...».

«Beh, senza troppo esagerare... – con-cesse il prof. Geroglifo – Possiamo certo

Tonio in febbrile eccitazione vedeva giài titoli dei giornali, le televisioni, i con-gressi accademici, gli studi e le pubblica-zioni, i dibattiti ed i comizi...

Un pastorello del Gennargentu inse-guendo una capra scopre una grotta contarghe ed iscrizioni del periodo nuragico...

Nel museo di Cagliari si spacca in pezziun’anfora etrusca e all’interno si scopreuna lamina di bronzo con strane iscrizionie figurazioni della cultura nuragica...

A Barumini il crollo di una parte delmonumento mette in luce una targa inbasalto con iscrizioni in greco arcaico,etrusco primordiale, cuneiforme assiro edue alfabeti assimilabili al proto-celtico edai geroglifici egiziani...

E così via per tutta la notte a fantasti-care e precorrere e consumare anzitempole vicende che mancheremo di vivere.

VII – LE CERTEZZE VENGONO EROSE,IL DUBBIO LA FA DA PADRONE

“Negare dei fatti perché li si ritiene incom-prensibili, sotto il profilo del progresso scien-tifico è certamente più sterile che formularedelle ipotesi”.

Levy-Strauss

Il direttore del Museo archeologico diCagliari esaminò il disastro, la vetrata

infranta e le preziose anfore del VIII seco-lo a.C. sparpagliate in mille pezzi...

«È stato Puddu!» denunciò prontamen-te il primo Custode Sanna.

«Non è vero! – protestò il secondoCustode Puddu – è stato Sanna che mi haspinto!».

«Nient’affatto! – replicò Sanna – seistato tu che hai sbattuto!».

«Silenzio! Basta così! voi bestie scellera-te!» li zittì il direttore con lo scarso residuodi autorità che ancora riusciva ad incutereai guardiani, poi, costernato e sconvolto,prese a mormorare fra sé e sé: «Dio mio...che disastro... pezzi unici... reperti inesti-mabili...».

«Ma no, professore... – si intrommisePuddu – nei magazzini ce ne sono amigliaia uguali e, se posso dire la mia,anche più belli e moderni di questo... Se

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Shardan voi eleverette i Miei Santuari /dalle Baleari alla Catalogna / dalla Corsicaall’Etruria / dalla [frammento mancante] evi insedierete con le vostre genti e quelle terresiano vostre e dei vostri discendenti [fram-mento mancante] per l’eternità [frammen-to mancante] Fieri e liberi Shardan saretepadroni di tutte le genti e ogni creatura delmare, del cielo e della terra vi sia sottomessa[frammento mancante] comanderete sututte le genti e imporrete su tutti la spada ele vostre usanze che [frammento mancante]sia benedetto questo patto inviolabile fra ilpopolo Shardan e l’Unico Vero Dio Signoree Creatore di questo e degli Universi a veni-re...».

«Ma dice proprio Catalogna? – chieseun po’ sorpreso e dubbioso il prof. Ruderi.

«Beh... sai – spiegò il prof. Geroglifo –la traslitterazione è prudenziale... insom-ma, abbiamo preferito tradurre conCatalogna quel che sembra alludere allaSpagna intera...».

«Capisco... – mormorò confuso e scon-certato il prof. Ruderi – dunque dobbia-mo ammettere che le popolazioni nuragi-che erano progredite oltre l’immaginabi-le...».

«Molto di più! – rincarò il prof.Geroglifo – Conoscevano il calcolo diffe-renziale, il teorema di incompletezza diGödel e i paradossi dell’infinito diKantor... Sono certo che conoscevano iraggi laser e il segreto dell’antigravità...Ma forse un cataclisma li imbarbarì e queibarbari latini che li invasero distrusserocon furia superstiziosa ogni traccia dellascienza dei shardan...».

«Basta così... ce n’è più che a sufficien-za... – esclamò il prof. Ruderi – Adessochiamo il presidente della giunta e l’asses-sore alla pubblica istruzione e mi facciofinanziare un istituto di ricerche... scavi...ricerche... mega-convegni con ricche pub-blicazioni, conferenze e dibattiti con altis-sime personalità della cultura... ovvio checosterà un sacco di soldi ma la ricadutad’immagine sarà tale che anche l’assessoreal Turismo ci dovrà mettere qualcosa...».

affermare che ormai rischiamo tutti il ridi-colo a non accettare l’evidenza dei fatti...Ormai i ritrovamenti sono troppo nume-rosi e anche quest’ultimo, nelGennargentu, mi porta a sciogliere ogniindugio e abbandonare ogni riserva...».

«I ritrovamenti del Gennargentu?Cos’altro hanno trovato?» chiese conapprensione il prof. Attilio Ruderi.

«L’ho esaminata ieri sera... – spiegò ilprof. Enrico Geroglifo – una stele di gra-nito con stupefacenti intarsî in diorite...levigata alla perfezione...».

«Lascia perdere i dettagli... Cosa c’èscritto?».

«Non sono dettagli... – s’impuntò ilprof. Geroglifo – Ciò dimostra che i nura-gici erano insuperati maestri della leviga-tura... I test parlano chiaro... gli esamidicono che è stata lavorata e incisa attornoal III, millennio prima dell’era volgare...Quindi ha almeno cinquemila anni! Lemuffe rilevate in una spaccatura del reper-to spostano la datazione addirittura al IVmillennio... Ed è levigata con tolleranze di0,2 micron... sbalorditivo... stupefacente...incredibile...».

«Ma la scrittura? che alfabeto? l’avetedecifrata? si può sapere?» chiese esasperatoil prof. Ruderi.

«Beh, i Lincei della Cattedra di LingueMorte sono riusciti quasi senza difficoltà adecifrare lo sconosciuta scrittura... E leconseguenze non sono da poco... Senzaesitazione possiamo affermare di saperedonde trassero l’alfabeto i fenici... Le ana-lisi dicono inconfutabilmente che risalealla cultura di Bonuighinu... I test parlanochiaro, dobbiamo ammettere che perquanto sconcertante si tratta di una gran-diosa scoperta... Abbiamo trovato la“Madre di tutte le Lingue” e l’intera storiadell’evoluzione della scrittura è da rifa-re...».

«Sì, entusiasmante, benissimo... ma sicapisce qualcosa? cosa c’è scritto?».

«Ah, ecco, te la leggo subito... ho qua ilfax che m’hanno spedito...

«Il Mio Nome non ha parole per dirSi /Né voi, mio popolo, avete lingua per pro-nunciarlo / Fieri Shardan dominatori delleacque e Signori dei Mari ... [frammentomancante] dalla grande e potente isola di

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pianura dove fitte crescevano le palme affin-ché ne facessero palafitte...».

«Nuovi ritrovamenti del mar deiSargassi gettano nuova luce sull’interpreta-zione del versetto di Isaia 56, 84, 185... –controbatteva Jericho – Per esempio stascritto che... Yahweh, Dio del Cielo, a noitribù di Zacaria sua prediletta giacché inpiù occasioni offrimmo vittime e oblazioninel deserto, ha concesso tutte le terre ove lapalma cresca la melanzana e la palafitta sifaccia fitta pianura...».

«Ma uno studioso di Brooklyn, Ana-stasio Cyomslavskij, ha scoperto un inedi-to di Isaia dentro una brocca in unatomba kabira... – replicò prontamenteShaaron – Sta scritto che... Ogni cosa bellache ci sia tra valle delle melanzane e lapampa delle palme sia della tribù diGeremia e della sua discendenza...».

«Invece il rabbino di Alcatraz ha sco-perto un frammento di un rotolo scampa-to alla distruzione della biblioteca diAlessandria... Un passo vergato di pugnoda Isaia stesso... – continuò imperterritoJericho – Dove sta scritto che... Ecco, io doalla tribù di Zacaria ogni palmo di pampache sia a valle di ogni cosa bella tra lemelanzane e il colle che le sovrasta... E tuverserai il loro sangue sull’altare e bruceraile loro parti grasse come sacrificio consumatodal fuoco, soave profumo per il Signore... Èquesta un’alleanza inviolabile, perenne...».

«Ma nient’affatto... Nuovi studi effet-tuati dal talmudista Abramo Virtëns-danskij rivelano nuove interpretazionidelle “Lettere dal carcere” di Giosuè, inparticolare il passo 54, 65, 675 andrebberiletto in questo modo... – riprese Shaaron– Sterminerai dunque tutti i popoli che ilSignore Dio tuo sta per consegnare a te; iltuo occhio non li compianga; non servire iloro dei, perché perirà anche il loro ricordo...Ma io manderò i calabroni davanti a te edessi scacceranno dalla tua presenza l’Eveo, ilCananeo e l’Hittita... Stabilirò per la tribùdi Geremia il tuo confine dal deserto dellemelanzane fino al colle delle palme... ed essinon abiteranno più nel tuo paese e tu onore-rai il Signore tuo dio con sacrifici e abluzio-ni e non avrai altro dio...».

VIII – EPILOGO

Pocos, locos y mal unidos.

Aquel punto Tonio doveva solo bearsidel “meccanismo inarrestabile” che

aveva messo in moto. Aveva lanciato lapietra nello stagno, e ora vedeva le ondeconcentriche allargarsi e prender forza.

Ma si sentiva inquieto, la piega cheavevano preso gli eventi non era quellache si immaginava... La “questione sarda”era diventata un business nelle mani degliagenti delle multinazionali, i sardi eranotagliati fuori e ne uscivano più omologatie sottomessi di prima.

Tonio con amarezza prendeva coscien-za del fallimento e dell’ingenuità dei suoipropositi. Non si può improvvisare unacoscienza nazionale, tantomeno in unpopolo che ha discusso all’infinito sultema dell’identità. Come poteva lontana-mente sperare di fondare un movimentodi stampo messianico su basi etniche? Gliebrei avevano millenni di vantaggio...

E mentre stava così rimuginandoimmerso nella sua tana domestica, il lus-sureggiante cortile della sua casa campida-nese, sentì una specie di mormorìo, unparlottare basso al di là del muro.

Erano i sionisti che stavano prendendopossesso della sua proprietà.

Elhoim Shaaron e Isaac Jericho discu-tevano animatamente assistiti da notai etalmudisti, mentre attorno a loro si affac-cendavano geometri e carpentieri, soldatie carri armati.

«Le scritture parlano chiaramente... –diceva Shaaron – Tutto quel che dallapalma si stende fino al colle delle melanzanesia della tribù di Geremia...».

«Nient’affatto... – replicava veementeJericho – Sta scritto che... Tutta la palmaqual si stende delle melanzane il colle siadella tribù di Zacaria...».

«I rotoli del mar Caspio riportano testimeno rimaneggiati... – insisteva Shaaron –In particolare il passo che dice... La tribùdi Geremia offrì vittime e oblazioni neldeserto... e Yahweh diede loro il colle dettodelle melanzane affinché ne crescessero e la

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Memorie di un viaggiodi solo andata

Nunzio Caponio

Memoria # 4 – Nasdarovia: 9300 Km in un sorso ferrato – Battiti a 30 sottozero

conversazione andati a vuoto per via dellalingua, si mise a leggere. Era un uomomolto distinto, sulla cinquantina, conmaniere eleganti: non potevo fare altroche lanciare la mia immaginazione algaloppo e fantasticare sugli accadimentidella vita. Io, in prima classe, con zaino escarponi, che dividevo lo scompartimentocon un uomo vestito di tutto punto: que-sto grazie al fatto che i quattro soldi cheavevo, in rapporto al rublo russo, valevanouna fortuna e potevo permettermi il lussodi uno scompartimento per due con ten-dine ricamate, nonostante non avessi nep-pure un lavoro. Se fossi stato russo proba-bilmente mi avrebbero fatto salire su queltreno solo per andare a lavorare nelle fab-briche della Siberia oppure sarei statocostretto ad adeguarmi al sistema e a rela-zionarmi con esso in modo da avere unavita dignitosa, anche a costo di fare laspia. Questo ragionamento mise in crisi ilmio ego, facendomi riflettere su qualefosse la mia “posizione” sociale. Mi senti-vo un barbone in movimento, fortunatoperché avevo 1400 dollari in tasca. Anchese avevo sposato pienamente la teoria delfilosofo americano C. Graves, che affer-mava che il turista è la specie più evoluta,rimaneva sempre il fatto che io non pro-ducevo nulla. Il mio concetto di “espe-rienzialismo” venne messo a dura provadalla praticità comunista.

Mi venne il dubbio che stavo sprecandoil mio tempo in cose frivole e che magari ilmio viaggiare non era altro che un assur-dità: io, su di un treno, senza un meta pre-cisa. Un pazzo. E se fosse stato C. Graves il

La mattina dopo era il giorno delmio compleanno. 24 novembre. 24anni. Mi svegliai ammirando un

paesaggio magnificamente innevato conchiazze di case e fabbriche che sbucavanoall’improvviso insieme allo sguardosognante di bambini che salutavano i pas-seggeri di quel treno diretto in una Russiaa loro ignota. Contemplavo i loro occhifuggenti, pensando a cosa sarebbe stata laloro vita una volta rimasti nel silenzioinvernale. Mi complimentai con me stessoperché che ero riuscito, ancora una volta,a rimanere fedele alla promessa che mi erofatto anni prima: quella di trascorrere ognimio compleanno in un posto diverso nelmondo. Viaggiare lungo la Transiberiana,il tragitto ferroviario più lungo delmondo, mi esaltava. Ad essere precisi per-correvo la cosiddetta Transmongolia: erodiretto a Pechino via Ulanbataar, capitaledella Mongolia. La Transmanciuria rag-giungeva Pechino direttamente dallaRussia, mentre la Transiberiana terminavaa Vladivostok. Il viaggio sarebbe duratocirca sei giorni cambiando ben sei fusiorari. Lo stesso viaggio, a cavallo, primadel 1901, sarebbe durato quattro mesi.Dieci anni di lavori, realizzati da 90.000persone, per la maggior parte condannateai lavori forzati, migliaia delle quali mortea causa delle terribili condizioni di lavoro;una media di 740 chilometri di rotaie rea-lizzate all’anno. Grazie a tutto questo oggimi potevo godere il mio bel compleannoviaggiando ad un prezzo super-accessibile(la vita di migliaia di persone). L’uomocon cui condividevo lo scompartimentoera sveglio e dopo un paio di tentativi di

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pazzo e io un semplice illuso a spasso per ilmondo, quando tutti erano impegnati afare qualcosa? Decisi di riflettere su altro.Stavo percorrendo uno dei miei filoni dipensiero negativo che portavano solo alladepressione esistenziale. Con il mio ormai“compagno” di viaggio ci scambiammoancora un paio di occhiate e sorrisi cortesi.Non riuscii a scrollarmi di dosso il mio pes-simismo e mi tornò in mente l’ospitalità diAndrey, il giorno prima, dove, insieme aisuoi familiari, ero stato trattato come uncaro amico che non vedevano da anni equesto senza sapere nemmeno chi fossi. Eperché? Cosa vedevano in me? Di certo imiei genitori non avrebbero accolto in casaun russo conosciuto casualmente su untreno. Questa idea mi faceva sentire unimpostore, un approfittatore che era dispo-sto a prendere ma, in fondo, non era dispo-sto a dare. Durante i miei viaggi sentivospesso storie di viaggiatori che dopo esserestati ospitati dalla gente del luogo lasciava-no un indirizzo falso per evitare di trovarse-li sulla porta delle loro belle case occidenta-li. Io ad Andrey avevo almeno dato l’indi-rizzo giusto: quello della casa dei miei geni-tori. Mi lasciò perplesso il fatto che durantela cena da Andrey sentivo, durante i varitentativi di dialogo, nel bel mezzo dell’in-

comprensibile russo, la parola “rinascimen-to”. Che strano. In America, una volta rive-lata la mia identità italiana, mi sentivo ripe-tere le classiche parole associate all’Italia:“spaghetti”, “cappuccino”, “pizza” sino adarrivare, al massimo, a un “grazie” o a un“buongiorno”. Invece a casa di Andrey sen-tivo la parola “rinascimento”, nella qualecoglievo un pizzico di frustrazione da parteloro mentre tentavano di spiegarmi qualco-sa che io non capivo.

Nel frattempo, il paesaggio si era tra-sformato come d’incanto: stavamo attra-versando delle foreste innevate. Tutto que-sto non destava l’interesse del mio compa-gno di viaggio che, ignaro dei miei pensie-ri, continuava a leggere il suo libro. Erachiaro che era un abitudinario della tratta.Io, al contrario, mi appoggiai al finestrinoad ammirare ciò che, con molta probabi-lità, non avrei mai più visto in tutta la miavita. Volevo riempirmi gli occhi di quellavista che mi dava una strano senso dibenessere: di quelle magnifiche forestericoperte di neve che si perdevano a vistad’occhio. Ebbi la netta sensazione di tro-varmi al posto giusto nel momento giusto.Stare su quel treno, ammirare quellamagnifica creazione della natura: era esat-tamente quello che dovevo fare.

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Bruno Pittau,Il fantasma di Oona,tecnica mista, 1990

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Era stata una mia scelta: l’idea mi ren-deva felice e mi faceva sentire profonda-mente libero. In un certo senso stavovivendo il mio rinascimento dato che lamia infanzia era stata decisamentemedioevale.

Nel Medioevo l’uomo non aveva nes-sun valore se non come membro di unacollettività, appartenente ad un ordine oad un ceto. L’uomo medioevale era coluiche ubbidiva. Nel rinascimento l’uomodivenne autonomo nelle sue decisioni enon più succube. Io non ero succube diniente e di nessuno. O almeno così crede-vo. Probabilmente Andrey e la sua fami-glia stavano aspettando il loro rinascimen-to ed il mio passaggio nella loro vita altronon era che la testimonianza che c’era spe-ranza. Mi faceva sorridere l’idea che inRussia associassero l’uomo italiano non adun pizzaiolo ma al primogenitodell’Europa, grazie alla sua trasformazionein uomo moderno e libero. Purtroppo ilcomunismo russo aveva sostituito laChiesa e i Cesari con lo Stato e ogni even-to per la popolazione era collegato ad esso,al punto che il comunismo risultava esserecentro e causa di tutto. Nel Rinascimentol’uomo venne rivalutato e quasi posto alcentro dell’universo: con esso assunseanche nuovo valore l’amore per la vita.Forse era questo che la famiglia di Andreystava disperatamente cercando di comuni-carmi. Avevo la fortuna di essere libero einsieme celebravamo la libertà. Decisi didire al mio compagno di viaggio che eroitaliano e che proprio quel giorno celebra-vo il mio compleanno. Ero curioso divedere se anche lui avrebbe pronunciato laparola “rinascimento”. Attesi il successivoincrocio di sguardi per tirare fuori il miopassaporto e fargli notare la mia data dinascita e nazionalità. Il momento non sifece attendere. Ciò che accadde in seguitofu alquanto bizzarro. L’uomo iniziò adesultare in russo, si alzò di scatto e si dires-se verso gli scompartimenti che fiancheg-giavano il nostro, irrompendo vivacemen-te in essi e informando i passeggeri, tran-quillamente seduti ai loro posti, del gran-de evento: il mio compleanno. Man manoche la notizia si diffuse si sentiva esultarein modo incomprensibile. In men che

non si dica i passeggeri degli scomparti-menti vicini iniziarono a tirare fuori, daiposti più impensabili, bottiglie e pacchettiavvolti nella carta. Dopo cinque minuti,nel nostro scompartimento, c’erano circadieci persone. Il piccolo tavolino era pienodi bottiglie contenenti vodka, di salaminid’ogni genere, pane e bicchieri da acqua,che furono subito riempiti di vodka lisciaper un solenne brindisi in mio onore,diretto dal mio compagno di viaggio eseguito da un solenne ed unanime “nasda-rovia” da parte di tutti i presenti: la vodka,com’era tradizione, andò giù tutta d’unfiato. Sino ad oggi ricordo quello comeuno dei momenti più belli della mia vita.

Dopo il primo brindisi ne seguirononumerosi altri. Tra un bicchiere e l’altro sifaceva una pausa con pane e salamino epoi via di nuovo con un nasdarovia e unbicchiere di vodka d’un fiato. Non eraancora mezzogiorno e avevamo fatto fuoriquasi cinque bottiglie di vodka: la conver-sazione non era più un problema. Ci capi-vamo perfettamente e ridevamo come deibambini. Non era importante capire i det-tagli, era sufficiente cogliere le intenzioni:tutto era chiaro. Negli anni a seguire sco-prii che per i Russi bere elevate quantità dialcool è di vitale importanza per stringerebuoni rapporti sia negli affari che nella vitaprivata. Sostengono che, dopo aver bevutouna bottiglia di vodka a testa esca fuori lavera personalità di ciascuno e, nel bene enel male, si riesca a conoscere profonda-mente la persona che si ha davanti. C’eradel vero in tutto questo. Nel nostro scom-partimento eravamo diventati amici per lapelle. L’uomo dagli atteggiamenti distintinon perse la sua dignità nemmeno quandosi oltrepassò la soglia della decima botti-glia: si era comunque lasciato andare esembrava essere l’uomo più felice delmondo. Per tutti i presenti passato e futurosembravano non esistere più. Eravamo riu-sciti a fermare il tempo su un treno inmovimento. Non esistevano né gli Stalinné i Lenin, ma solo il presente che stavamovivendo tra risate, vodka, pane e salame.Grazie ai miei 24 anni e un buon “allena-mento” riuscii a mantenere la situazionesotto controllo: nonostante avessi bevutotutta quella vodka, non vomitai.

Era ormai notte. Nello scompartimen-to eravamo rimasti in tre a contemplare ifondi delle bottiglie. Gli altri, con il passa-re delle ore, erano andati senza che io mene accorgessi. Mi addormentai per poisvegliarmi in piena notte. Il mio compa-gno di viaggio mi stava salutando. Eraarrivato a destinazione. Ci salutammo coni classici tre baci sulle guance e sparì anchelui, come Andrey, nella penombra. Ancoraubriaco mi rimisi a dormire. L’indomanimattina, al mio risveglio, trovai i guanti dipelle del mio ex-compagno di viaggio sulsuo letto. Li conservo ancora oggi.

Dal momento che ero rimasto solo,Igor, uno dei partecipanti alla festa delgiorno prima, mi chiese di potersi siste-mare nel mio scompartimento. Un gestomolto cortese da parte sua. Passai il restodei giorni a leggere, a bere vodka con Igor,a giocare a scacchi con il capo treno e adammirare le distese innevate che si presen-tavano tra una città industriale e l’altra.Tutti i passeggeri del mio vagone eranorussi ed erano diretti a Ulanbataar, dovelavoravano come operai negli appalti delleditte russe in Mongolia.

Una strana relazione intercorreva inquel periodo tra la Russia e la Mongolia.Secondo Igor, circa il 50 per cento dellapopolazione russa era morta durante l’in-vasione dei Mongoli. Il 15 per cento dellanobiltà russa aveva radici tartare e orienta-li, il che fa presupporre che il 50-60 percento della popolazione russa abbia originitartare e orientali. I Mongoli dominaronoparte della Russia sino al 1480 e questasembra essere stata la causa della fratturacreatasi tra l’Est e l’Ovest, frattura che haritardato di circa 200 anni l’introduzionedelle innovazioni scientifiche e delle mag-giori riforme sociali, politiche ed econo-miche. Sempre secondo Igor, prima del-l’invasione Mongola, la pena di morte, lelunghe detenzioni e le torture in Russiaerano inesistenti. Dopo l’invasione dellaMongolia da parte della Cina nel 1919, laRussia, che accorse per salvaguardare l’in-dipendenza mongola e garantire l’esistenzalibera dello stato “cuscinetto” con la Cina,colse l’occasione per estendere i suoi traffi-ci economici alla Mongolia sino a quando

fu firmato il trattato per il ritiro delleforze armate russe dalla regione. A partireda quella data i rapporti tra Russia eMongolia si deteriorarono, mentre creb-bero le relazioni economiche con la Cina.Igor e i nostri compagni di viaggio eranotra gli ultimi operai Russi rimasti inMongolia. Abitavano ad Ulanbataar conle loro rispettive famiglie, ma da lì a pochimesi, una volta finiti i lavori, sarebberotornati a casa. Igor era riuscito a comuni-carmi tutto questo utilizzando una linguafatta di parole, gesti e disegni.

Il viaggio con Igor stava arrivando altermine.

Ancora poche ore e saremmo arrivatiall’ultima città russa prima di entrare inMongolia: Ulan-Ude. Ci eravamo lasciatialle spalle numerose città lugubri, createsolo per ospitare le industrie con i lorooperai: le ciminiere, che si ergevano nelloskyline delle città, avevano le sembianze didraghi a sette teste che sputavano fumotossico. Durante le fermate si scendeva perfare due passi ed acquistare qualche frittel-la dalle donne dai cappotti di stoffa cheaffollavano le stazioni in cerca di guada-gnarsi qualcosa con i loro prodotti fatti incasa: ma alla fine c’era sempre un senso disollievo quando si era pronti a ripartire.Quelle città non avevano un bell’aspetto ela gente che le abitava era segnata dallasofferenza.

Quando eravamo quasi giunti aUlanbataar, Igor e gli altri compagni diviaggio si riunirono nello scompartimen-to. Pensavo che si trattasse di un saluto digruppo e invece era un invito di gruppo:mi chiesero di fermarmi a Ulanbataar e discegliere chi di loro mi avrebbe ospitato.Tutti avevano dato la loro disponibilità.L’idea di poter vedere la capitale dellaMongolia mi allettava e non riuscii a resi-stere a quell’invito, anche se ciò avrebbecomportato l’acquisto di un nuovo bigliet-to per Pechino. Decisi naturalmente distare con Igor e lui fu lieto della mia scel-ta. Con gli altri ci salutammo calorosa-mente consapevoli che le nostre stradenon si sarebbero incrociate mai più.

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nella pagina a fronte:Bruno Pittau,

Jazzman,china su carta, 1990

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Il 10 di aprile del 2007, se ne è andato, alla veneranda età di 85 anni, uno dei piùgrandi scrittori umoristici dell’età moderna, Kurt Vonnegut jr, definito l’erede(secondo alcuni addirittura una reincarnazione) del gigante Mark Twain.Fra i suoi libri di successo mondiale ricordiamo, almeno, Le sirene di Titano, La colazio-

ne dei campioni, Mattatoio n. 5, Perle ai porci, Comica finale. E la trilogia della sua “apoca-lisse comica” che tutti gli amanti della letteratura non possono fare a meno di leggere:Ghiaccio 9, Galapagos, Cronosisma. Tutti suoi libri sono stati tradotti in italiano dai piùimportanti editori. L’ultimo, pubblicato da MinimumFax nel 2006 è “Un uomo senza patria”, da cuiabbiamo tratto le citazioni di questo salu-to a uno degli scrittori più amati, unvero amico, anche se “lontano”.

A nome di tutti gli amici diSoliana vorrei dare un breve arri-vederci a Kurt. In realtà, almenoin questa vita, non ci siamo maiincontrati; ma lo abbiamo sempreconsiderato uno dei nostri più cariamici, fin da quando leggemmo“La colazione dei campioni”, poi– man mano che uscivano le tradu-zioni – tutti gli altri libri della suaapocalisse comica e le altre raccoltedelle sue stentoree risate.

Ecco, riguardando le coste dei libriallineati sulla scansia, recitiamo i titoli comeun messaggio a Kurt, per dirgli: fatti vivonon appena uno di noi verrà a cercarti lì dove seiadesso, portandosi dietro gli altri. Magari sotto ilmelo dove tuo zio beveva il sidro fresco e dicevaogni volta: se non è bello questo, che cosa èbello? Chissà che non riusciamo a farci unabella chiacchierata e a ridere insieme diricordi comuni. Come quello del giornoin cui hai compiuto ottantadue anni,l’11 novembre del 2004, e ti chiedevi:che effetto fa essere così vecchi? Tilamentavi, ridendo, della forza digravità diventata molto più ostilee del fatto di non riuscire più a fare un parcheggio inretromarcia come Cristo comanda. Chiedevi quindi di

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Ciao KurtOmaggio postumo a Kurt Vonnegut

Mimmo Bua

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non guardarti mentre ci provavi. E natu-ralmente ti domandavi che senso avesse lavita. Uno dei tuoi sette figli, il pediatra, tiaveva risposto: «siamo qui per darci unamano l’un l’altro ad affrontare questacosa, qualunque senso abbia». A prescin-dere dalla corruzione dilagante e dell’avi-dità senza cuore di governi, aziende,media, istituzioni religiose e benefiche – tidicevi – la musica resterà sempre una cosameravigliosa. E aggiungevi:

«Se mai dovessi morire – Dio non voglia– vorrei che sulla mia lapide ci fosse scritto:L’unica prova che gli serviva dell’esistenzadi Dio era la musica». Amavi tutta la musi-ca, compresa quella eseguita dalle bandemilitari: anch’esse, per quanto tu fossi e tidichiarassi un irriducibile pacifista, riusci-vano a metterti di buonumore. E se non èbello questo, Kurt, che cos’è bello?

Sostenevi che la cura più indicata perl’epidemia mondiale di depressione è undono che ha preso il nome di blues, dalquale deriva tutta la musica leggera con-temporanea, compreso il jazz. La medici-na non funziona per i vivi che si illudonodi essere vivi, senza chiedersi mai chesenso abbia la vita. Ma mantiene le suevirtù terapeutiche per i morti come te,Kurt, i vivi che restano sempre vivi; esiamo convinti che appena butterai losguardo ridente su questo blues di parolesenza la musica, lo segnalerai a tuo zio elui, sotto l’albero, ti ripeterà la sua massi-ma: se non è bello questo, parlarsi infi-schiandosene delle presunte barricate cheseparerebbero il mondo sottile da questomondo grossolano, rendendo impossibile

la comunicazione fra i vivi, che cosa èbello, allora?

Aveva ragione quell’ottimo scrittoreamico tuo, Albert Murray, quando si inter-rogava sul motivo per cui, ai tempi dellaschiavitù in America, il tasso dei suicidi frai padroni di schiavi fosse di gran lunga piùalto di quello fra gli schiavi. Murray soste-neva che i padroni non ascoltavano maimusica. Gli schiavi invece, suonando e can-tando il blues, riuscivano a scacciare lospettro del suicidio. E probabilmente sape-vano anche che se l’avessero fatto, sarebbe-ro rimasti schiavi del suicidio per molte viteancora. Che è molto peggio di dover lavo-rare come schiavi in una piantagione o inuna fabbrica: dato che una vita, tutto som-mato, passa in fretta e quella successiva èsempre più importante della precedente.

Murray sapeva bene che il blues nonpuò eliminare completamente la depres-sione in una casa, ma può mandarla anascondersi in un angola in ogni stanza incui la si suona. E tu hai fatto benissimo aricordarcelo: infatti, come raccomandavi,non ce lo siamo dimenticato.

E ogni volta che ripensiamo a te, ascol-tiamo un blues, o anche una bossa nova,che è il nostro genere preferito.

A proposito Kurt, hai scoperto dovestanno adesso Mark Twain e AbrahamLincoln? Non è che erano lì ad aspettartisotto l’albero, bevendo sidro fresco, insie-me a tuo zio?

Vecchio Kurt, ci manchi molto: mabasta aprire uno qualsiasi dei tuoi libri esentiamo la tua risata che suona come unblues. �

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Romanzi1952 – La società della camicia stregata o Piano meccanico;tradotto in italiano anche con il titolo Distruggete le mac-chine (Player Piano)1959 – Le sirene di Titano (The Sirens of Titan). Edizioneitaliana: Elèuthera, Milano, 1993 ISBN 88-85861-27-X1961 – Madre notte (Mother Night)1963 – Ghiaccio-nove (Cat’s Cradle)1965 – Dio la benedica, signor Rosewater o perle ai porci(God Bless You, Mr. Rosewater or Pearls Before Swine). Edi-zione italiana: Elèuthera, Milano, 1991 ISBN 88850605871969 – Mattatoio n. 5 o la crociata dei bambini(Slaughterhouse-Five or the Children’s Crusade)1973 – La colazione dei campioni o addio, triste lunedì!(Breakfast of the Champions or Goodbye Blue Monday!).Edizione italiana: Elèuthera, Milano, 1992 ISBN 88070168931976 – Comica finale (Slapstick or Lonesome No More).Edizione italiana: Elèuthera, Milano, 1990 ISBN 88850605951979 – Un pezzo da galera (Jailbird)1982 – Il grande tiratore (Deadeye Dick)

BIBLIOGRAFIA DI

KURT VONNEGUT[fonte: Wikipedia]

1985 – Galapagos (Galapagos)1987 – Barbablù (Bluebeard)1990 – Hocus Pocus (Hocus Pocus)1991 – Destini peggiori della morte (Fates worse than death)1997 – Cronosisma (Timequake)1999 – Dio la benedica dott. Kevorkian (God Bless You, Dr.Kevorkian). Edizione italiana: Elèuthera, Milano, 2000ISBN 8885060455

Raccolte di racconti1968 – Benvenuti nella gabbia delle scimmie (Welcome to theMonkey House)2000 – “Bagombo Snuff Box”, Vintage UK, 2000. (24uncollected short fiction)

Raccolte di saggi1974 – Divina idiozia (Wampeters, Foma & Granfalloons)1981 – Palm Sunday: An Autobiographical Collage2005 – Un uomo senza patria (A Man without a Country).

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Mario MereuPrima della pioggia

di settembreFrancesca Falchi

«Il vento tira sempre forte, in questabenedetta isola». Si chiude così Primadella pioggia di settembre, debutto

letterario di Mario Mereu, pubblicato dallacasa editrice cagliaritana Aìsara. Benedettada dio sacrosantamente cattolico o danascostamente adorate divinità pagane,questo è tutto da scoprire. È proprio laritualità pagana, le cui invisibili (ma miste-riosamente visibili) vestigia consunte daltempo, celano segreti sussurrati al buio(perché pronunciarli a piena voce ed allaluce del sole causerebbe improvvise e cata-strofiche manifestazioni in/naturali), con lesue ipnotiche modulazioni nell’arcaica“limba de is aremigus”, a costituire il filosottile che lega gli accadimenti del roman-zo. Filo sottile come quello da cui pendonole campanelle, agitate da quel vento (subi-to/evocato) che “tira sempre forte”, prota-goniste assolute di un atipico “romanzo diformazione”: il personaggio principale,Nanni Arthemalle, riscopre, nel suo viag-gio, il se stesso bambino, e scopre, inaspet-tatamente, realtà immutabili e, a tratti ter-ribili, che ardono celate da una contempo-raneità invadente, che furbescamente lemaschera ma consapevolmente non le sra-dica, acquistando una nuova consapevolez-za delle proprie origini e del proprio futuro.Nanni è un giornalista incaricato di realiz-zare un reportage sui paesi sardi dell’inter-no. Si trova così, a distanza di anni, a doversoggiornare nel paese della sua infanzia,Donigala (Siurgus Donigala per i profani).L’aura magica che avvolgeva il paese neisuoi ricordi di bambino permane nel pre-sente dell’adulto: il pane “benedetto” conincisi i “sinnus”, i “brebus”, antiche invoca-zioni che hanno il potere di evocare gli

“aremigus”, “una sorta di uomo nero inversione sarda”, il “suspu mudu”, un’anticadanza rituale. Magia che avvolge anche ipersonaggi che ruotano attorno a Nanni, lacui ambiguità li rende figure sospese di unaterra di confine (come quella su cui cade lapioggia di settembre), dove la realtà assumei contorni incredibili delle leggende raccon-tate alla luce di fuochi ancestrali.L’impianto narrativo procede per capitoli,in cui gli accadimenti, quasi una successio-ne naturale di inquadrature, acquistano unandamento “cinematografico”. L’alternanzadi stili (la prosa del romanzo, ricca di parti-colari, e quella giornalistica, scarna edoggettiva) aggiunge dinamismo alla scrittu-ra “visiva” (o, meglio ancora, “visionaria”,nell’accezione positiva del termine) diMario Mereu, che costruisce un romanzonel quale l’immaginazione del lettore vieneguidata “filmicamente”, permettendo loscorrere nitido delle immagini nello scher-mo “virtuale” della mente. Prima dellapioggia di settembre è un’opera prima disicuro impatto, dove la scelta della location(la Sardegna, appunto), che circoscrive lanarrazione ad un riconoscibile ambitoregionale, non inficia l’originalità del rac-conto. Pur affondando indubbiamente leradici in un popolare ben definito (il prolo-go è preceduto da un brano di Is contus desa nuraxia di Raimondo Demuro, cui illibro è dedicato) il racconto assume la por-tata universale delle bedtime stories, le favoledella buonanotte, dove bene e male, veritàe menzogna, realtà ed immaginazione con-vivono, in un doppio finale che chiude unaporta ma ne apre altre mille sull’infinitodelle possibilità “impossibili”.

MARIO MEREU èstato organizzatore edamministratore invarie compagnie edenti teatrali di Roma,del Lazio e della Sar-degna. Attualmente sioccupa di grafica pub-blicitaria e divide ilsuo tempo fra il mon-do di internet, la scrit-tura e la lettura. Ècreatore di vestiti pergli avatar di SecondLife. Ha pubblicatoracconti brevi nelleraccolte Parole dicarta (Marsilio, 2000)e Lama e trama (Zo-na, 2004). Prima dellapioggia di settembre è ilsuo primo romanzo.

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Aìsara (www.aisara.eu) èuna giovane casa editricenata per volontà dei fra-telli Ghiani, dalla cuiazienda tipografica eredi-ta un amore particolareper il libro. La consisten-za della carta, il profumodell’inchiostro, la stampae la legatura si aggiungo-no al valore delle parolenella realizzazione di libridi alta qualità per fattura,cura editoriale e conte-nuti. Nel suo catalogosono presenti le collanedi narrativa, varia, saggi-stica e poesia. Nell’im-mediato futuro verrannopubblicati titoli francesi espagnoli, inoltre pren-derà corpo un progettoriguardante la letteraturaper ragazzi.

S uite francese di Irène Némirovsky,recentemente pubblicato in Italiadalla Adelphi (19 euro), è un libro

notevole sia per la qualità della scritturasia per il contenuto. Nel progetto origina-le una sinfonia in cinque movimentiavrebbe dovuto raccontare l’occupazionenazista in Francia nel suo svolgersi.

La Némirovsky scrive alacremente, mail suo arresto e deportazione ad Auschwitzci privano non solo di una donna eccezio-nale ma anche di una grande scrittrice nelcompimento della sua opera.

Figlia di ebrei russi, emigrati in Franciaper sfuggire alla rivoluzione sovietica, nel1929, col suo primo romanzo David Golder,la Némirovsky diventa, a soli ventisei anni,una celebre scrittrice parigina. Per un assurdodestino, nel 1942, viene abbandonata, e forseanche tradita, dagli stessi che l’avevano osan-nata. Solo i primi due movimenti dell’opera,Tempesta e Dolce, giungono a noi attraversocircostanze insperate. La figlia maggiore,Denise, scampata alla persecuzione, conser-va, per molto tempo in una valigia, il grossoquaderno rilegato scritto dalla madre. Denisenon riesce a leggerlo, infine, spinta dallavolontà di salvare l’ultima opera della madre,lo ricopia e lo consegna all’Institut Mémoirede l’Edition Contemporaine.

In Tempesta si narra l’esodo in massadei parigini alla vigilia dell’arrivo dei sol-dati tedeschi. I personaggi, colti nelmomento della fuga da Parigi, sono foto-grafati in atteggiamenti e scelte che nerivelano l’interiorità.

Nel suo sguardo lucido e visionario insie-me, la Némirovsky ci offre la verità sull’uo-mo. C’è chi è teso verso la propria personalesalvezza con cinismo, vigliaccheria, meschi-nità, ma ci sono altri capaci di generosità ederoismo. «… Quando si voltava verso di lei ela guardava, le sorrideva e gli si accendeva negliocchi una piccola luce tenera e ironica». Strettidall’angoscia per la sorte sconosciuta del lorounico figlio partito in guerra, i coniugiMichaud conservano, in tutte le circostanze,gesti quotidiani di attenzione e cura recipro-ca. Alcuni episodi sono tragicamente comici.Durante un incendio, la ricca e rispettabilesignora Péricand salva gli oggetti preziosi masi dimentica del suocero paralitico.

In Dolce è descritta la passione impossi-bile tra una donna francese, sposata ad unprigioniero di guerra, e un ufficiale tede-sco. La passione è tanto più ardente per-ché impossibilitata ad esprimersi. InBruno, Lucile riuscirà invece a vedere,oltre la divisa, l’uomo, il musicista, e adinnamorarsene. Se pensiamo che l’autricevive la guerra e la minaccia nazista, questoparticolare ci dà la statura non solo dellascrittrice ma della donna. Sottilmentedescritto, Dolce, ha momenti particolar-mente felici come quando osserviamoLucile e Bruno discutere attraverso gliocchi vivaci e scuri di una bambina.

La struttura è perfetta, il linguaggioefficace. L’edizione Adelphi arricchitadalle lettere, e da pagine di diario. Lapostfazione è curata da Myriam Anas-simov. �

Irène NémirovskySuite francese

Elisabetta Rombi

«... l’essere umano è complesso, molteplice, diviso, misterioso, ma ci vogliono le guerre o igrandi rivolgimenti per constatarlo. È lo spettacolo più appassionante e più terribile (...) ilpiù terribile perché è il più vero (...) Solo chi ha osservato gli uomini e le donne in unperiodo come questo può dire di conoscerli – e di conoscere se stesso».

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In questo breve ma perfetto romanzo diIrene Némirovsky sono presenti temicomplessi (adolescenza, ipocrisia sociale,

ricchezza senza nobiltà), tuttavia centrale cipare il conflitto tra le due donne, madre efiglia. Quando l’autrice pubblica questolibro, nel 1930, pur essendo giovanissima ègià una affermata scrittrice parigina.

Figlia di ebrei russi, fuggiti in Franciadopo la rivoluzione sovietica, nel 1942 laNémirovsky viene arrestata e deportata adAuschwitz. Solo nel 2004, dopo la pubbli-cazione di Suite Francese, rimasto ineditoper più di sessant’anni, l’autrice è infinesottratta all’immeritato oblio.

Nel romanzo Il ballo il punto di vista,nonostante la narrazione sia in terza per-sona, è quello di Antoinette:

Era una ragazzina di quattordici anni,lunga e magra con il volto pallido di quel-l’età, tanto smunto da apparire agli occhidegli adulti come una macchia rotonda echiara, priva di lineamenti...

L’adolescenza è rappresentata nei suoitratti più caratteristici.

A volte odiava gli adulti al punto cheavrebbe voluto ucciderli, sfigurarli, oppuregridare «Mi hai scocciato!» battendo ipiedi…

Ma non può perché fin da bambina haimparato a temere i genitori. L’occasionedel conflitto qui è l’organizzazione di unballo al quale lei è esclusa. Un eventoimportante, l’ingresso in società… era unagiovanetta e, nei suoi sogni, una donnaamata e bella… e invece la madre la trat-

tiene nel territorio dell’infanzia: Sappi,mia cara, che io comincio soltanto adesso avivere, capisci, io, e che non ho intenzionedi avere tra i piedi una figlia da marito… Ilmotivo dell’esclusione è egoistico. Il man-cato affetto è percepito dalla figlia in tuttala sua ingiustizia e violenza. Sporchi egoi-sti! Sono io che voglio vivere, io, io…

Sono giovane, io… Mi derubano, siprendono la mia parte di felicità sulla terra.

La ribellione repressa si delinea in fan-tasie, talvolta macabre. E si vide sul mar-ciapiede, distesa, in una pozza di sangue…Niente ballo, il 15.

Oppure sogna di entrare nella salaabbagliando i presenti che, paragonandolaalla madre, dicono di quest’ultima: «sem-bra una cuoca al confronto…».

Il dramma dell’adolescenza è descrittoin tutta la sua fragilità, nelle paure, insicu-rezze, desideri …nell’attesa questa vitameschina, piena di umiliazioni, la scuola,la dura disciplina, la madre che grida…

I genitori compilano la lista degli invi-tati, sotto gli occhi di Antoinette. Quandone hanno compilato oltre i cento… sospi-rarono all’unisono dalla soddisfazione e siguardarono sorridendo, come due attorisulla scena dopo la terza chiamata, con un’e-spressione in cui si fondevano stanchezzabeata e trionfo… L’ansia di far parte del“bel mondo” composto da truffaldini,adultere e gigolò, li rivela. Una giocata allaborsa li ha sottratti improvvisamente allapovertà precipitandoli nella ricchezzasenza nobilitarli, anzi…

Il linguaggio scarno rivela l’abilità del-l’autrice nel tratteggiare i suoi personaggi.

Ma lasciami in pace mi infastidisci... emai più Antoinette le aveva dato un bacio,se non quello del mattino e della sera, chegenitori e figli possono scambiarsi soprap-pensiero, come strette di mano fra sconosciu-ti…

Questa madre priva di affetto per lafiglia ha probabili radici autobiografiche.La Nemirovsky, che si gettò nei libri prestoper colmare un grande vuoto affettivo, ebbeuna madre terribile. Basti pensare a comequest’ultima rifiutando le nipoti scampateall’eccidio nazista, le liquidò senza aprireloro la porta con una frase: «Siete rimasteorfane? Andatevene in un istituto». �

…l’una stava per spiccare il volo, mentrel’altra si avviava a sprofondare nell’ombra.

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Il balloE. R.

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Non c’è luce, Lugermalé è il titolodel primo romanzo di MarioDomenichelli, docente di

Letteratura inglese e Letterature compara-te all’Università di Firenze, autore dinumerosi saggi tra cui Il Limite dell’ombra,sul teatro shakespeariano (F. Angeli 1994),e Cavaliere e gentiluomo, Saggio sulla cul-tura aristocratica in Europa: 1513-1915(Bulzoni 2002).

Finalista al premioViareggio 2005, il romanzo èambientato in Somalia nell’89:il paese viene descritto in modovivido e figurativo, da infernodi Bosch a paradiso naturale,presentato con le sue contrad-dizioni, i colori, la gente, lamiseria ma anche la capacità disopravvivenza. Così il libro sot-trae al silenzio una parte delmondo in genere dimenticata.«La televisione, invece, laSomalia se l’è persa, e anche i giornali. LaSomalia è svanita dalla carta geograficatelevisiva e dei media: che sia cadutafuori della globalizzazione?» La scritturadi Domenichelli tiene viva la memoria diun dolore che apparentemente non ciappartiene. «Tutto questo dolore, che quiè così visibile, e da noi invece è spessonascosto… tutta questa violenza… lamorte che vedi dappertutto (...) Vedi quisiamo nel cuore del mondo, qui la veritàè nuda e cruda...».

L’abilità dell’autore è nel far giocare neltesto toni e voci diverse, che insieme allastruttura particolare, il libro dentro illibro, regalano leggerezza inaspettata aduna materia in sé drammatica. Il linguag-gio possiede un suo ritmo interno, talvoltalirico, spesso ironico, non scevro da umo-rismo.

La voce narrante di Valerio ci raccontadi Tomas Malredondo, profes-sore della Cooperazione italianaall’università di Mogadiscio, elegge con noi il romanzo scrittoda lui. Il punto di vista è quellodei bianchi. «Al centro del qua-dro mica ci aveva messo i neri,ci aveva messo il suo Marco, lasua Helga, il suo Gigi...».Commenta Valerio: «Anche luia guardarsi l’ombelico in osse-quio alla tradizione, perché èdifficile, magari è impossibiletrovare un linguaggio diverso».

L’altro, il nero, è, e rimane, alterità inco-noscibile.

Tomas vive nel lutto malinconico, nonriesce a venire a patti col dolore delmondo, lo coglie, con sprezzo di Valerio,soprattutto nella sofferenza degli animali.Il falcone che Tomas non riuscirà a salvareallude forse al destino degli ultimi dellaterra, che non possono eludere la schia-vitù, e saranno sempre oppressi.

L’uso frequente del dialogo, caratteriz-zato dai vari accenti, delinea il carattere

«Il tempo lavora dentro di noi, come la morte, assottiglia le figure, ne fa fantasmi che poisvaniscono». Ma se il tempo dissolve la realtà, la parola, nel trattenere la memoria, la salvadall’oblio. Per questo è importante seguitare a scrivere: «Se non si può fare, si può continua-re a parlare. Verranno altri momenti, anche se ora è tutto buio».

Mario DomenichelliLugemalé

E. R.

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dei personaggi, offre lo spaccato di unmondo in un momento particolare, ricreaun ambiente – quello universitario inSomalia prima della caduta di Siad Barre– situato storicamente eppure non vinco-lato, capace di proiettarsi in una dimen-

sione simbolica. E la questione somaladiventa spia di un malessere generale.

Libro apocalittico, fa segno verso ilvuoto ideologico succeduto alla fine diun’illusione: il sogno comunista. «Se nes-suno avrà necessità di usare la Somalia afini strategici, me lo dici chi avrà interessea dare soldi? Finirà malissimo, e non soloqui». Così afferma Tomas dissociandosidalla euforia generale per il crollo delmuro di Berlino.

Se il compito della letteratura è, secon-do la tradizione conradiana, «to make yousee» (farti capire) ci si può interrogare suquale verità, capace di modificare la nostracomprensione, il testo ci comunica.

Tomas, affidando a Valerio il suopoema Perceval, gli scrive: «È triste pensa-re di aver scoperto una cosa e di nonpoterlo comunicare a nessuno».

E sulle relazioni che intercorrono tra illibro di Tomas e il suo poema intorno alcavaliere del Santo Graal, è lasciato a noilettori il compito di indagare.

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Bruno Pittau,And – 02,

1988-2006,tecnica mista

rielaborata al computer

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«Me lo portarono a casa un mattinodi giugno, spoiolato e smembratoa colpi di scure come un maiale …».

Salvatore NiffoiLa vedova scalza

E. R.

«Morire senza vedere il mare è una cosamolto triste (...) La vita nel mare è tuttasotto, nascosta a chi non sa vedere oltre ilvisibile. Le persone che hanno visto il maresi riconoscono dagli occhi...».

Gli occhi di Mintonia, e quindi anchedi Niffoi, sanno vedere la vita nascosta

oltre il visibile. Se La vedovascalza è una storia feroce disangue e di vendetta, è ancheuna grande storia d’amore.Impensabile altrimenti sareb-bero squarci lirici, subitotemperati nell’ironia.

«Spero che entrare in para-diso sia bello come lo è statoentrare dentro di te». Solo cosìdisse il mio amore. Io raccolsile mutande e me le portai agliocchi per asciugare le lacrime».

Nella volontà di capire,Mintonia sembra invecchiare precoce-mente: leggere è conoscere il mondo,accelerare il tempo. Contesta chi la vuolerinchiudere nel dialetto perché figlia dipastori e impara l’italiano. La nonna laesorta «Troppo stai crescendo Mintò!Troppo! Pensa di meno che duri più alungo!»

Tziu Imbece, lo zio anarchico, le forni-sce i libri. «Lui mi aiutava a crescere e io anon invecchiare». Glieli lascia in ereditàdicendole: «Più libri si leggono e menomale gira la ruota del mondo. Sai chi sonoi genitori di tutti i nostri mali? Babbuegoismu e mama istupididade!»

Il romanzo di Salvatore Niffoi, Lavedova scalza ci catapulta subito alcentro di un evento atroce.Non sappiamo ancora chi è stato mas-

sacrato, ma siamo colpiti dalla forza delladonna a cui lo scrittore affida la narrazio-ne. Mintonia Savuccu non indulge inlacrime: «...questa balentiaqualcuno la pagherà in sonan-ti, di leppa o pallettoni devecrepare chi ti ha sfregiato così».

Il suo modo di presentarsici impedisce di compiangerla.La tensione drammatica,inoltre, è alleviata dall’ironia:

«Ebbe’? Non avete mai vistomorti? Levatevi da mezzo allegambe, che questo non è s’iscra-vamentu né s’incontru!»

S’iscravamentu e s’incontrusono letteralmente il seppelli-mento di Gesù e l’incontro tra il Risorto ela Madonna. Non è la Pasqua, insomma. Laprosa di Niffoi scava col dialetto nell’italia-no, lo sventra, per usare suoi termini, e cimostra la realtà. Una realtà tremenda riscat-tata da una narrazione ironica dotata distraordinaria leggerezza. Talvolta duro ediretto, il linguaggio è però scevro da com-piacimenti, non indulge al macabro né aqualsiasi altra forma di morbosità. Anche ilpiù truce tra gli eventi mantiene una sortadi sguardo strabico che allude alla duplicitàinsita nell’esistenza. La scrittura di Niffoi èironica senza essere cinica. C’è, nel libro, unpassaggio rivelante:

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La capacità di scrivere aiuterà Mintoniaad alleviare il dolore e a trasmettere ciòche la vita, nella sua durezza, le ha inse-gnato. Dall’Argentina scrive alla nipoteesortandola ad apprendere la difficile artedel perdono.

Come il sarto Bachis in La sesta ora(ed. Il maestrale 2003) anche Niffoi traeispirazione nei colori e nelle forme dellasua terra, la Sardegna. E dalla natura ven-gono immagini efficaci.

Una volta eravamo tredici, perché poi iltempo e la malasorte hanno iniziato a pota-re i grappoli di carne della mia famigliacome vendemmiatori frettolosi e avvinazza-ti. Tzàc, tzàc, tzàc, un taglia taglia allacieca, manco avessimo da scontare un debitocol Padre Grande.

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Indagatore attento in quel piccolo franco-bollo di terra, come lui stesso definisce laBarbagia, paradiso e inferno, Niffoi scrivedi ciò che conosce per averlo osservato o vis-suto. Lavora a togliere non ad aggiungereper offrire al lettore emozioni vere. I suoipersonaggi gli abitano dentro. La scritturascava a fondo nell’umano tanto da universa-lizzarlo. Il microcosmo riflette il macroco-smo. Orani diventa osservatorio privilegiatoche permette allo scrittore di capire e, inlibertà, di interpretare il mondo. C’è forzain questa indagine che cerca il senso dellecose e sa guardare alla morte, al nulla dellamorte, senza paura. Che la vita sia tremen-da e sublime lo sappiamo, ma è il modo incui Niffoi sceglie di dircelo ad essere davveroconvincente. �

Bruno Pittau,And – 01,

1988, tecnica mista

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Rivista diArti

PoesiaFilosofia

Letteratura

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