Soldati per soldatini. Abbecedario essenziale del Natale di Guerra · 2017-03-06 · Soprattutto...

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1 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Viale Pasubio 5, Milano | www.fondazionefeltrinelli.it Approfondimenti | kit didattico “Natale 1914, pace in tempo di guerra” Materiale: Scheda PDF Soldati per soldatini. Abbecedario essenziale del Natale di Guerra Soprattutto nel primo Natale di guerra – primo europeo del '14 e primo italiano del '15 – l'inspiegabile del conflitto moderno cerca nel tumulto del discorso le porte per un accesso facilitato alla sua leggibilità. Ed è su giornali, periodici, opuscoli a larga diffusione, che la chiamata delle lettere alle armi – e delle armi alle lettere – si fa copiosa e apertamente bellicosa. Sulla porta d'ingresso di un abbecedario essenziale del Natale di guerra, non può che campeggiare la V di Visione, quella della speranza religiosa di un momento di pace in mezzo alla continuazione della battaglia; quella di una fede laicizzata dalla battaglia stessa nella fine imminente del conflitto, che si immagina arrivi dal cielo, pur se ancora solcato dalle esplosioni. Se il fragore non si placa nemmeno a Natale, quindi, l'architettura delle parole nel dicembre di guerra resta ancorata al conflitto e il dizionario delle festività muta di significato. Così accade alla P di Presepe e alla I di Inverno di guerra, l'uno disperso dalla furia omicida del nemico, l'altro identificato con il chiaroscuro fotografico di densi banchi di neve su cui sembrano schierati soldati per soldatini. La A sta ancora per Asino, non però quello docile che scalda la Sacra Famiglia, ma quello satireggiante che del Bambino Gesù fa il corpo simbolico dello scempio della violenza, aprendo la porta illustrata a colori dell'anti-interventismo. La S sta per Strenna, naturalmente, ma una strenna che si fa lista per immagini dei doni amari che il conflitto mondiale si prepara a calare sull'Europa, una signora tiranneggiata da questo e da quello il cui abete delle feste si va decorando delle palline delle rivendicazioni territoriali. E il fanciullo, che del Natale come dell'abbecedario è il primo destinatario, è di continuo interrogato nei suoi desideri natalizi. La sua lettera preferita, la G di Giocattolo, non è però un balocco neutrale, ma piuttosto la simulazione di un'arma pedagogica che da sempre solidarizza il bambino con la sua età adulta più tumultuosa: quella che prende già il soldatino per il soldato.

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Approfondimenti | kit didattico “Natale 1914, pace in tempo di guerra” Materiale: Scheda PDF

Soldati per soldatini. Abbecedario essenziale del Natale di Guerra

Soprattutto nel primo Natale di guerra – primo europeo del '14 e primo italiano del '15 – l'inspiegabile del

conflitto moderno cerca nel tumulto del discorso le porte per un accesso facilitato alla sua leggibilità.

Ed è su giornali, periodici, opuscoli a larga diffusione, che la chiamata

delle lettere alle armi – e delle armi alle lettere – si fa copiosa e

apertamente bellicosa. Sulla porta d'ingresso di un abbecedario

essenziale del Natale di guerra, non può che campeggiare la V di Visione,

quella della speranza religiosa di un momento di pace in mezzo alla

continuazione della battaglia; quella di una fede laicizzata dalla battaglia

stessa nella fine imminente del conflitto, che si immagina arrivi dal cielo,

pur se ancora solcato dalle esplosioni. Se il fragore non si placa nemmeno

a Natale, quindi, l'architettura delle parole nel dicembre di guerra resta

ancorata al conflitto e il dizionario delle festività muta di significato.

Così accade alla P di Presepe e alla I di Inverno di guerra, l'uno disperso

dalla furia omicida del nemico, l'altro identificato con il chiaroscuro

fotografico di densi banchi di neve su cui sembrano schierati soldati per soldatini. La A sta ancora per

Asino, non però quello docile che scalda la Sacra Famiglia, ma quello satireggiante che del Bambino Gesù fa

il corpo simbolico dello scempio della violenza, aprendo la porta illustrata a colori dell'anti-interventismo.

La S sta per Strenna, naturalmente, ma una strenna che si fa lista per immagini dei doni amari che il

conflitto mondiale si prepara a calare sull'Europa, una signora tiranneggiata da questo e da quello il cui

abete delle feste si va decorando delle palline delle rivendicazioni territoriali.

E il fanciullo, che del Natale come dell'abbecedario è il primo destinatario, è di continuo interrogato nei

suoi desideri natalizi. La sua lettera preferita, la G di Giocattolo, non è però un balocco neutrale, ma

piuttosto la simulazione di un'arma pedagogica che da sempre solidarizza il bambino con la sua età adulta

più tumultuosa: quella che prende già il soldatino per il soldato.

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Consulta il flipping book “Soldati per soldatini. Abbecedario essenziale del Natale di Guerra”

Il flipping book propone parole e immagini tratte dall’archivio di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.

Alcune immagini sono qui sotto proposte, la collezione completa è inserita all’interno del flipping book.

http://xdams.fondazionefeltrinelli.it/dm_0/FF/feltrinelliPubblicazioni/allegati//Soldatini/index.html

V di VISIONE

P di PRESEPE

G di GIOCATTOLI

A di ASINO

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1914-1915. L'Italia esitante

Per spiegare le ragioni de L'Italia esitante sull'«Atlantic Monthly

Review» di Boston, Ferrero ricostruisce per il lettore americano la

parabola storico-politica dell'Italia unita, il racconto del percorso

incerto di uno Stato fragile di fronte alla potenza secolare degli Imperi

centrali liminari. Le esitazioni italiane nel primo tragico inverno di

guerra non si danno – spiega Ferrero – nella becera incertezza

strategica sulla bilancia degli interessi internazionali.

Quella della neutralità è un condizione che pesa sulla politica italiana

almeno dal 1866. È «la spada di Damocle» che già Mazzini vedeva

pendere sul suolo irredento del Friuli, dell'Istria e del Trentino alla

firma degli accordi di pace con l'Austria e la Prussia, la minaccia

sotterranea ad ogni pacifico sviluppo nazionale. Ferrero – che del

pensiero mazziniano si fa sostenitore – amplifica l'ipotesi del rischio

insito nel congelamento imposto da quegli accordi al processo di

unificazione economica, culturale e morale del Paese.

Agli americani, che si meravigliano di come l'Italia resti neutrale sul confine geopolitico della guerra in

corso, Ferrero risponde con il linguaggio della emergente sociologia delle masse. È certo la fragilità militare

a impedire il passo dell'intervento a fianco dell'Intesa – passo “naturale” nonostante l'Alleanza

mitteleuropea ribadita dal 1882 – ma a impantanare il dibattito interno sul da farsi, è l'incapacità del

Governo a mobilitare le masse popolari, spiegando loro gli interessi nazionali in gioco in questa guerra

moderna. Il lettore coevo d'oltreoceano, non immagina, come quello contemporaneo, che presto saranno

gli europei a interrogarsi sull'attendismo americano di fronte alla minaccia tedesca. E nonostante la

lungimiranza dimostrata nel ricostruire a pochi mesi dal suo inizio le ragioni della crisi in corso, nemmeno

Ferrero può prevedere che quella che studia ancora come una «guerra europea» e che si augura si

concluda all'alba del '16, si stia già trasformando in una lunga Grande Guerra mondiale.

Consulta il flipping book “1914-1915. L'Italia esitante”

http://xdams.fondazionefeltrinelli.it/dm_0/FF/feltrinelliPubblicazioni/allegati//Ferrero/index.html#/1/

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L'inizio della fine del sistema finanziario

“Nell’ultima settimana di luglio scoppiò la crisi che arrestò il sistema finanziario in tutto il mondo”.

Con questa osservazione, efficacissima nella sua semplicità, Vincenzo

Porri affronta il problema, centrale all’interno della più vasta questione

degli effetti della guerra sull’assetto finanziario internazionale, della crisi

che colpì l’economia britannica del luglio del 1914. Sebbene tenda a

rimanere spesso in secondo piano, forse per l’effetto meno diretto e

immediato che ebbe sugli aspetti più visibili e percepibili dalla collettività,

il crollo del sistema finanziario internazionale rappresenta uno dei primi

effetti “rivoluzionari” prodotti dalla guerra e insieme una delle “grandi

trasformazioni” con conseguenze più strutturate e durature. Nelle

settimane a cavallo tra il luglio e l’agosto del 1914 si assisté alla “fine di

un’epoca”.

Quell’epoca che, praticamente a partire dalla restaurazione

postnapoleonica, aveva visto consolidarsi una relativa stabilità fondata sul gold standard, ovvero sulla

convertibilità delle principali monete in oro, da cui discendeva un indiretto sistema di cambi fissi anche tra

le diverse monete.

Il gold standard, o sistema aureo, era riuscito di fatto ad allineare i prezzi internazionali attraverso un

sistema che si basava sul dominio incontrastato della sterlina e andava a completare quel quadro della

lunga “pax britannica” che aveva permesso una crescente integrazione dell’economia mondiale in un

quadro di stabilità monetaria e finanziaria. Quegli stessi meccanismi che ne avevano permesso il

funzionamento e il consolidamento, furono tuttavia alla base del rapido crollo del sistema. Il 28 luglio, il

“martedì nero” della borsa londinese (evocatore e anticipatore di altri “giorni neri” del mercato

internazionale), segnò l’apertura di una crisi che si sarebbe consumata in appena due giorni, fino al “giovedì

nero” che vide la chiusura contemporanea della borsa inglese e di quella newyorkese.

La successiva decisione, da parte della Gran Bretagna, di abbandonare la ultradecennale convertibilità della

sterlina in oro segnava la morte di Londra come centro del mercato mondiale e insieme la fine dell’“età

dell’oro” del sistema monetario internazionale. Quella che avrebbe potuto essere una crisi “locale”, anche

se di portata storica, proprio a causa dei meccanismi di interrelazione finanziaria creatisi nei decenni

precedenti, uniti all’effetto domino moltiplicatore prodotto dalla guerra, si trasformò in una crisi epocale

senza ritorno.

La crisi internazionale aperta da quella britannica sarebbe culminata infatti nella Grande Depressione del

1929, creando una frattura a cui si cercherà di porre rimedio solo con gli accordi di Bretton Woods del

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1944. Ci sarebbero volute insomma due guerre mondiali e la più grave crisi finanziaria internazionale mai

sperimentata fino ad allora per spingere la comunità internazionale a ricercare anche, e anzi proprio, sul

piano finanziario quella stabilità che la guerra apertasi nel 1914 aveva distrutto, mostrando subito al

mondo il suo effetto devastante.

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Natale di Guerra.

Pagine letterarie da “L’Illustrazione Italiana”

I testi proposti in questo volume apparvero originariamente sui numeri

di Natale del 1914 e del 1915 de «L’Illustrazione Italiana», il

settimanale fondato da Emilio Treves nel 1873. I loro autori sono oggi

tra i minori o minimi delle storie letterarie, ma a quell’epoca erano

tutti nomi noti della scena delle riviste, dei giornali e delle istituzioni

culturali, dai teatri alle università. In questo senso, i testi raccolti si

prestano a rappresentare atteggiamenti diffusi nella società e in

particolare un sentimento che potremmo dire di accettazione più o

meno sofferta della guerra.

Un filo che li percorre tutti, come si vedrà anche a una lettura corsiva,

è il sentimento doloroso della divisione delle famiglie, che l’occasione

del Natale acuisce e rende manifesto, e della morte incombente. Da

questo sentimento non deriva però alcuna contestazione della guerra:

divisione e morte sono rappresentate – «Le mamme quest’anno / non

hanno / che affanno» scrive Orvieto –, ma la necessità della guerra, nel 1915 come nel 1914, non è messa in

discussione, mentre la sola pace in cui sembra lecito sperare è quella che potrebbe seguire al rapido

prevalere di una delle parti: così Bertacchi invoca il «lampo / d’una giusta vittoria», mentre Orsini ricorda ai

soldati che «oggi il mondo, per Voi, fatto è più degno».

In particolare, il dolore dei bambini per la lontananza o il pericolo dei padri, come la loro stessa morte, è

nominato e compatito, ma finisce per apparire come una dolorosa necessità nella più vasta necessità della

guerra. Nel racconto di Paola Lombroso ai bambini si chiede perfino giudizio, perché non turbino la

costanza dei genitori manifestando la propria nostalgia per il padre lontano, mentre il suo improvviso

ritorno da un fronte di cui si tacciono gli orrori fa della storia una sorta di fantasia compensatoria. Più in

generale la scrittura letteraria, in quanto offre al dolore un luogo dove manifestarsi e però restare

circoscritto, senza diventare opposizione, tende a ridursi a una funzione di mediocre catarsi e infine di

conservazione.

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