Natale: le sorprese che piacciono a Dio. · Guardiamo al primo Natale della storia per scoprire i...

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DOMENICA 23 DICEMBRE 2018 VI DOMENICA DI AVVENTO Natale: le sorprese che piacciono a Dio. (PAPA FRANCESCO) Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Tra sei giorni sarà Natale. Gli alberi, gli addobbi e le luci ovunque ricordano che anche quest’anno sarà festa. La macchina pubblicitaria invita a scambiarsi regali sempre nuovi per farsi sorprese. Ma mi domando: è questa la festa che piace a Dio? Quale Natale vorrebbe Lui, quali regali, quali sorprese? Guardiamo al primo Natale della storia per scoprire i gusti di Dio. Quel primo Natale della Storia fu pieno di sorprese. Si comincia con Maria, che era promessa sposa di Giuseppe: arriva l’angelo e le cambia la vita. Da vergine sarà madre. Si prosegue con Giuseppe, chiamato a essere padre di un figlio senza generarlo. Un figlio che – colpo di scena – arriva nel momento meno indicato, cioè quando Maria e Giuseppe erano sposi promessi e secondo la Legge non potevano coabitare. Di fronte allo scandalo, il buon senso del tempo invitava Giuseppe a ripudiare Maria e salvare il suo buon nome, ma lui, che pur ne aveva diritto, sorprende: per non danneggiare Maria pensa di congedarla in segreto, a costo di perdere la propria reputazione. Poi un’altra sorpresa: Dio in sogno gli cambia i piani e gli chiede di prendere con sé Maria. Nato Gesù, quando aveva i suoi progetti per la famiglia, ancora in sogno gli vien detto di alzarsi e andare in Egitto. Insomma, il Natale porta cambi di vita inaspettati. E se noi vogliamo vivere il Natale, dobbiamo aprire il cuore ed essere disposti alle sorprese, cioè a un cambio di vita inaspettato. Ma è nella notte di Natale che arriva la sorpresa più grande: l’Altissimo è un piccolo bimbo. La Parola divina è un infante, che letteralmente significa “incapace di parlare”. E la parola divina divenne “incapace di parlare”. Ad accogliere il Salvatore non ci sono le autorità del tempo o del posto o gli ambasciatori: no; sono dei semplici pastori che, sorpresi dagli angeli mentre lavoravano di notte, accorrono senza indugio. Chi se lo sarebbe aspettato? Natale è celebrare l’inedito di Dio, o meglio, è celebrare un Dio inedito, che ribalta le nostre logiche e le nostre attese. Fare Natale, allora, è accogliere in terra le sorprese del Cielo. Non si può vivere “terra terra”, quando il Cielo ha portato le sue novità nel mondo.

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DOMENICA 23 DICEMBRE 2018 VI DOMENICA DI AVVENTO

Natale: le sorprese che piacciono a Dio. (PAPA FRANCESCO)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Tra sei giorni sarà Natale. Gli alberi, gli addobbi e le luci ovunque ricordano che anche quest’anno sarà festa. La macchina pubblicitaria invita a scambiarsi regali sempre nuovi per farsi sorprese. Ma mi domando: è questa la festa che piace a Dio? Quale Natale vorrebbe Lui, quali regali, quali sorprese? Guardiamo al primo Natale della storia per scoprire i gusti di Dio. Quel primo Natale della Storia fu pieno di sorprese. Si comincia con Maria, che era promessa sposa di Giuseppe: arriva l’angelo e le cambia la vita. Da vergine sarà madre. Si prosegue con Giuseppe, chiamato a essere padre di un figlio senza generarlo. Un figlio che – colpo di scena – arriva nel momento meno indicato, cioè quando Maria e Giuseppe erano sposi promessi e secondo la Legge non potevano coabitare. Di fronte allo scandalo, il buon senso del tempo invitava Giuseppe a ripudiare Maria e salvare il suo buon nome, ma lui, che pur ne aveva diritto, sorprende: per non danneggiare Maria pensa di congedarla in segreto, a costo di perdere la propria reputazione. Poi un’altra sorpresa: Dio in sogno gli

cambia i piani e gli chiede di prendere con sé Maria. Nato Gesù, quando aveva i suoi progetti per la famiglia, ancora in sogno gli vien detto di alzarsi e andare in Egitto. Insomma, il Natale porta cambi di vita inaspettati. E se noi vogliamo vivere il Natale, dobbiamo aprire il cuore ed essere disposti alle sorprese, cioè a un cambio di vita inaspettato. Ma è nella notte di Natale che arriva la sorpresa più grande: l’Altissimo è un piccolo bimbo. La Parola divina è un infante, che letteralmente significa “incapace di parlare”. E la parola divina divenne “incapace di parlare”. Ad accogliere il Salvatore non ci sono le autorità del tempo o del posto o gli ambasciatori: no; sono dei semplici pastori che, sorpresi dagli angeli mentre lavoravano di notte, accorrono senza indugio. Chi se lo sarebbe aspettato? Natale è celebrare l’inedito di Dio, o meglio, è celebrare un Dio inedito, che ribalta le nostre logiche e le nostre attese. Fare Natale, allora, è accogliere in terra le sorprese del Cielo. Non si può vivere “terra terra”, quando il Cielo ha portato le sue novità nel mondo.

Natale inaugura un’epoca nuova, dove la vita non si programma, ma si dona; dove non si vive più per sé, in base ai propri gusti, ma per Dio; e con Dio, perché da Natale Dio è il Dio-con-noi, che vive con noi, che cammina con noi. Vivere il Natale è lasciarsi scuotere dalla sua sorprendente novità. Il Natale di Gesù non offre rassicuranti tepori da caminetto, ma il brivido divino che scuote la storia. Natale è la rivincita dell’umiltà sull’arroganza, della semplicità sull’abbondanza, del silenzio sul baccano, della preghiera sul “mio tempo”, di Dio sul mio io. Fare Natale è fare come Gesù, venuto per noi bisognosi, e scendere verso chi ha bisogno di noi. È fare come Maria: fidarsi, docili a Dio, anche senza capire cosa Egli farà. Fare Natale è fare come Giuseppe: alzarsi per realizzare ciò che Dio vuole, anche se non è secondo i nostri piani. San Giuseppe è sorprendente: nel Vangelo non parla mai: non c’è una parola, di Giuseppe, nel Vangelo; e il Signore gli parla nel silenzio, gli parla proprio nel sonno. Natale è preferire la voce

silenziosa di Dio ai frastuoni del consumismo. Se sapremo stare in silenzio davanti al presepe, Natale sarà anche per noi una sorpresa, non una cosa già vista. Stare in silenzio davanti al presepe: questo è l’invito, per Natale. Prenditi un po’ di tempo, vai davanti al presepe e stai in silenzio. E sentirai, vedrai la sorpresa. Purtroppo, però, si può sbagliare festa, e preferire alle novità del Cielo le solite cose della terra. Se Natale rimane solo una bella festa tradizionale, dove al centro ci siamo noi e non Lui, sarà un’occasione persa. Per favore, non mondanizziamo il Natale! Non mettiamo da parte il Festeggiato, come allora, quando «venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11). Fin dal primo Vangelo dell’Avvento il Signore ci ha messo in guardia, chiedendo di non appesantirci in «dissipazioni» e «affanni della vita» (Lc21,34). In questi giorni si corre, forse come mai durante l’anno. Ma così si fa l’opposto di quel che Gesù vuole. Diamo la colpa alle tante cose che riempiono le giornate, al mondo che va veloce. Eppure Gesù non ha incolpato il mondo, ha chiesto a noi di non farci trascinare, di vegliare in ogni momento pregando (cfr v. 36). Ecco, sarà Natale se, come Giuseppe, daremo spazio al silenzio; se, come Maria, diremo “eccomi” a Dio; se, come Gesù, saremo vicini a chi è solo; se, come i pastori, usciremo dai nostri recinti per stare con Gesù. Sarà Natale, se troveremo la luce nella povera grotta di Betlemme. Non sarà Natale se cercheremo i bagliori luccicanti del mondo, se ci riempiremo di regali, pranzi e cene ma non aiuteremo almeno un povero, che assomiglia a Dio, perché a Natale Dio è venuto povero. Cari fratelli e sorelle, vi auguro buon Natale, un Natale ricco delle

sorprese di Gesù! Potranno sembrare sorprese scomode, ma sono i gusti di Dio. Se li sposeremo, faremo a noi stessi una splendida sorpresa. Ognuno di noi ha nascosta nel cuore la capacità di sorprendersi. Lasciamoci sorprendere da Gesù in questo Natale.

Istruzioni per non perdere la testa Autorizzati a pensare. È il titolo del discorso che l’arcivescovo di Milano Mario Delpini ha tenuto per Sant’Ambrogio. Un compito per ognuno. Giuseppe Frangi

Autorizzati a pensare. È il titolo molto bello e anche un po’

sorprendente del discorso che l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini ha tenuto, come da tradizione, in occasione di Sant’Ambrogio. Non essendo un discorso che ha fornito spunti per polemiche di parte (cioè spunti che paralizzano proprio la capacità di pensare), non ha

avuto il giusto rilievo mediatico. Tornarci sopra è quindi più che un atto doveroso, una scelta conveniente: quelle parole sono uno stimolo a riattivare un’energia che è propria dell’umano e che invece per comodità borghese o per istupidimento ideologico teniamo in

letargo. C’è anche un filo di ironia che definirei di stampo “guareschiano”, in questo titolo voluto, o meglio “pensato” da Delpini. “Autorizzati a pensare” è come dire “ricordati che esisti”, se è vero, come

scrive Giacomo Contri, che la “vita è pensiero”. D’altra parte lo stesso psicoanalista riconosce che questa evidenza oggi non è scontata e che quindi “si tratta di rifarsi la bocca al pensiero, al pensiero amico”. L’uso di quel verbo al participio passato,

“autorizzati”, è un richiamo paterno e deciso che sottintende un giudizio su quello che oggi sta accadendo: che la libertà di pensiero è innanzitutto garantita dal tenere esercitato il pensiero stesso. Quella libertà è un principio sacrosanto che non può essere

garantito dall’esterno, se non trova riscontro in una capacità interna, da parte delle persone, di fare uso di quel bene.

Oggi la libertà che per tutti è intoccabile, diritto non negoziabile, in realtà è messa a rischio dal fatto che troppo spesso ci si scorda di metterla in opera. Ecco perché Delpini ci ricorda quella cosa così elementare, ma per nulla scontata, che siamo “autorizzati” a

pensare. Forse ce ne siamo un po’ dimenticati. Si può obiettare che se il pensiero è un bene, non tutti i pensieri sono per forza buoni. Credo che proprio per questo Delpini, più che sul sostantivo abbia puntato sul verbo: “pensare”. Cioè sul pensiero

in azione, che si apre al reale e che si confronta con le evidenze. Che si mette in gioco, si confronta e accetta anche il rischio di essere sconfessato. Il pensiero non è punto fermo, ma è intelligenza in movimento, che vaglia le cose e non si fissa sugli apriori. In questo

modo l’azione del pensare diventa anche una dinamica di relazione, perché il pensiero cerca l’ancoraggio “dolce” in una condivisione: ed è grazie a questa dinamica, scrive Delpini, che si ha una vera crescita e consolidamento del bene comune. E poi aggiunge: il

pensare dà “buone ragioni alla fiducia, alla reciproca relazione, a quella sapienza che viene dall’alto che ‘anzitutto è pura, pacifica e mite’” (la citazione è dalla lettera di San Giacomo, da cui il discorso del 7 dicembre ha preso spunto).

Il pensare garantisce quella che Delpini definisce “una ragionevolezza diffusa…; essere persone ragionevoli è contributo indispensabile al bene comune… Nella comunità del

pensare riflessivo, e non del vociare emotivo, si riconosce, si promuove, si custodisce e si propizia l’umano-che-è comune”. Per questo l’arcivescovo Mario auspica “un esercizio pubblico dell’intelligenza, che si metta al servizio della convivenza di

tutti”. In fondo il discorso di Delpini è già un “esercizio pubblico di intelligenza”. Cioè è discorso in atto; prima attuazione di quel che con le parole viene auspicato. Nel tono e nella tranquilla capacità

persuasiva ricorda il modo di ragionare al cospetto di tutti di Foster Wallace. Il quale a chi gli chiedeva perché tenesse sempre la bandana, rispondeva che in tante culture era considerato opportuno tenere la testa coperta, “per non perdere la testa”. Cioè

quel bene prezioso in cui abita il pensare.

Natale. Dentro questa nostra storia. Il primo vagito e pianto, sino al Padre

Marina Corradi.

«La nostra prima preghiera, in un certo senso, è stato il vagito che ha accompagnato il primo respiro. In quel pianto di neonato si annunciava il destino di tutta la nostra vita: la nostra continua

fame, la nostra continua sete, la nostra ricerca di felicità». Lo ha detto papa Francesco nell’ultima Udienza, pochi giorni fa. È una parola che fa riflettere sulla vita, e sul Natale, ormai così vicino. Il primo vagito come la prima preghiera di un uomo. In quell’istante

in cui, strappato all’ombra calda del grembo materno, la luce lo acceca, e per la prima volta avverte sulla pelle il freddo; e l’aria, che irrompe con forza nei polmoni, brucia. Scacciato dalla pace del grembo, gettato nel fiume della vita, il bambino lancia il primo

vagito che è insieme respiro, paura, istinto vitale: e preghiera, dice il Papa. Quella preghiera, spiega, che «si annida dovunque c’è un uomo, un qualsiasi uomo che ha fame, che piange, che lotta, che soffre e si domanda “perché”».

E ora che mancano pochi giorni al Natale viene da immaginare, nella notte di Betlemme, in una stalla, all’addiaccio, quella giovane donna che custodisce il suo indicibile mistero. E adesso è giunta l’ora. Se l’Annunciazione è silenzio, rotto solo dal fiato di un “fiat”,

il venire al mondo di Cristo è il suo nascere nella carne, come un uomo. E dunque anche lui lanciò sotto a un cielo di stelle quel primo vagito, uguale a quello di ogni bambino. Freddo, fame, e il fiotto d’aria che colma i polmoni, e ne ritorna in un grido. Quella fu

dunque la prima preghiera di Gesù. Preghiera per il creato, per ogni creatura, per ogni dolore bisognoso di essere sanato. Ai pastori, nei pascoli attorno, sembrò semplicemente il pianto di

un neonato. Ma era il farsi carne del Verbo: e lacerò la notte di Betlemme, e tagliò per sempre il tempo e la storia. Avanti Cristo, dopo Cristo, duemila anni dopo i giorni si contano ancora da quell’attimo in cui venne come deposto un divino germe di

rivoluzione: la morte, in quel bambino, non più invincibile nulla e disperazione. La Croce, la Resurrezione erano ancora lontani. Ma già quel grido di Gesù che veniva al mondo era domanda al Padre, per ognuno e per tutti.

Pensiamoci, in questo tempo che stiamo vivendo, e che è ancora così colmo di dolore e segnato dall’ingiustizia, scandito da pianti

adulti e da pianti bambini. Pensiamoci, nella frenesia degli ultimi preparativi per il Natale, a quell’attimo, a quel pianto che inizia a

creare una nuova umanità. È l’attimo dello sgorgare di una sorgente, è pura vita che generosamente si diffonde, acqua limpida da bere. E pensiamo anche al nostro lontano primo vagito, alla domanda

inconsapevole che conteneva: fame, paura, bisogno di aiuto. Eravamo, in quel momento, totalmente sinceri, scevri da ogni presunzione, semplicemente mendicanti di tutto. Forse dovremmo tornare a pregare così. Forse rinascere quando si è vecchi, come

chiedeva Nicodemo, è questo? Domandare, affidarsi al Padre con la fiducia inerme di un neonato. Certo, non siamo più bambini. Abbiamo fatto, saputo, sorriso, sofferto, ferito. Abbiamo grandi pesi sulle spalle, ed esperienza.

Come tornare alla semplicità dell’affidamento infantile? Il Papa: «Gesù, nella preghiera, non vuole spegnere l’umano, non lo vuole anestetizzare. Non vuole che smorziamo le domande e le richieste imparando a sopportare tutto. Vuole invece che ogni sofferenza,

ogni inquietudine, si slanci verso il cielo e diventi dialogo». Fare allora di ogni giorno, di ogni ora, una domanda. Buttarla a Dio: come una supplica, un interrogarsi, o una provocazione. Vivere e agire dentro questo dialogo. Avere fede, ha detto ancora Francesco,

«è un’abitudine al grido». Ce lo dice la voce di ogni figlio che nasce. Ce lo dice la memoria di quel vagito simile a quello di tutti gli altri bambini, eppure straordinario: la prima preghiera di un Dio che si

fa carne, ed entra nella storia.

CAPODANNO IN FAMIGLIA

Se desiderate passare un veglione di fine anno all'insegna della semplicità e dello stare insieme tranquillo e cordiale, partecipando a

una festa di capodanno semplice e gioiosa, fatta di divertimento sobrio,

intelligente e in unità… SPAZIOAPERTO vi invita a NON RESTARE SOLI, e a vivere insieme il veglione di capodanno. Vi invitiamo al

nostro

CAPODANNO IN FAMIGLIA semplice e allegro, fatto di incontro e di armonia e aperto a TUTTI, di qualsiasi età. Ecco la nostra proposta per la notte del 31 dicembre 2018:

ritrovo nel salone dell’oratorio S. Luigi di Biassono; inizio alle ore 20,00 con la proposta di una breve preghiera iniziale. A seguire: cena condivisa (ognuno è invitato a portare qualcosa di

mangereccio da casa, in modo da condividere con tutti); una divertente tombolata;

brindisi di mezzanotte; buona tavola, chiacchierate serene; musica, balli e buona compagnia.

Costo di partecipazione al veglione: offerta libera, giusto per ripagare le spese.

Per partecipare al veglione non serve iscrizione: noi accogliamo tutti a braccia aperte. Chiediamo però di essere contattati da chi è intenzionato a venire, e da chi potrebbe mettere a disposizione qualche bel premio per la tombola. Inoltre, cerchiamo volontari per la mattina del 31/12, per aiutarci a preparare il salone dell’oratorio per la festa della sera.

Bene, la proposta è lanciata e noi aspettiamo riscontri. Buone feste e buon anno… Insieme è più bello!!!